La Filosofia Dell’Educazione Di John Dewey

1
LA RIVISTA DELLA SCUOLA 16 INSERTO SPECIALE Anno XXXIII, nov-dic. 2011, n.3/4 16 1.1 Aspetti fondamen- tali della filosofia di Dewey John Dewey (Burlington, 1859; New York, 1952), è una delle perso- nalità più rappresentative della filo- sofia contemporanea, e senz’altro quella di maggior rilievo all’interno della filosofia americana, avendo egli prodotto, sul piano speculativo, un pensiero del tutto autonomo ed originale. Fu, comunque, soprattut- to la “scuola di Chicago” ad influen- zare il pensiero filosofico degli Stati Uniti e ad esercitare anche una for- tissima influenza, per oltre mezzo secolo, soprattutto in campo educa- tivo al punto che egli viene a ragio- ne considerato come “il teorico più geniale ed ascoltato” dell’attivismo, ed ancora come “il più grande pedagogista del Novecento: il teori- co più organico di un nuovo model- lo di pedagogia, nutrito dalle diver- se scienze dell’educazione; lo spe- rimentatore più critico dell’educa- zione nuova (…)”. Grande pedagogista, dunque, sia teorico che pratico, ma prima ancora grande filosofo. Come tale ha avuto il merito di sviluppare a pieno la lezione del pragmatismo americano “verso esiti razionalisti- co-critici, metodologici ed etico- politici, connotati in senso stru- mentalistico, cioè legati ad un’i- dea di ragione aperta come stru- mento nella complessa dinamica dell’esperienza, individuale e sto- rica”. Dewey fu, infatti, molto attento alle trasformazioni sociali e politi- che avvenute nella società del suo tempo: si pensi al passaggio dall’agricoltura all’artigianato, alla produzione industriale, che por- terà al fenomeno dell’urbanesimo e del livellamento sociale, grazie alla diffusione sempre crescente dello spirito democratico. A partire dall’osservazione di questi fenomeni, Dewey giunge a sposare l’idea di società evoluta, cioè di una società che, come già era stato sottolineato nell’ambito dell’utilitarismo inglese, in partico- lare da Bentham, si organizzi su basi nuove, al fine di produrre la maggior felicità possibile al mag- gior numero possibile di persone. Il filosofo ameri- cano rifiuta, però, i più comuni parametri di giudi- zio necessari per definir- ne il livello di progresso raggiunto. Il progresso di una società, precisa, non dovrebbe, infatti, misurar- si sulla base dell’incre- mento del prodotto lordo, come vuole ad esempio l’economia politica, ma in termini di organizzazione sociale. Tutto dovrebbe, dunque, ruotare intorno ad una vera e propria legge che consenta l’avanzare secondo ragione: Dewey viene così a ridurre le stesse differenze sociali a dati di fatto su cui la ragio- ne deve intervenire ed operare in vista di un sempre maggiore pro- gresso; un progresso gui- dato esclusivamente dalla ragione! Nonostante le apparenze, però, in realtà il filosofo americano arriva a mettere in discussione la scienza positivista perché que- st’ultima aveva svolto una funzio- ne esclusivamente celebrativa della società industriale in ascesa. Secondo Dewey, invece, occor- re una trasformazione radicale della società per risolverne i pro- blemi e superarne le contraddizio- ni interne. Il fine? La realizzazione della felicità come valore sociale, annullando o quantomeno correg- gendo le diverse forme di squili- brio esistenti, che sole non con- sentono il pieno e libero sviluppo della creatività della vita in forme sempre più articolate. Al proposito Dewey accetta il principio fondamentale che sta alla base della cosiddetta dottrina del migliorismo, così come era stata già formulata da James. Il migliorismo muove, infatti, dall’assunto che il mondo sia imperfetto, ma possa essere migliorato: proprio in ciò risiede la sua novità rispetto al vecchio modo di concepire il mondo stes- so, guardato a seconda dei casi con ottiche assolutamente pessi- miste o ottimiste. Dewey, invece, parte da una concezione del mondo come sede di ogni contrasto, di ogni male ed errore (da cui deriva la sua imperfezione), ma proprio in un simile contesto affonda le radi- ci la sua fiducia ottimistica in un miglioramento, in un progresso. L’imperfezione del mondo viene, infatti, ad esercitare una funzione di stimolo sull’intelligen- za poiché la induce ad analizzare la situazione specifica, ad indivi- duare gli ostacoli che rendono dif- ficile l’attuazione di condizioni migliori. Il migliorismo è, dunque, la credenza che le condizioni spe- cifiche esistenti in un dato momento, buone o cattive che siano, possano in ogni caso esse- re migliorate, grazie ad un corret- to uso della ragione. Quest’ultimo punto, in particola- re, mette bene in evidenza uno dei tre aspetti fondamentali del- l’intera opera di Dewey: l’Illumini- smo. All’interno della sua particolare forma di pragmatismo, lo stru- mentalismo (si pensi alla polemi- ca deweyana contro il mito dell’in- telletto puro, tipico dell’idealismo, a favore del carattere strumentale della ragione), è possibile parlare, dunque, anche di Illuminismo, dato il compito regolatore ed ordi- natore che il filosofo americano attribuisce alla ragione. Il termine naturalismo, infine, esprime perfettamente il terzo aspetto dell’opera di Dewey, quel- lo che per la precisione tende a vedere una sostanziale continuità tra l’uomo e la natura (e la società), tra il mondo biologico e quello spirituale. Solo dopo aver ricor- dato tutto ciò e pen- sando, inoltre, al parti- colare contesto sociale rappresentato dall’A- merica nei primi decen- ni del secolo (si pensi alla necessità di ade- guare lo spirito filosofi- co al livello tecnico e scientifico che informa di sé la società in pieno sviluppo economico e in piena trasformazione sociale), possiamo essere in grado di cogliere i principali contenuti dell’opera di Dewey, la cui filosofia, e non è un caso, verrà a costituire il fonda- mento del New Deal di Roosevelt (ovvero di quel programma di ricostruzione economi- ca e democratica della società americana dopo la grande crisi del 1929) ed anche l’ideo- logia con cui gli Stati Uniti affron- teranno la guerra antinazista. 1.2 Contenuti principali dell’opera deweyana Il dualismo esistente nella società moderna, come già in quella antica, tra lavoro manuale e intellettuale, tra cultura e lavoro, intellettuali ed operai, osserva Dewey, è pericoloso perché ha storicamente sempre portato a scontri o incomprensioni tra grup- pi sociali contrapposti, minaccian- do così uno sviluppo ordinato e pacifico della democrazia. Ma che cosa intende Dewey per democrazia (punto intorno al quale ruota tutta la sua riflessione politica)? Innanzitutto spirito di collabora- zione, solidarietà e rispetto di ogni iniziativa individuale. Tuttavia il filosofo americano matura anche la convinzione che la democrazia comporti anche e soprattutto l’assunzione del prin- cipio di responsabilità. Ciascuno, cioè, deve collaborare, compien- do principalmente il proprio dove- re, al progresso della democrazia: a tutti è demandato il compito specifico di offrire la propria colla- borazione, ad esempio ponendo le proprie esperienze al servizio della società, in modo che per il bene e la felicità comune possano essere sempre adottate le scelte e le decisioni migliori. Come risulta evidente, queste considerazioni di Dewey sulla democrazia riflettono il migliorismo che è alla base delle sue vedute sociali e politiche, oltre che della sua concezione dell’uomo. Anche l’interesse di Dewey per l’educazione e la scuola è stretta- mente connesso alle sue vedute filosofiche più generali. D’altra parte, per lui, la filosofia non è altro che “teoria generale dell’e- ducazione”, secondo la definizio- ne che lui stesso ci offre nel suo capolavoro pedagogico, Demo- crazia e educazione (1916). Fautore di una nuova concezio- ne dell’educazione, da lui stesso denominata educazione progres- siva, Dewey critica la contrapposi- zione, prevalente nella scuola tra- dizionale, tra la dimensione intel- lettuale e quella pratica e sostie- ne, un apprendimento basato sul fare (learning by doing = appren- dere attraverso il fare). All’interno della scuola pensata da Dewey e, in generale, all’inter- no di tutto il cosiddetto movimento delle scuole nuove, centro del processo educativo diventa, dun- que, il bambino con la sua attività e i suoi interessi. Si afferma ormai che la scuola non deve più trasmettere un sapere già definito, ma deve far sì che il bambino, attraverso la sua del tutto autonoma attività, ed anche attraverso la vita comunita- ria e l’autodisciplina, pervenga al sapere come ad una conquista personale. In definitiva, ad una scuola (quella tradizionale) vista come semplice luogo di mera alfabetiz- zazione, si contrappone un tipo di scuola ( la scuola nuova) vista, invece, come il luogo in cui sia possibile realizzare esperienze personali all’interno di una conce- zione comunitaria della vita. Solo così la scuola potrà assu- mere una funzione realmente costruttiva anche sul piano sociale. D’altra parte, quando si riflette sull’educazione in un’ottica filoso- fica, come fa Dewey, essa non può che apparire come un pro- cesso di crescita dell’esperienza che arricchisce l’esperienza stes- sa di nuove prospettive, amplian- do gli orizzonti del singolo indivi- duo e, in ultima analisi, dell’uma- nità tutta. Alla luce di quanto ricordato finora, appare ormai chiaro, dun- que, il motivo per cui Dewey viene considerato come il più grande interprete della “profonda crisi che serpeggia nell’ordinamento tradi- zionale degli studi e nei vecchi tipi di scuola”, e il suo pensiero come “la più poderosa rivendicazione dell’autonomia dell’educazione e la più incalzante critica di qualsia- si residuo di oggettivismo didatti- co, che siano apparse nella spe- culazione contemporanea”. La sua proposta di scuola atti- va, non a caso, influenzerà tutto il pensiero pedagogico dell’ attivi- smo, nonché le sue realizzazioni pratiche. Per questo motivo, essa costi- tuisce senz’altro un “punto di non ritorno per la teoria dell’educazio- ne contemporanea”[10]. (continua in un prossimo numero) Note alla prima parte John Dewey fu professore di filosofia dapprima presso l’Università del Minnesota e dal 1889 in quella del Michigan. Succes- sivamente (1894 -1904) gli venne affidata la cattedra di filosofia, psicologia e pedago- gia all’Università di Chicago. Insegnò, infi- ne, anche a New York a partire dal 1904 in poi. Tra le sue opere più importanti vale la pena ricordare: Il mio credo pedagogico (1897), Scuola e società (1899), Come pensiamo (1910), Democrazia e educazio- ne (1916,) Esperienza e educazione (1938), Libertà e cultura (1939) e L’educa- zione di oggi (1950). Tra le altre cose ha avuto anche il merito di fondare la prima scuola elementare attiva. PED PED A A GOGISTI GOGISTI La filosofia dell’educazione di John Dewey Parte prima: il filosofo ed il pedagogista di MATTIA MARIA GRAZIA FUNDARÒ LA RIVISTA DELLA SCUOLA è un autentico strumento di formazione CONCORSI - NORMATIVA - CULTURA Circolari e ordinanze LEGGI - DECRETI Letture per l’autoaggiornamento professionale Il sistema migliore per tenersi costantemente informati è l’abbonamento annuo Per informazioni: GIRGENTI EDITORE SRL tel. 02.669 2195 - fax 02.6698 3333 www. girgenti.it - [email protected]

description

John Dewey

Transcript of La Filosofia Dell’Educazione Di John Dewey

Page 1: La Filosofia Dell’Educazione Di John Dewey

LA RIVISTA DELLA SCUOLA16 INSERTO SPECIALE Anno XXXIII, nov-dic. 2011, n.3/416

1.1 Aspetti fondamen-tali della f i losofia diDewey

John Dewey (Burlington, 1859;New York, 1952), è una delle perso-nalità più rappresentative della filo-sofia contemporanea, e senz’altroquella di maggior rilievo all’internodella filosofia americana, avendoegli prodotto, sul piano speculativo,un pensiero del tutto autonomo edoriginale. Fu, comunque, soprattut-to la “scuola di Chicago” ad influen-zare il pensiero filosofico degli StatiUniti e ad esercitare anche una for-tissima influenza, per oltre mezzosecolo, soprattutto in campo educa-tivo al punto che egli viene a ragio-ne considerato come “il teorico piùgeniale ed ascoltato” dell’attivismo,ed ancora come “il più grandepedagogista del Novecento: il teori-co più organico di un nuovo model-lo di pedagogia, nutrito dalle diver-se scienze dell’educazione; lo spe-

rimentatore più critico dell’educa-zione nuova (…)”.

Grande pedagogista, dunque,sia teorico che pratico, ma primaancora grande filosofo. Come taleha avuto il merito di sviluppare apieno la lezione del pragmatismo

americano “verso esiti razionalisti-co-critici, metodologici ed etico-politici, connotati in senso stru-mentalistico, cioè legati ad un’i-dea di ragione aperta come stru-mento nella complessa dinamicadell’esperienza, individuale e sto-rica”.

Dewey fu, infatti, molto attentoalle trasformazioni sociali e politi-che avvenute nella società delsuo tempo: si pensi al passaggiodall’agricoltura all’artigianato, allaproduzione industriale, che por-terà al fenomeno dell’urbanesimoe del livellamento sociale, graziealla diffusione sempre crescentedello spirito democratico.

A partire dall’osservazione diquesti fenomeni, Dewey giunge asposare l’idea di società evoluta,cioè di una società che, come giàera stato sottolineato nell’ambitodell’utilitarismo inglese, in partico-lare da Bentham, si organizzi subasi nuove, al fine di produrre lamaggior felicità possibile al mag-

gior numero possibile dipersone. Il filosofo ameri-cano rifiuta, però, i piùcomuni parametri di giudi-zio necessari per definir-ne il livello di progressoraggiunto. Il progresso diuna società, precisa, nondovrebbe, infatti, misurar-si sulla base dell’incre-mento del prodotto lordo,come vuole ad esempiol’economia politica, ma intermini di organizzazionesociale.Tutto dovrebbe, dunque,ruotare intorno ad unavera e propria legge checonsenta l ’avanzaresecondo ragione: Deweyviene così a r idurre lestesse differenze sociali adati di fatto su cui la ragio-ne deve intervenire edoperare in vista di unsempre maggiore pro-gresso; un progresso gui-dato esclusivamente dallaragione!Nonostante le apparenze,

però, in realtà il filosofo americanoarriva a mettere in discussione lascienza positivista perché que-st’ultima aveva svolto una funzio-ne esclusivamente celebrativadella società industriale in ascesa.

Secondo Dewey, invece, occor-

re una trasformazione radicaledella società per risolverne i pro-blemi e superarne le contraddizio-ni interne.

Il fine? La realizzazione dellafelicità come valore sociale,annullando o quantomeno correg-gendo le diverse forme di squili-brio esistenti, che sole non con-sentono il pieno e libero sviluppodella creatività della vita in formesempre più articolate.

Al proposito Dewey accetta ilprincipio fondamentale che staalla base della cosiddetta dottrinadel migliorismo, così come erastata già formulata da James.

Il migliorismo muove, infatti,dall’assunto che il mondo siaimperfetto, ma possa esseremigliorato: proprio in ciò risiede lasua novità rispetto al vecchiomodo di concepire il mondo stes-so, guardato a seconda dei casicon ottiche assolutamente pessi-miste o ottimiste.

Dewey, invece, parte da unaconcezione del mondo comesede di ogni contrasto, di ognimale ed errore (da cui deriva lasua imperfezione), ma proprio inun simile contesto affonda le radi-ci la sua fiducia ottimistica in unmiglioramento, in un progresso.

L’imperfezione del mondoviene, infatti, ad esercitare unafunzione di stimolo sull’intelligen-za poiché la induce ad analizzarela situazione specifica, ad indivi-duare gli ostacoli che rendono dif-ficile l’attuazione di condizionimigliori. Il migliorismo è, dunque,la credenza che le condizioni spe-cif iche esistenti in un datomomento, buone o cattive chesiano, possano in ogni caso esse-re migliorate, grazie ad un corret-to uso della ragione.

Quest’ultimo punto, in particola-re, mette bene in evidenza unodei tre aspetti fondamentali del-l’intera opera di Dewey: l’Illumini-smo.

All’interno della sua particolareforma di pragmatismo, lo stru-mentalismo (si pensi alla polemi-ca deweyana contro il mito dell’in-telletto puro, tipico dell’idealismo,a favore del carattere strumentaledella ragione), è possibile parlare,dunque, anche di Illuminismo,dato il compito regolatore ed ordi-natore che il filosofo americanoattribuisce alla ragione.

Il termine naturalismo, infine,esprime perfettamente il terzoaspetto dell’opera di Dewey, quel-lo che per la precisione tende avedere una sostanziale continuitàtra l ’uomo e la natura (e lasocietà), tra il mondo biologico equello spirituale.

Solo dopo aver ricor-dato tutto ciò e pen-sando, inoltre, al parti-colare contesto socialerappresentato dall’A-merica nei primi decen-ni del secolo (si pensialla necessità di ade-guare lo spirito filosofi-co al livello tecnico escientifico che informadi sé la società in pienosviluppo economico ein piena trasformazionesociale), possiamoessere in grado dicogliere i pr incipalicontenuti dell’opera diDewey, la cui filosofia,e non è un caso, verràa costituire il fonda-mento del New Deal diRoosevelt (ovvero diquel programma diricostruzione economi-ca e democratica dellasocietà americanadopo la grande crisi del1929) ed anche l’ideo-logia con cui gli Stati Uniti affron-teranno la guerra antinazista.

1.2 Contenuti principalidell’opera deweyana

Il dualismo esistente nellasocietà moderna, come già inquella antica, tra lavoro manualee intellettuale, tra cultura e lavoro,intellettuali ed operai, osservaDewey, è pericoloso perché hastoricamente sempre portato ascontri o incomprensioni tra grup-pi sociali contrapposti, minaccian-do così uno sviluppo ordinato epacifico della democrazia.

Ma che cosa intende Deweyper democrazia (punto intorno alquale ruota tutta la sua riflessionepolitica)?

Innanzitutto spirito di collabora-zione, solidarietà e rispetto diogni iniziativa individuale. Tuttaviail f i losofo americano maturaanche la convinzione che lademocrazia comporti anche esoprattutto l’assunzione del prin-cipio di responsabilità. Ciascuno,cioè, deve collaborare, compien-do principalmente il proprio dove-re, al progresso della democrazia:a tutti è demandato il compitospecifico di offrire la propria colla-borazione, ad esempio ponendole proprie esperienze al serviziodella società, in modo che per ilbene e la felicità comune possanoessere sempre adottate le sceltee le decisioni migliori.

Come risulta evidente, questeconsiderazioni di Dewey sullademocrazia riflettono il migliorismoche è alla base delle sue vedutesociali e politiche, oltre che dellasua concezione dell’uomo.

Anche l’interesse di Dewey perl’educazione e la scuola è stretta-mente connesso alle sue vedutefilosofiche più generali. D’altraparte, per lui, la filosofia non èaltro che “teoria generale dell’e-ducazione”, secondo la definizio-ne che lui stesso ci offre nel suocapolavoro pedagogico, Demo-crazia e educazione (1916).

Fautore di una nuova concezio-ne dell’educazione, da lui stessodenominata educazione progres-siva, Dewey critica la contrapposi-zione, prevalente nella scuola tra-dizionale, tra la dimensione intel-lettuale e quella pratica e sostie-ne, un apprendimento basato sulfare (learning by doing = appren-dere attraverso il fare).

All’interno della scuola pensatada Dewey e, in generale, all’inter-no di tutto il cosiddetto movimentodelle scuole nuove, centro delprocesso educativo diventa, dun-que, il bambino con la sua attivitàe i suoi interessi.

Si afferma ormai che la scuolanon deve più trasmettere unsapere già definito, ma deve far sìche il bambino, attraverso la sua

del tutto autonoma attività, edanche attraverso la vita comunita-ria e l’autodisciplina, pervenga alsapere come ad una conquistapersonale.

In definitiva, ad una scuola(quella tradizionale) vista comesemplice luogo di mera alfabetiz-zazione, si contrappone un tipo discuola (la scuola nuova) vista,invece, come il luogo in cui siapossibile realizzare esperienzepersonali all’interno di una conce-zione comunitaria della vita.

Solo così la scuola potrà assu-mere una funzione realmentecostruttiva anche sul piano sociale.

D’altra parte, quando si riflettesull’educazione in un’ottica filoso-fica, come fa Dewey, essa nonpuò che apparire come un pro-cesso di crescita dell’esperienzache arricchisce l’esperienza stes-sa di nuove prospettive, amplian-do gli orizzonti del singolo indivi-duo e, in ultima analisi, dell’uma-nità tutta.

Alla luce di quanto ricordatofinora, appare ormai chiaro, dun-que, il motivo per cui Dewey vieneconsiderato come il più grandeinterprete della “profonda crisi cheserpeggia nell’ordinamento tradi-zionale degli studi e nei vecchi tipidi scuola”, e il suo pensiero come“la più poderosa rivendicazionedell’autonomia dell’educazione ela più incalzante critica di qualsia-si residuo di oggettivismo didatti-co, che siano apparse nella spe-culazione contemporanea”.

La sua proposta di scuola atti-va, non a caso, influenzerà tutto ilpensiero pedagogico dell’attivi-smo, nonché le sue realizzazionipratiche.

Per questo motivo, essa costi-tuisce senz’altro un “punto di nonritorno per la teoria dell’educazio-ne contemporanea”[10].

(continua in un prossimo numero)

Note alla prima parteJohn Dewey fu professore di filosofia

dapprima presso l’Università del Minnesotae dal 1889 in quella del Michigan. Succes-sivamente (1894 -1904) gli venne affidatala cattedra di filosofia, psicologia e pedago-gia all’Università di Chicago. Insegnò, infi-ne, anche a New York a partire dal 1904 inpoi. Tra le sue opere più importanti vale lapena ricordare: Il mio credo pedagogico(1897), Scuola e società (1899), Comepensiamo (1910), Democrazia e educazio-ne (1916,) Esperienza e educazione(1938), Libertà e cultura (1939) e L’educa-zione di oggi (1950). Tra le altre cose haavuto anche il merito di fondare la primascuola elementare attiva.

PEDPEDAAGOGISTIGOGISTILa filosofia dell’educazione

di John Dewey Parte prima: il filosofo ed il pedagogista

di MATTIA MARIA GRAZIA FUNDARÒ

LA RIVISTADELLA SCUOLA

è un autentico strumento di formazione CONCORSI - NORMATIVA - CULTURA

Circolari e ordinanze LEGGI - DECRETI

Letture per l’autoaggiornamento professionale

Il sistema migliore per tenersi costantemente informati è l’abbonamento annuo

Per informazioni:GIRGENTI EDITORE SRL

tel. 02.669 2195 - fax 02.6698 3333www. girgenti.it - [email protected]