PIE DEL FUTURO Combattere il cancro attaccandone la...

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Combattere il cancro attaccandone la vascolarizzazione Impedendo lo sviluppo dei capillari che irrorano le masse tumorali, è possibile provocare la regressione del cancro o arrestarne la crescita di Judah Folleman I capillari proliferano; il tumore comincia a crescere TUMORE IN SITU 112 LE SCIENZE n. 339, novembre 1996 Le cellule endoteliali nel capillare / liberano fattori di crescita proteici Le cellule tumorali liberano proteine angiogeniche e riducono i livelli di inibitori dell'angiogenesi Il tumore continua a espandersi e finisce per diffondere in altri organi I liRA PIE DEL FUTURO la loro formazione in un tessuto sano, e così, a meno che le cellule anomale non inducano vascolarizzazione, la mas- sa non può ingrandirsi oltre le dimensio- ni di un pisello. Quindi, se si riuscisse a determinare in che modo le cellule mu- tate inducono l'angiogenesi e, cosa an- cor più importante per i pazienti, come si può interrompere il processo, si trove- rebbe una nuova e potente terapia antitu- morale. Inoltre, dato che le sostanze an- tiangiogeniche interrompono la crescita di nuovi vasi ma non attaccano quelli esistenti, esse non dovrebbero in teoria recare danni ai vasi sanguigni che irrora- no i tessuti sani. Gli studi sull'importanza dell'angio- genesi nella progressione del cancro so- no da diversi decenni un settore assai at- tivo dell'indagine di laboratorio; io stes- so scrissi uno dei primi articoli sull'argo- mento a metà degli anni settanta (si veda l'articolo La vascolarizzazione dei tumo- ri di Judah Folkman m «Le Scienze» n. 97, settembre 1976). Ma solo negli ul- timi sette anni le ricerche sono passate dai laboratori agli ospedali. Nel 1989 è cominciata la prima sperimentazione cli- nica di un agente antiangiogenico - l'in- terferone alfa - per il trattamento delle forme più gravi di emangioma (un tumo- re non maligno dei vasi sanguigni che in- sorge nella prima infanzia). Nel 1992 è entrato in fase di speri- mentazione il primo farmaco antiangio- genico per pazienti affetti da cancro, il TNP-470 (un analogo sintetico di una sostanza naturale, la fumagillina). I primi studi si limitavano ad alcuni tipi di tumo- ri, ma la Food and Drug Administration ora permette ai medici di somministra- re sperimentalmente TNP-470 in un'am- pia gamma di tumori umani. Negli ultimi quattro anni, almeno altri sette inibitori dell'angiogenesi sono entrati in fase di sperimentazione per il trattamento di for- me avanzate di cancro, e uno di essi vie- ne attualmente sperimentato anche in pa- zienti che soffrono di un'anomala vasco- larizzazione degli occhi. Le attuali indagini sulle applicazioni pratiche dei composti antiangiogenici ri- flettono anni di lavoro svolto da molti ri- cercatori: troppo numerosi, purtroppo, per poterli elencare in questo breve spa- zio. Per esempio negli ultimi anni si so- no identificate almeno 14 proteine di- verse, presenti nell'organismo, che pos- sono indurre la formazione di nuovi vasi sanguigni, nonché molte altre che posso- no bloccarla. Recentemente si è trovato che uno di questi inibitori naturali del- l'angiogenesi è normalmente sotto il controllo del gene oncosoppressore p.53, che si ritiene coinvolto in vari tipi di cancro. Seguendo questi indizi, i ricerca- tori continuano a perfezionare le cono- scenze scientifiche sul ruolo dell'angio- genesi nella proliferazione tumorale e sui modi per bloccarla. C ome accade per quasi tutti gli a- spetti della progressione del can- cro, l'angiogenesi distorce un processo biologico normale, in questo caso la re- golazione della crescita di nuovi vasi sanguigni. I capillari - ognuno dei quali, come il nome stesso vuole suggerire, è più sottile di un capello - sono disposti così fittamente che quasi ogni cellula sa- na dell'organismo può vivere diretta- mente sulla superficie di uno di essi. Se una cellula sana diventa neoplastica e co- mincia a dividersi rapidamente, le cellule figlie che ne risultano si accumulano in una massa microscopica. Via via che si impilano l'una sull'altra, le cellule si tro- vano sempre più lontane dal capillare più prossimo. Dopo che si sono accumulati alcuni milioni di queste cellule, il piccolo tumore - carcinoma in situ - cessa di espandersi ed entra in uno stato quie- scente, nel quale il numero di cellule che muoiono eguaglia il numero di cellule che proliferano. La restrizione dimensio- nale è dovuta in parte alla carenza di so- stanze nutritive, fattori di crescita protei- ci e ossigeno. Questi minuscoli carcino- mi possono essere riconosciuti se si tro- vano sulla cute o sulla cervice uterina, ma quelli situati nella mammella, nel polmone o nel colon possono rimanere occulti per molti anni. Purtroppo non di- sponiamo attualmente di alcuna tecnolo- gia capace di rivelare la maggior parte dei piccoli tumori in situ negli organi in- terni senza che il tessuto venga rimosso ed esaminato al microscopio. Dopo molti mesi, o anche anni, in questo stato quiescente, un tumore in si- tu può indurre bruscamente la crescita di nuovi capillari e cominciare a invadere il tessuto circostante. Il tumore attiva proteine naturalmente presenti nell'or- ganismo che promuovono la neovasco- larizzazione. Le cellule tumorali mutate possono produrre esse stesse elevati li- velli di queste proteine; in alternativa, possono mobilitare proteine ad attività angiogenica che si trovano nei tessuti circostanti o stimolare altre cellule, co- me i macrofagi, a secernere proteine di questo tipo. Tuttavia, anche dopo aver impiegato questi meccanismi, le cellule maligne possono non riuscire a indurre l'angio- genesi. Recenti scoperte effettuate dal gruppo di Noel Bouck alla Northwestern University e da quello di Douglas Ha- Dopo un trattamento con farmaci antiangiogenici, il tumore si riduce dimensionalmente nahan all'Università della California a San Francisco indicano che certe cellule tumorali sintetizzano due tipi di proteine: uno che stimola l'angiogenesi e l'altro che la inibisce. L'equilibrio fra queste due sostanze è ciò che determina se il tu- more riuscirà o meno ad attivare l'angio- genesi. Gli esperimenti indicano che la capacità di stimolare l'angiogenesi di- pende con tutta probabilità da una ridu- zione della sintesi di quelle proteine che inibiscono il processo. Così, a tutti gli ef- fetti, le cellule tumorali ad attività angio- genica annullano i freni naturali alla dif- fusione di nuovi capillari: una volta che in un tumore l'angiogenesi è stata attiva- ta, tende a non interrompersi più. Quando la neovascolarizzazione ha avuto inizio, centinaia di nuovi capillari convergono sul minuscolo tumore; cia- scun vaso presenta ben presto uno spesso rivestimento di cellule neoplastiche in rapida divisione. Alcune di queste cellule non sono angiogeniche, ma sono comun- que alimentate da capillari reclutati da cellule vicine. Ora il tumore può espan- dersi rapidamente: nel giro di qualche mese la massa può raggiungere dimen- sioni di un centimetro cubo e contenere circa un miliardo di cellule tumorali. Le cellule endoteliali che hanno co- minciato a dividersi promuovono ulte- riormente lo sviluppo della malattia se- cernendo almeno sei proteine differenti che possono stimolare la proliferazione o la motilità delle cellule tumorali. Per esempio, nel cancro della mammella, le cellule endoteliali dei capillari reclutati nel tumore producono interleuchina 6, che può aumentare la probabilità che cellule neoplastiche lascino il tumore, migrino nel circolo e diffondano in altri organi. Alcune delle metastasi conten- gono cellule che sono già angiogeni- che e quindi crescono rapidamente; al- tre metastasi, tuttavia, includono molte cellule non angiogeniche e possono ri- manere silenti per anni, diventando an- giogeniche solo molto tempo dopo il trattamento chemioterapico o la rimo- zione del tumore primario. L'angiogenesi - o neovascolarizzazione - comporta la proliferazione di nuovi vasi sanguigni. Questo processo trasforma un aggregato piccolo e generalmente in- nocuo di cellule anormali (tumore in si- tu) in una grande massa capace di diffondere in altri organi. I farmaci che tentano di interferire con l'angiogene- si - per esempio, bloccando l'azione del- le proteine ad attività angiogenica - pos- sono ridurre le dimensioni dei tumo- ri e mantenerli in uno stato quiescente. LE SCIENZE n. 339, novembre 1996 113 / capillari - vasi di piccolissimo cali- bro - si estendono pressoché in tutti i tessuti corporei, rifornendoli di sostanze nutritive e asportando i prodotti di rifiuto. Quasi in ogni condizione, i ca- pillari non aumentano di dimensioni o numero, perché le cellule endoteliali che li rivestono non si dividono. Ma occa- sionalmente - per esempio durante il ci- clo mestruale o quando i tessuti dell'or- ganismo subiscono un danno - questi vasi cominciano a crescere rapidamente. La proliferazione di nuovi capillari, chiamata angiogenesi o neovascolariz- zazione, è tipicamente di breve durata e si interrompe in una o due settimane. Ma la neovascolarizzazione può an- che avere luogo in condizioni patologi- che: le cellule tumorali possono indurre angiogenesi. Via via che nuovi vasi san- guigni apportano sostanze nutritive e fattori di crescita, la massa tumorale può espandersi. In effetti la neovascolarizza- zione sembra essere uno dei passi cm- ciali nella transizione di un tumore da piccolo e innocuo aggregato di cellule mutate a massa maligna e di grandi di- mensioni, capace di diffondere in altri organi. Le cellule tumorali sono di solito incapaci di stimolare l'angiogenesi dopo

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Combattere il cancroattaccandonela vascolarizzazioneImpedendo lo sviluppo dei capillari che irroranole masse tumorali, è possibile provocare laregressione del cancro o arrestarne la crescita

di Judah Folleman

I capillari proliferano;il tumore comincia a crescere

TUMORE IN SITU

112 LE SCIENZE n. 339, novembre 1996

Le cellule endotelialinel capillare

/

liberano fattoridi crescita proteici

Le cellule tumorali liberanoproteine angiogeniche e riduconoi livelli di inibitori dell'angiogenesi

Il tumore continua a espandersie finisce per diffondere in altri organi

I liRA PIE DEL FUTURO

la loro formazione in un tessuto sano,e così, a meno che le cellule anomalenon inducano vascolarizzazione, la mas-sa non può ingrandirsi oltre le dimensio-ni di un pisello. Quindi, se si riuscisse adeterminare in che modo le cellule mu-tate inducono l'angiogenesi e, cosa an-cor più importante per i pazienti, comesi può interrompere il processo, si trove-rebbe una nuova e potente terapia antitu-morale. Inoltre, dato che le sostanze an-tiangiogeniche interrompono la crescitadi nuovi vasi ma non attaccano quelliesistenti, esse non dovrebbero in teoriarecare danni ai vasi sanguigni che irrora-no i tessuti sani.

Gli studi sull'importanza dell'angio-genesi nella progressione del cancro so-no da diversi decenni un settore assai at-tivo dell'indagine di laboratorio; io stes-so scrissi uno dei primi articoli sull'argo-mento a metà degli anni settanta (si vedal'articolo La vascolarizzazione dei tumo-ri di Judah Folkman m «Le Scienze»n. 97, settembre 1976). Ma solo negli ul-timi sette anni le ricerche sono passatedai laboratori agli ospedali. Nel 1989 ècominciata la prima sperimentazione cli-nica di un agente antiangiogenico - l'in-terferone alfa - per il trattamento delleforme più gravi di emangioma (un tumo-re non maligno dei vasi sanguigni che in-sorge nella prima infanzia).

Nel 1992 è entrato in fase di speri-mentazione il primo farmaco antiangio-genico per pazienti affetti da cancro, ilTNP-470 (un analogo sintetico di unasostanza naturale, la fumagillina). I primistudi si limitavano ad alcuni tipi di tumo-ri, ma la Food and Drug Administrationora permette ai medici di somministra-re sperimentalmente TNP-470 in un'am-pia gamma di tumori umani. Negli ultimi

quattro anni, almeno altri sette inibitoridell'angiogenesi sono entrati in fase disperimentazione per il trattamento di for-me avanzate di cancro, e uno di essi vie-ne attualmente sperimentato anche in pa-zienti che soffrono di un'anomala vasco-larizzazione degli occhi.

Le attuali indagini sulle applicazionipratiche dei composti antiangiogenici ri-flettono anni di lavoro svolto da molti ri-cercatori: troppo numerosi, purtroppo,per poterli elencare in questo breve spa-zio. Per esempio negli ultimi anni si so-no identificate almeno 14 proteine di-verse, presenti nell'organismo, che pos-sono indurre la formazione di nuovi vasisanguigni, nonché molte altre che posso-no bloccarla. Recentemente si è trovatoche uno di questi inibitori naturali del-l'angiogenesi è normalmente sotto ilcontrollo del gene oncosoppressore p.53,che si ritiene coinvolto in vari tipi dicancro. Seguendo questi indizi, i ricerca-tori continuano a perfezionare le cono-scenze scientifiche sul ruolo dell'angio-genesi nella proliferazione tumorale esui modi per bloccarla.

Come accade per quasi tutti gli a-

spetti della progressione del can-cro, l'angiogenesi distorce un processobiologico normale, in questo caso la re-golazione della crescita di nuovi vasisanguigni. I capillari - ognuno dei quali,come il nome stesso vuole suggerire, èpiù sottile di un capello - sono disposticosì fittamente che quasi ogni cellula sa-na dell'organismo può vivere diretta-mente sulla superficie di uno di essi. Seuna cellula sana diventa neoplastica e co-mincia a dividersi rapidamente, le cellulefiglie che ne risultano si accumulano inuna massa microscopica. Via via che si

impilano l'una sull'altra, le cellule si tro-vano sempre più lontane dal capillare piùprossimo. Dopo che si sono accumulatialcuni milioni di queste cellule, il piccolotumore - carcinoma in situ - cessa diespandersi ed entra in uno stato quie-scente, nel quale il numero di cellule chemuoiono eguaglia il numero di celluleche proliferano. La restrizione dimensio-nale è dovuta in parte alla carenza di so-stanze nutritive, fattori di crescita protei-ci e ossigeno. Questi minuscoli carcino-mi possono essere riconosciuti se si tro-vano sulla cute o sulla cervice uterina,ma quelli situati nella mammella, nelpolmone o nel colon possono rimanereocculti per molti anni. Purtroppo non di-sponiamo attualmente di alcuna tecnolo-gia capace di rivelare la maggior partedei piccoli tumori in situ negli organi in-terni senza che il tessuto venga rimossoed esaminato al microscopio.

Dopo molti mesi, o anche anni, inquesto stato quiescente, un tumore in si-tu può indurre bruscamente la crescita dinuovi capillari e cominciare a invadereil tessuto circostante. Il tumore attivaproteine naturalmente presenti nell'or-ganismo che promuovono la neovasco-larizzazione. Le cellule tumorali mutatepossono produrre esse stesse elevati li-velli di queste proteine; in alternativa,possono mobilitare proteine ad attivitàangiogenica che si trovano nei tessuticircostanti o stimolare altre cellule, co-me i macrofagi, a secernere proteine diquesto tipo.

Tuttavia, anche dopo aver impiegatoquesti meccanismi, le cellule malignepossono non riuscire a indurre l'angio-genesi. Recenti scoperte effettuate dalgruppo di Noel Bouck alla NorthwesternUniversity e da quello di Douglas Ha-

Dopo un trattamento con farmaciantiangiogenici,il tumore si riduce dimensionalmente

nahan all'Università della California aSan Francisco indicano che certe celluletumorali sintetizzano due tipi di proteine:uno che stimola l'angiogenesi e l'altroche la inibisce. L'equilibrio fra questedue sostanze è ciò che determina se il tu-more riuscirà o meno ad attivare l'angio-genesi. Gli esperimenti indicano che lacapacità di stimolare l'angiogenesi di-pende con tutta probabilità da una ridu-zione della sintesi di quelle proteine cheinibiscono il processo. Così, a tutti gli ef-fetti, le cellule tumorali ad attività angio-genica annullano i freni naturali alla dif-fusione di nuovi capillari: una volta chein un tumore l'angiogenesi è stata attiva-ta, tende a non interrompersi più.

Quando la neovascolarizzazione haavuto inizio, centinaia di nuovi capillariconvergono sul minuscolo tumore; cia-scun vaso presenta ben presto uno spessorivestimento di cellule neoplastiche inrapida divisione. Alcune di queste cellulenon sono angiogeniche, ma sono comun-que alimentate da capillari reclutati dacellule vicine. Ora il tumore può espan-dersi rapidamente: nel giro di qualchemese la massa può raggiungere dimen-sioni di un centimetro cubo e contenerecirca un miliardo di cellule tumorali.

Le cellule endoteliali che hanno co-minciato a dividersi promuovono ulte-riormente lo sviluppo della malattia se-cernendo almeno sei proteine differentiche possono stimolare la proliferazioneo la motilità delle cellule tumorali. Peresempio, nel cancro della mammella, lecellule endoteliali dei capillari reclutatinel tumore producono interleuchina 6,che può aumentare la probabilità checellule neoplastiche lascino il tumore,migrino nel circolo e diffondano in altriorgani. Alcune delle metastasi conten-gono cellule che sono già angiogeni-che e quindi crescono rapidamente; al-tre metastasi, tuttavia, includono moltecellule non angiogeniche e possono ri-manere silenti per anni, diventando an-giogeniche solo molto tempo dopo iltrattamento chemioterapico o la rimo-zione del tumore primario.

L'angiogenesi - o neovascolarizzazione -comporta la proliferazione di nuovi vasisanguigni. Questo processo trasformaun aggregato piccolo e generalmente in-nocuo di cellule anormali (tumore in si-tu) in una grande massa capace didiffondere in altri organi. I farmaci chetentano di interferire con l'angiogene-si - per esempio, bloccando l'azione del-le proteine ad attività angiogenica - pos-sono ridurre le dimensioni dei tumo-ri e mantenerli in uno stato quiescente.

LE SCIENZE n. 339, novembre 1996 113

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capillari - vasi di piccolissimo cali-bro - si estendono pressoché in tuttii tessuti corporei, rifornendoli di

sostanze nutritive e asportando i prodottidi rifiuto. Quasi in ogni condizione, i ca-pillari non aumentano di dimensioni onumero, perché le cellule endoteliali cheli rivestono non si dividono. Ma occa-sionalmente - per esempio durante il ci-clo mestruale o quando i tessuti dell'or-ganismo subiscono un danno - questivasi cominciano a crescere rapidamente.La proliferazione di nuovi capillari,chiamata angiogenesi o neovascolariz-zazione, è tipicamente di breve durata e

si interrompe in una o due settimane.Ma la neovascolarizzazione può an-

che avere luogo in condizioni patologi-che: le cellule tumorali possono indurreangiogenesi. Via via che nuovi vasi san-guigni apportano sostanze nutritive efattori di crescita, la massa tumorale puòespandersi. In effetti la neovascolarizza-zione sembra essere uno dei passi cm-ciali nella transizione di un tumore dapiccolo e innocuo aggregato di cellulemutate a massa maligna e di grandi di-mensioni, capace di diffondere in altriorgani. Le cellule tumorali sono di solitoincapaci di stimolare l'angiogenesi dopo

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LE SCIENZEquaderni

n. 69, dicembre 1992

a cura di Piergiorgio Strata

è dedicato alle

NEUROSCIENZEe contiene i seguenti articoli:

La tecnicadel patch clamp

di E. Neher e B. Sakmann

Le basi molecolaridella comunicazione fra cellule

di S. H. Snyder

Le sinapsinedi F. Benfenati

Formazione di sinapsidi R. E. Kalil

La plasticità del cervellodi C. Aoki e P. Siekevitz

Plasticità delle mappe sensorialidi F. Benedetti

L'anatomia della memoriadi M. Mishkin e T. Appenzeller

Vedere la memoriadi M. Raichle

Apprendimento e memoriain vitro

di P.G. Montarolo e S. S. Schacher

La proteina amiloidee la malattia di Alzheimer

di D. J. Selkoe

La terapia dell'ictus cerebraledi J. A. Zivin e D. W. Choi

Trapianti nel sistema nervosocentrale

di A. Fine

I trapianti intracerebralinel morbo di Parkinson

di M. A. Cenci e A. Bjórklund

Le frontiere della neurochirurgiadi M. Gerosa, E. Piovan

e A. Pasoli

LE TERAPIE DEL FUTURO

Possibile meccanismo d'azione Situazione attuale

Inibisce l'ingresso del calcio nelle

Fasi I e IIcellule, sopprimendo laproliferazione delle cellule endoteliali

prmaco

CAI

Riduce la produzione della proteinaangiogenica FGF (sintetizzata dallecellule tumorali)

Fase III (emangiomidella prima infanzia)

interferone alfa

I

CM 101

Induce infiammazione nei tumori, Fase Icausando la distruzione dei capillari

l in crescita

Interleuchma 12

Aumenta la produzione di un

Fase Iinibitore dell'angiogenesi, la proteinainducibile 10

Marimastat

Inibisce gli enzimi che servono alle Fasi II e IIIcellule per migrare nei tessuti

Pentosan polisolfato

Blocca l'azione dei fattori di crescita Fase Isulle cellule endoteliali

Fattore piastrinico 4

Inibisce la proliferazione delle cellule Fasi I e IIendoteliali

Talidomide

Meccanismo esatto sconosciuto Fasi I e li

TNP-470 (AGM-1470)

Inibisce selettivamente la

Fasi I e IIproliferazione e la migrazione dellecellule endoteliali

Fase I: piccole sperimentazioni per valutare la tossicità e determinare la massima dosetollerata

Fase II: piccole sperimentazioni per stabilire l'efficaciaFase III: grandi sperimentazioni che confrontano la nuova terapia con il miglior trattamento

già disponibile

Inibitori dell'angiogenesi in via di sperimentazione

Sebbene nessun farmaco antiangiogenico sia ancora stato approvato per l'uso neipazienti, ve ne sono molt i in fase di sperimentazione clinica

Quando un tumore è progredito finoa questo stadio, causa spesso sintomifacilmente identificabili. La comparsadi sangue fra i periodi mestruali oppu-re nell'urina, nelle feci o nell'espetto-rato indica che si è verificata angioge-nesi rispettivamente nella cervice ute-rina, nella vescica, nel colon o nel pol-mone. Quando un tumore della mam-mella diventa visibile su una mammo-grafia, la vascolarizzazione è già avan-zata. Il liquido addominale con presen-za di sangue che si osserva nel carcino-ma ovarico, i dolori ossei associati alcancro della prostata, l'edema intornoai tumori cerebrali e l'ostruzione inte-stinale comune nel carcinoma del co-lon sono tutti provocati da tumori an-giogenici. Molecole biologicamente at-tive liberate dal tumore che si vaespandendo possono causare ulteriorisintomi, quali perdita di peso e forma-zione di trombi.

Attualmente, quando a un paziente

viene diagnosticata una qualsiasiforma di cancro, ci si affida all'interven-to chirurgico o all'irradiazione per ri-

muovere o debellare il tumore primario ea successivi trattamenti radio- e/o che-mioterapici per eliminare eventuali cellu-le neoplastiche che rimangono nell'orga-nismo. La terapia antiangiogenica, con-trariamente a molti altri metodi terapeu-tici, non mira a distruggere i tumori, maa ridurne le dimensioni limitandone l'ir-rorazione ematica. I farmaci antiangioge-nici bloccano la formazione di nuovi va-si sanguigni intorno a un tumore e di-struggono la rete esistente di capillarianomali che alimenta la massa tumorale.Attualmente, oltre agli inibitori dell'an-giogenesi che sono in via di sperimenta-zione clinica, molti altri potenziali agentidi questo tipo sono in corso di studio inlaboratori universitari e in una trentina diindustrie farmaceutiche e biotecnologi-che in tutto il mondo.

In particolare, due dei composti sottoesame sono inibitori dell'angiogenesimolto potenti, che potrebbero rivelarsiun giorno assai utili nel trattamento dipazienti affetti da cancro. David A. Che-resh e colleghi dello Scripps Institutehanno scoperto la prima di queste so-stanze: una proteina che interferisce con

un'integrina presente in grande quantitàsulla superficie delle cellule endotelialiin fase di accrescimento. Se l'integrina(chiamata av 13 3) viene bloccata, le cellu-le endoteliali proliferanti muoiono.

La seconda di queste sostanze, l'an-giostatina, è una proteina scoperta nel-l'urina di topo da Michael S. O'Reillydel mio laboratorio al Children's Hospi-tal Medical Center di Boston. L'angio-statina è fra i più potenti inibitori del-l'angiogenesi che si conoscano. Neglianimali può bloccare quasi totalmente lacrescita di nuovi vasi sanguigni in un tu-more di grandi dimensioni o nelle suemetastasi. Carcinomi umani della pro-stata, del colon e della mammella im-piantati in topi e lasciati sviluppare finoa raggiungere l' I per cento del peso cor-poreo degli animali possono essere ri-dotti a dimensioni microscopiche e man-tenuti in uno stato di quiescenza per tut-to il tempo in cui si continua a sommini-strare angiostatina. Inoltre questa sostan-za è molto specifica, in quanto bloccasolo la moltiplicazione delle cellule en-doteliali proliferanti, ma non di altre cel-lule o delle cellule endoteliali normal-mente quiescenti. Questa specificità hanotevoli vantaggi: negli animali non so-no stati evidenziati effetti tossici dellasomministrazione di angiostatina; pergiunta, sembra che non si sviluppi resi-stenza a questa sostanza.

L'angiostatina è in realtà un fram-mento di una proteina più grande, il pla-sminogeno, che di per sé non ha pro-prietà antiangiogeniche. In effetti, diver-se proteine inibitrici dell'angiogenesi e-sistono come frammenti interni di pro-teine più grandi (per esempio, un altroinibitore è un frammento della prolatti-na), a indicazione del fatto che i normaliinibitori dell'angiogenesi potrebbero es-sere, in un certo senso, immagazzinatiall'interno di altre proteine. Così, quan-do l'organismo deve bloccare I ' angioge-nesi normale - dopo la guarigione di unaferita o l'ovulazione - questi inibitori na-turali sono resi disponibili per un usoimmediato semplicemente per frammen-tazione delle proteine più grandi.

Gli studi di laboratorio e le speri-mentazioni cliniche in corso sugli

inibitori dell'angiogenesi forniscono im-portanti linee guida per stabilire comequesti farmaci potranno un giorno essereusati nei pazienti, se riceveranno l'ap-provazione della FDA. Per esempio,quando gli inibitori dell'angiogenesiverranno introdotti nella pratica clinica,saranno con tutta probabilità utilizzati incombinazione con le attuali terapie con-venzionali. Beverly A. Teicher del Da-na-Farber Cancer Institute di Boston ha

dimostrato che negli animali la combi-nazione di inibitori dell'angiogenesi e diagenti chemioterapici è più efficace diciascuna delle due singole terapie. In uncaso, nel 42 per cento degli animali si èavuta remissione completa del tumoredopo il trattamento combinato, ma que-sto risultato non è stato ottenuto dai duesingoli protocolli.

Una possibile spiegazione dell'evi-dente sinergia fra queste due metodiche

terapeutiche è che i due tipi di celluleesistenti in un tumore - le cellule endo-teliali e quelle neoplastiche - reagisca-no in modo differente alle terapie. Peresempio, le cellule endoteliali hannouna velocità di mutazione bassa o tra-scurabile in confronto a quella dellecellule neoplastiche, e quindi di solitonon sono in grado di sviluppare resi-stenza ai farmaci. Oltre a ciò, è neces-saria almeno una nuova cellula endote-

Una nuova, più efficace chemioterapia

Uno dei capisaldi della terapia oncologica è la chemioterapia che di anno inanno viene continuamente migliorata sia dal punto di vista dei farmaci

impiegati, sia dal punto di vista della via di somministrazione. Per quanto ri-guarda quest'ultima, si è osservato che si ottengono risultati migliori quando lasomministrazione dei farmaci è localizzata nella zona malata. Rispetto allachemioterapia di tipo sistemico - quella tuttora più ampiamente praticata - indi-rizzata a tutto l'organismo, la metodica del trattamento locoregionale consenteinfatti di somministrare farmaci in dose piuttosto elevata e ripetuta, limitandocontemporaneamente i danni ai tessuti sani circostanti.

Questa tecnica, messa a punto circa vent'anni fa e realizzata tramite un ve-ro e proprio intervento chirurgico, ha dimostrato che l'efficacia del farmaco puòessere ulteriormente aumentata in condizioni di ipossia. Bloccando l'arteriache fornisce ossigeno all'organo malato, si riesce a provocare un danno allacellula tumorale, danno che si amplifica ripetendo ciclicamente la somministra-zione del farmaco per un tempo abbastanza prolungato.

I primi interventi di somministrazione locoregionale di farmaci antitumorali inipossia ottenuta mediante intervento chirurgico (una tecnica nota come stoptiow), furono realizzati a Wiesbaden da Karl Aigner all'inizio degli anni ottanta.In Italia i primi ad adottare questa tecnica, in casi peraltro limitati, sono statiMaurizio Marangolo e Gianmaria Fiorentini dell'Ospedale di Ravenna che,qualche anno più tardi, proposero di sostituire la metodica di somministrazionelocoregionale in stop flow realizzata per via chirurgica con una semplice proce-dura di radiologia interventistica (a cielo coperto). Di qui è partito un filone di ri-cerca molto fecondo che ha messo in contatto ricercatori facenti capo al gruppodi Rigoantonio Roversi, Stefano Ricci e Giuseppe Rossi con medici, chirurghi,radiologi, società biomediche per sviluppare materiali idonei alla perfusioneipossica percutanea sotto il patronato scientifico dell'Istituto Tumori di Milano.

Questa terapia, già in uso in Italia a Milano, Ravenna, Bologna, Aosta, Roma,Napoli, Lecce, Mantova, L'Aquila è validata scientificamente dalla Società ita-liana terapie integrate locoregionali in oncologia (Si.Ti.Lo.) giunta quest'anno alsuo terzo convegno nazionale, che ne ha redatto i protocolli ufficiali e che anno-vera tra i sostenitori le principali scuole universitarie e cliniche nazionali. Il tratta-mento di stop flow viene attuato mediante due cateteri a più vie che, muniti didue palloncini alle estremità, bloccano il flusso sanguigno nell'area interessata.A questo punto il farmaco viene iniettato in ipossia localmente per circa 20 mi-nuti. Il trattamento, eseguito da un radiologo, offre il vantaggio di essere ripetibi-le e di eliminare gli effetti secondari. I risultati sono piuttosto confortanti in quantoportano a una diminuzione sensibile della sintomatologia dolorosa e a una dimi-nuzione della massa tumorale con possibilità di intervenire eventualmente intempi successivi per via chirurgica. I tumori maggiormente sensibili a questa te-rapia sono quelli della zona pelvica (vescica, utero, prostata, retto) e quelli delpancreas. Esiste inoltre un registro nazionale degli interventi effettuati in stopflow e si sono già verificati casi di pazienti con allungamento di vita non indiffe-rente (uno-due anni). Il fatto più significativo resta comunque la possibilità diconsentire a pazienti arrivati a uno stato abbastanza avanzato della patologiauna discreta qualità di vita. (Ludovico Manusardi Carlesi)

Riferimenti:Società Si.Ti.Lo. Istituto Tumori, via Venezian, 1 - Milano;Ospedale Santa Maria delle Croci, viale Randi, 5 - Ravenna;Ospedale Bellaria, via Altura, 3 - Bologna;Istituto Oncologico IFO, viale Regina Elena - Roma.

LE SCIENZE n. 339, novembre 1996 115114 LE SCIENZE n. 339, novembre 1996

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LE TERAPIE DEL FUTURO

liale ogni 10-100 nuove cellule tumora-li. (Un grammo di massa tumorale con-tiene all'incirca 20 milioni di celluleendoteliali e da 100 milioni a un miliar-do di cellule neoplastiche.) Pertanto,quando un inibitore dell'angiogenesiblocca la crescita di una cellula endote-liale, il suo effetto sulle cellule tumora-li risulta amplificato.

Gli inibitori dell'angiogenesi sono sta-

ti studiati anche in congiunzione con laradioterapia. Oncologi e radiologi era-no inizialmente in dubbio se la radiote-rapia potesse essere potenziata dallacombinazione con farmaci antiangioge-nici. Ma Teicher ha scoperto recente-mente che nei topi il trattamento di tu-mori con inibitori dell'angiogenesi ac-cresceva l'efficacia della radioterapia.Parecchi farmaci antiangiogenici, fra cuiil TNP-470 e la minociclina (una mo-lecola simile alla tetraciclina), vengono

ora studiati, in animali, nei loro effetti inassociazione con la radioterapia.

Dopo il completamento di una che-mioterapia o radioterapia conven-

zionale, gli inibitori dell'angiogenesi po-trebbero essere utilizzati come tratta-mento antitumorale a lungo termine. Seil tumore ha dato luogo a metastasi, laterapia antiangiogenica potrebbe essere

necessaria a tempo indefinito. In altre si-tuazioni, questi farmaci potrebbero esse-re somministrati per un breve periodo,forse prima della rimozione chirurgicadi un grosso tumore. Il trattamento con-tro l'angiogenesi potrebbe essere impie-gato anche a intermittenza, a intervalli dimesi o di anni, per mantenere il tumorein uno stato quiescente. Fortunatamente,per la tendenza a non indurre resistenzae per la bassa tossicità, questi compostisi rendono adatti a un uso prolungato.

Sebbene gli scienziati stiano studian-do l'angiogenesi da più di 20 anni, ri-mangono molti problemi aperti su que-sto processo, sulla sua regolazione e sulsuo possibile controllo terapeutico. Peresempio, non si sa perché alcuni tumori,soprattutto quelli della cervice uterina,vadano incontro a neovascolarizzazionemolto prima di altri. E i farmaci antian-giogenici che si stanno mettendo a pun-

to si troveranno di fronte i tra-dizionali ostacoli di tutte le spe-rimentazioni cliniche: potrebbe-ro manifestarsi effetti collateraliimprevisti, oppure una sostanzaefficace nel topo potrebbe esser-lo assai di meno nell'uomo.

Oltre a ciò, come accade contutti i nuovi farmaci, vi sonopossibili ostacoli economici dasuperare. Molti degli inibitoridell'angiogenesi sono proteine oaltre molecole scoperte di recen-te: è ora necessario trovare ilmodo per produrre questi com-

posti su grande scala. Il processo puòessere costoso, anche se l'esperienza in-segna che i prezzi tendono a scenderecol tempo.

Nonostante gli ostacoii, le sostanze ingrado di bloccare l'angiogenesi hannoottime probabilità di aggiungersi al no-stro arsenale di terapie antitumorali. Gliinibitori dell'angiogenesi possono avereil notevole vantaggio di non indurre re-sistenza e di causare generalmente pochieffetti collaterali. Questi agenti potreb-bero essere usati anche per curare altrepatologie caratterizzate da un'angioge-nesi alterata, fra cui la retinopatia diabe-tica, la degenerazione maculare e ilglaucoma da neovascolarizzazione. Ol-tre a ciò, anche la psoriasi, l'artrite e tu-mori benigni quali l'emangioma posso-no essere suscettibili di trattamento coninibitori dell'angiogenesi. È chiaro quin-di che i farmaci antiangiogenici hannogrande potenzialità come terapia per iltrattamento di numerose gravi patologie,oltre che del cancro.

Le metastasi possono svilupparsi quando il livello di inibitori dell'angiogenesi natu-ralmente in circolo, come per esempio l'angiostatina, diminuisce. L'angiostatinaprodotta da un grosso tumore in un topo inizialmente teneva sotto controllo le pic-cole metastasi nel polmone dell'animale (a sinistra). Una volta rimosso il tumoreprimario, l'angiostatina in circoio è diminuita, permettendo alle metastasi di svilup-parsi (a destra) via via che i vasi sanguigni (in rosso) proliferavano. Un simile anda-mento è stato osservato occasionalmente anche nell'uomo: dopo la rimozione di untumore, possono apparire nuove metastasi. Tuttavia i tumori primari devono esse-re rimossi; spetta alla successiva chemioterapia impedire la crescita di metasta-si. L'angiostatina è ora in fase di studio come potenziale terapia antiangiogenica.

JUDAH FOLKMAN dirige il labora-torio di ricerca chirurgica al Children'sHospital Medical Center della HarvardMedical School. Il suo laboratorio haprodotto la prima molecola angiogenicapurificata e il primo inibitore dell'angio-genesi. Il gruppo di Follcman è stato per-tanto il primo a proporre il concetto dimalattia angiogenica. L'autore è mem-bro della National Academy of Sciences.

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