Piede e orma ebook 3

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3 Rivista e Il piede eBook Bestie

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  • 3Rivista

    eIl piedeeBookBestie

  • 1Il piede e lorma

    Il pIede e lorma eBookcontaminazioni meridiane

    SemestraleAnno V, n. 9, gennaio-giugno 2014

    e-book n. 3

    Direttore Responsabile:Alfonso CARDAMONE

    Redazione: composta dagli autori di ogni singolo numero

    Segretaria di redazione:Silvana GiardinaE-mail: [email protected]

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    ISSN: 2282-7161

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    SOMMARIOAnno V, n. 9, gennaio-giugno 2014

    e-book n. 3bestie

    VELARE/DIS-VELAREUgo Fracassa - Velare/dis-velare: sulla poesia bilingue di Flaviano

    Pisanelli 3

    ALFABETIERIRenzo Scasseddu - La bestia e la bella 15Marcello Carlino - Alfabetiere degli animali di arti e lettere.

    Dalla A alla G, la prima sequenza di tre 34

    RESTITUZIONIAlfonso Cardamone - Versi per Enkidu e Asterione 48

    BESTIALITQUALEFranco Araniti - U russettu du dercu (Il sangue del maiale) 53Severo Lutrario - Parashat di Bereshit ovvero - Genesi 3 56Carmen De Stasio - Lindeterminante emozionale

    dalla ragione alla bestializzazione 61Monica Caroselli - Dal rospo alla scimmia:

    appunti sul bestiario landolfiano 89Amedeo di Sora - Quel rospo di Tristano 99Loredana Rea - Do not leave me alone, please 104Francesca Medaglia - Le formiche e lapparato di produzione

    della letteratura: il caso di Sveva Casati Modignani 116

    BESTIE NARRATEMichela Cardamone - Cuore di vetro 132Luca Carbonara - Il circo degli uomini 133Mario Amato - 4 racconti 135

    Immagini di Angelo e Enzo dOnorio

    Autori Redattori del Fascicolo 141

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    Velare/Dis-velare

    Ugo Fracassa

    Velare/dis-velare: sulla poesia bilingue di Flavia-no Pisanelli

    1

    Erranza e dintorni / Errances et alentours (Oxyba ditions, Vence, 2013) lultima raccolta di Flaviano Pisanelli e raccoglie poesie datate tra il 1998 ed il 2009. Ci che conviene fare innanzitutto di fronte ad un libro simile esitare sulle soglie (secondo linsegnamento di Gerard Genette), circuirlo piuttosto che squadernarlo coram populo per irrompere, senza indugio, nel tessuto dei versi che lo compongono. Si provi cio a seguire lindicazione che campeggia in copertina, quella che rimanda allerrare (corretto sarebbe affrontare il testo e delibarlo, errore attardarsi nelle sue periferie) e ai dintorni titoli, dediche, epigrafi, indici (ci che nellim-poetico linguaggio della critica si suole - o soleva - definire paratesto). Lambizione, vale la pena di dichiararlo fin da subito, quella di sedurre il testo col circuirlo, stanarlo, condurlo a s in una sorta di aggiramento ermeneutico.

    A proposito di errore, nel 1950 Andr Pzard dedicava uno studio eru-ditissimo1 al XV canto dellInferno di Dante. Oltre 300 pagine per avvalo-rare la tesi dell erreur sentimental di Brunetto Latini, che di quel canto il protagonista assoluto. In due capitoli centrali dedicati alla questione della lingua, sotto laspetto teologico-filosofico e sotto quello dottrinale, sentimentale e pratico, il dantista normalien individuava la colpa mondana del maestro dellAlighieri, punito tra i sodomiti, nella pratica contro natura della lingua doil nel suo Trsor (la parleure est plus delitable et plus co-mune a touz languaiges). Ed innegabile: un elemento di interesse imme-diato della raccolta di Flaviano Pisanelli consiste proprio nella pratica del bilinguismo, un bilinguismo creativo che assume connotati caratteristici e

    1 A. Pzard, Dante sous la pluie de feu : Enfer, chant 15, Librairie philosophique J. Vrin, Paris, 1950.

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    Ugo Fracassa: Velare/dis-velare: sulla poesia bilingue di Flaviano Pisanelli

    specifici in ambito poetico fino a sovvertire la tradizionale scansione del testo a fronte attraverso inversioni, commistioni ed altri stratagemmi. Ciascun componimento voltato nella seconda lingua, che meglio qui si direbbe lingua seconda perch favorisce lespressione in un andirivieni tra italiano e francese. E infatti, se pi numerose sono le pagine con testo a fronte tradotto in francese, se ne danno pure di voltate in italiano (a con-tarle, con qualche brivido numerologico, sono 7 su 77). Per alcune, per, la versione non si d poich il testo nasce commisto delle due lingue e allora compito del traduttore sar la mera inversione delle strofe nella pagina di destra.

    Insomma, pu ancora essere considerato un erreur per lo scrittore, in epoca di globalizzazione e di flussi migratori planetari, la pratica translin-guistica, labbandono della lingua madre per codici acquisiti accidental-mente nelle traversie di una diaspora intellettuale?2 In ogni caso, al lettore che voglia perseverare nellerrore e masochisticamente si attardi sulla so-glia oltre il consentito, un fatto non privo di interesse parr, nellindice, la titolazione ambigua di almeno cinque elementi della raccolta; i testi cui si allude non denunciano immediatamente la loro appartenenza linguistica che resta indecidibile per chi si limiti a scorrere lindice : Alain, Impasse, Montmartre, Via Zamboni, Le Mont Saint Michel, infatti, per varie ragioni in quanto nomi propri di persona, toponimi, prestiti non integrati - risul-tano intraducibili e perci immuni alla deriva bilingue. Morale: la lingua di chi erra una in molte e nessun nome straniero alla persona o al luogo che designa. Del resto, la nozione stessa di lingua materna revocata in dubbio se, nella poesia che alla madre dedicata, il Salut maternel (que-sto il titolo della poesia nella traduzione di Pascal Gabellone) compare eccezionalmente in francese nelloriginale italiano: tu reviendras bientt, nest-ce pas?.

    2

    Per proporre un solo esempio di quanto la simbiosi tra le lingue risulti inestricabile, anche laddove una delle due risulti dormiente o momenta-neamente silenziata, utile recarsi al testo a fronte di pagina 208, in altre parole ad Avignone 2008 (giusta la datazione di Entre deux lunes), laddove

    2 Pisanelli insegna in una Universit francese dai primi anni Duemila.

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    Velare/Dis-velare

    siamo alle prese con una delle sette composizioni in francese Ogni parola si perde: / il mare / i nostri passi nel deserto. Troppo spesso il traduttore di poesia deve abdicare alla lettera per riprodurre il suono o viceversa, ma non questo il caso poich nelloriginale a sinistra leggia-mo: Tout mot segare: / la mer, ci che non crea grandi grattacapi a chi deve produrre la versione. Ma il mare, appunto, parola cruciale nel sistema poetico di Pisanelli e per questa ragione increspa la superficie fo-nica del verso ad ogni epifania; ne abbiamo un esempio, tra gli altri forse il pi perspicuo, nellanagrammatico ultimo verso di Metamorfosi (Quando il mare solo rame!) per il quale, invece, il traduttore deve annotare a pi di pagina la resa incondizionata: Il tait impossibile de conserver ici lassonance du texte original mare / rame , qui est galement une ana-gramme. Jai donc choisi de traduire daprs le sens (pag. 99). Come mai, allora, la mer compariva nel verso precedentemente citato priva di orpelli retorici pur trovandosi esposta in fondo al verso, dove conviene fare rima? Nemmeno nella versione italiana risuona la potenza significante del mare anticipato da un dissonante-fuorviante si perde. Il fatto , forse, che lequorea apparizione produce s i consueti effetti sonori ma la rima gare / mare va letta tra francese ed italiano, entre deux pages oltre che entre deux langues, appunto.

    In virt di una coerenza testuale, che risulta essere il miglior tonico per il critico impegnato nel fatidico atto dellinterpretare, la poesia dalla quale citiamo, poi, svolge un ruolo particolarissimo nella silloge, rappresenta cio una chiave di volta, una sorta di manifesto di poetica, didascalico fino ad esiti metalinguistici. Fin dal titolo Entre deux lunes la poesia si incarica di declinare un motivo centrale della raccolta, quella in-betweeness che accomuna la scrittura di Pisanelli a quella di certi poeti migranti in Italia (e non il solo tratto: il motivo dei piedi, incapaci qui di radicarsi, ne costi-tuisce infatti un topos). Entre-deux si scrive col trattino e la formazione di simili binomi un tratto troppo palesemente iterato per non essere consa-pevole in questi versi. Ebbene, nella seconda strofa il poeta si fa carico di chiarire la funzione di queste formazioni doppie svelandoci che un trait dunion qui spare al tempo stesso une suspension qui unit.

    Si d un luogo di sosta in questo bilico perenne bilico parlabile annota il poeta (pag.230) dove arrivi e partenze stanno in un rapporto sinonimico? Difficile pronosticarlo ma certamente, quasi a conclusione dellopera, siamo investiti da una chiarit meridiana ce bain de lumire dal sapore incontrovertibilmente camusiano e leggiamo versi tra i pi fe-lici della raccolta: Senlacer terriblement cette terre / laimer sans raison

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    / irraisonablement lhabiter. Le Altre rive (Dautres rivages) che fanno da sfondo a queste parole sono quelle di Monastir e tra il midi e il Maghreb si estende la geografia poetica del nostro. Lutopia mediterranea sembra seguire qui percorsi gi tracciati dallultimo Pasolini panmeridionalista, impegnato a ricollocare continuamente pi a sud il proprio altrove da Bologna, a Roma, a Napoli, allAfrica, allo Yemen.

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    Ma proprio di fronte a Pasolini, nei versi dedicati de LAcquedotto Feli-ce, unanaloga sosta dellerrare non aveva prodotto un esito altrettanto pa-cificante, poich se vero che: Qui tutto rimane come prima / [] / Qui c qualcosa di sacro/ [] / Pier Paolo siede accanto e tace, finalmente il lettore fronteggia il vuoto e assiste allo scacco: difficile qui rimanere degni del moderno / con gli occhi fissi allurna che di Gramsci non ha pi le ceneri. E nel nome di Pasolini pare lecito leggere anche quei versi raggrumati intorno ad un plesso corporale Corporale fa titolo a pagina 114 dove ricorrono accanto a seme, sudore e saliva le parole preghiera, vergogna, colpa e desiderio. Ciononostante si intravvede pure, a tratti, il profilo anodino di Penna, in certe situazioni clandestine o deliziosamente furtive (Miracolo - pag. 88 - e Metamorfosi - pag. 98).

    Puisque tout mot cre llillusion / dune coute gnereuse: chiudiamo il breve periplo su questi versi, tratti ancora dalla cruciale Entre deux lunes, perch tocca ai lettori, ormai, rompere gli indugi, aprire il libro e conferire sostanza alle illusioni del poeta.

    Saluto materno

    Un ago fitto di nostalgiadentro una vita da dimenticare.Cos appari e scompari come lacquain un riflusso ultimosecretum.

    Lassedio del mare una ricreazioneocchi spenti nellaria fredda del mattinocenci rigonfi di sonno e fatica

    Ugo Fracassa: Velare/dis-velare: sulla poesia bilingue di Flaviano Pisanelli

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    a vestire lombra sfrangiatain mille e mille filie movimenti.Un abbraccio e sarebbe ancora dire:una sillaba-pietraun braccio di mareil parlare dialettaleerranti intorno al centroil saluto-francobollocome viaticodietro le tende

    tu reviendras bientt, nest-ce pas?

    e una notte saggiunge alla nottedel tuo corpo rotto dentro la vestaglia.

    Entre deux lunes

    tre entre deux espacesque je pourrais nommermondes-frontiresnations ou langues

    lEntre-deux

    deux lunes inhabitablesun trait dunion qui spareune suspension qui unit :entre deux lunesrattachant la nuitentre deux mondesdeux temps sans rponsecherchant la question tardivelattente inexplicablelaube o le soleil se coucheo toute arrive nest quun dpartsolitaire et nu

    Velare/Dis-velare

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    un billet sans valeurle son fossile dun hautboisune source entre deux rivires

    coute-moi(et surtout ne parle pas)rien ne nous habiteces deux lunes non plusces voix monotonespenches la fentrede nos espaces-temps.

    coute-moi (et surtout ne parle pas)puisque tout mot cre lillusiondune coute gnreuse.

    Tout mot sgare :la mernon pas dans le dsertle bavardage qui pse sur le pav dun cafse condensant autour de la lunetelle une aurole paisse et grasseentre deux joursentre deux nuitsdeux rves.Ne mcoute plusparleparleparlede ce corps entre deux lunesde cette lune qui glissesur lore de mes paroles.

    Metamorfosi

    Nel fumo si distendea serpente il respiro.

    Ugo Fracassa: Velare/dis-velare: sulla poesia bilingue di Flaviano Pisanelli

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    Quando il verbo assottiglia la parola!

    Il desiderio resta stretto in una manochiusa a trattenere il seme.

    Tesse Penelope il suo velodi macchie istoriatee di non-passione.

    Quando il mare solo rame!

    Dautres rivages

    De ce ct de la Mditerranele temps scouleau rythme de percussions lenteset je retrouvelentementmon souffleet le sourire ancien.Senlacer terriblement cette terrelaimer sans raisonirraisonnablement lhabiter.

    a va aujourdhui ?

    entre un passage et une attenterespirer la soie-fumese rpandant dans les poumonscomme laile de lhyrondelleeffleurant lcume de leau

    oui, oui, a va, merci !

    dans ce bain de lumiretragiquement intensevivre lessentiel (le hasard)sur la ligne poreuse de la frontire.

    Velare/Dis-velare

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    LAcquedotto Felicea Pier Paolo Pasolini

    Seguivo come un canela Passione. Al passo nel ventosotto cieli plumbei e pesanti di memoria.Il treno rilascia un sibiloe trasporta il polveronedun gregge mai stanco e il fischiogagliardo del pastore malandrino.

    Due tempi saccomunano sulle tramedel vento. Di l la cupola e le (r)-assicurazionidi qui i ruderi-impostori.Il volo basso del corvo sapiente ancora testimonedi corpi e linguaggi.

    Qui tutto rimane come primatutto resiste e torna al corpo massacrato.

    Distese vaghesecoli e secoli di tronchie chiome di pinola preghiera di un ferro arrugginitoche batte sulle foglie odorose di fico.

    Qui c qualcosa che sa di sacro:ogni miseria ha il suo nomee la sua composizionecome ogni gloria.

    Pier Paolo siede accanto e tacelo sguardo vlto ai ruderisconci e sensuali.

    Torna prepotente un sipario di corpie voci dialettali come ombre.

    Ugo Fracassa: Velare/dis-velare: sulla poesia bilingue di Flaviano Pisanelli

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    difficile qui rimanere degni del modernocon gli occhi fissi allurnache di Gramsci non ha pi le ceneri.

    Corporale

    Un uncinetto di silenziotrattiene il corpo-tempiosudario di memoriee di domani.La pelle sfrangia e aggrottail mito di una nascitaacerba della pronuncia.

    In questo non vederea barlume mi ravvedo

    il sudorecome una preghiera.

    Miracolo

    Sembrava che ci fosse molto da dire

    cosa dobbiamo fare - dicevasolo ci che abbiamo fatto - rispondevo

    mentre lorgasmo affilavalo sguardo fiero della notte.

    [Flaviano Pisanelli (Roma, 1973) insegna lingua e letteratura italiana allUniversit Paul Valry - Montpellier 3. Poeta e traduttore, vive in Francia da 15 anni. Ha pubblicato le raccolte: A peso daria (Gazebo, Firenze, 2000), Perla e argilla (Gazebo, Firenze, 2006). Alcuni suoi componimenti sono stati pubblicati in riviste.]

    Velare/Dis-velare

  • 12 Il piede e lorma

    ARPIE

    Arpie, in greco significa quelle che rapiscono, che saccheggiano. In principio furono divinit del vento, come i Maruts dei Veda, che bran-discono armi doro (i raggi) e che mungono le nuvole.

    (da J. L. Borges, Zoologia fantastica, XX sec.)

    CENTAURI

    Plinio dice di aver visto un ippocentauro, conservato nel miele, spedi-to a Roma dallEgitto. [.] Nel V libro del suo poema, Lucrezio afferma limpossibilit del centauro: poich la specie equina giungendo a ma-turit prima dellumanit- il centauro, a tre anni, sarebbe un fantolino balbettante e un cavallo adulto; questo cavallo morirebbe cinquantanni prima delluomo.

    (da J. L. Borges, cit.)

    CERBERO

    Se linferno una casa, la casa di Ade, naturale che un cane vi stia di guardia; anche naturale, questo cane, immaginarselo atroce. La Te-ogonia di Esiodo gli attribuisce cinquanta teste; per maggiore comodit delle arti plastiche questo numero stato ridotto, e le tre teste di Cerbero sono di dominio pubblico.

    (da J. L. Borges, cit.)

    CHIMERA

    Era troppo eterogenea; il leone, la capra e il serpente (in certi testi il drago) sopportavano male di trovarsi riuniti in una sola bestia. Col tem-po, la Chimera tende a diventare il chimerico. [.} Lincoerente for-ma scompare e la parola resta, per significare limpossibile. Idea falsa, vana immaginazione, la definizione di chimera che d oggi il dizionario

    (da J. L. Borges, cit.)

    Alfabetieri

  • 13Il piede e lorma

    GIGANTI

    Adirata per la sorte subita dai Titani, Gea partorisce a Urano i Gi-ganti; insuperabili per statura, invincibili per la forza, erano, a vedersi, spaventosi, coperti da un fitto pelame che scendeva dalla testa e dalle guance, con gli arti inferiori rivestiti da squame di serpenti.

    (da Apollodoro, Biblioteca, I-II sec.)

    HIDRA DI LERNA

    Questo serpente sembrava destinato alleternit. Il suo covo era nei pantani di Lerna. Ercole e Iolao la cercarono; il primo le tagli le teste, mentre laltro andava bruciando con una torcia le ferite sanguinanti. Lultima testa, che era immortale, Ercole la sotterr sotto una gran pie-tra; e dove la sotterrarono star ancora adesso, odiando e sognando.

    (da J. L. Borges, cit.)

    SFINGE

    Etiopi e Indiani posseggono uccelli estremamente variopnti e inde-scrivibili e, pi famosa di tutti, la fenice dArabia (non so se si tratti di una leggenda), un solo esemplare in tutto il mondo e visto non molto spesso. Si narra che abbia le dimensioni di unaquila, con un bagliore doro intorno al collo, di porpora nel resto del corpo, con penne rosa che spiccano sulla coda azzurra, la gola ornata di creste ed un ciuffo di piume sulla testa.

    (da Plinio, Naturalis Historia, I sec.)

    SIRENE

    ci sono nel mare degli animali detti sirene, che simili a muse can-tano armoniosamente con le loro voci e i naviganti che passano di l quando odono il loro canto si gettano nel mare e periscono. Per met del loro corpo, fino allombelico, hanno forma umana, per la restante met, doca.

    (da Plinio, cit.)

    Alfabetieri

  • 14 Il piede e lorma

    TIFONE

    Quando gli di ebbero vinto i Giganti, Gea, ancora pi adirata, si unisce al Tartaro e, in Cilicia, partorisce Tifone che aveva natura mista, di uomo e di bestia. Per la statura e la forza, Tifone era superiore a tutti i figli di Gea; fino alle cosce la sua forma era di uomo, ma di tale altezza da superare tutte le montagne; con la testa sfiorava spesso le stelle; se stendeva le braccia. Con uno toccava lOccidente, con laltro lOriente; dalle braccia stesse emergevano le teste di cento serpenti, dalle cosce si dipartivano le spire di vipere enormi che si estendevano fino alla testa, emettendo sibili acuti. Aveva ali su tutto il corpo, dei capelli sudici on-deggiavano sulla testa e sulle guance, gli occhi lanciavano fiamme. Cos spaventoso e cos enorme era Tifone quando sferr il suo attacco contro lo stesso cielo gridando e sibilando e scagliando pietre incandescenti; dalla bocca esalava grandi vampe di fuoco.

    (da Apollodoro, cit.)

    Alfabetieri

  • 15Il piede e lorma

    Renzo Scasseddu

    La bestia e la bella

    La figura retorica che pi mi intriga lossimro (, oxymrum), quella che accosta termini antitetici: alla lettera acutottuso, classicamente e scolasticamente significato dallesempio ricorrente lente festina (lentamente affrttati). Tale contraddizione in termini rende pi efficace, incisiva, icasitca lespressione poetica ma anche quella in prosa.

    Siccome faccio il parolaio, mi diverto con qualche esempio, in stretto ordine alfabetico, pur se il conio risulta variabile: accostamento, unione, crasi di due termini; oppure singoli.

    Un gioco e chi pi ne ha pi ne metta. Agrodolce, Altus, a, um = profondo, Athlon = fatica/premio,

    Bianconero/a, Chiaroscuro/a, Demone, Dolceamaro/a, Famoso/a, Far-maco, Fermobile, Formidabile, Fortnero, Ghiaccio bollente, Lucife-ro, Magrasso/a, Merito (tim = merito/punizione, Morbido/a (Morbo), Morbiduro/a, Prezzo, Sapone, Stortritto/a, Velento/a

    Tutto ci per introdurre largomento specifico, proposto per il n. 9 della nostra Rivista Il piede e lorma, un sintagma, molto significativo, che mi spinge a citare, come sempre, per quanto possibile, le fonti, le orme, ap-punto, dal titolo BESTIE.

    E allora sono andato a fare una passeggiata nel mio territorio preferito, il mito greco, classico, comunque, alla ricerca di alcune tra le bestie pi famose ma con lintento non sempre logico, facile, lo so, ma almeno plausibile e simpatico di redimerle.

    Bestie, in quanto tali nel comune sentire che negativo , emarginate, reiette, combattute, uccise simbolo del male, in genere.

    Mostri, ben s ma, tanto per cominciare (e provocare): monstrum, in latino vuol dire prodigio, cosa meravigliosa Entriamo cos in un terri-torio positivo, abbandonando quello negativo.

    Ancora, il termine animale, che razzola quasi sempre in spazi brutti, in ambiti cattivi viene da anima, e questa sinonimo di spirito (da , nemos = vento, soffio vitale), come dire la parte nobile delluomo, quel-

  • 16 Il piede e lorma

    la che filosofi e teologi, in genere, contrappongono al corpo, e che io, laico (ed anche loico), considero invece, complementare, convivente

    E dove mettiamo demone che da socratica coscienza interiore, da angelo custode diventato demonio? Insomma, lhan tramutato in bestia e ha fatto la stessa fine di Lucifero! A non dire poi del servizio da loro (le bestie, dico) reso alla Letteratura, allArte, alla Filosofia, Teologia, Psica-nalisi etc. etc., dallAntichit ad oggi.

    Un servizio reso addirittura a Zeus, la figura pi alta della mitologia classica (lambito qui trattato): quante volte, diciamo per i suoi divini dise-gni ma diciamo pure per capriccio, per delirio di potere, si trasformato in bestia: in toro e aquila per sedurre Europa, in cigno con Leda, e con Alcmena, cornificando Anfitrione, non si certo comportato da gentle-man, quella bella-bestia duno Zeus!

    Insomma, la bestia diventa bella.Eccole, allora, le Belle e le Bestie (se si vuol continuare, le Bestielle/

    Bellestie), in semplice ordine alfabetico, senza particolari gerarchie:

    ANTEOUn nome parlante (avverso, ostile): era il gigante libico, violento,

    che assaliva i viandanti. Eracle, a margine delle sue Fatiche, lo affront ma ogni volta che lo atterrava, il gigante riprendeva forze maggiori, sicch leroe per averne definitiva ragione lo soffoc tenendolo sollevato in aria. In effetti, Anteo essendo figlio della Terra, proprio da questa, toccandola, riprendeva vigore. Figlio di Gea (, eurysternos dallampio seno) e Posidone, dea della Terra e dio del Mare quindi, da cui proviene la Vita per tutti gli esseri viventi, animali e vegetali: eccolo, allora, laspetto positivo della bestiumana Anteo: la madre e il padre!

    ARPIE NellOdissea (XX, 77 ss.), Omero le accosta alle Erinni; secondo Esio-

    do (Theogonia, 265 ss.) son figlie di Thaumante e della Oceanina Elettra, ne nomina due, Aello e Ocpete (nomi parlanti = Turbine e Veloce/ala: infatti andavano veloci come raffiche di vento e come gli uccelli dal-le ali veloci) ed avevano belle chiome (); Apollonio Rodio (Argonautiche II, 188 ss, 223 ss., insistendo sulla loro rapacit e voracit col verbo (harpazo), tale e quale al lat. rapio). ne sottolinea la-spetto scatologico.

    Note bestiali insieme ad altre, belleQuesto Virgilio, (Eneide, III, 214-218, dove aggiunge Celeno, ad in-

    Renzo Scasseddu: La bestia e la bella

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    sozzar le mense degli sventurati Troiani, peregrinanti alle isole Strofadi).

    tristius haud illis monstrum, nec saevior ulla

    pestis et ira deum Stygiis sese extulit undis.

    virginei volucrum vultus, foedissima ventris

    proluvies uncaeque manus et pallida semper

    ora fame.

    Non mostro pi tristo di quelle, n alcuna pi crudele

    peste e lira degli dei sprigion dalle Stigie onde.

    Virginei volti di volatili, schifosissimo di ventre

    profluvio, adunche mani e pallide sempre

    le facce per la fame

    Ecco lossimro (efficacemente enfatizzato da una bella allitterazione): la parte anteriore, petto e volto, di fanciulla, quella posterinferiore mo-struosa: la bella e la bestia in un unico corpo.

    CACOUn mostro il cui nome gi dice, grecamente, della sua bruttezza, va-

    riamente descritto, ad esempio, dal corpo scimmiesco, tricefalo e, in parti-colare, sputafuoco.

    (Virgilio, Eneide, VIII, 194, 198 s.)

    semihominis Caci facies dirahuic monstro Volcanus erat pater:

    illius atros ore vomens ignis magna

    se mole ferebat.

    Del semiuomo Caco la faccia funestaDi questo mostro il padre era Vulcano:

    di quello atridalla bocca vomitando fuochi con

    grande mole si moveva

    Si narra della sua pericolosit per i furti di bestiame, nella zona dellA-ventino a Roma, diventato poi un famoso abigeatario per una sua vittima importante di passaggio da quelle parti proveniente dalla penisola iberica e diretto in Grecia a Tirinto: Ercole. Leroe conduceva la grossa mandria rapita a Gerone (infra) reo di abigeato, lui pure, quindi, e Caco non voleva rivali in questo agone e cerc di fregarlo, tirando per la coda nella propria grotta i capi rubati, in modo da confonderne le tracce. Purtroppo per lui, ebbe di fronte niente meno che il pi amato e il pi forte mortale dei figli di Zeus, il quale, avvertito da un muggito di richiamo, uscito da quella grotta, vi entr e, nonostante fuoco e fumo, lo soffoc, neutraliz-

    Alfabetieri

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    zando cos lunica ma terribile arma che quel mostro aveva nelle proprie vulcaniche fauci.

    Caco, nome brutto, bestia brutta, fuor di dubbio; lunica cosa appena bella forse quella di aver sfidato, alla pari, sul campo boario, e a viso aperto, lAtleta pi forte e pi famoso di ogni tempo e spazio!

    CAVALLE di DIOMEDEQuesto gigante, re della Tracia, sulle sponde dellattuale Mar Nero (da

    non confondersi con lomerico e dantesco Diomede, sempre in coppia con Odsseo/Ulisse) possedeva quattro splendide giumente, tanto belle quanto bestie: divoravano carne umana; e quando il re non aveva, nei periodi di pace, soldati morti in guerra da offrirgli, organizzava banchetti alla fine dei quali uccideva i convitati per darli in pasto alle bestie feroci.

    Troppo immediata, qui, la considerazione se la bestia fosse Diomede o le sue belle cavalle:

    Nella sua ottava Fatica, Eracle, affatto inconsapevole della loro bestiale pericolosit, dopo averle catturate, le affid al suo amato Abdro, che fu ferocemente divorato da quelle belle bestie; sicch leroe, per vendicarlo, diede in pasto alle sue stesse cavalle quella bestia di Diomede.

    Per inciso, mi piace ricordare che in quella circostanza Eracle, in onore del suo amasio, fond Abdra, patria di bella gente, tra cui Protagora, il filosofo dellUomo-misura-della-realt, nato, ahinoi, molto dopo quel re-bestia, cui non piaceva la pace n, tanto meno, lUomo).

    CENTAURIEsseri emblematicamente oximorici, amphibologici, nella loro struttura

    met umana e met equina, con una natura bestiale, violenta, selvaggia, rozza e brutale, caratterizzata, tra laltro, dal lancio di urla terrificanti. non tutti, per. Infatti in tali bestie si possono ritrovare, iperbolici, pregi e difetti della razza umana, dalla saggezza alla crudelt: malvagi, scellerati, facili allubriachezza, come ad esempio durante le nozze di Piritoo e Ip-podamia (significativamente, domatrice di cavalli), dove, infrangendo le regole dellospitalit,seguendo lempio gesto del compagno Euritione, tentano di rapire la sposa, e di molestare le donne e i fanciulli dei Lapiti, scatenando una violenta rissa degenerata poi in una guerra vera e propria (la Centauromachia, raccontata, in particolare, dal celeberrimo scultore Ateniese Fidia e dai suoi collaboratori nelle metope del Partenone ad Ate-ne e del Tempio di Zeus ad Olimpia, quasi come simbolo della lotta fra civilt e barbarie Greci e Persiani. Ancora, Nesso, il quale, per vendicar-

    Renzo Scasseddu: La bestia e la bella

  • 19Il piede e lorma

    si di Eracle che lo aveva colpito a morte nel tentativo nefasto di violarne la sposa, aveva convinto, ingannandola, Deianra a raccogliere il sangue della sua ferita mortale e conservarlo come magico filtro damore, che la donna us intingendone quella tunica (detta, sinteticamente ed erronea-mente tunica di Nesso) che invece strazi il formidabile corpo delleroe.

    Penso per, viceversa, anche a centauri espressione di sapienza e di vir-t, quali Pholos, amico dello stesso Eracle (considerato, per le sue Fatiche, benefattore dellUmanit), e Chirone, amico di Apollo (dio della Medicina) e dei Dioscri, nonch (e gioco col nome: chirurgo, manone), prodigo di consigli e ammaestramenti, esperto, in particolare, di Medicina, tanto da avere tra i suoi allievi gente come Gisone, nome parlante per curatore, guaritore, medico (Iason < iaomai, iatrs), Achille

    Dante, nel suo magistrale e significativo uso del contrappasso, col-loca i centauri nellinferno (Inf. XII) proprio come custodi-giustizieri dei violenti contro il prossimo.

    Bestie comode anche a Machiavelli, per il suo famoso modello di Principe (umano e ferino nel suo misto politico di golpe et lione).

    CERBERONella mitologia classica risulta esser figlio di Tifone e di Echidna, fra-

    tello della Chimera, dellIdra di Lerna, di Ortro (il cane di Gerone, infra), del Leone nemo, un mostro guardiano dellingresso dellAde, il mondo degli Inferi, col compito di impedire ai vivi di entrare ed ai morti di uscire: un terrificante cane, mastino gigantesco, voracissimo e sanguinario a tre teste. Tutto il suo corpo, poi, ricoperto di velenosissimi serpenti, che ad ogni suo latrato si rizzano, facendo sibilare le orrende lingue, inoltre emet-te dalle fauci latrati che scoppiano come tuoni.

    Nellantichit Cerbero equivale a nudo suolo (o lupo degli dei) poich tutto quel che vi finisce viene ineludibilmente assorbito, divorato.

    Ad ammansirlo e a domarlo riescono soltanto in due: rfeo (quando scende nellAde nel tentativo, vano, ahilui, di riportare in vita lamata Eu-rdice) con la magia della musica e, con la sua forza sovrumana, Eracle.

    Nellultima e pi dura delle sue Dodici Fatiche, leroe, figlio di Zeus, costretto a combattere e sconfiggere il feroce cane senza ucciderlo, per portarlo a Micene da Eursteo, vivo e dimostrargli di averlo vinto in com-battimento, che era stato lungo e violento per tutto il tragitto, e da solo, senza aiuto, per volont di Ade, il dio degli Inferi.

    Eccone, icasticamente, alcune descrizioni:

    Alfabetieri

  • 20 Il piede e lorma

    Cerberus haec ingens latratu regna trifauci

    personat adverso recubans immanis in antro.

    cui uates horrere videns iam colla colubris

    melle soporatam et medicatis frugibus offam

    obicit. Ille fame rabida tria guttura pandens

    corripit obiectam, atque immania terga resolvit

    fusus humi totoque ingens extenditur antro.

    Virgilio, Eneide VI, 517 ss.

    Lenorme Cerbero questi regni con latrato trifauce

    risuona giacendo immane davanti allantro.

    Cui la sibilla, vedendo ormai i colli orridi di serpenti

    di miele una soporosa focaccia e di erbe drogate

    gli getta. Quello di fame rabbiosa le tre gole spalancando

    afferra il bolo e le immani terga spande

    sdraiato per terra e immenso si stende in tutto lantro.

    Nella fiaba di Amore e Psiche contenuta nelle Metamorfosi (o LAsino doro), VI, 19, 8, di Apuleio, Psiche costretta a compiere un viaggio agli inferi e deve affrontare, allentrata e alluscita, Cerbero, che nel testo non nominato ma cos descritto:

    Canis namque praegrandis teriugo et satis amplo capite praeditus immanis et formidabilis tonantibus oblatrans fauci-bus mortuos, quibus iam nil mali potest facere, frustra territando ante ipsum limen et atra atria Proserpinae semper excubans servat vacuam Ditis domum.

    E infatti un cane stragrande, di triplice testa piuttosto grossa dotato, immane e formidabile, che con tonanti fauci latran-do contro i morti, cui ormai nessun male pu fare, invano terrorizzandoli, davanti alla soglia stessa e agli atri atrii di Pro-serpina, sempre sdraiato custodisce la vuota dimora di Dite.

    Tale bestia non poteva mancare nellInferno dantesco (terzo cerchio), dove son condannati i peccatori di gola: una animazione a tutto tondo di straordinaria, mirabile efficacia, come tutto in Dante. (Divina Commedia, Inf. VI, 7 ss.)

    Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra sovra la gente che quivi sommersa. Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, e l ventre largo, e unghiate le mani; graffia li spirti ed iscoia ed isquatra.

    Renzo Scasseddu: La bestia e la bella

  • 21Il piede e lorma

    Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo, le bocche aperse e mostrocci le sanne; non avea membro che tenesse fermo. E l duca mio distese le sue spanne, prese la terra, e con piene le pugna la gitt dentro a le bramose canne. Qual quel cane chabbaiando agogna, e si racqueta poi che l pasto morde, ch solo a divorarlo intende e pugna, cotai si fecer quelle facce lorde de lo demonio Cerbero, che ntrona lanime s, chesser vorrebber sorde.

    Nella rappresentazione poetica la figura di questo mostro mitologico non pu prescindere dallideologia di quel pianeta fantastico tipicamen-te medievale, in cui sono non solo intuibili ma risultano ben conclamati molteplici significati simbolici, interpretazioni allegoriche, messaggi teo-logici, politici

    Il nome di tale bestia, ormai nelluso comune indica, per antonomasia, un guardiano arciarcigno e molto molto difficile da superare.

    Purtroppo, per il nostro percorso, Cerbero permane bestia: risulta irre-dimibile!

    Proviamo allora, tra poco, con una bestia della sua famiglia: Chimera.

    CERVA CERINEAPrima di Chimera, per lordine alfabetico e poi, s, questa cervina

    decisamente una bestia bella: corna doro, zoccoli dargento e di bron-zo. Insomma, una cerva olimpica, velocissima nella corsa, mai ferma, instancabile, tanto da far perdere le tracce della via del ritorno a chi, in-cantato dalla sua bellezza la inseguiva da una regione allaltra. Lo stesso Eracle, nella sua quinta Fatica, dopo un anno di duro e vano inseguimento, fu costretto a ferirla per poterla raggiungere e catturare. Ferita che fece adirare, momentaneamente per, la dea cacciatrice Artemide, cui la cerva era sacra, pi sacra di tutte le altre cerve.

    CHIMERAEccola, la sorella di Cerbero, anchessa mostro della stirpe divina di

    Tifone ed Echidna, insieme allIdra di Lerna, al Leone Nemo, alla Sfinge

    Alfabetieri

  • 22 Il piede e lorma

    e a Ortro. Per avere unidea concreta del suo aspetto, ci aiuta mirabilmen-te la Chimera di Arezzo, una scultura bronzea etrusca del V sec. a. C., di straordinaria, realistica fattura: sembra vivente e pronta ad aggredire con ogni parte del suo corpo variegato: testa e corpo di leone, una testa di capra sulla schiena (ed anche corpo di capra) e la coda di serpente; le sue scorrerie devastavano il territorio della Licia; terribile era il morso veleno-so della coda, inoltre sputava fuoco dalle fauci e fu proprio tale sua propria arma a decretarne la morte.

    Bellerofonte, cavalcando lalato Pegaso (figlio di Medusa), la uccise grazie alla punta di piombo della sua lancia, che scagli fra le fauci del mostro. Al calore delle fiamme lanciate dalla Chimera, il piombo si lique-fece e uccise la bestia.

    In senso lato, colto, metaforico, la parola significa sogno vano, illu-sione, utopia; e chi che pu vivere senza sogni , senza chimere?!

    ECHIDNADal significato emblematico, vipera, figlia di Forco e Ceto dalle

    belle guance (nipote quindi di Gea e Ponto, dio marino), secondo altri di Crisaore e di Calliroe sorella di Gerone, Echidna era un mostro dal corpo femminile con una coda di serpente al posto delle gambe. Viveva rinchiusa in una caverna della Cilicia, nellAsia minore, oppure nel Peloponneso, dove poi sarebbe stata uccisa da Argo, il mandriano guardiano dai Cento Occhi, perch divorava i viandanti.

    Era mostruosamente iperprolifica: da Tifone ebbe la Sfinge e Ortro (il cane di suo fratello Gerione), poi Cerbero, lIdra di Lerna e la Chimera. Con Ortro, ebbe Fice, un mostro della Beozia, ed il Leone di Nemea: una bestia, Echidna, davvero con tutti i connotati.

    Ma ecco a soccorrerci nel nostro assunto, la leggenda da una colonia sul Ponto Eusino (oggi Mar Nero) secondo cui Eracle, ivi cercando i suoi cavalli perduti, si imbatt in Echidna, che gli promise di restituirglieli se si fosse accoppiato con lei. Leroe, sempre pronto ad ogni tipo di fatica, acconsent e da tale unione nacquero tre figli, di cui uno, Scite, fu il capo-stipite eponimo degli abitanti della Scizia (lattuale Bulgaria).

    Insomma, Eracle i mostri non li uccide soltanto ma li rende anche creativi, e questo mostro era femmina: un monstrum, evidentemente una bella bestia.

    GERONEGigante tricorpore, Gerone nominato, con i suoi genitori, per la prima

    Renzo Scasseddu: La bestia e la bella

  • 23Il piede e lorma

    volta in Esiodo trikephalos (Theog., 287-294) rappresentato poi anche in varie triplici sembianze (es. tergeminus, Virg., En, VIII, 205). Risulta figlio di Crisaore (il fratello di Pgaso) e della Oceanina Calliroe, fratello di Echidna, nipote di Medusa. Un fortissimo gigante re dellisola di Erite-ia, presso Cadice, alla foce del Guadalquivir, padrone e custode di mandrie di magnifici buoi, che Eracle, nella sua decima Fatica, gli rapisce, dopo una feroce, violenta lotta nella quale Gerone viene sconfitto e ucciso.

    In Dante, Gerione presente come figura demoniaca, infernale che, come le tante presenti nella Divina Commedia, servono allallegoria del poema per condannare i vizi umani, in questo caso, la falsit dei fraudo-lenti (Inf. XVII, 1, 97; Purg. XXVII, 23). Nella sua descrizione il poeta aggiunge altri aspetti bestiali: al volto umano fanno da contraltare zampe di leone, corpo di serpente e coda di scorpione, sulla scia dei versi dellA-pocalisse (9, 7-11), dove Giovanni descrive le locuste con facce di uomini, capelli di donna, denti di leone e code simili a scorpioni.

    Gerione quindi lallegoria della falsit: il volto umano rappresenta luomo innocente, onesto e saggio, il resto del corpo bestiale, invece, sim-boleggia laltra natura, malvagia, con cui i fraudolenti tramano di nascosto.

    Ma Dante Dante e nella sua immensa titanica divincomica gran-dezza poetica esprime un messaggio tutto suo, di medievale cristianit

    Io, sempre laicamente (e fuor da ogni confronto, per carit!), continuo nellopera di laica redenzione e riporto la notizia (bella anche per la no-stra bestia), secondo la quale, di ritorno da questa sua fatica, Eracle avreb-be istituito in Sicilia il culto eroico oracolare di Gerone, portato anche altrove; Svetonio, ad esempio, scrive che Tiberio consult questoracolo a Padova cum Illyricum petens iuxta Patavium adisset Gerionis oraculum (Vita Tib., III, 14, 3, 5).

    HYDRA di LERNALidra di Lerna ( , Hydra) un mostro acquatico, come dice il

    nome. figlia di Echidna e di Tifone, sorella di Cerbero, Ortro, del leone nemeo, della sfinge e della chimera, allevata da Era (la gelosissima moglie di Zeus, acerrima nemica di Eracle) nella palude vicina alla citt di Lerna, in Argolide (Peloponneso centrale), dove distruggeva pascoli, bestiame, terrorizzando la regione intera. Descritta come un grande serpente a nove teste, di cui quella centrale era immortale; velenosissima, dal respiro, san-gue e addirittura orme letali.

    Uccidere lidra era la seconda delle Dodici Fatiche imposte ad Eracle, cos leroe si rec sul posto e stan la bestia con frecce infocate, per af-

    Alfabetieri

  • 24 Il piede e lorma

    frontarla. Ogni volta che tagliava una testa, dal moncone ne ricrescevano due; Eracle allora si fece aiutare dal nipote Iolao, che, dopo il taglio di ogni testa, cauterizzava col fuoco la radice impedendone la ricrescita; la testa immortale infine venne schiacciata e seppellita sotto un macigno.

    Sconfitta lidra, Eracle immerse le proprie frecce in quel sangue vele-noso, cos da rendere insanabili le ferite provocate: un bel regalo alleroe!

    Dopo la morte, Era redimette (o redense? Lo so, per unidra cos descritta non facile!) la bestia trasformandola in una costellazione. In-somma, lassunse in cielo, facendola diventare una stella, e le stelle, si sa, son belle!

    LEONEMEOIl leone di Nmea o Nemo era figlio di Ortro ed Echidna oppure, se-

    condo altre versioni, di Echidna e Tifone; di Zeus e Selene (la Luna), e quindi fratellastro paterno di Eracle.

    Era un mostro inviato da Era a Nemea nellArgolide, insediato in una grotta con due uscite. La sua pelle era tuttaffatto invulnerabile, zanne ed artigli erano quasi metalliche per durezza. La fiera era un vero flagello per il territorio, ridotto alla sterilit, poich aggrediva e sbranava uomini e greggi.

    Giunto a Nemea, e seguendo la scia di carcasse che il leone si era lascia-to dietro, Eracle riesce a trovare la fiera: ma vedendo che spada e frecce erano inefficaci lo colp con la clava e poi lo strangol a mani nude. Eracle riusc solo con gli artigli stessi della bestia a scucirne la pelle e fare di quella giubba la sua caratteristica divisa, una vera e propria, efficace, utilissima armatura, inattaccabile, invulnerabile, ben adatta al suo naturale titolare.

    Povero leone, povera bestia: ucciso dal fratellastro! Forse per questo il padre Zeus, a compenso e, diciamo, per far dispetto alla moglie Hera, lo pose nel firmamento, dove form la costellazione del Leone: un bel segno zodiacale!

    MEDUSAFigura terrifica: sguardo pietrificante, capelli serpificati, zanne al posto

    dei denti, bronzee le mani, degna sorella, mortale, delle Gorgoni. Racconta il mito che Posidone, invaghitosi di Medusa e trasformatosi in aquila, la rapisce, la porta in un tempio sacro ad Atena dove la possiede. La fanciul-la, orgogliosa della sua splendida capigliatura, nasconde il volto dietro lo scudo della dea della sapienza (sic!) che la punisce duramente: trasforma i bei capelli in un groviglio di vipere e i denti in zanne, un mostro orribile il cui sguardo pietrifica chiunque lo incroci. Solo Prseo resiste, grazie

    Renzo Scasseddu: La bestia e la bella

  • 25Il piede e lorma

    allegida, uno scudo, fatto con la pelle di una capra (aix, aigs) ma non una capra qualunque, no, la capra Amaltea, la bestia che aveva allattato il dio degli di, Zeus.

    Povera Medusa: bestia per colpa di un dio, anzi due (il fratello di Zeus e la figlia, quella nata dalla di lui testa, sede della razionalit): delirio di sesso, di potere e di gelosia!

    MINOTAUROUn mostro con il corpo umano, bipede ma con zoccoli, pelliccia, coda

    e testa taurina, selvaggio e feroce, dominato dallistinto animale, avendo cervello di bestia. Minotauro era il frutto dellunione bestiale di Pasifae, moglie di Minosse, e del toro di Creta. Dalla sua nascita, la bestiumana venne rinchiusa nel Labirinto, la straordinaria, notissima costruzione, a Cnosso, dellArchitetto, diciamo pure pi famoso di sempre, Dedalo, or-dinata dal re.

    Povera bestia! Il padre Minosse tradisce il patto stretto con Posidone. S, lui il talassocrate ma il re del mare, Posidone ne il dio: uno, morta-le, talassocrate ad interim; laltro, divino, lo per saecula saeculorum, per leternit:

    E Minosse, pezzo di catapezzo, bestia, non lo sapeva?Il caso del contendere fra re e dio: un toro! Un magnifico toro bianco,

    (quella bestia successivamente catturata da Eracle nella sua settima Fati-ca), dono di Posidone, che Minosse avrebbe dovuto sacrificargli; ma era troppo bella, quella bestia e lui, il re, gliene sacrifica unaltra. Re, ben s, ma re-bestia, nel senso di sciocco, senza cervello: fregare un dio, non solo, il dio pi esperto di tori, il quale, per una specie di contrappasso si vendi-ca, facendo innamorare proprio del toro la moglie del re, Pasifae.

    La quale, vestitasi da vacca, si fa montare dal toro, lunica bestia, in questa storia, che si comporta bene, come da sua propria natura: fa il montator!

    Vediamole, per, le vere bestie:Posidone, un dio la cui vendetta davvero crudele, bestiale!Minosse, la cui regalit umiliata dalla vendetta di cui sopra, divina,

    e da una animale il cui nome, oltre al proprio, egli assegna al figlio della moglie!

    Pasifae, la cui sessualit stimolata iperbolicamente (diciamo pure diabolicamente) da un dio, al quale non si pu n si deve.. disobbedire. Il dio! Lei, no?! Eccola, la femmina che, alla vista di un toro splendido, che fa? Fa la bella e la bestia, anzi la bellabestia, insomma, la vacca.

    Alfabetieri

  • 26 Il piede e lorma

    Daltra parte, non , Pasifae, la madre di Arianna e Fedra, due figure che in amore han fatto parlare molto di s, son diventate molto molto famose! A non dire che Arianna, innamorata di Tseo, venuto a Creta, per pagare il tributo ateniese (con sette fanciulli e sette fanciulle da darsi in pasto al Minotauro), offre alleroe quel suo famoso filo per farlo uscire dal Labirinto, dopo aver ucciso la bestia che era il suo stesso fratello. Bra-va la sorellina, la quale, appena vede Dionso (e soprattutto i satiri) che ti fa? Ti pianta in Nasso il povero Tseo, che dimentica, tornando ad Atene, dove lo aspettava, ansioso, il padre, di sostituire le vele nere, funeste, con quelle bianche, fauste, causando cos il suicidio del padre geo (gettatosi nel Mar Ego); successivamente leroe cade tra le braccia di sua cognata Fedra, morbosamente invaghita (spinta a ci dalla vendicativa Afrodite) del figliastro Ippolito (avuto da Tseo con lAmazzone Ippolita), il quale, resto, calunniato da lei e maledetto dal padre, finisce dilaniato dai suoi stessi amati cavalli. Che sorelle, che famiglia!

    E gli di, no?! Vogliamo metterci pure lArchitetto Dedalo? Il quale costruisce per la regina quella vacca di legno, al cui interno poi la bella si unisce con la bestia (incertum utri, a chi dei due spetti questa o quella identit), quello stesso Dedalo che edifica il Labirinto per relegarvi se-gretamente il frutto di quellamplesso bestiale; e la vera, reale bestia, il bellissimo toro, lunica innocente.

    Ebbene (si fa per dire)! Che succede in questa bella famiglia, in questa bella storia? Che lunica bestia risulta essere soltanto il soprannominato, nomen/omen, Minotauro. Il quale fa anche la parte del riscossore dei tributi allAgenzia delle Entrate, nel periodo della talassocrazia dellisola pi po-tente del Mediterraneo, il numero uno dellesattoria di EquiCreta che spolpa i contribuenti, diventandone il carnefice (supra) nel senso comune. Stricto sensu, per, alla lettera, i veri carnefici son tutti gli altri attori, quelli cio che lo hanno messo al mondo, che lo hanno fatto di carne (ed ossa).

    Interessante, inoltre, per il nostro percorso, notare che, probabilmente, alla figura del Minotauro si ispira la divinizzazione del toro da parte dei Greci; infine, il primo, vero suo nome Asterione, che vuol dire stella, e la stella bella.

    Meno male, povera bestia!

    PRIPOFiglio di Afrodite, dea dellamore, della bellezza e di Dionso, dio delle-

    stasi, della irrazionalit, di origine frigia, Pr apoj, (Pripus) il protettore dei giardini, che, nonostante i genitori, si presenta decisamente sgraziato:

    Renzo Scasseddu: La bestia e la bella

  • 27Il piede e lorma

    corpo piccolo, pancia enorme e membro monstruosamente smisurato. Proprio tale peculiarit viene interpretata come segno ben augurante per

    la fertilit dei campi e del bestiame. Man mano il suo numen diventa quello dellistinto sessuale e della forza generativa maschile e della fertilit delle campagne, tanto che gli agricoltori, nella loro natura semplice, per proteg-gere i propri prodotti, gli innalzano nei campi spaventapasseri in posizioni oscene e grottesche, probabilmente anche mta di femmine calde in cerca di anonime e furtive soddisfazioni: una bella bestia che, oltre al dono di un enorme membro sempre eretto, offre altres, complice, quello del silenzio.

    Nellantica Roma Pripo viene accostato a Mutinus o Tutinus, antica e oscura divinit a carattere fallico, anzi totofallico, rispetto al cugino di Lmpsaco antropomorfo, come il fascinum/-us, sul quale, immane, spu-dorato e spaventoso, durante i riti preliminari del matrimonio, le spose romane erano invitate, come auspicio, a cavalcare (Tutunus, cuius imma-nibus pudendis horrentique fascino vestras inequitare matronas et auspi-cabile ducitis et optatis - Arnob. Adversus Gentiles, IV, 7) per prepararsi al rapporto. Ancora: Tutino [qui, non sarebbe opportuno tradurre: cazzo], sul cui fusto spudorato le future spose siedono in modo che sembri sia il dio per primo a delibare la loro pudicizia (Lattanzio, Divinarum Insti-tutionum, 1. 20. 36: Tutinus in cuius sinu pudendo nubentes praesident ut illarum pudicitiam prima deus delibasse videatur).

    Sulla stessa linea Tertulliano un antifemminista sfegatato (Ad Na-tiones, 2.11 e Apologetico, 25.3.), Agostino prima della conversione, per (De Civitate Dei 4.11 e 6.9).

    Insomma, tolto limbarazzo (?!), lo sdegno, il disgusto, lostilit de-gli scrittori cristiani (quanta discutibile e inutile censura, a non dire dan-nosa!), questa del dio totophallo/tuttocazzo sembra unoriginale trovata, particolare comunque, per una deflorazione ufficiale, concreta ed anche, ci par di intuire, divertente, piacevole: unaltra familiare bellabestia!

    Cara Afrodite, dopo aver partorito Pripo, vedendolo cos brutto lo hai rinnegato e abbandonato, per fortuna, per, anche tua, nelle mani, ed altro, di donne, di femmine che, in ossequio proprio al tuo culto, al tuo nu-men, lo hanno, sempre, degnamente e a buon diritto venerato, e quante volte sar uscito fuori: Che bella bestia!.

    Indubbiamente, il nostro Pripo non una bestia, nel senso comune o in senso proprio: non lo ma ce lha, eccome ed anche bella!

    SATIRIImparentati con Pripo, sono comunemente raffigurati come esse-

    Alfabetieri

  • 28 Il piede e lorma

    ri umani barbuti con corna, coda e zampe di capra; talvolta presentano una vistosa erezione, simbolo di energia generatrice; abitatori di boschi e monti, dediti alle danze con le ninfe, al vino, lascivi ed anche presenti con menadi e sileni nel corteo di Dionso. Abilissimi suonatori di flauto, caposcuola Marsia, che ebbe la sventura di sfidare il dio della Musica e del Canto, Apollo dal quale venne sconfitto e scorticato. Mirabile esecutore di un altro strumento silvano, un poliflauto con canne a scalare, la siringa, era Pan, titolare del panismo, una concezione totalistica, vitalistica della Natura fertile che appartiene ad ogni essere animale e vegetale.

    Altro famoso satiro era Sileno, maestro di Dionso, immancabile nel suo corteo, sempre sulla soma di un asino, ben s ma, ciononostante, sem-pre prodigo di saggezza

    Una bestia, questo satiro, a cui non manca, tutto sommato, qualcosa di bello.

    SFINGEMito egiziano e mito greco accompagnano la storia di tale figura: nel

    primo caso si tratta di un animale che, grazie al significato del suo nome immagine vivente, simboleggia la vita nellaldil, come auspicio di vita serena dopo la morte, rappresentato da statue gigantesche, protettive ac-canto a piramidi altrettanto famose (Cheope, Chefren, Micerino, Giza); nella lingua greca, invece, il termine (sphingo) significa soffo-co, strangolo, in quanto strangolatrice e divoratrice dei passanti diretti a Tebe (Beozia), alle pendici del Monte Ficio (nome legato al primo) ed anche stringo nel senso della stringatezza espressiva nella formulazione e risposta dei suoi indovinelli.

    Da Omero in poi presente nella letteratura (ma molto anche nellarte figurativa) come figlia di Echidna e Tifone, con tutta quella stirpe di bestie che abbiamo gi visto e risulta variamente descritta: da figura maschile a figura femminile, che solo in un secondo tempo prevalse; poteva es-sere alata e non, con barba, con zampe di vari animali ma, nelle fattezze classiche, raffigurata con il corpo e coda di leone, volto di donna e ali duccello: una fiera-donna

    Una feroce bestia, non v dubbio, rovina delluomo che non risponde-va al suo indovinello, peste per i Tebani, uno dei quali, per, grazie a lei ha acquistato fama immortale: Edipo.

    Bestia, dicevamo, ma che diventa bella, come protettrice della vita nellaldil.

    Renzo Scasseddu: La bestia e la bella

  • 29Il piede e lorma

    SIRENEFiglie di Acheloo, divinit fluviale e di Teti, figlia di Oceano, da Omero

    definito origine di tutte le cose; secondo il mitografo Pseudo-Apollo-doro, la madre era Melpomene la Musa del canto, come dice il nome, ri-cordato per inciso da Apollonio Rodio, che per le dice figlie di Tersicore, la Musa della danza (infra). Suggestiva a me pare la versione del mito raccontata da Libanio (Progymnasmata II, 31,1), secondo cui Eracle, inna-morato di Deianra, nella lotta contro Acheloo, gli stacca un corno e dalle gocce di quel sangue divino nascono le Sirene.

    Donne bellissime, fascinose, incantatrici, dal canto ammaliatore (infra), la parte superiore; quella inferiore del loro corpo era tutto pesci, nella pi nota loro raffigurazione; in un primo tempo per erano state donneuccelli, non donnepesci.

    Erano infatti amiche (in comitum numero) di Persefone, e quando que-sta venne rapita da Ade, le vergini doctae Sirenes chiesero e ottennero dagli dei di essere trasformate in uccelli (pluma pedesque avium) per po-terla cercare meglio, conservando il resto (virginei vultus et vox humana remansit) (Ovidio, Metamorfosi V, 551 ss.).

    Si diceva della loro voce: era incantevole ma ingannatrice, perch tra-scinava le navi e i disgraziati marinai contro gli scogli dove esse risiede-vano, tra Scilla e Cariddi. Odsseo riusc ad evitare gli effetti disastrosi della loro melodia, tappando con la cera le orecchie dei suoi compagni (Omero, Odissea, XII, passim). Anche rfeo, grazie alla sua magica ce-tra, ebbe ragione dellirresistibile canto (molpesin melpomenai) delle Sirene, verginiuccelli, coprendolo, intercettandolo col proprio e salvando cos lequipaggio degli Argonauti, di cui faceva parte (Apollonio Rodio. Argonautiche IV, 890-912).

    Mezze bestie, quindi e mezze donne, le nostre Sirene e che donne, che fascino, che mala, distruttrice, ben s, ma chi riesce a non subire il potere del canto di una Sirena?!

    TIFONEAltro nome parlante, antonomastico, detto pure Tifeo ( o

    ) o Tisifeo, fumo stupefacente ( typhein = fare fumo, come , thuein, da cui , thyms = fumo, soffio, spirito, animo, coraggio) era figlio (dicono a causa dellauera Afrodite) di Gea e Tar-taro, la Terra di sopra e il complemento sotterraneo; fratello minore dei Giganti e Titani, quelli sconfitti e puniti da Zeus. Punizione mal digerita dalla Terra madre (e nonna di Zeus), la quale, per vendicarsi, ebbe due

    Alfabetieri

  • 30 Il piede e lorma

    alleati, entrambi molto interessati contro il re dellOlimpo: la gelosissima moglie Hera e il padre Kronos, da lui spodestato. Questultimo insemin due uova da cui nacque appunto Tifone, cos suggestivamente raffigurato dagli antichi scrittori, pittori: membra smisurate, met uomo e met be-stia; testa dasino, ali da pipistrello, pi alto dellEverest, lungo pi del mare Egeo, da Atene a Troia; cento serpenti dalle gole sibilanti, latranti e ruggenti; al posto delle gambe due draghi terrificanti; barba e capelli on-deggianti al vento; dagli occhi lingue di fuoco, fumo e massi incandescenti eruttati dai denti, analogamente, ad es. Eschilo ne I Sette a Tebe parla di () (pyrp-noon Typhona = fuocospirante pyrpnoon dia stoma lignyn melainan = fuoco spirante attraverso la bocca denso fumo nero); e lo pone sotto lEt-na attivo.

    Descrizioni tutte che fanno di Tifone, concretamente, fuor di metafora, il degno antenato dei vari uragani, tornados, tsunami

    Con tali caratteristiche decisamente bestiali non aveva paura di nes-suno, nemmeno di Zeus, il re degli di, che anzi affront in pi riprese, e inizialmente sovrast lOlimpo, la loro sede celeste, incutendo loro tan-ta paura che essi, trasformatisi in animali, si rifugiarono in Egitto, dove avrebbero dato vita al culto locale degli di animali. Tutte interessanti e significative le loro metamorfosi, che riportiamo, in ordine alfabetico, la-sciando al numero uno il n. 1: Zeus, trasformatosi in ariete (Z. Ammone), Ade in sciacallo (bestia che vive di morti), Afrodite in pesce, Apollo in corvo, Ares in cinghiale, Artemide in gatto, Dionso in capra (tragos, D. dio della tragedia), Era in vacca bianca, Hermes in ibis, Pan la sua parte inferiore in pesce

    Gli di diventano bestie, per salvare la pelle!Solo dopo vari scontri, con esiti alterni, Zeus ebbe la meglio, con laiuto

    della figlia guerriera Pallade Atena ed anche di Hermes e Pan. Alla fine, mentre la colossale bestia gli scagliava contro lintera Sicilia, il dio del cielo lo colp con il fulmine pi potente a disposizione, lasciandolo schiac-ciato proprio sotto la stessa isola, donde di tanto in tanto si sveglia giusto come un bestiale tifone.

    Secondo altre fonti, Zeus lo rinchiude sotto la rupe occidentale delle Fe-driadi, nellantro di Pan e delle ninfe, (sul Monte Parnaso a Delfi, dallin-gresso, oggi, alto 2 m. ca, con un interno alto 34 m e profondo 70).

    Certo un mostro cos spaventoso, orribile, rovinoso, distruttivo non pu che permanere soltanto fra le bestie, eppure

    eppure, lunica bestia che ha avuto il coraggio di affrontare, pi

    Renzo Scasseddu: La bestia e la bella

  • 31Il piede e lorma

    volte, Zeus, il dio del cielo e della terra, il dio degli di, quel dio, re phal-locrate e pantokrate, vizioso e prepotente, addirittura lardire di farlo tre-mare, ferirlo!

    Eppure, per finire come abbiamo cominciato (Anteo/Tifone figli di Gea: una casuale Ringkomposition), una bella bestia per una bella battaglia!

    Eppure, nonostante la sua strettissima parentela con uragani, tornados, tsunami (supra), nessuno di questi fenomeni temporanei cos rovinoso come i tanti, tantissimi, troppi che il pianeta Terra (ormai non pi euryster-nos, dallampio seno ma dal seno vieppi devastato, deturpato, violen-tato: cielo, terra, sottosuolo, mare) subisce, come ad esempio, esempio estremo, quello provocato dal buco nellozono, la cui colpa perch di colpa si tratta, e gravissima, esiziale, suicida, apocalittica! della bestia spesso pi bestia di tutte le bestie, cio luomo!

    Alfabetieri

  • 32 Il piede e lorma

    ALBATRO

    O uccello albatro!Me in alto chiama un impulso eterno!Pensai a te: e lacrime e lacrimepresero a scorrermi - s, io ti amo!

    (da F. Nietzsche, Uccello albatro, XIX sec.)

    BOVE

    I buoi si domano quando hanno tre anni un esemplare giovane si addestra ottimamente insieme ad uno gi addomesticato. Noi uomini abbiamo come compagno della fatica nella coltivazione dei campi questo animale

    (da Plinio, cit.)

    CAVALLO

    Filarco racconta che uno dei Galati, Centareto, ucciso in battaglia Antioco, si impadron del suo cavallo e gli sal in groppa trionfante; ma lanimale, preso dallo sdegno, strappate le briglie perch non potesse essere retto, si slanci al galoppo in un burrone e mor insieme al cava-liere.

    (da Plinio, cit.)

    DROMEDARIO

    LOriente nutre fra il bestiame di grossa taglia i cammelli, le cui spe-cie sono due: quello della Battriana e quello di Arabia; sono diversi per-ch gli uni hanno due gobbe sul dorso, gli altri una sola sul dorso e la se-conda sotto il petto, sulla quale si sdraiano. [.] Tutti poi adempiono col loro dorso la funzione di bestie da soma e servono anche da cavalleria nelle battaglie. [.] Si trovato il modo di castrare anche le femmine, per prepararle alla guerra: cos diventano pi forti, se viene negata loro la possibilit dellaccoppiamento.

    (da Plinio, cit.)

    Alfabetieri

  • 33Il piede e lorma

    ELEFANTE

    Il pi grande [tra gli animali terrestri] lelefante ed anche il pi vicino alla sensibilit delluomo, in quanto questi animali comprendonio il linguaggio del luogo in cui sono nati ed obbediscono ai comandi, sono capaci di ricordare gli esercizi che hanno imparato ad eseguire, prova-no desiderio di amore e di gloria; inoltre, complesso di virt rare anche nelluomo, hanno onest, prudenza, senso di giustizia, perfino rispetto religioso verso gli astri, e venerano il sole e la luna.

    (da Plinio, cit.)

    La natura dellelefante questa: se cade, non capace di rialzarsi, perch non ha giunture nelle ginocchia. E in che modo cade? Quando vuol dormire si appoggia ad un albero e si addormenta.

    (da Il Fisiologo, II-IV sec.)

    Alfabetieri

  • 34 Il piede e lorma

    Marcello Carlino

    Alfabetiere degli animali di arti e lettere. Dalla A alla G, la prima sequenza di tre

    AAlla A ci metto lalbatro, questo sicuro. Lalbatro di Baudelaire span-

    ciato sul barcone, deriso dai marinai che gli imbeccano una pipa, cos figu-randolo da vecchio un po babbione, fingendolo ciondolante e come altic-cio, goffa caricatura di un navigatore di lungo corso.

    Lui, lalbatro ormai costretto a terra, il poeta cacciato in esilio con foglio di via obbligatorio, lo sappiamo. La modernit (solo la modernit? non vicenda plurisecolare, che comincia da che mondo mondo, piut-tosto?) gli ha tarpato le ali, facendogli diniego del cielo, dove volava alto, sublime.

    Lo stato scuorante e derelitto del regale uccello dei mari, inarrivabile, straordinario testimonial baudelariano, immagine vicaria del poeta ormai senza aureola e quindi di una poesia con la sua aura inquinata e dispersa ed oscurata, non lo si pu, non lo si deve pretermettere mai. Per questo lo poniamo, e sta che una bellezza, ad apertura dellalfabetiere. Perch d spunto alla acuta ironia di una scrittura tenutasi ironicamente in minore, sommessamente quotidiana e ingegnosamente autoriflessiva per pratica di straniamento; o perch riassetta e muta il grottesco della sua posa coatta, storicamente determinata, in una sollecitazione intemperante e in una ri-apertura proiettiva delle forme del testo; o perch induce lutopia di una pienezza ritrovata e di un faro riacceso giusto i phares di cui altrove nelle Fleurs du mal epper sapendone lazzardo e scontando in chiaro-veggenza laleatoriet del sogno di un altrove, di un enclave libero e di un modo pi che umano dellesserci della storia, atteso irrimediabilmente da un amaro risveglio (e cio vivendo una offerta di s del poeta coronata da uno straziante sacrificio); o perch inquadra a fronte il volo di specie consimili, e cio di falchi in alto levati, a condizione che la loro distanza appaia abissale e sia fatta vicina, a paragone, tanto da rendersi stringente e soffocante, la panie del male di vivere.

    Insomma, la pi grande poesia del Novecento riv allalbatro come mo-

  • 35Il piede e lorma

    strato nel rcit di Baudelaire e si trova a condividerne la sorte o a vedersi specchiata in essa, quando a seguito di un atto estremo di lucida consape-volezza, quando, considerate meteorologia e rotte tracciabili, e affrontate e patite turbolenze e depressurizzazioni, per essersi indirizzata obbligato-riamente lungo la sua scia, battendone di necessit le piste e calcandone le orme lasciate sulla terra, ora che vi stato fatto cadere, exil da un paradiso irrimediabilmente perduto.

    Lanimale in A qui unallegoria, dunque; durevole allegoria (valevole in questi albori del terzo millennio allo stesso modo e forse pi che nello scorcio finale del secondo) straricca di significato e di valore indicativo.

    Per lo pi, invece, hanno la secchezza riducente di una scelta dirigistica e di una arroganza scriteriata senza uno straccio di giustificazione ed hanno la portata, comunque, di una mistificazione imbonitrice la coopta-zione o la mutuazione dellaquila quale intoccabile, sacra regina dei cieli e la convivenza con essa more uxorio, tanto che essa si presenti come in un corpo solo con la poesia, tanto che si candidi a suo simbolo. Gadda, con una vaga intonazione blasfema, lui che pure era assai riguardoso, e cerimo-nioso, nel suo libro delle Favole dice laquila uccello di Dio. E ci basta, tanto pi se siamo persuasi di quale e quanto peso possa misurare lombra di un dio, qualunque identit e nome gli siano dati, e dunque come, ma-schilista e fallocentrica, lombra sua gravi e prema da couvercle dun ciel bas et lourd quando la vogliamo e duriamo a tenerla sospesa su di noi.

    BIl bove, solo o in gruppo, quello che ci vuole per la casella del bestia-

    rio destinata alla B. Distinguendo tuttavia, e facendolo con cura, razze e talenti speciali e prerogative e mansioni assegnate.

    Chi di noi, che abbiamo tarda et, non ricorda di aver mandato a memo-ria, gi nei primi anni della scuola dellobbligo, quel Tamo, pio bove che inaugura una lenta e maestosa schidionata di versi?

    Lo stile di Carducci classico, antico per invito fededegno della scuola storica di secondo Ottocento, sostenuto quanto sostenuta la lezione di un professore dellaccademia dantan (dantan, certo; ma a volte, spesso purtroppo, continua ad essere a noi contemporaneo il professore daccade-mia impettito e saccente, con la sua lezione infine bolsa); impropriamente, improvvidamente sostenuto anche qui, in un bozzetto agreste, nel vivo di una scena bucolica che ci aspetteremmo, che si vorrebbe semplice nel ta-glio, nella selezione e nella disposizione degli elementi. E invece, in que-sto quadretto bucolico che improvvidamente costruito, buono da fondale

    Alfabetieri

  • 36 Il piede e lorma

    datelier, il nominato animale da lavoro finisce aggiogato, davvero non per caso, al carro di un significato convenuto; ti si mostra cio addomesticato, acconciato per benino, coi fiocchi e i controfiocchi, ad uso della morale corrente.

    Il bove paziente di una pazienza incrollabile, infinita; dolci e sereni, placidi i suoi occhi che contengono e riflettono la natura intera (e del gra-ve occhio glauco entro laustera / dolcezza si rispecchia ampio e quieto / il divino del pian silenzio verde), composti e plasticamente cadenzati i suoi movimenti (o che solenne come un monumento), il bove una forte, fedele spalla delluomo nellopera dei campi (lagil opra de luom grave secondi; il calco leopardiano, ma radicalmente cambiato di intenzione, spostato di indirizzo semantico); il suo lafflato di unatavica saggezza fattasi testimonianza, musica (inno) che si effonde (Da la larga narice umida e nera / fuma il tuo spirto, e come un inno lieto / il mugghio nel sereno ar si perde).

    Non conseguente, allora, e non traspare de plano, inferirne e intanto assicurare in premessa, per bocca del poeta che scambia come un segno di pace e invita il lettore a corrispondergli, che lui, il pio bove chiamato col tu, procura un sentimento / di vigore e di pace e ne senza alcun dub-bio la fonte, lispiratore, il donatore: lui-tu che mite al cor minfondi?

    Questa di Carducci, nel gruppo delle Rime nuove, una poesia di ge-nere, non la sola per altro; e in uno spazio aperto che sa impressionistica-mente di plein air in uno spazio in cui la vita naturale si finge riportata allo stato puro, allessenza originaria, e cos ritrovata nella sua idealit latmosfera si colora nitidamente di idillio. Tanto che, a rischio di misinter-pretazione, nellanimale pio, che gi aveva fatto comparsa e svolto il suo compito pazientemente consolatorio nella divina mangiatoia, qualcuno ha voluto ravvisare ora, su di un tale piancito di rime, un attore che recita da solo, sotto le luci della ribalta, la parte della forza universale che promana da una natura che benefica e generosa, soccorrevole madre.

    Nondimeno, nel sonetto carducciano in analisi, che sa di genere come un vino pu sapere di tappo e che in ossequio a una scrittura di genere non lesina i luoghi comuni, il pio bove, altro che corifeo con nobilissimi quarti simbolici, o personaggio da georgica senza la contaminazione di commit-tenze, piuttosto un animale alla Esopo. Lo vedi che tagliato, adattato, truccato lui malgrado come gli animali di Esopo sono tagliati, adattati, truccati ad immagine e somiglianza dei tipi umani, in funzione delle cate-gorie di genere in cui possono essere riassunti gli atti e i comportamenti delluomo. Ci vuole la mitezza, la rassegnazione? Ed eccoti pronto il bove

    Marcello Carlino: Alfabetiere degli animali di arti e lettere. Dalla A alla G, la prima sequenza di tre

  • 37Il piede e lorma

    che te la rappresenta: o che al giogo inchinandoti contento / lagil opra de luom grave secondi: / ei tesorta e ti punge, e tu co l lento / giro de pazienti occhi rispondi (e si compulsi la sequela dei termini in uso nella seconda quartina: inchinandoti, contento, pazienti occhi pazienti e davvero stoici se in risposta allodioso ti punge evidenziano una con-dizione di sottomissione, di servaggio accettati senza rimostranza alcuna, in un percorso che se non di santit poco ci manca).

    Eccoti pronto il bove, che te la rappresenta in Carducci, come, magari compreso in una mandria tirata a lucido, te la rappresenta in Fattori, nei cui quadri la razza la diresti di pregio, di buon sangue italiano, anzi toscano.

    Di sicuro il bove innocente; e forse la stessa colpa di Carducci pre-terintenzionale. Fatto sta che, su di una cotale quinta da idillio, e proprio perch trattasi del genere dellidillio, si d ad intendere che il lavoro dei campi fatica da grande bellezza, che lopra con laratro e la marra (altro che Leopardi) da benedire con la mitezza e la pazienza di un bove santo, che come fa un bove santo giusto accettarne forme e logiche (e stare alla dialettica servo-padrone connessa, dove il bove sempre servo, come sempre pi spesso servo luomo delluomo), che la rassegnazione la virt massima, che a consigliarla e a richiederla e a certificarla la buona madre natura, che il tipo delluomo soggiogato alla sua sorte, per grama e disumana che essa sia, questo il tipo da privilegiare, da riservargli il paradiso, da tenere addirittura in odore di santit.

    Il bove nel testo che abbiamo mandato a memoria tanti anni fa e che il suo messaggio subliminale lha belle scodellato fin dal principio, av-viando per tempo la sua campagna di persuasione occulta a danno di tante coscienze si ritrova cos impiegato, anzi forzato in un pluslavoro ideolo-gico e politico, che saggiunge alle pesanti prestazioni dopera, di supporto bestiale ai coltivatori diretti, per le quali pure stato addestrato non senza le punture dolorose e lo strazio dellassillo. Cornuto e pure mazziato, dun-que; mazziato nella realt e doppiamente mazziato sulle pagine sistemate prosodicamente da Carducci.

    Lo sfruttamento animale da parte delluomo stato ed senza freno, senza ritegno. Stavolta succede che lo si adoperi da garante e da motivato-re per lo sfruttamento delluomo da parte delluomo, mentre la letteratura che lo voglia o meno, che sia premeditato o colposo il suo gesto viene colta con le mani nel sacco, coinvolta nelle dinamiche del potere e al po-tere asservita magari da serva sciocca (cpita, cpita; non detto davvero che quelle dinamiche le siano risparmiate per imprinting e per diritto di famiglia, come qualcuno pure sindustria a sostenere).

    Alfabetieri

  • 38 Il piede e lorma

    Diceva di amare il Virgilio georgico e, nel Fanciullino, a me pare pro-prio che sbarelli quando, accennando pressappoco a figure quali i coltiva-tori diretti, spacciava per reale un mondo di libera imprenditoria agricola liberamente concorrente, nel quale tutto sano e tutto bello, tutto in linea con un socialismo umanitario. Eppure, se tra i due qualcuno bisognasse salvare secondo le classiche regole del gioco, non precipiterei gi dalla torre Pascoli. Tra Carducci e Pascoli io preferisco Pascoli. Io dico che sono meglio i bovi di Pascoli: i bovi da stalla non i bovi statuari che svettano su campi aperti nellimpressionismo del plein air; i bovi che se ne stanno in penombra, mentre una luce bianca alla Segantini si posa sulle figure di pri-mo piano; i bovi che quindi non mostrano muscoli potenti tuttintorno ad occhi placidi ed austeri; i bovi che si riposano dal lavoro e hanno smesso la loro sacra e monumentale gravezza; i bovi ancora miti, ma che di mite hanno soltanto il verso, anzi neppure il verso, il rimastico mite. I bovi che non impetrano n esigono, qui almeno, una imitatio bovis.

    Ad apertura dei Canti di Castelvecchio, intitolandosi alla poesia il testo liminare investito cos della responsabilit di una declaratoria di poetica, i bovi collaborano alla colonna sonora; e la loro musica daccompagna-mento attenua, copre, cancella la portata ideologica e il valore esemplare, buoni per tirarne una morale, dei ruoli in copione altrove previsti per loro. Finch quel rimastico mite, in sordina, piano piano diviene, sullonda dei novenari, dominanza di un ritmo sommesso, quasi una nenia, ormai lonta-na, dissonante dalla asseverativit impettita e saccente (niente pi in verit, questa asseverativit, del ruggito di un topo) della scrittura poetica.

    CViva Caravaggio, che ci regala per la lettera C il suo cavallo. Caravaggio, forse edotto e comunque stimolato dal suo non facile rap-

    porto con lumano consorzio, ipotesi fondata lipotesi regge per il vero a pi di una verifica ritenerlo interessato ad una filosofia animalista. Che il pi delle volte, e non per un di pi di integralismo vicino a tracimare, motiva una classifica nella quale luomo, come animale ma pervertito, tra i peggiori del regno, perde dinfilata posizioni e si mostra incapace di ri-guadagnarle. Tanto che non conviene dargli troppo spago o riconoscergli primazie ideali.

    Ebbene, Caravaggio opera pittoricamente una piena restituzione del-la dignit animale, a discredito dellumana compagnia, nella Conversione di San Paolo, terminata quando appena scoccato il XVII secolo, che si impone allo sguardo, grandiosa, in Santa Maria del Popolo a Roma. E che

    Marcello Carlino: Alfabetiere degli animali di arti e lettere. Dalla A alla G, la prima sequenza di tre

  • 39Il piede e lorma

    non atto di blasfemia asserire che proceda ad una valutazione compara-tiva libera, senza pregiudizi, che sembra perfino non pagare lo scotto dei condizionamenti catechistici della Chiesa della Controriforma.

    Riandando al titolo, tenuto lungamente in caldo e poi accantonato, di un romanzo tra i pi grandi del Novecento italiano, la Conversione di San Paolo caravaggesca ha tutto per essere rinominata ci che varrebbe a disvelarne il senso profondo Liberare lanimale.

    Lo ammetteva, del resto, lo stesso Longhi. Con quella criniera fluente che copre in larga misura il dorso e il manto e che asseconda la discesa della luce salvifica (la luce di Dio?), con le masse e i volumi suoi a campire la met superiore del quadro, con la testa sculturale e sculturalmente solida di una atavica saggezza tenuta per la cavezza da una sorta di stalliere (lo abbiamo gi visto e lo rivedremo tra le comparse arruolate da Caravaggio per i suoi dipinti), con le sue terga che con la testa fanno da stipiti per il boccascena della rappresentazione mentre preannunciano le rotondit sode del ventre e dettano il ritmo delle successive riprese delle sequenze dei corpi, con quello zoccolo sospeso sul corpo di Saulo (il quale Saulo si dichiara in un gesto daccoglienza per tanto le sue braccia allargate, utili alla comprensione e alla sottolineatura degli arti, zampe o gambe, che saffollano al centro della scena e le cui linee ora sono ripetute in pa-rallelo, ora sono intrecciate agendo da assi portanti ; e Saulo si offre alla luce, forse di Dio, o allo zoccolo del quadrupede, forse strumento della Provvidenza, come un animale presenta la sua pancia inerme in segno di resa): in forza di questo disporsi e comporsi di segni e di forme, il cavallo non v dubbio alcuno che qui sia il protagonista principe. Lui leventuale intercessore del miracolo, lui la funzione dominante (con quel suo zoccolo sospeso, che sembra avere lincarico di condannare o di assolvere, come la mano della giustizia) nel sistema attanziale del narrato.

    Nella valutazione comparativa promossa dalla tela di Santa Maria del Popolo e lasciata al lettore attento, il cavallo vince, perch, come pu acca-dere quando data libert alla meraviglia ideativa e descrittiva di un bam-bino che filosofo animalista per antonomasia, Michelangelo Merisi, da strepitoso pittore che mal sopporta convenzioni e generi, destina al cavallo linquadratura-chiave sotto locchio di bue. E perch al cavallo qui, nella strutturazione delle parti, delegata insomma la scelta dirimente.

    Calcher su corpo di Saulo il suo zoccolo sospeso o redimer il pecca-tore frenando limpeto e limitando alla luce che viene dallalto e scende folgorante lungo le membra della sua robusta complessione corporale il contatto con luomo luomo andato per le terre e steso sul suo mantello

    Alfabetieri

  • 40 Il piede e lorma

    come su un drappo da teatro cos da convertirlo (e cos da disperdere il troppo umano che alberga in lui)?

    Dio o demiurgo, e primancora che le storie sacre ci dicano come andata a finire (e come si dice che sia andata a finire, quanto allintentio operis, irrilevante o quasi), il cavallo di Caravaggio vince a mani basse, vivaddio; e cos nel confronto, a disdoro del sacro, gabbato lo santo.

    La Conversione di San Paolo, in aggetto sul palcoscenico di un vigoro-so, potente dramma barocco, ha molto per essere una laica conversazione. Che Dio ce la conservi. E con il cavallo di Caravaggio ci conservi, per larte e altrove, una sana visione anti-antropocentrica.

    DCavallo chiama dromedario. Nella casella della D ci sta il dromedario,

    infatti. E ci sta di diritto, anche per let sua, che in pittura maggiore, poich la comparsa di questo esemplare risale allanno domini 1563 (con la giunta del 1564) e dunque precede quella del cavallo di Caravaggio che fa ombra a Paolo di Tarso.

    San Marco per i veneziani un mito, il simbolo massimo. E a Venezia, che antichissima, storica, antesignana citt di commerci, doveva pure accadere che i mercanti venissero immortalati, riscattati da pecche se non beatificati, loro i detentori del potere economico e politico, loro immuni da pubblici decreti di espulsione e invece accreditati di un pieno diritto di domiciliazione nel tempio.

    Il tema del trafugamento delle spoglie dellevangelista, e quindi della sua restituzione per il culto al popolo della Serenissima, per quanto detto, non doveva considerarsi secondario. A rendersene attori, vista la predile-zione della citt lagunare per leconomia del terziario, quindi credibile che siano stati chiamati due imprenditori di commercio ( unipotesi, na-turalmente; come resta unipotesi che il sacro gesto furtivo il dipinto lo attribuisca ai cristiani di Alessandria, devotissimi al loro vescovo, secondo quel che di recente stato argomentato).

    Comunque, in una scatola scenica chiusa da un palazzo porticato e fron-talmente da una possibile chiesa (le procuratie, la basilica?), su di una rete di flussi dinamici di anonime comparse segnate da biancori lattescenti, nel-la dispersione sotto spinte centrifughe di personaggi non meglio specificati che si scorgono abbandonare precipitosamente la partita, mentre profili come fosforescenti cos pure in Tiziano, nello stesso giro di anni sago-mano spigoli di pareti, volute di facciate e affioramenti antropomorfi illu-minandosi come fuochi fatui, e mentre il cadavere, sistemato in una sorta

    Marcello Carlino: Alfabetiere degli animali di arti e lettere. Dalla A alla G, la prima sequenza di tre

  • 41Il piede e lorma

    di deposizione secondo canone, sembra che sia oggetto di una contesa, con chi lo tira di qua e chi lo tira di l, Tintoretto si adopera a fissare sulla tela, per la scuola omonima, un episodio cruciale della storia post mortem del santo titolare della citt, che beneficer, rimpatriato e accasato come conviene, del leone e dei bronzei cavalli.

    Ora, io che amo Tintoretto, amo del Trafugamento del corpo di San Marco soprattutto la sensazione di caos, che giudico incontenibile. Si di-rebbe che conti soprattutto, per il grande pittore, la forza trascinante dello spettacolo (forse non senza motivo che proprio sullestrema destra, in basso, un signore che protende verso di noi il capo arrovesciato si aggrap-pi ad un telo che potrebbe essere candidato a sipario); e si direbbe che la sorpresa di un evento improvviso (magari di un temporale da diluvio che viene a capo del rogo destinato alle spoglie sante) e le reazioni svariate della folla (la scena corale, senza dubbio) meritino la massima attenzione e sconvolgano qualsiasi ordine narrativo, con i ruoli connessi. Certo che non dato capire io almeno non sono riuscito mai a capirlo quali siano i trafugatori e chi invece eventualmente si opponga e resista; n si com-prende cosa ci faccia in terra un uomo che ha in mano una fune, se voglia portare dalla sua parte il camelide riottoso o ne sia al contrario portato, scosso per intanto. Anche il corpo del santo, che sembra oggetto di conte-sa, preso in questo bailamme, vacillante come appare sopra quello che potrebbe essere il lenzuolo funebre.

    Lunico a restare imperturbabile il dromedario; tanto che sfido chiun-que a precisare quale ruolo giochi nella rappresentazione e con chi sia fatto schierare. So che sta l, serafico, come fuori spazio e fuori tempo, lontano dalla mischia, dai gesti simbolici (il pi delle volte, inscritti in una simbo-logia del potere) degli uomini.

    Mercanti ovvero cristiani di Alessandria, il loro un concorrere per un miracolo piccolo piccolo ottenuto subornando gli infedeli; il miracolo grande quello, semmai, mostrato dalle forme multivarie della natura, che incontri inaspettate e insospettate, spaesanti, strabilianti. Insomma, sbalor-ditivi dovevano riuscire, per Tintoretto e per tanti suoi coetanei, gli ani-mali daltre terre, spesso mai viste, magari un dromedario, che diventava essenziale, allora, quando capitasse, e sia pure di straforo, meglio se di misure imponenti, fermare nella memoria con le linee i colori, dandogli tutto il risalto possibile, e se possibile anche un risalto maggiore di quello conferito alla storia del santo (per altro, nel quadro, la testa del dromedario perfettamente in linea, manco a farlo apposta, con la testa di San Marco).

    Tintoretto il suo bestiario se lo cura; ricorder di lui i due cavalli ri-

    Alfabetieri

  • 42 Il piede e lorma

    finiti con somma perizia che stanno ai lati del luogo della Crocifissione nella Scuola di San Rocco. Ma per il dromedario mostra una predilezione speciale; e il suo dromedario ci rammenta come arti e lettere peschino nel regno animale le figure di quel meraviglioso esotico che segnale del de-siderio, che via di una necessaria ricerca di alterit. Un loro termine a quo, un loro termine ad quem.

    ESotto la E trovano riparo due esemplari di taglia diversa. Uno lermellino, quello cos bianco da parere glabro, tenuto in grem-

    bo dalla Dama di Leonardo, dipinta presumibilmente tra il 1488 e il 1490.Certo, il mustelide arruolato dapprincipio per funzioni ancillari; sin-

    golare animale da compagnia, gli si attribuisce un mandato simbolico di rinforzo alle virt di lei, che si vuole sia Cecilia Gallerani, amante ven-tenne di Ludovico il Moro. E ce un possibile gioco onomastico, tra il cognome del personaggio femminile e il nome greco dellermellino, gal, a suggerire la liason e a farla stretta.

    Lagile bestiola, sappiamo, i bestiari medievali la raccomandano come depositaria di intelligenza, e pure di equilibrio, e pure di moderazione. Niente di pi consono al soggetto, pour cause idealizzato e quasi rivisto agiograficamente, del ritratto cortigiano dipinto a Milano presso gli Sforza.

    Per giunta, la nuova maniera leonardesca, che dismetteva la consueta location paesistica, in cui la natura per via di sfumato entra in simbiosi con la figura umana, richiedeva una scelta puntualissima delle posture, dei co-stumi, dei reperti iconografici completivi. Perci, nella Dama con lermel-lino, la nettezza della linea, tale da esporre volto e incarnato sbalzandoli sullo scuro del fondale di una scatola chiusa, di uno spazio dinterno; per-ci il provenire della luce da fuori, da un punto imprecisato, e lorientarsi della giovane nella sua direzione, come in un corrispondersi fatto di cenni di richiamo nel segno della spiritualit o di rapimenti assorti in un mondo di bellezza (e v chi ne ha tratto conferma per la poetica dei moti mentali, quali regolatori delle immagini vinciane); perci laltissima definizione delle vesti indossate, di raso e velluto, e dei fregi della manica, e dei motivi floreali sullo scollo; perci lovale perfezionato dai capelli allisciati e fat-tisi cuffia; perci le simmetrie in gran numero, dal doppio filo orizzontale che circonda la fronte (e che pone in evidenza occhi, naso e bocca) al semi-cerchio di perle nere che sul bianco della pelle fa eco ad una linea dombra, dalle parallele della collana al rettangolo dellabito, dal mento alla mano al dorso del mustelide che si piegano, tutti bianchi, tenuemente ombreggiati,

    Marcello Carlino: Alfabetiere degli animali di arti e lettere. Dalla A alla G, la prima sequenza di tre

  • 43Il piede e lorma

    in un lieve moto curvilineo; perci lanimaletto da compagnia per comple-tamento della scena e per supplemento simbologico: in questo sistema di equivalenze, di parallelismi, va da s che lermellino si trovi perfettamente a suo agio: epper non stigma apposto, ma figura interna, coessenziale alla rappresentazione.

    Proprio per questa sua condizione interiorizzata, tuttavia, le significa-zioni derivate dai bestiari medievali, e aggiunte per decoro e per omaggio, non sembrano potersi pi percepire con la precisione, o spiccare con il rilievo, che una pittura encomiastica richiede.

    A distanza di secoli, chiaro che non possediamo pi i riferimenti sim-bolici che si dichiaravano convenienti allermellino: lintelligenza, lequi-librio, la moderazione. Ma prima ancora che il tempo e la sua scolorina, proprio il modo dellarte e della grande arte di Leonardo ad aver rifunzionalizzato lermellino in grembo alla Dama ritratta, ripassando di pi e meglio la spola delle funzioni di senso di cui latore, liberandolo cos dalle semantizzazioni sclerotizzate e arbitrarie, dalle superfetazioni di cui era caduto vittima (lui gi e ancora vittima della crudelt senza freni delluomo cacciatore di pellicce per innaturale amore del superfluo).

    Per questo abbiamo scritto sopra che lermellino di Leonardo ci appare glabro; senza i rivestimenti, le pellicce posticce di cui stato fatto stru-mentalmente oggetto, lui riprende a vivere di unaltra vita nella contestua-lit organica dellopera che lo ospita, e in un quadro fitto di parallelismi, o di principi di equivalenza postisi sullasse della combinazione, si rende fattore strutturante in convivenza una convivenza alla pari, vicendevol-mente necessitante con gli altri fattori che insieme collaborano al poli-senso del testo. Lintelligenza, lequilibrio, la moderazione: nella Dama con lermellino c dellaltro e di pi, anche grazie alle interferenze alle quali partecipa da protagonista la bestiola, il cui musetto si detto che come se replicasse in piccolo il volto di Cecilia.

    Lermellino , infine, rebus sic stantibus, prova irrefutabile della for-za dellautonomia relativa di arte e letteratura, quando riescono ad essere allaltezza del compito loro.

    Ma passiamo ora allaltro animale, di specie diversa e di taglia netta-mente pi grande, che abita la casa della E. Stiamo dicendo dellelefante, di quello del Pianeta irritabile, 1978, di Paolo Volponi. Lui, nel romanzo distopico dello scrittore urbinate, che pure profila sullo sfondo, in dialetti-ca, una perplessa utopia, con loca e con il nano (che lunico, della specie uma