Pikaia - La Teoria Dell'Evoluzione

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La teoria

dell’evoluzione

www.pikaia.eu

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Le prove empiriche 7

Introduzione.......................................... 7

Le prove paleontologiche........................ 9

La documentazione fossile .................11

La successione dei fossili negli strati ...12

La sequenza cronologica ....................13

Le forme di transizione ......................15

L’universalità del codice genetico ...........18

La ricostruzione delle relazioni evolutive........................................................21

Le somiglianze anatomiche e di sviluppo 26

Le analogie .......................................27

L’evoluzione convergente ...................29

L’evoluzione parallela.........................30

Le omoplasie.....................................31

Le omologie ......................................31

Gli organi vestigiali ............................33

Lo sviluppo embrionale ......................34

La distribuzione geografica delle specie ..37

Le osservazioni di Darwin in Sud America ............................................40

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La distribuzione dei mammiferi marsupiali .........................................44

I movimenti della crosta terrestre .......48

La filogenesi .........................................57

Tassonomia numerica ........................59

Cladistica ..........................................64

Tassonomia evoluzionistica ................69

Le sorgenti di variazione 72

Introduzione.........................................72

L’ereditarietà ........................................74

La teoria della pangenesi ...................76

Gregor Mendel e le leggi dell’ereditarietà........................................................80

Le mutazioni.........................................92

alterazione di un gene .......................95

modificazione dell’ordine dei geni o del numero di cromosomi ........................99

attivazione dei geni..........................101

La ricombinazione...............................103

Il crossing over ...............................104

La meiosi ........................................105

profase I.........................................107

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metafase I ......................................109

anafase I ........................................111

telofase I ........................................113

Il DNA................................................114

Cento anni di sperimentazioni ..........115

La replicazione ................................122

Le polimerasi...................................123

La sintesi proteica ...........................126

La selezione naturale 131

Introduzione.......................................131

Constatazioni empiriche di natura demografica .......................................135

Selezione naturale ..............................144

Concetto di adattamento..................151

Adaptation ......................................155

Exaptation ......................................156

Vincoli.............................................159

Visione adattazionista ed obiezioni....164

Estinzione .......................................165

Selezione artificiale .............................167

L’unità di selezione .............................170

Selezione di gruppo. ........................172

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Kin Selection ...................................173

Gene egoista...................................175

La selezione sessuale ..........................179

Strategie comportamentali ...............182

Vantaggi e svantaggi .......................186

Strategie riproduttive.......................187

Conflitto sessuale ............................190

Sperm Competition..........................192

Sex ratio .........................................193

Handicap ........................................195

L’origine delle specie 197

Introduzione.......................................197

La definizione di specie .......................200

Meccanismi di speciazione ...................211

La speciazione simpatrica.................218

La selezione sessuale attraverso l’accoppiamento assortativo .............220

La selezione sessuale disrupativa......223

La speciazione allopratica.................225

Meccanismi di isolamento.................227

Tattiche comportamentali ................235

La speciazione parapratica ...............238

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Deriva genetica – L’effetto del fondatore......................................................239

Deriva genetica – L’effetto collo di bottiglia ..........................................242

La distribuzione delle specie ................245

Gli hot spot .....................................248

La linea di Wallace...........................249

Gli equilibri punteggiati .......................252

La stasi e l’habitat tracking...............257

La fossilizzazione .............................262

Le estinzioni e i trend macroevolutivi....264

Estinzioni di fondo ed estinzioni di massa......................................................269

Cause fisiche...................................270

Le cause antropiche.........................273

Turn over pulses .............................273

Impatto ecologico delle estinzioni .....275

Le 5 grandi estinzioni del Fanerozoico......................................................278

Le estinzioni minori..........................279

Glossario 281

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Le prove empiriche Introduzione

Le prove paleontologiche

L’universalità del codice genetico

Le somiglianze anatomiche e di sviluppo

La distribuzione geografica delle specie

La filogenesi

Introduzione Uno dei concetti fondamentali, ma anche rivoluzionario, della teoria evolutiva è la presenza di un antenato comune, da cui per variazioni, selezione naturale ed adattamenti, si sono originati tutti gli organismi viventi. In un periodo storico in cui l’idea predominante era la creazione della specie esattamente come la vediamo oggi, senza possibilità di evoluzione, affermare che uomini, piante e microrganismi fossero

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imparentati doveva essere perlomeno coraggioso. Ma le prove di questa affermazione esistono e sono innumerevoli. E la forza della teoria evolutiva risiede anche in questo. Dal 1859, data della prima edizione de “L’origine delle specie”, le scienze biologiche si sono ampliate con nuovi campi di ricerca, ma nessuno di essi ha potuto anche solo scalfire la teoria dell’evoluzione, anzi, molte hanno apportato ulteriori evidenze. A favore della discendenza di tutti gli organismi esistono varie linee di prove, ognuna indipendente dalle altre, ma tutte “predette” dalla teoria dell’evoluzione. Le aree disciplinari in cui si possono ritrovare le evidenze sono le seguenti:

� Le prove paleontologiche � L’universalità del codice genetico � Le somiglianze anatomiche e di

sviluppo

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� La distribuzione geografica delle specie

Attraverso l’uso dei dati paleontologici, morfologici ed embriologici, molecolari e, eventualmente, da quelli derivati dalla ecologia e biologia degli organismi è possibile ricostruire la discendenza comune e le relazioni evolutive di tutti gli esseri viventi. Questo processo è noto come filogenesi

Le prove paleontologiche

In campo paleontologico esistono vari tipi di evidenze che provano la teoria dell’evoluzione e dell’antenato comune:

� La documentazione fossile � La successione dei fossili negli strati � La sequenza cronologica � Le forme di transizione

Nello studio degli organismi fossili, appurata la loro comune discendenza e la loro evoluzione, si può creare una suddivisione

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dei caratteri e delle strutture presenti, in base alla evoluzione che essi hanno subito. Si riconoscono: a) caratteri apomorfi, cioè specializzati, comparsi in una specie ancestrale e comune ai suoi discendenti (in cui il carattere non è più apomorfico, perché già presente nell’antenato). Sono importanti perché la loro presenza indica chiaramente un’evoluzione comune. Se l’apomorfia è espressa da due o più taxa e si è originata nel loro antenato comune, si parla di sinapomorfia. Le sinapomorfie sono la base per la costruzione degli alberi filogenetici. b) caratteri plesiomorfi, cioè primitivi o ancestrali. La loro presenza non aiuta nella ricostruzione delle relazioni filogenetiche tra i vari taxa, perché comuni a troppi taxa. Un carattere plesiomorfo espresso in due o più taxa è definito simplesiomorfia e non è

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indicativo di relazioni filogenetiche tra i taxa in questione.

La documentazione fossile

La presenza nella documentazione fossile di organismi profondamente diversi da quelli attuali, ma in qualche modo accomunati da strutture simili, lascia supporre che relazioni di parentela tra specie fossili e specie attuali possano esistere.

Il limulo (o granchio a ferro di cavallo) è un artropode xifosuro). I ritrovamenti fossili più antichi risalgono a circa 300 milioni di anni fa. Da allora le caratteristiche morfologiche di questi animali sono quasi immutate. Per questo motivo è considerato un fossile vivente.

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La successione dei fossili negli strati

La successione degli strati, ove non modificata, può essere vista come la rappresentazione di un intervallo di tempo, in cui il periodo più antico è in basso e man mano che si sale nella sezione geologica ci si avvicina all’attuale. In questi strati rocciosi, la distribuzione dei fossili è diversa, anche se si prendono in considerazione singoli taxa.

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La sequenza cronologica

Nella documentazione fossile si assiste ad una sequenza cronologica precisa nella comparsa dei vari gruppi. Ad esempio i fossili più antichi sono quelli di procarioti, che si ritrovano in rocce di circa 3 miliardi di anni, mentre i più antichi eucarioti sono presenti in rocce più recenti (1,8 miliardi di anni). Utilizzando la stessa logica, si può osservare che i resti più antichi di rettili compaiono dopo i fossili più antichi di anfibi, e molto dopo quelli dei primi pesci. Anche se la documentazione fossile non è completa, si può comunque asserire che i rettili sono comparsi dopo i pesci e non prima.

EONE ERA LIMITI EVENTI NEI

MARI EVENTI SULLA

TERRA

(IN MILIONI DI

ANNI) (FOSSILI) (FOSSILI)

COMPARSA D I HOMO SAP IENS

FAN

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OZO

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65

PR IME SC IMMIE

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ANTROPOMORFE

PR IME BAL ENE

ESP LOS IONE EVOLUT IVA DE I

MAMM IFER I

PR IME

ANGIOSPERME

PR IM I UCCELL I

PR IM I D INOSAUR I PR IM I

RETT IL I ACQUAT IC I

PR IM I RETT IL I VOLANT I

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251 PR IM I MAMMI FER I PR IME

G IMNOSPERME

PR IM I RETT IL I

PR IM I ANF IB I

PR IME P I ANTE VASCOLAR I TERRESTR I

PR IM I PESCI

PR IMO

CORDATO

PALEO

ZIO

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542

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ESP LOS IONE EVOLUT IVA

DE I METAZO I

EUCAR IOT I

PROTEROZOICO

2500

ARCHEANO

4500 PROCAR IOT I

Le forme di transizione

Secondo la teoria evolutiva, nel passaggio tra i gruppi sistematici è spesso possibile (ma non sempre) avere tracce che confermano la discendenza comune con altri taxa. Questo è osservabile nella documentazione fossile: in alcuni casi è possibile ricostruire le tappe evolutive di alcuni taxa. Ad esempio si ritiene che i mammiferi si siano evoluti da antenati rettiliani, e ciò è confermato dalla successione di crani fossili ritrovati; da crani tipicamente di rettili si passa a crani di rettili simili a mammiferi, per poi arrivare a crani di

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mammiferi simili a rettili ed infine a veri e propri mammiferi. Un altro esempio è l’evoluzione delle balene; si potrebbe pensare che questi animali perfettamente adattati all’ambiente marino si siano adattati nel loro ambiente. In realtà la documentazione fossile presenta l’evoluzione dei mammiferi a partire dalla terraferma e le balene non fanno eccezione. Infatti, è stato trovato lo scheletro di un mammifero terrestre che presenta caratteristiche del cranio da balena, ma che era dotato di 4 zampe, simile per forma e dimensioni ad un lupo odierno.

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Schema evolutivo dei Cetacei

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L’universalità del codice genetico

Il fatto che tutti gli organismi viventi utilizzino lo stesso codice genetico è un’evidenza della loro discendenza comune. Se le specie fossero statiche ed indipendenti le une dalle altre, non avrebbe senso la presenza di un unico codice per animali e piante molto diversi fra loro. Poiché non esiste nessun vincolo chimico al tipo di codice da utilizzare, la presenza di un unico tipo di informazione basilare per tutti gli organismi implica che tutti discendano da un comune antenato. Per questa sua straordinaria caratteristica, che costituisce un’ulteriore e potentissima prova empirica dell’esistenza di un’origine e di una discendenza comune tra tutti gli esseri viventi, può essere usato come strumento per confrontare qualsiasi gruppo di organismi, e ricostruirne le relazioni evolutive.

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Gli Eucarioti (ovvero tutti gli organismi, noi compresi, che hanno il materiale ereditario confinato nel nucleo cellulare) hanno un genoma organizzato in cromosomi, unità discrete visibili solamente durante la divisione cellulare; essi sono un modo pratico

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ed ordinato di dividere equamente, senza compiere errori, il materiale genetico tra le cellule figlie. È un po’ come avere un cesto che contiene dei fili di lana e volerli dividere in due cesti. Sarà molto più semplice dividere il contenuto del cesto in due contenitori se la lana sarà strutturata in gomitoli piuttosto che liberamente sciolta. Gli Eucarioti possiedono spesso anche tratti di DNA aggiuntivo, come quello contenuto nei mitocondri (negli animali) e nei cloroplasti (nelle piante). I batteri possiedono un sistema genetico basato sul DNA, composto da un unico grande cromosoma circolare spesso associato a più piccole sequenze circolari di DNA note come plasmidi. Il DNA non è racchiuso in un nucleo delimitato da membrana, ma resta libero nel citoplasma. Per questo sono definiti procarioti. I virus possono avere il corredo genetico basato sul DNA (che può essere a doppio o a singolo filamento) oppure sull’RNA. Il

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genoma dei virus non è in grado di riprodursi autonomamente. Essi devono sfruttare tutti i meccanismi molecolari che rendono possibile la replicazione delle cellule che infettano. Una volta penetrato nella cellula, il virus integrerà il proprio DNA in quello della cellula ospite (se è un virus a RNA inietterà anche un particolare enzima, la trascrittasi inversa, che risintetizzerà il DNA da integrare nel genoma infettato a partire da uno stampo ad RNA).

La ricostruzione delle relazioni evolutive

Le sequenze di DNA possono fornire un’immagine più chiara delle relazioni tra organismi perché evolvono in modo più regolare rispetto ai caratteri morfologici e fisiologici. Le differenze morfologiche infatti riflettono cambiamenti a livello genotipico, fenotipico e ambientale, mentre le differenze tra sequenze di DNA rispecchiano solo i

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cambiamenti avvenuti a livello del genotipo. Infine, il genoma di tutti gli organismi consiste di lunghe sequenze nucleotidiche e contiene una quantità di informazione filogenetica enormemente maggiore di quella ottenibile dai caratteri morfologici. Questa abbondanza si è rivelata molto utile nello studio dei microrganismi, per i quali è disponibile solo un numero estremamente limitato di caratteri morfologici o fisiologici. Poiché generalmente le sequenze nucleotidiche evolvono secondo modalità approssimativamente regolari, i dati molecolari sono più facilmente analizzabili con metodi quantitativi. La filogenesi molecolare studia le relazioni evolutive tra organismi o geni integrando le tecniche di biologia molecolare con quelle dell’analisi statistica. I ricercatori, sono oggi in grado di leggere le sequenze nucleotidiche degli stessi geni in individui, popolazioni e specie differenti e le

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mettono a confronto, per individuarne similitudine e differenze. Dato un campione di sequenze geniche estratte da una popolazione, si possono ricostruire le relazioni tra queste risalendo ad un gene ancestrale comune, cercando di ricavare cioè la natura della sequenza genica originaria da cui, per una lunga serie ed un accumulo di mutazioni, si è arrivati alle sequenza che osserviamo negli individui. L’insieme dei collegamenti tra il campione attuale e gli antenati comuni costituisce l’albero genico. Negli alberi filogenetici, i gruppi in esame (le specie) occupano le posizioni terminali, mentre i nodi rappresentano taxa ancestrali ora estinti. Per le analisi interspecifiche, cioè quando si vogliono confrontare le sequenze geniche di individui appartenenti a specie diverse, gli antenati intermedi, quelli di passaggio tra una specie e l’altra, sono in effetti solitamente assenti perché già estinti;

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ma se, ad esempio, si vuole analizzare la variabilità e le relazioni di parentela tra noi uomini e donne nelle diverse parti pianeta, cioè tra popolazioni appartenenti ad una stessa specie (come stanno facendo i ricercatori all’interno del progetto genographic), le sequenze intermedie possono essere presenti insieme a quelle derivate, dando origine ad alberi molto confusi e difficili da interpretare. Per ovviare a questi problemi, una soluzione è quella di utilizzare, invece dei classici alberi filogenetici, una rappresentazione reticolare, o network, che ammette la persistenza di nodi ancestrali, di multiforcazioni e reticoli all’interno del grafico. Sono stati elaborati numerosi approcci statistico-matematici che permettono di analizzare e confrontare sequenze di DNA ottenute da organismi evolutivamente molto distanti. Negli studi di filogenesi molecolare, la distinzione tra approccio fenetico e

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approccio cladistico non è sempre così chiara e risulta più conveniente classificare i diversi metodi di elaborazione dei dati in metodi basati sulle distanze e metodi basati sullo stato dei caratteri. � I metodi di distanza, spesso riferiti

concettualmente alla sistematica fenetica, operano una trasformazione dei dati e raggruppano i valori in matrici di distanza, sulla base di similarità e differenze nelle sequenze nucleotidiche.

� I metodi basati sullo stato dei caratteri, riferibili all’approccio cladistico, utilizzano invece i dati discreti rappresentati dalle sequenze nucleotidiche stesse e fanno riferimento allo stato del carattere, come il nucleotide o l’aminoacido presente in un dato sito, oppure la presenza o l’assenza di un’inserzione o di una delezione in un certo punto della sequenza. Lo svantaggio della riduzione dei dati di

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sequenza a matrici di distanza consiste nella perdita di informazione che ha luogo con la trasformazione. Tuttavia i metodi basati sullo stato dei caratteri solitamente utilizzano solo una piccola parte dei dati disponibili (siti filogeneticamente informativi) e quindi sono efficienti solo se il numero di caratteri analizzati è elevato.

Le somiglianze anatomiche e di sviluppo

Lo studio delle strutture anatomiche degli organismi porta alla luce evidenze di una comune discendenza degli esseri viventi. Secondo la teoria dell’evoluzione se tutti gli organismi discendono da un antenato comune, allora devono esserci delle somiglianze, che sono riscontrabili. Osservando gli esseri viventi si possono riscontrare somiglianze tra le strutture anatomiche. Somiglianze che, però, hanno

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origini differenti: le analogie e le omologie. Inoltre studiando l’anatomia degli organismi ci si imbatte in strutture che non hanno una particolare funzione. Si tratta degli organi vestigiali, che ci danno ulteriori informazioni sulla storia evolutiva di una specie. La teoria della discendenza comune degli organismi è evidenziata anche dallo sviluppo embrionale dei vertebrati, tanto che, osservandolo attentamente, si potrebbe dedurre l’intera storia filogenetica di un taxon.

Le analogie

Le strutture analoghe sono soluzioni funzionali simili che taxa differenti (ed imparentati alla lontana) possono sviluppare in modo indipendente, come risposta a stimoli adattativi.

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Ad esempio, insetti, uccelli e pipistrelli hanno tutti le ali che corrispondono a adattamenti per il volo. Queste tre tipologie di ali sono simili, ma non perché l’antenato comune di tutti e tre i taxa possedesse ali, ma perché hanno la stessa funzione: volare.

Un altro esempio, relativo questa volta alla flora, riguarda le somiglianze morfologiche tra cactacee (presenti esclusivamente nel nuovo mondo) ed euforbiacee (distribuite nel vecchio mondo). Entrambi questi taxa vegetali presentano spine e foglie estremamente ridotte, in risposta ad un ambiente desertico, caldo ed asciutto.

Il loro ultimo antenato comune (come si desume dallo studio dei fossili) non presentava spine o foglie ridotte, quindi questi caratteri morfologicamente simili si sono evoluti indipendentemente per selezione naturale su organismi che vivevano in ambienti simili.

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In generale le strutture analoghe si possono sviluppare attraverso due tipi di processi evolutivi, che differiscono tra loro solo per l’influenza dell’ambiente: l’evoluzione convergente e l’evoluzione parallela. Nell’ambito delle strutture analoghe vano citate le omoplasie

L’evoluzione convergente

Si parla di evoluzione convergente quando due o più specie filogeneticamente lontane tra loro, ma legate allo stesso tipo di ambiente, sviluppano caratteri morfologici simili (nello stesso momento od anche con intervalli di tempo molto lunghi). Ad esempio, la forma idrodinamica del corpo, con arti a paletta e estremità posteriore bilobata si è evoluta almeno 4 volte nel corso della storia della terra: nei pesci, negli ittiosauri (rettili), nei delfini (mammiferi) e nei pinguini (uccelli).

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L’evoluzione parallela

Si parla di evoluzione parallela quando si ha lo sviluppo di strutture simili in taxa separatisi di recente ed accomunati da un antenato privo delle strutture in questione. Ad esempio, alcuni marsupiali australiani si sono evoluti fino ad assomigliare a mammiferi placentati come lupi, volpi, orsi, gatti: Tilacino >> Lupo; Vobato >> Castoro; Mirmecobio >> Formichiere; Diavolo della Tasmania >> Ghiottone; Dasiiuro >> Gatto selvatico; Talpa marsupiale >> Talpa. Questo aspetto morfologico non era presente nei progenitori comuni dei marsupiali e dei placentati. Infatti, l’evoluzione dei placentati è iniziata dopo che l’Australia si è separata dagli altri continenti, isolando geograficamente i marsupiali dagli altri mammiferi.

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Le omoplasie

Le omoplasie sono adattamenti strutturali presenti in organismi differenti non attribuibili ad omologie o ad un antenato comune. Queste strutture sono molto importanti in quanto, pur non fornendo indicazioni dirette sull’origine comune dei gruppi sistematici, il loro studio attraverso i taxa può comunque portare allo sviluppo di relazioni di parentela tra i taxa. In genere sono utilizzati come omoplasie dei caratteri filogenetici numericamente quantificabili, in modo da poter elaborare chiaramente i risultati della ricerca. Un esempio di omoplasia è il numero di dita presenti nei vari taxa.

Le omologie

Le strutture omologhe hanno tratti simili perché hanno subito lo stesso sviluppo embrionale. Morfologicamente possono

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risultare anche molto diverse, perché si sono modificate per essere funzionali.

Ad esempio l’arto anteriore di tutti i vertebrati è costituito esattamente dalle stesse parti ossee, anche se morfologicamente risulta essere molto diverso nei vari taxa, perché adempie a funzioni diverse. La pinna pettorale della balena e l’ala di un gabbiano sono strutture omologhe, pur avendo una morfologia completamente

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differente. Questo implica che l’antenato comune di balene e gabbiani possedesse un arto superiore costituito da omero, radio, ulna, carpo, metacarpo e cinque dita con falangi, falangine e falangette.

Gli organi vestigiali

Gli organi vestigiali sono strutture che erano presenti in antenati e in essi svolgevano una precisa funzione. Ad esempio analizzando lo scheletro delle balene (che non hanno arti posteriori, apparentemente) ci si imbatte in abbozzi ossei, all’altezza delle pelvi. Sono le vestigia delle ossa degli arti posteriori del loro antenato terrestre. In questo caso, anche se sono ridotte a semplici abbozzi, possono essere considerate omologhe alla pelvi ed alle ossa dell’arto posteriore dei vertebrati terrestri.

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Lo sviluppo embrionale

Osservando un uomo, un pesce, un rettile, un anfibio ed un uccello, le differenze morfologiche sono tali da essere le prime che saltano all’occhio. Ma se si osservano questi stessi animali durante lo sviluppo embrionale, soprattutto nelle prime fasi, è invece immediatamente evidente la somiglianza che gli embrioni mostrano. In tutti, ad esempio, è possibile riscontrare nelle prime fasi di sviluppo la presenza dei foglietti embrionali da cui si originano le branchie. In tutti sono presenti 4 abbozzi di arti, una testa da cui si sviluppa una corda neurale. La presenza di queste somiglianze è spiegabile solo se si accetta che tutti gli organismi (nell’esempio, tutti i vertebrati) si siano evoluti a partire da un antenato comune in cui tutte le caratteristiche comuni visibili nei vari embrioni erano presenti.

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Un fatto importante è che se si analizzano embrioni di animali molto simili (quelli di alcuni mammiferi, ad esempio) le differenze sono minime e legate solo agli ultimi stadi di sviluppo degli embrioni. Questo accade perché il loro antenato comune è molto recente ed i caratteri diversi tra le due specie si sono evoluti molto di recente.

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Confronto fra gli stadi embrionali dei vertebrati

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Confronto fra gli stadi embrionali di alcuni mammiferi

La distribuzione geografica delle specie

L’attuale distribuzione delle specie costituisce un’ulteriore evidenza dell’evoluzione. Fu proprio sulla distribuzione geografica delle specie che Darwin si trovò a ragionare

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durante i suoi viaggi per comprendere le dinamiche evolutive.

Il viaggio del Beagle (ANDATA 1-20, RITORNO 21-26)

Le osservazioni sulla distribuzione portano con sé due ordini di implicazioni: 1. se le specie fossero state create e non fossero frutto dell’evoluzione, in ecosistemi in cui le condizioni ambientali sono identiche dovrebbe essere molto probabile trovare le

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stesse specie. Invece ciò non accade, anzi le specie che si trovano in ambienti simili sono imparentate in modo più stretto con i loro antenati locali, che con le specie che vivono in medesime condizioni ambientali ma geograficamente lontane. Ad esempio, le isole con condizioni ambientali simili ma in diverse parti del mondo non sono popolate dalle stesse specie. Le varie isole sono popolate da specie imparentate con quelle dei continenti vicini, anche se su di essi l’ambiente è diverso. 2. le informazioni che provengono dalla geologia consentono di descrivere quali siano stati i movimenti della crosta terrestre nel corso delle ere e di ricostruire la forma e la posizione dei continenti sulla terra. Coniugando queste informazioni con lo studio della distribuzione delle specie (sia fossile che attuale) è possibile ricostruire le dinamiche di colonizzazione delle terre emerse a partire da un centro di origine dei

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vari gruppi sistematici (ad esempio la distribuzione dei marsupiali). In questo modo si ottengono preziose informazioni sulla storia evolutiva delle specie. La disciplina che ci aiuta ad ottenere queste informazioni è la biogeografia.

Le osservazioni di Darwin in Sud America

Le Galapagos sono isole vulcaniche, ma la loro flora e fauna non è identica a quella di altre isole vulcaniche alle stesse latitudini, è invece strettamente imparentata con quella del Sud America. Questo tipo di prove è quello che ha maggiormente convinto Darwin stesso. Il viaggio col Beagle gli permise di osservare e raccogliere numerosi campioni di organismi viventi e di fossili e di compararli con quelli dell’Europa.

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Notò come le faune sudamericane siano peculiari e totalmente diverse da quelle europee; studiò le faune fossili sudamericane e notò come le specie viventi fossero più simili a quelle fossili locali, che alle altre specie viventi in ambienti analoghi.

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Oggi sulle isole che compongono l’arcipelago delle Galapagos sono presenti ben 14 specie di fringuelli. Hanno il piumaggio in prevalenza scuro e le loro proporzioni sono simili. Differiscono nella lunghezza, che varia da 7 a 14 cm, e soprattutto nella forma del becco, che riflette le diverse abitudini alimentari. Ad esempio, il fringuello terricolo dal becco grande (Geospiza magnirostris) ha

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il becco adatto per cibarsi di frutti e di semi, mentre il fringuello arboricolo grande (Comarhyncus psittacula) ha il becco adatto per catturare insetti di grandi dimensioni. Si ritiene che un antenato comune a tutte le 14 specie, all’incirca tra 1 e 5 milioni di anni fa, sia giunto dal continente ad una delle isole dell’arcipelago riuscendo a fondare una popolazione di fringuelli. Questa popolazione riuscì ad adattarsi all’ambiente insulare. Successivamente, alcuni di questi fringuelli colonizzarono una seconda isola, che presentava un ambiente diverso, e si adattarono alle nuove condizioni. Quando alcuni fringuelli della seconda popolazione tornarono sulla prima isola, i due gruppi di uccelli erano già talmente diversi da essere specie distinte. Questo meccanismo si sarebbe poi ripetuto coinvolgendo tutte le isole dell’arcipelago, avendo come risultato l’origine di tutte le specie di fringuelli attualmente osservabili.

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La distribuzione dei mammiferi marsupiali

Oggi la distribuzione dei mammiferi marsupiali è discontinua: si osservano solo due gruppi in America, mentre in Australia rappresentano la maggior parte della fauna a mammiferi. La spiegazione di questa distribuzione è deducibile dai fossili. Il fossile più antico conosciuto di un mammifero marsupiale è quello di Kokopellia, rinvenuto nei sedimenti del Cretacico inferiore (145-90 milioni di anni fa) dello Utah. Nei sedimenti del Cretacico superiore i fossili di marsupiali si rinvengono solo in Nord America, e solo nei sedimenti terziari (65-1,8 milioni di anni fa) si rinvengono fossili anche in Eurasia ed Africa. Successivamente si rinvengono fossili anche in Sud America, ed è plausibile pensare che la migrazione dal Sud America, attraverso l’Antartide, verso l’Australia (anticamente collegate dal continente Gondwana) sia

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avvenuta prima del Paleogene (60 milioni di anni fa) in quanto risale a questo periodo l’inizio del distacco dell’Australia dal Gondwana. Infatti, il più antico marsupiale australiano risale all’Eocene inferiore (55,8-40,4 milioni di anni fa). In seguito, la competizione con i mammiferi placentati ha causato la scomparsa dei marsupiali nelle altre regioni, lasciando isolati i marsupiali australiani, che poterono colonizzare senza avversari tutte le nicchie ecologiche presenti sul continente.

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La distribuzione dei marsupiali nel presente e nel

passato

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I movimenti della crosta terrestre

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La filogenesi

Le evidenze dell’evoluzione indicano una discendenza comune di tutti gli organismi; è quindi possibile individuare un albero della vita. Ma quale criterio è utile per ricostruirlo? La migliore delle ipotesi sarebbe quella di riprodurre la filogenesi così come è avvenuta

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sulla terra, e quindi raggruppare gli esseri viventi secondo i loro gradi di parentela. Purtroppo questo tipo di ricostruzione è molto difficile perché noi possiamo osservare solo il risultato finale della ramificazione di quest’albero, le specie oggi viventi, e in qualche caso fortunato possiamo ricostruire la storia passata grazie ai fossili ed alla paleontologia. Si deve allora lavorare utilizzando ciò che si ha a disposizione: i caratteri delle specie. Analizzandoli e cercando di ricostruire il percorso dell’evoluzione. In questi ultimi decenni sono stati proposti due approcci fondamentali al problema, il metodo fenetico ed il metodo filogenetico, che hanno dato origine a tre scuole di pensiero:

1. Tassonomia numerica

2. Cladistica

3. Tassonomia evoluzionistica

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La coalescenza è l’idea secondo la quale coppie di individui possono essere riportate ad un antenato comune. Questo vale per tutti gli esseri viventi, siano essi eucarioti o procarioti. Se consideriamo due individui di una popolazione diploide 2N e pensiamo alla loro progenie otterremo che tutti i geni della progenie deriveranno dai geni posseduti da due individui 2N. La stessa cosa si può fare andando indietro nel tempo e nelle generazioni. Andando abbastanza indietro sarà sempre possibile ottenere una singola coppia di quei geni esistita nel passato da cui sono arrivati. Ovviamente l’individuazione di un gene nel passato non vuol dire che ci fosse solo quello. Il gene ancestrale è denominato coalescente.

Tassonomia numerica

Proposta da Sokal e Sneath tra il 1950 e il 1960 utilizza il metodo fenetico.

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Vista la difficoltà nella effettiva ricostruzione della storia della vita, questa scuola propone un approccio che cerca di superare la soggettività implicita nell’interpretazione del record fossile e dell’importanza dei caratteri degli esseri viventi. I fenetisti non danno pesi diversi ai differenti caratteri; a ciascuno di essi assegnano un valore (0 assenza, 1 presenza) e quindi riescono a ricostruire una specie con una matrice. Sono più vicine le specie che condividono un maggior numero di caratteri e più lontane quelle che ne condividono numericamente meno. Si ha maggior precisione con l’aumentare del numero dei caratteri scelti per l’analisi. Il problema successivo è come aggregare un notevole numero di dati in una singola misura di somiglianza fenetica, ed esistono vari approcci per risolverlo. I più usati sono quello del vicino più prossimo e del vicino medio. Nel primo caso una specie entra a far

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parte del gruppo in cui è presente la specie più simile ad essa, nel secondo, invece, farà parte del gruppo in cui la media (numerica) degli individui è più vicina a quella di partenza. In realtà ciò che la tassonomia numerica ricostruisce con questo metodo non sono specie naturali ma unità tassonomiche operative (OTU), individuate cioè dal naturalista e non rappresentanti necessariamente una divisione realmente presente in natura. Poiché le categorie al di sopra della specie (che è naturale) sono solo costrutti umani, i fenetisti non si preoccupano di ricostruire la classificazione filogenetica, ma di creare categorie tassonomiche comode ed utili per l’uso scientifico. Ciò che ricostruiscono i fenetisti non sono quindi alberi filogenetici ma dendrogrammi, cioè grafici in cui sono uniti i loro OTU con grado di somiglianza man mano decrescente.

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Specie membrana timpanica

uova con

guscio

vita acquat

ica mandibola a soffietto

Rana toro 1 0 0 0

Rospo 1 0 0 0

Raganella 1 0 1/0 0

Rana delle serre 1 0 0 0

Salamandra 1 0 1 0

Alligatore 0 1 1 1

Tartaruga 0 1 1 0

I detrattori di questa scuola hanno rilevato diversi problemi nell’applicazione del metodo fenetico, sia di tipo pratico che teorico - alcuni gruppi non hanno caratteri a sufficienza per una buona tassonomia (es. gli invertebrati molli)

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– a volte sono troppi i caratteri da considerare (spesso, per trovare i caratteri informativi, ne vengono analizzati moltissimi altri) - ogni volta che si aggiunge un carattere a quelli analizzati si deve ricominciare il procedimento - scarsa obiettività (che era invece lo scopo di partenza) perché la scelta dei caratteri da analizzare ed il metodo di raggruppamento (vicino prossimo o vicino medio) sono soggettive - non consentendo di discriminare analogie da omologie, non consente di ricostruire la storia e quindi trascura la vera causa della diversità e della somiglianza. - questo metodo non tiene in considerazione la variabilità interna alla specie, che può modificare di molto il dendrogramma - le specie gemelle sono specie morfologicamente identiche ma riproduttivamente isolate; queste sono

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assolutamente invisibili alla luce della tassonomia numerica

Cladistica

L’obiettivo principale della cladistica è di classificare gli esseri viventi seguendo la gerarchia filogenetica derivante dalla storia della vita sulla Terra.

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Albero filogenetico della vita

Poiché questa è stata unica, fornisce l’oggettività assoluta a questo tipo di classificazione. Padre di questa scuola viene considerato l’entomologo tedesco Willi

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Hennig. Le sue idee sono racchiuse in Grundzuge einer Teorie der Phylogenetischen Systematik (1950), ma poiché lavorava a Berlino Est durante la Guerra Fredda, non ebbero risalto fino al ’66 quando il libro fu tradotto in inglese e spagnolo. In realtà Hennig non parlò mai di cladistica: lui l’aveva chiamata Sistematica Filogenetica. Fu Ernst Mayr a definirla in questo modo per distinguerla dal suo modello di classificazione. L’idea di Hennig fu quella di suddividere gli esseri viventi in “cladi”: poiché generalmente quando in natura una specie si divide, dà origine a due specie discendenti (specie sorelle) possiamo considerare gruppo tassonomico l’insieme di queste specie discendenti e del loro antenato comune. In questo modo si formerà una classificazione naturale che può teoricamente risalire fino al primo essere vivente comparso sulla Terra.

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Sebbene da un punto di vista teorico la cladistica sembra reggere ed individuare effettivamente la classificazione naturale degli esseri viventi, molte sono le difficoltà di tipo pratico che questi tassonomisti devono affrontare:

- il metodo cladistico non mette in rilievo il “cammino evolutivo”, ovvero il differenziamento per adattamento delle specie animali. Ad esempio, i coccodrilli condividono un antenato comune più recente con gli uccelli che con le lucertole; solo che gli uccelli hanno avuto un percorso evolutivo molto più veloce dei coccodrilli, che quindi ora somigliano molto più alle lucertole che ai volatili

- è difficile definire la polarità di un carattere, ovvero quale sia la sua versione più antica; si rischia di cadere nella soggettività.

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Generalmente si ricorre al metodo dell’outgroup; trovato un taxon vicino a quello che si sta analizzando ma esterno ad esso, si analizza in che stato è il carattere: quello sarà lo stato primitivo. Solo che non è sempre facile trovare degli outgroup, specialmente per i gruppi più grandi come i phyla;

- rende inutilizzabili le categorie di Linneo; per questo tipo di classificazione ne servono molte di più, praticamente un numero infinito. Il problema può essere risolto utilizzando un sistema numerico, come proposto da Hennig;

- a volte la scelta di gruppi di caratteri diversi per l’analisi fornisce alberi differenti; si applica allora il principio della parsimonia: minor numero di speciazioni si osservano, più verosimile sarà l’albero

- la cladistica non riesce ad inserire gli ibridi all’interno della sua classificazione

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Tassonomia evoluzionistica

Questa scuola, i cui maggiori sostenitori furono Mayr, Simpson e Dobzhansky, si propone come una sintesi delle due precedenti, mantenendone gli aspetti positivi e scartandone i difetti. La tassonomia evoluzionistica usa contemporaneamente sia il metodo fenetico che quello filogenetico, ma secondo regole precise: i gruppi sono definiti dalle omologie (sia sinapomorfie che simplesiomorfie) ma non dalle analogie, quindi sono riconosciuti come buoni taxa quelli monofiletici e quelli parafiletici, ma non quelli polifiletici. Come risultato, questa scuola riconosce anche alcuni gruppi fenetici come i rettili o i pesci, che la cladistica invece elimina. La maggiore critica che gli appartenenti di questa scuola fanno ai cladisti è quella di un eccessivo puritanesimo che porta a dei risultati bizzarri come la frammentazione della classe dei Rettili. Secondo gli adepti di

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questa scuola riconoscere i gruppi parafiletici elimina il problema. Alla scuola fenetica invece criticano l’idealismo, di ricercare attraverso lo studio delle forme qualche sorta di “piano” presente in natura. I tassonomisti evoluzionistici affermano invece che in natura non esiste nessuna gerarchizzazione basata sulla forma. La critica che viene fatta a questa scuola è che cercando di mediare i due principi delle due scuole “rivali”, in realtà essa si porta dietro anche i loro difetti. Una classificazione evoluzionistica è costruita con informazione sia fenetica sia filogenetica. Ciò prova che non sia possibile sapere quale gruppo abbia origine secondo un principio e quale secondo l’altro. Secondo i cladisti accettare i gruppi parafiletici implica accettare anche quelli polifiletici, in quanto si basano sullo stesso principio che è quello fenetico. Quindi in

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realtà essi non vedono differenza tra questa scuola e quella fenetica.

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Le sorgenti di variazione Introduzione

L’ereditarietà

Le mutazioni

La ricombinazione

Il DNA

Introduzione

Il tema di fondo della teoria darwiniana è la scoperta della variabilità individuale; tutto il lavoro di Darwin è impostato sull’analisi della biodiversità, sulla conoscenza della straordinaria ricchezza delle forme che la natura è stata in grado di realizzare nel corso dell’evoluzione e sulla ricerca di un metodo per spiegare l’origine di tale variabilità. Egli si rese immediatamente conto che gli organismi presentano come loro proprietà più evidente

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la variazione individuale, e che la costante produzione di novità in natura è la condizione essenziale affinché l’evoluzione possa avere luogo. La variazione individuale viene prodotta da differenti sorgenti, la principale delle quali è la mutazione genetica. La comprensione dei meccanismi alla base della variazione genetica non può dunque prescindere dalla conoscenza della struttura delle molecole alla base della vita (DNA ed RNA) e dei meccanismi di replicazione, sintesi delle proteine e ricombinazione. Inoltre, poiché le variazioni introdotte dalla mutazione genetica vengono trasmesse dai genitori alla propria discendenza, la conoscenza dei corretti meccanismi alla base dell’ereditarietà diventa un requisito indispensabile per comprendere come la selezione naturale possa operare fissando le mutazioni vantaggiose ed eliminando quelle deleterie nel corso delle generazioni

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L’ereditarietà

Le teorie dell’ereditarietà diffuse al tempo di Darwin non erano in grado di spiegare come i caratteri, in particolar modo quelli adattativi (cioè quelli che rendono gli organismi ben adeguati al contesto ambientale in cui vivono e che la selezione naturale fissa nel corso delle generazioni, selezionandoli fra una gran quantità di caratteri diversi presentati dagli organismi), potessero trasmettersi da una generazione alla successiva. Darwin si era rapidamente reso conto che la teoria dell’evoluzione doveva essere basata su una solida teoria dell’ereditarietà. Insoddisfatto delle teorie diffuse tra gli scienziati suoi contemporanei propose nel 1868 una propria ipotesi denominata Teoria provvisoria della Pangenesi in un testo in due volumi intitolato The variation of animals and plants under domestication. Una delle osservazioni che convinsero Darwin della forza

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dell’ereditarietà era il fatto che nello studio dell’uomo e degli animali addomesticati alcune peculiarità apparivano negli individui ad intervalli piuttosto lontani ma poi continuavano a ripresentarsi nelle generazioni successive. Ad esempio dove apparivano delle anormalità morfologiche, queste tendevano a ripresentarsi nei figli dei portatori di queste anomalie. Darwin era convinto che la miglior spiegazione fosse che i figli ereditano queste caratteristiche dai padri, quindi che qualcosa viene trasmesso. Bisognava però spiegare perché alcuni tratti venivano trasmessi ed altri no; perché un individuo mutilato avesse figli senza parti mancanti, come venisse determinato il sesso degli individui a partire da genitori di due sessi differenti, e come comparissero delle novità che non erano presenti nelle generazioni precedenti.

L’ipotesi sui processi ereditari formulata da Darwin non era in grado di dar conto dei

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processi evolutivi e ben presto si rivelò, come tutte le altre proposte, apertamente in contrasto con l’evidenza empirica.

Fu il monaco Gregor Mendel a portare l’attenzione sul processo ereditario ed a proporre, formulando le leggi dell’ereditarietà, un meccanismo di trasmissione in grado di dare spiegazione anche del processo evolutivo. I lavori di Mendel aprirono il campo ad una nuova disciplina, la genetica.

La teoria della pangenesi

L’ipotesi della Pangenesi implica che l’intera organizzazione, intesa come ciascuna unità o atomo che costituisce un organismo, sia in grado di riprodurre se stessa. Darwin sosteneva l’esistenza di gemmule in grado di determinare tutte le caratteristiche di un organismo. In questa teoria, ciascuna cellula o le sue singole parti costituenti produrrebbero gemmule di uno specifico tipo

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corrispondente alla cellula stessa o ad una sua determinata parte. Le gemmule sarebbero in grado di circolare liberamente attraverso il corpo ed entrare nelle cellule sessuali. Ciascun ovulo e spermatozoo conterrebbe le gemmule di tutti i tipi cellulari, che possono essere così trasferite alla generazione successiva. Esse avrebbero dovuto essere in altissimo numero e dunque infinitesimamente minuscole. Durante la fecondazione e lo sviluppo embrionale, esse si uniscono, si fondono con altre gemmule dello stesso tipo provenienti dall’altro genitore e producono le nuove cellule. Le cellule risultanti presentano pertanto caratteristiche spesso intermedie rispetto a quelle delle cellule degli organi da cui hanno avuto origine, per effetto di questa fusione e mescolanza dell’informazione. In alcuni casi, alcune di esse potevano restare dormienti per alcune generazioni.

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Darwin stesso era convinto che “l’esistenza di gemmule libere è un’assunzione gratuita”, non confermata da alcuna evidenza empirica, in grado però di dar conto di alcuni dei dati che dovevano essere spiegati, come la trasmissione di caratteri alla generazione successiva, la determinazione del sesso (un tipo di gemmule, corrispondenti ad uno dei due sessi, restava dormiente; con questo argomento Darwin spiegava anche l’atavismo, cioè il riemergere, generazioni dopo, di un carattere rimasto nascosto per diverso tempo). L’apparizione di tratti nuovi, originali ed inediti, viene spiegata dalla pangenesi evidenziando che nuove strutture morfologiche appaiono sotto l’influenza di nuove condizioni ambientali: tali strutture sono in grado di produrre nuovi tipi di gemmule, ed essere trasmesse alle generazioni future. Con quest’affermazione, Darwin dichiara implicitamente di accettare anche l’idea della trasmissione di caratteri

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acquisiti, in quanto le nuove morfologie sono il risultato dell’interazione tra le gemmule dei genitori e le condizioni ambientali in cui il nuovo organismo cresce e si sviluppa. Lo stesso Darwin si rese conto “che questo modo di vedere le cose non è che una mera ipotesi provvisoria, una speculazione; ma fino a che non ne sarà disponibile una migliore, questa servirà per tenere insieme una moltitudine di fatti che al momento rimangono disconnessi tra loro a causa della mancanza di una spiegazione valida”. Come fece notare Whewell, lo storico delle scienze induttive “Le ipotesi possono spesso essere d’aiuto alla scienza, quando includono una certa porzione di incompletezza e perfino di errore. In quest’ottica ho arrischiato di avanzare l’ipotesi della Pangenesi ...” Un’ipotesi migliore non tardò ad arrivare.

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Gregor Mendel e le leggi dell’ereditarietà

Nel 1865 Mendel pubblicò i risultati del suo studio decennale sulle piante di pisello “Esperimenti sull’ibridazione delle piante”. L’importanza dei risultati di Mendel non furono adeguatamente compresi dai biologi suoi contemporanei e vennero riscoperte indipendentemente da tre scienziati (De Vrie, Correns e Tschermark) solo nel 1900, anno dal quale esse diventarono uno dei più grandi patrimoni della cultura scientifica moderna.

I legge di Mendel o della dominanza - Quando avviene l’incrocio di due caratteri uno solo dei due prevale

Questa dominanza si presenta qualunque sia il senso dell’incrocio, ovvero indipendentemente dal fatto che a trasmettere il carattere dominante sia il genitore di sesso maschile o quello di sesso

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femminile (principio dell’equivalenza degli ibridi reciproci).

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Mendel utilizzò individui di piselli a seme giallo e piante a seme verde, selezionate per lungo tempo in modo da essere sicuro che, se incrociate tra loro, le piante a seme giallo dessero origine sempre e con certezza a discendenze a seme giallo, mentre quelle a seme verde a piante figlie con seme verde (linee pure). Incrociando fra loro queste due varietà di piante ottenne una prima generazione di piante figlie tutte uguali ad una delle piante genitrici: tutti i semi erano di colore giallo. Mendel chiamò dominante il carattere che si manifestava e recessivo quello che restava eclissato

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II Legge di Mendel o della segregazione - Nella formazione delle cellule preposte alla riproduzione (gameti) avviene la separazione indipendente degli alleli,

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cosicché, in modo puramente casuale, ogni gamete ne contiene uno solamente

Mendel proseguì lo studio provando ad incrociare fra di loro le piante della generazione F1 ed ottenne una seconda generazione F2 in cui si trovavano piante sia a semi gialli che a semi verdi. Ottenne che circa il 25% delle piante erano a seme verde, mentre circa il 75% presentavano semi gialli. Questa inaspettata costanza dei risultati portò Mendel ad ipotizzare che ciascun carattere dovesse esistere nelle cellule degli organismi in duplice copia. I due membri di questa coppia di caratteri vennero denominati alleli. Nella generazione parentale, fatta di linee pure, i due alleli dovevano dunque essere uguali. Gli individui che posseggono due alleli uguali per un carattere vengono definiti omozigoti (si potrebbero indicare AA gli omozigoti che presentano l’allele dominante ed aa gli omozigoti che portano due copie del carattere recessivo).

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Quando avviene la riproduzione, i genitori trasmettono ai figli uno solo, scelto a caso, tra i due alleli (vedi riproduzione sessuale e meiosi). Quando due omozigoti per due caratteri diversi vengono incrociati fra loro (AA x aa) , la progenie riceve un allele A da un genitore e un allele a dall’altro genitore. Si ottengono dunque tutti figli Aa (che si definiscono eterozigoti per quel carattere), che però esibiscono, come visto nei piselli, solo il carattere dominante, e dunque

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appaiono tutti gialli pur avendo nelle proprio cellule anche l’informazione per il carattere recessivo a. Occorre dunque distinguere tra fenotipo (il carattere che si manifesta, che normalmente è quello dominante) ed il genotipo (cioè l’informazione che è realmente contenuta nella cellula).

Incrociando individui appartenenti alla F1 si ottiene dunque:

Allele A (P=0,5) a (P=0,5)

A (P=0,5) AA (P=0,25) aA (P=0,25)

a (P=0,5) Aa (P=0,25) aa (P=0,25)

Partendo dalla constatazione del fatto che ogni allele ha una probabilità del 50% (0.5) di essere trasmesso alla progenie in entrambi i genitori, il genotipo omozigote dominante si ottiene con una probabilità del 25% (0.5 x 0.5 = 0.25), anche quello omozigote recessivo con una probabilità del 25% (0.5 x 0.5 = 0.25) e quello eterozigote si ottiene con una probabilità del 50% (25%+25%). Il fenotipo dominante si

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ottiene dunque con una probabilità pari al 75% (probabilità di AA + quella di Aa), mentre il fenotipo causato dall’allele recessivo (associato solo ad aa) con una probabilità del 25%.

In base a queste osservazioni viene enunciata la II Legge di Mendel o legge della segregazione.

Casi particolari

Esistono molti caratteri che, una volta incrociati, danno una discendenza che presenta caratteri intermedi fra quelli presentati dai genitori. E’ il caso, ad esempio, della bella di notte (Mirabilis jalapa) studiata da De Vrie, in cui, incrociando linee pure a fiori bianchi e linee pure a fiori rossi si ottengono piante con fiori rosa. Incrociando gli individui appartenenti alla F1 si ottengono 25% di fiori rossi, 25% di fiori bianchi ed il 50% di fiori rosa. Questa è solo un’apparente eccezione alla legge di Mendel, in quanto i rapporti genotipici sono esattamente quelli previsti, mentre variano quelli fenotipici in quanto negli eterozigoti si esprime un fenotipo intermedio. Questi casi vengono definiti ad assenza di dominanza.

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Fra la dominanza e la totale assenza di dominanza, esistono molti casi intermedi. Nell’anemia falciforme, ad esempio, gli individui sono affetti da malattia solo quando l’alterazione del gene dell’emoglobina è presente in condizioni di omozigosi. Sebbene gli individui eterozigoti possano apparire completamente sani, in realtà la presenza del gene mutato può essere evidenziata da esami ematologici che si presentano in condizione alterata rispetto all’assenza di difetto genetico (dominanza incompleta). Le eccezioni alla seconda legge sono annoverate tra le grosse anomalie del processo di meiosi (produzione dei gameti, delle cellule sessuali deputate alla riproduzione) che portano a gravi squilibri dell’organismo e che molto spesso conducono alla morte dell’embrione. Tra questi casi, quello più noto e forse la sindrome di Down (trisomia del cromosoma 21), dove non si ha separazione della 21a coppia di cromosomi e dunque non si ha alcuna segregazione degli alleli portati su questo cromosoma. Si ottengono quindi gameti con 2 cromosomi 21 e gameti che

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ne sono invece totalmente privi. Gli individui che nascono da gameti che ne possiedono due (individui trisomici) sono affetti da sindrome di Down, mentre gli embrioni ottenuti da gameti privi di cromosoma 21 (monosomici) muoiono durante lo sviluppo. Il cromosoma 21 è il più piccolo di tutto il corredo genetico e dunque anomalie che lo coinvolgono sono ancora compatibili con la vita; mentre altre trisomie note (cromosoma 15, 18 e 23) danno origine a difetti congeniti ancora più gravi.

III Legge di Mendel o dell’assortimento indipendente - Incrociando tra loro più caratteri essi vengono ereditati in modo indipendente

Oggi noi sappiamo che durante la meiosi i cromosomi di ogni coppia omologa (quello ereditato dal padre e quello ereditato dalla madre) migra verso gli opposti poli della cellula in divisione, ma quali membri della coppia di ogni diverso cromosoma si troveranno insieme è del tutto casuale. La combinazione casuale dei

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caratteri è vera quando ogni carattere si trova su cromosomi diversi, in coppie omologhe differenti. Naturalmente, se i caratteri sono codificati da geni che si trovano sullo stesso cromosoma essi verranno generalmente ereditati insieme. Questi caratteri si definiscono concatenati o linkage. Tuttavia la ricombinazione, il crossing - over, può anche fare in modo che alleli inizialmente sullo stesso cromosoma vengano separati e finiscano su cromatidi diversi, e che si trovino invece associati all’allele proveniente dal cromosoma omologo. Più i geni sullo stesso cromosoma sono distanti più sarà probabile che il crossing - over li separi. Se sono vicinissimi, è molto improbabile che vengano separati durante la ricombinazione. Dopo aver analizzato quello che accadeva in un modello relativamente semplice, cioè l’osservazione di quel che succedeva nell’ereditarietà di un solo carattere, Mendel cominciò a complicare il suo esperimento introducendo l’analisi contemporanea di due caratteri ereditari ed iniziando a prendere in considerazione anche la rugosità della superficie del seme.

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Incrociando piselli gialli a buccia liscia con piselli verdi a buccia ruvida, ottenne tutti piselli gialli e lisci; il giallo ed il liscio erano i due alleli dominanti. Alla seconda generazione ottenne anche piselli con caratteri misti in cui ogni carattere poteva essere accoppiato con un altro, in qualunque combinazione. Mendel ritenne dunque che durante la formazione dei gameti (meiosi) caratteri diversi fossero liberi di associarsi tra loro in modo casuale.

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Le mutazioni

Sebbene il processo di replicazione sia un meccanismo ad alta fedeltà e che l’evoluzione abbia previsto meccanismi al riparo da errori alquanto efficienti, le imperfezioni nel processo di replicazione sono eventi comunque probabili, relativamente frequenti (se si tiene conto del

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numero straordinariamente elevato di replicazioni cui va incontro il DNA). Le mutazioni che si generano sono casuali. Sono casuali non perché non abbiano cause, ma perché raramente riusciamo ad individuarle. Esistono, però, delle cause specifiche e sono ormai noti un numero crescente di fattori, detti appunto “mutageni”, come l’inquinamento ambientale da sostanze chimiche o le radiazioni, che le favoriscono. Esiste un motivo ancora più importante per cui definiamo casuali le mutazioni: esse sono del tutto indipendenti dal potenziale effetto (positivo, negativo o neutro) che avranno sui loro portatori all’interno della popolazione. Un’intuizione fondamentale di Darwin, che pure non conosceva i meccanismi dell’ereditarietà, fu proprio che la variazione non ha mai una direzione, non è mai il frutto di una tendenza o di un influsso preesistenti.

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Esistono diverse tipologie di errore nella replicazione e di mutazione, ed il corredo genetico può variare in più modi: 1. con l’alterazione di un gene

2. con la modificazione dell’ordine in cui sono sistemati i geni sui cromosomi o del numero di cromosomi stesso

3. con la modificazione dell’ordine in cui sono sistemati i geni sui cromosomi o del numero di cromosomi stesso

Le mutazioni di successo, tuttavia, sono relativamente poco frequenti ed è normale che animali anche molto diversi fra loro possiedano ampie porzioni del loro corredo genetico pressoché identiche. In generale, lungo l’intero spettro del vivente che va da un unicellulare ad un elefante, il codice genetico differisce molto superficialmente; un’evidenza fortissima che

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tutta la vita sulla terra discende da un antenato comune. Dunque il marchio dell’evoluzione, l’unità nella diversità, si ripete a diversi livelli: la comparazione raffinata fra genomi può infatti svelare sia la stretta parentela fra gli organismi sia piccole tracce di un percorso evolutivo di differenziazione.

alterazione di un gene

Un gene è una sequenza di basi nucleotidiche di DNA, situato in un locus cromosomico (in un tratto, in una regione del cromosoma) ben preciso, in grado di autoduplicarsi, di cambiare e di trasmettersi indefinitamente attraverso il processo ereditario. È l'unità fondamentale del sistema genetico di tutti gli individui che ha la possibilità, attraverso la sintesi di una proteina, di "dirigere" caratteri somatici, reazioni biochimiche e caratteri psichici.

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L’alterazione di un gene può avvenire con modalità diverse: alcune mutazioni sono di piccola entità (si dicono puntiformi) e inducono soltanto la sostituzione di una base nucleotidica con un’altra in una tripletta: a volte rompono la complementarità delle coppie di basi (trasversioni, piuttosto rare, in cui non viene rispettato l’appaiamento regolare tra la T e la A e tra la G e C), altre volte sostituiscono basi omologhe (transizioni). Esse potranno generare un nuovo codone, una nuova combinazione di basi nella tripletta, in grado di causare la sostituzione di un aminoacido in una particolare proteina durante la sintesi proteica. Tuttavia, siccome esistono 64 possibili triplette mentre gli aminoacidi utilizzati nelle proteine sono soltanto 20, in molti casi la mutazione in una base nucleotidica non produrrà alcun aminoacido diverso (mutazioni silenti). Se per esempio a essere sostituita è la terza base della

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tripletta, nella gran parte dei casi l’aminoacido espresso resta il medesimo. Quando effettivamente la mutazione riesce a produrne uno diverso, è possibile che la proteina risultante sia comunque in buona salute e svolga la medesima funzione (polimorfismo proteico). In molti altri casi, il “danno” verrà prontamente riparato dalla cellula, giacché durante la divisione cellulare, quando i cromosomi vengono replicati e duplicati, enzimi specifici (detti appunto “correttori di bozze”) provvedono a rimuovere gli errori di copiatura del Dna. Solo dopo che tutti questi ostacoli siano stati scavalcati, la mutazione genera un effetto macroscopico sulla cellula e sul suo funzionamento. In alcune mutazioni si ha l’inserzione di una base in più rispetto a quanto previsto dalla complementarietà delle basi di una sequenza genica, il che altera la lettura complessiva del codice nucleotidico a valle della mutazione

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facendo scivolare di un posto le triplette spaiandole (mutazioni frameshift). Altre volte una tripletta che codifica un aminoacido viene mutata in una tripletta di stop, interrompendo la trascrizione e vanificando la sintesi proteica. Sono un esempio di queste mutazioni puntiformi molte malattie genetiche: polidattilia e brachidattilia, la temibile Corea di Hungtington, la sindrome di Marfan ed altre molto meno gravi come la talassemia, l’emofilia, il daltonismo e l’albinismo. Ma anche tutte le varianti, i polimorfismi che, senza alcun aspetto patologico, danno conto della diversità degli individui, sono il risultato dell’affermarsi di queste mutazioni puntiformi: pelli chiare e scure, occhi azzurri e marroni, capelli biondi o castani, diversi gruppi sanguigni...

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modificazione dell’ordine dei geni o del numero di cromosomi

In alcuni casi, pezzi di cromosoma possono staccarsi e perdersi (delezioni), attaccarsi in altri punti del genoma (traslocazioni), oppure rimettersi sullo stesso cromosoma ma girati in direzione contraria (inversioni): normalmente questo genere di errori dà origine a modificazioni drastiche del fenotipo. Nel caso dell’uomo questi eventi possono dar luogo a patologie e sindromi (esempio sindrome di Williams), ma in taluni casi possono essere relativamente silenti e prive di conseguenze significative. Alcuni “elementi trasponibili” del Dna, detti anche “geni saltatori”, sono in grado di duplicarsi attraverso un Rna intermedio e di spostarsi da una parte all’altra del cromosoma “ricopiandosi” di nuovo in Dna (trascrizione inversa), interferendo sulla disposizione di altri geni e alterando la lunghezza complessiva del genoma. Alcune

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di queste sequenze ridondanti saranno un’imitazione quasi perfetta di altri geni, pur non essendo funzionanti (pseudogeni). Geni codificanti proteine utili possono essere moltiplicati per “amplificazione genica”. Interi cromosomi possono duplicarsi o fondersi insieme: è successo nel passaggio dagli scimpanzé, che hanno 24 coppie di cromosomi, all’uomo, che ne ha 23. In alcune specie di piante la mutazione ha addirittura provocato, con successo, il raddoppio dell’intero corredo cromosomico (poliploidia). In molti casi, un’alterazione del numero regolare di cromosomi, spesso dovute ad errori durante il processo meiotico e dovute alla non disgiunzione dei cromosomi omologhi, dà al portatore gravi conseguenze. Nell’uomo le trisomie (un cromosoma in più) danno origine a sindromi come quella di Down (trisomia del cromosoma 21) o a sindromi come quella di Klinefelter (nel

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caso della presenza di un cromosoma X in più in un maschio, che si presenta quindi come XXY anziché XY). Un cromosoma in meno (monosomia) è una mutazione incompatibile con la vita; quando un feto ha un cromosoma in meno (a meno che a mancare non sia il secondo cromosoma X o il cromosoma Y) muore e non si sviluppa. Nel caso della monosomia del cromosoma X la nuova nata (non avendo il cromosoma Y sarà comunque una femmina) svilupperà una sindrome nota con il nome di sindrome di Turner.

attivazione dei geni

Il genoma è ormai visto come un sistema fortemente integrato, reticolare ed autoregolato. Stanno conquistando sempre più attenzione nel mondo scientifico alcuni geni che sarebbero in grado di controllare e regolare l’attività di altri gruppi di geni, determinandone l’attivazione, e quindi

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l’espressione, o inducendone lo spegnimento. I geni strutturali sarebbero dunque diretti da geni di secondo livello capaci di guidare pool di geni strutturali, e sarebbero anche in grado di controllare i ritmi e le fondamentali fasi dello sviluppo embrionale. A questo punto non è difficile comprendere come una modificazione, un’alterazione a livello di questi geni di controllo, possa determinare un effetto a cascata con un’alterazione dei segnali e dell’azione dei geni dei livelli gerarchici sottostanti. La mutazione su un gene regolatore può quindi propagare largamente i suoi effetti ed avere conseguenze anche piuttosto drastiche a livello ereditario. Non è da escludere che alcune mutazioni inizialmente neutrali, invisibili alla selezione, possano essere determinate da “tempeste genetiche” dovute ad alterazioni e ricombinazioni ai livelli gerarchici più alti.

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La ricombinazione

Una sorgente di variazione della massima importanza è la ricombinazione genica o crossing over, ovvero lo scambio di materiale ereditario fra cromosomi omologhi che avviene durante la meiosi. E’ un fenomeno casuale che si innesca quando le strutture di sostegno dei cromosomi durante l’appaiamento dei cromosomi omologhi si toccano, si sovrappongono, si uniscono in due punti formando una struttura ad X (a chiasmo) e si scambiano parti di materiale genetico. Questo scambio di materiale genetico sposta geni da un cromosoma all’altro e, nei punti di rottura, cambia le sequenze nucleotidiche. Gli effetti sono dunque gli stessi della mutazione, con l’aggiunta di un più sostanziale rimescolamento genico; la ricombinazione tende infatti a spezzare le associazioni fra geni sui cromosomi ed a sparigliare continuamente il mazzo. Se al

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momento della ricombinazione le sequenze dei due cromosomi non sono perfettamente allineate l’una all’altra si verifica un ulteriore errore di copiatura, detto crossing over asimmetrico, che può sbilanciare il numero di geni presenti nei due cromosomi.

Il crossing over

Quando i cromosomi omologhi sono appaiati i cromatidi appartenenti a due cromosomi diversi possono sovrapporsi, attorcigliarsi tra loro e scambiarsi porzioni di DNA strettamente omologhe, equivalenti; questo evento viene definito crossing over. Alcuni caratteri (geni) concatenati tra loro perché ereditati in blocco nel cromosoma materno o paterno, ora non lo saranno più, ed i quattro cromatidi non saranno più uguali due a due ma saranno tutti differenti tra loro. Questo meccanismo di ricombinazione contribuisce notevolmente ad aumentare la variabilità

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negli incroci di caratteri ereditari che avviene nella riproduzione sessuale.

La meiosi

La meiosi è un particolare tipo di divisione cellulare in cui una cellula diploide, ovvero dotata di un corredo cromosomico costituito da coppie di cromosomi dello stesso tipo (uno ereditato dal padre ed uno dalla madre), diventa aploide, cioè con una sola serie di cromosomi. Tali cellule aploidi vengono definite gameti, e si distinguono in ovuli, se di origine materna, e spermatozoi, se di origine paterna. Nel caso della specie umana, le cellule somatiche (cioè tutte le nostre cellule ad eccezione dei gameti) sono diploidi, e sono

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costituite da 23 coppie di cromosomi (per un totale di 46). Nei gameti vengono a trovarsi solo 23 cromosomi. Essa è alla base della riproduzione sessuale. Prima della meiosi, il DNA si duplica (la cellula è momentaneamente in una condizione definita tetraploide -4n-, in cui tutto il corredo genetico, che è diploide -2n-, si duplica interamente). La meiosi si suddivide in due fasi 1 prima divisione meiotica, di tipo

equazionale e prevede alcune fasi fondamentali a. profase b. metafase I c. anafase I d. telofase I

2 seconda divisione meiotica, di tipo riduzionale, è identica ad una divisione mitotica, in cui si ottengono, però, a causa della ricombinazione avvenuta al

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ciclo di divisione precedente, quattro cellule con corredo genetico diverso fra loro

profase I

Nel nucleo della cellula i cromosomi omologhi (ovvero i cromosomi che contengono gli stessi geni, i membri di una stessa coppia, ereditati da ciascun genitore) inizialmente appaiono come lunghi e sottili filamenti. In un secondo tempo si accoppiano, si spiralizzano e diventano più

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visibili. Ogni cromosoma è costituito da due cromatidi fratelli (identici, frutto della duplicazione appena avvenuta), uniti fra loro tramite il centromero e i due cromosomi omologhi formano quella che viene definita una tetrade. La membrana cellulare scompare e le tetradi si allineano al centro della cellula (piastra equatoriale). Quando i cromosomi omologhi sono appaiati può avvenire il processo di crossing over. Questo meccanismo aumenta notevolmente la variabilità negli incroci ereditari durante la riproduzione sessuale.

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metafase I

In questa fase procede la formazione del fuso mitotico e la migrazione dei cromosomi sulla piastra equatoriale, legati alle fibre del

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fuso tramite strutture dette cinetocori (indicati dalle frecce).

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anafase I

I cromosomi, invece di scindersi nei due cromatidi fratelli come avviene nella mitosi, migrano interi verso i poli della cellula: uno dei due cromosomi della coppia omologa

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verso un polo e l’altro membro della coppia verso il polo opposto

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telofase I

A questo punto, si formano due cellule. Il patrimonio genetico è stato dimezzato (da 4n si passa a 2n) e i due cromosomi omologhi sono stati divisi.

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Occorre quindi procedere ad una seconda divisione per formare un gamete aploide (n), che possa unirsi ad un altro per ricostituire un individuo diploide.

Il DNA

Anche se la struttura ed il ruolo del DNA, in qualità di codice genetico, viene oggi dato per scontato, non si deve dimenticare che per raggiungere l’attuale livello di conoscenza sono stati necessari almeno cento anni di sperimentazioni ed il contributo di centinaia di diversi scienziati. Ogniqualvolta un individuo si riproduce deve trasmettere alla propria discendenza tutte le informazioni affinché il nuovo organismo si sviluppi. Come accennato, fino al diciannovesimo secolo le idee predominanti prevedevano che ci fosse un mescolamento delle caratteristiche dei genitori nei figli sotto forma di una completa fusione dei caratteri.

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Sotto questa ottica appariva davvero difficile studiare le basi dell’ereditarietà di tratti che scomparivano, si alteravano e si modificavano ogni volta. Fu soltanto dopo la definizione delle leggi di Mendel che fu possibile mettersi alla ricerca di quelle unità discrete, successivamente denominate geni, responsabili del passaggio dei caratteri tra genitori e figli. Occorrerà aspettare il 1953, quando James Watson e Francis Crick riuscirono a capire la struttura tridimensionale della molecola di DNA, per aprire il campo agli studi sulla replicazione e sulla sintesi delle proteine.

Cento anni di sperimentazioni

John Friedrich Miescher fu uno dei primi ad utilizzare metodi biochimici e a non fermarsi al solo uso del microscopio per studiare la composizione molecolare delle cellule, sviluppando un metodo per isolare e

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purificare i nuclei delle cellule. Trattando i nuclei con una particolare sostanza, riuscì ad isolare una sostanza, mai evidenziata prima, molto ricca in fosforo, che chiamò nucleina. Appena altre analisi furono in grado di dimostrare che tale sostanza era fortemente acida, venne ribattezzata come acido nucleico. In un primo momento, Miescher suppose che gli acidi nucleici potessero essere strettamente legati con l’ereditarietà (soprattutto perché ne trovò moltissima all’interno delle cellule degli spermatozoi), ma abbandonò presto l’idea trovandone quantità circa cento volte superiore nelle uova di gallina; ritenendo che entrambe le cellule, femminili e maschili, dovessero più equamente contribuire all’apporto di materiale genetico dell’embrione. In realtà, Miescher non era stato in grado di evidenziare una proteina molto ricca in fosforo, la fosvitina, presente nelle uova di gallina, scambiandola per acido nucleico e

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sovrastimando quindi la quantità di quest’ultimo Intorno al 1880, Eduard Zacharias evidenziò che estraendo l’acido nucleico, anche i cromosomi, quei corpuscoli a forma di X che sono visibili nelle cellule appena prima della divisione cellulare, non risultavano più colorabili, e scomparivano. Al tempo, si supponeva già che i cromosomi avessero un ruolo nella riproduzione, in quanto erano state individuate cellule il cui corredo cromosomico si duplicava prima della divisione. Fu facile a quel punto attribuire all’acido nucleico un ruolo chiave nel processo ereditario. Quest’idea, in realtà, non sopravvisse a lungo. Studi sulla colorazione del DNA, continuavano a mettere in evidenza variazioni progressive della colorabilità del DNA nelle cellule in differenti stadi di sviluppo: se l’acido nucleico era depositario

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dell’informazione genetica, la quantità non sarebbe dovuta mai cambiare. In realtà questi sperimentatori non conoscevano il fatto che la colorazione del materiale genetico dipende maggiorente dalla quantità di proteine associate al DNA piuttosto che dalla quantità dell’acido nucleico stesso. Solo un piccolo gruppo di ricercatori guidati da Phoebus Levene continuò ad interessarsi a questa apparentemente inutile molecola, scoprendo che la costituente fondamentale dell’acido nucleico è il nucleotide e che l’acido nucleico contiene le basi A (adenina), C (citosina), G (guanina) e T (timina). Poiché ne misurò quantità relative uguali, Levene ritenne che la struttura dovesse essere o quella di un tetranucleotide o una lunga stringa con le quattro basi ripetute in sequenza. In ogni caso, non sembrava che una tal struttura potesse funzionare come un codice genetico.

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Un grande passo fu fatto con il lavoro di Friedrich Griffith; egli studiava i batteri Streptococchi che trasmettono la polmonite. Di questo batterio ne esistono in realtà due ceppi, uno S, che induce la setticemia letale e uno B non virulento. Griffith scoprì che la polmonite poteva essere trasmessa ai topi anche iniettando in un topo cellule di un ceppo batterico (S) di Streptococco uccise con il calore (che da sole non sono più in grado di indurre la malattia) insieme a cellule di un ceppo B non virulento. Qualcosa si era trasferito dai batteri morti a quelli vivi, e aveva trasformato le cellule B. Questo processo, noto come trasformazione genetica, aprì nuovamente il campo di studi su materiale responsabile dell’ereditarietà. La scoperta che gli estratti batterici non perdevano la loro funzione trasformante se trattate con proteasi (enzimi in grado di distruggere le proteine) fece perdere definitivamente l’idea che il materiale

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genetico fosse fatto di proteine. Nel 1944 Avery riuscì a dimostrare che la sostanza chimica responsabile della trasformazione batterica era il DNA. Successivamente, Alfred Mirsky (1949), misurò la quantità di DNA nelle cellule, scoprendo che era pressoché costante in tutte le cellule dell’organismo, e in quantità dimezzata nelle cellule sessuali (i gameti, ovuli e spermatozoi). Erwin Chargaff scoprì poi che le molecole di DNA isolate da diversi organismo mostrano composizioni in basi leggermente diverse, il che è compatibile con un ruolo del DNA di tipo genetico. La seconda principale scoperta di Chargaff fu che la quantità di Adenina era sempre uguale alla quantità di Timina e quella della Citosina sempre uguale a quella della Guanina, indipendentemente dalla composizione del DNA degli organismi. Sebbene questo aspetto dovesse necessariamente derivare

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da una proprietà intrinseca del DNA Chargaff non arrivò a comprenderne la ragione. Furono i famosissimi James Watson e Francis Crick, nel 1953, a capire la struttura tridimensionale della molecola e a rendere chiara la relazione T=A e C=G. La famosissima doppia elica è composta da un’impalcatura costituita dall’alternanza di una molecola di zucchero (il desossiribosio) e un gruppo fosfato, mentre le basi azotate sono affacciate verso l’interno dell’elica, la A rivolta verso la T, la G verso la C, unite fra loro da legami di idrogeno e formano come delle sorte di gradini. La sequenza di basi su una catena determina la sequenza di basi sulla catena opposta. Per questa ragione i due filamenti si definiscono complementari.

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La replicazione

Per consentire la duplicazione, i due filamenti della doppia elica si devono separare e ciascun filamento può fare da stampo per la

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sintesi di un nuovo filamento complementare, sempre secondo le regole dell’appaiamento delle basi. Questo processo viene chiamato replicazione semiconservativa, in quanto le due nuove molecole di DNA prodotte dal meccanismo di replicazione saranno composte parte da quella preesistente e parte da quella neosintetizzata. Affinché avvenga questo processo è necessario l’intervento di molecole chiamate polimerasi.

Le polimerasi

L’enzima che consente la sintesi di un nuovo filamento è la DNA Polimerasi, che richiede la presenza di una piccola quantità di DNA stampo per iniziare il suo lavoro: riesce ad unire i desossinucleosidi (il nucleotide A, T, G o C legato alla molecola di zucchero e a gruppi fosfato) che rintraccia sparsi nel nucleo cellulare. Il punto in cui si apre la catena, grazie all’attività della DNA elicasi,

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è detto forcella replicativa. Siccome la sintesi da parte della polimerasi avviene in una sola direzione (si dice a partire da 5’ verso 3’) solo in una delle due nuove catene la sintesi potrà procedere in modo continuo. Una catena, che sarà chiamata filamento anticipato, si formerà direttamente con la sintesi di un unico filamento, mentre la catena opposta, costruita sull’altro filamento e definita filamento ritardato, dovrà essere sintetizzata a piccoli pezzi ed unita solamente in un secondo tempo dalla DNA ligasi. Esistono diversi tipi di polimerasi: DNA Polimerasi I: implicata nella riparazione del DNA e nella rimozione degli inneschi dei frammenti di Okazaki, che sono dei brevi filamenti di DNA la cui sintesi inizia vicino alla forcella replicativa a partire da un innesco (in inglese primer) di RNA da parte dell'enzima DNA polimerasi III. Il primer verrà poi rimosso dall'enzima RNAsi H e

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sostituito con DNA da parte dell'enzima DNA polimerasi I. DNA Polimerasi II: la sua funzionalità è indotta da danni al DNA e funziona come meccanismo di riparazione. DNA Polimerasi III: l'enzima principale per la replicazione, con attività polimerasica 5'->3' in grado di effettuare anche la correzione di bozze, o proofreading, per riparare ad eventuali errori. E’ attiva sia nella sintesi del filamento anticipato, sia in quella dei frammenti di Okazaki. DNA Polimerasi IV-V: anch'esse coinvolte nella riparazione incline all'errore. In realtà, sebbene il processo di sintesi sia un meccanismo ad alta fedeltà e che l’evoluzione abbia previsto meccanismi di riparo degli errori alquanto efficienti, le imperfezioni nel processo di replicazione sono eventi comunque probabili, relativamente frequenti, se si tiene in conto

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del numero straordinariamente elevato di replicazioni cui va incontro il DNA.

La sintesi proteica

Ogni cellula, ogni organismo, ogni specie è caratterizzata dalle proprie proteine: in ogni organismo vi sono proteine specifiche, che sono diverse da specie a specie, da individuo a individuo (il trapianto di un organo da un individuo all’altro riesce difficile proprio per questo motivo) e, spesso, nello stesso individuo sono diverse da un organo all’altro, da un tessuto all’altro e da un tipo di cellula all’altra. In altre parole, ogni cellula manifesta nella sintesi delle proteine un’individualità propria. È il DNA che presiede alla sintesi delle proteine. Come già indicato, il DNA è il depositario dell’informazione genetica, ma per potersi esprimere, l’informazione genetica deve utilizzare una molecola che funga da intermediario mediante il quale

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l’informazione, presente nel DNA e confinata nel nucleo della cellula, viene utilizzata per la costruzione di proteine: questa molecola è l’RNA. Essa è molto simile alla molecola di DNA ma al posto della base nucleotidica timina si trova sempre un’altra base definita Uracile (U), che si complementa con l’Adenina A. Il processo di sintesi delle proteine inizia con l’apertura della doppia elica del DNA; a mano a mano che la doppia catena del DNA si apre, le basi di uno dei filamenti agiscono come uno stampo per la sintesi della molecola di RNA: ad esse aderiscono i nucleotidi complementari a quelli del DNA, che grazie alla presenza di enzimi specifici si legano tra loro. La molecola del RNA è dunque costituita da una singola catena di nucleotidi, disposti secondo una sequenza di basi complementare alla sequenza esistente sulla molecola di DNA che ha funzionato da stampo. La sequenza di DNA che viene copiata è il gene.

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La posizione di un gene nel cromosoma

La molecola dell’RNA formatasi sullo stampo del DNA è detta RNA messaggero, o mRNA; terminata la trascrizione, essa si stacca dal filamento del DNA, che riassume la forma di doppia elica. L’mRNA esce dal nucleo e si dirige nel citoplasma, raggiungendo i ribosomi,dove l’mRNA fa a sua volta da stampo per la sintesi della proteina. Il DNA è un vero e proprio codice genetico: la combinazione in sequenza di tre basi (tripletta o codone) è un codice che indica quale aminoacido (una proteina è costituita da aminoacidi) deve essere

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inserito nella proteina. L'inizio della sintesi vede i ribosomi legarsi al codone di avvio (start) dell'mRNA, che indica il punto in cui l'mRNA comincia a codificare la proteina. Questo codone è generalmente AUG (adenina-uracile-guanina), ma codoni diversi sono frequenti nei procarioti. Il codone viene riconosciuto da una sequenza di basi complementare (l’anticodone) che si trova su una molecola chiamata RNA di trasferimento (tRNA) che riconosce appunto il codone e porta l’aminoacido corrispondente, e così via lungo tutta la sequenza dell’mRNA. Questo processo continua finché il ribosoma non incontra uno dei tre possibili codoni di arresto (stop), dove avviene il termine. La crescita della proteina si interrompe ed i fattori di rilascio, proteine che simulano l'azione del tRNA, si legano al ribosoma e liberano la proteina nel citoplasma.

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1.La struttura a doppia elica si divide 2. una molecola di mRNA copia un gene 3 la molecola di mRNA raggiunge il ribosoma 4. nel ribosoma il codone è copiato da una molecola di tRNA con un anticodone 5. si forma l’aminoacido corrispondente 6. l’aminoacido formato si unisce alla catena di aminoacidi in formazione

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La selezione naturale Introduzione

Constatazioni empiriche di natura

demografica

La selezione naturale

La selezione artificiale

L’unità di selezione

La selezione sessuale

Introduzione

La prima enunciazione pubblica della teoria della selezione naturale ebbe luogo nel 1858, in un articolo apparso sul Journal of the proceeding of the Linnaen Society, cofirmato da Charles Darwin e Alfred Russel Wallace, un naturalista inglese che, studiando la biodiversità soprattutto ornitica dell’arcipelago indonesiano, era giunto in

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modo indipendente alle stesse conclusioni di Darwin. La struttura argomentativa della loro teoria poggia su alcune constatazioni empiriche di natura demografica, che riguardano principalmente il conflitto tra le possibilità di una crescita teoricamente esponenziale delle popolazioni naturali e la reale stabilità numerica delle stesse, dovuta a fattori che ne controllano e ne limitano l’incremento. Ne deriva che in un contesto di competizione ecologica i portatori di variazione vantaggiose per la sopravvivenza avranno maggiori possibilità di vivere a lungo e di riprodursi, a scapito degli altri, diffondendo nella generazione successiva i loro tratti favorevoli. Questa discendenza con modificazioni prodotta dalla sopravvivenza differenziale degli organismi nel corso delle generazioni è l’evoluzione per selezione naturale. L’evoluzione delle specie è data dall’effetto cumulativo dell’azione della

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selezione naturale nel tempo, in un contesto ambientale che genera pressioni selettive che rendono un particolare adattamento continuamente funzionale e vantaggioso per coloro che lo esibiscono. Dalla sua esperienza di allevatore di piccioni, passione che aveva ereditato dalla madre, Darwin trasse l’idea che se ad ogni generazione si scelgono (si selezionano, appunto) alcune varianti e si fanno riprodurre solo quelle con valore adattativo superiore, si possono ottenere nel corso delle generazioni livelli di complessità ingegneristica straordinari. Gli esseri umani praticano questa selezione artificiale da quando hanno inventato l’agricoltura e la domesticazione degli animali, facendo riprodurre solo una minoranza di individui con caratteristiche desiderate. Adattamento al contesto ecologico e selezione naturale regolano i rapporti fra organismi e ambienti, ma è importante

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valutare l’effetto che si ha a livelli gerarchici più elevati, ad esempio fra specie e specie. I co-adattamenti fra specie (per esempio il rapporto di continua rincorsa esistente tra prede e predatori e tra ospiti e parassiti, la stretta relazione che lega piante ed impollinatori, sono forme di “coevoluzione” che possono accelerare in modo sostanziale il ritmo del cambiamento evolutivo. Poiché la competizione può dunque avvenire sia a livello di individui all’interno di una specie sia fra specie antagoniste, occorre chiarire quale sia il livello esatto in cui agirebbe la selezione; per questo motivo tra i biologi evoluzionisti è aperto un dibattito sulla definizione delle unità di selezione. La selezione naturale non è l’unica forza in grado di selezionare varianti morfologiche e di fissare particolari caratteri nel corso delle generazioni. Se la prima sfida che devono superare gli individui è quella di sopravvivere (per affrontare la quale occorre essere ben

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adattati al contesto ambientale in cui si vive), subito dopo viene quella della trasmissione dei propri geni; per questa ragione entra in azione anche una seconda forma di azione discriminante, la selezione sessuale.

Constatazioni empiriche di natura demografica

Leggendo un trattato di Thomas Malthus, Saggio sul principio di popolazione, Darwin cominciò a riflettere sui rapporti tra le risorse ambientali e le dimensioni e le dinamiche di crescita delle popolazioni. Le popolazioni naturali, se lasciate a se stesse, tenderebbero a crescere esponenzialmente e a dismisura. Darwin si rese subito conto che se ogni uovo deposto da tutte le specie animali si sviluppasse, la popolazione relativa aumenterebbe in maniera esplosiva.

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Il calcolo di Darwin è semplice, e parte dalla constatazione che una coppia di elefanti vive 100 anni, e si riproduce 6 volte. In media si

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può considerare la nascita di una nuova coppia ogni 30 anni. 1) Partendo da una sola coppia, nella seconda generazione avremo 2x2 elefanti; 2) anche la seconda generazione produrrà figli 2x2x2, ed alla terza avremo 2x2x2x2; 3) se tutti gli elefanti che nascono morissero a 100 anni in 30 anni la popolazione complessiva raddoppierebbe e in 300 anni si avrebbero 210 elefanti; 4) se questo fosse giusto in 1800 anni (dalla nascita di Cristo a quella di Darwin) la popolazione di elefanti nati da un’unica coppia sarebbe di 260 individui. La popolazione si riproduce in maniera geometrica: il raddoppio del numero in un certo lasso di tempo provoca un incremento di 4 volte nel doppio del tempo.

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L’insufficienza di risorse sulla terra limita questa crescita. Proprio questa carenza opera la selezione del più adatto all’ambiente In natura, però, si osserva che esse restano tendenzialmente stabili, poiché tassi di mortalità variabili riconducono la prole di una femmina nei dintorni del valore medio di due figli ciascuna, eliminando tutti gli altri. Se ne deduce che limiti di risorse e di spazio bloccano l’espansione fisiologica delle popolazioni, equilibrando i tassi di natalità e di mortalità. L’insufficienza delle risorse e l’eccesso di fecondità producono in natura una competizione ecologica per le risorse operante a tutti i livelli:

� fra componenti della stessa prole

� fra individui o gruppi all’interno di una specie

� fra specie diverse

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Consideriamo un sistema semplice con soltanto due specie: una predatoria (ghepardi) e una predata (gazzelle) In assenza di ghepardi la popolazione di gazzelle cresce a dismisura (secondo il modello di Malthus). Se, al contrario, non ci fossero più gazzelle, i ghepardi si estinguerebbero subito. Le probabilità che una gazzella muoia sono proporzionali al numero di ghepardi, mentre la probabilità che i ghepardi si riproducano è dettata dal numero di gazzelle. L’andamento fra l’incremento del numero di gazzelle e quello si ghepardi sarà oscillatorio. Se i ghepardi aumentano le gazzelle diminuiscono per la predazione subita. Ma, di conseguenza, molti ghepardi moriranno per le difficoltà nel reperire il cibo. Si avrà perciò, un aumento di gazzelle perché soggette a minor pressione da parte dei ghepardi. Aumentando così l’apporto di cibo per i

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ghepardi, i ghepardi aumenteranno nuovamente e così via. Queste interazioni ci mostrano come gli ecosistemi siano strettamente collegati fra loro. Questo modello è valido per tutti i rapporti preda predatore, dalla predazione di foche da parte delle orche, all’uso massiccio di pesticidi sulle piantagioni. La crescita della popolazione umana rappresenta un caso molto particolare di crescita demografica; diversamente da quella di altre specie animali ha una dinamica marcatamente esponenziale. Circa 130.000 anni fa la popolazione di Homo sapiens era di poche centinaia di migliaia di individui. La scoperta del fuoco portò condizioni più favorevoli e una dieta variabile. Cuocendo le pietanze, Homo erectus riusciva anche a debellare le prime malattie; iniziò a trovare riparo in grotte naturali e a vivere vicino ai fiumi. La popolazione iniziò ad aumentare.

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La prima esplosione demografica si ebbe con la scoperta di pratiche agricole e la sedentarietà, ovvero quando si innescò la rivoluzione neolitica. Alla nascita di Cristo la popolazione umana era già arrivata a 250 milioni di individui. Con l’incremento della popolazione aumentarono anche le aspettative di vita. Si deve arrivare alla rivoluzione industriale per avere il primo miliardo di persone. Ma in duecento anni la popolazione della terra è diventata sei volte maggiore. Per ovviare al problema della sovrappopolazione alcuni governi sono stati costretti a promulgare leggi per il controllo delle nascite. A partire dalla stesura del saggio di Malthus (Saggio sul principio della popolazione), nasce una nuova disciplina: la demografia. Con essa si iniziano ad analizzare le principali cause di incremento della popolazione umana. Risulta immediatamente chiaro che il miglioramento delle condizioni di vita porta

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ad una diminuzione della mortalità, dovuta soprattutto alle migliori condizioni igieniche. Le condizioni i vita degradanti, i diritti umani negati e le calamità naturali sono i principali responsabili della ricerca di un equilibrio demografico. Ma la popolazione è destinata ad aumentare. Ciò comporta un aumento della estensione delle colture, con consequenziale deforestazione, e un aumento dell’inquinamento.

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Per porre rimedio all’incremento delle nascite nel 1979 la Cina varò la “Legge eugenetica e protezione della salute”. Questa legge aveva (ed ha tuttora) il ruolo di far diminuire le nascite tassando fortemente i figli dopo il primo. In contrapposizione a questo la Francia ha proclamato delle politiche sociali atte a favorire il maggior numero di figli per donna, aumentando gli assegni familiari per le donne con famiglie numerose.

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Infatti le donne dei paesi avanzati, in grado di studiare e di avere un ruolo sociale ben definito, controllano le nascite avendo in media 1,6 figli a testa. Nei paesi poco sviluppati, come l’Africa, ad esempio, la media sale a 5,8 figli per donna. Nei paesi sviluppati il tasso di mortalità è basso, mentre nel terzo mondo è molto elevato. Ciò fa sì che ci siano un invecchiamento costante delle società più evolute. In Italia il tasso di natalità è il più basso del mondo essendo sotto zero. Muore un numero di persone minore a quello che nasce. Sembra che, grazie all’immigrazione, questo indice stia leggermente aumentando

Selezione naturale

La prima enunciazione pubblica della teoria della selezione naturale ebbe luogo, come detto, nel 1858 ma altre teorie, che però postulavano un meccanismo diverso dalla selezione naturale come motore del

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cambiamento, erano state precedentemente proposte. La più famosa tra esse è quella enunciata da Jean Baptiste Lamarck Secondo la teoria lamarckiana, in una popolazione di giraffe con il collo a lunghezza normale, una di esse inizia ad allungare il collo per raggiungere le foglie più alte. Lamarck enfatizza moltissimo il ruolo attivo degli organismi nel modificarsi in risposta agli stimoli ambientali. Lo stiramento meccanico del collo sarà ereditato dai figli di questa giraffa (ereditarietà dei caratteri acquisiti), che mostreranno un collo leggermente più lungo degli altri individui della popolazione. Pian piano, nel corso del tempo, la popolazione mostrerà una lunghezza del collo progressivamente maggiore. Le obiezioni maggiori e più d’impatto a questa visione sono le seguenti: i figli di chi ama abbronzarsi nasceranno allora con la pelle

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scura? I figli di sportivi saranno ottimi sportivi a loro volta? Secondo la teoria darwiniana, invece, in una popolazione di giraffe con il collo a lunghezza normale, nascono casualmente uno o più individui con il collo a lunghezza maggiore. Poiché tutta la popolazione si ciba delle foglie più basse delle piante (perché con il loro collo non riescono ad arrivare a quelle più alte), l’individuo col collo più lungo riuscirà a raggiungere le foglie posizionate più in alto. In questo modo avrà una fonte maggiore di cibo a disposizione (sarà l’unico a poter raggiungere le foglie alte, mentre tutte le altre giraffe si devono dividere le foglie più basse), e di conseguenza sarà avvantaggiato nella sopravvivenza e nella possibilità di riprodursi. In questo modo potrà passare la mutazione “collo più lungo” alla sua prole, che a sua volta sarà avvantaggiata (se mostra fenotipicamente il

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carattere) rispetto alle altre giraffe della popolazione. La selezione naturale è la causa principale dei cambiamenti evolutivi: è il mezzo con il quale alcuni aspetti dell’ambiente (la predazione, il clima, il parassitismo, …) interagiscono con gli esseri viventi. Questa interazione fa si che alcuni organismi abbiano dei caratteri tali da attribuire loro una capacità di sopravvivenza o di riproduzione superiore a quella di altri organismi. Questa capacità di adattamento farà si che il numero di organismi aumenti nel tempo. La nozione di selezione naturale è spesso associata al concetto di lotta per la sopravvivenza. In realtà la lotta per la sopravvivenza nasce dall’interazione di relazioni ecologiche competitive indirette che vengono bilanciate dalle normali attività degli organismi: difesa del territorio, ricerca di risorse, ricerca di un partner, ecc. Il contesto

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ecologico è, quindi, il campo principale su cui si giocano le effettive probabilità di vincita del singolo individuo. Ne deriva che, all’interno del contesto ecologico, gli individui portatori di variazioni vantaggiose avranno maggiori possibilità di riproduzione e maggiori aspettative di vita. Potendo riprodursi maggiormente trasmetteranno con maggiore frequenza i loro geni alla generazione successiva. Così, di generazione in generazione, i tratti favorevoli si diffonderanno progressivamente. Si avrà, in questo modo, una “discendenza con modificazioni”. Questa discendenza, con modificazioni prodotta dalla sopravvivenza differenziale, è l’evoluzione per selezione naturale. Riepilogando: 1. Gli esseri viventi si riproducono all’interno di una generazione. Non tutti gli individui, però, sono in grado di raggiungere la maturità sessuale e di riprodursi.

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2. Tutti gli individui nascono con piccole variazioni e differenze. La comparsa di queste differenze è dovuta al caso. Sebbene tutte si presentino con uguale probabilità alcune variazioni sono più adatte alla sopravvivenza di altre. 3. Il contesto ecologico è il ring nel quale si scontrano le reali possibilità di sopravvivenza. L’ambiente fa sì che soltanto gli individui con le mutazioni più adatte all’ambiente circostante sopravvivano. 4. I caratteri che si manifestano a seguito di mutazioni casuali sono ereditabili. Passano, cioè, alla generazione successiva. Non è possibile individuare l’evoluzione negli individui, ma solo attraverso l’accumulo di mutazioni attraverso le generazioni.

Una mutazione favorevole è portatrice fin dalla sua origine di un valore adattativo che dà un vantaggio agli organismi che la possiedono. Quando la mutazione si diffonde in tutta la popolazione si può dire che viene fissato un nuovo adattamento. Tale

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adattamento può essere poi incrementato e perfezionato attraverso un’azione cumulativa della selezione. Naturalmente si può parlare di adattamento soltanto in relazione alle specifiche condizioni ambientali in cui la popolazione vive; esso dunque rappresenta la ricerca di un compromesso ottimale, un optimum locale che può anche trasformarsi in uno svantaggio al variare delle condizioni. Il panda, ad esempio, ha modificato la struttura del suo arto anteriore per mangiare in modo altamente efficiente il bambù. Con la diminuzione delle foreste di bambù, si trova a non avere più terreno in cui vivere e va incontro ad una inevitabile estinzione. Sarebbe dunque un errore associare il concetto di adattamento a quello di perfezione. Alcune specie si sono altamente specializzate ad un determinato ambiente ed hanno evoluto adattamenti anche molto sofisticati.

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L’Hapolemur aurens si nutre di una specie di bambù ricca di cianuro. Ne consuma ogni giorno una quantità tale da uccidere sei uomini. Usa questa strategia per crearsi una nicchia esclusiva (il meccanismo di espulsione del cianuro è ancora ignoto agli scienziati). La selezione naturale è al contempo la forza creatrice e la stabilizzatrice della specie. Essa ne elimina le varianti negative. In un contesto in rapido mutamento seleziona le variazioni più vantaggiose senza eliminare totalmente le altre. Se l’evoluzione non avesse luogo, e se la selezione non fosse in grado di agire determinando una sopravvivenza differenziale degli individui, molte specie, al variare delle condizioni ambientali, andrebbero incontro all’estinzione

Concetto di adattamento

In natura esistono tante forme animali tutte differenti fra loro. Ogni animale è

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caratterizzato da organi che contraddistinguono una funzione ben determinata. Questa funzione è data da un adattamento all’ambiente circostante attraverso molte fasi evolutive. È vero che una specie ed i suoi individui spesso appaiono perfettamente adattati al contesto in cui vivono, e sembra davvero che la selezione naturale possa aver raggiunto una forma di perfezione nel confezionare strutture che rendono possibili un così ampio range di attività anche molto specializzate (dalla vista al volo, dall’ecolocalizzazione alla vita subacquea) ed in contesti ambientali anche estremi (dalla possibilità di nutrirsi di quasi ogni tipo di sostanza alla capacità di migrare per migliaia di chilometri seguendo particolari mappe geografiche). In realtà l’adattamento è qualcosa di provvisorio, per sua stessa natura un processo incompleto e mai concluso, da mettere sempre in relazioni alla situazione contingente, che può rivelarsi

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ben presto, anche al minimo variare delle condizioni ecologiche, un tratto sfavorevole che può compromettere la sopravvivenza dell’individuo. Gli animali, inoltre, non sono composti da parti diverse e totalmente indipendenti tra loro, che possono variare liberamente indipendentemente dall’influenza, dagli effetti che una variazione induce su tutte le strutture ad essa correlate. La struttura corporea degli individui rappresenta dunque un vincolo per l’azione della selezione naturale ed un limite alla variazione. L’evoluzione per selezione naturale sarà dunque un attento gioco di equilibri tra variazione e mantenimento delle strutture, e gli organismi devono escogitare soluzioni precarie, raggiungendo spesso adattamenti intermedi e non completamente soddisfacenti, che però consentono il mantenimento di altre strutture, attività e funzioni necessarie.

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Fortunatamente, per non soccombere sotto il peso dei limiti imposti alla variazione dalla complessità delle relazioni morfologiche e funzionali delle strutture biologiche, una struttura sviluppatasi per svolgere una funzione può essere utilizzata per assolverne altre, che non costituiscono la ragione per cui si era evoluta in origine, aumentando il range delle possibili, nuove e utili combinazioni cui un set di strutture può dare luogo. Steve J. Gould e Elisabeth Vbra hanno chiamato adaptation i caratteri generali che contribuiscono alla sopravvivenza. A loro volta questi caratteri, possono essere divisi in due gruppi: adaptation: plasmati dalla selezione naturale per la funzione che svolgono attualmente (derivante da ad aptus); exaptation: strutture formatesi per una ragione specifica (o per nessuna ragione) rese disponibile dalla selezione naturale

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come conseguenza (ex) della loro forma (aptus). La teoria exattativa si pone come una critica alla visione strettamente adattazionista dell’evoluzione, portata avanti da molti biologi evoluzionisti che si inseriscono nella tradizione di ricerca della Sintesi Moderna.

Adaptation

“Adaptation, il buon adaptation degli organismi nel loro ambiente può verificarsi a tre livelli gerarchici con cause differenti. È una fortuna che il nostro linguaggio si sia focalizzato solo sul risultato più comune e che abbia chiamato tutti e tre i fenomeni adaptation: le differenze nel processo sono state oscurate e gli evoluzionisti hanno frainteso le origini di questa eterogeneità estendendo la modalità darwiniana a tutti i livelli.” (Gould e Lewontin) Gould e Lewontin hanno proposto una tripartizione gerarchica della nozione di adaptation evidenziando che solo l’ultimo

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concetto è compatibile con la teoria darwiniana. 1) Adattamento fenotipico: capacità di adeguarsi all’ambiente grazie alla flessibilità genotipica individuale. 2) Adattamento culturale: trasmissione della conoscenza. Una forma di adaptation non ereditabile biologicamente. 3) Adattamento genotipico: selezione naturale sulla variazione genotipica potenziale. In realtà Darwin considerava importanti ai fini della selezione naturale anche i cambiamenti fenotipici, poiché era convinto che anche i caratteri acquisiti nel corso della vita da un individuo potessero essere trasmessi; una visione “culturalmente ereditata” da Jean Baptiste Lamarck.

Exaptation

Il fenomeno dell’exaptation mostra quindi come nell’evoluzione difficilmente un

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adattamento sia stato fin dall’inizio costruito “per” assolvere alla funzione corrente e come l’adattamento sia spesso un compromesso con i vincoli strutturali degli organismi e con la loro storia pregressa. L’origine storica e l’utilità attuale non sempre, infatti, coincidono. Esistono quattro meccanismi naturali che permettono il verificarsi di exaptation. 1) Limiti ed opportunità: gli esseri viventi non possono cambiare a loro piacimento ma sono condizionati dai vincoli storici e strutturali. Lo sviluppo procede solo verso un numero limitato di forme definite ma questo non è un limite per l’evoluzione. I limiti ontogenetici non frenano l’evoluzione ma, vincolando creativamente, sono una fonte di potenzialità. 2) Ridondanza funzionale: ogni carattere complesso racchiude in sé un’ampia gamma

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di possibilità funzionali. Ne è un esempio il manto colorato degli uccelli tropicali 3) Flessibilità: l’organismo riesce a mettere in atto strategie più innovative ed efficaci per sopravvivere nell’ambiente. Cambia le proprie regole comportamentali. L’Airone nero (Egretta ardesiaca) utilizza le sue ali (ovvero un adattamento al volo) per fare ombra sulla superficie dello stagno. I pesci sono attirati dall’ombra, che appare loro come un rifugio, e, ingannati da questo, vengono predati dall’Airone. 4) Effetti collaterali: un cambiamento evolutivo strutturale può dare effetti del tutto indipendenti dalla funzione adattativa iniziale. Le mantidi religiose divorano la testa del partner durante il rapporto riproduttivo. Fra le celebri questioni che la considerazione dell’exaptation come importante dinamica evolutiva ha premesso di spiegare in modo più soddisfacente, c’è la ricerca delle origini

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di strutture “di grande complessità e perfezione”, come le chiamava Darwin, come l’occhio o le penne degli uccelli. D’altronde una domanda spontanea che può sorgere è: “a cosa serve il 5% di un occhio o di

un’ala?”; se la selezione è un procedimento cumulativo, deve esserci stato un momento in cui l’occhio, o l’ala, erano solo degli abbozzi. Ma a cosa poteva servire un abbozzo di ala? Non certo a volare! Potrebbe proprio essere stato un caso di conversione funzionale, di exaptation a consentire l’evoluzione delle ali: le penne potrebbero aver cominciato a svilupparsi nei dinosauri per funzioni di termoregolazione o di esibizione, e poi essere cooptate per il volo “planato” e quindi per il volo vero e proprio.

Vincoli

Gli esseri viventi sono soggetti a una pluralità di vincoli che vanno dalle costrizioni fisiche fondamentali, della gravità ad esempio

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(relative ad altezza, dimensioni, peso), o degli scambi gassosi (relativi quindi ai rapporti volume/superficie), ai vincoli strutturali interni ereditati dalla storia pregressa. Le soluzioni adattative stesse, come abbiamo visto, non godono di margini di libertà assoluti: la struttura corporea, nel suo complesso, rappresenta un vincolo. Il vincolo è generalmente visto come un limite o un impedimento, ma in realtà esso può avere una valenza positiva, e trasformarsi piuttosto in promotore e causa di orientamento del cambiamento. Si possono considerare due tipi di vincoli differenti: vincoli strutturali e vincoli storici. Considerando la misura in cui i vincoli possono limitare la selezione naturale dobbiamo tener presente che alcune modalità saranno classificabili come più “benigne”, in virtù della loro maggior

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flessibilità, mentre altre costrizioni saranno molto più forti e limitanti. I compromessi adattativi (trade-off) che si raggiungono affinché più funzioni, anche contrastanti, possano continuare ad essere regolarmente svolte, ad esempio, ostacolano il perfezionamento di una sola parte dell’organismo. La selezione naturale opera sempre sull’intero e non solo su una parte dell’animale, che non può mai essere considerata un’entità autonoma e a sé stante. Come abbiamo detto, la storia filogenetica di un individuo lascia delle tracce indelebili sulla conformazione delle strutture. La storia evolutiva è, ancora una volta, un abile compromesso tra le necessità di adattarsi al contesto locale e l’impossibilità di sviluppare nuovi tratti senza tener conto dei limiti dati dalle conformazioni morfologiche di partenza, sulla base delle quali il nuovo carattere deve essere costruito.

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Paradossalmente, una zebra sarebbe avvantaggiata se potesse volare per sfuggire al leone, ma anche se si trovasse per una mutazione casuale ad avere due arti soprannumerari, peserebbe troppo per poter spiccare il volo. Comunque la selezione naturale non avrà modo di creare delle ali alla zebra perché, si presuppone, che la variabilità genetica di un tetrapode non sia sufficiente a generare un paio di arti in più. La stessa cosa vale per gli animali pisciformi. Per quanto il loro corpo si sia perfettamente adattato alla vita acquatica, non hanno creato nuove strutture ma modificato quelle già presenti. Così accade che sia rettili, uccelli e mammiferi possano trascorrere la loro vita in acqua. Il loro corpo, originariamente evoluto per la vita sulla terra, riesce a modificare il proprio fenotipo per adeguarsi ad una nicchia ecologica differente. Così i rettili modificano la loro colonna vertebrale per nuotare, lo si

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vede bene sia negli estinti ittiosauri che nei coccodrilli. I pinguini hanno perduto ogni capacità di volo ma sembra che lo facciano nell’acqua dato che usano le ali come se fossero pinne pettorali. I cetacei hanno perso i peli e gli arti posteriori rendendo la loro morfologia più idrodinamica. Anche i vincoli storici impediscono il mutare in molteplici forme di vita. A causa dell’evoluzione gli animali hanno assunto determinate strutture. La struttura presente per via ancestrale limita le probabilità di cambiamento. Dato un carattere adattatosi a una funzione, e tuttora adatto, è possibile pensare che la simmetria degli organismi nelle molteplici forme possibili si sia evoluta come soluzione ottimale a un problema adattativo. Per questo motivo la zebra non avrà una variabilità genetica tale da far apparire due arti in più.

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Visione adattazionista ed obiezioni

Le teorie adattative ritengono l’adattamento come una univoca e diretta conseguenza della selezione naturale. Ritengono che i caratteri degli individui siano dettati dalla funzione che l’ambiente che li circonda richiede. Gli uccelli, ad esempio, avrebbero imparato a usare le ali a causa delle mutazioni ambientali. La selezione naturale avrebbe favorito gli individui con strutture alari e il volo ne sarebbe la diretta conseguenza. Le teorie exattative considerano che le funzioni attuali caratteristiche degli organismi, il volo degli uccelli, ad esempio, non siano adattamenti diretti ma effetti collaterali. Le penne degli uccelli sarebbero nate con una funzione termoregolativa e poi passate al volo. G. C. Williams, biologo evoluzionista di stampo adattazionista, ha criticato il concetto di exaptation. Secondo lui un cambiamento

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funzionale non può verificarsi a partire da una struttura che si è originata per un’altra funzione. Se così fosse si sminuirebbe la funzione per la quale la struttura si era originata. Invece secondo Gould, l’azione selettiva non viene annullata anzi serve per fissare l’exaptation anche se questo si è verificato nella cooptazione di strutture che non avevano alcuna funzione. Altre critiche vengono mosse contestando il fatto che le exaptation stesse si modificheranno, ma Gould sostiene questa tesi infondata: le exaptation sono un processo che migliora le capacità dell’individuo.

Estinzione

Esiste una qualche correlazione tra la specializzazione ecologica di una specie e le probabilità della sua estinzione. E’ logico che meno una specie è specializzata maggiore è

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la probabilità che continui a trovare un habitat idoneo anche in un contesto in continuo mutamento. Specie altamente adattate a nicchie ambientali ristrette rischiano di estinguersi contestualmente alla scomparsa del loro habitat. La paleontologa Elisabeth Vbra, studiando le antilopi africane, sia moderne che estinte, ha proposto una teoria detta ipotesi dell’effetto per spiegare le ragioni del fatto che alcune specie consistano di animali specialisti e altre caratterizzate da individui non specialisti. La Vbra ha studiato soprattutto gli impala e due specie di gnu. Gli gnu sono le antilopi molto specializzate, legate a caratteristiche ambientali molto precise e con caratteristiche morfologiche peculiari. La Vrba ha rilevato una tendenza all’aumento della specializzazione e alle condizioni morfologiche estreme al passare del tempo geologico, constatando che il

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tasso di estinzione, e contemporaneamente quello di speciazione, è più alto tra gli gnu. Infatti si contano 6 o 7 specie differenti di gnu. Questo accade perché maggiore è la differenza ecologica tra la specie parentale e quella derivata, maggiore sarà la probabilità che questa si affermi come specie di successo. Questa specializzazione la espone però al rischio di estinzione. Sulla base della vulnerabilità di una popolazione sono state stimate le specie minacciate: specie rare o vulnerabili probabilità di estinzione 10% specie vulnerabile probabilità di estinzione 20% specie in pericolo probabilità di estinzione 50%

Selezione artificiale

Gli esseri umani praticano questa selezione da quando hanno inventato l’agricoltura e la

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domesticazione degli animali, facendo riprodurre solo una minoranza di individui con caratteristiche desiderate. Ogniqualvolta si creano le tre condizioni fondamentali che determinano la presenza di variazione ereditaria, pressioni ambientali relativamente costanti ed un lasso di tempo sufficientemente lungo in cui le due precedenti condizioni siano mantenute, la selezione agisce automaticamente sulle popolazioni attraverso la sopravvivenza differenziale. Alcuni animali sono frutto esclusivo della selezione artificiale. Già 400.000 anni fa l’uomo conviveva con il lupo. Non sappiamo se condividessero gli aerali di caccia o se l’uomo se ne cibasse. Il lupo vive in branchi ed ha bisogno di riconoscere un capo. Probabilmente lo riconobbe nell’uomo. Nel giro di pochissimo tempo gli occhi si ingrandirono, il muso si accorciò e nacque il cane moderno.

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I cani hanno pagato a caro prezzo il costo della domesticazione: un lupo è perennemente stressato mentre i cani non sono quasi mai ansiosi. Le orecchie appuntite del lupo sono state smorzate per avere un’aria più remissiva, con consequenziale mancanza di udito. Gli occhi pungenti del lupo nel cane diventano docili da non incutere nessun timore. Il cervello dei cani domestici è ridotto rispetto a quello dei loro antenati in natura. Di fatto i cani si comportano come i cuccioli di lupo: aspettano il pasto, leccano la mano di chi li nutre. La stessa cosa è stata fatta dagli agricoltori che per anni hanno incrociato le varie piante in modo da addomesticarle. Le varietà domestiche sono un numero di gran lunga inferiore a quello selvatico. Basti pensare che tutta la soia Foto degli Stati Uniti deriva da una dozzina di ceppi.

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L’unità di selezione

In un’ottica strettamente darwiniana, tutta l’evoluzione ruota intorno ad un solo fondamentale livello organizzativo, quello dell’individuo. Il ruolo dei singoli individui è chiaramente definito: essi, che nascono, crescono, si riproducono e muoiono, sono l’oggetto stesso dell’azione della selezione naturale. Il materiale genetico (seppure dalla natura in buona parte sconosciuta per Darwin) costituisce l’unità di variazione, il livello nel quale si generano le mutazioni, la sorgente della diversità senza la quale la selezione naturale non potrebbe agire. Le specie, attraverso le quali noi avvertiamo e studiamo il processo dell’evoluzione, sono dunque solamente le unità di evoluzione. L’evoluzione non lavora per il bene delle specie, degli ecosistemi, dei geni, ma si confronta continuamente con il vantaggio dei singoli individui, con le loro abilità di sopravvivenza e di trasferimento delle loro

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caratteristiche alla discendenza. Per spiegare comportamenti in apparenza anomali, furono proposte molte teorie, come quella della selezione di gruppo di Wynne-Edwards, o la kin selection di Hamilton.

Nel 1976, Richard Dawkins, etologo ed evoluzionista inglese, propone, in un testo intitolato Il gene egoista, l’idea che le vere unità di selezione siano i geni, intesi come replicatori (unità in grado di autoreplicarsi e trasmettersi nelle generazioni), relegando gli individui, da sempre intesi nella logica darwiniana come le vere ed uniche unità di selezione, al ruolo di meri veicoli al servizio dei replicatori, sorte di contenitori, di rivestimenti per il DNA: l’evoluzione appare dunque come una lotta per la sopravvivenza di replicatori egoisti che “mirano” a replicarsi in quante più copie possibili ed a sopravvivere nel corso delle generazioni.

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Selezione di gruppo.

Negli anni Sessanta del secolo scorso, il biologo scozzese Wynne-Edwards mise in evidenza che esistevano diversi gruppi di animali che sviluppavano complessi sistemi organizzativi che garantivano un autocontrollo nella popolazione che poteva sfociare anche nel sacrificio delle proprie aspirazioni riproduttive in favore della sopravvivenza del gruppo e molti altri casi di altruismo sociale che non potevano essere spiegati ipotizzando che la selezione naturale agisca solamente per favorire singoli individui (celebri sono i casi degli insetti sociali dove le femmine operaie rinunciano alla riproduzione “per il bene” della colonia); Wynne-Edwards propose quindi la teoria della selezione di gruppo (in cui l’idea chiave è che la selezione naturale sarebbe in grado di offrire un vantaggio selettivo non solo ai singoli organismi ma anche a quei gruppi di individui che risultano meglio adattati di altri, nel loro

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complesso, al contesto ambientale in cui vivono); questa teoria venne aspramente criticata e molti dei casi citati dal biologo scozzese vennero ricondotti ad esempi di selezione individuale mascherata, in cui l’apparente vantaggio per il gruppo poteva essere in realtà visto come vantaggio per il singolo.

Kin Selection

La teoria della selezione di parentela (kin selection) proposta da Hamilton riuscì a dare una spiegazione in chiave riduzionista di molti processi apparentemente ascrivibili alla selezione di gruppo. La fitness (il vantaggio riproduttivo) globale è la somma della fitness personale di un individuo e di tutti gli effetti che essa provoca sulla fitness di tutti i suoi parenti: se un individuo esegue un'azione altruistica verso un fratello, la fitness globale sarà pari alla fitness dell'individuo stesso (che viene ridotta dal comportamento

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altruistico) più l'incremento della fitness di quella parte della costituzione ereditaria che il fratello condivide con lui. Un individuo può quindi accrescere la propria fitness genetica non solo riproducendosi, ma anche favorendo il successo riproduttivo degli individui con cui condivide parte del patrimonio genetico. È possibile che il vantaggio genetico finale sia maggiore se l'individuo, anziché riprodursi, contribuisce alla sopravvivenza e alla riproduzione di molti parenti stretti: statisticamente, salvando tre fratelli o tre figli, favorirebbe infatti la trasmissione alla generazione seguente di un numero più elevato di copie identiche dei propri geni che riproducendosi; è dunque possibile accrescere la propria fitness indirettamente, favorendo la fitness dei parenti. I concetti di fitness globale e di kinship selection hanno permesso di risolvere il problema della presenza di comportamenti

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altruistici che riducono la fitness dell'individuo che li esegue, accrescendo quella del beneficiario.

Gene egoista

Il concetto fondamentale che viene espresso è che gli organismi o i gruppi sono veicoli di diffusione dei replicatori genetici nella discendenza. Dawkins vede l’uomo e tutte le creature come “macchine per la sopravvivenza – robot semoventi programmati ciecamente per preservare quelle molecole egoiste note sotto il nome di geni”. Da buon divulgatore Dawkins inizia con una metafora visiva. Si serve del cubo di Necker che appare come un semplice cubo trasparente. Fissando il cubo per alcuni secondi cambia orientamento, per poi tornare all’orientamento iniziale. Per Dawkins per l’individuo e il gene avviene la stessa cosa: sono due visioni della stessa verità.

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La selezione naturale agirebbe dunque fissando quelle varianti geniche in grado di replicarsi e sopravvivere con maggiore efficienza. Questa visione decisamente riduzionista dell’evoluzione è stata criticata da quanti misero in evidenza che la selezione naturale non è in grado di “vedere” le sequenze geniche se non attraverso i corpi stessi, a cui pertanto non si può associare il solo significato di veicoli. Dawkins ammorbidì nel tempo il suo approccio, accettando progressivamente l’idea che la dimensione corporea è ineludibile per gli effetti della selezione naturale e che ai corpi è più corretto associare l’idea di interattori. Gli

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studi recenti mettono tuttavia in evidenza che non solamente i geni possano essere assurti allo stato di replicatori, in quanto anche cromosomi, interi genomi, organismi asessuati, membrane, complessi simbiontici possono replicarsi. Per questa ragione si preferisce parlare di selezionismo dei replicatori piuttosto che di selezionismo genico. Tuttavia, questi approcci sminuiscono il ruolo fondamentale che nel processo evolutivo hanno i fattori di tipo ecologico, i quali hanno a che fare più con il ruolo degli interattori che con quello dei replicatori. All’estremo opposto, è stata fatta l’ipotesi che sia possibile attribuire l’idea di interattore e di replicatore ad una intera specie, in un contesto di relazioni con altre specie. Questo processo, proposto da Steven Stanley in analogia con la selezione fra individui per spiegare la sopravvivenza differenziale di alcune specie rispetto ad altre, è stato ampiamente criticato e presenta molteplici

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difficoltà teoriche. Il modello della selezione di specie è stato reso più flessibile da Elizabeth Vrba e Steven Jay Gould che hanno proposto di sostituire il termine selezione di specie (che implicava la necessità di definire le proprietà proprie di una specie e non riducibili alle caratteristiche degli individui che la compongono che la rendano più abile a sopravvivere e a replicarsi e a trasferire in modo permanente e cumulativo questi tratti alle specie discendenti) con quello di cernita di specie (species sorting) per descrivere il fatto che alcune specie presentano in effetti caratteristiche che le rendono più esposte all’estinzione (come ad esempio una forte specializzazione ad una nicchia ambientale) di altre (magari più flessibili dal punto di vista ecologico), oppure più propense a dare origine a nuove specie.

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La selezione sessuale

Al fine di trasmettere alla generazione successiva i propri geni, occorre essere sufficientemente attraenti per trovare partner disponibili ad accoppiarsi. La ricerca di un partner, il corteggiamento (ivi compresa la lotta con eventuali competitori), l’accoppiamento e la gravidanza sono tutte attività che richiedono un notevole dispendio di energia e costringono ad esporsi a molteplici rischi per la propria sopravvivenza. Inoltre, ogni individuo utilizza strategie comportamentali anche molto diversificate per raggiungere i suddetti obiettivi, e gli interessi, soprattutto tra maschi e femmine, possono divergere anche drasticamente, dando il via a quello che i biologi definiscono conflitto sessuale. Tale conflitto molto spesso è in grado di generare caratteristiche che ci sembrano in netto contrasto con il vantaggio e gli interessi degli individui che le

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esibiscono. Anche l’occhio, ovviamente, vuole la sua parte, e la “bellezza” dei maschi gioca un ruolo importante nella scelta femminile Il conflitto sessuale è dunque aspro quanto la lotta per la sopravvivenza e può produrre caratteristiche che riducono le probabilità di sopravvivenza. E’ evidente che un palco di grandi dimensioni ostacolerà un cervo nella fuga da un predatore, e costituirà un grande peso da sopportare durante attività quali la ricerca del cibo; un piumaggio colorato, così come un canto intenso, renderà ogni uccello più individuabile da parte di un predatore; una coda molto lunga, come quella delle gazze, dei pavoni e di moltissimi altri volatili non favorirà sicuramente il volo, e causerà un surplus di spesa energetica. Un collo lungo costringerà la giraffa (che per raggiungere l’acqua in uno stagno o in un fiume deve allargare le zampe) ad una posizione che le impedisce una fuga

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scattante all’arrivo di un felino o di un alligatore. Queste strutture, che riducono le speranze di sopravvivenza, sembrerebbero delle prove contro l’evoluzione. Darwin stesso scriveva che “la vista di una piuma della coda di pavone, in qualunque momento io la osservi, mi fa stare male!”. Infatti queste insolite strutture derivano dall’azione modellatrice della selezione sessuale. Per aumentare le probabilità di incontrare una partner, appare utile essere in grado di spostarsi parecchio, e rapidamente. Per questo motivo la selezione naturale ha favorito forme piccole, attive e numerose per trasportare il patrimonio genetico maschile. Se un maschio è il solo a controllare un gruppo di femmine o se non c’è necessità di lottare con altri maschi, non sarà comunque necessario produrre enormi quantità di spermatozoi né di diventare molto grossi, in quanto si rischierebbe unicamente di

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disperdere inutilmente materiale genetico ed energie. I maschi hanno sviluppato molte strategie. Viene automatico domandarsi perché, se un maschio può inseminare molte femmine ci sia un rapporto fra i sessi non 100:1. La risposta a questa domanda ci viene data dalla sex ratio. Sono state formulate molte teorie per spiegare l’evoluzione di una grande molteplicità di comportamenti sessuali. Senza dubbio vi è nelle femmine una tendenza a selezionare i compagni in virtù dei geni che trasmettono: ma come fanno a valutare la qualità dei geni maschili?

Strategie comportamentali

Gli uomini sono animali sociali. Vivono in società, come moltissimi animali. Le interazioni fra gli individui sono le più diverse perché da una convivenza possono nascere vantaggi e svantaggi.

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Per questo ci sono molti tipi di interazione fra gli individui: 1. il mutualismo

Un individuo presta il suo aiuto al gruppo e questo non abbassa il suo successo riproduttivo. Una leonessa che spinge una gazzella verso il branco di leonesse potrà godere della carne della preda. Esiste un tipo di cooperazione definita altruismo reciproco. Gli animali si aiutano a turno. Il primo animale con un investimento minimo aiuterà il secondo a riprodursi. A sua volta quando il primo dovrà riprodursi riceverà un “rimborso” notevole.

2. l’altruismo Il donatore subisce di fatto una perdita di successo riproduttivo. In realtà ciò avviene prevalentemente in ambito familiare. Un parente stretto di sacrifica per un maggior successo riproduttivo dei suoi geni. Avere 5 nipoti, dal

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punto di vista genetico, è più vantaggioso che avere 1 figlio. Questo meccanismo è definito kin selection. Nelle vespe le sorelle aiutano la regina nella costruzione del favo per le sue larve. Le sorelle non trarranno alcun vantaggio dalle schiusa delle larve, se non una perpetuazione dei loro geni.

3. il comportamento egoista Alcune specie sono dei veri e propri parassiti che agiscono solo per la propria riproduzione. Il cuculo europeo è molto pericoloso perché ha un parassitismo di tipo distruttivo. Tiene d’occhio un nido di un altro uccello, generalmente più piccolo. Aspetta che la femmina si allontani e depone un uovo nel nido. Quando la femmina torna accetta l’uovo per non incorrere nell’errore di gettare via uno dei propri. Così lo cova. Alla schiusa il piccolo cuculo cresce più velocemente degli altri pulcini. Il cuculo fa precipitare gli altri pulcini dal nido (sia quando sono ancora

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nell’uovo, visto che il periodo di schiusa del cuculo è inferiore a quello dei pulcini ospiti, sia appena nati) ed emette stimoli esagerati per i genitori adottivi. In questo modo riesce ad assorbire tutte le loro cure. Soltanto gli sforzi congiunti della coppia ospite riusciranno a far crescere il cuculo. Ma non finisce qui. La femmina di cuculo verrà imprintata sul nido in cui è stata covata, per cui, a sua volta, cercherà un nido della stesa specie per deporre le uova. E il ciclo continuerà.

Gli scienziati non sono ancora riusciti a definire perché questi episodi abbiano luogo. Hanno solo postulato delle teorie quali quella di Richard Dawkins nel libro intitolato “Il gene egoista”. Altre volte, invece, alcuni maschi hanno caratteri sessuali secondari, che sono veri e propri handicap per i quali, apparentemente, non esiste una spiegazione.

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Vantaggi e svantaggi

Vivendo in una società ci sono moltissime regole da seguire e non sempre queste sono vantaggiose per l’individuo. Per questo alcuni individui decidono di vivere per conto proprio e di incontrare i propri simili solo per la riproduzione. In effetti la convivenza crea competizione per la nidificazione, la ricerca del cibo, per l’accoppiamento, ecc.. Inoltre convivendo aumenta il rischio di contrarre malattie o parassiti. Aumenta il rischio che qualche femmina sfrutti le cure parentali dei vicini a suo vantaggio e che i cospecifici uccidano i piccoli. Ma allora perché esistono tante specie sociali? Perché i vantaggi sono molteplici. C’è una riduzione della pressione della predazione e un aumento dei meccanismi di vigilanza. Quindi una maggior efficacia nel respingere i nemici. Aumenta il foraggiamento: la caccia in gruppo consente

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di abbattere prede di grandi dimensioni. C’è una miglior difesa del territorio. E, non ultimo, una maggior cura dei piccoli.

Strategie riproduttive

Nella maggior parte delle specie animali (eccezion fatta per alcune specie con cui abbiamo una certa familiarità - leoni, giraffe, cervi, galli, tori...- e per quella umana) i maschi sono di piccole dimensioni. Nel mare, specie negli oscuri abissi o quando si è di piccole dimensioni, è molto difficile incontrare un partner, e lo è ugualmente avere occasione di combattere con altri maschi conspecifici per l’accesso alla femmina. È del tutto inutile preoccuparsi di costruire un complesso corpo attorno ad un gomitolo di geni se l’unico obiettivo è trovare una femmina e fecondarla! La soluzione ideale può addirittura essere quella di aderire al corpo della femmina una volta che la si è raggiunta, perdendo totalmente l’autonomia.

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Vi sono alcuni casi estremi in cui il sesso maschile si risolve in una piccola ed insignificante appendice attaccata al corpo della più grande femmina (è il caso della rana pescatrice degli abissi e di alcuni cirripedi). Se, diversamente, la competizione sessuale diviene molto forte, sarà meglio investire su corpi prestanti e su maggiori quantità di spermatozoi. Addirittura esiste la sperm competition e, in alcuni casi i maschi della stessa specie scelgono strategie riproduttive diverse. Col tempo, un sistema che prevede strategie alternative si assesta e tende a omogeneizzare il vantaggio delle due tattiche. Questa fatto sembrerebbe spiegare per quale ragione la sex ratio (ovvero la proporzione numerica dei due sessi) si sia assestata sul rapporto 1:1.

Nei maschi di scarabeidi, molto spesso il maschio che esibisce il fenotipo detto major, con dimensioni più ragguardevoli

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ed imponenti armature cefaliche (come ad esempio le corna), difende attivamente la femmina ed il nido, lotta violentemente con altri maschi e si prende cura della prole; il maschio detto minor, di più piccole dimensioni e privo di corna, esibisce una tattica sessuale di tipo sneakers, ovvero evita diligentemente il contatto con altri maschi e scava tunnel laterali da cui raggiunge il nido sotterraneo della femmina, bypassando il controllo del maschio major all’imboccatura della galleria che consente di arrivare alla femmina. In molti casi, l’adozione di una strategia sessuale dipende da quello che fanno gli altri. Spesso, se una tecnica diventa, per così dire, obsoleta, può essere vantaggioso sperimentare una tecnica alternativa. Una strategia insolita può essere vantaggiosa fino a che rimane, per l’appunto insolita.

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Conflitto sessuale

La lotta per il successo riproduttivo ha quasi sempre a che fare più con i maschi che con le femmine. I maschi investono molta meno energia delle femmine in ogni rapporto sessuale. Gli spermatozoi hanno l’unico compito di trasferire il DNA del loro possessore all’uovo, e hanno un ruolo praticamente nullo nello sviluppo dell’embrione. Possono essere prodotti in grande numero e dispersi rapidamente. I maschi, teoricamente, possono accedere ad un numero altissimo di accoppiamenti, ma la loro attività sessualei è limitata al numero di femmine disponibili. Le femmine hanno una propensione all’accoppiamento decisamente inferiore. Le uova sono energeticamente dispendiose da produrre, in quanto devono contenere molti nutrienti indispensabili per lo sviluppo del nascituro, e, diciamocelo, la gravidanza non è uno scherzo! Inoltre, le femmine

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normalmente investono maggiormente anche nella cura della prole; esse tenderanno pertanto a scegliere con molta cura il proprio partner, in modo da affidare il proprio preziosissimo uovo ed i propri sforzi riproduttivi ad un maschio che offra buone garanzie al futuro piccolo (“buoni geni”, protezione, cibo ...). Questo sbilanciamento fa sì che, generalmente, una femmina, per quanto poco attraente, sia in grado di trovare un partner, mentre solo i maschi migliori convinceranno la femmina ad accoppiarsi con loro. La lotta dei maschi si esplica in molteplici forme. Molto spesso, essi devono difendere il territorio dai rivali. Moltissimi sono gli armamenti che gli animali hanno sviluppato e che indicano chiaramente che questa attività è di vitale importanza.

I cervi hanno lunghe, ramificate e pesantissime corna con cui combattere.

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Gli insetti hanno potenti mandibole con cui feriscono altri maschi. I lunghi ed eleganti colli delle giraffe sono potentissimi randelli da utilizzare per colpire maschi focosi che tentano di accedere alla femmina prescelta.

Molto spesso invece è proprio la bellezza a sedurre una femmina, per questo si sono sviluppati degli ornamenti.

Criniere folte, colorazioni sgargianti, Appendici appariscenti. Nelle piante si sono evolute strategie per raggiungere con più efficacia la partner, anche in modo indiretto: il fiore è uno strumento per attrarre gli impollinatori, che permetteranno di trasferire il polline maschile ai fiori femminili. Come dice Steve Jones, “i fiori sono grida silenziose di passione virile”.

Sperm Competition

Molte specie hanno sviluppato abilità nell’impedire che altri maschi si accoppino

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con la femmina prescelta (alcuni insetti depositano una sorta di tappo nell’apparato genitale femminile dopo l’accoppiamento) oppure, nel dubbio che la femmina abbia già avuto un rapporto sessuale precedente, eseguono (chimicamente o meccanicamente) operazioni di rimozione dell’eventuale sperma depositato da un altro maschio.

Sex ratio

Analizziamo i fatti: 1) i maschi hanno tanti gameti mobili e piccoli; 2) le femmine hanno pochi gameti grossi e stabili; 3) ipotizziamo che il rapporto maschi femmine sia di 100:1. Il maschio sarebbe più certo di potersi riprodurre. 4) L’individuo che presentasse una variazione sarebbe avvantaggiato. Il vantaggio si tradurrebbe in un aumento di maschi nella generazione successiva.

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5) Con l’aumento della popolazione aumenterebbero anche i maschi ed il rapporto si stabilizzerebbe su 1:1. E’ stato scoperto che alcune femmine di topo sembrano essere in grado di riconoscere individui a loro imparentati tramite specifiche molecole odorose presenti nelle urine, che consentono loro di evitare accuratamente accoppiamenti con consanguinei (fatto che diminuirebbe la variabilità genetica). In altri casi potrebbero utilizzare segnali indiretti: un’appendice ingombrante ed appariscente come la coda di un pavone metterebbe in luce caratteristiche vincenti del maschio, in grado di volare, sfuggire ai predatori e restare sano nonostante un pericoloso e pesante strascico. Accoppiarsi con una maschio simile sembrerebbe garantire geni di successo per la propria prole. A volte le femmine, secondo la teoria di Zaavi, sembrerebbero sapere interpretare dei segnali indiretti di qualità genetica maschile.

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Alla luce di questa ipotesi sembrerebbe che i tratti disadattativi come le sproporzioni del corpo e le colorazioni sgargianti, pur costituendo un handicap per la sopravvivenza (visibilità ai predatori, sovraccarico energetico, impossibilità di nascondersi). indicherebbero alla femmina che l’animale gode di buona salute, è abile nello sfuggire e nel procurarsi tutte le risorse che servono per mantenere tutte queste costose strutture.

Handicap

Alcune specie sviluppano un carattere disadattativo. Come, per esempio, dei piumaggi sgargianti, che consentono al predatore un facile reperimento della preda, o dei palchi molto pesanti e fastidiosi da portare sulla testa, oppure delle code così lunghe da impedire la fuga. Molte ipotesi sono state fatte sul perché si siano evoluti dei caratteri così irrazionali.

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L’ipotesi più plausibile sembra essere quella di Fisher, pubblicata negli anni ’20 del secolo scorso. La cosiddetta runway selection. Gli ornamenti hanno dei costi, talvolta molto elevati. Le femmine scelgono il maschio in base alle caratteristiche esibite. La lunga coda del pavone è un forte handicap, ma è bella. La femmina sceglierà il pavone con la coda più bella e ciò che sembrava un handicap si rivelerà una strategia vincente. È come se dicesse: visto che con questa coda sono ancora vivo i miei geni sono buoni. Møller fece moltissimi esperimenti con le rondini, seguendo quelli che erano stati gli esperimenti di Anderson con l’uccello vedova sulla scelta femminile. Scoprì che le rondini con la coda più lunga avevano anche una certa immunità ai parassiti esterni. Erano quindi portatrici i buoni geni ereditabili.

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L’origine delle specie

Introduzione

La definizione di specie

Meccanismi di speciazione

La distribuzione delle specie

Gli equilibri punteggiati

Le estinzioni e i trend macroevolutivi

Introduzione

Raccogliendo l’eredità darwiniana, la biologia evoluzionista si è trovata ad affrontare, e a cercare di dar conto dell’esistenza di fenomeni potenzialmente contraddittori connessi con la problematica dell’origine delle specie: le forme viventi sono separate in unità discrete, le specie, che sono però

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originate attraverso un processo, quello evolutivo, senza soluzione di continuità. A causa di questo problema apparentemente irrisolvibile, Darwin stesso rinunciò a fornire una definizione di specie che le riconoscesse lo status di entità reale, preferendo una definizione puramente convenzionale, dove la specie è solo una categoria che raggruppa un certo numero di individui che si assomigliano tra loro, un insieme di varietà permanenti nel tempo, che poi sfumano l’una nell’altra attraverso un processo lento e graduale. Buona parte dei problemi connessi con la definizione di specie riguardano il fatto che per lungo tempo non è stato possibile definire chiaramente il processo di speciazione, ovvero capire i meccanismi evolutivi tramite i quali le specie si originano. La grande difficoltà di definire che cos’è la specie deriva infatti anche da una lettura del

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processo evolutivo in cui per decenni l’opzione gradualista è stata prioritaria. Secondo Niels Eldredge e Steven Jay Gould, paleontologi dell’American Museum of Natural History, questa visione fortemente verticale del cambiamento evolutivo ha determinato che i grandi scenari narrati dalla paleontologia fossero lasciati sullo sfondo e che venisse negata la realtà ontologica delle specie. Anche se Darwin aveva già evidenziato l’importanza dell’isolamento nei processi speciativi, fu Ernst Mayr a notare che speciazione, cambiamento dei ritmi evolutivi e fattori geografici erano tutti fattori necessari e strettamente collegati fra loro e fu in grado di formulare una nuova e rivoluzionaria teoria della speciazione. Eldredge e Gould proposero, quindi, un nuovo modo di spiegare l’origine delle specie: introdussero un modello di macroevoluzione da affiancare all’ipotesi

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gradualista. Essi chiamarono la loro ipotesi teoria degli equilibri punteggiati. Nella prospettiva di una teoria più estesa sulla macroevoluzione, le dinamiche che conducono alle speciazioni ed alle estinzioni assumono una loro autonomia e non sono riconducibili alle variazioni genetiche graduali su piccola scala (microevoluzione), perché fattori genetici verticali e fattori ecologici e geografici orizzontali si intrecciano e si integrano indissolubilmente.

La definizione di specie

Considerata l’unità più importante della biologia insieme al gene, la cellula, l’individuo e la popolazione locale, la definizione di specie ha avuto una storia travagliata. Mai una parola fu causa di controversie così forti. Il concetto di specie che abbiamo insito in noi deriva dall’antichità. Già Platone ed Aristotele attribuivano la parola specie a una classe di oggetti che condividessero alcune

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proprietà specifiche. Gli antichi, però, non avevano nessun concetto di ibridazione tra le specie: un cane poteva incrociarsi con una tigre o con una marmotta. Animali e piante erano caratterizzati da un’essenza immutabile detta eidos. Questa essenza si trasmetteva di generazione in generazione restando pressoché immutata. Le variazioni non erano ammesse se non come manifestazioni imperfette dell’eidos. L’avvento del cristianesimo non fece cambiare il concetto di specie. Per Sant’Agostino le specie erano “similia atque ad unam originem pertinentia” (esseri simili che hanno un’origine comune). Il dogma della creazione era ancora troppo forte per poter concepire il concetto di evoluzione. Il legame con i classici era ancora molto forte, si persisteva nell’idea di specie come insieme di individui aventi una stessa eidos. John Ray nella sua Historia Plantarum (1686) scriveva: “una specie non deriva mai dal

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seme di un’altra né viceversa”. La discendenza era concepita solo come derivante dalla coppia originata da Dio nei giorni della creazione. Si dovrà arrivare al 1700 perché alcune caratteristiche specifiche vengano riconosciute e permettano una classificazione dei viventi. Sebbene Linneo scriva nella sua Philosophia Botanica (1751) “Species tot sunt diversae, quot diversas formas ab initio creavit infinitum Ens" (Si contano tante specie quante sono le forme di vita differenti create in principio). Fu Linneo stesso a suggerire la prima catalogazione usando una dicitura binomia di riconoscimento: il genere e la specie. Theodosius Dobzhansky fu il primo a sviluppare una concezione gerarchica del concetto di specie., articolato in statica e dinamica. Secondo Dobzhansky la diversità deve essere ricercata in cause genetiche.

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Ernst Mayr è stato il primo a rendersi conto della dicotomia che circonda il concetto di specie e a riconoscere la realtà biologica del concetto di specie. Una cosa è riconoscere un oggetto, un’altra è definirlo. Mayr si è occupato della definizione di specie in termini epistemologici e, molto più raramente, del riconoscimento della specie nella pratica della ricerca tassonomica. Dare una definizione della parola specie è stata motivo di litigi fra naturalisti per molti anni. I concetti di specie maggiormente usati sono: - Concetto tipologico di specie

La specie è una classe di oggetti i cui membri condividono particolari proprietà. È una definizione essenziale per classificare gli organismi in base alla loro morfologia. Si basa sul presupposto che ogni specie ha caratteri propri ed è per questo facilmente ascrivibile ad un gruppo.

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Prevede la presenza di un modello (olotipo) di riferimento conservato in un museo o in una collezione. È una teoria completa? Serve ai tassonomi per classificare gli animali. È una teoria molto antica, usata da Linneo, e si basa principalmente sul fatto che tutti gli animali discendono da una coppia ancestrale creata da Dio e, per questo, non modificabile Perché non è corretto usare questa definizione? Non tiene conto delle variazioni intraspecifiche, cioè di quelle che possono esserci all’interno di una specie, compreso il dimorfismo sessuale. Non si applica a specie che hanno differenti stadi di sviluppo (es.: differenza tra larvale e adulto) Non si applica alle specie gemelle Non si applica ai resti separati di piante fossili. Non si applica a specie polifeniche. - Concetto fenetico di specie

È il livello al quale può essere osservato un gruppo fenetico distinto.

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È la revisione in chiave moderna del concetto tipologico di specie. Il concetto fenotipico, al contrario del concetto tipologico, riconosce una variabilità all’interno della specie. Recentemente il concetto è stato ripreso da Nixon e Wheeler per la loro definizione di concetto filogenetico di specie. Definiscono la specie “il più piccolo aggregato di popolazioni (sessuate) o linee (asessuate) diagnosticabili grazie ad una combinazione esclusiva di stati di caratteri in individui confrontabili” (Nixon e Wheller, 1990). Risolve i problemi del concetto tipologico? Si applica alle specie polifeniche ma non risolve il problema delle piante fossili né tanto meno quello delle specie gemelle. Le specie gemelle sono simili in tutto, dal punto di vista dell’aspetto e da quello della nicchia ecologica di appartenenza, ma incapaci di incrociarsi. Queste specie dal punto di vista fenotipico sono simili. Possiamo allora considerarle la stessa specie? No, perché dal punto di vista biologico appartengono a gruppi differenti.

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Progressi medici sono dovuti proprio alla scoperta di specie gemelle. Per esempio la scoperta che alla specie Anopheles maculipennis (zanzara portatrice della malaria) facevano capo ben sei specie gemelle permise di fare molti passi in avanti nella ricerca di un vaccino contro la malaria. - Concetto biologico di specie

La specie è una comunità riproduttiva di popolazioni (isolata riproduttivamente da altre) che occupa una nicchia specifica in natura (Mayr). La definizione di Mayr si basa sulla discendenza fertile degli incroci. Se due individui, che vivono in uno stesso ambiente, si riproducono e la prole a cui danno origine e in grado, a sua volta di riprodursi allora i due individui appartengono ad una stessa specie. È un concetto esaustivo? Non del tutto; infatti: - riesce a farci capire il perché all’interno di una specie tutti gli individui siano simili, ma non uguali. Ciò è dovuto a un rimescolamento del

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pool genico degli organismi, dal quale deriva la variabilità interna di una specie. - è anche in grado di spiegare adeguatamente perché esistano tante specie di individui e non un continuum organico. Secondo l’idea di Mayr l’isolamento fa sì che il “genotipo armonico” di una determinata specie sia protetto e la specie sia preservata. - è in grado di spiegare perché esistano le specie gemelle. Strettamente legato a questo concetto ce n’è un altro elaborato da Patterson sul riconoscimento del compagno (Specific Mate Recognition System, SMRS). Una femmina di una determinata specie sarà incline ad accoppiarsi con un maschio simile a lei perché i suoi organi sensoriali le indicheranno qual è il compagno più probabile. Ciò avviene soprattutto quando in un areale ristretto sono presenti più specie. Però non riesce a spiegare come: - si possano definire le specie asessuate e quelle con un ermafroditismo sufficiente. Le specie asessuali formano dei raggruppamenti fenici ben distinguibili, ma non classificabili se non con un

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continuum di specie. In poche parole una specie “sfumerebbe” nell’altra. - si definiscano le specie fossili. Non ci è dato di sapere se si incrociassero e se i loro incroci fossero fertili. Per quanto la paleoecologia possa venirci in soccorso anche dal punto di vista ecologico ci sono non pochi problemi nel riconoscimento delle nicchie di appartenenza. Per le specie fossili e per quelle asessuate, il criterio fenico risulta ancora offrire il miglior grado di distinzione fra le specie. - Concetto ecologico di specie

La specie è un raggruppamento di organismi che vivono nelle stesse nicchie ecologiche e che sfruttano le stesse risorse. Si basa sul fatto che la vita si presenta in forme differenti date dall’adattabilità degli organismi all’ambiente in cui vivono. È proprio l’ambiente a favorire l’interbreeding. Gli esseri viventi saranno portati a riconoscere i propri simili ed a favorire l’incrocio con essi. Si applica a tutti gli esseri viventi?

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- no, in particolare se ci si riferisce a popolazioni locali di specie di gran distribuzione: se una specie è largamente distribuita i suoi individui si possono trovare a dover occupare delle nicchie differenti per adattamento all’ambiente. - nel caso di specie simpatriche, quelle cioè che, per definizione occupano una stessa nicchia, non possono essere considerate la stessa specie. La competitività delle specie farà sì che si mantengano le caratteristiche specifiche anche vivendo in nicchie ecologiche diverse. Usiamo il plurale perché alcune specie cambiano nicchia ecologica secondo lo stadio di vita in cui si trovano, dal sesso a cui appartengono. Specie molto diverse possono convivere in uno stesso ambiente perché sfruttano risorse differenti.

Tutti gli altri concetti vengono esposti in maniera molto schematica nel box sottostante

Concetto di specie Definizione

Riferimento

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Biologico

comunità riproduttiva di popolazioni (isolata riproduttivamente da altre) che occupa una nicchia specifica in natura

Mayr 1940

Coesione la più grande comunità di individui aventi un potenziale genetico e/o demografico intercambiabile

Templeton 1989

Ecologico

un raggruppamento di organismi che vivono nelle stesse nicchie ecologiche e che sfruttano le stesse risorse

Van Valen 1976

Evolutivo

è il lignaggio che evolve separatamente da altri e che ha un proprio ruolo ed una propria tendenza evolutiva unitaria

Simpson

1961

Genetico

un gruppo di organismi che conserva eredità di caratteri e in cui ogni individuo può trasmettere i caratteri ai propri discendenti

Simpson

1963

Morfologico

il più piccolo gruppo di individui distinti

Cronquist

1978

Fenetico è il livello al quale può essere osservato un gruppo fenetico distinto

Sneath 1976

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Filogenetico

la più piccola unità biologica diagnosticabile monofileticamente

Nixon e Wheele

r 1990

Livello di lignaggio

il lignaggio identifica il livello di evoluzione di una popolazione prima che questa diventi clade

De Queiroz 1999

In realtà, è veramente difficile trovare una definizione di specie che metta d’accordo tutti: naturalisti, biologi, filosofi, ecc … Probabilmente, come sostiene Ludwig Wittgestein, è impossibile definire la specie se non come l’unione di più concetti.

Meccanismi di speciazione

Benché l’opera di Darwin si intitoli L’origine delle specie (1859) ben poche parti nel testo sono riservate all’analisi del processo speciativo e dell’evoluzione di nuove specie. Darwin sostiene l’idea che nuove specie si siano formate simpatricamente per riempire

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nicchie vuote, ritenendo dunque la speciazione simpatrica un importante motore della diversità biologica. Nell’idea di Darwin, ripresa poi dalla Sintesi Moderna, l’evoluzione graduale delle specie (tecnicamente nota come gradualismo filetico) comprende in realtà due processi distinti: � La trasformazione graduale di una specie,

il suo lento sfumare l’una nell’altra, che, per conseguenza, non prevede un aumento del numero delle specie esistenti simultaneamente (trasformazione filetica). Simpson sostenne che la trasformazione filetica è il meccanismo che spiega la comparsa di caratteri che rendono le specie sempre più adattate, e che ne consentono il progressivo differenziarsi. Questa idea del processo speciativo, qualora indicata come unico meccanismo di speciazione, non darebbe conto della biodiversità esistente. Inoltre, le estinzioni, che già al tempo di Darwin costituivano una innegabile evidenza,

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avrebbero decimato la diversità ed il numero delle specie. Per questo motivo è necessario introdurre un secondo meccanismo di speciazione.

� La graduale suddivisione di una specie ancestrale in due gruppi di specie discendenti (speciazione filetica). La speciazione filetica è l'unico processo che produce un aumento del numero delle specie.

Darwin e i teorici della Sintesi Moderna dopo di lui, hanno insistito moltissimo su un’idea di speciazione simpatrica e fortemente gradualista. Quest’idea porta strettamente con sé quelle di:

A) lentezza ed uniformità del processo speciativo

B) progressione, spinta dalla selezione naturale e dal continuo aumento dell’adattamento all’ambiente

C) continuità e pienezza, ovvero l’idea che un processo di

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divergenza graduale dovesse produrre tutti gli stadi intermedi fra una forma e l’altra.

Le continue mutazioni che avvengono a livello delle sequenze di DNA, e le conseguenti modificazioni delle frequenze geniche nel corso delle generazioni, unitamente all’azione della selezione naturale in grado di fissare le mutazioni vantaggiose per la sopravvivenza, sarebbero la causa dell’evoluzione e del differenziamento delle specie. In questo approccio, la macroevoluzione è interamente spiegabile con la microevoluzione (estrapolazionismo). Questa lettura verticale e fortemente gradualista dell’evoluzione e della speciazione ha spinto JSB Haldane, uno dei massimi teorici della Sintesi Moderna, a definire le specie, ancora nel 1956, come “una concessione alle nostre abitudini

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linguistiche ed ai nostri meccanismi neurologici”. Se la teoria della speciazione simpatrica continua a trovare credito ed è oggetto di studio e di approfondimento da parte di alcuni biologi evoluzionisti, la speciazione allopatrica risulta comunque essere il modello più convincente ed accettato nella comunità scientifica. Nel meccanismo di speciazione allopatrica assume molta importanza la deriva genetica teorizzata da Sewall Wright. In piccole popolazioni, infatti, la deriva genetica diventa il meccanismo dominante per il trasporto delle mutazioni; e bastano poche migliaia di generazioni per fissarle definitivamente e trasformare la popolazione in modo irreversibile. Esiste almeno un tipo di speciazione, la speciazione parapatrica, che sembra essere una via di mezzo tra il meccanismo simpatrico e quello allopatrico.

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I due più importanti meccanismi di evoluzione sono la selezione naturale e la deriva genica. Quest’ultimo processo è, per definizione, un evento di tipo stocastico, ovvero casuale. Un aspetto della deriva genica di particolare importanza è rappresentato dalla natura casuale della trasmissione degli alleli da una generazione alla successiva; soltanto una frazione molto piccola delle possibili combinazioni alleliche che si potrebbero ottenere combinando i genomi di due genitori si realizza in un individuo che nasce e diventa adulto. Questo individuo sarà a sua volta in grado di trasferire gli alleli ricevuti alla generazione successiva. In popolazioni molto ampie questo aspetto avrà poca consistenza, perché l’alto numero di individui prodotti in ciascuna generazione compenserà l’effetto della perdita casuale di alleli che non vengono ereditati, e molti

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diversi alleli tenderanno a circolare nella popolazione. In popolazioni di piccole dimensioni, diversamente, alcuni alleli diminuiranno moltissimo la loro frequenza nella generazione successiva, senza che sia in azione nessun tipo di forza selettiva, ma soltanto perché possono non essere ereditati. Questo processo di fluttuazione casuale procederà per diverse generazioni, e nel tempo potrebbe anche capitare che alcuni alleli non sopravvivano e si perdano per sempre, anche senza essere stati oggetto di selezione negativa. Queste piccole popolazioni isolate, nel giro di poche generazioni, potranno differire significativamente tra loro per un buon numero di alleli. Spesso si sente parlare di due casi particolari de deriva genica, l’effetto del fondatore ed il collo di bottiglia.

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La speciazione simpatrica

L’idea di speciazione simpatrica non è stata mai completamente accantonata, in quanto diversi casi illustrano un pattern evolutivo che sembra essere compatibile con un processo di questo tipo. Tuttavia, prima di definire la reale possibilità che un processo simpatrico possa aver avuto luogo, è necessario che vengano formulati rigorosi modelli matematici, effettuati esperimenti di laboratorio e studiati con molta cura i possibili esempi in natura. In tutti i modelli di speciazione simpatrica si riscontrano due principali problemi, che non sussistono invece nella speciazione allopatrica. In primo luogo l’antagonismo tra selezione e ricombinazione. In questo tipo di processo l’isolamento tra le specie deve avvenire solo a livello dell’habitat (ma all’interno di una stessa area geografica) in quanto l’isolamento da distanza, responsabile dell’evoluzione indipendente e

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della formazione di barriere riproduttive, non può intervenire. La ricombinazione genica potrà guastare l’associazione tra gli alleli che contribuiscono al successo in ciascuno degli habitat e gli alleli che consentono di riconoscere e preferire quel habitat, demolendo l’effetto della selezione naturale che tende a differenziare le specie intensificando la preferenza di un particolare e diverso ambiente in ognuna delle specie incipienti. Il secondo problema è quello relativo alla coesistenza. La speciazione simpatrica richiede infatti che le popolazioni sviluppino sufficienti differenze ecologiche che consentano loro di coesistere durante e dopo l’evoluzione delle barriere riproduttive. Le teorie più recenti propongono modelli di speciazione simpatrica basati su: - la selezione sessuale attraverso

l’accoppiamento assortativo ed il conflitto sessuale.

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- la selezione naturale disrupativa

La selezione sessuale attraverso l’accoppiamento assortativo

In molti casi di radiazioni evolutive, le specie sembrano differire maggiormente nei caratteri sessuali (specialmente in quelli secondari, cioè non nella morfologia dei genitali ma in tutte quelle caratteristiche correlate secondariamente con il sesso) che nell’adattamento ecologico. Il caso più rappresentativo è quello dei pesci ciclidi dei grandi laghi africani, che ha spinto a formulare modelli di speciazione simpatrica basati sulla selezione sessuale. La maggior parte di questi modelli prevede, secondo diverse modalità, un’iniziale evoluzione di due gruppi di femmine all’interno di una popolazione, dove ciascun gruppo preferisce maschi con differenti tratti morfologici. Tali modelli non spiegano sufficientemente il meccanismo di coesistenza delle nuove

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specie nello stesso habitat. Poiché esse sono isolate soltanto attraverso la discriminazione del partner, queste specie costituirebbero quello che per molti ecologi non può sussistere: due taxa diversi ecologicamente identici. Il problema della coesistenza sta alla base anche del modello proposto da Gavrilet e Waxman (2002) che incorpora le recenti teorie sul conflitto sessuale; quando gli interessi riproduttivi di maschi e femmine differiscono, le femmine possono evolvere tratti che diminuiscono la loro suscettibilità agli effetti deleteri dell’accoppiamento. Questo fatto produce una perpetua coevoluzione antagonistica dei sessi: i maschi evolvono per forzare l’incrementata resistenza delle femmine e le femmine evolvono per contrastare questo adattamento maschile. Questo meccanismo può frammentare la popolazione in due gruppi etologicamente isolati, ciascuno in

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grado di evolvere in una differente direzione. Gli autori stessi hanno però evidenziato che una successiva differenziazione ecologica deve intervenire per consentire la coesistenza stabile delle specie. Tutti i modelli di speciazione simpatrica che prevedono il solo intervento della selezione sessuale appaiono poco realistici. Per questa ragione sono spesso sostituiti o almeno associati a modelli basati sulla divergenza ecologica, che permette una coesistenza di lungo periodo delle due nuove specie e permettono l’intercorrere di tempi lunghi per l’evoluzione di successive barriere che isolino le specie. Una massa crescente di studi mostra infatti che una delle principali cause di divergenza tra popolazioni simpatriche sembra essere la specializzazione ecologica a particolari nicchie locali.

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La selezione sessuale disrupativa

I modelli della selezione naturale disrupativa richiedono l’evoluzione di tre tratti: 1) la preferenza di nicchia, cioè il fatto che le specie incipienti debbano differire geneticamente nelle loro preferenze di nicchia, preferenze che includono l’alimentazione, la deposizione delle uova, ecc 2) l’adattamento di nicchia, in quanto gruppi diversi presenti in uno stesso habitat devono differire geneticamente nella loro abilità di sopravvivenza nella nicchia 3) per completare la speciazione è necessario che si verifichi anche un accoppiamento assortativo all’interno di gruppi: gli occupanti di ciascuna nicchia devono tendere ad unirsi preferenzialmente con altri individui che hanno selezionato la medesima nicchia Differenti modelli hanno assunto diverse tipologie di accoppiamento assortativo:

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no-gene models dove l’accoppiamento assortativo è un effetto pleiotropico di geni che rispondono alla selezione per la preferenza o l’adattamento ad un habitat, un sottoprodotto dell’adattamento (Kondrashov, 1986; Rice, 1987; Doebeli, 1996) one-locus, two-alleles models, gli idividui con l’allele A1 si accoppiano di preferenza tra di loro, esattamente come accade per gli individui che possiedono l’allele A2 (Felstein, 1981; Johnson and Gullberg, 1998) one-locus, one-alleles models, dove un nuovo, specifico allele che permette agli individui di riconoscere ed accoppiarsi con gli individui che possiedono un genotipo o un fenotipo simile, viene fissato in tutte le popolazioni (Felstein, 1981) multilocus models, il modello più realistico, basato sulla genetica quantitative, che coinvolge l’azione di più geni per controllare tratti maschili e preferenza femminile (Johnson et al., 1996)

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Attraverso simulazioni al computer è stato messo in evidenza che i modelli in grado di evolvere più facilmente dando luogo ad eventi di speciazione simpatrica sono tuttavia i meno realistici.

La speciazione allopratica

La teoria della speciazione simpatrica ha dominato a lungo il campo, fino a quando Mayr (1963) ne riscontrò le debolezze di fondo, sostenendo l’idea che la maggior parte delle specie siano evolute per divergenza di popolazioni isolatesi dalla specie ancestrale. Mayr notò che vi era una correlazione tra origine di nuove specie ed eventi ambientali di natura geografica (formazione di catene montuose, di rift, di laghi, spostamenti del corso dei fiumi, abbassamenti del livello delle acque marine etc...) o climatica (glaciazioni, desertificazioni etc...). La teoria della speciazione allopatrica prevede infatti che

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una specie possa formarsi in un contesto geografico e ambientale diverso da quello della specie madre, in particolare quando una o più piccole popolazioni rimangono isolate al margine dell’areale della specie genitrice, costituendo quello che si definisce un isolato periferico. La barriera di natura geografica che si frappone tra la popolazione originaria e l’isolato periferico impedisce il flusso genico; meccanismi quali la deriva genica e la selezione naturale operanti nelle due popolazioni promuovono la divergenza e l’evoluzione di meccanismi di isolamento intrinseci. Tale evento può essere seguito da successive ricolonizzazione dei territori ancestrali, con il ristabilimento delle condizioni di simpatria. In questi casi, qualora le barriere interspecifiche che impediscono l’accoppiamento non si siano completamente sviluppate, nelle zone di sovrapposizione possono verificarsi eventi di ibridazione. Naturalmente solo un’esigua

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proporzione delle popolazioni periferiche arriva all’effettiva produzione di una specie nuova. La velocità del processo di speciazione è inversamente proporzionale alle dimensioni della popolazione coinvolta: pur essendo un meccanismo fedelmente darwiniano di accumulo continuo di mutazioni genetiche sotto l’effetto della selezione naturale, la velocità dell’evento speciativo può variare in base al numero degli individui coinvolti nella deriva. Tra le barriere intraspecifiche, vi sono anche nuove tattiche comportamentali, che si possono sviluppare rapidamente e con un effetto a cascata all’interno di una popolazione.

Meccanismi di isolamento

Fra le tante definizioni di specie, si è visto che, per gli organismi a riproduzione gametica (sessuale), è possibile caratterizzare in modo abbastanza efficace

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una specie in base alle possibilità di incrocio tra i membri che ne fanno parte; tale possibilità comporta l'affermarsi di un "pool genico" simile tra i diversi componenti di una stessa specie e diverso da quello di altre. Ogni specie tende a conservare nel tempo e nello spazio tale caratteristica: essa, cioè, tende di fatto ad isolarsi riproduttivamente da tutte le altre. Tale isolamento viene garantito e mantenuto da una serie di meccanismi che vanno sotto il nome di "barriere riproduttive" e che rappresentano il più importante insieme di attributi biologici che una specie possiede in quanto, in definitiva, costituiscono i criteri stessi della sua determinazione. Il termine "isolamento” può riferirsi a due fenomeni distinti, molto diversi tra loro: l'isolamento spaziale (geografico) e l'isolamento riproduttivo. Il tipo di isolamento necessario alla creazione di barriere riproduttive che impediscono il flusso genico

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tra individui appartenenti a due diverse specie è l’isolamento riproduttivo. Esso si può attuare con più modalità; si distinguono infatti meccanismi di isolamento pre-zigotici e post-zigotici. � I meccanismi pre-zigotici sono quelli

che agiscono prima della fecondazione e della formazione dell’embrione.

- Isolamento temporale. Si riscontra frequentemente tra gli insetti ed altri invertebrati; esso è ricollegabile al fatto che due potenziali partner in condizione di potersi riprodurre per incrocio non si incontrano a causa di differenze nelle rispettive stagioni riproduttive.

- Un caso specifico di isolamento riproduttivo di tipo temporale esiste, ad esempio, in coppie di specie affini di cicale: in ciascuna coppia una specie appare ogni 13 anni, l'altra ogni 17 anni, in modo tale che le due specie hanno

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l'opportunità di incontrarsi e fecondarsi una sola volta ogni 221 anni!

- Isolamento provocato dall'habitat. Un tipico esempio di questo tipo di meccanismo isolante è quello che si riferisce a due specie affini di rospo (Bufo) che interagiscono con habitat diversi: il B. fowleri utilizza stagni, paludi e grandi pozze d'acqua piovana come luogo preferenziale per riprodursi e non si riproduce, al contrario, in fosse poco profonde e nelle pozze di rigagnoli che sono, invece, in larga misura utilizzate dall'altra specie, B. americanus. Meccanismi dello stesso tipo intervengono anche nei vegetali, in quanto alcune piante, come è noto, possono svilupparsi solamente in certi tipi di suolo, alcune in terreni molto umidi, altre in terreni completamente asciutti, e cosi via.

- Barriere etologiche. Essi si basano sulla produzione e ricezione di stimoli

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particolari da parte dei partner sessuali in occasione del corteggiamento. I maschi di molte specie presentano particolari e specifici metodi di corteggiamento, ostentano cioè quelli che nel complesso solo le femmine della loro stessa specie possono recepire. Si conoscono molti tipi diversi di stimoli: visivi, auditivi, chimici. Sono state, inoltre, identificate sostanze specifiche, note come "feromoni" le quali giocano un ruolo determinante nel riconoscimento specifico di molti animali, in particolare degli insetti e dei mammiferi.

- Isolamento meccanico/anatomico. Costituisce solo in parte una barriera pre-zigotica in quanto esso talora consente l'accoppiamento, anche se poi impedisce o limita il trasferimento degli spermatozoi grazie a specifiche differenze anatomiche dei rispettivi genitali. Differenze nella forma e nelle dimensioni relative dei

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genitali possono rendere impossibile, o molto difficoltosa, la copulazione in molti animali; allo stesso modo differenze morfologiche del fiore possono ostacolare o impedire l'impollinatura in molte piante.

- Isolamento gametico. Riveste una particolare importanza essenzialmente negli organismi acquatici in cui si ha fecondazione esterna. In questi casi si instaurano dei meccanismi che impediscono o riducono fortemente l'attrazione tra gameti che non siano conspecifici. Ad esempio, in molti ricci di mare specie diverse emettono gameti nello stesso periodo di tempo, ma la fecondazione risulta sempre omogametica, avviene, cioè, sempre tra uova e spermatozoi appartenenti alla stessa specie. Allo stesso modo si possono realizzare barriere di questo tipo anche in organismi a fecondazione interna nei quali gli spermatozoi possono

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incontrare reazioni antigeniche nei dotti genitali femminili, venendo così inattivati prima di avere qualche possibilità di raggiungere l'uovo.

- Le barriere pre-zigotiche sono, nella maggior parte dei casi, molto efficaci, impedendo quasi sempre gli incroci interspecifici.

� I meccanismi post-zigotici entrano in azione solo dopo che è avvenuta la fecondazione. Se tutta la serie di barriere pre-zigotiche dovesse fallire, interviene un secondo sistema che impedisce la riuscita di una eventuale ibridazione: i potenziali partner sessuali portano a compimento la copula ma, o nessuna prole viene generata oppure la prole eventualmente prodotta presenta vitalità e fertilità molto ridotte o nulle.

- “Mortalità zigotica”. Si realizza allorquando l'uovo viene fecondato ma lo zigote che ne deriva non inizia uno

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sviluppo regolare e, pertanto, abortisce precocemente. In altri casi lo zigote riesce ad intraprendere lo sviluppo, ma questo può interrompersi a diversi livelli. Per esempio si conoscono casi di fecondazione tra pecore e capre, ma gli embrioni ibridi muoiono precocemente nei primi stadi dello sviluppo; al contrario sono noti casi di ibridazione tra rane del gruppo Rana pipiens nelle quali lo sviluppo può arrestarsi in uno stadio anche molto avanzato.

- Sterilità dell'ibrido. In altri casi lo zigote può produrre un ibrido di ridotta vitalità, oppure lo zigote risulta pienamente vitale ma parzialmente o completamente sterile. La molteplicità dei meccanismi isolanti comporta il coinvolgimento di un notevole numero di geni; i meccanismi isolanti presentano un'alta specificità ed ogni specie costituisce un sistema genetico

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delicatamente integrato, selezionato attraverso molte generazioni per adattarsi ad una ben determinata nicchia ecologica. L'ibridazione comporterebbe una rottura di un tale sistema ed avrebbe come conseguenza la produzione di tipi disarmonici. E' compito, appunto, dei meccanismi isolanti di impedire tale rottura e di proteggere l'integrità del sistema genetico di ciascuna specie.

Tattiche comportamentali

Nei dibattiti relativi all’evoluzione ha dominato a lungo l’idea di un ruolo quasi esclusivo della componente genetica nel processo evolutivo, e pochi sforzi sono stati compiuti nel tentativo di analizzare gli effetti dell’ambiente sul fenotipo e le relative conseguenze evolutive. Più recentemente, sono invece stati fatti importanti progressi nel tentativo di integrare ruolo dell’ambiente, sviluppo e biologia evoluzionistica.

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Sia la morfologia sia il comportamento sono tratti plastici. Diversi autori hanno messo in evidenza che è spesso il comportamento il primo aspetto del fenotipo che evolve in una nuova direzione e che porta una popolazione ad occupare un nuovo habitat o a realizzare una nuova nicchia. La plasticità comportamentale evolve più rapidamente di quella morfologica grazie alla maggior abbondanza di meccanismi in grado di regolare l’espressione di risposte adattative immediate (come quelle comportamentali). Come dimostra l’esempio degli insetti sociali, esiste un meccanismo di amplificazione a cascata dei tratti comportamentali dovuto alla plasticità: un singolo piccolo cambiamento comportamentale da parte della progenie femminile (il riutilizzo del nido parentale, ad esempio) può comportare una catena di effetti, che non richiedono alcun cambiamento genetico, quali la formazione di gruppi, la cura delle larve da parte delle

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femmine subordinate sterili ecc. L’evoluzione di una risposta morfologica plastica adattativa richiede invece un meccanismo che operi molto presto nello sviluppo ontogenetico in modo da indirizzare lo sviluppo di un appropriato tratto morfologico; questo fatto limita fortemente la plasticità morfologica. Anche quando un particolare fenotipo è più efficiente nella maggior parte delle situazioni e per la maggior parte degli individui, un fenotipo alternativo, vantaggiosamente associato a particolari condizioni o a particolari tratti, può essere positivamente selezionato. Tale fenotipo può persistere ed essere elaborato accanto al fenotipo superiore, poiché viene espresso in quelle condizioni in cui è più vantaggioso. La selezione può produrre un’evoluzione divergente dei fenotipi senza che vi sia alcun isolamento riproduttivo tra le forme. Tra gli esempi più significativi e familiari di

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evoluzione di alternative morfologiche complesse controllate da cambiamenti sensibili alle condizioni esterne (condition-sensitive switches) vi sono le regine e le operaie degli insetti sociali e i maschi major e minor degli scarabei e di altre specie di insetti.

La speciazione parapratica

La speciazione parapatrica è un modello di compromesso: prevede che una parte della popolazione distribuita ai margini dell’habitat vada incontro a cambiamenti; le due distribuzioni così formatesi non si sovrappongono e la popolazione ai margini, pur non essendo effettivamente separata dalla popolazione centrale, ha tuttavia con essa ridotte possibilità di incrocio, il flusso genico molto debole è consentito solo in una fascia limitata.

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Deriva genetica – L’effetto del fondatore

L’effetto del fondatore si verifica quando colonie isolate vengono originate da un ristretto numero di “pionieri”, di individui fondatori. Uno stormo di uccelli può, per esempio, perdersi durante la migrazione o in conseguenza di una tempesta e colonizzare un nuovo territorio. Una colonia di api può essere trasportata ed insediata da un apicoltore in una nuova area. Se l’isolamento dei fondatori si protrae a lungo può formarsi una nuova popolazione nettamente diversificata da quella di origine. In alcuni casi, questo fenomeno è stato responsabile dell’origine di nuove specie. Anche nella specie umana sono stati osservati casi interessanti di effetto fondatore: può accadere che piccoli gruppi di persone si spostino per motivi politici e religiosi. In questi casi non è insolito che le

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frequenze alleliche siano anche molto diverse da quelle della popolazione parentale. Un esempio molto menzionato di effetto del fondatore è quello relativo alle popolazioni Amish: un centinaio di individui di questo gruppo religioso, sfuggendo alla persecuzione, migrarono dalla Svizzera alla Pennsylvania tra il 1720 e il 1770. In seguito, praticamente tutti gli Amish della Pennsylvania si concentrarono nella contea di Lancaster dove sono rimasti riproduttivamente isolati dagli altri Americani. Nel 1964, quando la popolazione era arrivata alle 8000 unità, il genetista Victor McKusick studiò a fondo gli Amish e scopri una frequenza insolitamente elevata della "sindrome di Ellis - van Creveld". Come si poteva spiegare questo fenomeno? L’allele venne introdotto nel 1744 da una coppia di immigrati e quindi trasmesso per endogamia (ovvero continuo incrocio tra individui appartenenti allo stesso gruppo,

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talvolta anche all’interno di stesse famiglie) di generazione in generazione, un chiaro esempio di effetto del fondatore. Inoltre, il caso volle che i portatori degli alleli responsabili della sindrome avessero più figli della media degli Amish, aumentando così la frequenza dell’allele per deriva genica. La combinazione di frequenza inizialmente elevata negli immigranti (1 o 2 su 200) e dell’effetto fondatore ha portato alla situazione attuale, in cui i casi di sindrome di Ellis-van Creveld sono più numerosi nella contea di Lancaster che nel resto del mondo. Un altro caso di deriva genica molto citato è quello che riguarda le diverse tribù degli Indiani d’America; essi presumibilmente derivano da popolazioni mongoliche asiatiche dalle quali un piccolo gruppo di individui partì alla scoperta del territorio americano attraverso lo Stretto di Bering. Prendendo in considerazione i gruppi sanguigni AB0, alcune tribù indiane presentano un’elevata

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frequenza del gruppo 0, mentre altre (ad esempio quelle che abitano le regioni del Canada meridionale) presentano, a differenza di tutte le altre popolazioni umane, un’elevatissima frequenza dell’allele per il gruppo A. Nelle popolazioni orientali asiatiche compaiono tutti i gruppi sanguigni e il gruppo 0 è relativamente scarso. Probabilmente, gli alleli portati casualmente dal gruppo che è migrato in America sono responsabili delle insolite frequenze dei gruppi sanguigni negli Indiani d’America.

Deriva genetica – L’effetto collo di bottiglia

L’effetto collo di bottiglia si verifica quando una popolazione viene ridotta drasticamente di numero (si dice che la popolazione subisce un collo di bottiglia, ovvero passa da un gruppo ampio ad un gruppo costituito da pochi individui: tale restringimento si può rappresentare

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graficamente con un forma che somiglia ad un collo di bottiglia) e si ha una perdita di variabilità genetica dovuta più al caso che all’azione della selezione naturale. Una perdita di variabilità genica è stata documentata nell’elefante marino (Mirounga angustirostris) e nel ghepardo (Acinonyx jubatus). Nell’Ottocento l’elefante marino fu cacciato fin quasi all’estinzione tanto che alla fine di quel secolo ne sopravvivevano solo circa 20 esemplari. Gli elefanti marini si riproducono in harem composti da un gruppo stabile di femmine con a capo un maschio; grazie a una politica di protezione, la popolazione è oggi cresciuta a circa 30.000 individui, ma le analisi biomolecolari mostrano che tutti gli elefanti marini sono quasi identici dal punto di vista genico; a causa della scarsa variabilità genica, questa specie ha quindi una potenzialità di evolversi in risposta alle variazioni ambientali notevolmente ridotta e,

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in definitiva, benché il numero di individui si sia accresciuto, la specie nel suo complesso è ancora da ritenersi in pericolo di estinzione. I ghepardi presentano lo stesso problema, benché si ignori a che cosa sia dovuto, storicamente, il collo di bottiglia che hanno subito. Quindi, anche i ghepardi potrebbero essere in grande pericolo nel caso intervengano piccoli cambiamenti ambientali. Nella specie umana, si cita spesso il caso degli Ebrei Ashkenaziti in cui l’elevata frequenza della malattia di Tay-Sachs, che causa una degenerazione del sistema nervoso, è attribuita al fatto che la popolazione durante il Medio Evo venne perseguitata e sterminata provocando il fenomeno del collo di bottiglia. In generale, la deriva genica porta, a breve termine, alla riduzione della variabilità ereditaria, che poi può essere ristabilita ad un livello normale nel corso delle generazioni grazie al fenomeno della mutazione e

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qualora il numero di individui ritorni consistentemente elevato.

La distribuzione delle specie

La biogeografia si prefigge di classificare gli esseri viventi su basi ecologiche climatiche ed evolutive. Lo studio di questa disciplina ha permesso di dividere la terra in regioni biogeografiche. Dobbiamo premettere che queste regioni sono state delineate da zoogeografi (che si occupano di definire le regioni in base alla fauna) e non da fitogeografi (che la definiscono in base alla flora). Tra le zone biogeografiche esistono delle zone di transizione dette wallacee I fattori che determinano la distribuzione di una specie sono dati dalla sua ecologia, dal clima, ma anche dalla distribuzione del cibo. Per questo le specie con maggiori adattamenti all’ambiente hanno una

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distribuzione maggiore rispetto a quelli con minor tolleranza alle variazioni ambientali. La diversità ecologica si chiama biodiversità. L’indice di biodiversità si basa sul numero di specie viventi in un determinato spazio geografico. Un ambiente ha un’ampia biodioversità non soltanto se contiene un elevato numero di specie ma se tutte le specie sono rappresentate da un alto numero di individui. Ad esempio un areale in cui una specie occupa il 90% del territorio, seppur con un numero di specie elevato, non è considerato ad alta biodiversità. I fattori ecologici e climatici sono fortemente correlati alla varietà di specie. La biodiversità dei poli è minore rispetto a quella dell’equatore. Questo indice si abbassa in presenza di stress ambientali (freddo) o chimici (inquinamento). Un’area ad alta variabilità genetica è detta hot spot.

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Per capire la distribuzione delle specie è necessario comprendere anche la loro relazione evolutiva. Dato che una specie discende dai propri genitori, gli individui nasceranno nello stesso areale di origine. Saranno dunque le esigenze della specie ancestrale a definire l’areale di distribuzione.

1.Afrotropicale, 2. Antartica, 3. Australoasiatica, 4.

Neotropicale, 5. Olartica, 6. Orientale. In giallo le zone

di transizione

La storia di un gruppo nello spazio è ambigua. Mentre si può risalire alla cladogenesi della specie non sempre è

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possibile risalire alla zona di nascita. Anche se la divisione della superficie terrestre in zone può aiutarci, le linee di demarcazione di ogni regione non sono poi così nette come saremmo tenuti a pensare. Per questo le zone di transizione sono molto vaste. Tali zone sono dette anche wallacee dal nome di Alfred Russell Wallace che per primo si cimentò nel difficile compito delle demarcazioni fra due regioni attigue.

Gli hot spot

La distribuzione degli hot spot nel mondo

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La biodiversità, come detto, non è misurabile solo dal numero di specie presenti in un territorio, ma anche dall’abbondanza delle specie in esame. In genere, nel calcolo della biodiversità di un’area, si utilizza un taxa alla volta, sia perché non è pensabile di conoscere in modo esatto il numero degli individui di ogni singolo taxon presenti nell’area sia per poter fare paragoni mirati con altre aree, relativamente ai gruppi in esame. Utilizzando questa metodologia, ad esempio, è possibile definire l’isola di Sri Lanka come hot spot per gli Anfibi anuri: in un’area di appena 750 Km2 sono presenti ben 140 specie di questi anfibi, contro le 21 specie presenti nel territorio italiano che è almeno 400 volte più esteso.

La linea di Wallace

Durante le sue esplorazioni dell’arcipelago malesiano, Wallace prese nota di tutti gli

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uccelli che incontrava sulle isole a mano a mano che si allontanava dall’isola principale. In base alle rielaborazioni dei dati, notò che c’era una separazione tra lo stretto di Makasar, il Borneo ed il gruppo del Celebes. Disegnò così una linea che divideva queste isole sulla cartina geografica.

La linea di Wallace larga solo 15 miglia separa gli areali dei placentati da quello dei marsupiali. Rimarcò che le differenze tra gli animali di un’isola rispetto ad un’altra erano pari alle differenze fra il Sud America e l’Africa. Era il 1858, ancora non si aveva modo di osservare

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il fondale oceanico, ciò nonostante Wallace arrivò a dedurre che un gruppo di isole si fosse originato indipendentemente dalle altre. Solo sulla base della distribuzione faunistica. Solo cento anni più tardi si ebbe modo di constatare che la linea di Wallace attraversa l’area dove la placca australiana interagisce con la placca pacifica. Wallace definì per primo le regioni biogeografiche in base a differenti criteri. Considerò principalmente l’importanza dei reperti fossili, soprattutto per quanto concerne la ricostruzione del paleoclima. La predazione, la competizione ed i fattori biologici vennero considerati da Wallace alla base della distribuzione, della dispersione e dell’estinzione delle specie. Partì dal presupposto che areali disgiunti fossero areali anticamente uniti derivanti dall’estinzione della parte centrale di questi ultimi, e che la distribuzione su lunga

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distanza fosse non solo possibile ma anche il meccanismo alla base delle speciazione insulari. Capì per primo che la speciazione avviene per isolamento. Partendo da questi concetti riuscì a formulare la sua teoria, che è alla base del dispersionismo: 1. ogni gruppo tende a speciarsi; 2. la dispersione parte dal centro di origine, 3. i bioti attuali possono provenire da uno o

più centri di origine; 4. la direzione seguita indica i principali

canali di dispersione; 5. i cambiamenti geologici e climatici sono

fondamentali; 6. la dispersione avviene prima della

speciazione.

Gli equilibri punteggiati

Già al tempo di Darwin alcuni paleontologi avevano messo in evidenza molti casi in cui nella documentazione fossile non era

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osservabile un cambiamento continuo e graduale delle specie e non tutte le morfologie intermedie tra una specie e l’altra erano rintracciabili. Darwin dedica un capitolo dell’Origine delle specie, il nono, a discutere l’”imperfezione della documentazione geologica”. In questa sezione, egli attribuisce l’evidente discrepanza tra la previsione teorica (un’evoluzione uniforme e graduale) e osservazioni reali (fossili che variano in modo piuttosto repentino lungo una sezione geologica) all’estrema incompletezza della documentazione fossile. Invece di essere considerati un problema intrinseco al processo speciativo, il cambiamento repentino, l’assenza di continuità e gradualismo della modificazione e la presenza di lunghe stasi nel cambiamento morfologico, la Sintesi preferì collocare queste incongruenze tra i problemi intrinseci al dato paleontologico, tra le

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anomalie del paradigma evoluzionistico comunemente accettato. Nel 1972, due paleontologi dell’America Museum of Natural History di New York Stephen Jay Gould e Niels Eldredge pubblicarono in Models in Paleobiology un articolo intitolato “Gli equlibri punteggiati: un’alternativa al gradualismo filetico”, nel quale veniva proposta un’integrazione del modello di speciazione allopatrica con l’informazione proveniente dalla documentazione fossile per spiegare la regolarità con cui in paleontologia si riscontrano modelli di speciazione che non possono essere spiegati dal gradualismo filetico. Abbiamo visto che il termine gradualismo filetico è il nome che oggi si dà al gradualismo classico di Darwin nella forma che venne adottata prima da Simpson e poi da tutti gli autori della Sintesi Moderna. Una alternativa a questo concetto, pertanto, sembrò una sfida aperta al darwinismo, alla

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selezione naturale ed all’intera Sintesi Moderna, ma in realtà Gould ed Eldredge avevano in mente un altro obiettivo. Il loro modello non costituisce affatto un attacco a Darwin, di cui entrambi i paleontologi sono convinti sostenitori, ma un serio tentativo di prendere atto che la macroevoluzione è più complessa di quanto era stato immaginato fino ad allora. Essi sono consapevoli che il quadro geologico è sicuramente incompleto, ma questa caratteristica della speciazione è talmente frequente e ripetitiva nella documentazione fossile che non può più essere considerata un’eccezione.

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Una delle conseguenze più dirette della teoria della speciazione allopatrica è che le nuove specie non hanno origine nel posto dove vivevano i loro antenati. E' quindi estremamente improbabile che si possano trovare i documenti della speciazione negli stessi strati che documentano la storia di una specie. Inoltre, l’isolamento geografico, accoppiato all’azione della deriva genica e della selezione naturale che agisce in un contesto ambientale nuovo determinano il rapido differenziarsi della popolazione che origina la nuova specie. Gould e Eldredge

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insistettero anche sul fatto che la stasi è un fatto sperimentale della paleontologia, e bisogna prenderne atto anche se non riusciamo a spiegarlo in modo adeguato. La stasi è un fenomeno attivo, perché le specie possono realizzarla solo con meccanismi che si oppongono attivamente al cambiamento continuo

La stasi e l’habitat tracking

Naturalmente stasi non significa assenza totale di qualunque cambiamento, in quanto nel corso del tempo, sebbene non sia riscontrabile nessuna forma di cambiamento frutto dell’accumularsi di modificazioni graduali, esistono delle fluttuazioni rispetto ad una forma media. Se la somma di tutte le variazioni rispetto alla media nel corso del tempo risulta inferiore o comparabile alla variazione che c’è livello geografico in uno stesso momento si può affermare che vi è

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stasi. Osservare un evento di punteggiatura è invece alquanto raro. A questo punto, però, Gould e Eldredge si accorgono che la loro teoria ha una conclusione teorica dirompente. Se tutte le specie operano attivamente per la loro conservazione, allora non si può più dire che esse si trasformano in modo graduale per adattarsi sempre meglio alle condizioni ambientali e ad un contesto in continuo mutamento. Questo è precisamente il meccanismo che il gradualismo filetico invoca per spiegare la macroevoluzione, ma sembra proprio che non si possano avere tutti e due i fenomeni: o è illusoria la stasi o è illusorio il gradualismo filetico. E poiché la stasi è ciò che i fossili documentano sperimentalmente, Gould e Eldredge si vedono costretti a rifiutare il gradualismo filetico, anche se questo significa riconoscere che non abbiamo più una spiegazione soddisfacente per la macroevoluzione. Gould ed Eldredge

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naturalmente non negano che possano esistere anche forme di cambiamento graduale e direzionale, che essi possono spiegare in termini di dinamiche popolazionali, ma sostengono a gran voce che la macroevoluzione non è sempre riconducibile alla microevoluzione, in quanto fattori genetici verticali (che hanno a che fare con l’ereditarietà e con i cambiamenti generazionali) e fattori geografico - ecologici orizzontali si integrano indissolubilmente; questo, naturalmente, mantenendo salda l’idea che alla scala temporale degli individui si hanno la gradualità dell’accumulo delle variazioni e la selezione naturale come motore che fissa i cambiamenti. Oltre che per il fatto di rappresentare un’aperta critica all’estrapolazionismo ed al gradualismo, il modello degli equilibri punteggiati risultò difficile da accettare per molti evoluzionisti perché poneva il grosso problema della stasi; se l’accelerazione di

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mutamenti che si osserva durante le punteggiature poteva anche essere giustificato in un’ottica gradualista da un aumento della pressione selettiva con una conseguente accelerazione del ritmo evolutivo, come spiegare, invece, la stasi?L’idea che la stasi possa rappresentare solo un effetto dell’adattamento ottimale alla nicchia non è una spiegazione sufficiente, in quanto è possibile evidenziare che molte specie rimangono stabili anche a fronte di significativi mutamenti ambientali. Falconer, un naturalista contemporaneo di Darwin, evidenziò il problema già in una lettera scritta a Darwin stesso nel 1862: “Non vi spaventate per questo invio. Desidero mettermi a posto con voi prima di andare in stampa. Sto per pubblicare un cospicuo saggio sugli elefanti - un omnium gatherum con osservazioni sulle specie fossili e contemporanee. Una sezione è dedicata alla immutata persistenza di caratteri specifici dei mammut. Li ho analizzati prima dell’inizio delle glaciazioni, durante e dopo

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di esse, e li ho trovati immodificabili ed immutati in apparati come il sistema digerente (i denti) e locomotorio. Ora, il periodo delle glaciazioni non fu uno scherzo: avrebbe trasformato i vostri amati piccioni e le vostre colombe in anatre e paperi.” Si potrebbe ipotizzare che un flusso genico elevato tra popolazioni di una specie abbia una funzione normalizzante, che limita la variazione, e che solo la separazione geografica permette lo sviluppo di varianti localmente adattate. Tuttavia non sembra che questo meccanismo possa essere sufficiente mantenere la stabilità per archi di tempo molto lunghi. Le specie, così come i singoli individui, potrebbero costituire delle entità regolate omeostaticamente, in grado pertanto di opporsi, di contrastare il cambiamento. Solo la concomitanza di isolamento geografico e di riduzione del flusso genico combinato con l’azione della deriva genica e della selezione naturale nel nuovo ambiente

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sarebbero in grado di spezzare quest’equilibrio. Eldredge preferisce attribuire la stabilità ad un più semplice meccanismo di inseguimento dell’habitat (habitat tracking), in cui le popolazioni durante fasi di cambiamento tendono a seguire, qualora possibile, l’ambiente a loro più congeniale (per esempio spingendosi più a sud durante un periodo glaciale in cui il clima si raffredda) e che non le spinge a riadattarsi, a variare per rintracciare una nuova soluzione di equilibrio.

La fossilizzazione

La fossilizzazione è l’insieme dei processi fisico chimici che consentono la conservazione dei resti organici 1. morte dell’individuo 2. l’organismo cade sul fondo del bacino.

Iniziano i processi di decomposizione da parte di batteri saprofagi. Affinché si

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fossilizzino, i resti devono essere sepolti rapidamente dai sedimenti

3. la sedimentazione continua formando numerosi strati al di sopra di quello in cui è contenuto il resto. Fenomeni geologici come le orogenesi possono poi portare l’insieme degli strati in superficie

4. la pioggia e il vento possono disgregare parte degli strati portando alla luce i resti che si sono fossilizzati

Molti fattori possono intervenire a vari stadi dei processi di fossilizzazione e interromperli. E’ un fatto che tra le specie fossili, le più abbondanti sono sicuramente quelle marine, poiché in acqua la sedimentazione avviene in modo più continuo La pietrificazione è il processo attraverso cui i resti vengono litificati; la carbonizzazione, invece, è un processo legato all’azione di batteri anaerobi che apporta un arricchimento in carboni. La distillazione consiste nell’eliminazione delle

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sostanze volatili, senza l’intervento di batteri, che lascia una sottile pellicola carboniosa. L’incrostazione è un processo che avviene in resti di organismi che vivevano, o sono stati trasportati, nei pressi di corsi d’acqua molto ricchi di sostanze minerali che vanno a depositarsi sugli organismi.

Le estinzioni e i trend macroevolutivi

L’estinzione è la scomparsa definitiva di un taxon (sia a livello di specie, sia a livelli tassonomici più elevati). E’ considerato un processo naturale nella storia della vita sulla Terra; in pratica, nei taxa, è l’equivalente della morte nell’individuo. Dallo studio del record fossile si può supporre che la maggior parte delle specie esistite sul nostro pianeta siano oggi estinte, e che solo una minima parte continui a sopravvivere: le specie fossili sono raggruppate in circa 35.000 generi e 4.000

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famiglie, ma solo un quarto di queste famiglie vivono ancora. Già Darwin, nello sviluppo della teoria della selezione naturale, esprime il concetto di estinzione come punto inevitabile della storia di una specie. Secondo la teoria darwiniana l’evoluzone di nuove varietà in una specie può portare all’evoluzione di una nuova specie, con vantaggi su quelle preesistenti che concorrono alle stesse fonti. Nella visione di Darwnin, l’estinzione interviene quando una specie con caratteri più progrediti, entra in competizione con la specie progenitrice, in cui i nuovi caratteri “più progrediti” mancano. Per Darwin, l’evoluzione è un processo graduale; se tuttia la storia del nostro pianeta fosse visibile negli strati sedimentari, si potrebbe osservare un continuum evolutivo da specie meno progredite fino alle specie attuali. In tempi più recenti, studiosi come George Gaylord Simpson ritennero che la

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competizione intraspecifica è in rarissimi casi la causa di estinzione per le specie o taxa di livello superiore. Per Simpson solo in pochissimi casi si può intravedere la competizione tra specie per il predominio di una nicchia ecologica. per la maggior parte del record fossile si osserva che un gruppo dominante in una nicchia si estingue, lasciando vuota la zona prima che un altro gruppo adatto divenga abbondante. Ad esempio gli ittiosauri si estinsero molti milioni di anni prima che i cetacei li rimpiazzassero nell’ecosistema marino o, fatto più noto, l’estinzione dei dinosauri precede la radiazione adattativi dei grandi mammiferi terrestri. Riguardo al problema della gradualità durante le estinzioni, G.G. Simpson non si espone; egli teorizza un’evoluzione a gradini, in cui successivi gradini strutturali sono la norma nel dato paleontologico e non linee evolutive e filettiche dirette e sequenziali.

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Attualmente si suddividono le estinzioni in due categorie principali:

A. estinzioni di fondo

B. estinzioni di massa

Oggi si ritiene che la causa principale delle estinzioni di massa sia la distruzione degli habitat delle varie specie, ammettendo che questo fenomeno avvenga in modo talmente rapido e drastico da non consentire la migrazione o l’evoluzione di forme più adatte nella specie. Le cause che portano alla distruzione dell’ambiente sono numerose ma raggruppabili in due categorie principali

1. cause fisiche

2. cause antropiche

Il record fossile del fanerozoico testimonia cinque grandi estinzioni di massa, a cui sono associate almeno un ventina di estinzioni di minore entità.

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Studi recenti hanno apportato nuove conoscenze ed ipotesi al concetto di estinzione, sia in chiave ecologica che in chiave evolutiva. Recenti scoperte paleontologiche evidenziano come un’analisi esclusivamente statistica del numero dei taxa che scompaiono non renda giustizia ad eventi di notevole portata ecologica. In questa nuova ottica, ad esempio, l’estinzione di fine Cretacico, , che è considerata quella di minore entità analizzando solo la percentuale di famigli perse (14,7% marina, 6,3% terrestri), diviene la seconda di gravità ecologica. Con le nuove connessioni tra studi ecologici e studi evolutivi, sono state sviluppate anche teorie per aggiornare il significato evolutivo delle estinzioni. In questo ambito vanno citate le teorie dei turnover pulses (impulsi di avvicendamento),

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della stasi coordinata e dell’inseguimento dell’habitat Queste tre teorie possono essere inserite in un contesto più ampio che ha fatto discutere gli evoluzionisti di tutto il mondo, ma che si è imposto come la naturale evoluzione della teoria darwiniana: la teoria degli equilibri punteggiati.

Estinzioni di fondo ed estinzioni di massa

Le estinzioni di fondo sarebbero il normale ricambio di taxa in un ecosistema, dovuto a fenomeni di speciazione oppure a sostituzione di specie vicarianti ecologiche. Per questa categoria, le cause biologiche ipotizzate da C. Darwin (competizione inter- ed intraspecifiche) possono giocare effettivamente un ruolo fondamentale: nel record fossile si osserva infatti un tasso continuo di estinzioni, interrotto solo da eventi di portata molto maggiore

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(ecologicamente e tassonomicamente parlando). Le estinzioni di massa sono eventi di dimensioni enormi, in cui si ha la perdita di un numero molto elevato di taxa in tempi molto rapidi. Se si cerca di spiegare in termini di competizione interspecifica i grandi eventi di estinzione della storia terrestre, la sola selezione naturale non basta. Come si può spiegare in questi termini, ad esempio, la totale scomparsa delle comunità di dinosauri del Cretacico, perfettamente adattati al loro ambiente, e la loro successiva sostituzione con le comunità di mammiferi, già presenti nel ambiente cretacico e precedente, ma relegati probabilmente a nicchie ecologiche non competitive con quelle dei dinosauri?

Cause fisiche

Questo gruppo di fenomeni racchiude i processi di variazioni dei parametri

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ambientali, sia per modificazioni dell’ambiente stesso, sia per intervento di fattori esterni. Ne sono un esempio le variazioni climatiche o l’impatto con corpi celesti, che causano una serie di eventi tali da modificare completamente i parametri ambientali di uno o più habitat. Variazioni ambientali e impatti con meteoriti sono tra le cause più interpellate per l’interpretazione delle estinzioni di massa nel record fossile.

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Le cause antropiche

L’uomo sta modificando notevolmente l’ambiente, distruggendo numerosi habitat e portando all’estinzione un’elevata quantità di specie. Con la comparsa della nostra specie sono iniziati svariati processi di depauperamento dell’ambiente. La caccia, già in epoca glaciale, la conversione di vaste aree per l’agricoltura, la sempre maggiore antropizzazione e le guerre hanno causato (nel passato, come anche ai nostri giorni) un inesorabile declino della biodiversità.

Turn over pulses

Da quanto finora esposto, si può intuire che lo studio del record fossile (più che mostrare un continuum ininterrotto di taxa dall’origine della vita ai giorni nostri) ci permette di individuare lunghi periodi di “calma” (stasi)

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evolutiva nei taxa, seguiti da repentini cambiamenti dei biomi. Un taxa presenta al suo interno grande variabilità che gli consente di adattarsi a piccole modificazioni dei parametri ambientali. Nei casi in cui i parametri si modifichino profondamente, si può assistere a spostamenti della fauna verso zone dove l’habitat originario è ancora presente o si è sviluppato da poco (inseguimento dell’habitat). Ne sono un esempio lo spostamento di faune tipiche di ambiente freddo verso le zone più equatoriali durante gli intervalli glaciali (ad esempio il mollusco Arctica islandica, ospite freddo nei sedimenti marini della Pianura Padana). In un contesto ecologico di questo tipo, non tutti i taxa potranno giungere al loro nuovo habitat oppure, pur spostandosi geograficamente, non lo ritroveranno: a questo punto interverrebbe l’estinzione di questi taxa. Ma la spinta allo spostamento o

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all’adattamento sarebbe comunque una pulsione evolutiva (turnover pulses - impulso di avvicendamento) di notevole importanza per i processi evolutivi stessi.

Impatto ecologico delle estinzioni

Questi studi si basano sullo studio delle associazioni di taxa che componevano un ecosistema e sulla loro sopravvivenza (anche con lievi modificazioni) o sul loro totale cambiamento successivo all’evento estintivo. In pratica sono state riconosciute 3 unità faunistiche evolutive (EF) marine (cambriana, paleozoica e mesozoica o moderna) e sono stati osservati i traumi che queste unità subivano negli eventi estintivi. La fauna cambriana risulta essere sostituita attivamente da quella paleozoica, e quindi non si ha una vera estinzione di massa, ma più una serie di estinzioni di fondo. La fauna paleozoica è stata sconvolta dalle estinzioni di fine Ordoviciano e del tardo Devoniano,

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ma è sopravvissuta fino alla fine del Permiano. A questo punto si ha una totale modificazione della fauna marina, che dopo l’evento di estinzione è rimpiazzata da una fauna di tipo moderno. Questa fauna mesozoica/moderna ha subito poi degli sconvolgimenti nel corso delle estinzioni di fine Triassico e di fine Cretacico, ne è uscita modificata, ma non completamente trasformata. Anche per l’ecosistema terrestre si è osservato una simile successione degli eventi.

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Le 5 grandi estinzioni del Fanerozoico

Estinzione Probabili cause

Perdite nel mare

Perdite

sulla terraferma

Grado di

severità

tassonomica

(età in milioni di anni)

(% di famigli

e perse)

(% di famiglie perse)

Fine Ordoviciano (440)

variazioni climatiche

(iniziale raffreddamento seguito da un rapido

riscaldamento)

24,30%

vita non

presente

3

Tardo Devoniano

(374,5)

probabile raffreddamento

globale

27,80%

43,60%

2

Fine Permiano

(235)

cause non ancora certe

(regressione marina + eruzione vulcanica in Siberia? Impatto con

asteroide?

47,50%

61,50%

1

Fine regressione 23,4 21,70 4

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Triassico

(206)

marina diffusa anossia negli oceani impatto con asteroide?

0% %

Fine Cretac

ico (65)

asteroide vulcanesimo di tipo islandese?

Variazione effetto serra?

14,70% 6,30% 5

Le estinzioni minori

Alle cinque estinzioni di massa più importanti se ne aggiungono molte altre che punteggiano la storia della vita sulla terra. Di seguito sono riportate in tabella due tra questi eventi, particolarmente significativi per situazioni che hanno modificato a livello globale le condizioni ambientali, o per un primo intervento antropico nella drastica diminuzione di biodiversità.

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Andamento delle EF nel Fanerozoico(1. cambriana,

2.paleozoica, 3.mesozoica o moderna)

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Glossario http://www.eversincedarwin.org

A, B, C, D, E, F, G, H, I, J, K, L, M,

N, O, P, Q, R, S, T, U, V, W, X, Y, Z

-A-

Adattamento (adaptation): qualsiasi caratteristica ereditabile di un organismo che accresce la sua capacità di sopravvivere e riprodursi nel proprio ambiente. Se si ammette la distinzione tra adattamento ed exaptation, una caratteristica viene definita un adattamento solo nel caso in cui sia sorta nel corso della storia evolutiva per assolvere alla specifica funzione che essa svolge nel

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momento in cui la si osserva. Il termine viene anche utilizzato per descrivere il processo di cambiamento genetico all’interno di una popolazione sotto la guida della selezione naturale. Albero filogenetico (phylogenetic tree): o “albero della vita”, un diagramma che illustra le relazioni ancestrali tra i taxa. Confronta con cladogramma. Allele (allele): versione alternativa o varietà di un gene. Nelle cellule diploidi gli alleli per un dato carattere occupano la stessa posizione, o locus, su cromosomi omologhi, governando in tal modo il medesimo tratto. Ma essendo gli alleli differenti, la loro azione può generare espressioni diverse di quel tratto. Ad esempio, se un gene governa il colore dei semi delle piante di pisello, un allele di quel gene può produrre semi verdi, mentre un

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altro può produrre semi gialli. All’interno di una popolazione vi possono essere molte differenti forme alleliche di un determinato gene, ciascuna dotata di una specifica sequenza nucleotidica. Allele dominante (dominant allele): un allele (A) è dominante se il fenotipo dell’eterozigote (Aa) è uguale a quello dell’omozigote (AA). L’allele (a) non influenza il fenotipo dell’eterozigote e viene definito recessivo. Vi è anche la possibilità che un allele sia dominante solo in parte: in tal caso, il fenotipo dell’eterozigote è solo più vicino, anziché identico, a quello dell’omozigote per l’allele dominante. Allele recessivo (recessive allele): un allele (a) è recessivo se il fenotipo dell’eterozigote (Aa) è uguale a quello dell’omozigote (AA) per l’allele alternativo (A) e diverso da quello dell’omozigote per l’allele

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recessivo (aa). L’allele (A) controlla il fenotipo dell’eterozigote ed è definito dominante. Vi è anche la possibilità che un allele sia recessivo solo in parte: in tal caso, il fenotipo dell’eterozigote è solo più vicino, anziché identico, a quello dell’omozigote per l’allele dominante. Allometria (allometry): il rapporto tra le dimensioni complessive di un organismo e quelle di una delle sue parti. Esiste, ad esempio, un rapporto allometrico tra le dimensioni del cervello e le dimensioni corporee, sicché (in questo caso) gli animali con corpi più grandi tendono ad avere cervelli più grandi. I rapporti allometrici possono essere studiati durante lo sviluppo di un singolo organismo, tra organismi differenti all’interno di una specie, o tra organismi appartenenti a specie diverse.

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Allopatria (allopatry): condizione di vita in luoghi fisicamente separati. Confronta con simpatria. Altruismo (altruism): comportamento che, in termini di probabilità di sopravvivenza e di successo riproduttivo, è svantaggioso per chi lo attua e vantaggioso per individui differenti da chi pone in atto il comportamento stesso. La difficoltà di spiegare la diffusione dell’altruismo attraverso la tradizionale nozione di selezione naturale organismica ha stimolato la proliferazione di teorie alternative che hanno cercato di spiegare la fissazione di tale comportamento nel corso della storia evolutiva facendo appello a meccanismi selettivi di livello superiore (come la selezione di gruppo) o inferiore (selezione genica). Vedi anche fitness inclusiva.

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Aminoacidi (amino acids): le singole molecole che costituiscono i mattoni di costruzione delle proteine, che sono catene di aminoacidi disposti in una certa sequenza. Vi sono 20 principali aminoacidi nelle proteine degli esseri viventi e le proprietà di una proteina sono determinate dalla sua peculiare sequenza aminoacidica. Analogia (analogy): un carattere condiviso da due o più linee evolutive, ma non ereditato da un antenato comune. Vedi convergenza. Anatomia (anatomy): la struttura di un organismo o di una delle sue parti. Il termine è anche utilizzato per indicare la scienza che studia tali strutture. Antenato comune (common ancestor): la specie o forma ancestrale da cui si sono evolute due specie differenti.

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Aploidia (haploidy): la condizione di essere dotati di un’unica serie di cromosomi, come accade, ad esempio, nei gameti. Archetipo (archetype): la forma o piano corporeo originario da cui si è evoluto un certo gruppo di organismi. Atomismo (atomism): (come modello della trasmissione ereditaria). Concezione della trasmissione ereditaria in cui le unità che controllano l’eredità sono concepite come entità permanenti, separate e capaci di operare in modo indipendente l’una dall’altra. La teoria mendeliana dell’eredità è una teoria atomistica, poiché in essa i fattori ereditari (i geni) sono considerati come unità distinte, trasmesse in maniera indipendente. Attamento (aptation): qualsiasi caratteristica ereditabile di un organismo che

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accresce la sua capacità di sopravvivere e riprodursi nel proprio ambiente, indipendentemente da quali siano le ragioni della sua origine storica. Confronta con adattamento ed exaptation. Autosoma (autosome): qualsiasi cromosoma di una cellula che non sia coinvolto nella determinazione del sesso. Avatar: una popolazione di organismi della stessa specie che interagiscono tra loro da un punto di vista ecologico.

-B- Base nucleotidica (nucleotide base): una delle quattro basi azotate che, associate a uno zucchero a cinque atomi di carbonio (desossiribosio nel DNA, ribosio nell’RNA) e a

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un gruppo fosfato, formano i nucleotidi del DNA e dell’RNA. Le quattro basi nucleotidiche del DNA sono: adenina (A), guanina (G), citosina (C) e timina (T). Nelle molecole di RNA troviamo l’uracile (U) al posto della timina. A e G appartengono alla classe chimica delle purine; C, T e U a quella delle pirimidine. Biodiversità, o diversità biologica (biodiversity, o biological diversity): una misura della varietà della vita; viene spesso descritta su tre livelli. La diversità ecosistemica descrive la varietà degli habitat esistenti; la diversità delle specie è una misura del numero delle specie esistenti o del numero di individui appartenenti a ciascuna delle specie esistenti; la diversità genetica è una misura della quantità totale di variabilità genetica esistente.

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Biogeografia (biogeography): lo studio della distribuzione geografica delle piante e degli animali nelle varie parti del globo terrestre e dei cambiamenti di tali distribuzioni nel corso del tempo. Bioma (biome): la totalità delle entità viventi in una regione o in un’epoca. Biometria (biometrics): lo studio quantitativo delle caratteristiche degli organismi. Biosfera (biosphere): la parte della Terra e della sua atmosfera capace di sostenere la vita.

-C-

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Catastrofismo (catastrophism): l’ipotesi che il paesaggio geologico terrestre sia il risultato di una serie di violenti cataclismi. I sostenitori di questa teoria ritenevano che la storia del pianeta fosse stata segnata da numerose catastrofi naturali improvvise, responsabili della distruzione della maggior parte degli esseri viventi, seguite da atti di creazione divina che ripopolarono il mondo. Tra il tardo diciottesimo e il diciannovesimo secolo il catastrofismo fu contrastato dai sostenitori della teoria geologica dell’uniformismo. Cellula (cell): l’unità strutturale e funzionale di base della maggior parte degli organismi viventi. Le cellule possono esistere come unità di vita indipendenti, come nel caso dei batteri e dei protisti, oppure aggregarsi a formare colonie o tessuti, come in tutte le piante e animali. Ogni cellula è circondata da una membrana plasmatica e

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contiene del materiale genetico che ne determina le caratteristiche e il funzionamento. Cellula eucariota (eukaryotic cell): cellula provvista di un nucleo definito. Si definiscono “eucarioti” gli organismi costituiti da cellule eucariote. Cellula procariota (prokaryotic cell): cellula sprovvista di un nucleo definito, come i batteri e alcuni altri organismi semplici. Cernita di specie (species sorting): qualsiasi pattern di sopravvivenza o estinzione differenziale delle specie, qualunque ne sia la causa responsabile. Confronta con selezione di specie. Clade (clade): un insieme di specie discendenti da una comune specie ancestrale. Sinonimo di gruppo monofiletico.

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Cladogramma (cladogram): un diagramma ramificato che illustra le ipotesi sulle relazioni filogenetiche tra gruppi di organismi. I cladogrammi possono essere considerati un tipo particolare di albero filogenetico che si focalizza sull’ordine con cui i caratteri si sono modificati. Le ramificazioni di un cladogramma sono simili a quelle di un albero genealogico, con le specie più strettamente imparentate situate su rami adiacenti. Classe (class): la categoria sistematica situata tra ordine e phylum. Classificazione (classification): l’arrangiamento degli organismi in gruppi gerarchici secondo lo schema seguito dalla sistematica tradizionale. Confronta con sistematica.

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Cline (cline): gradiente geografico nella frequenza di un gene o nel valore medio di un carattere. Coadattamento (coadaptation): interazione positiva tra (1) un certo numero di geni di un organismo situati in loci differenti (2) diverse parti di un organismo (3) organismi appartenenti a specie differenti. Codone (codon): tripletta di nucleotidi nel DNA, che codifica per un aminoacido. Coevoluzione (coevolution): evoluzione in due o più specie, come un predatore e la sua preda o un parassita e il suo ospite, in cui il cambiamento evolutivo in una specie influenza l’evoluzione delle altre. Collo di bottiglia evolutivo (evolutionary bottleneck): un drastica

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riduzione della variabilità genetica di una popolazione o di una specie che per qualsiasi motivo è stata ridotta a pochi esemplari. La limitata variabilità genetica dei pochi individui sopravvissuti costituirà il pool genico a partire dal quale avrà luogo l’evoluzione delle future generazioni. Convergenza (convergence): processo attraverso cui una caratteristica simile evolve in maniera indipendente in due specie diverse. Quando la somiglianza di un tratto in due specie differenti è ascrivibile all’evoluzione convergente, anziché alla presenza del tratto in questione nel loro antenato comune, si parla di analogia. Un esempio di analogia è dato dalle ali degli uccelli, dei pipistrelli e degli insetti. Confronta con analogia e omologia. Creazionismo (creationism): la credenza che tutte le entità viventi sulla Terra siano

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state create separatamente, più o meno nella loro forma attuale, da un creatore soprannaturale, come stabilito nella Bibbia e in altri testi sacri. Cromosoma (chromosome): corpuscolo visibile nel nucleo delle cellule solo durante la divisione, costituito da una lunga molecola di DNA arrotolata più volte attorno a proteine di supporto. I cromosomi si trovano solo negli organismi eucarioti. Il numero di cromosomi varia da specie a specie, mentre è costante all’interno di ciascuna. Cromosomi omologhi (homologous chromosomes): le due versioni di ciascun cromosoma, una di origine paterna e l’altra di origine materna, contenute nelle cellule diploidi, che si appaiano durante la meiosi.

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-D- Darwinismo (Darwinism): la teoria dell’evoluzione biologica secondo la quale tutte le specie viventi ed estinte sono discese da un antenato comune e si sono modificate nel tempo principalmente per opera della selezione naturale. Darwinismo sociale (social Darwinism): modello teorico della sociologia positivista ottocentesca che considera lo sviluppo storico delle società umane come l’esito di un meccanismo analogo alla selezione naturale (erroneamente identificata con il principio della “sopravvivenza del più adatto”) operante nell’evoluzione biologica. Vedi anche organicismo. Datazione radiometrica (radiometric dating): tecnica di datazione che utilizza il

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ritmo di decadimento degli isotopi radioattivi per stimare l’età di un oggetto. Deme (deme): una popolazione di organismi della stessa specie che interagiscono tra loro da un punto di vista riproduttivo. Deriva dei continenti (continental drift): il processo mediante il quale i continenti si muovono come parte di grandi placche fluttuanti sul mantello terrestre. Vedi tettonica a placche. Deriva genetica (genetic drift): variazione della frequenza di un allele in una popolazione, dovuta al caso anziché all’azione della selezione naturale. Diploidia (diploidy): la condizione di essere dotati di due versioni di ciascun cromosoma. Se l’organismo risulta da un atto

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di riproduzione sessuata, ciascun genitore fornisce un cromosoma per ogni coppia. DNA: acido desossiribonucleico, la molecola contenente l’informazione genetica che viene trasmessa tramite l’eredità. DNA polimerasi (DNA polymerase): classe di enzimi, presenti sia nei procarioti che negli eucarioti, che concorrono all’assemblaggio dei nucleotidi del nuovo filamento di DNA che viene sintetizzato nel corso del processo di replicazione. Le DNA polimerasi assolvono anche a funzioni di riparazione del nuovo filamento sintetizzato in caso di errori di copiatura. Dogma centrale della biologia molecolare (central dogma of molecular biology): nella formulazione offerta da Francis Crick (1970), il “dogma centrale della biologia molecolare” postula una relazione di

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determinazione lineare e diretta, elemento per elemento, tra l’insieme dei geni del DNA di un organismo e l’insieme delle proteine che svolgono le molteplici funzioni biologiche responsabili delle sue caratteristiche anatomiche e fisiologiche. Il modello prevede un flusso a senso unico dell’informazione genetica dai geni alle proteine da essi codificate secondo lo schema: DNA→ mRNA→ proteina. Il modello esprime la convinzione che il gene abbia totale controllo sull’identità della proteina sintetizzata e sul carattere a cui la proteina dà forma e che l’insieme dei geni di un organismo possa rendere conto dell’intero complesso delle sue caratteristiche ereditarie. Duplicazione (duplication): la comparsa di una seconda copia di una particolare sequenza di DNA. La sequenza duplicata può apparire accanto all’originale o essere copiata da qualche altra parte nel genoma.

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Se la sequenza duplicata è un gene, l’evento viene chiamato duplicazione genica.

-E- Ecosistema (ecosystem): una comunità di organismi che interagiscono fra loro e con un particolare ambiente. Effetto del fondatore (founder effect): l’espressione fa riferimento alla situazione in cui da un ristretto numero di individui rimasti fisicamente isolati dal resto della specie di appartenenza ha origine una popolazione che può acquisire meccanismi di isolamento riproduttivo e dare così origine a una nuova specie. Contribuiscono all’effetto del fondatore il campionamento genetico casuale iniziale (per cui nella piccola popolazione isolata sarà presente solo una porzione del

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pool genico parentale, la cui composizione dipenderà dai genotipi dei pionieri) e i cambiamenti casuali delle frequenze alleliche che si verificano nel pool genico della popolazione fondatrice. Nelle piccole popolazioni la fissazione casuale delle varianti genetiche, attraverso il meccanismo della deriva genetica, tenderà ad avvenire rapidamente. Ciò fa sì che in breve tempo da un ristretto numero di pionieri possa sorgere una popolazione, i cui membri, in virtù della diversità genetica accumulata, non saranno più in grado di incrociarsi in modo fertile con gli individui appartenenti alla specie d’origine. L’effetto del fondatore risulta centrale nel processo di speciazione noto come speciazione allopatrica. Embrione (embryo): stadio iniziale dello sviluppo che ha inizio dopo la divisione dello zigote (il primissimo stadio in cui la cellula derivante dall’unione di un ovulo e di uno

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spermatozoo non è ancora andata incontro a divisione). Enzima (enzyme): una proteina che agisce come catalizzatore nelle reazioni chimiche. Epigenesi (epigenesis): In passato il termine si riferiva alla teoria embriologica che, opponendosi al punto di vista preformista, riteneva che lo sviluppo embrionale avvenisse per successiva aggiunta delle diverse componenti organiche costituenti, a partire da una struttura iniziale indifferenziata. Attualmente, con il termine “epigenesi” si fa riferimento a tutti i processi che vanno a implementare le istruzioni genetiche contenute nell’uovo fecondato. I meccanismi epigenetici contribuiscono alla costruzione del fenotipo mediante processi che si collocano “sopra” o “al di là” della determinazione genetica. Ad esempio, negli animali in cui il sesso è determinato dalla

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vicinanza di un individuo dell’altro sesso, anziché dai cromosomi, si parla di “determinazione epigenetica del sesso”. Epistasi (epistasis): un’interazione tra geni situati in due o più loci che fa sì che il fenotipo risultante sia diverso da quello che ci si aspetterebbe se i geni di quei loci si esprimessero in modo indipendente. Equilibri punteggiati (punctuated equilibria): modello teorico dell’evoluzione che considera la vita di ogni specie come caratterizzata da lunghi periodi di stabilità interrotti da periodi di rapido cambiamento. Nel modello per “equilibri” e “punteggiature” il cambiamento evolutivo, guidato dalla selezione naturale e influenzato dagli effetti della deriva genetica, è concentrato in eventi di speciazione allopatrica iniziati da isolati periferici. La teoria fu formulata negli anni settanta del Novecento dai paleontologi Niles

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Eldredge e Stephen J. Gould in alternativa al modello teorico del gradualismo filetico. Eredità (inheritance, o heredity): il processo mediante il quale i caratteri vengono trasmessi da una generazione alla generazione successiva. Ereditabilità (heritability): porzione della variazione di un carattere fenotipico fra individui di una popolazione dovuta a differenze genetiche individuali che sono ereditate dalla prole. Esone (exon): le sequenze nucleotidiche di alcuni geni consistono di parti che codificano per le proteine, insieme ad altre parti interposte tra quelle che non codificano. Le parti codificanti, che vengono tradotte, sono chiamate esoni, mentre le parti non codificanti interposte sono denominate introni.

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Estinzione di massa (mass extinction): la scomparsa di un numero rilevante di specie conseguente a radicali stravolgimenti degli ecosistemi terrestri innescati da eventi della storia fisica del Pianeta. Sono riconosciute come cause delle estinzioni di massa sia fenomeni geologici endogeni, inerenti ad esempio ai movimenti delle placche tettoniche, sia fenomeni esogeni, come l’impatto dell’asteroide che fu probabilmente la causa della grande estinzione che coinvolse i dinosauri 65 milioni di anni fa. Estinzione di fondo (background extinction): l’ordinaria scomparsa di alcune specie nel corso della storia della vita. Eterozigote (heterozygote): un individuo che possiede due alleli differenti per un

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determinato locus genico. Confronta con omozigote. Etologia (ethology): la scienza che studia il comportamento animale. Evo-Devo, o Biologia evolutiva dello sviluppo (evolutionary developmental biology): disciplina che coniuga lo studio dei processi di sviluppo embrionale con la teoria evolutiva. Evoluzione biologica (biological evolution): Darwin la definì “discendenza con modificazioni”. Si tratta del cambiamento entro un lignaggio di popolazioni attraverso le generazioni. In generale, l’evoluzione biologica è il processo di modificazione che nel tempo porta allo sviluppo di nuove specie a partire da specie preesistenti; in termini genetici, l’evoluzione è stata definita come un cambiamento delle frequenze alleliche

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nelle popolazioni attraverso le generazioni. L’esatta definizione del termine resta tuttavia una materia controversa. Vedi definizioni di evoluzione. Evoluzione bioculturale (biocultural evolution): l’interazione tra l’evoluzione biologica e l’evoluzione dei prodotti culturali dell’uomo. Evoluzione culturale (cultural evolution): l’evoluzione dei prodotti culturali dell’uomo. Alcuni studiosi ritengono che essa proceda secondo pattern simili a quelli dell’evoluzione biologica riconosciuti nella teoria darwiniana, mentre altri ritengono che meccanismi di tipo lamarckiano siano predominanti. Confronta con meme. Exaptation: caratteristica ereditabile di un organismo che accresce la sua capacità di

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sopravvivere e riprodursi nel proprio ambiente, ma che è sorta nel corso della storia evolutiva o per assolvere a una funzione diversa da quella che essa svolge nel momento in cui la si osserva o senza possedere in origine alcun significato funzionale specifico. Confronta con adattamento.

-F- Famiglia (family): la categoria sistematica situata tra genere e ordine. Fenotipo (phenotype): l’insieme dei tratti morfologici, fisiologici e comportamentali risultanti dall’interazione del genotipo di un individuo con l’ambiente.

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Filogenesi (phylogeny): lo studio delle relazioni ancestrali tra i taxa, spesso illustrate mediante il diagramma ramificato rappresentante l’“albero della vita”, noto come albero filogenetico. Fitness: misura della probabilità che un organismo sopravviva e si riproduca, offrendo il proprio contributo genetico alle generazioni successive. In termini genetici è la misura della probabilità di un gene di essere trasmesso alla generazione successiva. Fitness inclusiva (inclusive fitness): il concetto di fitness inclusiva comprende non solo il contributo alla fitness (in un’accezione genetica) che un gene offre inducendo nel suo portatore un comportamento egoistico di auto-preservazione, unitamente alla cura altruistica dei propri figli, ma anche quello che esso offre al suo portatore promuovendo

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un comportamento altruistico verso altri individui, generalmente parenti stretti, che condividono con lui il gene in questione. Vedi gene egoista e selezione di parentela. Flusso genico (gene flow): il movimento di geni all’interno di una popolazione o tra popolazioni mediante incrocio o migrazione e incrocio. Fossile (fossil): un organismo, una parte fisica di un organismo o un’impronta di un organismo che da tempi antichi è stata preservata nella roccia, nell’ambra o in qualche altro mezzo. L’impiego di nuove tecniche ha anche rivelato l’esistenza di fossili cellulari e molecolari. Frequenza allelica (allelic frequency): la frequenza in una popolazione di un allele particolare rispetto agli altri alleli che occupano il medesimo locus.

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-G- Gamete (gamete): la cellula sessuale di un organismo (spermatozoo, uovo, polline); possiede un assetto cromosomico aploide e nella riproduzione sessuata si fonde con un altro gamete per ristabilire l’assetto diploide caratteristico della specie. Gene (gene): sequenza di nucleotidi che codifica per una proteina (o, in alcuni casi, per una parte di una proteina). L’esatta definizione di gene resta tuttavia una materia controversa. Gene egoista (selfish gene): l’espressione fa riferimento a un’interpretazione del processo evolutivo, proposta dall’etologo Richard Dawkins negli anni settanta del

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Novecento, che identifica nei geni i principali beneficiari del cambiamento diretto dalla selezione naturale. L’idea di gene egoista scaturisce dall’ipotesi che il bersaglio dell’azione selettiva non siano gli organismi, ma i geni e che l’intera storia evolutiva sia l’esito esclusivo della competizione tra geni egoisti per massimizzare la propria diffusione nelle generazioni successive. Attraverso le nozioni di fitness inclusiva e di selezione di parentela, anche il comportamento altruistico osservabile al livello organismico viene interpretato in base alla logica dell’egoismo genetico. Vedi selezione genica. Gene funzionale (functional gene): gene che codifica per una proteina. Gene regolatore (regulatory gene): gene avente la funzione di attivare e disattivare i geni strutturali nel corso dello sviluppo embrionale.

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Genere (genus): la categoria sistematica situata tra specie e famiglia. Genetica comparata (comparative genetics): l’analisi comparativa dei genomi di diversi organismi. Genetica delle popolazioni (population genetics): lo studio delle variazioni delle frequenze alleliche all’interno delle popolazioni naturali attraverso le generazioni. Genetica funzionale (functional genetics): lo studio delle relazioni dei geni tra loro e con i loro prodotti. Genetica mendeliana (mendelian genetics): il termine fa riferimento alla teoria della trasmissione ereditaria formulata nell’Ottocento dal monaco austriaco Gregor Mendel, partendo dall’assunto che i fattori

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ereditari vengano trasmessi dai genitori alla prole come unità distinte e indipendenti e si riassortiscano di generazione in generazione secondo regole ben precise. Genetica molecolare (molecular genetics): lo studio della struttura e delle funzioni della molecola ereditaria. Genetica strutturale (structural genetics): lo studio della struttura del genoma di un organismo, principalmente diretto all’individuazione delle sequenze nucleotidiche corrispondenti alle unità geniche che lo compongono. Geni homeobox (homeobox genes): un insieme di geni che svolgono un ruolo importante nei processi di sviluppo. Essi controllano quali parti dell’embrione si svilupperanno in specifici organi o tessuti. In generale, i geni “omeotici” sono geni che

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controllano lo sviluppo di un organismo e i “geni homeobox” sono un sottoinsieme di geni omeotici contenenti sequenze homeobox. Queste codificano per un “omeodominio” proteico che si lega al DNA e svolge importanti funzioni nella regolazione del processo di sviluppo. I “geni Hox” sono un sottoinsieme di geni homeobox che controllano lo sviluppo e la differenziazione posizionale delle cellule. Genoma (genome): l’assetto completo di DNA contenuto in una cellula o in un organismo. Genotipo (genotype): il termine è utilizzato sia in riferimento all’intera costituzione genetica di un organismo sia per indicare la coppia di alleli posseduta da un organismo in corrispondenza di un particolare locus genico.

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Geologia (geology): lo studio del pianeta Terra, dei materiali che lo costituiscono, dei processi sedimentari e tettonici che vi avvengono, dei prodotti che vi si originano e in generale di tutta la sua storia. Gradualismo filetico (phyletic gradualism): modello teorico dell’evoluzione che considera l’intera storia evolutiva, ad ogni livello della gerarchia sistematica, come un processo lento e a ritmo costante, estrapolabile dal pattern di graduale accumulo delle mutazioni genetiche guidato della selezione naturale, osservabile al livello popolazionale e sulla scala temporale umana. Gruppo monofiletico (monophyletic group): secondo i cladisti, un insieme di taxa che comprende un antenato comune e tutti i suoi discendenti ed esclude tutti gli organismi che non sono discesi da

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quell’antenato comune. Secondo la sistematica evoluzionistica è un insieme che comprende l’antenato comune e i taxa da esso derivati. Sinonimo di clade. Gruppo parafiletico (paraphyletic group): secondo i cladisti, un insieme di specie comprendente una specie ancestrale insieme ad alcuni, ma non tutti, i suoi discendenti. Le specie incluse nel gruppo sono quelle che hanno mantenuto un certo grado di somiglianza con la specie antenata, mentre quelle escluse sono le specie che si sono evolute rapidamente e non assomigliano più alla specie antenata. Gruppo polifiletico (polyphyletic group): un insieme di specie raggruppate sulla base del possesso di caratteri non derivati da un antenato comune. L’ultimo antenato comune a tutte le specie comprese

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nell’insieme non fa parte del gruppo polifiletico.

-H-

-I- Ibrido (hybrid): organismo generato dall’incrocio tra due organismi appartenenti a specie differenti. Impulso all’avvicendamento (turnover pulse): ipotesi evolutiva, avanzata dalla paleontologa Elisabeth Vrba, che individua nei fenomeni che comportano una radicale modificazione degli habitat terrestri la causa non solo degli eventi di estinzione ma anche dei concomitanti processi di speciazione che consentono la ricostruzione degli ecosistemi.

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Inincrocio (inbreeding): accoppiamento tra individui strettamente imparentati. Inseguimento dell’habitat (habitat tracking): l’ipotesi che dinnanzi a cambiamenti non catastrofici dell’habitat le specie, anziché modificarsi in risposta alle mutate pressioni selettive, tendano a spostarsi andando alla ricerca di habitat simili a quello a cui erano già adattate. Introne (intron): parte non codificante di un gene interposta tra le sequenze codificanti. Confronta con esone. Ipotesi dell’effetto (effect hypothesis): ipotesi avanzata dalla paleontologa Elisabeth Vrba negli anni ottanta del Novecento. In base a tale ipotesi è possibile parlare di un’autentica selezione di specie solo nei casi in cui i pattern di sopravvivenza o estinzione differenziale delle specie sono influenzati da

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“caratteri emergenti” al livello della specie. Più frequentemente, tuttavia, i tassi differenziali di nascita e morte delle specie risultano influenzati da “caratteri aggregati”, ossia da proprietà che scaturiscono da una combinazione additiva di caratteri dei singoli organismi. Un esempio di carattere aggregato è il grado di adattamento a un ambiente specifico, in base al quale è possibile distinguere “specie specialiste”, altamente specializzate a vivere in un determinato habitat, e “specie generaliste”, capaci di sopravvivere in un’ampia gamma di habitat differenti. Il grado di specializzazione ecologica è una proprietà delle specie che influisce sui tassi differenziali di speciazione ed estinzione (le specie specialiste hanno ritmi di speciazione e di estinzione superiori a quelli delle specie generaliste). Tuttavia, non si tratta di un carattere emergente al livello della specie, ma di un carattere aggregato in quanto sono i singoli organismi, e non le

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specie, a poter essere propriamente definiti specialisti o generalisti. In questi casi la proliferazione differenziale delle specie non sarà guidata da un meccanismo selettivo operante al livello delle specie, ma sarà un “effetto” derivato dal tradizionale livello della selezione tra organismi. Non si potrà quindi parlare di una vera e propria selezione di specie ma solo di un processo di “cernita di specie” riducibile, in ultima istanza, all’interazione con l’ambiente di tratti appartenenti ai singoli organismi. Ipotesi Gaia (Gaia hypothesis): l’ipotesi che la Terra, nelle sue componenti biotiche e abiotiche, sia un’unica entità vivente integrata, un unico superorgnismo in cui l’attività degli esseri viventi modifica le componenti fisiche, le quali a loro volta, influiscono sull’evoluzione e sul mantenimento della vita sul pianeta. Il sistema nel suo complesso evolverebbe in

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virtù di tale coevoluzione degli organismi e dei loro ambienti, andando incontro a un continuo processo di autoregolazione automatica che consentirebbe di mantenere le condizioni climatiche e la composizione chimica dell’atmosfera in uno stato favorevole alla vita. L’ipotesi fu formulata negli anni sessanta del Novecento dal chimico inglese James Lovelock e dalla biologa americana Lynn Margulis. Isolamento riproduttivo (reproductive isolation): Condizione nella quale due popolazioni sono tenute separate da meccanismi di isolamento riproduttivo.

-J-

-K-

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-L- Lamarckismo (Lamarckism): l’insieme delle teorie evolutive formulate da Jean Baptiste de Lamarck all’inizio dell’Ottocento; esse ipotizzavano che gli organismi: - possedessero una spinta interna a perfezionarsi - che si modificassero in risposta alle pressioni adattative - che trasmettessero poi alla progenie i caratteri così acquisiti nel corso della loro vita. Lignaggio (lineage): una sequenza di popolazioni, cellule o geni collegati gli uni agli altri da relazioni di antenato-discendente. Locus (plurale loci): la posizione su una molecola di DNA occupata da un gene particolare.

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-M- Macroevoluzione (macroevolution): l’evoluzione che coinvolge le categorie di rango superiore alla specie. Macromutazione (macromutation): mutazione che ha un effetto fenotipico di ampia portata, tale da generare un fenotipo che si troverà molto al di fuori dello spettro di variazione precedentemente esistente nella popolazione. Meccanismi di isolamento riproduttivo, o meccanismi isolanti o R.I.M. (reproductive isolating mechanisms): proprietà biologiche individuali che impediscono la riproduzione per incrocio di due popolazioni effettivamente o

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potenzialmente simpatriche. Confronta con isolamento riproduttivo. Meiosi (meiosis): la speciale forma di divisione cellulare responsabile della produzione dei gameti negli organismi diploidi a riproduzione sessuata. Diversamente da quanto avviene nella mitosi, nel corso della divisione meiotica il materiale genetico non viene replicato e ciò che ne risulta sono due cellule gametiche dall’assetto cromosomico dimezzato (aploide) rispetto a quello delle cellule somatiche. Meme (meme): un’unità culturale, come un’idea, una capacità, una tradizione o un costume, che viene trasmessa da una persona all’altra mediante imitazione o insegnamento. A parere di alcuni studiosi i memi sarebbero l’equivalente culturale dei geni e andrebbero incontro a processi analoghi di riproduzione, mutazione,

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selezione ed evoluzione. Confronta con evoluzione culturale. Microevoluzione (microevolution): cambiamento evolutivo su piccola scala, come la variazione delle frequenze alleliche all’interno delle popolazioni naturali. Mitocondrio (mitochondrion): organulo della cellula eucariota responsabile della produzione dell’energia necessaria per l’espletamento delle funzioni metaboliche cellulari. I mitocondri possiedono un proprio DNA codificante per alcune proteine mitocondriali. Il DNA mitocondriale viene ereditato per via materna. Confronta con simbiogenesi. Mitosi (mitosis): l’ordinario meccanismo di divisione cellulare a cui sono soggette le cellule somatiche di un organismo. Diversamente da quanto accade nella meiosi,

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la divisione mitotica è preceduta dalla replicazione del materiale genetico. Le due cellule risultanti dalla divisione avranno pertanto un assetto cromosomico diploide identico a quello della cellula originaria. Mutazione (mutation): un cambiamento nel materiale genetico dovuto a un errore di replicazione del DNA. Le mutazioni vantaggiose saranno favorite dalla selezione naturale e tenderanno a fissarsi e a diffondersi nella popolazione, quelle nocive tenderanno invece a essere eliminate dal meccanismo selettivo. Esistono anche mutazioni che non hanno effetti sul fenotipo di un organismo o che generano effetti che non influiscono sulla sua fitness: tali mutazioni sono selettivamente neutrali e la loro diffusione o eliminazione dipende dalla deriva genetica casuale. Confronta con teoria neutrale dell’evoluzione molecolare.

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Mutazione omeotica (homeotic mutation): una mutazione in un gene Hox che ha come effetto la crescita di una struttura di un organismo in un luogo dove in condizioni normali si sviluppa un’altra struttura. Ad esempio, nei moscerini della frutta una mutazione, chiamata “antennapedia”, causa la crescita di un arto dove normalmente si sviluppa un’antenna. Confronta con geni homeobox.

-N- Neodarwinismo (neodarwinism): la teoria evolutiva derivante dalla fusione della teoria darwiniana della selezione naturale con la genetica mendeliana attraverso i risultati delle ricerche compiute nel campo della genetica delle popolazioni all’inizio del Novecento. Il termine, per altro già coniato

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da August Weismann negli anni ottanta dell’Ottocento, indica il paradigma evoluzionistico che fu ispirato da tale unificazione negli anni della Sintesi Moderna. Nicchia ecologica (ecological niche): l’insieme delle relazioni di una specie con l’ambiente, nelle sue componenti biotiche e abiotiche. Nucleo (nucleus): regione delle cellule eucariote circondata da una involucro e contenente DNA, RNA e proteine. Nucleotidi (nucleotides): le unità di base che costituiscono i mattoni di costruzione delle molecole di DNA e di RNA. Un nucleotide è formato da uno zucchero a cinque atomi di carbonio (desossiribosio nel DNA e ribosio nell’RNA), da un gruppo fosfato e da una base azotata purinica o pirimidinica. Vedi base nucleotidica.

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-O- Omologo (homologous): un carattere condiviso da un gruppo di specie e che è stato ereditato dal loro antenato comune. Confronta con analogia. Omozigote (homozygote): un individuo che possiede due copie del medesimo allele in corrispondenza di un determinato locus genico. Per traslato il termine definisce anche un individuo che possiede due copie del medesimo cromosoma. Ontogenesi (ontogeny): il processo di sviluppo di un organismo. Ordine (order): la categoria sistematica situata tra famiglia e classe.

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Organicismo (organicism): teoria della sociologia positivista che paragona la società a un organismo biologico costituito di parti interagenti che collaborano per mantenerlo in vita e che evolve attraverso un continuo processo di adattamento all’ambiente circostante. Confronta con darwinismo sociale. Orologio molecolare (molecular clock): tecnica di ricostruzione della storia filogenetica basata sull’inferenza del momento della divergenza tra due gruppi attuali di organismi a partire dalla misurazione della differenza genetica da questi accumulata. La tecnica si fonda sull’ipotesi che l’evoluzione a livello molecolare avvenga a un ritmo approssimativamente costante. Si suppone che le mutazioni neutrali, essendo invisibili alla selezione, tendano ad accumularsi a un

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ritmo costante, non influenzato dalla pressione selettiva. Vedi teoria neutrale dell’evoluzione molecolare. Ortogenesi (orthogenesis): una delle teorie alternative al darwinismo, che sosteneva che l’evoluzione delle specie fosse indirizzata entro canali prefissati da una qualche spinta direttiva interna.

-P- Paesaggio adattativo (adaptive landscape): rappresentazione grafica della fitness media di una popolazione in relazione alle frequenze dei genotipi in essa contenuti. Nel paesaggio i picchi corrispondono alle frequenze genotipiche alle quali i livelli medi di fitness risultano elevati, mentre le valli

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corrispondono alle frequenze genotipiche corrispondenti a bassi livelli medi di fitness. Paleoantropologia (paleoanthropology): lo studio scientifico dei fossili dei nostri antenati ominidi. Paleontologia (paleontology): lo studio scientifico dei fossili. Phylum (plurale phyla): la categoria sistematica più elevata che racchiude i taxa fra i quali sono note le relazioni filogenetiche. Pleiotropico (pleiotropic): si dice di un gene che ha effetti fenotipici multipli. Polimorfismo (polymorphism): condizione che si verifica quando una popolazione possiede più di un allele in corrispondenza di un determinato locus genico. Talvolta il termine è impiegato per

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indicare la condizione di una popolazione che possiede più di un allele per un determinato locus con una frequenza superiore al 5 per cento. Poliploide (polyploid): si dice di un organismo che possiede più di due assetti cromosomici. Pool genico (gene pool): l’insieme dei geni in una popolazione in un dato momento. Popolazione (population): gruppo locale di organismi della stessa specie, che si incrociano tra loro e condividono il medesimo pool genico. Preformismo (preformism): teoria embriologica assai diffusa nel corso del diciassettesimo e del diciottesimo secolo che postulava la presenza dell’organismo adulto, interamente precostituito in miniatura

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all’interno dell’uovo o dello spermatozoo. Il processo di sviluppo embrionale era pertanto concepito come la realizzazione del piano corporeo dell’organismo adulto preformato nei germi parentali. Tra i sostenitori di tale dottrina vi erano da un lato i cosiddetti ovisti, che individuavano la sede della preformazione del vivente nei germi femminili, dall’altro gli spermatisti, che ritenevano che l’organismo adulto preformato risiedesse negli spermatozoi. Alla visione preformista era spesso associata anche l’idea della preesistenza di tutti i germi (uova o spermatozoi) all’inizio del mondo, comparsi in virtù di un singolo atto di creazione divina e destinati a generare tutte le successive forme di vita. Tale credenza trovava espressione nella “teoria dell’inscatolamento”, ovvero l’ipotesi che tutti gli individui di ciascuna linea di discendenza si fossero trovati al momento della creazione

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come inscatolati l’uno dentro l’altro nei germi del relativo capostipite. Proteina (protein): molecola costituita da una sequenza di aminoacidi che traduce la sequenza nucleotidica di una molecola di RNA, trascritta a sua volta a partire da uno stampo di DNA. Vedi sintesi proteica. Pseudogene (pseudogene): copia difettosa di un gene funzionale. Psicologia evoluzionistica (evolutionary psychology): programma di ricerca diretto a fornire una spiegazione evoluzionistica dei meccanismi psicologici profondi che sottostanno a ogni aspetto del comportamento umano; nelle sue principali teorizzazioni tale programma ha assunto come punto di partenza una concezione dell’evoluzione che individua nella selezione genica il principio esplicativo esclusivo di

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qualsiasi caratteristica fissatasi nel corso della storia evolutiva. Vedi anche sociobiologia.

-Q-

-R- Radiazione adattativa (adaptive radiation): la diversificazione, nel corso della storia evolutiva, di una specie o di un gruppo di specie in varie specie o sottospecie differenti che sono tipicamente adattate a vivere in nicchie ecologiche diverse (un esempio è dato dai fringuelli di Darwin). Il termine viene anche impiegato in riferimento a gruppi di organismi più inclusivi; si parla ad esempio della radiazione della classe dei mammiferi.

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Regno (kingdom): una delle macrocategorie in cui risultano suddivisi tutti gli esseri viventi. Il classico lavoro di Wittaker (1965) riconobbe cinque regni: monere, protisti, animali, piante e funghi. Oggi alcuni testi ne riconoscono sei, suddividendo le monere in archeobatteri ed eubatteri. Alcuni di tali regni sono tuttavia parafiletici. Replicatore (replicator): qualsiasi entità capace di produrre copie di se stessa. Ribosomi (ribosomes): organuli sui quali avviene la fase finale della sintesi proteica nella cellula; sono costituiti principalmente da RNA ribosomiale e da proteine. Ricapitolazione (recapitulation): l’ipotesi che un organismo, nel corso del suo sviluppo, attraversi una serie di stadi corrispondente alla sequenza evolutiva dei suoi antenati. Secondo l’ipotesi della

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ricapitolazione un organismo si svilupperebbe “scalando il proprio albero filogenetico”. Ricombinazione (recombination): lo scambio di materiale genetico tra cromosomi omologhi durante la meiosi. RNA: acido ribonucleico. Ne esistono tre forme principali, l’RNA ribosomiale, l’RNA messaggero e l’RNA transfer, che agiscono come intermediari nel meccanismo che dirige la traduzione del codice genetico nelle sequenze aminoacidiche delle proteine. In alcuni virus è lo stesso RNA a costituire la molecola ereditaria. RNA messaggero – mRNA (messenger RNA): una molecola di RNA che trascrive una sequenza del DNA e che veicola il messaggio che viene decodificato sui ribosomi per formare le proteine.

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RNA ribosomiale – rRNA (ribosomal RNA): il tipo di RNA che costituisce i ribosomi e fornisce la sede per la sintesi proteica. RNA tranfer – tRNA (transfer RNA): il tipo di RNA che porta ai ribosomi gli aminoacidi che vengono assemblati nel corso della sintesi proteica. Ciascuna molecola di RNA transfer trasporta un aminoacido particolare e possiede, in un’altra parte della sua struttura, una tripletta di nucleotidi complementare a un codone dell’RNA messaggero (definita anticodone). Nel corso della sintesi proteica i codoni del messaggero si combinano agli anticodoni degli RNA transfer. Gli aminoacidi trasportati da questi ultimi si troveranno così disposti nella sequenza dettata dalla sequenza di basi del messaggero e in questa sequenza verranno assemblati per formare la proteina.

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-S- Saltazionismo (saltationism): l’ipotesi che il cambiamento evolutivo, anziché realizzarsi in modo lento e graduale come esito dell’azione della sola selezione naturale, avvenga per “salti”, in occasione di macromutazioni improvvise e fortunate, immediatamente fissate nella discendenza. Selezione di gruppo (group selection): selezione operante tra gruppi di organismi, anziché tra singoli organismi all’interno di un gruppo. L’esito della selezione di gruppo sarà la diffusione nella popolazione di caratteri che avvantaggiano il gruppo nella competizione con altri gruppi, piuttosto che di caratteri che avvantaggiano i singoli organismi nella competizione con altri

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organismi all’interno di un gruppo. Vedi teoria gerarchica dell’evoluzione. Selezione di parentela (kin selection): selezione che favorisce la diffusione del comportamento altruistico verso i parenti stretti in virtù del vantaggio che tale comportamento assicura ai geni che il portatore condivide con i propri parenti. L’altruismo dell’individuo, in base a questa ipotesi, non farebbe che mascherare l’egoismo dei suoi geni, intesi come i beneficiari esclusivi di qualsiasi caratteristica o comportamento fissatosi negli organismi nel corso della storia evolutiva. Vedi fitness inclusiva, gene egoista e selezione genica. Selezione di specie (species selection): pattern di sopravvivenza o di estinzione differenziale delle specie che si ritiene causato dall’azione di un meccanismo selettivo operante su proprietà “emergenti al

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livello della specie”, ovvero non derivabili da un mero aggregato di proprietà organismiche. Confronta con cernita di specie e teoria gerarchica dell’evoluzione. Selezione genica (gene selection): selezione operante sul corredo genetico. L’esito della selezione genica è la diffusione nella popolazione di caratteri che avvantaggiano i singoli geni nella loro competizione per massimizzare la propria trasmissione alle generazioni successive, anziché di caratteri vantaggiosi da un punto di vista organismico. Selezione naturale (natural selection): la sopravvivenza e riproduzione differenziale di organismi diversi all’interno di una popolazione. Nell’evoluzione darwiniana figura come il principale meccanismo responsabile del cambiamento evolutivo. La logica della teoria prevede alcuni passaggi: la

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crescita incontrollata delle popolazioni è frenata dalla limitatezza delle risorse disponibili; esiste pertanto una lotta per l’esistenza tra gli organismi di una data popolazione; ciascun organismo è portatore di una propria diversità e questa variazione è in gran parte ereditabile; quindi gli organismi che risultano avvantaggiati nella lotta per l’esistenza dai propri caratteri variabili avranno maggiori probabilità di sopravvivere e conseguentemente di riprodursi; i caratteri di cui sono portatori verranno così trasmessi alla loro progenie; con il passare delle generazioni quei tratti vantaggiosi si diffonderanno nella popolazione producendo il cambiamento evolutivo. Selezione sessuale (sexual selection): meccanismo teorizzato originariamente da Darwin; la selezione sessuale favorisce la diffusione nella popolazione di caratteri che avvantaggiano gli organismi portatori nella

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ricerca del partner, ma che sono spesso dannosi in termini di sopravvivenza individuale. I tratti sessualmente selezionati rispondono quindi a un criterio di “vantaggio riproduttivo” anziché al criterio di vantaggio per la sopravvivenza caratteristico dei tratti naturalmente selezionati. Simbiogenesi (symbiogenesis): l’ipotesi dell’origine di nuove forme di vita mediante la fusione di organismi appartenenti a specie diverse. In particolare, l’ipotesi formulata dalla biologa americana Lynn Margulis che alcuni organuli degli organismi eucarioti, quali ad esempio i mitocondri e i cloroplasti, fossero in origine procarioti liberi, riparatisi in un momento successivo all’interno di cellule eterotrofe più grandi. Simpatria (sympatry): condizione di vita nel medesimo luogo. Confronta con allopatria.

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Sintesi Moderna (Modern Synthesis): la grande sintesi evoluzionistica degli anni trenta e quaranta del ventesimo secolo derivante dalla fusione della teoria darwiniana dell’evoluzione per selezione naturale con la genetica mendeliana attraverso gli studi di genetica delle popolazioni dell’inizio del secolo. Il paradigma evoluzionistico che derivò da tale processo di unificazione teorica e disciplinare prese il nome di neodarwinismo. Sintesi proteica (protein synthesis): il processo di costruzione della sequenza aminoacidica delle proteine che si verifica nella cellula; l’informazione veicolata dalla molecola di RNA messaggero viene tradotta nel linguaggio aminoacidico delle proteine tramite l’intervento di molecole di RNA transfer che trasportano gli aminoacidi ai ribosomi.

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Sistematica (systematics): lo studio scientifico della diversità degli organismi e delle loro relazioni. La sistematica tradizionale segue il sistema gerarchico inaugurato nel diciottesimo secolo dal naturalista svedese Carl von Linné (Linneo). Le categorie del sistema linneano sono specie, genere, famiglia, ordine, classe, phylum, regno, più alcuni livelli intermedi. Esistono tre scuole di sistematica: la sistematica filogenetica o cladistica, la sistematica evoluzionistica e la sistematica fenetica. Sistematica evoluzionistica (evolutionary systematics): metodo di classificazione che utilizza principi sia cladistici che fenetici. Nello specifico essa ammette come monofiletici sia quelli che i cladisti definiscono gruppi parafiletici (che sono accettati nella sistematica fenetica, ma

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non nella cladistica) sia quelli che i cladisti definiscono gruppi monofiletici, ma esclude i gruppi polifiletici (banditi dalla cladistica, ma accettati dalla sistematica fenetica). Sistematica fenetica (phenetic systematics): metodo di classificazione in cui le specie o i taxa sono raggruppati in base a un criterio di somiglianza morfologica. Sistematica filogenetica (phylogenetic systematics): detta anche cladistica, è la scuola di pensiero fondata da Willi Hennig negli anni cinquanta del Novecento. I membri di un gruppo monofiletico in una classificazione cladistica sono tutti quelli che condividono tra loro un antenato comune più recente di quello che condividono con i membri di qualsiasi altro gruppo. A qualunque livello della gerarchia classificatoria un gruppo, ad esempio una famiglia, viene formato combinando un

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sottogruppo al livello immediatamente sottostante (un genere, in questo caso) con il sottogruppo o i sottogruppi con cui esso condivide il più recente antenato comune. Confronta con sistematica evoluzionistica e sistematica fenetica. Sloshing bucket: modello teorico dell’evoluzione fondato sull’ipotesi gerarchica dell’irriducibilità dei diversi piani evolutivi. Nel modello dello sloshing bucket gli eventi evolutivi che coinvolgono le diverse categorie sistematiche sono innescati da fenomeni della storia ecologica e fisica della Terra, secondo pattern che esibiscono una relazione di proporzionalità diretta tra l’entità dell’evento ecologico e quella dell’evento evolutivo corrispondente. Come in un secchio trasportato a mano le oscillazioni dell’acqua sono tali che quanto più in alto arriva l’acqua da un lato del secchio, tanto più in alto essa giunge sull’altro lato, allo stesso modo in

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natura accade che quanto più forte è un trauma ecologico, tanto più marcato sarà l’effetto evolutivo da esso innescato. Il modello è stato proposto alla fine del Novecento dal paleontologo americano Niles Eldredge. Confronta con teoria gerarchica dell’evoluzione. Sociobiologia (sociobiology): programma di ricerca fondato da Edward O. Wilson negli anni settanta del Novecento; secondo la definizione offerta dallo stesso Wilson la sociobiologia è “un’integrazione dei dati dell’etologia, dell’ecologia, della genetica e della biologia evoluzionistica per una comprensione della basi biologiche e dei meccanismi evolutivi che sottendono al comportamento sociale in una visione comparativa”. Spesso è stata definita come un programma di ricerca diretto a fornire una spiegazione evoluzionistica di ogni aspetto della vita sociale umana. Tale definizione è

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tuttavia frutto di una trasposizione indebita sul piano umano dell’intento originario di Wilson, il quale ha formulato le sue teorie studiando le società animali, principalmente le formiche, occupandosi solo marginalmente del comportamento umano. Nello studio evoluzionistico del comportamento sociale, il programma sociobiologico assume come punto di partenza una concezione dell’evoluzione che individua nella selezione genica il principio esplicativo esclusivo di qualsiasi caratteristica fissatasi nel corso della storia evolutiva. Vedi anche psicologia evoluzionistica. Speciazione (speciation): il processo che porta alla nascita di una o più specie discendenti a partire da una specie originaria. Speciazione allopatrica (allopatric speciation): la nascita di una nuova specie

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in un luogo separato da quello della specie originaria. Secondo la teoria della speciazione allopatrica, formulata da Ernst Mayr negli anni cinquanta del Novecento, a innescare il cambiamento evolutivo che porta alla nascita di una nuova specie è il prodursi occasionale di una barriera geografica che separa una piccola popolazione dall’area di distribuzione della specie a cui appartiene, oppure il superamento fortuito di una barriera da parte di una piccola popolazione fondatrice. Il campionamento genetico casuale iniziale e l’interruzione del flusso genico fanno sì che nel piccolo isolato periferico si fissino mutazioni diverse da quelle accumulate dal resto della specie originaria e a un ritmo tanto più elevato quanto più sono piccole le dimensioni della popolazione coinvolta. Se, trascorso un certo tempo, la divergenza genetica tra l’isolato periferico e il resto della specie originaria è giunta a un livello sufficiente, si può formare

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un meccanismo di isolamento riproduttivo tra le due popolazioni, e quindi nell’isolato periferico sarà avvenuto un processo di speciazione che ha generato una nuova specie. Speciazione parapatrica (parapatric speciation): modello di speciazione che avviene in un luogo adiacente all’area di distribuzione della specie originaria, prevalentemente attraverso rimaneggiamenti cromosomici. Speciazione simpatrica (sympatric speciation): la nascita di una nuova specie all’interno dell’area di distribuzione della specie originaria. In questo caso interverranno meccanismi di isolamento riproduttivo che si generano indipendentemente dalle condizioni di isolamento geografico che innescano la speciazione allopatrica.

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Specie (species): la categoria sistematica immediatamente sottostante al livello rappresentato dal genere. Nel tempo la specie è stata definita in diversi modi. La definizione più comune è oggi quella “biologica”. In base alla nozione biologica di specie, una specie è un gruppo di individui interfecondi, isolato riproduttivamente da altri gruppi simili. Specie ad anello (ring species): situazione in cui due popolazioni simpatriche riproduttivamente isolate sono connesse “alle spalle” da un anello formato da una serie di popolazioni che circondano un ostacolo geografico (massiccio, montuoso, lago, valle arida…) e nel quale vi è possibilità di incrocio tra popolazioni adiacenti. Specie biologica (biological species): una specie che è stata definita in base alla

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capacità degli organismi membri di incrociarsi tra loro dando origine a una prole fertile, unitamente all’incapacità degli stessi di incrociarsi in modo fertile con organismi appartenenti ad altri gruppi simili. Confronta con specie morfologica. Specie morfologica (morphological species): una specie che è stata definita in base a caratteristiche fisiche misurabili. Confronta con specie biologica.

-T- Tassonomia (taxonomy): dal greco taxis (arrangiamento) e nomos (legge). Teoria e pratica della classificazione degli organismi. Usato indifferentemente al posto di sistematica, attualmente il termine viene più usato per indicare lo studio teorico della

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classificazione attraverso la definizione esatta di principi, procedure e norme. Taxon (plurale taxa): un gruppo tassonomico denominato, appartenente a qualsiasi livello gerarchico, che sia considerato sufficientemente distinto per essere assegnato a una categoria sistematica definita, come ad esempio la famiglia degli ominidi, o il genere Homo, o la specie Homo sapiens. Teleonomia (teleonomy): secondo la definizione data da Jacques Monod (1970, Il caso e la necessità), per teleonomia si intende la condizione caratteristica di tutti gli esseri viventi “di essere oggetti dotati di un progetto, rappresentato nelle loro strutture e, al tempo stesso, realizzato mediante le loro prestazioni”. Il termine, dal greco télos = fine, fa pertanto riferimento all’apparente progettualità esibita dalle strutture e dai

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processi biologici sia su scala molecolare, sia su scala organismica. L’esistenza di strutture e processi che “servono” per un determinato scopo ha trovato una coerente spiegazione biologica nella teoria dell’evoluzione per selezione naturale formulata da Charles Darwin nel 1859. Al “progettista supremo”, invocato dalla tradizione della teologia naturale per spiegare gli adattamenti organici, Darwin sostituì un principio esplicativo meramente materialistico in grado di rendere conto al contempo della realtà dell’adattamento e dell’incessante trasformazione delle forme di vita in vista di migliori adattamenti all’ambiente circostante. Tempo geologico (geologic time): la scala temporale utilizzata per descrivere gli eventi della storia fisica della Terra e dell’evoluzione degli esseri viventi che la popolano.

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Teoria dei sistemi di sviluppo – DST (developmental systems theory): complesso di teorie che indagano l’ontogenesi degli organismi da un punto di vista “sistemico”, ovvero tenendo conto della fitta interconnessione dei molteplici percorsi causali di derivazione interna ed esterna coinvolti nel processo. L’approccio della DST si contrappone a qualsiasi approccio allo studio dello sviluppo individuale diretto all’individuazione di un principio esplicativo univoco identificato ora con cause meramente genetiche, ora con cause meramente ambientali, ora con una qualche combinazione additiva di cause genetiche e ambientali. In alternativa, la DST propone un’immagine dell’ontogenesi che sia in grado di esibire l’inestricabile intreccio delle cause in gioco e la pluralità irriducibile delle molteplici entità interagenti nel processo.

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Teoria gerarchica dell’evoluzione (hierarchical theory of evolution): modello teorico dell’evoluzione che riconosce l’esistenza di una molteplicità di livelli di organizzazione e di evoluzione del vivente strettamente interdipendenti ma al contempo irriducibili l’uno all’altro da un punto di vista epistemologico. In base al modello gerarchico, la spiegazione degli eventi macroevolutivi non può essere derivata per mera estrapolazione a partire dalla spiegazione genetica che sembra appropriata per rendere conto degli eventi microevolutivi. La macroevoluzione necessita di un modello esplicativo “indipendente”, identificato ora con un vero e proprio meccanismo selettivo di livello superiore operante, ad esempio, su proprietà emergenti al livello delle specie, ora con pattern di sopravvivenza ed estinzione differenziale delle categorie tassonomiche di grado più elevato innescati da avvenimenti della storia ecologica e fisica della Terra.

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Confronta con selezione di specie e sloshing bucket. Teoria neutrale dell’evoluzione molecolare (neutral theory of molecular evolution): l’ipotesi, avanzata da genetista giapponese Motoo Kimura, che gran parte dell’evoluzione a livello molecolare non avvenga attraverso un processo di selezione, ma per fenomeni casuali, quali la deriva genetica. Confronta con orologio molecolare. Tettonica a placche (plate tectonics): la teoria che la superficie terrestre sia costituita da un certo numero di placche, i cui movimenti nel corso del tempo geologico hanno prodotto la posizione attuale dei continenti. La tettonica a placche spiega la posizione delle montagne, così come i terremoti e le eruzioni vulcaniche. Le placche rigide sono formate da crosta continentale e oceanica unitamente al mantello di superficie

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che fluttua su uno strato sottostante di mantello semifuso e si muovono l’una rispetto all’altra per tutto il globo terrestre. Sono riconosciute sei placche principali (eurasiatica, americana, africana, pacifica, indiana e antartica) insieme a un certo numero di placche più piccole. I margini delle placche coincidono con le zone di attività sismica e vulcanica.

-U- Uniformismo (uniformism): teoria geologica elaborata nel tardo diciottesimo secolo, secondo la quale le forze naturali attualmente responsabili dei cambiamenti della superficie terrestre hanno operato in passato allo stesso modo e al medesimo ritmo lento e graduale. La teoria postulava che il presente fosse la chiave per

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comprendere il passato e implicava che la Terra fosse molto più vecchia di quanto ipotizzato nel racconto biblico. Nel corso del diciottesimo e del diciannovesimo secolo essa si contrappose alla teoria geologica del catastrofismo.

-V- Vestigiale (vestigial): si dice di una struttura di un organismo che è retaggio della storia evolutiva dei suoi antenati, ma che nel tempo ha subito una tale diminuzione delle dimensioni e della funzionalità da apparire attualmente quasi inutile, se non del tutto. Vincoli (constraints): i limiti fisici alle possibilità di sviluppo degli organismi che vincolano l’azione della selezione naturale

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entro un determinato ventaglio di soluzioni ottimali possibili.

-W-

-X-

-Y-

-Z- Zigote (zygote): negli eucarioti, la cellula diploide prodotta dall’unione dei gameti.