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  • Robtn Dunbar I Loutse Barrett I John Lycett

    L'EVOLUZIONE DEL CERVELLO

    SOCIALE edizione italiana a cura di Ferdinando Rossi ., traduzione di Gabriella Valentino è Federico Arbore

  • L'editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietar.i dei diritti sulle immagini riprodotte, laddove non sia stato possibile rintracciarli per chiedere la debita autorizzazione.

    ©2012 ESPRESS EDIZIONI srl e.so San Maurizio 15 10124 Torino

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    Prima edizione: aprile2012

    ISBN 978-88-97412-342

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riprÒduzione e di. adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i -paesi.

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    Questo libro è stampato con carta riciclata ed, ecologica, orientato alla sostenibilità e prodotto attraverso un ,, processo a basso impatto ambientale.

    Fotoc'opie per uso personale (cioè privato e individuale) nei limiti del 15% di ciascun volume possono essere effettuate negli esercizi che aderiscono all'accordo SIAE - AIE - SNS e CNA, Confartigianato, CASA, Confcommer~. cio del 18 dicembre 2000, dietro pagamento del compenso previsto in ta.le accordo. Per la legge italiana la fotocopia ~ lecita solo per uso personale purché noh danneggi ,l'autore. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposi-zione i mezzi per fotocopiare, chi' comunque favorisc::e questa prati.ca com-mette un furto e opera ai danni della cultura.

    Titolo originale dell'opera: Evolutionary Psycho/ogy

    © RobinDunbar, Louise Barrett, John Lycett

    Redazione: Alessandro Pastore

    Impaginazione: Vale.ria Berra

    Stampa: CDM_ - .Collegno (TO)

    Accedendo al sito è possibile visualizZare gratuitamente la versione online del testo, inserendo il codice.apposito nella sezione DIGITA.LE.

    Il codice per L'evoluzione del cervello sociale è

    Y4TLAUCQXSLP9

  • Prefazione 7

    1. Perché abbiamo bisogno delrevoluzione? 9

    2. Che cosa ha fatto per noi .l'evoluzione? 25

    3. Geni, sviluppo e istinto 51

    4. Che cosa ci rende umani 71

    5. La scelta del partner 93

    6. !dilemmi dell'essere genitori 115

    7. La spirale sociale 135.

    8. Linguaggio e cultura 155

    9~ L'unicità dell'essere umano 177

    10. Mondi virtuali 195

    11. La scienza della moralità 213

    Indice

    @ GLOSSARIO 237 . RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 243

    INDICE DEI NOMI 251

  • Prefazione

    Cosa rende gli umani unici e speciali fra le specie viventi? La ;ispo-sta sta nella domanda stessa." o meglio nella capadtà di for~ularla. È molto prol;>abile eh~, nell'universo conosciuto, siamo gli unici a pre-occuparci di un simile problema. E, tuttavia, l'interrogativo è pressan-te e da lungo tempo oggetto di studio.

    Evolutionary Psychology di Louise Barrett, Robin Dunbar e John Ly-cett rappresenta al tempo stesso un modo di rispondere·a questa do-manda e uno strumento per chi vuole intraprendere una sua indagine personale. Pensato é scritto come agile manuale introduttivo, il libro è indicato per gli studenti o per chiunque voglia accostarsi allo studio della funzione mentale da una prospettiva evoluzionistica.

    La versione originale data di alcuni anni. In questo periodo, tut-. tavia, l'interesse per l'argomento si è notevolmente accresciuto e ar-ricchito di nuove scoperte, conoscenze e concetti. Quello che era un campo di studio pionieristko e un poco esoterico è diventato oggi un settore delle neuroscienze. in piena espansione, Per questa ragione, abbiamo scelto di modificare il titolo originale pµntando l'attenzione sul fuoco principale della ricerca attuale: il ce1Vello sociale. .

    Negli ultimi dieci anni, è nata una nuova scienza la quale, piutto-sto che analizzare il funzionamento di un' singolo sistema nervoso, . studia come più

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    attraverso forrne di apprendimento culturale, che hanno sovvertito per sempre le regole della biologia evoluzionistica. Le ·conoscenze attuali indicano che persino i nostri parenti più prossimi, gli scim-panzé, possiedono solo un barlume· di queste capacità. Il lavoro di Dunbar e dei suoi collaboratori è da molti anni dedicato a capire come e perché queste proprietà speciali sòno emerse. nel corso dell' evolu-zione degli ominidi.

    Gli autori propongono poi una tesi avvincente secondo la quale l'enorme espansione della neocorteccia cerebrale, che caratterizza le fasi finali dell'evoluzione del nostro genere, sia stata determinata dallo sviluppo delle capacità di interazione sociale. la dimostrazione diretta di questa teoria non è ancora disponibile, ma il modello di ricerca è certamente fra i più interessanti.

    Il libro racconta il percorso di studio toccandone tutti gli aspetti principaV, con terminologie ed esempi accessibili al grande pubblico,· senza nulla· togliere ·alla complessità del tema. Proprio alla luce. del sorprendente sviluppo delle neuroscienze sociali, abbiamo ritenuto che la traduzione potesse fornire al pubblico italiano un utile stru-mento per accostarsi a questi temi di indagine. Il lettore potrà gode-re di alcune ore di interessante intrattenimento, ma anche ·costruirsi una solida base di partenza per addentrarsi in ulteriori esplorazioni personali.

    Come nota finale, un sincero ringraziamento a Gabriella Valenti-no, per la sua opera attenta e preziosa e per il suo costante sostegno, senza i quali questa traduzione non avrebbe mai visto la luce. . .

    FERDINANDO Rossi Torino, 15 marzo 2012

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    • Perché abbiamo bisogno dell'evoluzione?

    Quando, nel 1859, Charles Darwin pubblicò L:origine delle specie, co-gliendo alla sprowista il pubblico vittoriano, provocò uno shock in-tellettuale che continua anc:ora oggi ad avere ripercussioni in tutto il mondo. Una delle implicazioni sottese nel libro, anche se non si trat-tava propriamente di una intuizione dello stesso Darwin, era il fatto che noi esseri umani siamo a rutti gli effetti parte del regno animale: siamo membri dell'ordine dei primati, gruppo che comprende tutte le specie di scimmie e di scimmie antropomorfe. Da circa dieci anni a questa parte abbiamo fatto un ulterìore passo avanti rispetto a ciò che ogni contemporaneo di Darwin avrebbe mai potuto immaginare: siamo in possesso di inconfutabili prove scientifiche le quali dimo-strano che, ben lungi dall'essere solo lontani cugini delle scimmie, ci collochiamo fermamente nella famiglia delle scimmie antropomorfe, in qualità di specie sorella degli scimpanzé.

    Darwin e la mente

    Anche se la teoria darwiniana della ,, fu davvero rivo- ® · luzionaria nella storia della scienza, la massima portata sulla lunga di-stanza non l'ebbero propriamente le idee di Darwin sulla formazione delle specie. Nel ripercorrere i centocinquata anni di storia del pensie-

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    ro trascorsi dalla pubblicazione de L'origine delle specie, si osserva che a essere oggetto di sempre maggiore attenzione furono ~e sue pubbli-cazioni successive, I.: origine dell'uomo, nella quale esplorò la selezione sessuale e il comportamento riproduttivo, e L'espressione delle emozioni nelruomo ·e negli altri animali, nella quale si confrontò con il nascente campo della psicologia~ Le speculazioni di Darwin relative al compor-tamento furono in un primo momento decisamente sottovalutate: in effetti, la sua teoria della selezione sessuale, sottolineando l'importan-za della s.celta del partner, giunse a occupare la posizione di premi-nenza che ha oggi alrinterno d~lla biologia evoluzionistica soltanto un secolo dopo la pubblicazione de I;..'espressione delle emozioni nell'uomo e· negli altri animali. E per molti versì stiamo oggi ancorà assimilando le lezioni del suo lavoro sulle emozioni; In conclusione, entrambi i libri furono straordinariarpente all'avanguardia, Darwin indicò questioni che da allora sono state considerate basilari per la comprensione del · comportamento umano e della mente che ne è fondamento. .

    Negli ultimi tre decenni abbiamb assistito a una straordinaria espànsione nella comprensione del comportamento animale. e delle sue componenti evolutive. Le conseguenze sono state sia lo sviluppo di uri corpo di teorie molto sofisticato, la maggior parte delle quali

    . .

    supportata da modelli matematici, sia la realizzazione di una gran-de mole di ricerche osservative e sperimentali sul comportamenfo .animale che avrebbe entusiasmato oltre misura il vecchio scienziato; infatti fu proprio il genio di Darwin ad accostare a una potente combi-nazione di acute intuizioni teoriche test empirici che utilizzavano dati provenienti da un ampio raggio di specie. Conosciuto come «metodo

    ·comparativo» è a tutt'oggi il caposaldo dell'approccio evoluzionistico. Mentre lo studio degli animali non umani progredì rapidamente

    . a partire dagli anni Settanta, l'estensione di queste idee al comporta-mento e alla psicologia umana ha dovuto attendere altri due decenni prima del s'uo decollo esplosivo. Questo riflette in parte un certo di-sagio dei· biologi nei confronti di questioni che riguardano l'uomo,

  • ma anche la diffidenza riservata dagli scienziati sociali alle idee evo-luzionistiche e biologiche fin dai primi del Novecento. Comunque, a partire dalla fine degli anni Ottanta, le teorie evoluzionistiche hanno iniziato a essere applicate seriamente allo studio del comportamento umano e della mente.

    È un campo così nuovo che i suoi risultati sono reperibili solo sulle riviste specializzate. Questo ·libro è un tentativo di illustrare alcune delle scoperte più significative della ricerca in questione attraverso un linguaggio accessibiie anche a un lettore non esperto.

    Prima di cominciare è necessario chiarire quali siano le implicazio-ni di un approccio evoluzionistico allo studio del comportamento uma-no. Il valore di questo approccio consiste nel fatto che ci fornisce una solida cornice. teorica che ci consente di fomiulare una serie di ipotesi precise riguardo le reazioni all'ambiente e i meccanismi psicologici, e a sottoporle a test rigorosi utilizzando dati provenienti dal mondo reaie.

    Siamo in grado di porci domande circa la storia e lo sviluppo di un carattere basandoci sia sul tempo geologico (la sua causa.filogenetica), sia .sul corso della vita di un .individuo (la sua causa ontogenetica), de~ terminando in che modo un certo comportamento aumenti le possi-bilità di sopravvivenza e riproduzione (la sùa causa fanzionale o causa ultima) e di identificare i fattori che scatenano una particolare risposta ambientale (la sua: causa motivazionale o prossimaler

    Niko Tinbergen, vincitore del premio Nobel nel 1973 per il suo lavo-ro sul comportamento animale, fece notare che ciascuno di questi que-siti, che possono apparire molto differenti a prima vista, sono in realtà nient'altro che modi diversi di porre la medesima domanda: perché un animale esibisce un tratto particolare? Questo interrogativo può essere posto a diversi livelli di spiegazione evolutiva. Ognuna di queste quat" tro spiegazioni mostra il

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    divisione in categorie di domande che possiamo porci in questa ma-niera è oggi nota, in suo onore, come i quattro perché di Tinbergen.

    Formulando le nostre domànde con cura e assicurandoci che le risposte possano essere ·collocate sul piano esplicativo appropriato, possiamo distinguere quali comportamenti sono adattamenti pro-dotti dal processo di selezione naturale, quali sono conseguenze se-condarie della selezione per altri caratteri, quali furono inizialmente .selezionati per altri· scopi ma sono stati cooptati dall'evoluzione per ricoprire un ruolo nuovo (anche noti come come preadattamenti) o quali servono. funzioni affatto evolutive. ·in altri termini, fobiettivo dell'approccio evoluzionistico è capire i vantaggi che i caratteri offro-no ai singoli individui, come questi interagiscono con altri caratteri (per esempio come l'avere un cervello grande implichi un maggiore arco di tempo perché un animale possa raggiungere la maturità ses-suale) e come la storia evolutiva di una specie limiti la gamma degli adattamenti possibili.

    Il determinismo genetico: un equivoco evolutivo

    Ciò che un apprdccio evolutivo non.implica, tuttavia, è la nozione che·

  • , Un· vocabolo mutuato dalla genetica di popolazione che si rife- @ ~isce al numero relativo di copie di tin particolare gene che un indivi~ duo doria alle generazioni successive. .

    Ciò premesso, potrebbe conseguirne che ogni questione di evolu-zion~ debba significare evoluzione genetica. La logica.di questa te.si potrebbe sembrare.inattaccabile.· Ma la domanda Jondanientale che dobbiamo porci è: ciò ha a che fare con lo studio evoluzionistico del-la mente? La risposta breve è no. C'è un'en9rme ·di differenza tra il sostenere che siamo in grado di fornire .una ,spiegazione di tipo evo~ luzionistico per il comportamento e l'affermare che stianio offrendo .una. spiegazione in termini di determinazione genetica del com,porta-mento. Ciò per due ragioni. In primo luogo, nessuna specie .nota, con la possibile eccezione di creature monocellulari come virus e batteri, mostra forme di comportamento geneticamente determinate. Il com-· portamento· è semplicemente troppo complesso per essere determi-. nato ·da geni singoli. Più importante ancora, se un comportamento fosse realmente determinato dal.la sola attività di geni si dovrebbe n~cessariamente sviluppare nella.stessa identica maniera in ogni.singolo individuo, senza alcui;ia inJluenza dell'ambiente. Ne conseguirebbe U:n comportamento che; giocoforza, sarebbe interamente rigido: l' organi-smo si comporterebbe: sempre ne1la medesima. maniera, a prescindere dalle circostanze. Il i' -1~. É~,in questi terminì, sarebbe ®. un'ottima via per latain. a estinzione e la specie in questione; si trat-ta di una base nori.partitolartnente utile stilla quale fondare un'intera-zione efficace con un mondo complesso, in const;~mte mutamento.

    I vertebrati hanno ampliato il volume del cervellò per avere fa possìbilità di corr~ggere illor~ èomportamento allo scopo direagire in modo consono alle circostanze particolari nelle quali capitava di trovarsi· di volta irt volta. I geni che regolano lo. sviluppo del sistema nervoso sono stati espressamente selezionati per consentire all' or-. ganismo di liberarsi da. un'esistenza predeterminata geneticamente. Ironicamente, date le paure del determiniSm,o genetico e della perdita

    Perché abbiamo bisogno dell'evoluzione? 13

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    del «libero arbitrio», sono i nostri geni che ei liberano da queste co-strizioni deterministiche.

    Un approceio di stampo evoluzionl.stieo alla comprensione del comportamento non ha nulla a che fare con l'identificazione di un singolo nesso· causale tra geni e comportamento. Questo equivoco spesso nasce perché un approccio evoluzionistico richiede alcuni geni nel sistemél., quindi la convenzione ci porta a. identificare arbitra-riamente alcuni geni come oggetto del nostro pensiero. I geni nelle spiegazioni di tipo evoluzionistico non sono altro che uno strumento per mantenere chiaro il nostro pensiero. È evidente che ciò non signi-fica necessariamente che .non vi siano coinvolti alcuni geni specifici, ma si tratta di una domanda che trova uria risposta puramente em-pirica, ché .deve essere fornita dai biologi dello sviluppo, non dagli psicologi evoluzionisti.

    In ··sècondo luogo, lo studio evoluzionistico del comportamento non si occupa propriamente dei geni che determinano il comporta-mento, neanche nel debole senso che ci devono sempre essere alcu,ne costrizioni genetiche anche solo perché un comportamento sia dato. Il punto è che un approccio evoluzionistico è interessato a un'analisi strategica del comportamento: «perché l'individuo si comporta in que- · sta maniera?». Ovvero, «a quale scopociò è utile per l'individuo?». Un punto dJ vista strategico non fa supposizioni specifiche rigu~rdo cosa determina un comportamento,·si limita a ipotizzàre che la scelta della. strategia comportamentale di un individuo sia guidata da considera-

    . zioni di tipo evoluzionistico (vale a dire massimizzare il suo contr~buto al patrimonio genetico della specie nelle generazioni ftiture).

    Darwin, geni e comportamento

    L'approccio evoluzionistico ·allo studio del comportamento solleva (. .

    quattro questioni che ,devono essere chiarite.

  • Primo, spiegazioni di questo tipo sembrano sostenere, e sono sta-te certamente interpretate come se lo implicassero; che gli animali . . prendano decisioni coscienti riguardo il loro futuro genetico. Nessun organismo può farlo, neanche gli umani. Piuttosto, questo tipo di spiegazione non fa alcuna assunzione su come tali decisioni venga-.no prese: potrebberÒ essere deì tutto guidate geneticamentè,senza consapevolezza alcuna, ma potrebbero allo stesso modo essere del tuttò apprese e intenzionali, o qualunque posizione tra questi due estremi. Quali di queste eventualità sia la più corretta è una interes-sante domanda empiriq nia la risposta non ha alcuna implicazio-ne sul fatto che gli animali si comportino seguendo strategie o, in . ' . ,. effetti, se le loro scelte sono state detta,te da considerazioni di tipo

    . evoluzionistico. Secondo, anche se gli organismi che si comportano in modo tale

    da aumentare il numero dei loro discendenti nelle generazioni future . acquisiscono un maggiore livello di fitness, ciò non significa che il . vero scopo del loro agire sia la massimizi:azione della fitness. L'obiet- . tivo di un cacciatore aché della Patagonia potrebbe essere, talvolta, quello di stanare e ucc~dere un tapiro, in un'altra occasione quello di ammogliare uno dei suoi figli e di danzare alle nozze. la connessio~ ne con la fitness potrebbe·essere molto r~mota e non-c'è motivo per aspettarsi che gli esseri umani, non più éhe gli altri animali, mostrino comportamenti che hanno lo scopo manifesto di aumentare la loro fitness (il numero della loto prole); anèhe se, in fondo, è questa la loro conseguenza ultima. Il raggiungimento di un obiettivo più prossimo può avere effetti di miglioramento della fitness, ma non è necessario eh.e ci sia alcuna connessione diretta tra i due. Questa connessionè. estesa, attraverso una serie di obiettivi intermedi, tra un comporta-mento. e le sue conseguenze finali sulla fitness, ci consente di stu-diare le decisioni comportamentali degli organismi concentrandoci sulle conseguenze immediate a breve termine, come 1n~ssimizzare l'energia assimilata dàll' esterno (nel caso· dei cacciatori) o massirniz-

    Perché abbìamo bisogno dell'evoluzione? 15

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    zare. la numerosità della prole generata (nel caso di strategié di cor-teggiamento),· supponendo che soluzioni efficaci a questi problemi immediati porteranno in ultima analisi a una fitness più alta. In eco-logi~ d~l comportamento, questo concetto è noto con il nome di.mossa· fenotipica. . .

    · Terw, l'ipotesi che gli organismi siano progettati per comportarsi in modo tale da massimizzare la loro fitness genetica è uno· strumen-to euristico piuttosto che la presunzione di un fatto: ci consente p~evisioni molto precise, che possono essere sottoposte a test empirici

    · mirati. Al contrario, la critica al determinismo genetico :si concentra in modo esplicito sul meccanismo che permette al: comportamento di presentarsi - di fatto, ciò che· consente la costruzione della struttura. Questa è uri~ domanda sul come ed è altro che chiedersi perché il com-portamento si presenti. · ·

    Quarto, le spiegazioni evoluzionistiche sono di tipo statistico. Forse il tentativo più comune di controbattere a. una spiegazione di tipo evoluzionistico è: «SÌ,i miei figli non fanno così!». Un caso specifico, comunque, non può smentire una regola statistica. Per dimostrare la falsità di questa .affermazione è necessario dimostra-re che 'i bambini in inedia non si comportano cosL La natura stati~ stica delle spiegazioni di tipo evoluzionistico è importante ...,. anzi, cruciale· - peréhé· un c.ambiamento evolutivo nort può avvenire se tutti si comportano ~ella stessa maniera. Gli organismi devono ana-lizzare di continuo l'ambiente, sia esso fisico o sociale, con ìl fine di stabilire se i loro comportamenti rispettino i requisiti ottimali ip. senso evolutivo. Senza, eccezione, alcuni ind:lvidui falliranno. Ma, di tanto in tanto, qy.esti processi di apprendimento per prova-errore condurranno a una nuova soluzione migliore di tutte le altre. Con.il tempo questa soiuzione si diffonderà attraverso la popolazione, dal momento che coloro i quali la trovano, o la adottano, hanno mag-gior .successo riproduttivo. Ma_ anche così, quella specifica sohizionte non sarà mafadottata da tutti i membri della popolazione: individui

  • isolati continueranno a spetimentél;rne di nuove, e alcuni continue-ranno a fallire.

    In breve, la critica fa confusione tra due tipi diversi di'domande che possono essere poste riguardo al mondo: perché un qualcosa acca-de e come dò accad~~ È probabile che tale confusione derivi dal fatto che la parola gene viene utilizzata .in entrambe le tipologie di spiega-zione. Una si concentra sui geni in quanto cause del comportamento (o la capacità di avere un còmportamento), l'altra si concentra su i geni in quanto conseguenze del comportamento (vale à dire, l'effetto che il comportarsi in una specifica maniera ha sul corredo genetico della generazione successiva) .. Mentre ibiologi evoluzionisti tengono ben distinte le due accezioni, chi ha meno familiarità con questo tipo di approccio spesso le confonde tra loro. .

    Ariche se questi due processi sono necessariamente interconnes-si, non ne consegue che, in alcun caso specifico, lo stesso gruppo di geni sia allo stesso tempo causa ed effetto. Negli organismi con un'ampia massa cerebràle, come i mammiferi e gli uccelli, questo loop evoluzionistico è spesso interrotto dal cervello. Esaminiamo un organismo che ha un grande cervello che gli permette di adottare stra-tegie comportamentali flessibili. Ciò gli consente. di accordare; 11 suo comportamento alla luce delle circostanze attuali, massimizzando il numero dei suoi accoppiamenti è, di conseguenza, massimizzando il numero di discendenti, con cui contribuisce alla generazione suc-cessiva. Ciò che viene trasmesso di generazione in generazione e che rende possibili sia l'evoluzione sia il comportamento sono i geni per un cervello grande. Ma questi geni non determinano il comportamen-to, l'accoppiamento, a cui il cervello dà origine; piuttosto, si limitano a influenzare la capacità di. prendere decisioni flessibili che ben si accordano con le. circostanze contingenti.

    Infine, vale la pena ricordare che quando Darwin incominciò a formulare la sua teoria della selezione naturale, non aveva alcuna no-zione dei geni. In effetti la sua nuova teoria fu molto criticata per il

    Perché abbiamo bisogno dell'evoluzione? . 17

  • fatto che conteneva quello che molti consideravano un meccanismo di trasmissione ereditaria del tutto inadeguato. La teoria di Darwin dell'evoluzione attraverso selezione naturale riemerse dalla: crescente , oscurità nella quale era piombata dopo la sua morte dalla riscoperta

    ® delle leggi dell di Mendel.

    18,

    Anche seGregor Men el, abate del monastero di.Brno, nell'attuale Repubblica Ceca; stava ideando le sue leggi sull'ereditarietà nello stès-so periodo in cui Darwin sviluppava la sua teoria, le sue idee non fu-rono granché apprezzate al di fuori della sua città natale (Darwin, che possedeva una copia del saggio di Mendel, per certo non ne comprese la portata). Sorprendentemente, questa chiave che avrebbe liberato la teoria di Darwin rimase nascosta inpolverosi volumi in oscure biblio- . teche per più di mezzo se~olo finché non fu riscoperta dai genetisti nei primi del Novecento. Ne conseguì ciò che oggi è nota con il nome di nuova sintesi -·la fusione della teoria di Darwin dell'evoluzione at-traverso selezione naturale con le leggi sull'ereditarietà di Mendel in un'unica teoria unificata.

    In ogni caso, neppure Mendel era a conoscenza dei geni! Sia per Darwin che per Mendel l'ereditarietà, era tùtta una questione di «co-piatura fedele» tra geriitori'e prole. Ciò ha un'importane implicazio-ne: i processi evoluzionistici non devorio dipendere necessariamente dai geni. Qualunque cosa che correli la prole ai genitori ha la possi- · bilità di essere un processo darwiniano. Tutto ciò che un organismo apprende nel corso della sua vita e che trasmette alla prole può essere sottoposto a un processo di selezione riatu!ale. È del tutto 'plausibile, ed evoluzionistico, che esista una forma di ereditarietà non di natura genetica e che queste risorse non genetiche vengano selezi~nate nel e, corso tempo. I processi culturali possono pertanto avere effetti evolu-zionistici molto importanti e questo è vero in modo particolare nella nostra stessa evoluzione. In altri termini; non è necessario tirare in ballo i geni per studiare il comportamento umano da una prospettiva,. evoluzionistica. '

  • Districare la ragnatela

    In questo libro seguiremo in modo rigoroso la seguente strategia: a ogni passo ci chiederemo come gli umani si comportino in determi-nate circostanze; continueremo poi domandoci quali meccanismi co-gnitivi e fisiologici siano alla base di quel particolare comportamento. Dove sia possibile, ci porremo poi interrogativi circa il processo di sViluppo implicat9, nel tentativo di affrontare la questione del modo con il quale l'ereditarietà genetica e l'apprendimento interagiscono tra loro per determinare quel particolare comportamento (tuttavia, allo stato attuale delle nostre conoscenze, ciò che possiamo fare in tal senso è fortemente limitato dalla nostra quasi totale mancanza di conoscenza dei processi implicati). E, infine, in qualche caso, ci porremo domande riguardo· la storia evoluzionistica di un particola-re fenomeno (anche se i casi in cui siamo davvero in grado di dire qualcosa di utile sono ancora meno). Al momento, ci occuperemo principalmente di sollevare questioni circa i processi coinvolti e di orientarci verso possibili percorsi futuri.

    ~a psicologia evoluzionistica è stata spesso considerata come· un' al-. ternativa agli approcci più convenzionali allo studio della psicologia; come la psicologia dello sviluppò, la psicologia cognitiva o la psicolo-gia sociale. Ciò significa, tuttavia, fraintendere il significato dell'ap-proccio evoluzionista. Inbiologia, l'approccio evoluzionista offre una . . cornice unificatrice che permette a differenti sottodiscipline (scienze del comportamento; ecologia, psicologia, genetica, anatomia, biochi-mica è così via) di dialogare tra loro. In effettL i quattro perché di Tinbergen illustrano chiaramente come le varie sottodiscipline sono connesse tra loro e consentono loro di interagire senza confondere le questioni e senza sterili polemiche. Secondo il nostro punto di vista,' la psicologia evoluzionista fornisce lo stesso servizio alla psicologia, creando una cornice· teorica per unificare la varie sottodiscipline. In pratica, domande di tipo fimzionale sul perché gli individui agisca-

    Perché abbiamo bisogno dell'evoluzione? I . 19

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    no in una determinata maniera (inerenti, in biologia, .all'ecologia del comportamento) sono in realtà appannaggio della psicologia sociale, guidata da un'ottica evoluzionistica. La psicologia cognitiva e la psi-cologia dello sviluppo, dal canto loro, sono in stretta relazione con il . meccanismo e con il senso ontogenetico del «perché?».

    · Solo la storia evolutiva, la filogenesi, non è trattata dalla psicologia tradizionale. Nonostante lo stesso Darwin si sia interessato dell'evo-luzione della mente, tendenzialmente gli psicologi non si sono inter-rogati circa il passato èvolutivo, al contrario, hanno preso il presente come punto focalè dei loro interessi. Ma c'è una buona ragione per cui la psicologia dovrebbe essere interessata alla storia dell'evoluzio-

    . ne. La psicologia comparativa non ha mai mancato di ricordare agli psièologi che noi condividiamo. il nostro passato evolutivo con altri animali, e in particolare con i primati. Il fatto di comprendere anche solo il come e il perché differiamo dagli ani:i:nali non umani è -una qm~stione ·di interesse psicologico e il fatto di sapere quando queste differenze sono emerse può aiutan:iad aumentare la nostra compren-sione della nàtura umana.

    In questo libro non avremo molto da dire circa il comportamento e la psicologia degli animali non umani, anche se la psicologia com-parativa rappresenta un'importante branca della psicologia evolutiva. Ciò per il semplice fatto che un tale argomento richiederebbe un volu-

    -me molto più vasto. La ricerca sugli animali, comunque, sarà sempre dietro le quinte, se non altro perché praticamente tlltte le teorie di ecologia del comportamento sono state sviluppate attraverso lo stu-dio degli animali. Ne consegue che il lato funzionale della psicologia evoluzionista che si occupa degli esseri umani si fonda su un'ampia' mole di ricerca: nell'applicare queste idee agli umani, ci domandiamo fino a che punto i medesimi principi generali sottostiano ai processi decisionali umani.

    Per la stessa ragione, ci occuperemo poco degli argomenti tradi-zionali della psicologia cognitiva, quali la memoria, la percezione, il '

  • pensiero e così Via. Questi concetti si basano in buona parte sui mec-canismi fondamentali per mezzo dei quali interagiamo con il mondo. Essi esistono e hanno certo un'origine evoluzionistica, ma, in linéa con la nostra scelta di concentrarci su domande di natura funzionale e strategica circa le decisioni comportamentali, la nostra attenzione sarà principalmente rivolta a ciò che ha preso il nome di cognizione so-ciale, un livello di ordine sup~riore dei meccanismi cognitivi coi.nvolti, nello specifico, nei processi decisionali sociali, i quali costituiscono il cuore del comportamento umano.

    È necessario fare chiarezza su un'ultima poss1bile causa di con-fusione. Chi applica un approccio evoluzionistico al comportamento umano si è trovato, nell'ultima decina d'anni, invischiato in una di-sputa aspra e, a tratti, sterile, riguardo il come questi studi àndreb-bero condotti. Da una parte, gli' scienziati di (ormazione biologica (e in particolare di ecologia del comportamento) hanno posto l'accento sull'importanza di domandarsi se il comportamenfo sia adattativo nel senso funzionale sia convenzionalmente ibiologi danno a questo ter-mine (ovvero, che un particolare comportamento ha la conseguenza di permettere a un organismo di mass~mizzare la sua fitness). L'enfa-si è stata posta sia sulle differenze indiViduali nel comportamento sia sull'analisi delle conseguenze funzionali.

    Al contrario; gli scienziati di formazione psicologica.hanno prefe-rito concentrarsi sugli universali del comportamento che sono validi per la specie intera. Come conseguenza, hanno rivolto l'attenzioné ai meccanismi cognitiVi che sono all'origine d~l comportamento - l'os-

    . satura della mente umana, per così dire. Dal momento che questi ultimi considerano prodotto di selezione la struttura neuro-cogni~ tiva piuttosto che il comportamento, hanno sostenuto che l'approc-do dell'ecologia del comportamento è, nel caso degli esseri umani, piuttosto infruttuoso: affermano che ci sono stati pochi cambiamen-ti nel corredo genetico umano negli ultimi diecimila anni, a partire dall'invenzione dell'agricoltura, e che pertanto gran parte del nostro

    Perché abbiamo bisogno dell'evoluzione? .21

  • @ comportamento sarà immancabilmente in quanto sia~ mo imprigionati con una disposizione menta e a eta della pietra in un ambiente industriale moderno. La mente umana, sostengono, si è evoluta per fronteggiare le condizioni dell' «ambiente di adattabilità

    ® evolutiva» (o., Environment of Evolutionary Adaptddness), il tempo e lò spazio storico all'interno dei quali i nostri antenati svilupparono le loro caratteristiche peculiarì. Pertanto possiamo comprendere la mente come un adattamento solo se la vediamo nel contesto dell'am-biente preistorico nella quale si è evoluta.

    Chi scrive vede poco o nessun beneficio nella polarizzazione di una distinzione artificiale. Il fatto è che la mente umana, come quel-le di tutte le specie dotate di un cervello di dimensioni apprezzabili,

    · si è evoluta per farfronte alle variazioni ambientali. L'ambiente ter-restre non è mai stato stabile in alcun momento della lunga storia

    22

    · della Terra e una specie che avesse tentato di evolvere meccanismi · cognitivi rigidi avrebbe firmato la sua stessa còndanna all'estinzione ..

    Molte specie di vertebrati sollo ideate per essere intelligenti proprio per avere la possibilità di correggere il loro comportamento in sin-tonia con le.necessità delle circostanze contingenti, qualunque esse siano. Ciò non significa, beninteso, negare che alcuni aspetti della mente umana possano essere molto meno flessibili di altri. Piuttosto, intendiamo affermare che non dovremmo essere troppo rigidi nel de-terminare quali siano fino a quando non ne abbiamo dimostrato la reale· esistenza.

    Anziché lasciarsi coinvolgere in una disputa che è in ultima ana-lisi priva di senso e dispersiva, preferiamo far conciliare entrambi i punti di vista per quanto sia possibile. La cognizione è un elemento essenziale in ogni considerazione sugli aspetti funzionali del· com-portamento umano. Anche se resta vero che le strutture della mente umana si sono evolute in un determinato ambiente, l'EEA è un con-cetto evanescente dal momento che le nostre menti, come i nostri corpi, sono il risultato di una lunga storia evolutiva ed è probabh-

  • mente impossibile identificare il momento preciso in cui una certa · caratteristica è emersa.

    Nei prossimi capitoli presenteremo prove che mostrano tome mol-ti aspetti del moderno comportamento umano siano funzionalmente adattati agli scopi evoluzionistici e come la plasticità comportamenta-le e i processi decisionali flessibili siano la chiave per raggiungere tali scopi. Allo stesso tempo, troveremo anche aspetti del comportamen-to umano che sembrano essere del tutto insensibili al cambiamento. all'interno di ambienti in mutamento. Ne conseguirà che ci trovere-mo costretti a dover sviluppare un approccio integrato che riunisca un'ampia gamma di discipline per comprendere là complessa.rete esplicativa che sottosta al comportamento umano.

    Riassunto

    Un approccio di stampo evoluzionista ci fornisce una solida cornice per lo studio del comportamento umano e della mente, non perché ci offra un metodo differente rispetto a quelli della psicologia tradizio-nale, ma perché ci permette di integrarli sotto un'unica teoria unifi-cata: la teoria evolutiva di Darwin attraverso la selezione naturale. Nel ·seguire questa linea di azione, è importante ricordare che un approc-cio evoluzionistico non presuppone necessariamente che il compor-tamento o la mente che ne è il fondamento siano in alcuna maniera geneticamente determinati. L'apprendimento è di per sé un processo darwiniano e offre uno dei vari possibili meccanismi di ereditarietà alternativi in aggiunta ai·· processi genetici tradizionali. Rendercene conto consente di ampliare gli orizzonti di ciò che studi~mo fino a includere la cultura e i meccanismi di ereditarietà culturale.

    Perché abbiamo. bisogno dé\l'evoluzione? 23

  • 2

    Che cosa ha fatto per noi l'evoluzione?

    Quando Darwin iniziò a sviluppare la sua teoria, la convinzione diffu-sa era che gli animali si comportassero in modo da avvantaggiare l'in-tera specie. Per esempio, si supponeva che le leonesse che allattavano i cuccioli generati da altre femmine del loro branco lo facessero con lo scopo di garantire la sopravvivenza del maggior numero possibile di leorii nella generazione successiva, così da evitare l'estinzione della specie. Invece, l'aspetto più rilevante della teoria della selezione natu-rale è che riguarda la sopravvivenza individuale e non tanto quella del-la specie. Anche se la riproduzione degli individui ha inevitabilmente l'effetto di perpetuare la specie, non è questo lo scopo ultimo della riproduzione (o dell'evoluzione).

    Gli individui sono selezionati per comportarsi secondo i loro pro~ pri interessi riproduttivi e il destino della specie nella sua interezza è irrilevante per le strategie' riproduttive. Ciò si applica al meccanismo della selezione naturale così come Darwin l'aveva concepita: dalmo-mento che l'ìntero processo è basato sulla nozione della competizione · tra individui, ògni organismo che si comporti in modo tale· da arre-·

    · care benefici alla specie o al gruppo a discapito dei propri interessi riproduttivi è destinato con ogni probabilità a lasciare meno discen-denti degli individui dotati di animi meno nobili che si preoccupano unicamente di se stessi.

    25

  • 26.

    Darwin e la selezione naturale

    Ma allora in che .modo Dar\vin pensava che operasse la selezione-na-turale? Anche se lui stesso càmbiò opinione nel corso della vita ri-spetto all'importanza della selezione naturale nel processo evolutivo, e ancora oggi è in corso tra i biologi evoluzionistici il dibattito sulla selezione naturale come strumento evolutivo, non vi è alcun dubbio

    ·che, con ·questa idea, Darwin abbia rivoluzionato definitivamente il modo con cui pensiamo al mondo naturale.

    La teoria della selezione naturale è ingannevolmente semplice ed è basata su tre premesse e sulle loro logiche conseguenze.

    Prima premess~: tutti gli individui di una particolare specie mostrano variazioni nei caratteri comportamentali,. morfologici o psicologici (il loro fenotipo). Ciò è solitamente noto come principio della variazione. .

    Seconda premessa: una parte di questa variabilità tra individui è ere-ditabile, vale a dire che alcune di queste variazioni saranno trasmesse da una generazione alla successiva (o, ih termini ancora pìù semplici, la prole tenderà a rassomigliare ai genitori più.che agli altri individui nella popolazionè) - principio dell'ereditarietà. -

    Terza premessa: quando c'è competizione tra gli individui per scar-sità di risorse ~ quali il cibo, i partner sessuali e il territorio - alcu~ ne dì queste variazioni consentono a chi le possiede di essere più efficace nella competizione. La competizione si presenta perché gli organismi hanno la·capacità di aumentare notevolmente la numero-sità della loro popolazione e di generare molti più individui di quanti riusciranno a vivere abbastanza da riprodursi (si pensi ai girini, per esempio) - principio dell'adattamento. · · Conseguenza: essendo più efficaci nella competizione, alcuni indi-

    vidui lasceranno una prole più nu:rnerosa di altri, perché i caratteri che possiedono garantiscono loro una qualche forma di vantaggio: hanno maggiore successo nel procurarsi il cibo e i partner, o nello sfuggire., ai predatori. La pr~le di siffatti individui erediterà questi caratteri e si:

  • può dire quindi che sia avvenutà una «selezione naturale». Attraverso questo processo gli organismi si adattano all'ambiente. Il grado di suc-cesso con il quale un carattere è trasmesso alle generazioni future, in confronto ad altre varianti dello stesso carattere, è chiamato fitness.

    La, fitness è un indice del successo riproduttivo relativo, ovvero, dipende da varianti alternative dello stesso carattere; a rigor di ter-mini, è una. proprietà dei caratteri. Ciò è talvolta chiamato principio dell'evoluzione.

    Una volta stabilito il meccanismo che condiziona il cambiamento evolutivo, si rese possibile formulare ipotesi verificabili in grado di spiegare l'anatomia e il comportamento degli organismL Se un carat-tère .è un adattamento, allor.a dovrebbe dimostrarsi ben adeguato allo scopo per il quale dovrebbe servire; e se continua a conferire un van-té!:ggio selettivo ali' organismo che lo possiede, ailora dovrebbe anche contribuire ad aumentare il· successo di. sopravvivenza e di riprodu-zione di questo organismo a discapito di coloro· che non lo posseggo-no (o che ne posseggono peggiori).

    Una seconda conseguenza significativa della posizione di Darwin fu che rese la« ~(l'evoluzione per il vantaggio del- © la specie) una· spiegazione e 'evoluzione molto inverosimile (anchè se non del rutto impossibile). Nonostante ciò, la selezione di gruppo è rimasta a lungo presente nell'immaginario collettivo, In effetti; talvol-ta persino i biologi non ne coglièvano le implicazioni e fu ·solo negli anrti Sessanta che il concetto di selezione di gruppo fu del tutto ab-bandonato. Da allora i biologi evoluzionisti sono sempre stati molto cauti nell'uso di tale espressione.

    Il «gene egoista»: un concetto di comodo ·

    Talvolta, tuttavia, anche l'individuo è un livello non soddisfacente per comprèndere il funzionamento dell'evoluzione. Questo perché, Ilo-

    Che cosa ha fatto per noi l'evoluzione? 27

  • 28

    nostante la selezione naturale agisca sul successo di sopravvivenza e riproduttivo degli individui, ciò che realmente cambia nel corso del tempo è la frequenza dei geni nel pool genetico della popolazione. Gli individui sono esseri davvero effimeri: indipendentemente dalla lun-ghezza della lo~o ~ita, sono tutti destinati a morire. Sono i geni le entità che permangono e offrono continuità nel lungo termine .

    . Nel suo famoso libro Il gene egoista, Richard Dawkins sostiene che· ci sono alcuni aspetti della biologia evoluzionistica che possono esse-

    .. re compresi molto meglio se adottiamo la prospettiva del «punto di vista del gene» e riconosciamç> che il processo evolutivo consiste di geni che aiutano a promuovere il successo di sopravvivenza e ripro-duttivo dei corpi nei quali si trovano, piuttosto che il contrario. Per spiegare più chiaramente questo concetto, Dawkins fa una distinzio-ne tra

  • ta di un periodo così verboso che nessun biologo assenp.ato vorrebbe ripeterlo in questo i:nodo ogni volta che deve parlare di evoluzione. Dawkins ci ha fornito una breve frase di comodo che necessita solo ·di due parole. Tuttavia, ciò che conta è che, quando usiamo la sua esprèssl.one, teniamo bene a mente che è riassuntiva di una frase ben più lunga, senza nessun'altra implicazione.

    Il punto significativo non è che un particolare gene causi un deter-minato comportamento, ma che le differenze genetiche tra gli indivi-dui (chiunque essi siano) sono coliegate a differenze comportamentali che, di volta in volta, si traducono nel fatto che certi individui abbiano

    · maggiore successo riproduttivo di altri. Questa, come abbiamo espo-sto nel capitolo precedente, è la definizione della fitness genetica. La

    . selezione naturale riguarda sempre differenze relative tra individui, mai differenze assolute.

    È inoltre necessario ricordare che l'evoluzione è sempre uria sorta di compromesso: in ogni: momento, ci sono numerose .costrizioni am-bientali che esercitano il loro influsso sugli individui, in molti modi differenti, con la conseguenza che un particolare adattamento potreb-be non esse:re sempre la migliore soluzione af problema in questione. L'esempio classico è che .gli adattamenti collegati ·al miglioramento della capacità riproduttiva sono inevitabilmente condizionati da quelli finalizzati a migliorare la possibilità di sopravvivenZa. Per esempio, un maschio potrebbe possedere una fitness molto grande se non facesse altro che accoppiarsi tutto il giorno, ma le sua attività sessuali saranno molto probabilmente destinate ad avere vita breve se non dedicherà parte del suo tempo a nutrirsi. Parlando in generale, la maggior parte degli organismi sono «buoni a far di tutto», ma non eçcelkmo in nulla. In questo senso, gli organis:µii individuali, e ;non i soli geni, sono unità . di selezione, dal momento che il processo di sel~zione naturale agisce sull'organismo nel suo complesso e non soltanto sui geni isolati.

    È inoltre importante notare che ci sono anche altri processi evolu-tivi in grado di plasmare ~caratteri. Alcuni possono essere acc.identi

    Che cosa ha fatto per noi \'evoluzione? · 29

  • 30

    storici, prodotti da un'improvvisa riduzìone della dimensione della popolazione, cosicché solo alcuni pochi individui lasciano discenden-ti dai quali la popolazione pU:ò ricostituirsi. Questi effetti fondanti possono tradursi in caratteri fissati in alcune popolazioni nonostante il fatto che non conferiscano alcun reale beneficio ai loro possesso-ri - e possano persino, in certi casi, essere dannosi. In modo simile, le costrizioni ambientali poss.ono tradursi in caratteri che non sono stati selezionati direttamente, ma· che sono emersi in conseguenza della selezione di altri.

    Per questioni di spazio non ci avventureremo in una rassegna esaustiva di questi meccanismi evolutivi alternativi: ci limiteremo a dire che, nel tentare un'analisi evolutiva, dobbiamo essere assai cauti nell'escludere tutte le altre possibili spiegazioni della presenza di un carattere prima di dare per scontato che l'oggetto del nostro studio sia· il risultato di un adattamento. Allo stesso modo, non dobbiamo esse-re precipitosi nell'escludere qualcosa come un adattamento semplice-mente per il fatto che la sua funzione evolutiva non è evidente. Fare ciò ·è quasi sempre doVilto a una mancanza di conoscenza da parte nostra. Giungere a una conclusione affrettata che un fenomeno non abbia alcuna funzione adattativa è un errore altrettanto pericoloso che l'affermate il contrario in modo ugualmente awerttato ..

    L'altruismo e il punto di vista genetico

    Un punto di vista centrato sui geni'rispetto a.rcomportamento è stato visto come riduzionista: il tentativo di ridurre un problema comples-so come il comportamento a qualcosa·di molto più semplice, come i geni. Tuttavia, assumere il «punto di vista genetico» non significa in-sinuare .eh~ il comportamento sia geneticamente determinato. Come abbiamo illustrato nel capitolo precedente, l'intero comportamento è il :risultato di un'interazione tra i geni e l'ambiente e nel prossimo

  • capitolo ci addentreremo ancora di più, allo scopo di sottolineare che le interazioni geni/ambiente sono la chiave per la comprensione di come il comportamento si sviluppa in un organismo.

    Il punto di vista genetico è stato di grande valore teorico, dal mo-mento che ci ha fornito un modo per comprendere alcune sfaccetta-ture del comportamento animale che sarebbero altrimenti enigmati-che, dal momento che sembrerebbero richiedere un'argomentazione del tipo «buono per la specie» che non si inserisce bene nella teorip. di Darwin della selezione natùrale. Ri~omando all'esempio delle leo-

    . nesse che abbiamo menzionato all'inizio del capitolo: se il comporta-mento deve sempre arrecare vantaggfo all'individuo piuttosto che alla

    . specie; perché una leonessa dovrebbe allàttare i cuccioli di altre fem-. mine e aiutare così il mantenimento dei loro geni, a. spese dei propri? Un tale comportamento, ovvero quando un animale arreca benefici a

    · un altro pagandone il prezzo, è chiamato altruismo, ed è stato uno dei grandi rompicapo che arrovellarono lo stesso Darwin mentre. stava sviluppando la sua teoria della selezione naturale.

    Purtroppo per Darwin, questo problema non avrebbe trovato so-luzione fino. al 1964, quando un giovane studente appena laureato, W.D. Hamilton, fece notare che il comportamento altruistico può pre-sentarsi se gli individui che ne hanno tratto beneficio sono imparen-tati all'altruista. Ciò perché i parenti stretti condividono alcuni geni: due fratelli hanno in comune circa il 50% dei loro ·geni, mentre due. cugini rte condividono il 12,5%, che hanno ereditato da un antenato

    · comune (genitore ò nonno, rispettivamente). Se una leonessa pos-siede una combinazione di geni che fa sì che essa ahiti ad allevare i cuccioli di una sua sorella, esiste una buona probabilità che i geni in questione vengano.trasmessi, anche.se quella particolare leonessa non ha una prole sua. Ciò perché esiste una probabilità del 50% che la sorella abbia ereditato la stessa copia dì geni, che quindi avrà tra-

    . smesso alla prole, P,er,l'evoluziorte no'n è importante inquale corpi i geni si trovino, purché vengano trasmessi.

    Che cosa ha fatto per noi l'evoluzione? 31

  • Quindi, la ragione per cui una leonessa in un branco nutre i cuc-cioli di un'altra è che sono tutte sorelle. Ben lungi dal comportarsi in modo altruistico, le leonesse stanno in realtà arrecando un vantaggio a loro stesse - o, più propriamente, ailoro geni - aiutando altri ani-mali. Questo tipo di processo, quando gli animali aiutano a sostene-re la sopravvivenza e il successo riproduttivo dei loro parentì, è noto

    @ come Tuttavia; i comportamento altruistico può anche manifestarsi tra

    animali che non sono imparentati tra di loro, e la selezione parentale non è in grado di spiegare quest'altra forma di altruismo. Una ragio-ne per la cooperazione in queste situazioni è fornita da Robert Trivers, un biologo evoluzionis.ta americano il quale sostiene che potrebbe es• sere vantaggioso per gli animali aiutare anche quelli con cui non sono imparentati se avessero la certezza di esserne in seguito ripagati. In questo modo, i vantaggi si bilancerebbero. Ovviamente, ciò funziona solo se glì animali interagiscono con lo stesso individuo in più occa-sioni (cosicché i vantaggi siano spartiti equamente) e anche sie sono in grado di riconoscersi a vicenda.

    © Quèsto processo è noto come e, rispetto alla selezione parentale, si presenta più raramente. Ciò avviene perché, quando i benefici. vengono scambiati in questa maniera, trascorre un lasso di tempo tra quando un animale dà un beneficio e quan-do l'altro. lo restituisce, il che rende abbastanza semplice per l'altro animale giocare in modo sleale, prendendosi il beneficio senza poi· restituirlo. Se la reciprocità non è garantita, la cooperazione non è nel primo interesse genetico di un animale e lo ·scambio di benefici può anche non svilupparsi. Ecco perché i sistemi comportamentali basati sull'altruismo reciproco sono più rari di quelli fondati sulla selezione parentale.

    Una terza spiegazione evoluzionistica dell'altruismo, o della coo-® perazione, è nota come . In questo caso, due o più animali

    cooperano per raggiungere un o iettivo che arreca benefici a entram:-

    32

  • bi allo stesso momento. La caccia cooperativa ne è un esempio: due animali che cooperano possono essere in grado di uccidere una preda ben più grossa di quanto sarebbero capaci di fare da soli. I leoni che cooperano, per esempio, sono in grado di abbattere una zebra o un bufalo, mentre quelli che cacciano pèr conto proprio di solito devono accontentarsi di un'antilope.

    Il punto di vista genetico è troppo ristretto?

    Il meccanismo della selezione parentale, quello dell'altruismo re-ciproco e del mutualismo formano le basi della maggior parte delle spiegazioni evolutive dell'altruismo, ed è diventato una sorta di eresia ritenere che l'altruismo possa evolversi come il risultato di. una selezione a qualsivoglia livello superiore rispetto all'individuo. Tuttavia, per molti anni, il biologo evoluzionista David Sloan Wil-son ha sostenuto una posiziòne contraria. In accordo con la linea di pensiero del :filosofo Eliot So ber, Wilson ha mostrato che, anche se è improbabile che si manifesti la selezione di gruppo, nòn è affatto impossibile che avvenga una .selezione a livello di gruppo. Un esempio efficace è che, all'interno dei nostri corpi, i geni non competono in modo aggressivo per lo spazio sui cromosomi, bensì cooperano alla replicazione e alla trasmissione collettiva. Allo stes-so modo, esistono molti tipi di cellule che convivono in armonia: le cellule individuali non si comportano in maniera completamente «egoistica», riproducendosi a spese di altre, poiché fare ciò signifi-cherebbe. mettere a rischio il veicolo che le trasporta (le cellule che

    . proliferano fuori controllo sono ciò chechiamiamo genericamen-te cancro, con evidenti conseguenze nocive per.il corpo/veicolo). Al contrario, le ceHule che costituiscono il eorpo sono accorte, so-vrintendono alla riproduzione e cooperano per il bene dell'intero organismo.

    Che cosa ha fatto per noi l'evoluzione? 33

  • 34

    A livello cellulare la selezione avviene sul piano del gruppo (ovve-ro di un insieme, di cellUle che costituisce un individuo) poiché çiò consente la formazione di un veicolo funzionale, che permette il pas-saggio di ge:hi alle generazioni future con maggiore efficacia di quan-to potrebbe fare un'accozzaglia di cellule individuali egoiste. Sober e Wilson sostengono che, in certe condiziOni; è possibile che i gruppi di animali agiscano come veicolo per la selezione, quando i componenti di questi sviluppano caratteri che contribuiscono . a potenziare la so-pravvivenza del gruppo a discapito di altri gruppi o individui.

    Uno dei requisiti fondamentali è che deve esserci rnmpetizio-ne sia tra individui in gruppi differenti sia tra individui nello stesso gruppo. In entrall1bi i casi abbiamo competizione tra individui, come richiesto dalla teoria della selezione naturale; ma la differenza si tro-va al livello dove ha luogo la competizione. All'interno dei gruppi gli individui sono veicoli e sono in diretta competizione egoistica gli uni contro gli altr~. mentre tra gruppi gli individui in uno si coalizzano per far fronte comune nel competere con individui di un altro. Sobèr e Wilson sostengono che, in quest'ultimo caso, è appropriato consi-derare l'intero gruppo come veicolo della selezione, giacché, in queste

    ·condizioni, alcuni caratteri alvuistici saranno selezionati negli indi-vidui che aumenteranno l'abilità di competizione (e, di conseguenza, il fitness) del gruppo nel suo insieme, anche se tali caratteri possono ridurre la fitness di alcuni individui in quel. gruppo, rispetto ad al-tri. Cioè, anche se gli individui egoisti avranno, in media, una prole maggiore rispetto agli altruisti, i gruppi con percentuali maggiori di membri altruisti genereranno una prole totale maggiore rispetto a quelli con una più grande percentuale di individui egoisti (grazie ai

    · vantaggi forniti dagli altruisti) e quindi il numero totale degli altruisti rimarrà stabile nel complesso della popolazione.·

    Perché ciò sia vero è di fondamentale importanza che i gruppi siano in competizione tra di loro e p,on eonfinati, cioè non vivano ciascuno in l1na propria isola ecologica .. Se non ci fosse un vantaggio

  • compensatorio per il gruppo nel suo insieme, gli individui altruisti sarebbero sfruttati spietatamente dagli individui egoisti e la selezione naturale eliminerebbe in fretta tutti· gli altruisti, che non avrebbero modo di esercitare alcuna pressione su coloro che tentano di sfrut~ tare la loro generosità; dal momento che gli sfruttatori egoisti non si curerebbero della sopravvivenza del gruppo. I gruppi hanno inoltre necessità di separarsi periodicamente e di ricostituirsi in nuove com-binazioni, o almeno provocare frammentazioni e spostamenti di indi-vidui tra uno e l'altro, allo scopo di impedire ai non altruisti di arrivare infine a dominare un particolare gruppo.

    Sober e Wilson si riferiscono a: ciò come «teoria della ® ~ (MST, Multi-level Selection Theory) e chiamano i oro

    speci co meccanismo selezione del carattere di gruppo, dal momento che un gruppo può ess.ere definito come l'insieme degli individui che condividono un particolare carattere (tratto), o anche come l'insieme degli individui formanti un gruppo coeso, come siamo soliti pensarlo. Come esempio di questo tipo di effetto, Sober e Wilson descrivono come i programmi di allevamento di polli in America, concepiti per aumentare la produzione di uova di gallina, hanno spesso prodotto genie di galline iper-aggressive che. hanno una produttività min~re delle loro progenitrici. Questo perché, se da un lato, nell'allevamento intensivo la competizione per cibo e spazio potrebbe essere un im-portante fattore che influisce sul numero di uova che una gallina è in grado di deporre, allo stesso tempo, lo stress può inibirne la capacità produttiva. Tuttavia, se le femmine più sociali, cioè quelle meno ag-gressive, vengono spostate in altri gruppi, è possibile incrementare la produttività di uova del 1:60% - una cifra di gran lunga superiore di quella prodotta dai programmi di allevamento standard basati su singoli individui. . .

    Si riescono a ottenere questi risultati perché ora, oltre a· seleziona-re gli individui rispetto alla loro capacità produttiva, gli allevatori sele-zionano anche i caratteri che consentono alle femmine di funzionare

    Che cosa ha fatto per noi l'evoluzione? 35

  • 36

    bene in gruppo. Di conseguenza, anziché galline aggressive e poco produttive, la selezione a livello del gruppo. dà come risultato galline· che depongono più uova al giorno1 con un tasso di mortalità più basso e che si dimostrano così poco aggressive che non si rende necessario spuntare loro ilbecco per evitare che feriscano l~ altre.

    Non tutti i biologi accettano la tesi di So ber e Wilson e molti sottoli-neano il fatto che le precise condizioni richieste pe~ la sua realizzazio-ne si verificano molto di rado nel mondo reale. Questa, ovviamente, è

    . una questione empirica e a oggi non possiamo dire chi abbia ragione. Altre critiçhe, invece, non sono altrettanto valide, dacché partono dal presupposto che So ber e Wilson stiano sostenendo .il tipo di selezione di gruppo «buona per la s.pecie» che i biologi hanno dimostrato essere biologicamente inverosimile. Dovrebbe ormai essere più che chiaro

    ·.che la MST differisce da quell'accezione di selezione di gruppo, dal momento che nella teoria di Sòber-Wilson la selezione individuale convenzionale è intrinseca: i caratteri che si sviluppano a livello di gruppo lo fanno perché, in ultima analisi, arrecano vantaggi di fitness agli individui che compongono il gruppo. La selezione dei caratteri individuali ·a .livello di gruppo pérmet:te a certi gruppi di fare meglio di altri. L'identificarsi fortemente con il proprio gruppo e mostrare

    . la disponibilità di aiutare un altro individuo solò su questa base è un carattere selezionato sugli individui, rha ·che può agire solo a livello di gruppo. Quantomeno, senza la presenza dei gruppi, non sarebbe possibile discriminare i non-membri, o comportarsi diversamente nei loro rig'uardi; non esisterebbe nessuna ragione per una pressione selettiva ad agire in tal senso. ·

    Wilson afferma che la MST potrebbe essere rilevante per gli uma-ni, proprio perché siamo animali particolarmente sociali. Gli indivi~ dui che andavano più d'accordo con i loro pari potrebbero aver la-sciato più discendenti - sia perché iloro livelli di stress erano minori sia perché il tasso di mortalità era ridotto dal momento che erano soggetti a meno aggressioni da parte degli altri o perché gli individui

  • socievoli e la loro prole avevano maggiori probabilità di ricevere assi-stenza in confronto ad altri membri del gruppo meno accomodanti. Sele nostre capacità relazionali sono state selezionate in questo tipo di contesto di gruppo, potrebbero venir utili anche per le nostre po-tenzialità di cooperare con persone che non abbiamo mai incontrato· in precedenza (o che, nell'epòca di internet, non incontreremd mai di persona). Prendere seriamente in conto la selezione multi-livello potrebbe pertanto rivelarsi fondamentale quando si cerchi di formu-lare una spiegazione di tipo evoluzionistico a molti nei nostri caratteri sociali più efficaci, e vi faremo ancora riferimento nel corso del testo. ·

    È interessante notare còme l'altruismo sia una delle poche aree alle quali è stata data uguale importanza da parte dei biologi evolu-zionistici e degli psicologi sociali. Gli psicologi si sono interessati all'identificazione dei fattori che fanno sì che gli individui agiscano in modo cooperativo e si aiutino altruisticamente. L'effetto all'interno del gni.ppo che abbiamo sopra descritto, in base al quale le persone tendono a identificarsi con gli altri che sentono come.appartenenti al medesimo gruppo e quindi ad aiutarli, è un fenomeno molto-robusto, ed è oggetto di studio da parte degli psicologi sociali da più di mezzo secolo; Può manifestarsi anche quando i gruppi sono definiti in base a criteri piuttosto arbitrari (sulla·scelta di una forma geometrica piut~ tosto che un'altra, ò sulla base della preferenza dei dipinti di Picasso rispetto a quelli di Matisse).

    Questi caratteri psicologici sono il tipo di fattori sui quali potrebbe agire la selezione a livello di gruppo e che potrebbero contribuire a dare al gruppo un vantaggio competitivo rispetto a un altro, aumen-tando la coesione del gruppo e rendendo gli individui più inclini a difendere e proteggere i loro compagni. Tali caratteri possono inoltre contribuire ad aumentare l'armonia di gruppo in generale, cosicché i fattori di stress e di tensione della vita condivisa risultino ridotti, il che, a sua volta, può incrementare il successo riproduttivo.relativo per un gruppo coeso rispetto a uno frammentato.

    Che cosa ha fatto per noi \'evoluzione? 37

  • 38

    La teoria c~struttiva di nicchia "

    Un'Ultima teoria evolutiva che è doveroso menzionare prima di ad-dentrarci nella nostra rassegna sulla psicologia umana e il compor-

    @ tamento è quella relativa. alla (NCT, Niche Con-struction Theory). Come la selez10ne m ti- 1ve o, a NCT è particolar-mente rilevante per le questioni che riguardano l'evoluzione umana,

    ·sia anatomica che psicologica~ John Odling-Smee,' che per molti anni ha lavorato sulle idee alla base di questa teoria, ha coniato l'espres-sione «costruzione di nicchia» per trasmetterne il concetto di base: gli animali non occupano passivamente le nicchie ecologiche ma le modificano attivamente~

    La modificazione attiva di una nicchia ecologica da parte di uri orga-nismo varia le pressioni selettive che agiscono sull'organismo stesso: in questo senso gli organismi individuali possono diventare gli artefici della loro stessa evoluzione. Le ragnatele, per esempio; modificano gli ambienti selettivi dei ragni che le tessono, creando nuove opportunità di azione per la selezione. Altre forme di costruzione di nicchia mo-dificano l'ambiente selettivo dei discendenti dell'organismo costrutto-re~ Per esempio, ci sono parecchi insetti che procurano cibo alle loro uova: possono depositarle su una foglia, o addirittura, come nel caso dei parassitoidi, nel corpo di un altro organismo. In questi casi, la nic-chia modificata è un esempio di ciò che Odling-Smee e i suoi colleghi, Kevin Laland e Marcus Feldman, chiamano «eredità ecologica». L'ere• ditarietà ecologica può avere un profondo effetto sui processi evolutivi dal momento che rappresenta una seconda forma di ereditarietà che differisce dall'ereditarietà genetica standard.

    L'eredità di terreni, beni, denaro e status ha un ruolo particolar-mente importante nelle società umane e pU:o pertanto rappresentare un esempio chiarificatore di questo processo.

    In altre parole, gli organismi possono anche trasmettere ai loro discendenti, oltre che ai loro geni, anche habitat fenotipicamente mo-

  • dificati. Se queste nicchie ecologiche ereditate rimangono stabili nel corso del tempo (ovvero ·n processo di eredità ecologica permane luri~ go le generazioni), ne risulterà che gli organismi saranno sottoposti a nuove pressioni selettive ed emergeranno nuove forme di adatta-mento, che potrebbero condurre a ulteriori modifi~he della nicchia

    . da parte dell'organismo. Ciò, a sua volta, implica che gli ambienti si . evolvono tanto come gli organismi.

    La costruzione della nicchia, quindi, è essenzialmente un processo di retroazione, ed è proprio questo processo a conferirle importanza evolutiva.

    Le analisi' teoriche che usano modelli genetici hanno mostrato che i caratteri la cui fitness è influenzata dalla costruzione di nicchie (i co-siddetti recipient traits) si evolvono di pari passo con i caratteri relativi alla costruzione della nicchia. Nella nostra stessa storia, per esempio, l'evoluzione di utensili di pietra (un carattere costruttivo di nicchia) ha ampliato la gamma di cibi con cui gli uomini primitivi poteva nu~ trirsi (fino a includere carne e midollo), e quindi ha selezionato cam-biamenti nella morfologia del nostro sistema digerente e permesso l'evoluzione della dimensione del cervello. L'utilizzo di strumenti, i cambiamenti nella dieta e dimensione del cervello hanno. continuato a evolversi di pari passo e si sono influenzati avicenda in modo signi-ficativo dal punto di vista evoluzionistico.

    La costruzione di una nicchia implica che l'adattamento non è più un processo a una sola via, nel quale gli organismi reagiscono sola-mente ai problemi imposti dall'ambiente, ma diventa a due vie: le po-polazioni di organismi pongono loro stesse dei problemi all'ambiente e risolvono quelli posti dall'ambiente. .

    Ciò ha importanti implicazioni sul nostro modo di considerare l'evoluzione, dal momento che permette alle esperienze che gli anima-li compiono nel corso della vita di avere effetto sul processo evolutivo. Quando costruiscono una nicchia, gli organismi diventano qualcosa di più di meri «veicoli per i geni», ora sono in grado di modificare

    Che cosa ha fatto per noi \'evoluzione? 39

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    le cause della selezione naturale presenti nell'ambiente es~ rendono cosUn un certo modo responsabili della selezione dei loro stessi g~ni.

    . Inoltre, un animale può arrivar~ alla costruzione di nicchia attraverso · l'apprendimento o un'altra forma di esperienza, negli. umani ciò può ani:he dipendere dalla tultura.

    A questo punto dovrebbe essere chiaro il motivo per cui la costru-zione di· nicchia è così rilevante per spiegare l'evoluzione dell'eco~ logia e del comportamento umano. Abbiamo forme di cultura più varie e sofisticate di qualunque altra spede sul pianeta e continu-iamo a costruire la nostra nicchia da centinaia di millenni - dac-ché la prima fovenzione degli utensili risale come minimo a citca due milioni di anni fa. Il filosofo Matteo Mameli ha sostenuto che anche gli altri esseri umani potrebbero avere avuto un importante ruolo nella costruzione della nicchia umana nel corso dell' evoluzio-ne, plasmando la nostra psicologia e in particolare la nostra capa-cità di interpretarei pensieri altrui - ovvero l'abilità di attribuire pensieri; emozioni, credenze e desideri agli altri -:- cosicché oggi 1o sviluppo psicologico umano è del tutto dipendente _dalla presenza di altre menti umane nella la sua normale manifestazione: siamo «plasmatori di menti», oltre che «lettori di menti» (un concetto sui cui torneremo nel capitolo 5).

    Tuttavia, coill.e fa notare il filosofo Kim Sterelny, il fatto che ab-biamo costruito la nostra stessa nicchia per un così lungo tempo fa s6tgere alcuni problemi nella compre"n.sione dell'evoluzione della cognizione umana, perché ciò implica che gli esseri umani si sono,. in quakhe misura, liberati dalle costrizioni imposte dall'ambiente. Pertanto, mentre sarebbe possibile ricostruire l'ecologia di una spede dalla conoscenza del suo habitat, dalle condizioni climatiche, dalla

    · distribuzione dei predatori e così via, potrebbe essere complicato farlo per gli schemi dell'evoluzione umana, perché molta della nostra sto-ria evolutiva è stata impegnata nella costruzione della nicchia stessa, piuttosto che essere plasmata da caratteristiche dipendenti dall'àm-

  • biente naturale. I.: ambiente di selezione degli umani potrebbe quindi essere stato particolarmente variabile, anche durante i periodi in cui l'ambiente fisico è rimasto del tutto stabile. Per esempio, una volta inventato un modo per trasportare l'acqua, gli ominidi si affrancarono dalle pressioni selettive imposte dall'aumento di aridità nell'ambiente fisico. Se ciò fosse ·avvenuto su una piccola scala locale avrebbe lascia-to modeste. tracce nei reperti fossili e reso difficile determinare l' esat-

    . to corso evolutivo preso dagli umani dopo tale invenzione. Sterelny, pertanto, suggerisce l~ necessità di usare un'ampia gam-

    m?l di metodi per indagare la cognizione umana, tra questi la speri-menta?:ione, la creazione· di· modelli e l'analisi computazionale, gli studi comparativi con altre specie, l'archeologia e gli esperimenti su compiti assegnati (nei quali si identificano particolari richieste ne-cessarie per svolgere un certo compito). È inoltre fondamentale com-prendere l'adattabilità del comportamento attuale, poiché ciò aiuta· a rivelare come le nostre abilità di costruzione di nicchia influenzino le strategie ambientàli adottate, gli indizi usati per orientare tali .stra-tegie· e la flessibilìtà nei confronti delle costrizioni ambientali. Com-binare gli studi comportamentali sugli umani con la psicologia. spe: · rimentàle, assieme con le scienze storiche della paleoantropologia e dell'archeologia; ci consente di delimitare i confini di uno scenario plausibile e ci mette al riparo dall~ formulazione di spiegazioni del tipo «è così» guidandoci verso la formulazione e la verifica di ipotesi. Non si tratta di un compito facile e siamo ancora molto lontanidalla meta. D'altro canto, il fatto che il quadro sia più complesso di quanto sembrasse in originenon rende, di per sé, il compitoitnpossibile;

    La rivoluzione umana

    Questo ci porta alla questione finale: la storia dell'evoluzione umana, un tema fondamentale ai nostri scopi per due ragioni. La prima è

    Che cosa ha fatto per noi l'evoluzione? 41

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    che, a· partire dai quattro perché di Tinbergen, la comprensione delle origini storiche del nostrò comportamento e della nostra psicolf>gia può aiutarci a valutarne il significato funzionale (o adattàtivo). La se-conda è che una certa visione della storia evolutiva umana è giunta a occupare nella psicologia evoluzionistica una posizione più rilevante di quanto in realtà meriti.

    La nostra linea di discendenza, gli ominidi, è parte del clade (o famiglia) della Grande Scimmia Africana. In realtà, siamo più im-parentati con gli scimpanzé che con le altre due Grandi Scimmie (gorilla e orangutanghi). È ormai provato che la linea umana e quella degli scimpanzé si sorto separate attorno ai cinque-sette milioni di anni fa. Siccome abbiamo poche testimonianze fossili di quel perio-do e quel poco che conserviamo è controverso, non siamo· in grado di dire molto su questa fetta della nostra storia a parte il fatto che proveniamo da una linea piuttosto peculiare di Grandi Scimmie. I primi membri conosciuti della famiglia degli ominidi di cui posse-diamo abbondanti prove fossili (gli australopitechi del genere Au-stralopithecus e Paranthropus) sono, per vari aspetti, (ma specialmen-. te in termini di dimensioni del cervello) scimmie piuttosto ·standard. Differivano dalle nostre cugine Grandi Scimmie solo per il fatto che camminavano su due zampe, mentre di solito le scimmie lo fanno su quattro.

    Il grande cambi.amento avvenne circa due. milioni· e mezzo di anni fa, con la comparsa del genere Homo, al quale appartengono gli umani moderni, caratterizzato da un maggior volume cerebrale (da circa 400 cmJ a.circa 650 cmJ......, ancora molto lontano dai 1350 cm3 tipico degli umani moderni), da un repentino aumento della statura, da alcuni significativi cambiamenti nell'anatomia delle gambe e del bacino (che consentono una più fluida andatura bipede) e.' forse dalla . più importante di tutte, l'incremento della fabbricazione di sofisticati utensili di pietra. Anche se i tardi australopitechi avevano probabil-mente già incominciato a utilizzare utensili in pietra, si trattava;'-in

  • generale, di martelli piuttosto grezzi. Con l'apparire del Homo ergaster (circa due milioni di anni fa), la lavorazione degli attrezzi di pietra si sviluppò in modo .impressionante, un fenomeno oggi noto come

    . industria litica acheuleana, associato alla produzione di grandi asce a forma di goccia, curate e simmetriche.

    Il periodo dell'Homo ergaster si accompagna a importanti cambia-menti ecologici nello stile divita rappresentati dall'occupazione della. savana - un habitat più aperto (rispetto alle foreste) e più lontano dall'acqua.~ un raggio di azione più ampio e uno stile di vita più no-made. La conseguenza di questi cambiamenti fu che l'intera Africa sub-sahariana (eccetto, forse, le zone dellè fitte foreste dell'Africa oc-cidentale e centrale) fu virtualmente occupata dalla stessa Specie e, per la prima volta nella storia della razza umana, la sua fuoriuscita dai confini dell'Africa per colonizzare l'Europa meridionale e l'Asia, spingendosi a oriente fino all'attuale Cina. Il ramo asiatico di questa razza è rioto come Homo erectus, anche se le differenze anatomiche riscontrate sono oggetto di controversie.

    ·Due punti sono rilevanti in questo periodo storico. Uno è che non eravamo soli. Attraverso la maggior parte del periodo durante il quale l'Homo ergaster /erectus era presente in Africa, c'erano altri ominidi assi~me a luL È possibile che· siano coesistite fino a cinque differen-ti specie di australopitechi e di Homo, che· spesso condividevano il medesimo habitat. L'albero dell'ev?luzione umana ha più l'aspetto di çespuglio piuttosto che di un singolo tronco che corre dritto dagli antenati-scimmia ai moderni umani. Il secondo punto è che la fase ergaster /erectus è straordinaria per la sua stabilità lungo un periodo di tempo particolarmente lungo. Per buona parte di un milione e mezzo di anni, ci furono pochissime variazioni sia nell'anatomia della specie sia nelle tipologie di utensili c9struiti.

    Le origini degli umani moderni possono essere individuate in una transizione avvenuta circa mezzo milione di ;;tnni fa. Anche se l'Ho-mo erectus potrebbe essere sopravvissuto in alcune aree dell'Asia fino

    Che cosa ha fatto per noi \'evoluzione?· 43

  • a sessantamila anni fa, in Africa è stato sostituito da una o più spe-cie di umani primitivi (ai quali generalmente si fa riferimento ·con il nome di Homo heidelbergensis). Queste specie sono caratterizzate da un significativo aumento delle. dimensioni cerebrali (fina a circà r200 cm3), dalla produzione di utensili in pietra in certo modo più sofistica· ti e da uria diffusione relativamente rapida attraverso l'Africa e verso l'Europa (ma non l'Asia). In Europa diedero origine agli uomini di NeanderthaI'(Homo neanderthalensis), che ha occupato habitat europei dell'Era Glaciale fino a circa ventottomila annì fa. In Africa si diffuse una nuova specie, di costituzione meno massiccia con cervelli più

    . grandi: gli umani anatomicamente moderni (Homo sapiens),.la specie alla quale apparteniamo.

    @ La.loro origine è particolarmente recente: le analisi del. sugli

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    umàni moderni di varie parti del mondo indicano che 'tutti gli umani oggi vivénti hanno un antenato comune risalente. al massimo a due-centomila anni fa e forse anche solo a centomila (non ne forniremo le prove qui, ma se ne può leggere in qualunque testo di paleoantropo-logia). Oggi sappiamo anche che gli umani anatomicamente moderni e gli uomini di Neanderthal appartengono a specie differenti. Se ne è avuta la conferma dal confronto del DNA estratto dalle ossa fossili degli uomini di Neanderthal con quello degli uomini di Cro-Magnon (i primi rappresentanti di umani anatomicamente moderni in Euro-pa). Mentre il DNA degli uomini di Cro-Magnon è indistinguibile da quello d~gli umani moderni, quello degli uomini di Neanderthal dif-ferisce da entrambi in modo significativo.

    La comparsa degli umani mod~rni in Africa è contemporanea alla comparsa, circa centomila anni fa, di nuova una tecnologia di fabbri-cazione di utensili, tra i quali archi e punte di freccia di pregiata fattu-ra, fame con bordi taglienti come rasqi (note come microliti) e arpioni con più uncini. Queste nuove armi sembrano marcare una svolta tra stili di caccia che ùsario armi da taglio (le pesanti lance tipkhe degli umani primitivi, uomini di Neanderthal compresi) verso quelli bàsati

  • su armi da lancio (lance simili a giavellotti, arco e frecce). Quando gli umani moderni giunsero in Europa (circa quarantamila anni fa, un po' prima dell'estinzione degli uomini di Neanderthal), questa tecno-logia si già era evoluta in una vera e propria arte: bottoni, collarie di perline, aghi, statuette di Venere, pitture rupestri e sepolture con tan-to d_i corredo funebre (queste ultime a partire da ventimila anni fa).

    L'importante lezione èhe è stata imparata nel corso degli ultimi trent'anni circa è che l'evoluzione umana ha avuto uri percorso tutt;al-tro che lineare. In effetti, ci sono 'stati periodi in cui a corso gravi rischi demografici. La comparsa degli umani anatomicamente moderni, per esempio, sembrerebbe associata a un collo di bottiglia genetico: tutti. gli umani viventi discendono da circa cinquemila femmine con prole vissute tra i duecentomila e i centocinquantamila anni fa in Africa . e non è detto che siano vissute tutte allo stesso tempo e nello stesso luogo né che fosse~o le uniche femmine con prole vive in quel pe· riodo. Ciò significa che l'intera popolazione umana con prole (la «di~ mensione .effettiva della popolazione», come viene chiamata) era un tempo davvero piccola. Di tutti gli umani che vivevano in quell'epoca ·in Africa, solo un modest9 numero (in termini relativi). ha formato il· gruppo di individui dai quali noi tutti discendiamo.

    La riduzione della variabilità genetica nella popolazione significa che questa non sarà in grado di reagire ai cambiamenti ambientali in modo adattativo, perché non vi sono individui in possesso delle necessarie ca-ratteristiche genetiche. Gli imbottigliamenti demografici di questo tipo

    implicano chela sopravvivenza della specie è appesa a un filo, e di solito si presentano e associano a un rapido cambiamento evolutivo.

    Le origini della mente umana

    La comparsa delle asce a mano aucheliane sembrerebbe segnare un miglioramento sl.gnificativo delle abilità cognitive, in particolare l'abili-

    Che cosa ha fatto per noi l'evoluzione? 45

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    tà di riuscire a immaginarsi la forma della futura ascia dentro un blocco di pietra grezza. Ma, anche così, le capacità cognitive del quale 1' Hor;io · erectus era capace erano evidentemente di un'altra categoria rispetto a quelle raggiunte più avanti dagli uomini primitivi (uomini di Neander-thal compresi), e in particolare dagli umani anatomicamente/moderni. Questi sviluppi nelle competenze tecnologiche implicano cambiamen-ti significativi della cognizione, poiché richiedono una maggiore ca-pacità di previsione, un controllo motorio più raffinato e una migliore

    © coordinazione occhio-mano, oltre al provare È di grande rilievo una caratteristica particolare e e asce a mano

    aucheliane. L'Homo erectus ha fabbricato esattamente lo stesso tipo di utensile millennio dopo millennio; quelli che risalgono alla fine dell'epoca sono indistinguibili da quelli prodotti più di un milione di anni prima. È sufficiente confrontare questo fatto con la velocità con la quale la tecnologia della telefonia portatile è cambiata negli ultimi dieci anni per notarela stabilità del periodo aucheliano. .

    Questa uniformità suggerisce che, nonostante l'aumento delle dimensioni del cervello, Homo ergaster e Homo erectus erano psicolo-gicamente differenti dai moderni esseri umani. Una possibile ragio-ne è che mancasse loro la capacità di imitarsi l'uno con l'altro. Una «vera» capacità imitativa richiede sia l'abilità di· capire l'intenzione

    . insita in un atto, sia quella. di ripetere con precisione i gesti neces-sari per raggiungere 1o scopo. Copiare il comportamento di qualcu-no senza realmente comprenderne il fine che lo muove, come, per esempio; fanno i bambinimolto piccoli copiando il gesto paterno di radersi, è detto «mimica» e non richiede le stesse capacità cognitive dell'imitazione.

    L'imitazione vera e propria segue il fatto di aver notato che la par-ticolare tecnica utilizzata da qualcuno è migliore di quella che .si pos-siede e che quindi la si può adottare e migliorare, di conseguenza,

    · la qualità del proprio lavoro. Se si modifica la tecnica e la si migliora ulteriormente, altri la: imiteranno e trarranno vantaggio dall'innova~·

  • zione; ne risulterà che la forma dell'utensile cambierà gradualmente nel corso del tempo. Senza un'autentica imitazione, la forma degli

    · utensili è destinata a rimanere immutata. È stato pertanto suggerito che, anche se gli individui di Homo erga-

    ster /erectus avevano avuto modo di osservare altri costruttori di uten-sili e avevano quindi un'idea del risultato finale, quando si trattava di creare i propri utensili, lo facevano a modo loro, con azioni che si avvi-cinavano solo approssimativamente a quelle dei costruttori più abili. Ne risultava un metodo idiosincratico diproduzione di attrezzi, anche se il prodotto finale era simile. Senza verà imitazione, ogni miglioria nella fabbricazione degli ut.ensili si perderebbe nello spazio di una generazione, poiché nessun individuo sarebbe in gradò di replicare precisamente la tecnica utilizzata per la sua creazione. Se l'imitazione vera e propria fosse stata possibile a quei tempi, ogni miglioramento sarebbe stato trasmesso (nella maggior parte dei casi dalla genera-zione più vecchia alla più giovane) poiché ciascuno avrebbe copiato esattamente la sequenza di azioni usata dal costruttore. . Una conseguenza significativa è che non esiste un momento prè-

    ciso negli scorsi cinque-sette milioni di anni che possa essere indi-viduato come fase formativa dell'evoluzione umana. I nostri tratti distintivi sono stati acquisiti in modo graduale, lungo un ampio pe-riodo di tempo·. Il bipedismo comparve molto presto (forse sei-sette milioni di anni fa); la postura eretta e i cambiamenti anatomici a essa associati giunsero molto più tardi (attorno a due milioni e mezzo di anni fa), ma comunque molto prima ~ell'accelerazione dell'evoluzio-ne cerebrale che portò in tempi rapidi alla comparsa dei cervelli di·

    ' ' grandi dimensioni dei moderni esseri umani (circa mezzo milione di anni fa). Nel frattempo, anche se gli attrezzi di pietra hanno una lunga storia (forse databile a due milioni e mezzo di anni fa), si nota una serie di modifichè nello stile e nella qualità, culminante nella rivoluzione del Paleolitico. superiore, avvenuta poco meno di cento-mila anni fa, il che indica una successione di piccoli ma significativi

    Che cosa ha fatto per noi l'evoluzione? 47

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    sviluppi cognitivi. Anche la mente umana si è evoluta un pezzetto alla volta. ·

    Questo mosaico, proprio dell'evoluzione urn.ana, è importante· perché c'è stata una forte tendenza da parte degli psicoÌogi evolu-zionisti a mettere in relazione aspetti della mente umana moderna con le condizioni ambientali nella quale si è sviluppata (la cosiddetta EEA). Anche se potrebbe essere possibile identificare le particolari circostanze all'interno delle quali i componenti. individuali si sono evoluti; le prove paleontologiche mostrano che.non vi è stato un sin-golo' periodo nel quale tutte le caratteristiche degli umani moderni sono comparse conìeinsiemè di caratteri correlati e coevoluti. È tut-to un grande crogiuolo. È quindi meglio dire che i nostri caratteri umani si sono evoluti in un ampio periodo della storia evoluzionisti-ca, alcuni probabilmente molto presto, altri, invece, in tempi assai recenti.

    Riassunto

    L'evoluzione non opera per il bene della spede, ma per quello degli in-. dividui. Si può comprendete meglio il modo in cui la selezione natu-rale.lavora assumendo il «punto di vista del gene», ma, nel farlo, dob-biamo sempre tenere a mente che la selezione agisce sull'organismo nel suo complesso. La «prospettiva del gene» ha permesso di risolvere molti rompicapo dell'evoluzione ma, quando si tratta dell'evoluzione umana, ci sono altri meccanismi evolutivi che devono essere presi in considerazione. In particolare, per la comprensione degli schemi dell'evoluzione umana, sono essenziali la selezione multi-livello e fa costruzione di nicchia, date la socialità e l'intelligenza caratteristiche della nostra specie. La linea di discendenza umana incomincia con una famiglia di scimmie dotate di postura eretta che si è diversificata in una gàmma di specie ominidi specializzate e ben adattate. L'insie- .

  • me delle caratteristiche fisiche e comportamentali dei moderni esseri umani si sono strutturate lentamente lungo il tempo evolutivo e al~ cune di queste caratteristiche erano condiVise con altre specie sorelle. Per buona parte della nostra evoluzione non siamo stati l'unica specie ominide vivente e la nostra dominazione del pianeta è in realtà solo un caso fortuito.

    Che cosa ha fatto per noi \'evoluzione? · 49

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    • Geni, sviluppo e istinto Forse la questione più controversa in psicologia evoluzionistica, e che abbiamo sollevato proprio in principio del libro, è se sono i geni o l'esperienza a determinare il nostro comportamento. Alcuni adottano il punto di vista di Jesuit, che è famoso (o forse famigerato) per aver affermato: «Datemi un bambino ·entro i sette anni, e io vi darò l'uo-mo», ritenendo che i primi anni di vita siano il periodo in cui ha luogo la formazione della personalità. Nell'immaginario iconico del filosofo empirista del XVIII secolo John Locke, le menti dei bambini sono ta-bulae rasae sulle quali le esperienze di vita imprimono la personalità e gli stili comportamentali che rimangono stabili nell'età adulta. Al contrario, altri hanno sostenuto che «salteranno fuori» e che, apre-scindere dalle circostanze dello sviluppo individuale, alcuni tratti di personalità si manifesteranno comunque.

    La netta divisione tra questi due gruppi, i nurturists (ambientalisti) e i natalist (che credono che l'eredità biologica sia più importante), ha permeato la psicologia dello sviluppo per la maggior parte del secolo e fuforse inevitabile che la diatriba sconfinasse nella psicologia evolu-zionistica, quando questa disciplina feçe la sua comparsa. Purtroppo, l'opposizione si è trasformata in un conflitto tra l'approccio di stampo evoluzionistico e quello della psicologia più tradizionale forse, alme-no in parte, perché quest'ultima è stata dominata .dall'approccio am-bientalista fino agli an:ni Settanta. Tuttavia, come abbiamo cercato.di

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    chiarire nel capitolo r, non c'è alcuna ragione esplicitain~nte evoluzi'o-nistica per cui si dovrebbe preferire un approccio rispetto a un altro.: Quale che sia stata la via scelta dall'evoluzione per dàre origine alla mente, è così che è successo, e c'è una adeguata spiegazione evoluzio-nista per entrambi i punti di vista. .

    Separare l'inseparabile

    In realtà, né i geni né l'ambiente da soli possono fare tutto il lavoro; ciò che conta, 'piuttosto; è la loro intérazione. Questo è il punto di vista interazionista sviluppato in seno alla biologia durante gli anni Ses-santa. Mentre è indubbiamente vero che numerosi studiosi accettano il punto divista interazionista e sorio quindi cauti nell'affermare la predominanza tanto dei geni quanto del comportamento, è altrettan-to vero che molti, talvolta, dimostrano di non comprenderne tUtte le implicazioni. Ciò si riflette nel-fatto che, nell'accettare il contributo sià dei geni sia dell'ambiente, è spesso presente un desiderio - pàr-ticolarmente evidente nei media - di d