Pierluigi Malavasi ni o Scuole, lavoro! La sfida educativa ... · ma Franco Cambi, uno dei maestri...

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459 Recensioni | Recensioni | Recensioni | Recensioni | Recensioni | Recensioni | Recensioni Pedagogia Oggi / Rivista SIPED / anno XV / n. 2 / 2017 ISSN 1827-0824 © Pensa MultiMedia Editore, Lecce-Brescia I n Italia la legge 107/2015 in- troduce in modo curricolare un’esperienza nel mondo del lavoro per tutti gli studenti degli ul- timi tre anni della scuola seconda- ria di secondo grado. Tra consensi, controversie e polemiche, i percorsi duali presentano un carattere piut- tosto inedito per la realtà italiana e richiedono culture e scelte proget- tuali e organizzative non scontate nella nostra tradizione. L’autore in- daga il tema dell’alternanza scuola lavoro come una sfida educativa a cui le istituzioni scolastiche sono oggi sottoposte, chiamate a sostan- ziare sul campo i cambiamenti de- terminati dai dispositivi normativi. Far fiorire le scuole per generare lavoro creativo, libero, partecipativo e solidale nel quale l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita: questa è la pedagogia che percorre le pagine del libro. Il titolo “Scuole, lavoro!”, per così di- re, è un’ingiunzione: attraversato da una forte tensione progettuale, il volume di P. Malavasi è un appello a partecipare, orientare e gestire il miglioramento effettivo delle istitu- zioni scolastiche e del mondo del la- voro, a fronte di tanti giovani che si trovano in situazioni di disagio e di esclusione, che non lavorano e non studiano. L’alternanza scuola lavoro costi- tuisce di fatto un ambito di riforma che chiama in causa dimensioni tec- niche e funzionali per offrire rispo- ste adeguate ai problemi emergenti, ma ancor più implica la competen- za e la dedizione delle persone, la lealtà e la capacità delle istituzioni a farsene carico. Scuole e lavoro. Una certa autoreferenzialità – tanto dei saperi scolastici quanto delle prati- che professionali – può essere por- tata alla luce e interpretata in un cli- ma dialogico e innovativo, in un te- am composto da rappresentati del mondo docente e lavorativo dove culture professionali e scolastiche si incontrano, tra diffidenze, ambigui- tà, differenze. La sfida educativa dell’alternanza è quella della vita insieme, un tessuto il cui intreccio è l’apprendimento reciproco e la par- tecipazione, la passione formativa e imprenditoriale. Una cultura edu- cativa aperta al mondo del lavoro sorge e cresce nel vivo dei rapporti familiari, nota l’autore, e deve esse- re sostenuta lungo tutta l’esperien- za scolastica, in modo graduale e progressivo. Pensare, progettare e gestire un’alleanza tra scuole e attività pro- fessionali, famiglie e università si chiama vita. E la parola vita segna l’ideale punto centrale del libro che nelle sue pagine chiama in causa – senza alcuna pretesa di esaustività – concetti e dinamiche ineludibili, in chiave pedagogica: pervasività dei Pierluigi Malavasi Scuole, lavoro! La sfida educativa dell’alternanza Vita e Pensiero, Milano 2017, pp.150

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Pedagogia Oggi / Rivista SIPED / anno XV / n. 2 / 2017ISSN 1827-0824 © Pensa MultiMedia Editore, Lecce-Brescia

In Italia la legge 107/2015 in-troduce in modo curricolareun’esperienza nel mondo del

lavoro per tutti gli studenti degli ul-timi tre anni della scuola seconda-ria di secondo grado. Tra consensi,controversie e polemiche, i percorsiduali presentano un carattere piut-tosto inedito per la realtà italiana erichiedono culture e scelte proget-tuali e organizzative non scontatenella nostra tradizione. L’autore in-daga il tema dell’alternanza scuolalavoro come una sfida educativa acui le istituzioni scolastiche sonooggi sottoposte, chiamate a sostan-ziare sul campo i cambiamenti de-terminati dai dispositivi normativi.

Far fiorire le scuole per generarelavoro creativo, libero, partecipativoe solidale nel quale l’essere umanoesprime e accresce la dignità dellapropria vita: questa è la pedagogiache percorre le pagine del libro. Iltitolo “Scuole, lavoro!”, per così di-re, è un’ingiunzione: attraversatoda una forte tensione progettuale, ilvolume di P. Malavasi è un appelloa partecipare, orientare e gestire ilmiglioramento effettivo delle istitu-zioni scolastiche e del mondo del la-voro, a fronte di tanti giovani che sitrovano in situazioni di disagio e diesclusione, che non lavorano e nonstudiano.

L’alternanza scuola lavoro costi-tuisce di fatto un ambito di riforma

che chiama in causa dimensioni tec-niche e funzionali per offrire rispo-ste adeguate ai problemi emergenti,ma ancor più implica la competen-za e la dedizione delle persone, lalealtà e la capacità delle istituzioni afarsene carico. Scuole e lavoro. Unacerta autoreferenzialità – tanto deisaperi scolastici quanto delle prati-che professionali – può essere por-tata alla luce e interpretata in un cli-ma dialogico e innovativo, in un te-am composto da rappresentati delmondo docente e lavorativo doveculture professionali e scolastiche siincontrano, tra diffidenze, ambigui-tà, differenze. La sfida educativadell’alternanza è quella della vitainsieme, un tessuto il cui intreccio èl’apprendimento reciproco e la par-tecipazione, la passione formativa eimprenditoriale. Una cultura edu-cativa aperta al mondo del lavorosorge e cresce nel vivo dei rapportifamiliari, nota l’autore, e deve esse-re sostenuta lungo tutta l’esperien-za scolastica, in modo graduale eprogressivo.

Pensare, progettare e gestireun’alleanza tra scuole e attività pro-fessionali, famiglie e università sichiama vita. E la parola vita segnal’ideale punto centrale del libro chenelle sue pagine chiama in causa –senza alcuna pretesa di esaustività –concetti e dinamiche ineludibili, inchiave pedagogica: pervasività dei

Pierluigi MalavasiScuole, lavoro! La sfida educativa dell’alternanzaVita e Pensiero, Milano 2017, pp.150

media e cittadinanza interculturale,economia civile e bene comune, va-lutazione dei risultati e integrazionedelle differenze, disagio e riscattosociale, buona scuola e diritto al-l’istruzione, equità e solidarietà. Lavocazione al lavoro e il lavoro comevocazione fanno parte e costituisco-no una dimensione della formazioneumana. Vincere l’estraneità trascuole, di ogni ordine e grado, e at-tività lavorative è un obiettivo tra-

sversale e regolativo che non si puòdisattendere per favorire l’orienta-mento e la maturazione dei giovani,lo sviluppo della responsabilità in-tergenerazionale e lo slancio versoun’occupazione libera, creativa, so-lidale, partecipativa.

Persone, dignità del lavoro, re-sponsabilità educativa: questa è an-zitutto la sfida dell’alternanza.

Cristina Birbes

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Adefinire questo come unvolume di grande valorebasterebbe già la coperti-

na. Quello che di solito serve soload attirare l’attenzione del lettorecontiene infatti almeno due ele-menti molto significativi.

Innanzitutto il titolo, concer-nente un tema che è stato per lungotempo un tabù epistemologico nel-la società e nella pedagogia italiana:l’omofobia. Questo termine si rife-risce, com’è noto, agli stereotipi e aipregiudizi – relativi all’amore trapersone dello stesso sesso anatomi-co – che, spesso, conducono a vio-lenze odiose in molte società, com-presa la nostra. Nonostante il suonome, questa forma di discrimina-zione non costituisce una vera epropria fobia dato che, mentre chi

soffre di claustrofobia – ad esempio– evita i luoghi chiusi, gli omofobisembrano ricercare i destinatari delloro disprezzo per poterlo esprime-re, attraverso la violenza verbale ofisica. Alcuni studiosi preferisconopertanto usare il termine ‘eteroses-sismo’, che si riferisce alla struttura-zione di una gerarchia sociale cheinferiorizza le forme d’amore diver-se da quella tra un uomo e una don-na. Quest’ultimo termine, soprat-tutto, non patologizza (rendendoloindividuale) un comportamento di-scriminatorio che ha invece una ge-nesi sociale e culturale e che, quin-di, interroga direttamente (anche)la pedagogia. Tuttavia, ‘omofobia’ èil termine ormai invalso e di ‘omo-fobia a scuola’ ormai si parla spes-so, anche nei mass-media. Soprat-

Franco CambiOmofobia a scuola. Una classe fa ricercaETS, Pisa 2015, pp. 87

tutto a causa del bullismo omofobi-co che vittimizza giovani vite, nelladelicata fase del loro sviluppo, por-tandole a volte al suicidio, comespesso hanno riportato i giornali ecome anche questo piccolo, prezio-so libro racconta.

Di combattere l’omofobia – ac-canto a misoginia, razzismo, inte-grismo fisico, etaismo etc. – c’ègrande bisogno, dentro e fuori lascuola. Se infatti il bullismo ne co-stituisce l’espressione nel contestoscolastico, l’omofobia non è certoconfinata nelle scuole ma è un feno-meno esteso e, inoltre, trasversale aiceti sociali. Alcune trasmissioni te-levisive, le dichiarazioni di alcunipolitici, le barzellette ascoltatesull’autobus esprimono e riprodu-cono una diffusa omofobia sociale,presente ovviamente anche nellascuola. Dentro quest’ultima (che faparte della società e, contempora-neamente, la riproduce) è però pos-sibile agire per via educativa, al finedi rendere migliore e più inclusivala società in generale, come questolibro suggerisce.

Oltre al titolo, il secondo ele-mento significativo è costituito...dall’autore: non un giovane dotto-rando sensibile all’urgenza sociale,ma Franco Cambi, uno dei maestridella Pedagogia italiana, punto diriferimento importante per la filo-sofia dell’educazione di matrice er-meneutica, caposcuola rispettato,autore di centinaia di pubblicazioniche, ormai in pensione, decide diporre alla nostra attenzione questotema delicato e complesso con tuttal’autorevolezza della sua storia di

intellettuale e, contemporaneamen-te, con l’umiltà di chi dà consiglioperativi a colleghi impegnati ascuola. Se esistevano già, in Italia,studi anche importanti sul temadell’omosessualità e dell’omofobia,questo libro ha il valore implicito diun’autorevole legittimazione: è il ri-conoscimento del fatto che i temiconnessi agli orientamenti sessualihanno ormai pienamente conqui-stato l’attenzione di educatori e ge-nitori e noi pedagogisti non possia-mo più non tenerne conto.

Quella di Cambi non costituisceperò una semplice petizione diprincipio ma un’utilissima guidaoperativa. I programmi educativi dicontrasto all’omofobia nelle nostrescuole (molto pochi, invero) sonostati spesso realizzati da associazio-ni gay e lesbiche impegnate nellalotta al pregiudizio, oppure da sin-goli docenti benintenzionati, spintidal bisogno di dare risposta a istan-ze che emergevano nelle classi incui insegnavano. Questo libro affer-ma invece che tale intervento edu-cativo (come quelli contro ogni for-ma di odio e di discriminazione)appartiene alla mission della scuolapubblica, proprio perché pubblicae quindi tesa al riconoscimento del-le differenze e all’inclusione.

Gli interventi educativi finorarealizzati contro l’omofobia nei no-stri istituti sono stati condotti inmodo molto spesso efficace, otte-nendo anche (mi consta personal-mente) risultati notevoli, ma è so-stanzialmente mancato una proget-tualità e un accompagnamento ditipo pedagogico, nessuna forma di

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valutazione è stata condotta né sisono condivise le buone prassi.Cambi interviene su questo variega-to panorama di impegno volentero-so con una proposta formativa pre-cisa, espressa nel sottotitolo: “unaclasse fa ricerca”. L’autore progettaun percorso di ricerca condotto di-rettamente da studenti e studentes-se, stimolati e accompagnati daun’équipe di docenti capace di uti-lizzare medium diversi – dalle im-magini ai video, dalla letteraturaagli eventi della quotidianità – al fi-ne non di sostituire un punto di vi-sta al posto di un altro ma al fine difar ragionare, di rendere consape-voli, di superare insieme la pigriziadella mente e l’avarizia del cuore. Illibro propone infatti stimoli didat-tici facilmente utilizzabili e appro-fondimenti possibili di termini spe-cifici, anche attraverso rimandi bi-blio/filmografici. L’autore forniscecosì ai docenti strumenti da utiliz-zare e contemporaneamente, e conlevità, li forma su contenuti chemolto probabilmente non conosco-no, dato che di questi temi rara-mente si parla ai docenti, tanto nel-la formazione in ingresso quanto inquella in itinere. Utilissimi in que-sta direzione sono, ad esempio, ibox sul rapporto Kinsey, sul legame

tra omosessualità e genetica, ol’elenco di artisti omosessuali da cuiprendere spunto per introdurre iltema...

Tra le righe, emerge però anchel’impostazione generale implicita diquesto lavoro, ispirato da una con-cezione della democrazia come par-tecipazione, della laicità come con-dizione di inclusività, dei diritti co-me fondamento della convivenza.Sono temi, questi ultimi, schietta-mente pedagogici che si riprendo-no “il centro della scena” nellachiusa del libro che, più che comeun’appendice, si presenta comel’insegnamento nobile di un Mae-stro che riafferma il compito peda-gogico di occuparsi di orientamentisessuali con il garbo che la delica-tezza dei sentimenti umani esige e,al contempo, con il coraggio etico-politico di opporsi a qualunque for-ma di oscurantismo. Solo così sipuò combattere ogni forma di con-dizionamento rispetto “al ruolopubblico e civile che spetta allascuola” (p. 86) riaffermando il prin-cipio del riconoscimento e della cu-ra educativa per tutti e per cia-scun*.

Giuseppe Burgio

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Il volume affronta la condi-zione dell’infanzia all’inter-no del paradigma della com-

plessità e la contestualizza nelle re-centi trasformazioni sociali propo-nendo piste di ricerca di ampio re-spiro. Gli autori dei vari saggi svi-luppano un attento e preciso ripen-samento critico e sistematico su al-cuni temi specifici dell’epistemolo-gia pedagogica e didattica dei servi-zi educativi per l’infanzia. Essi nonsolo individuano i più significativifenomeni in atto, ma li sviscerano eli investigano, cercando risposte al-le problematiche educative emer-genti sul piano empirico, metodolo-gico e teoretico. Il testo mette benea fuoco due aspetti inediti che ca-ratterizzano le attuali istituzionieducative per i più piccoli, la quali-tà e la specializzazione, e parallela-mente propone una riflessione suiprocessi innovativi che oggi si stan-no attuando nell’asilo nido, parten-do da alcune interessanti esperien-ze realizzate in diverse regionid’Italia.

Negli ultimi decenni, i profondimutamenti economici, sociali e de-mografici che hanno caratterizzatoil nostro Paese hanno portato a ri-conoscere la centralità del soggettoe della rete relazionale in cui vive egli studi in campo pedagogico si so-no orientati verso metodi euristicicaratterizzati dall’unione tra teoria

e pratica educative, dando un sup-porto significativo alla progettualitàe alla qualità degli asili nido. Tuttociò ha inevitabilmente modificatol’idea di infanzia secondo la quale ilbambino era visto come un sogget-to fatto ad immagine e somiglianzadell’adulto e si è progressivamenteaffermata una cultura dell’infanziain cui, al contrario, il piccolo è con-siderato un individuo con peculia-rità, bisogni e competenze proprie.Questa nuova rappresentazione disoggetto attivo, capace e competen-te ha riconosciuto il bambino comecittadino nel pieno dei propri spe-cifici diritti, come persona curiosa esocievole, attivamente coinvoltanella creazione delle esperienze enella costruzione della sua identitàe delle sue conoscenze. All’internodi una cornice di questo tipo l’asilonido, come sottolineano gli autoridel volume, nonostante sia statoconcepito come un contesto assi-stenziale, è oggi considerato e pen-sato come un luogo di cura educa-tiva, in cui l’apprendimento e la re-lazione appaiono i dispositivi for-mativi più importanti, due dimen-sioni profondamente interconnessee integrate.

La storia dell’asilo nido ha mes-so a fuoco i cambiamenti e le inno-vazioni che hanno reso più diversi-ficato e complesso il sistema deicontesti educativi per la fascia 0-3:

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NITeresa Grange Sergi (a cura di)Qualità dell’educazione e nuove specializzazioni negli asili nidoETS, Pisa 2013, pp. 207

negli ultimi anni, infatti, sono natenuove e flessibili strutture, come icentri per l’infanzia, i micronidi, icentri bambini e genitori, i nidi fa-miliari e domiciliari, gli agrinidoecc., e si è attivato un forte ed este-so dinamismo di titolari e gestori,sia pubblici che privati. I servizi sicontraddistinguono per la pluralitàdei modelli e per la qualità del siste-ma organizzativo, hanno irrobusti-to un impianto pedagogico piena-mente riconosciuto e valorizzato,riuscendo a coinvolgere anche lacomunità, ossia le famiglie e il terri-torio, nell’ottica di un’educazionecondivisa capace di avviare una co-trasformazione dei diversi soggettiche ne fanno parte. Lo sviluppodella socialità si è identificato comeun tratto identitario dell’esperienzadel nido volto a potenziare la di-mensione dello stare insieme nonsolo tra bambini ma anche tra adul-ti. Questa categoria ha indubbia-mente contribuito alla crescita delleistituzioni educative ed è alla basedella nascita dei nuovi “tipi” di ser-vizi per l’infanzia con l’intento dauna parte di rispondere alle diverseesigenze dei piccoli utenti e ai mu-tati bisogni di cura delle famiglie edall’altra di indirizzare il nido versouna maggiore apertura ad una do-manda differenziata e costruire unvero e proprio sistema integrato.Gli autori mettono in evidenza ilconcetto di qualità che, nel tempo,è diventato sempre più centrale ecruciale: in effetti l’obiettivo prima-rio è assicurare a tutti i bambini unservizio di alto livello a prescinderedalla sua tipologia e da chi lo gesti-

sce. La qualità, però, non consistesolo nel controllo del funzionamen-to del servizio, ma deve essere con-cepita anche e soprattutto come im-pegno da parte del personale edu-cativo, che ha oggi conquistato unpiù ricco e articolato profilo profes-sionale, verso la costruzione di unprogetto pedagogico che presenti leofferte educative e relazionali, i pa-radigmi conoscitivi, i dispositivimetodologici, gli strumenti operati-vi e le modalità organizzative.

Il testo è costruito su due parti:la prima, Scenari e paradigmi, scavae ricompone le radici pedagogichee i contesti culturali in cui sono na-ti, sono mutati e si sono evoluti iservizi; la seconda, Ricerche e inter-venti, offre alcune testimonianzerappresentative riguardanti attivitàed esperienze pilota che caratteriz-zano percorsi di specializzazione al-l’interno del nido, porgendo al let-tore la chiave di accesso a vari edinsoliti processi di diversificazionee di multifunzionalità.

Apre il volume il saggio di An-drea Bobbio, il quale concentra losguardo sulla necessità di perfezio-nare gli standard di qualità e i crite-ri di accreditamento e di professio-nalizzazione delle nuove istituzionieducative nate negli ultimi anni.Egli mette bene in risalto la plurali-tà degli approcci e delle metodolo-gie che caratterizzano l’educazionedel bambino nel mondo occidenta-le contemporaneo e sostiene che,per poter raggiungere un cambia-mento positivo grazie all’innovazio-ne che i servizi stanno vivendo, oc-corrono indicazioni pedagogico-di-

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dattiche qualificate per valori e abi-lità, fondate su chiare e precise on-tologie e criteri educativi: la sociali-tà, la vitalità, la polidimensionalitàe la mediazione.

Teresa Grange Sergi concentrala sua riflessione sul progetto peda-gogico del nido, un documento diriconoscimento capace di appro-fondire e arricchire maggiormentela cultura dei servizi per l’infanziache, sempre più, si propongono co-me contesti educativi in cui i padro-ni di casa sono l’apprendimento ela relazione e gli inquilini l’innova-zione e la specializzazione. Novità,però, non significa qualità sicura,difatti, a volte, si traduce in situa-zioni autoreferenziali in cui le ne-cessità dell’adulto prendono il so-pravvento su quelle del bambino: ènecessario, quindi, un continuo eattento processo di monitoraggio edi valutazione. La sfida attuale, per-tanto, consiste nell’elaborazione diun progetto pedagogico appropria-to e congruente con le continuemutazioni dei bisogni dei bambini econ i diversi tipi di approcci, distrumenti e di linguaggi che si de-terminano all’interno dei servizi, siada un punto di vista etico che epi-stemologico. Come sottolinea lastessa curatrice del volume, «Il pe-ricolo che i diritti e i bisogni delbambino scompaiano nel vortice didispositivi metodologici che aderi-scono ad effimere mode o a mitieducativi, a semplificazioni concet-tuali, a formule accattivanti e ste-reotipate può essere contrastato daun’attenzione puntuale alla dimen-sione di progetto, orientata dai pa-

radigmi della complessità e dellacontestualità» (pag. 11).

Il contributo di Ezio Del Got-tardo, che inaugura la sessione pra-tico-esperienziale del volume, pre-senta un progetto di sensibilizzazio-ne linguistica realizzato in un nidodi Aosta nell’anno educativo 2010-2011, dove è stata introdotta la lin-gua francese. Tale sperimentazionenasce dal particolare contesto so-cio-culturale bilingue italiano-fran-cese della Valle d’Aosta, che preve-de un’educazione bilingue a partiredalla scuola dell’infanzia. Il proget-to, svolto seguendo i criteri dell’ap-proccio empowerment evaluation dimatrice costruttivista, ha richiestoagli educatori la partecipazione adun percorso formativo rivolto allepratiche valutative, che li ha resiconsapevoli circa le questioni dasostenere e gli obiettivi da raggiun-gere. La sperimentazione è statacondotta nell’ottica di un migliora-mento della qualità complessiva delservizio e non soltanto in relazioneall’aspetto innovativo legato alla ri-cerca in oggetto.

Fabrizio Bertolino e TizianaMorgandi descrivono i nuovi servi-zi educativi per l’infanzia in ambitorurale: gli agrinidi, gli agriasili e leagritate. Si tratta di un fenomenorecente ma in divenire che, da unaparte, cerca di rispondere alle criti-cità dell’offerta pubblica e privatanelle zone marginali a bassa densitàdi popolazione, come le aree mon-tane e rurali, e dall’altra dà voce albisogno che hanno manifestato leimprese agricole di aprire le portedell’imprenditoria all’occupazione

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femminile, conciliando in questomodo il tempo per la famiglia equello per il lavoro. I due studiosiriflettono sulle differenze, analogiee contaminazioni tra questi tipi diservizi e l’asilo nido tradizionale,mettendo in luce gli spazi allestiti,le attività proposte, i materiali uti-lizzati e la partecipazione delle fa-miglie.

Chiude il libro il saggio di Gian-ni Nuti che descrive e legge in chia-ve critico-costruttiva le esperienzeartistico-espressive realizzate neiservizi educativi per l’infanzia. Eglirivolge un interesse particolare alteatro e alla danza e dunque alle at-tività grafico-pittoriche e sonoro-musicali e sottolinea la necessità siadi formare gli educatori che di pro-gettare tali esperienze soprattuttoda un punto di vista didattico. Unvalore aggiunto per queste pratichecomunicative è offerto dall’artistache, oltre a mettere a disposizionele sue competenze e conoscenze, faentrare all’interno del nido le speci-ficità del territorio circostante.

Per concludere, il fil rouge che sidipana all’interno del testo è quindirappresentato dall’analisi pedagogi-ca ancorata ai processi innovativiche si stanno sviluppando nei servi-zi educativi per l’infanzia contem-poranei, analisi con la quale sono

messi a fuoco da un lato i risultaticonquistati e dall’altro gli obiettivida raggiungere, senza tuttavia per-dere mai di vista i bisogni educati-vo-formativi dei piccoli utenti. A fi-ne lettura, volendo dare forma aipensieri degli autori, le istituzioniper l’infanzia di oggi potrebbero es-sere paragonate ai Mobiles di Ale-xander Calder, sculture con basi so-lide che si innalzano con parti oscil-lanti e fluttuanti le quali necessita-no continuamente di un riassesta-mento e di un riequilibrio per poterstare in piedi. In questa prospettivadi lettura e di interpretazione criti-ca, il volume si presenta come unutile strumento sia nel processo diformazione iniziale che in serviziodegli educatori e dei coordinatoripedagogici, pertanto si rivolge aigiovani studenti che aspirano asvolgere questa professione e alpersonale educativo dei servizi, cosìcome a tutti coloro che si occupanodi infanzia. Le varie esperienze illu-strate, inoltre, rappresentando al-cuni esempi indicativi dei servizi ri-volti ai bambini da 0 a 3 anni in Ita-lia, attivano e stimolano dimensionidi scambio e confronto con altre re-altà sia a livello nazionale che inter-nazionale.

Enrica Freschi

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La formazione di un pen-siero meridiano devepoter agire in tutte le

direzioni, verso nord e versosud, e coinvolgere tutti, in tut-te le età della vita (p. 17).

Il senso del volume curato daIsabella Loiodice e Giuseppe An-nacontini sta proprio in questo: nelrintracciare nel Sud italiano un“pensiero solare” – come suggesti-vamente lo definisce Franca PintoMinerva nella sua Prefazione - che,muovendosi tra dissenso e impe-gno, tra resistenza e riscatto, tra no-vità e tradizione, sappia attraversa-re e oltrepassare i luoghi comunidell’arretratezza e della depressioneper fondare speranze e progetti fu-turi.

Tutto questo, a partire da lineedi pensiero e di ricerca che indivi-duano nel dispositivo pedagogicoun’occasione capace di configurare– affermano i curatori – nuovi stilidi pensiero e di azione, di integra-zione e interlocuzione. Si tratta cioèdi tentare di delineare i contorni diuna pedagogia meridiana – di piùpedagogie meridiane – che, impe-gnandosi a contrastare e scardinareun modello di sviluppo economicoche tende a marginalizzare il sud ela sua intelligenza, si colloca nelcontesto più ampio in cui la peda-gogia generale articola il proprio te-los emancipativo.

Il volume rappresenta un mo-mento di incontro e di confronto apiù voci (di uomini e di donne, distudiose e studiosi provenienti dadiverse regioni dell’Italia meridio-nale) che racconta il Sud, verifican-do cosa è cambiato in positivo nelleforme di vita, cosa è rimasto stabile,cosa permane di negativamente ir-risolto, esplorando e riscoprendogli intrecci, variegati e complessi, egli incroci tra saperi, professionali-tà, storie di vita che lo caratterizza-no.

Un dibattito corale che ha inte-so affrontare le tematiche più cru-ciali e centrali della questione meri-dionale lette, vissute e interpretateattraverso il sapere, le emozioni e leesperienze di studiose e studiosi delSud legati da un comune impegnoetico, sociale e culturale.

Pensieri, emozioni, esperienzesi intrecciano e si incrociano neidieci saggi di cui il volume si com-pone.

Il saggio di apertura di IsabellaLoiodice tiene insieme in un qua-dro teorico organico e ben struttu-rato le possibili piste di ricerca trac-ciate nel volume per la costruzionedi una pedagogia meridiana. E lo faevidenziando come, ancora unavolta, sia la formazione a farsi di-spositivo di emancipazione versonuovi stili di vita e di co-esistenza,verso rinnovati modi di pensare e disentire: per costruire un “umanesi-

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NIIsabella Loiodice, Giuseppe Annacontini (a cura di) Pedagogie meridiane. Educare tra emancipazione e immaginazioneProgedit, Bari, 2017, pp. 196

mo delle alterità” – dice l’autrice –che fa della “diversità meridiana”un valore, così liberandola da im-posizioni e conformismo e superan-do le rappresentazioni di un Sudsempre più residuale. Un Sud chepuò – e deve! – riconoscersi e esse-re riconosciuto come modello dipartecipazione sociale e culturaleaperto e solidale.

L’autrice, rileggendo in chiavepedagogica il pensiero meridiano diFranco Cassano, individua le traccedi una “pedagogia sommersa”, ca-ratterizzata da una specificità che larende originale rispetto a una peda-gogia schiacciata e omologata suibisogni formativi delle aree metro-politane e industrializzate.

Più in particolare, assume i con-cetti di “libertà”, “agentività”, “ca-pacitazione” (tutte categorie fonda-tive del pensiero contemporaneo)come condizioni indispensabili perl’elaborazione di inedite e inesplo-rate possibilità di sviluppo, di con-vivialità, di solidarietà e moralitàcollettiva.

La riflessione sulle “possibilirotte” di una pedagogia meridianaprosegue nel saggio di Maria To-marchio. L’autrice insiste con vigo-re sul nesso che intreccia indissolu-bilmente tra loro sapere pedagogi-co e impegno sociale, intravedendonella costruzione di una pedagogiameridiana una possibilità di riscattoed emancipazione delle popolazio-ni del Sud Italia (della Sicilia, inparticolare) da quello che, a suo av-viso, si configura come il “nemico”più violento e implacabile: la mafia,per la sua capacità di insinuarsi ne-

gli spazi interstiziali di una società“dove opera il vuoto di progettuali-tà, di dialogo intergenerazionale, dimemoria, […] di partecipazione de-mocratica e di diritti di cittadinanza”(p. 22)” per aprirsi varchi semprepiù ampi.

Vuoti che possono essere peròcolmati – qui il progetto pedagogi-co dell’Autrice – coltivando prati-che di “memoria operante” capacidi disinnescare la sub-cultura ma-fiosa e di formare un modo altro dipartecipazione alla vita pubblica ecittadinanza democratica.

Un’altra possibile via di riscattopolitico e sociale per il Mezzogior-no è quella indicata da SalvatoreColazzo nel suo saggio. L’Autore ri-flette sul concetto di comunità sof-fermandosi sulle sue connotazionispecificamente “meridiane” – suisuoi modi di essere meridiani.L’idea di fondo è quella di scom-mettere pedagogicamente sul valo-re che la comunità può assumere alSud per “far crescere cittadini capacidi prendere parte efficacemente alladialettica democratica, assumendodecisioni importanti per la vita asso-ciata, contribuendo a pungolare ladimensione istituzionale […], a pro-durre una energia emancipatoria cherivendica i valori dell’inclusione so-ciale e della solidarietà” (pp. 28-29).In sintesi, per l’affermazione di unacittadinanza matura, anche al Sud.

La scommessa – tutta pedagogi-ca – per Giuseppe Burgio è invecequella di dare spazio, rivitalizzando-le, alle aspirazioni dei giovani (meri-dionali) che è poi dare spazio alleaspirazioni collettive dell’intero

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paese. Dopo avere tracciato i puntidi debolezza, le difficoltà, i “vincolieteronomi” con cui i giovani delSud sono chiamati a confrontarsi,l’Autore esalta i punti di forza diquesta complessa e contraddittoriaetà della vita, rintracciando nellaformazione la capacità di trasforma-re la soggettività dei giovani, a par-tire “da una sua peculiare dimensio-ne: l’orientamento al futuro”.

Sulla stessa linea si pone il saggiodi Daniela Dato. Acuto e originale ilripensamento del lavoro in chiave“meridiana” prefigurato dall’Autri-ce. In un Meridione italiano che piùdi altre terre corre il rischio di deriveeconomicistiche postcapitalistichedistruttive, si rende quanto mai ne-cessario investire – e credere – nellaformazione di una generazione dipotenziali futuri lavoratori di altoprofilo capaci di agire sulla propriaterra tras-formandola, immaginandoun cambiamento migliorativo deisuoi modelli di vita e sviluppo. Lachiave di volta del futuro del Sud –dice l’Autrice – è proprio nell’edu-care le giovani generazioni a coltiva-re la speranza: una speranza proget-tuale e trasformativa, capacitante egenerativa di inedite aperture, che siconfigura come strategica “compe-tenza pedagogica” da promuovere alfine di “immaginare un Sud […] co-me terra di resilienza, di ricomincia-menti, di solidarietà. Di molti giovaniche restano, pure non dimenticandoquelli che tristemente fuggono. Dellavoro che, se è vero che non c’è, tut-tavia si riprogetta, si ricrea, si rein-venta, rinasce dalle idee e dalle sto-rie” (p. 124)

Di grande interesse anche lascelta della Dato di indicare il Co-working come modello culturale edeconomico privilegiato – come pos-sibile “forma mentis” – da assumereper rilanciare, nel futuro, professio-nalità costantemente in movimento.

Significativa e profonda è la ri-flessione in chiave ecologica di Fa-brizio Manuel Sirignano sul rap-porto tra pedagogia della decrescitae pedagogia meridiana. L’Autorecolloca al centro del suo discorso lapossibilità per il Sud di costruireforme di vita e di sviluppo “altre”:non esclusivamente schiacciate sulogiche di un mono-pensiero eco-nomicistico. Modelli di (de)crescitada fondare attraverso il recupero diquei principi di convivialità, impe-gno e resistenza propri delle “peda-gogie sommerse del sud Italia”.Una sfida avvincente – quella lan-ciata dall’Autore – per pedagogistie insegnati affinché ripensino ruolie funzioni al fine di “strutturare unamoderna polis che sappia essere ingrado di porsi come luogo di forma-zione e di crescita civile per le futuregenerazioni” (p. 69).

Una visione profondamenteecologica – che pensa insieme uo-mini, piante, animali meridiani –connota marcatamente anche ilcontributo di Laura Marchetti sullatutela dell’identità meridiana.L’Autrice va alla scoperta di ciòche, metaforicamente, si nascondesotto lo “scialle nero delle donneanziane” con l’intento di cogliere evalorizzare la specificità dei valori edei tratti identitari del Sud di Italia,pur senza trascurare la dimensione

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del globus – talvolta devastante maevidentemente interrelata cultural-mente, politicamente, economica-mente al locus. La sua idea di peda-gogia meridiana è infatti costruitaintorno all’ottica glocale, nella con-vinzione che una “pedagogia che og-gi voglia essere meridiana, adatta acogliere […] l’identità del Meridio-ne italiano e del suo mare Mediterra-neo, non può che essere internazio-nale, globale, universale” (p. 112).Tra le istituzioni internazionali im-pegnate nella tutela delle differenticulture, l’Autrice riconosce al-l’UNESCO un ruolo cruciale perpromuovere l’emancipazione delSud italiano proprio a partire dallasalvaguardia delle sue specificitàmeridiane.

La linea di ricerca e di azioneprefigurata da Giuseppe Annacon-tini (curatore del volume insieme aIsabella Loiodice) si fonda sulla di-sposizione all’ascolto che si fa “dy-namis pedagogica” – forza e poterepedagogico – e che promette un“cambiamento migliorativo” inogni forma di vita.

La possibilità di investire per lacrescita e la trasformazione etico-sociale, politico-culturale del Sud sigioca, per l’autore, proprio nel“mettersi in ascolto” che è poi, vero-similmente, entrare-in-dialogo conla Terra: “Una terra che prende for-ma, identità, carattere in relazione alsenso che acquista per una determi-nata comunità di uomini e donne[...] e che, pertanto, per essere inda-gata, privilegia una lettura dall’inter-no che sappia toccare i tanti, lunghi,sottili e complessi ‘fili’ che uniscono

uomo, altro uomo e ambiente di vitapassato e futuro” (p. 72).

Si tratta di ripartire dalla quali-tà formativa della “Terra”, di assu-mere la città (e le sue periferie) co-me laboratorio di ricerca di svilup-po auto propulsivo. E di farlo contenace “intenzione pedagogica”.

Ripartire dal Sud – dalle suecontraddizionie ricchezze - perpensare autenticamente il Sud è an-che la “rotta” di pensiero e azionepercorsa da Pascal Perillo nel suosaggio. L’Autore, in particolare,scorge un viaticum meridiano –“mediterraneo” – per riguardare iluoghi del Sud di Italia, così rive-landone il valore, in una praticaeducativa pensata e realizzata nellaprospettiva di un impegno etico-ra-zionale. In particolare, la scommes-sa – scrive Perillo – è quella di inve-stire nella formazione dei formatoriche, muovendosi tra ricerca e prati-ca professionale, potrebbe configu-rarsi come “volano per riscrivere ildestino del Mezzogiorno” (p. 99).

Chiude il volume il saggio diRosa Gallelli sulle scritture meri-diane e su una didattica pluriligui-stica. La tesi sostenuta con veemen-za teorica e metodologica dell’Au-trice è quella di investire in un pro-getto rinnovato di educazione lin-guistica cha sappia contrastare siala svalorizzazione cui vanno incon-tro lingue e linguaggi appartenentia culture locali, come quelle meri-diane, spesso considerate residualie minoritarie, sia la conseguenteprivazione linguistica (che è poi an-che culturale e identitaria) dellegiovani generazioni meridionali.

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La scommessa è quella di una“scuola del Mezzogiorno che sappiaottimizzare il patrimonio multicultu-rale delle proprie comunità […] di-spiegata attraverso la messa a puntodi un sistema integrato di laboratorimono e plurilinguisitici” (p. 164).Una scuola dove sperimentare laproduttività (e l’impegno) delloscambio di idee e di pensieri, dellacondivisione di emozioni e senti-menti: dunque, la creatività del sen-tire/pensare/agire insieme.

Di forte suggestione e ancor piùspiccata intelligenza epistemologicaè la prefazione Pensiero del mare epensiero del Sud di Franca PintoMinerva che fa da cornice all’interovolume. Interprete storica e vitalis-

sima della pedagogia meridiana,l’Autrice persegue da sempre la dif-ficile utopia pedagogica di prefigu-rare “modelli di sviluppo e ospitalitàalternativi in grado di valorizzare lerisorse creative sommerse e spessofrustrate nei territori meridionali[…] per combattere le pericolose de-rive verso formae mentis improntatealla dipendenza, al vittimismo, alladisillusione, all’indifferenza” (pp.XXII-III).

Per fare questo, ribadisce l’Au-trice, il Sud ha bisogno di investirein più cultura, più scuola, più rela-zione, più dialogo.

Manuela Ladogana

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Educare ad abitare la Ter-ra, casa comune del-l’umanità, a prendersene

cura e apprezzarne i beni assumenell’attualità una particolare rile-vanza. Il volume intende considera-re la crisi ecologico-ambientale, alcentro delle preoccupazioni del-l’opinione pubblica mondiale, co-me sfida educativa globale a cui ilsapere pedagogico non può sottrar-si.

L’elaborazione, ponendosi inmodo critico nei confronti dell’on-nipotenza riconosciuta alla tecnica,muove dalle risorse intangibili dellaformazione per riscoprire il mondonaturale come interlocutore e par-tner nell’ambito della progettualitàeducativa. La transizione versoun’economia circolare, incentratasul riuso e riciclo, stabilita nell’am-bito del piano strategico Europa2020 per una crescita intelligente,

Cristina Birbes Custodire lo sviluppo coltivare l’educazione. Tra pedagogia dell’ambiente ed ecologia integrale Pensa MultiMedia, Lecce-Brescia 2016, pp.148

sostenibile e inclusiva, sollecita la ri-flessione pedagogica a promuovereuna cultura sistemica dell’ambien-te, quale totalità delle relazioni cheabbiamo con il mondo.

Alla pedagogia spetta il compitodi indagare criticamente la nozionedi sviluppo, come parametro di vitairrinunciabile, e di ricercare nuovicriteri per orientare scelte solidaliin ambito economico, tecnologico esocio-ambientale. La Terra è un ri-ferimento importante per ricostrui-re un modello di sviluppo fatto diincontri, valori e dialogo, propridella cultura educativa. In tale pro-spettiva è rivendicato e sostenuto ilcontributo imprescindibile diun’educazione intenzionale e con-sapevole alla costruzione di societàpiù eque e sostenibili. L’educazionecome passione per il futuro è unadelle leve fondamentali attraversocui orientare all’azione, per renderela persona responsabile, libera ecreativa, dotata di senso civico, ca-pace di progettarsi e progettare.

La ricerca condotta si riallacciaalla prospettiva di quell’ecologia in-tegrale che è un apporto peculiaredel magistero sociale di papa Fran-cesco. Le sollecitazioni etiche ri-chiamate dall’enciclica Laudato sì’,riprese dalla comunità internazio-nale nella Conferenza Onu sul cli-ma tenutasi a Parigi nel 2015, si au-

spica orientino le politiche di svi-luppo in un’ottica di sostenibilità.

Il compito educativo di custodi-re con cura e amorevolezza la casacomune che ci ospita è l’essenza diun autentico sviluppo globale, diun futuro prospero e pienamenteumano. La credibilità scientificadella pedagogia “passa” per l’am-biente, ovvero si configura dipen-dente dalla capacità del discorsopedagogico di elaborare prospetti-ve euristiche originali riguardo allequestioni ambientali, di offrire con-tributi progettuali per la sostenibili-tà della vita, per “coltivare” l’huma-num, nella consapevolezza che sol-tanto una revisione profonda dellepolitiche e degli stili di vita potràscongiurare conseguenze catastrofi-che originate dalla rapacità del pa-radigma tecnocratico e dal deterio-ramento della qualità della vitaumana e della degradazione sociale.

Stime ed analisi convergono sul-la possibilità che la distruzione disistemi naturali sui quali gli esseriumani contano per vivere siano sce-nari realistici. Custodire lo svilup-po, coltivare l’educazione: obiettivieuristici e progettuali essenziali perla riflessione pedagogica verso lasostenibilità economica, ambientalee sociale.

Pierluigi Malavasi

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Afronte dei crescenti rischidi mercificazione delleesperienze educative e

dell’«indebolimento sociale e istitu-zionale della scuola d’infanzia» [p.123], il libro di Baldacci appare sa-lutare, per certi versi indispensabile.Si tratta di un testo schierato, mili-tante, che, in specie nella parte fina-le, delinea traiettorie per il futurovalevoli quali antidoti a quelle istan-ze aziendalizzanti che tendono a tra-sformare la scuola dell’infanzia inun «incubatore di talenti da scoprireprecocemente», facendone non uno«spazio di emancipazione» per il«pieno sviluppo» dei soggetti [p. 8],ma un sistema di fabbricazione dicapitale umano nei cui confronti lefamiglie si comportano come clienti.Il risultato è la rottura dell’alleanzapedagogica scuola-famiglia.

A queste derive si può risponde-re, secondo Baldacci, mediante l’ela-borazione di un modello educativoper l’infanzia capace di orientareprassi virtuose e che tragga ispirazio-ne da esperienze passate, da aggior-nare alla luce delle urgenze dell’oggi.Da qui un’appassionata e appassio-nante ricostruzione della «tradizionepedagogica dell’educazione infantile»[p. 10], che prende in esame le me-todologie agazziane e montessoria-ne, evidenziandone i tratti salienti ele talvolta non felici successive cri-stallizzazioni, per passare a un’estesatrattazione del Modello a nuovo indi-

rizzo di Bruno Ciari. A tal proposito,Baldacci rimarca tanto l’ispirazionegramsciana e deweyana di Ciari, invirtù della quale questi avrebbe avu-to accesso a «una comprensione cri-tica e approfondita del movimentodell’educazione attiva» [p. 22], quan-to l’influenza delle riflessioni di Ma-ria Montessori e delle sorelle Agazzi.Senza scadere in un inconsistenteeclettismo, Ciari vedrebbe questedue ultime proposte «come comple-mentari anziché […] incompatibili»,avvertendo l’esigenza d’una loro sin-tesi organica [p. 27]. Certo, le suepreferenze vanno alla Montessori,cui è riconosciuto il merito di averdato il giusto peso alla «dimensioneintellettuale dell’educazione» infan-tile [p. 34], di aver insistito sull’im-prescindibile necessità di oltrepassa-re l’estemporaneità e la casualità del-le sue pratiche, di aver pensato l’am-biente scolastico come alternativo aquello familiare – elemento, questo,essenziale per un intellettuale impe-gnato come Ciari, interessato a «ri-durre i divari cognitivi imputabili aicondizionamenti familiari» [p. 28].Della Montessori, Ciari stigmatizza,al contempo, il ricorso esclusivo amateriale strutturato e critica «lachiusura della» sua «scuola […] ri-spetto alla società» [p. 34]. Del me-todo agazziano, invece, accoglie so-prattutto, se non, invero, esclusiva-mente, l’utilizzo di oggetti reali (lecelebri cianfrusaglie) – soluzione che

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NIMassimo Baldacci Prospettive per la scuola d’infanzia. Dalla Montessori al XXI secolo Carocci, Roma 2015, pp. 158

potrebbe controbilanciare il presun-to surplus di artificiosità montesso-riano –, ma non lo spontaneismo,gramscianamente equiparato a unarinuncia a elevare intellettualmente ilsubalterno.

Ciari, dunque, aderirebbe a unpunto di vista antispontaneista, laqual cosa lo condurrebbe a prospet-tare l’esigenza di linee programmati-che per la scuola dell’infanzia, cheverranno poi sistematizzate da Frab-boni – anche attraverso gli strumen-ti del problematicismo di Bertin – enello specifico tradotte nelle teoriedel curricolo e della programmazio-ne. Ma, si chiede Baldacci, non è ta-le antispontaneismo in contraddi-zione con l’impostazione montesso-riana? Trattasi di un quesito politi-camente discriminante, per rispon-dere al quale Baldacci analizza inmodo meticoloso la teoria della pe-dagogista marchigiana; ed è politica-mente dirimente poiché la risposta aesso può confermare o, di contro,negare la fungibilità piena del con-gegno montessoriano per l’edifica-zione di una pedagogia che declinila questione della scuola dell’infan-zia come questione eminentementesociale, concernente temi qualil’emancipazione o l’uguaglianza.Non si può scendere nel dettagliodella complessa ricostruzione cheBaldacci fa della traiettoria montes-soriana, peraltro problematizzandola critica ciariana all’artificiosità delmateriale strutturato e segnalandogli «slittamenti metafisici» [p. 72]della studiosa di Chiaravalle, in par-ticolar modo rintracciabili nel corsodella seconda fase della sua ricerca (il

cui avvio è grosso modo databile allaseconda metà degli anni Trenta), al-lorquando tenterà di giustificare fi-losoficamente «il nucleo pratico delsuo metodo» [p. 49]. Ci si limiterà ariepilogare le conclusioni di Baldac-ci: l’accoglimento, nel Modello anuovo indirizzo, del metodo-Mon-tessori non è in contraddizione conil complessivo impianto antisponta-neista in ragione della sapiente con-ciliazione, in quel metodo, di spon-taneità e direzione. Per il tramitedella «limitazione del tipo di mate-riale» [p. 60], Montessori riuscireb-be a dirigere l’esperienza del fan-ciullo senza mortificarne la libertà:«la predisposizione dell’ambiente»condurrebbe, infatti, alla «riduzionedel grado di libertà della scelta delbambino» [p. 85], permettendo dicanalizzarne positivamente l’espe-rienza e, eventualmente, di colmaregli iniziali scarti tra i giovanissimiscolari. D’altronde, se è vero che perla Montessori lo sviluppo è «inter-no» al fanciullo – determinato dal«principio vitale interno» della na-tura [p. 60]) –, ella ritiene, comun-que, che le condizioni di questo svi-luppo siano ambientali. Nella Mon-tessori vi sarebbe, insomma, consa-pevolezza del peso dell’influenza so-cio-familiare, nonché del fatto cheuna strutturazione adeguata delcontesto scolastico (o educazione in-diretta) potrebbe attenuare eventua-li deficit individuali. Si tratta di edu-care l’ambiente educatore, per dirlacon il Marx della III Tesi su Feuer-bach, che Baldacci considera un«presupposto implicito» [p. 128]del dispositivo pedagogico della

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Montessori, la quale aderirebbe auna sorta di transitorio «autoritari-smo dinamico» [p. 88] – chiaro il ri-ferimento al conformismo dinamicogramsciano – funzionale a liberare ifanciulli dai condizionamenti che nebloccano un completo e «adeguatosviluppo intellettuale» [p. 89]. Sa-rebbe, pertanto, plausibile identifi-care una coerente tradizione chedall’autrice de La mente assorbentegiunge a Ciari e Frabboni e che po-trebbe essere fecondamente integra-ta con le idee di Loris Malaguzzi.

Protagonista di un eccezionalelavoro nel campo dell’educazioneinfantile svolto nel territorio di Reg-gio Emilia, oppositore delle «visionidifettive dell’infanzia» e delle ipote-si di stampo determinista (ora cen-trate sulla presenza di un determi-nante corredo genetico, ora sull’im-possibilità di liberare il bambino daicondizionamenti socio-ambientali)e, al contrario, pure in ragione di unapproccio psico-pedagogico «socio-costruttivista» [p. 142], propenso acoltivare una «visione ottimisticasull’educabilità dell’infanzia» e a im-maginare un fanciullo «ricco di po-tenzialità di sviluppo» [p. 137], Ma-laguzzi interessa a Baldacci ancheperché promotore di un’«esperienzaesemplare di democrazia partecipati-va nei servizi dell’infanzia», tale,nello specifico, da coinvolgere fami-glie e «attori sociali» territoriali allastessa gestione scolastica [p. 140].Dunque, tornare a riflettere su Ma-laguzzi significa ricominciare a ra-gionare in termini, se si vuole dewe-yani, di scuola aperta orientata allaformazione del cittadino di domani

e che in alcun modo può essere con-siderata un’azienda impegnata aerogare servizi a una clientela assaiesigente e, tuttavia, sostanzialmentenon partecipativa. Significa riporta-re al centro del discorso pedagogicoil tema dell’educazione alla cittadi-nanza e alla democrazia, facendonequestione importante tanto quantolo è quella della formazione del pro-duttore. Problematica, questa, giàaffrontata da Baldacci in precedentistudi (su tutti: Per un’idea di scuola.Istruzione, lavoro e democrazia, Mi-lano: Franco Angeli 2014).

La tradizione tratteggiata da Bal-dacci (completata attraverso apportifondamentali come quello di Mala-guzzi) costituirebbe il proficuo pun-to di partenza per ripensare il pro-blema della scuola dell’infanzia e co-struire un nuovo sentimento socialedi essa, sì da invertire alcune tenden-ze attuali riconducibili all’egemonianeoliberista. Esse sono individuatenella «privatizzazione della questionedell’infanzia», consequenziale allo«smantellamento del welfare state»[p. 118], nella trasformazione delfanciullo in un consumatore «corteg-giato […] dal sistema commerciale»[p. 120], nel «declino della partecipa-zione» delle famiglie «alla gestionesociale» [p. 124] della scuola. Perconcludere, il testo di Massimo Bal-dacci rappresenta un contributo im-portante per la ripresa d’una pro-spettiva pedagogica in grado di con-trastare la «mistificazione della scuolaazienda» [p. 145] e proporre credi-bili alternative a essa.

Pietro Maltese

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Il volume, raccolta di saggicurata da Enrico Maria Cor-bi e Pascal Perillo, affronta,

sotto una pluralità di prospettive,alcune questioni aperte dall’uso delconcetto di “pratica” in educazionee dagli scenari molteplici che que-sta messa in questione propone.

Mettere in questione il caratterepratico della realtà significa collo-carsi in uno spazio di “questiona-mento” aperto. Non si tratta diprendere posizione – da professio-nisti dell’educazione o da accade-mici – rispetto ad un “realismo ri-trovato” o ricostituito intorno a ri-gorosi cardini filosofici, vale a diredi porre il problema nei termini diuna teoria della conoscenza, ambitonel quale la dicotomia realismo/co-struttivismo è stata relegata da granparte della letteratura pedagogica.Si tratta, invece, di intendere la pra-tica conoscitiva come una dellemolteplici manifestazioni del rap-porto di ricorsiva transazione trasoggetto e mondo. Considerata inquesto senso originario, potremmodire “ontologico”, la pratica non èl’opposto della teoria, o comunqueil momento, secondario o derivato,della sua applicazione. È la realtàstessa, infatti, che ha natura transa-zionale e co-costruttiva, strettamen-te connessa con le forme plurali edisseminate di attività concreta in

cui i soggetti sono quotidianamentecoinvolti.

Il volume, dunque, problematiz-za il concetto di pratica mettendoin risalto la relazione tra un approc-cio più orientato in senso pragmati-sta (focalizzato in misura prepon-derante sulle transazioni soggetto-contesto) e l’impianto costruttivi-sta, che tende a fare emergere ilruolo costruttivo del soggetto checonosce: si tratta di una relazionetensionale, dialettica e dinamica,niente affatto dicotomica. Metteconto segnalare, infatti, che il lavo-ro rappresenta l’ultimo libro di unatrilogia che segna le tappe delle ri-cerche condotte negli ultimi cinqueanni dal gruppo di ricerca interna-zionale Pedagogy between Construc-tivism and Realism, coordinato daEnrico Maria Corbi presso il Cen-tro di Ateneo per la Ricerca Educa-tiva e per l’alta formazione degli in-segnanti e degli educatori (CARE),istituito presso l’Università degliStudi Suor Orsola Benincasa di Na-poli (cfr. E. Corbi, S. Oliverio (a cu-ra di), Realtà fra virgolette? Nuovorealismo e pedagogia, Pensa Multi-Media, Lecce-Brescia 2013; E. Cor-bi, S. Oliverio (a cura di), Oltre laBildung postmoderna? La pedagogiatra istanze costruttiviste e orizzontipost-costruttivisti, Pensa MultiMe-dia, Lecce-Brescia 2013).

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NI Enrico Maria Corbi, Pascal Perillo (a cura di) La formazione e il “carattere pratico della realtà”. Scenari e contesti di una pedagogia in situazionePensa MultiMedia, Lecce-Brescia 2014, pp. 262

La domanda su cosa si debba in-tendere per “pratica” e come que-sto posizionarsi rispetto alla que-stione abbia ricadute pedagogiche,è la cifra di fondo che attraversatutti i contributi. A questa cifra illettore è immediatamente introdot-to dalla Presentazione del volume,affidata a Patrizia de Mennato.Prendendo le mosse dalla constata-zione del fatto che ogni domanda(atto di riflessione) “instaura, mo-difica, genera la realtà” – definendocosì l’ambito delle possibilità e tra-sformando il mondo dell’esperien-za (banco di prova delle idee) –, lapedagogista napoletana richiamal’attenzione sulla prospettiva mori-niana secondo cui la circolarità delrapporto fra azioni e pensiero pro-duce azioni tanto quanto le azioniprodotte danno luogo a nuove mo-dalità cognitive. Di qui la necessitàdi una costante e progressiva rigo-rizzazione delle “mosse” derivantida posizionamenti soggettivi che ri-chiedono al pedagogista e al forma-tore di esercitare un profondo lavo-ro autoriflessivo, per misurarsi conla responsabilità del proprio sguar-do proiettato sulla realtà.

Il riconoscimento del caratterepratico della realtà mette dunque inquestione i fondamenti di ciò chechiamiamo “azione educativa” e, insenso più ampio, il rapporto com-plesso e multiprospettico che inter-corre tra le pratiche educative e laloro osservazione-teorizzazione. Inquesto senso, la prima parte del te-sto si pone sullo sfondo dell’ereditàpedagogica del pragmatismo, in vi-sta di un possibile superamento

della logica dicotomica tra realismoe costruttivismo che talvolta rischiadi creare barriere insormontabilinella riflessione sull’educazione.Aprono questa prima parte i saggidei due curatori.

Il contributo di Enrico MariaCorbi esordisce con una puntualeproblematizzazione delle tesi svi-luppate a partire da Logica, teoriadell’indagine di Dewey: le due tesiprese in esame – la prima ricondu-cibile al costruttivismo radicale divon Glasersfeld, la seconda ricon-ducibile al neopragmatismo etno-centrico di Rorty – sembrano averdato del pragmatismo deweyanoun’interpretazione sostanzialmenteantirealistica. Ipotesi di fondo dellariflessione deweyana è infatti quellasecondo cui le idee sono strumenti,servono ad operare qualcosa di pra-tico sulla realtà e, dunque, il finedell’indagine non è ottenere la veri-tà, ma risolvere una situazione pro-blematica.

Il saggio, mettendo a fuoco l’in-treccio tra l’aspetto epistemologicoe quello etico individua, nell’impo-stazione deweyana, il principio chel’epistemologia è eticamente con-notata dalla matrice axiologica del-la democrazia.

Dal Dewey di Conoscenza e tran-sazione (scritto con Bentley) muo-ve, invece, il contributo di PascalPerillo. L’approccio educativo tran-sazionale pare fornire una possibilechiave di volta per indagare la com-plessa dicotomia teoria-prassi inpedagogia, funzionale non certo arisolvere la questione ma, quantomeno, a collocarsi in una postura

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dialogica fra le diverse posizioniepistemiche che ruotano intorno aquesto tema. Partendo da una let-tura problematicista della forma-zione come processo transazionale,alimentata opportunamente dalladeweyana “teoria dell’esperienza”,il saggio sonda le dinamiche che ca-ratterizzano il processo (e l’agire)educativo e rintraccia nella transa-zione la categoria che consente diprefigurare uno spazio di riflessio-ne nel quale la pedagogia, in quan-to “sapere poietico e prognostico”,si configura come “una pratica perla teoria non meno che come unateoria per la pratica”.

Sviluppando una concezione delrealismo come approccio alla con-cretezza, il contributo di VincenzoSarracino intende oltrepassare,operando una chiarificazione lessi-cale, alcuni equivoci che sorgonointorno alla dicotomia tra realismoe costruttivismo, ma anche rispettoad alcuni argomenti neopragmati-sti. “Realtà”, “democrazia” e “par-tecipazione” sono infatti concettiintorno ai quali si prendono posi-zioni che hanno rilevanti ricadutesulla pratica educativa e che vannochiariti per evitare ambiguità. L’Au-tore si schiera a favore di un model-lo deweyano di democrazia comecomunità educante. La democraziaè infatti non solo uno “spazio reali-stico”, ma anche indeterminato, di-namico, in divenire.

Sulla scia dell’utilizzo del lega-me tra democrazia ed educazionecome chiave di lettura del supera-mento dell’antitesi tra idealismo erealismo si muove il contributo di

Giuseppe Spadafora. L’Autore pro-pone una lettura critica di Democra-cy and Education, opera che, a suoparere, corrisponde ad un punto disvolta della ricerca filosofica dewe-yana. Lo studioso ricolloca la filo-sofia di Dewey nell’alveo della suastessa definizione, come una “teoriagenerale dell’educazione”, facendodel nesso filosofia-educazione-de-mocrazia il nodo centrale di quelloche il filosofo americano chiamò“metodo dell’intelligenza”.

Da un pensatore statunitensesuccessivo, Richard Rorty, prendeinvece le mosse il saggio di Ramondel Castillo. L’Autore si focalizzasulla distinzione, nel pensiero peda-gogico di Rorty, tra educazione co-me socializzazione, di appannaggiodell’istruzione primaria e seconda-ria, ed educazione come individua-lizzazione, che sarebbe di pertinen-za della formazione universitaria.La concezione di Rorty è quella diuna filosofia “post-metafisica”, sce-vra da ogni tentazione di ulterioritàuniversale, che è impegnata intornoal tema della formazione degli uo-mini attraverso il dialogo e più inparticolare mediante l’attivazione(mantenimento) di una democraziadialettica, lasciandosi definitiva-mente alle spalle ogni compito gno-seologico. L’analisi di del Castillomette in luce l’idea del filosofo ana-litico statunitense secondo la qualel’educazione è coltivazione di asset-ti interiori che permettano di ridur-re la “crudeltà”, condizione,quest’ultima, di ogni autentica de-mocrazia. Al termine del saggio, lostudioso spagnolo sottolinea il ruo-

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lo della lettura dei romanzi nellateorizzazione dell’ultimo Rorty, eproblematizza, a questo proposito,alcune delle sue indicazioni di let-tura, evidenziando alcune criticitàinerenti il dispositivo rortyano.

Stefano Oliverio si pone in con-fronto dialettico con il contributodi del Castillo, evidenziando la di-stanza tra la nozione di esperienzadi Rorty e quella di Dewey. Si trattadi oltrepassare, rispetto al filonepragmatista americano, quello cheMartin Jay ha definito il “cultodell’esperienza”, e ri-posizionareDewey – e l’uso che se ne può fareoggi – nel suo sforzo di superare ladicotomia realismo/idealismo.

Il riconoscimento del caratterepratico della realtà rappresenta sen-za dubbio il grimaldello che tutti gliAutori degli scritti della prima par-te del volume adottano per scardi-nare le certezze e indagare lo “spa-zio del limite” che caratterizza lepratiche educative professionali, siadal punto di vista della ricerca siadal punto di vista della formazione:le due “pratiche” pedagogiche nonpaiono essere scindibili secondol’impostazione adottata in questo li-bro. Ed è proprio sulle praticheeducative che si articola la riflessio-ne affidata alla seconda parte dellaraccolta.

Il contributo di Luigi Pati evi-denzia una concezione dell’educa-zione come azione di mediazioneintenzionale tra soggetto e mondodell’esperienza. Tale mediazione, o“armonia dei contrari”, opera unaconciliazione possibile tra nuovirealisti e post-modernisti. Infatti,

secondo l’Autore è possibile noncadere nel rischio di uno squilibriometodologico ed epistemologico ti-pico di una visione unilaterale se il“limite conoscitivo” e il “rischio in-terpretativo” vengono consideraticome concetti chiave per la ricercadella verità. Per queste ragioni, ilsaggio invita a rileggere la coppia ditermini “oggettività/soggettività” ineducazione mediante la problema-tizzazione del rapporto tra “statici-tà” e “cambiamento”.

Muovendo dal costruzionismosociale e sviluppando una efficacericostruzione di quello che vienedefinito il filone della conoscenzapratica, Loretta Fabbri problema-tizza i limiti, teorici ed epistemolo-gici, di quelle concezioni che si pre-sentano alla pratica professionaledegli educatori come costrutti pre-definiti e universalmente validi. Lascelta di collocare la pratica educa-tiva nei contesti di vita quotidianarisponde, secondo l’Autrice, nonalla volontà di scegliere alcune teo-rie rispetto ad altre, ma alla necessi-tà di evidenziare la natura pragma-tica delle ricerche che vogliono ave-re una effettiva rilevanza professio-nale per la pratica educativa.

Il contributo di Bruno Rossicontribuisce in maniera significati-va a legittimare il riconoscimentodel “potere formativo della prati-ca”. Alla luce dei suoi studi sullapedagogia nei contesti organizzati-vi, l’Autore mette in questione lapossibilità di una conoscenza che,supponendosi definitiva, possa pre-cedere l’agire. Ribadendo il signifi-cato autenticamente educativo

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dell’esperienza lavorativa, intesacome processo di trasformazione, ilsaggio amplia il ventaglio di analisisulle pratiche educative professio-nali e focalizza l’attenzione sui con-testi lavorativi, concepiti e struttu-rati come learning organizations,luoghi in cui si sostanzia l’appren-dimento dall’esperienza.

Altra pratica educativa profes-sionale sulla quale si concentra lariflessione è quella proposta da Do-menico Simeone. Il suo saggio, in-fatti, è centrato sulla pratica dellasupervisione, della quale vengonoefficacemente presentati e discussi ivariegati risvolti pedagogici. Lostudioso presenta la pratica educa-tiva professionale come luogo privi-legiato in cui prende forma il rap-porto dialogico, orientato razional-mente in senso esplorativo e creati-vo, tra capacità interpretativa delsoggetto e realtà. In continuità conquesto approccio, la pratica dellasupervisione viene proposta comedispositivo riflessivo per la forma-zione dei formatori.

Sulla linea tensionale tra mate-rialità pratica e significati teorici edepistemologici della progettazioneeducativa muove il contributo diClaudio Melacarne e ValentinaMucciarelli. Se, come sostengonogli Autori, la progettazione è un’at-tività nella quale “il progettista nonpuò esimersi dal confronto con i sa-peri e i modelli scientifici di riferi-mento”, tale pratica non può cheessere vissuta nei termini di una“conversazione” con l’esperienza.Sulla base di questa considerazio-ne, il saggio passa in rassegna le

prospettive di senso che, rispetto aquesto tema, offrono tanto il co-struttivismo e il costruzionismoquanto il realismo.

Anche Monica Amadini affrontail tema della progettazione, ma lo facentrando il suo intervento sul go-verno del territorio e sull’oltrepas-samento critico di rappresentazionidefinitive che tendono a modellareaprioristicamente gli ambienti ur-bani e gli spazi di vita comune.L’Autrice propone il punto di vistadella progettazione partecipata,con la possibilità, eminentementepedagogica, da essa offerta, di met-tere a sistema una pluralità di pro-spettive provenienti da diversi atto-ri sociali a favore di un governo del-la città che si radichi intorno a untessuto condiviso di interpretazionie relazioni dinamiche che pogginofondamentalmente sul mondo dellapratica.

A chiudere il volume è il secon-do contributo di Pascal Perillo. Ri-prendendo l’ancoraggio all’approc-cio delineato nel suo saggio di aper-tura, l’Autore qui ne sviluppa il ri-svolto sul piano della pratica edu-cativa agita dall’educatore, intesocome professionista che “pensal’educazione” ponendosi nella posi-zione di un agente di trasformazio-ne. È questo il sostrato che alimen-ta la “ricerca-azione di tipo transa-zionale” che, secondo il ricercatorenapoletano, rappresenta uno deimodelli privilegiati attraverso cuipensare e realizzare la pratica edu-cativa. Si delinea, così, uno spaziodi indagine nel quale la dicotomiasoggetto/oggetto e la relativa oppo-

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sizione costruttivismo/realismonon hanno ragione di esistere.

Il lettore che sceglierà di riper-correre gli “scenari” e i “contesti”di quella che i curatori di questovolume hanno definito pedagogia insituazione, troverà nelle pagine diquesta raccolta una pluralità di vociche interpretano il complesso e va-riegato campo nel quale si svolgel’azione educativa ed offrono unaprospettiva di riflessione che, ri-nunciando alla logica dividente edicotomica, individua piani di let-tura relazionali e dialettici.

In conclusione il lavoro, collo-candosi in maniera originale nel pa-norama dell’attuale dibattito peda-gogico propone ai lettori un percor-so di riflessione sottolineando sen-tieri di ricerca che, supportati datracce antiche, lasciano tuttavia in-travedere plastiche direzioni versole dinamiche formative sempre piùveloci del nostro vivere il cambia-mento.

Margherita Musello

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NIL’esperienza dei sensi rap-

presenta un essenziale esi-stenziale su cui ogni vissu-

to, ogni pensiero ed emozione si in-nestano. Attraverso le modulazionicon cui i sensi mettono in contattoogni essere con la realtà circostantee per mezzo di quella con se stesso,si esprime e si caratterizza l’unicitàdi ognuno. L’incontro con l’altro,poi, che sta alla base della vita so-ciale e di quanto concorre a darleuna forma realizzativa, in primis illavoro educativo, ha sempre origineda percezioni radicate nel corpo.Tuttavia in relazione ai sensi mancaun sapere rigoroso e perspicuo.Nonostante infatti la percezione

sensoriale costituisca una primarie-tà ontologica, che affiora continua-mente anche nel linguaggio comu-ne (frequentemente si dice di sé at-traverso le sensazioni che si prova-no), la sensibilità è stata da semprescarsamente considerata nella sto-ria del pensiero occidentale. Acca-de, così, che le esperienze umanefondamentali, quelle che disegnanoil tessuto del quotidiano, siano lepiù ovvie, e proprio per questo sia-mo lontani dall’avere sviluppatouna teoria interpretativa capace dienunciarne il significato originario,di coglierne le possibili declinazioniin prospettiva pedagogica. Il volu-me di Daniele Bruzzone contrasta

Daniele BruzzoneL’esercizio dei sensi. Fenomenologia ed estetica della relazione educativaFranco Angeli, Milano 2016, pp. 132

questo vuoto di pensiero propo-nendo una riflessione fenomenolo-gica dell’esperienza sensibile in gra-do di “ridare corpo alla relazioneeducativa”. Dispiegando il ragiona-mento con finezza teoretica, il testomostra un radicamento dell’educa-zione nella competenza sensibile,da non confondere con un imme-diato “sentire”. Infatti affinché lapercezione possa accendere quella“saggezza della relazione che èiscritta anzitutto nel corpo”, occor-re coltivare un’intenzionalità e unaprofondità d’animo che non si im-provvisano e che si ottengono attra-verso un corpo a corpo con l’espe-rienza: recettivo, empatico, riflessi-vo, come propone l’autore. I rac-conti di Mariella Mentasti, chescandiscono gli approfondimentisui sensi, contestualizzano e con-cretizzano le intuizioni teoriche, ri-marcando l’importanza di connet-tere continuamente percezioni epensieri all’esperienza viva, in unacircolarità virtuosa e feconda.L’analisi, finalizzata ad accreditaree potenziare l’esercizio dei canalirecettivi e comunicativi che sosten-

gono l’incontro con l’altro, poggiasu evidenti fondamenti assiologici,sviluppando quella che potremmodefinire un’etica dell’attenzione neitermini in cui ne parla Maria Zam-brano (Per l’amore e per la libertà),cioè una “ricettività portata al-l’estremo”. Scrive a questo proposi-to la filosofa spagnola: “L’eserciziodell’attenzione è la base di ogni at-tività, è in certo modo la stessa vitache si manifesta. Non prestare at-tenzione equivale a non vivere. Sitratta però di un esercizio comples-so, di un’educazione intera, del-l’educazione di tutto l’organismo edell’essere umano e non soltantodella mente né dei suoi sensi”. Ed èproprio a questa totalità percettivache guarda il volume di DanieleBruzzone, una comprensione del-l’intero frutto di una conquista pa-ziente e inesauribile che deve porta-re l’educatore a porsi dinanzi allarealtà con dedizione e capacità dipresenza, rispettandone la fisiono-mia e cercando di coglierne l’essen-za.

Elisabetta Musi

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Il titolo del volume, pubbli-cato all’interno della collana“Storia dell’educazione in

Europa” proposta dalle EdizioniJunior - Gruppo Spaggiari, sembraprovocatoriamente fare il verso e,nel contempo, mettere in discussio-ne la definizione del Novecento co-me “secolo dei fanciulli”, ripresadal titolo di un noto volume dellascrittrice svedese Ellen Key uscitonel 1906. Una formula, quest’ulti-ma, diventata per certi versi “infla-zionata”, perciò bisognosa di essereriscoperta nella pluralità di signifi-cati e nella complessità degli eventiche hanno fatto del Novecento ilsecolo del trionfo del puerocentri-smo, ma anche quello che ha vistopiù bambini vittime di guerra, il se-colo che ha combattuto l’istituzio-nalizzazione dell’infanzia abbando-nata e fragile, ma che ha fatto dellastessa infanzia un oggetto di nuovidispositivi commerciali, pubblicita-ri e mass-mediali, prodotti da unasocietà “liquida” disattenta nel ri-conoscere le peculiarità educativedella prima età dell’uomo.

Il richiamo alla denuncia che nel1982 il sociologo statunitense NeilPostman ha fatto della “scomparsadell’infanzia” e il dubbio – che piùche una scomparsa si sia trattato diun suo “travestimento” in abiti me-no appariscenti – dovrebbero solle-citare i lettori del volume (studenti,docenti, ricercatori, pedagogisti) ad

intraprendere una riflessione pon-derata, pacata e critica su quelleche sono state “le conquiste” e le“non conquiste” del cosiddetto“secolo dei fanciulli”, per affronta-re con maggiore oculatezza peda-gogica e prudenza (intesa nel sensodella phronesis aristotelica) le sfideposte dal XXI secolo appena inizia-to.

La scelta di occuparsi esclusiva-mente di infanzia, spiegano i tre cu-ratori nell’Introduzione, nasce dallaconstatazione del bisogno semprepiù sentito di effettuare un primobilancio – propositivo, non mera-mente ricognitivo - di “ciò che è vi-vo e ciò che è morto” sul tema, la-sciando ad ulteriori e necessari ap-profondimenti gli ambiti dell’adole-scenza e quelli della gioventù, por-tatori di loro specifiche problemati-che. Da qui l’articolazione del volu-me in 23 saggi distribuiti in quattroparti/sezioni, intitolate rispettiva-mente “Gli storici e i bambini” (concontributi di Egle Becchi e Simo-netta Polenghi), “Una società, unbambino” (con interventi di HughCunningham, Michel Ostenc, CarlaGhizzoni, Heidi Rosenbaum, Gua-dalupe Trigueros Gordillo e JuanLuis Rubio Mayoral, Dorena Caroli,Gabriella Baska e Judit Heged s,Oana Pavel, Mario Gecchele),“Bambini e mass media” (con saggidi Ilaria Mattioni, Sabrina Fava, Al-berto Agosti ed Alessandra Caren-

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NIMario Gecchele, Simonetta Polenghi, Paola Dal Toso (a cura di)Il Novecento: il secolo del bambino? Junior - Spaggiari, Parma 2017, pp. 464

zio) e “Luci e ombre” (con contri-buti di Paola Dal Toso, Natale Filip-pi, Paolo Alfieri, Anna Debè, Mau-rizio Millo, Andrea Bobbio e Lore-na Milani).

È interessante notare come fra lepagine delle diverse sezioni emergaun’“eredità” del Novecento a piùvoci, che passa attraverso l’illustra-zione delle principali questioni inauge sul piano della storiografiadell’infanzia, la ricostruzione dei si-stemi “rieducativi” messi in attonella stagione dei totalitarismi daItalia, Germania, Spagna, Russia, losviluppo di un mercato per l’infan-zia con prodotti culturali e di con-sumo pensati ad hoc (giocattoli, ri-viste e libri, fumetti, programmi TVe videogiochi), la rappresentazionecinematografica dell’infanzia, lenuove forme di supporto, cura ededucazione per bambini abbando-nati o con famiglie disgregate dopola chiusura degli istituti, per giun-gere all’esperienza di quei ragazziche hanno sperimentato forme pre-coci di devianza e di vita malavito-sa. Si tratta, dunque, di una presen-tazione delle principali acquisizionie dei maggiori nodi “irrisolti” delNovecento come «secolo breve»(secondo l’accezione di Hob-sbawn), o «secolo polimorfo» (se-condo un’espressione di Cambi),da analizzare con quello «sguardopedagogico» in grado di tessere larete di una progettualità educativapronta a colmare il divario attual-mente esistente fra le «varie e sem-pre più articolate dichiarazioni a di-fesa dei diritti dell’infanzia» ed «unimpegno organico e coerente per

attuarli, prestando attenzione ai bi-sogni del bambino concreto» (pp.309-310). A sostegno di tale proget-tualità vi sarebbe l’apporto offertodall’emergere nel corso degli ultimi100 anni di categorie come quelledi uomo nuovo ed educazione nuo-va, scuola ed extrascuola, diritti,sviluppo e benessere, bisogni e in-teressi, formazione per tutta la vita,massa, mercato e consumo, loisir eindividualismo, e tante altre.

Quest’immagine dell’attuale sta-to dell’arte a cui hanno condotto glistudi sull’infanzia novecentesca,che i curatori riconoscono nonesaustivo tanto da considerarlo laprima tappa di un più ampio pro-getto culturale ed editoriale, ha co-me suo punto di forza la scelta me-todologica di aver usufruito di unamolteplicità di fonti di studio e diricerca (materiali o immateriali), inlinea con i più recenti paradigmi in-ternazionali nel campo della storio-grafia dell’educazione. Tale sceltaha consentito di muoversi al me-glio, con un’adeguata strumenta-zione, all’interno di un territorio distudi caratterizzato da «tracce»,«piccoli indizi», «voci flebili», frut-to di «una storia con un elevato tas-so interpretativo», «facile a esserecatturato dalle ideologie» (p. 431).

Il principale risultato cui si èpervenuti è l’aver colto come nelcorso del XX secolo l’infanzia nonsia stata «scoperta», bensì «costrui-ta» in modo nuovo e originale a se-conda di come ci è apparsa e ce larappresentiamo. Questo traguardoè stato raggiunto grazie allo svolgi-mento di un’analisi che ha preso in

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considerazione contemporanea-mente due piani: quello della storiadell’immagine che una società hacostruito dei suoi bambini e quellodella storia dei bambini stessi. È suquesto punto centrale che può ag-ganciarsi con maggiore facilità ilcontributo della pedagogia, che persua natura costitutiva si muove lun-go i due crinali dell’“essere” e del“dover essere”, al fine di delineareil profilo di una teoria e di una pra-tica dell’educazione in grado di cor-

rispondere al meglio a tale scenarioma, nel contempo, capaci di far in-travedere i contorni di un’utopia“concreta”. Affinché gli spunti, levoci, gli sprazzi, le parole di quelle“culture bambine” e “culture per ibambini” ricostruite all’interno delvolume possano offrire alla pedago-gia ulteriori piste da percorrere nelsuo moto ascensionale di pais-ago-gein.

Evelina Scaglia

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Auna mappa educativadell’Italia di questi anninon dovrebbero sfuggire

alcuni luoghi che spesso restano –anche opportunamente – appartati,lontani dai riflettori. Si tratti di veree proprie avanguardie educative osemplicemente di tentativi che fun-zionano, hanno molto da racconta-re, se ben interrogati, sulle direzio-ni più sensate in cui la nostra cultu-ra pedagogica si muove.

Questo ampio contributo a curadi Mario Gecchele e Laura Mene-ghin ha il merito di presentare unapratica originale per alcuni suoi sin-goli aspetti ma soprattutto per ilmodo in cui si combinano. Si trattadell’integrazione in chiave pedago-gica di due servizi, uno educativo e

uno socio assistenziale: un centroper l’infanzia sorto a pochi metri dauna residenza per anziani per coin-volgerne gli ospiti nell’attività con ibambini. L’idea potrà suonare nonnuova – nel libro si trovano, se nonriferimenti ad altre pratiche analo-ghe, rinvii a diversi studi sul rap-porto fra nonni e nipoti e sulle pos-sibili forme di investimento in unarelazione intenzionalmente educa-tiva fra anziani e bambini – ma nonso quanti servizi l’abbiano poi rea-lizzata davvero e possano rileggerlalungo vent’anni di attività.

Nel libro l’esperienza si raccon-ta per lo più dall’interno. L’iniziati-va si deve agli stessi promotori e so-stenitori del progetto che con que-sto lavoro contribuiscono, come si

Mario Gecchele, Laura Meneghin (a cura di)Il dialogo intergenerazionale come prassi educativa.Il centro infanzia Girotondo delle etàEts, Pisa 2016, pp. 314

dice in questi casi, alla sua dissemi-nazione. Ne derivano alcuni van-taggi: la disponibilità, ad esempio,di informazioni di prima mano chealtrimenti resterebbero disperse opoco accessibili. D’altra parte ècomprensibile che un lavoro del ge-nere faccia risaltare in primo pianol’autorappresentazione del Centropiuttosto che una sua lettura dal-l’esterno, assenza cui i contributiteorici di diversi specialisti in posi-zione di maggiore o minor coinvol-gimento, come vedremo conside-rando il secondo capitolo, possonosopperire fino a un certo punto.Proprio perché è un’esperienza si-gnificativa varrebbe la pena di mi-surare lo scarto fra il dire e il fare(inteso come riserva euristica) attin-gendo altri dati da una narrazionepiù aperta alle occasioni di inciam-po, agli imprevisti, ai momenti incui le cose non funzionano come sivorrebbe e vengono davvero fuorila cultura organizzativa e gli assuntiimpliciti su cui si regge lo stare in-sieme e l’interagire dei vari attoridel sistema. Così come, ripensandoad altri luoghi educativi multigene-razionali che ho conosciuto, mi pia-cerebbe sapere di più sul modo incui il personale ne agisce le implica-zioni conflittuali, contenendole insede organizzativa e mediando,quando occorre, fra i soggetti cheruotano attorno ad anziani e bam-bini (maestri, altri operatori, geni-tori).

Ma ci saranno altre occasioniper questo: chi da storico dell’edu-cazione lavora su esperienze del ge-nere sa quanto e a quali condizioni

possano essere d’aiuto fonti co-struite con tanta cura dagli stessisoggetti su cui si fa ricerca. Tantopiù in questi tempi di produttivitàdocumentale ipertrofica e volatile edi sovrabbondanza dilagante difonti potenziali. La storia di cui cioccupiamo comincia negli anni no-vanta a San Pietro di Feletto (Tv),un comune collinare di cinquemilaabitanti a poca distanza da Cone-gliano. Il centro infanzia, che conquesto progetto inizia a fornire unservizio integrato di nido e scuoladell’infanzia, è parrocchiale mentrela casa per anziani è gestita dallaFondazione De Lozzo Da Dalto. Èuna storia rappresentativa di unaprovincia veneta che in quegli anniè stata raccontata per le stridenticontraddizioni del suo modello disviluppo industriale e delle sue pro-iezioni politiche (il Nord Est comecaso nazionale oggetto inchiestegiornalistiche e analisi sociologi-che) ma è stata anche ricca di speri-mentazioni sociali che meriterebbe-ro una ricognizione, di modi origi-nali e proattivi per rispondere a unprofondo cambiamento qualitativodella domanda di servizi: si sfoglinole interviste raccolte in questo ulti-mo quarto di secolo della rivista«Una città» per averne un primoquadro.

D’altro canto quella del Giro-tondo delle età somiglia a tante altreesperienze di città, quartieri o peri-ferie che in questi anni si sono orga-nizzate per far fronte alla crisi delWelfare con intelligenza collettiva eprosociale. Si riconoscono alcunielementi ricorrenti: la collaborazio-

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ne asimmetrica fra attori diversi perinteressi e modalità di lavoro; la di-sponibilità ad esplorare rispostecontrointuitive a problemi pratici(qui si parte anche dall’urgenza diuna difficile ristrutturazione); la li-bertà da certi tabù che ingessano ilnostro sapere pedagogico diffuso, ilquale ad esempio tende a dar perscontata una asserita quanto incon-grua separazione fra missione edu-cativa e aspetti amministrativi o ge-stionali; la disponibilità dei varioperatori a uscire dal chiuso del-l’ambiente scolastico o residenzialeper instaurare e mediare scambicon l’esterno, anche con i genitori,misurandosi con un impegno rela-zionale al quale non è scontato (chifrequenta le scuole può capire me-glio a cosa mi riferisco) che tutti gliaddetti ai lavori siano pronti; tantialtri dettagli che attengono alla co-struzione e alla quotidiana manu-tenzione di un ambiente relazionalein cui cresce un saper fare fondatosulla rinegoziazione di saperi, ruolie interessi. Non è facile prendere lemisure di un lavoro con gli intentiche questo libro dichiara e perse-gue: calibrare ad esempio l’unifor-mità fra i diversi contributi o lacongruenza dello stile rispetto agliinterlocutori (specialisti di pedago-gia? Opinione pubblica? Altri ope-ratori e gestori di servizi?). L’appa-rato iconografico fa intravedere lamano di qualcuno che conosceun’arte difficile, quella di declinareil linguaggio specifico della fotogra-fia nella documentazione educati-va: non sono immagini intercalateper spezzare la monotonia del testo

ma quasi sempre sono utili a rac-contare quel che succede in questoangolo operoso del nostro paesag-gio pedagogico. Il numero di pagi-ne è elevato e, forse, la circolazionedel libro avrebbe guadagnato da unformato più agile. Tuttavia, se ci dàil tempo di affrontarle, anche leparti meno avvincenti, come glistralci progettuali, non risultano as-semblate, come spesso accade, pervestire il racconto dell’autorità didocumenti ufficiali e fonti normati-ve: si riconosce un certo rigore nelvoler far corrispondere alle paroledelle cose, delle dinamiche, dei fattieducativi che si possono racconta-re, valutare e mettere alla prova co-me modello. I sette contributi rac-chiusi nel secondo capitolo conl’intento di dare, si legge nell’Intro-duzione, «fondamento teorico»all’esperienza costituiscono un li-bro nel libro, mettendo assieme conesiti eterogenei contributi di stu-diosi di formazione psicologica, so-ciologica, pedagogica (Chiara Bara-chetti, Manuela Lavelli, Mario Gec-chele, Daniele Loro, Cristina Lo-nardi, Valentina Moro, Rosanna Ci-ma). I singoli saggi restano tuttosommato autonomi dall’esperienzadescritta e possono forse consentireun utilizzo del libro nella didatticauniversitaria.

Il linguaggio, lo stile, la posizio-ne che gli educatori scelgono di as-sumere si spiegano meglio conesempi e immagini, eccone alcunein ordine di apparizione: i bambiniche si abituano a non aver timore dicarrozzine e deambulatori e adusarli anzi per entrare in relazione

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con gli anziani; il bosco fra i dueedifici attrezzato come percorso na-turalistico per le esigenze degli unie degli altri; l’attenzione a destrut-turare le dinamiche passivizzantiche spesso caratterizzano entrambii contesti cogliendo ogni occasionepossibile per restituire a bambini eanziani spazi di iniziativa e di re-sponsabilità.

Questi e altri dettagli si colgonosoprattutto nel terzo capitolo,L’idea in opera, curato da LauraMeneghin che ha coordinato lascuola, poi Centro infanzia, dal1992 in poi. Nella Riflessione valu-tativa di Mario Gec chel e, a conclu-sione del volume, viene alla luceuna dinamica circolare fra osserva-zione e azione all’interno della qua-le gli aspetti sopra esemplificati tro-vano un punto di confluenza e unariconoscibilità epistemologica. Do-cente di Storia della pedagogia aVerona, Gecchele ha messo per an-

ni a disposizione di questo percorsole sue competenze specifiche nellostudio dell’età anziana; il libro ren-de anche testimonianza a un modoin cui le università possono starenel territorio favorendo scambivantaggiosi per chi soprattutto stu-dia, per chi soprattutto opera neiservizi e per la comunità nel suocomplesso. Oltre ad offrire, ed è ilsuo maggior pregio, un contributoa una storia da scriversi di un’Italiacivile (per citare il titolo di un libroa cura di R. Biorcio e T. Vitale,Donzelli 2016, che si è occupato direti associative e partecipazione po-litica in Lombardia) i cui meriti nonsi misurano sul numero di Onlusiscritte all’anagrafe fiscale ma sipossono rileggere alla luce dei suoipercorsi di attivazione collettiva piùcongruenti e vitali.

Vincenzo Schirripa

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Stefano SalmeriEducazione, cittadinanza e nuova paideiaETS, Pisa, 2015, pp. 154

Tra le più recenti propostedella collana di Scienzedell’Educazione delle Edi-

zioni ETS diretta da Simonetta Uli-vieri, annoveriamo il saggio di Ste-fano Salmeri.

Il lavoro parte dal presuppostoche in un’epoca di emergenza de-mocratica, di profondo indeboli-mento del senso civico, di compro-

missione della capacità di accetta-zione e comprensione delle diffe-renze, di frammentazione delleidentità, di forte delegittimazionedella politica finanche nel suo sensonobile, è oggi più che mai necessa-rio un ripensamento critico dellacittadinanza, intesa come baluardoche costituisce il proprium su cui sipuò rifondare un discorso pedago-

gico non più subalterno all’egemo-nia di narrazioni ad esso estranee.

Il volume è animato da una ca-ratterizzazione della cittadinanzaintesa non soltanto come conoscen-za dei diritti e dei doveri, ma comespirito e pratica di convivenza ma-terialmente vissuta in un tessuto discambi, relazioni ed appartenenze,da orientare secondo criteri etici direciprocità e di mutua interazione.Una pedagogia, dunque, che nonpuò essere intesa in senso neutrale,ma come sapere impegnato, situatoin un contesto, che deve farsi pro-motore di cambiamento sociale.

Infatti – come l’Autore più volteevidenzia con pregnanza nel testo –occorre che la pedagogia ritrovi ilcompito etico di un sapere militan-te e, dunque, capace di aprire spazicritici e di porre questioni, se vuoledisancorarsi dall’essere un merostrumento di riproduzione – nel-l’ambito formativo – di rapporti diforza esistenti e delle parole d’ordi-ne dettate dal neoliberismo effi-cientista.

L’educazione alla cittadinanzatravalica dunque i confini dell’edu-cazione civica perché ha l’orizzonteaperto della globalità; essa ha, infat-ti, una natura trasversale: è il pila-stro intorno al quale i diversi saperisi organizzano per tramutarsi incomportamenti etici capaci di pro-durre un reale ben-essere, diventan-do dinamici e vitali, non isteriliti inuna congerie di nozioni inefficaci.

Bisogna, quindi, ridefinire la cit-tadinanza come codice plurale,aperto e problematico.

Nella prospettiva dell’Autore,

parlare di cittadinanza attiva e didemocrazia in educazione non èdunque fare riferimento al mero si-gnificato giuridico dei termini, ben-sì ai legami, all’intreccio dei rappor-ti, alle relazioni con le loro molte-plici complessità e alle loro appar-tenenze plurali, alla responsabilitàverso se stessi e gli altri come socie-tà e comunità.

In questa prospettiva trasversalel’educazione alla cittadinanza fa dasfondo integratore per includerefragilità che provengono dai nonluoghi dell’esclusione, della priva-zione, del rifiuto. Educazione allacittadinanza, perciò, in una pro-spettiva di crescita, di coscientizza-zione e di scambio, che sappia pro-muovere pratiche educative perl’accoglienza e l’integrazione.

La scuola come comunità edu-cativa si trasforma così nel luogodel fare democrazia, dell’autonomiadi pensiero, di promozione della li-bertà e della crescita culturale: unascuola, dunque, vissuta e percepitacome palestra di democrazia e dicambiamento sociale, che sia in gra-do di ritrovare la sua centralità inun’epoca di drammatica crisi e didelegittimazione delle Istituzioni.

Educatori, docenti e genitoripossono tornare a divenire parte at-tiva di questo fare democrazia che è,al di là di una pur necessaria educa-zione al lavoro, il senso più compiu-to del processo formativo. Oggi lascuola ha bisogno di produrre, ol-tre che trasmettere cultura: essa in-fatti rimane – per quanto spessoscreditata come agenzia formativa -il luogo privilegiato per promuove-

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re uno schema assiologico inclu-dente, solido ed aperto problemati-camente alle differenze.

L’emancipazione e la liberazionedel potenziale umano è, infatti,qualcosa che si apprende e si prati-ca criticamente, non qualcosa che siottiene al termine di un percorsoorganizzato fatto di acquisizioniprogressive di conoscenze.

La democrazia diviene così fon-damento propulsore di un agireconcreto che trova la sua vitalitànelle pratiche solidali e nell’eserci-zio pratico, disseminato, pluraledella cooperazione; un agire nelquale la reciprocità e la convivialitàsi fanno cifre connotanti e sostan-ziali. L’educazione democratica rie-labora problematicamente e in for-ma critico-dialettica i temi legati al-le minoranze e alle differenze,aprendosi ad una pratica continua ericorsiva di negoziazione di signifi-cati, prospettive di senso, punti divista, che dispone ad un incontroautentico con la molteplicità e lapluralità che anima e vivifica le so-cietà complesse.

Compito dell’educazione demo-cratica è attivare – mediante un at-traversamento ricco, ampio e fe-condo della cultura – la presa di di-stanza da se stessi per ampliare ipropri orizzonti mettendo in attopercorsi di distanziamento per me-glio avvicinarsi - per usare le paroledi Lévinas – all’ assoluta Alteritàdell’Altro.

Nell’ultima parte, Stefano Sal-meri propone una educazione allacittadinanza nella forma di unanuova paideia, che possa mettere al

bando ogni didatticismo asettico epseudoscientifico, affermandosi co-me sapere autorevole, in grado difornire strumenti per interpretareed utilizzare i saperi lungo tuttol’arco della vita, mettendo così tuttiin condizione di partecipare attiva-mente alla vita civile delle modernepolis.

Come ben evidenzia l’Autore, ilsapere pedagogico de-problematiz-zato è infatti disciplina vuota, al li-mite un prodotto di moda o di con-sumo più o meno spendibile per ilsuo vuoto pragmatismo: con la suaenfasi sulla utilità e sulla efficienza,esso considera il tempo della rifles-sione come un orpello desueto, unfatto residuale, un elemento di scar-to o di disturbo rispetto all’efficaciadel processo di riproduzione dellegerarchie sociali. La pedagogia è in-vece un sapere problematico e criti-camente emancipatore, capace diproporre itinerari di coscientizza-zione in cui la relazione è infatti lastruttura stessa dell’educare: cia-scun incontro richiede, infatti, l’at-tivazione di un pensiero divergenteche dia la possibilità di sperimenta-re il senso della pluralità, che è labase della cittadinanza e della stes-sa democrazia.

Il testo, in conclusione, arricchi-sce con originalità il dibattito con-temporaneo sull’educazione e, rac-cogliendo la scommessa di una pe-dagogia politica emancipativa e mi-litante, ci affianca in quell’auspica-bile passaggio dalla crisi del presen-te alla speranza del futuro.

Fabrizio Manuel Sirignano

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