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AUSTRALOPITHECUS AFRICANUS 1500 1200 900 600 300 HOMO ERECTUS 1500 1200 900 600 300 HOMO SAPIENS »fumi% 1500 1200 900 600 300 G li esseri umani differiscono dai loro parenti più prossimi, le scimmie antropomorfe, per tre caratteristiche biologiche principali. Di queste tre caratteristiche ci parla la do- cumentazione fossile: aumento genera- le della dimensione del cervello, loco- mozione bipede ed eretta e rimodella- mento dell'apparato mandibolare. Il cervello umano, con il suo volume medio di 1230 centimetri cubi, è circa tre volte più grande di quello dei prima- ti più sviluppati (385 centimetri cubi nello scimpanzé, 405 nell'orangutan e 495 nel gorilla). L'andatura bipede del- l'uomo, che costituisce un unicum tra i mammiferi, ha comportato la comparsa di notevoli differenze morfologiche e funzionali tra gli esseri umani e gli altri primati. Infine, le mandibole e i denti sono stati oggetto di una trasformazione radicale nella specie umana: il cambia- mento più evidente si può riscontrare nella drastica riduzione della dimensio- ne dei canini, che hanno abbandonato il loro aspetto originario per assomigliare sempre più agli incisivi. Gli esperti di evoluzione che studia- no l'origine dell'uomo si basano sulla documentazione fossile per ripercorrere la storia di tali cambiamenti e per iden- tificare i fattori che li hanno provocati. Essi si prefiggono di spiegare da un punto di vista evolutivo globale le tre caratteristiche biologiche suddette. L'evoluzione del cervello umano è stata oggetto di particolare attenzione, in quanto sembra evidente che il suc- cesso della nostra specie sia stato deter- minato dal particolare sviluppo dell'in- telligenza. Pare altresì logico che questa intelligenza abbia a che vedere, in certa misura, con la notevole dimensione del nostro cervello. Gli studi condotti sulle dimensioni del cervello e sulle loro im- plicazioni nel comportamento della no- stra specie costituiscono di conseguen- za un capitolo a parte nell'ambito delle ricerche sull'evoluzione umana. Vi è da dire che l'analisi della dimen- sione cerebrale costituisce una questio- ne complessa. In primo luogo, dipende in buona misura dalla dimensione gene- rale del corpo. Se consideriamo una se- rie di mammiferi che differiscano so- prattutto nella taglia, come i felini o le diverse razze di cani domestici, possia- mo osservare come gli esemplari di ta- glia maggiore presentino anche un cer- vello più voluminoso. Se consideriamo animali di dimensioni ancora più impo- nenti, l'elefante (il mammifero terrestre di maggiori proporzioni) ha un cervello quattro volte più grande di quello uma- no; evidentemente ciò è dovuto all'im- pressionante mole dell'animale e non a un'intelligenza maggiore. Se vogliamo confrontare le dimen- sioni del cervello di mammiferi diversi, dobbiamo effettuare una correzione per tener conto dell'effetto della diversa di- mensione corporea. Non ci serve, senza dubbio, stabilire una proporzione sem- plice tra il peso del cervello e il peso complessivo del corpo, esprimendo per esempio una percentuale. Se così faces- simo falseremmo il dato a favore delle specie più piccole; per dare alcune cifre esemplificative, il cervello umano rap- presenta il 2 per cento del peso corpo- reo medio, mentre nel caso dei primati più piccoli, come il primitivo lemure ratto (che ha un peso corporeo medio di 60 grammi), il cervello rappresenta ol- tre il 3 per cento. La ragione di tale di- screpanza fra le percentuali si può e- sprimere nel modo seguente: per quan- to la dimensione del cervello aumenti in generale con l'incremento del peso corporeo, la relazione viene descritta da una curva di regressione. Matematicamente una simile relazio- ne può essere espressa tramite una fun- zione esponenziale semplice, che può essere convertita in una retta trasfor- mando in logaritmi i valori del peso cerebrale e di quello corporeo. Questo semplice procedimento è fondamentale nel campo dell'analisi allometrica, che esamina i rapporti di scala fra differen- ti caratteri biologici e la dimensione corporea. (Si intende per scala il pro- porzionamento di un carattere al variare della dimensione corporea.) Se si trac- cia una retta sopra la rappresentazio- ne logaritmica, essa descrive la relazio- ne generale di scala. Le distanze che se- parano ogni specie dalla retta (espresse come valori differenziali) riflettono a- dattamenti particolari. Nel caso della rappresentazione loga- ritmica della dimensione cerebrale dei mammiferi in funzione della dimensio- ne corporea, si osserva che il punto cor- rispondente alla specie umana mostra la maggiore deviazione positiva dalla retta (si veda l'illustrazione a pagina 36). In altri termini, quando li si con- fronta con gli altri mammiferi, gli es- seri umani dimostrano di avere un cer- vello effettivamente più grande rispet- to alla dimensione corporea. Disponia- mo così di un mezzo affidabile per con- frontare gli esseri umani con altre spe- cie (viventi o fossili) prendendo in con- siderazione l'effetto di scala, che non Questi crani rappresentano tre tappe significative dell'evoluzione del cervello u- mano. Dall'alto in basso: Australopithecus africanus, Homo erectus, Homo sapiens i cui volumi cerebrali sono rispettivamente 440, 940 e 1230 centimetri cubi. Homo habilis, qui non rappresentato, aveva una capacità cranica di 640 centimetri cu- bi. Si tenga conto che Australopithecus era molto più piccolo di Homo erectus e sapiens. (Dal volume Primate Origins and Evolution di Robert D. Martin, 1990.) Dimensioni del cervello ed evoluzione umana Per il suo sviluppo e funzionamento il cervello richiede un apporto energetico la cui disponibilità ha condizionato il differenziamento dell'uomo tra i primati di Robert D. Martin LE SCIENZE n. 319, marzo 1995 35

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AUSTRALOPITHECUS AFRICANUS

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HOMO ERECTUS

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HOMO SAPIENS

»fumi%

1500

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G

li esseri umani differiscono dailoro parenti più prossimi, lescimmie antropomorfe, per tre

caratteristiche biologiche principali. Diqueste tre caratteristiche ci parla la do-cumentazione fossile: aumento genera-le della dimensione del cervello, loco-mozione bipede ed eretta e rimodella-mento dell'apparato mandibolare.

Il cervello umano, con il suo volumemedio di 1230 centimetri cubi, è circatre volte più grande di quello dei prima-ti più sviluppati (385 centimetri cubinello scimpanzé, 405 nell'orangutan e495 nel gorilla). L'andatura bipede del-l'uomo, che costituisce un unicum tra imammiferi, ha comportato la comparsadi notevoli differenze morfologiche efunzionali tra gli esseri umani e gli altriprimati. Infine, le mandibole e i dentisono stati oggetto di una trasformazioneradicale nella specie umana: il cambia-mento più evidente si può riscontrarenella drastica riduzione della dimensio-ne dei canini, che hanno abbandonato illoro aspetto originario per assomigliaresempre più agli incisivi.

Gli esperti di evoluzione che studia-no l'origine dell'uomo si basano sulladocumentazione fossile per ripercorrerela storia di tali cambiamenti e per iden-tificare i fattori che li hanno provocati.Essi si prefiggono di spiegare da unpunto di vista evolutivo globale le trecaratteristiche biologiche suddette.

L'evoluzione del cervello umano èstata oggetto di particolare attenzione,in quanto sembra evidente che il suc-cesso della nostra specie sia stato deter-

minato dal particolare sviluppo dell'in-telligenza. Pare altresì logico che questaintelligenza abbia a che vedere, in certamisura, con la notevole dimensione delnostro cervello. Gli studi condotti sulledimensioni del cervello e sulle loro im-plicazioni nel comportamento della no-stra specie costituiscono di conseguen-za un capitolo a parte nell'ambito dellericerche sull'evoluzione umana.

Vi è da dire che l'analisi della dimen-sione cerebrale costituisce una questio-ne complessa. In primo luogo, dipendein buona misura dalla dimensione gene-rale del corpo. Se consideriamo una se-rie di mammiferi che differiscano so-prattutto nella taglia, come i felini o lediverse razze di cani domestici, possia-mo osservare come gli esemplari di ta-glia maggiore presentino anche un cer-vello più voluminoso. Se consideriamoanimali di dimensioni ancora più impo-nenti, l'elefante (il mammifero terrestredi maggiori proporzioni) ha un cervelloquattro volte più grande di quello uma-no; evidentemente ciò è dovuto all'im-pressionante mole dell'animale e non aun'intelligenza maggiore.

Se vogliamo confrontare le dimen-sioni del cervello di mammiferi diversi,dobbiamo effettuare una correzione pertener conto dell'effetto della diversa di-mensione corporea. Non ci serve, senzadubbio, stabilire una proporzione sem-plice tra il peso del cervello e il pesocomplessivo del corpo, esprimendo peresempio una percentuale. Se così faces-simo falseremmo il dato a favore dellespecie più piccole; per dare alcune cifre

esemplificative, il cervello umano rap-presenta il 2 per cento del peso corpo-reo medio, mentre nel caso dei primatipiù piccoli, come il primitivo lemureratto (che ha un peso corporeo medio di60 grammi), il cervello rappresenta ol-tre il 3 per cento. La ragione di tale di-screpanza fra le percentuali si può e-sprimere nel modo seguente: per quan-to la dimensione del cervello aumentiin generale con l'incremento del pesocorporeo, la relazione viene descritta dauna curva di regressione.

Matematicamente una simile relazio-ne può essere espressa tramite una fun-zione esponenziale semplice, che puòessere convertita in una retta trasfor-mando in logaritmi i valori del pesocerebrale e di quello corporeo. Questosemplice procedimento è fondamentalenel campo dell'analisi allometrica, cheesamina i rapporti di scala fra differen-ti caratteri biologici e la dimensionecorporea. (Si intende per scala il pro-porzionamento di un carattere al variaredella dimensione corporea.) Se si trac-cia una retta sopra la rappresentazio-ne logaritmica, essa descrive la relazio-ne generale di scala. Le distanze che se-parano ogni specie dalla retta (espressecome valori differenziali) riflettono a-dattamenti particolari.

Nel caso della rappresentazione loga-ritmica della dimensione cerebrale deimammiferi in funzione della dimensio-ne corporea, si osserva che il punto cor-rispondente alla specie umana mostrala maggiore deviazione positiva dallaretta (si veda l'illustrazione a pagina36). In altri termini, quando li si con-fronta con gli altri mammiferi, gli es-seri umani dimostrano di avere un cer-vello effettivamente più grande rispet-to alla dimensione corporea. Disponia-mo così di un mezzo affidabile per con-frontare gli esseri umani con altre spe-cie (viventi o fossili) prendendo in con-siderazione l'effetto di scala, che non

Questi crani rappresentano tre tappe significative dell'evoluzione del cervello u-mano. Dall'alto in basso: Australopithecus africanus, Homo erectus, Homo sapiens icui volumi cerebrali sono rispettivamente 440, 940 e 1230 centimetri cubi. Homohabilis, qui non rappresentato, aveva una capacità cranica di 640 centimetri cu-bi. Si tenga conto che Australopithecus era molto più piccolo di Homo erectus esapiens. (Dal volume Primate Origins and Evolution di Robert D. Martin, 1990.)

Dimensioni del cervelloed evoluzione umana

Per il suo sviluppo e funzionamento il cervello richiedeun apporto energetico la cui disponibilità ha condizionato

il differenziamento dell'uomo tra i primati

di Robert D. Martin

LE SCIENZE n. 319, marzo 1995 35

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L'atele, o scimmia ragno (Ateles geoffroyi, a sinistra), è unanimale per lo più frugivoro avente un peso corporeo di circa7,5 chilogrammi e un peso cerebrale medio di 110 grammi.L'aluatta dal mantello, o scimmia urlatrice (Alouatta pallia-w), che si nutre con quantità approssimativamente uguali difrutti e di foglie, ha un peso corporeo paragonabile (circa 6,6

chilogrammi), ma un peso cerebrale medio di soli 55 grammi.È stato proposto che l'atele «necessiti» di un cervello di mag-giori dimensioni dato che, nella foresta pluviale tropicale, ifrutti commestibili sono più difficili da reperire di quan-to non siano le foglie. (Le fotografie sono state realizzate dal-l'autore nella riserva naturale di Barro Colorado, a Panama.)

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PESO CORPOREO (CHILOGRAMMI)

PESO CORPOREO (CHILOGRAMMI)

Rappresentazione logaritmica del metabolismo basale (in alto) e del peso del cervello(in basso) in funzione del peso corporeo: entrambe tendono ad allinearsi su una retta.In alto si vede come, in accordo con l'equazione di Kleiber, i micromammiferi abbia-no un metabolismo basale, per unità di peso corporeo, maggiore di quello dei grandimammiferi. La rappresentazione logaritmica del peso cerebrale in funzione di quel-lo corporeo si riferisce a 477 specie di mammiferi. Il punto corrispondente all'uo-mo attuale (pallino blu) si trova al di sopra della linea che rappresenta la tendenzagenerale di scala, e ciò dimostra che, rispetto alla dimensione corporea, gli esseriumani possiedono un cervello più grande. I sette punti più prossimi all'uomo corri-spondono ai cetacei odontoceti (delfini, orche e affini). La retta indica che la dimen-sione cerebrale ha un rapporto di scala pari a 0,75 rispetto alla dimensione corporea.

è lineare con la dimensione corporea.Di solito si afferma che tutti i prima-

ti, e non solo gli esseri umani, sviluppa-no un cervello maggiore rispetto a quel-lo degli altri mammiferi. Ciò non puòdirsi della dimensione cerebrale assolu-ta. Come ho già fatto notare, gli elefan-ti hanno un cervello molto più granderispetto agli esseri umani, e così pure lebalene. E neppure l'affermazione è cer-ta quando si considerano proporzionisemplici tra la dimensione del cervelloe quella corporea in quanto, a parità dialtre condizioni, il cervello rappresen-ta una percentuale molto più cospicuadel peso corporeo nei micromammiferi.Così, nei pipistrelli e nei ratti, il rappor-to cervello/corpo è molto superiore aquello di qualsiasi primate e, facendo ledebite proporzioni, arriva a essere diecivolte quello dell'uomo.

Che cosa accade, tuttavia, se elimi-niamo l'effetto di scala della dimensio-ne corporea per mezzo di una rappre-sentazione logaritmica come quella mo-strata nell'illustrazione qui a lato? Se siescludono gli esseri umani, le maggioridimensioni cerebrali non si trovano ne-gli altri primati, ma nei delfini e in altricetacei. Nei primati non umani e in altrimammiferi si osserva un notevole con-tenimento della dimensione cerebrale inrelazione a quella corporea; in alcunespecie di primati la dimensione relativadel cervello si situa al di sotto della me-dia dei mammiferi. Di conseguenza, al-la domanda posta all'inizio del para-grafo rispondiamo che il cervello deiprimati adulti - esseri umani a parte -non è più grande di quello del resto deimammiferi. Al massimo possiamo af-fermare che esiste una tendenza genera-le per cui nella maggior parte dei pri-mati il cervello è relativamente grande.

La ricerca ha comunque dimostratoche esiste effettivamente una notevoledifferenza tra i primati e gli altri mam-miferi per ciò che riguarda il cervello.Questa differenza si manifesta durantelo sviluppo fetale del cervello e nonconcerne la dimensione negli individuiadulti. Nei mammiferi non primati, iltessuto cerebrale rappresenta circa il 6per cento del peso corporeo in tutti glistadi dello sviluppo fetale, mentre neiprimati raggiunge circa il 12 per cento.In altre parole, se consideriamo una fa-se qualunque dello sviluppo embriona-le, un feto di primate tenderà ad avere ildoppio di tessuto cerebrale rispetto a unfeto di non primate di ugual peso. Soloin questo senso si può affermare che iprimati abbiano un cervello più svilup-pato rispetto a quello degli altri mam-miferi. La differenza è ancora netta almomento della nascita, ma viene via viacolmata nel corso dell'accrescimentopostnatale. Per quanto eclissata dallacrescita, la differenza conserva il suointeresse, in quanto significa che i pri-mati iniziano la vita extrauterina con uncervello più grande (in relazione alla di-mensione corporea iniziale) rispetto a-

gli altri mammiferi. Come vedremo piùavanti, il fenomeno ha importanti impli-cazioni dal punto di vista energetico.

C ono state elaborate diverse teorie pergiustificare un simile incremento

della dimensione del cervello umanonel corso dell'evoluzione. Alcune di es-se considerano solo l'uomo e possonocontrastare con la documentazione fos-sile disponibile. Possiamo qui conside-rare Australopithecus africanus (appar-so circa tre milioni di anni fa), Homohabilis (due milioni di anni), Homo e-rectus (un milione di anni) e Homo sa-piens come una successione di stadirappresentativi, per quanto si possa af-fermare con certezza quasi assoluta cheessi non costituiscano una linea evoluti-va diretta. È stata formulata l'ipotesiche fu la fabbricazione di utensili a da-re l'impulso iniziale per l'espansionedel cervello umano, e che il raffinamen-to progressivo degli stessi fu la causadel graduale aumento della dimensionecerebrale. A prima vista, questa spiega-zione sembra trovare conferma nelladocumentazione fossile. La dimensionecerebrale media di Australopithecus a-fricanus (440 centimetri cubi) è para-gonabile a quella delle specie modernedi grandi primati (385-495 centimetricubi), e i primi segni di un volume ce-rebrale superiore (640 centimetri cubi)compaiono in crani attribuiti a Homohabilis. Casualmente, i primi utensili li-tici chiaramente identificabili appaiononella stessa epoca in cui emergono dal-la documentazione fossile i primi rap-

presentanti del genere Homo. Diversiricercatori tendono a vedere in questo laconferma del legame ipotizzato tra l'u-so di utensili e l'espansione del cervelloumano. Tuttavia questa conclusione tra-scura la relazione di scala tra la dimen-sione cerebrale e quella corporea. Tuttii crani di Australopithecus africanus dacui possiamo ricavare il volume cere-brale appartengono a individui piccoli,con un peso corporeo medio di 30 chi-logrammi, al di sotto della media dellescimmie antropomorfe attuali. Quandosi tiene conto dell'effetto di scala del-la dimensione corporea, si osserva cheil volume cerebrale relativo delle scim-mie antropomorfe non è diverso daquello delle altre scimmie, mentre la di-mensione cerebrale relativa di Austra-lopithecus africanus è almeno di un 50per cento maggiore. Da ciò si deduceche l'espansione del cervello - rispettoalla dimensione corporea - precedette ladata di apparizione di qualunque utensi-le litico finora rinvenuto.

Abbiamo di recente constatato unacerta confusione nel calcolo della di-mensione cerebrale relativa degli au-stralopitecini gracili (Australopithecusafricanus e Australopithecus afarensis).Questa confusione dipende dal fatto chealcuni autori considerano di apparte-nenza femminile gli esemplari di pic-cole dimensioni (quelli meglio cono-sciuti) e di appartenenza maschile i re-perti frammentari di individui molto piùgrandi rinvenuti nei medesimi giaci-menti di fossili. Altri autori ritengono,in base a valide prove, che gli individui

di maggiori dimensioni appartengano auna specie distinta. L'ipotesi che pro-pende per una sola specie comporta unaconseguenza improbabile: un peso me-dio corporeo di 50 chilogrammi e oltre,che si situa nell'intervallo proprio dellescimmie antropomorfe moderne. Per-tanto gli australopitecini gracili sareb-bero indistinguibili dalle scimmie an-tropomorfe, anche in termini di dimen-sione cerebrale relativa. Ciò ha condot-to a rivalutare l'idea secondo la qualel'espansione del cervello avrebbe avutoinizio con il genere Homo.

L'idea è però soggetta a equivoci. Ineffetti, tutte le dimensioni cerebrali diaustralopitecini gracili che sono statepubblicate si basano su individui di cor-po piccolo che, secondo l'ipotesi dellaspecie unica, sarebbero femmine. Pos-siamo quindi scansare il tema spinosodell'identificazione delle specie: i va-lori relativi ad Australopithecus africa-nus possono essere confrontati esclusi-vamente con quelli delle femmine dellescimmie antropomorfe. Facendo ciò, nerisulta che la dimensione cerebrale rela-tiva di Australopithecus africanus eradi un 50 per cento superiore alla dimen-sione cerebrale media dei grandi prima-ti moderni. In definitiva, non esiste unchiaro legame tra l'apparizione degli u-tensili di pietra e l'aumento iniziale delvolume relativo del cervello umano.

Le spiegazioni sulla causa che hapermesso agli esseri umani moderni disviluppare a tal punto il cervello diven-tano più verosimili quando si basano suconfronti generali tra primati. Le ipotesi

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ETÀ (ANNI)

Percentuale del consumo energetico relativo al tessuto cerebrale (in blu) nei pri-mi anni di vita dell'uomo. Al momento della nascita, il cervello consuma all'incir-ca il 60 per cento dell'energia a disposizione dell'intero organismo. Una volta rag-giunta l'età adulta, questa percentuale si abbassa fino a poco più del 20 per cento.

STRATEGIA A ENERGIA LIMITATA

STRATEGIA RICCA DI ENERGIA

o

possono allora concentrarsi su principigenerali, e non su aspetti specifici degliesseri umani che risulterebbero difficilida provare. Per quanto riguarda i prima-ti, si tende a dare per scontato che la di-mensione cerebrale relativa sia in qual-che relazione con l'«intelligenza». Almomento di sviscerare questa connes-sione ci si riferisce a due contesti prin-cipali: il procacciamento del cibo e lacomplessità sociale. (È stato anche sug-gerito che la complessità delle relazio-ni sociali avrebbe di per sé indotto l'au-mento evolutivo del volume del cervel-lo umano, essendo il linguaggio un fat-tore determinante.)

L'idea che la dimensione relativa delcervello, tra i primati, possa avere unarelazione diretta con la ricerca del ciboha origine dall'osservazione del fattoche le specie caratterizzate da dieta abase di foglie hanno un volume cere-brale relativo minore rispetto alle spe-cie frugivore. Tra le scimmie del Vec-chio Mondo, per esempio, i colobidihanno una dimensione cerebrale rela-tiva costantemente minore rispetto aicercopiteci. Tra le scimmie del NuovoMondo si possono confrontare la scim-mia ragno, o atele, che si nutre soprat-tutto di frutti, e la scimmia urlatrice, oaluatta, che comprende nella sua die-ta una notevole proporzione di foglie.Possiamo stabilire un confronto direttodella dimensione cerebrale, in quanto ledue specie hanno peso corporeo abba-stanza simile (7,5 e 6,6 chilogrammi ri-spettivamente). Pur con questa piccoladifferenza di peso corporeo, il cervellodell'atele è all'incirca il doppio di quel-lo dell'aluatta. Partendo da questo da-to, alcuni autori hanno sostenuto che ifrugivori «necessitano» di un cervello

maggiore rispetto ai primati mangiatoridi foglie, in quanto la ricerca di fruttiadatti nel fitto della foresta imporrebbeun impegno maggiore che non la sem-plice raccolta di foglie; a un tale impe-gno dovrebbe far riscontro una maggio-re capacità di elaborazione dei segnalinervosi da parte del sistema nervosocentrale. A prima vista una tale spiega-zione pare convincente.

D'altro canto è stato anche propostoche la grande dimensione cerebrale re-lativa dei primati sia legata, piuttostoche al comportamento di ricerca del ci-bo, alla complessità sociale. In vari stu-di è stata dimostrata una possibile rela-zione tra la dimensione del gruppo so-ciale e la dimensione relativa del cer-vello nel suo insieme, o di determinateparti di esso. Ancora una volta il ragio-namento sembra impeccabile: i primatiche vivono in gruppi sociali numerosi, epartecipano quindi a una rete di inte-razioni più complessa, «necessitano» diun cervello di maggiori dimensioni ri-spetto a quelli che vivono in gruppi so-ciali più ristretti.

In questo contesto, tuttavia, risultapiù difficile misurare il comportamentoimplicato. Nel caso della dieta, siamo ingrado di determinare la quantità di fruttie di foglie mangiati, dando nel contem-po per scontato che nella foresta «costidi più» andare in cerca di frutti che li-mitarsi a mangiare foglie. (Questa sup-posizione è in realtà un po' ingenua. Glistudi condotti sul campo hanno dimo-strato che i primati mangiatori di fogliesono molto esigenti nella scelta del ci-bo, cosicché non è del tutto ovvio chenella foresta le foglie adatte siano piùfacili da trovare dei frutti.) Anche ri-spetto ai sistemi sociali, non è immedia-

ta la complessità delle interazioni. An-cora una volta le scimmie urlatrici, dalcervello piccolo, e le scimmie ragno,dal cervello grande, ci offrono un esem-pio istruttivo. Le urlatrici usano vive-re in gruppi sociali ben definiti, di 6-16individui (almeno nella popolazionestudiata). Le scimmie ragno, invece, sipossono osservare mentre cercano il ci-bo in gruppetti di tre individui, i qualirappresentano subunità di gruppi com-posti a loro volta da circa 20 individui.Di queste due specie, quale mostra inte-razioni sociali più complesse?

Occorre prima chiarire un'importan-

te questione di metodo: il fattoche due caratteristiche mostrino corre-lazioni di qualche tipo non significa ne-cessariamente che vi sia tra di esse unaconnessione causale. Se un fattore Adetermina due tratti indipendenti B e C,riscontreremo una correlazione tra B eC, sebbene l'uno e l'altro abbiano unapropria relazione di dipendenza da A.Per esempio, i bambini con mani gran-di tendono ad avere anche un cervellogrande; entrambe le caratteristiche sonosenza dubbio determinate in buona mi-sura dalla dimensione corporea genera-le. Se la dimensione generale relativadei primati è in relazione con il tipo didieta, la dimensione del gruppo e altrecaratteristiche (per esempio la comples-sità della locomozione e le strategie dirichiamo), quale di questi fattori «spie-ga» l'evoluzione del cervello? Dobbia-mo andare oltre una spiegazione som-maria e stabilire una connessione cau-sale reale. Si deve porre particolare at-tenzione a escludere effetti collateraliche, di per sé, non sono diretti respon-sabili del maggiore volume cerebrale.

Possiamo partire da presupposti dif-ferenti quando si tratta di affrontare laquestione dell'evoluzione dimensionaledel cervello. Non ci chiediamo perchéquesta o quella specie «necessiti» di uncervello grande; ci chiediamo piuttostocome possa «permetterselo». In altreparole, sappiamo in che modo le speciedotate di cervello grande si assicura-no le risorse necessarie per produrre emantenere il cervello stesso. Il tessutocerebrale è costoso: il suo sviluppocomporta un cospicuo consumo di ri-sorse e il suo normale funzionamentonecessita di una notevole quantità dienergia. Dimodoché, per quanto il cer-vello umano rappresenti solo il 2 percento del peso corporeo, consuma oltreil 20 per cento delle risorse energetichedell'organismo. Questa situazione è an-cora più pronunciata per il neonato: alparto il cervello rappresenta il 10 percento del peso e consuma circa il 60 percento dell'energia a disposizione dellattante. Il cervello presenta una pecu-liarità rispetto alla maggioranza deglialtri organi. Si sviluppa abbastanza pre-cocemente e rappresenta pertanto un'e-levata percentuale del peso corporeonei primi stadi di vita. A questo propo-

sito, la consistente frazione di peso ce-rebrale (12 per cento) dei primati neo-nati che abbiamo menzionato in pre-cedenza acquisisce un ulteriore rilievo:obbliga la madre a sopportare un caricosuperiore, in quanto a essa compete ilcompito di fornire energia sotto formadi latte. Anche per gli ominidi più pri-mitivi, come Australopithecus africa-nus, i lattanti (come dimostra il celebrecranio di Taung riprodotto qui a fianco)devono avere richiesto un apporto ener-getico materno molto elevato.

Dato che le risorse energetiche e ladimensione cerebrale aumentano con lastessa proporzione rispetto alla dimen-sione corporea, deve esistere tra questidue fattori una relazione di qualche ti-po. In fisiologia comparata è nota già datempo la «legge di Kleiben>. Essa ci di-ce che il tasso metabolico basale (pa-rametro che esprime la velocità con cuil'animale a riposo consuma l'energiaottenuta dagli alimenti) equivale al pro-dotto di una costante per il peso corpo-reo dell'individuo elevato a 0,75. Il fat-to che l'esponente sia inferiore all'uni-tà si può interpretare nel modo seguen-te: se è vero che i grandi mammiferi ne-cessitano di una quantità di energia inassoluto maggiore, i micromanuniferipresentano un metabolismo basale su-periore. Una quindicina di anni fa ven-ne dimostrato che la dimensione cere-brale dei mammiferi segue dal cantosuo questa stessa relazione scalare paria 3/4 rispetto alla dimensione corporea.

Senza dubbio questa correlazione de-ve essere indiretta, in quanto non esisteuna stretta corrispondenza tra il meta-bolismo basale e la dimensione cerebra-le negli adulti. Si riscontra solo una so-miglianza generale nel modello globaledi incremento di scala rispetto alla di-mensione corporea. Ciò mi ha portato aformulare la seguente ipotesi: dato cheil cervello è un organo utile, la selezio-ne privilegerà la dimensione cerebralemassima consentita dalle risorse ener-getiche disponibili. La dimensione rag-giunta dal cervello dipende essenzial-mente dall'apporto energetico fornitodalla madre durante lo sviluppo fetale el'allattamento: allo svezzamento ha or-mai avuto luogo la maggior parte dellacrescita in volume del cervello. Di con-seguenza, è l'energia fornita dalla ma-dre a condizionare in misura fondamen-tale la dimensione cerebrale finale con-seguita dalla sua prole. Questa relazio-ne potrebbe variare, dato che le risorsededicate dalla madre a un solo discen-dente variano da specie a specie. Tra lealtre cose, con questa ipotesi si spiegacome la dimensione cerebrale sia anda-ta aumentando nel tempo in tutte le li-nee evolutive di mammiferi, per quantocon differenti velocità di incremento. Aprovocare il fenomeno sarebbe basta-to un vantaggio selettivo generale dellamaggiore dimensione cerebrale, combi-nato con aumenti graduali del rendi-mento metabolico.

Il cranio di Taung appartiene a un piccolo di Australopithecus africanus, che proba-bilmente aveva poco più di tre anni al momento del decesso. La scatola cranica hauna capacità di 405 centimetri cubi, ossia il 92 per cento della dimensione cerebra-le media di un adulto. La scoperta di questo cranio nel 1924 dimostrò che la modi-ficazione dei denti, l'acquisizione di una postura eretta e l'aumento della dimen-sione cerebrale erano già presenti negli ominidi primitivi. (Fotografia dell'autore.)

I primati che si nutrono di foglie, come i membri del gruppo dei colobi, presentanotassi metabolici basali più bassi rispetto ai loro parenti frugivori. Si può dire chequeste scimmie abbiano una «strategia a energia limitata»: hanno un'attività di lo-comozione ridotta (come dimostrano le distanze più brevi percorse quotidianamen-te in cerca di cibo) e un'area di foraggiamento più ristretta. La limitazione energe-tica tenderà anche a ridurre la dimensione del gruppo, dato che gruppi più nume-rosi necessitano di una maggiore quantità di cibo e, di conseguenza, di un'area diforaggiamento più vasta. Le scimmie frugivore, come alcune cercopitecine, dispie-gano una strategia «ricca di energia»: percorrono ogni giorno distanze più lunghe,hanno un'area di foraggiamento più estesa e vivono in gruppi sociali più ampi.

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VITA SOCIALE

iDIMENSIONECEREBRALE

je'ORAGGI

togLe correlazioni tra le dimensioni cerebrali e la dieta, la dimensione del gruppo so-ciale di appartenenza, la locomozione e la riproduzione mettono in evidenza un si-stema di retroazioni nel quale la disponibilità di energia svolge il ruolo principale.

1600

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La progressiva diminuzione delle dimensioni cerebrali medie delle popolazionieuropee, iniziata durante il Paleolitico superiore, si protrae da circa 20 000 anni.

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n.C e passiamo a considerare le correla-zioni osservate tra le dimensioni

del cervello e gli aspetti specifici delcomportamento, possiamo proporre unaspiegazione alternativa. Come regolagenerale, i primati con dieta a base difoglie hanno tassi metabolici basali in-feriori (in relazione al peso corporeo) aquelli dei primati con dieta a base difrutti; questo fenomeno riflette proba-bilmente il fatto che costa di più dige-rire le foglie, le quali hanno inoltre disolito un contenuto energetico minore.Disponendo di meno energia, i primatiche si nutrono di foglie mostrano ancheun'attività di locomozione ridotta e di-fendono territori più ristretti. La limita-zione di disponibilità energetica tenderàa mantenere piccola la dimensione delgruppo; i raggruppamenti più grandi ri-chiedono maggiori quantità di cibo epertanto, a parità di altre condizioni,un'area di foraggiamento più vasta.

L'ipotesi del contributo energeticomaterno offre una spiegazione alternati-va del fatto che il cervello dei primatiche si nutrono di foglie abbia dimensio-ni relativamente inferiori. Le correla-zioni tra volume cerebrale e dieta, di-mensione del gruppo sociale e altri fat-tori (per esempio locomozione e strate-gie riproduttive) possono essere consi-derate riflessi indiretti del ruolo fonda-mentale svolto dalla disponibilità di e-nergia. Non vogliamo ovviamente ne-gare la possibilità che gli individui dalcervello di maggiori dimensioni adot-tino un comportamento di ricerca delcibo più complesso e mostrino un'or-ganizzazione sociale più elaborata, manon si vede come questi fattori possanoessere selettivamente determinanti perfavorire, nel corso dell'evoluzione, unincremento della dimensione cerebrale.

Non vi è dubbio che nel corso del-l'evoluzione umana un cervello di pro-porzioni maggiori abbia favorito acqui-sizioni sempre più complesse: la fabbri-

cazione di utensili e nuovi mezzi di in-terazione sociale (compreso il linguag-gio). Però occorre ammettere che que-ste attività non furono specificamenteresponsabili dell'evoluzione di un cer-vello più voluminoso.

Per contro, dovremmo forse focaliz-zare di più la nostra attenzione sullaquestione del costo energetico che l'in-cremento della dimensione cerebralepresuppone. La dimensione del cervelloè andata progressivamente aumentandodurante i quattro stadi rappresentatividell'evoluzione umana: 440 centimetricubi in Australopithecus africanus, 640in Homo habilis, 940 in Homo erectus e1230 in Homo sapiens. Questo aumentorelativamente rapido della dimensionecerebrale deve avere richiesto un appor-to energetico sempre più cospicuo, e diconseguenza progressi nella locomo-zione e nel comportamento alimentare.Sotto questo aspetto ci è già stato pos-sibile definire un legame fra le tre prin-cipali acquisizioni biologiche degli es-seri umani: locomozione bipede, rimo-dellamento della dentatura e sviluppodel cervello.

Gli adattamenti della locomozionesono direttamente associati ai compor-tamenti di ricerca del cibo; anche i den-ti intervengono nel trattamento del cibodal quale si ricava l'energia necessariaper lo sviluppo e il funzionamento di uncervello di dimensioni maggiori. Sem-bra pertanto chiaro che uno dei fattoriprincipali dell'evoluzione umana debbaessere stato l'aumento progressivo dellacapacità di trovare e sfruttare risorse a-limentari di alto contenuto energetico.

Giunti a questo punto, possiamo ri-confrontare i primati per evidenziare iparallelismi di più alto interesse. Tra iprimati non umani, la maggiore dimen-sione cerebrale relativa non è propria diuna scimmia antropomorfa e neppure diuna scimmia del Vecchio Mondo. Que-sta prerogativa appartiene al cebo cap-

puccino, un primate del Nuovo Mondo.I cebi cappuccini si distinguono per laloro manifesta «intelligenza», e sembraverosimile che ciò dipenda dal fatto chela dimensione relativa del loro cervelloè circa la metà della media umana. Tut-tavia i cebi cappuccini non vivono ingruppi sociali grandi e non consumanofrutti in quantità superiore rispetto adaltre scimmie dal cervello più piccolo.Nonostante ciò, mostrano un comporta-mento di procacciamento del cibo mol-to complesso, che si caratterizza peruna dieta assai energetica comprenden-te tra l'altro larve di insetti, noci e uo-va di uccelli. I cebi cappuccini sono gliunici primati, oltre all'uomo, a esseredotati di un apparato digerente adattoa trattare rapidamente alimenti ad altocontenuto energetico.

Un secondo esempio istruttivo ci vie-ne dalla proscimmia ayè-ayè (Dauben-tonia madagascariensis). Come regolagenerale, le proscimmie (lemuridi, lori-siformi e indridi) sono provviste di cer-vello notevolmente più piccolo rispettoal resto dei primati, ma l'ayè-ayè costi-tuisce un'importante eccezione. Il suocervello ha la maggiore dimensione re-lativa riscontrata tra le proscimmie, conun valore prossimo a quello dei primatiche non siano proscimmie. L'ayè-ayè,però, non ha tendenze gregarie, cosic-ché la complessità sociale non può spie-gare un tale sviluppo del cervello. Inol-tre, per quanto l'ayè-ayè si nutra di frut-ti, vi sono diversi lemuridi dal cervellopiccolo che hanno dieta frugivora. Ladimensione relativamente grande delcervello dell'ayè-ayè può forse esseredovuta alla sua dieta molto energetica.Questo animale usa i suoi particolari a-dattamenti, come una dentatura simile aquella dei roditori e un dito medio chefunge da sonda, per estrarre dai tronchidegli alberi le larve di insetti, che hannoun alto contenuto di energia. Cebo cap-puccino e ayè-ayè ci forniscono provedel fatto che la maggiore dimensionecerebrale è favorita soprattutto da un'a-limentazione ad alto contenuto energe-tico, e non dalla complessità sociale odalla semplice ricerca di frutti. Si devesottolineare inoltre che le proscimmiecon dieta a base di frutti hanno comun-que un cervello più piccolo delle scim-mie che si nutrono di foglie. Secondol'ipotesi del foraggiamento, le proscim-mie frugivore dovrebbero necessitare diun cervello grande per trovare nella fo-resta i frutti loro necessari.

La correlazione qui postulata tra ap-porto energetico e volume cerebralecontribuisce anche a spiegare una seriedi scoperte enigmatiche circa la dimen-sione cerebrale degli esseri umani mo-derni. In primo luogo, non esiste unacorrelazione convincente tra la dimen-sione del cervello e i risultati dei testdi intelligenza. In certi studi sono statesegnalate correlazioni deboli, ma, unavolta eliminati gli effetti esercitati dalcontesto socio-economico e dalla di-

mensione corporea, questa pretesa cor-relazione svanisce.

e l'evoluzione della dimensione ce-rebrale fosse legata a uno specifico

comportamento, si dovrebbe poter ri-scontrare un chiaro legame fra le duecose nelle popolazioni umane moderne.Qualunque ipotesi che sostenga che l'e-voluzione del volume cerebrale dipendeda una determinata capacità dovrebbeessere contraddetta dalla variabilità chesi riscontra fra gli esseri umani moder-ni. Si potrebbe sostenere che i test d'in-telligenza non hanno nulla a che farecon la capacità in questione, ma l'oneredella prova ricade comunque su chi i-potizza una selezione specifica delladimensione cerebrale. Non vi sono in-somma prove che negli esseri umani visia una correlazione fra livello di intel-ligenza e dimensione cerebrale.

Chi, nonostante tutto, voglia sostene-re una tale correlazione, dovrà comun-que risolvere un problema spinoso. Ènoto da tempo che i neandertaliani (Ho-mo neanderthalensis) avevano una di-mensione cerebrale media maggiore ri-spetto all'uomo moderno. Questo fattocostituisce un enigma. D'altro canto sivanno accumulando prove del fatto cheil cervello degli appartenenti alla nostraspecie - Homo sapiens - era in passatopiù grande. Tutto indica che nell'uomosi è verificata una costante riduzionedella dimensione cerebrale (senza con-comitante riduzione della dimensionecorporea) nel corso degli ultimi 20 000anni circa. Pertanto, la dimensione delcervello umano ha subito una riduzione

progressiva proprio durante il periodoin cui sono stati realizzati i progressipiù notevoli della cultura umana. Certonon si vorrà sostenere che questa ridu-zione sia stata associata a una riduzio-ne della complessità degli utensili odelle interazioni sociali! Sembra moltopiù probabile che sia cambiato l'inve-stimento energetico materno.

In definitiva, parlando di capacità ce-rebrale umana, si osserva che il fattoredeterminante per le dimensioni del cer-vello è l'apporto di energia necessariaper il suo sviluppo e funzionamento.Per quanto non vi sia, ovviamente, al-cuna correlazione generale tra dimen-sione cerebrale e complessità del com-portamento, il fatto che il cervello uma-no moderno sia circa tre volte maggioredi quello delle scimmie antropomorfe,può forse dipendere da una relazionediretta tra dimensioni cerebrali e capa-cità individuali. Altrimenti sarebbe dif-ficile spiegare perché i cambiamenti piùrilevanti nella società umana siano sta-ti accompagnati da una progressiva va-riazione delle dimensioni cerebrali.

BIBLIOGRAFIA

MARTIN R. D., Primate Origins andEvolution: A Phylogenetic Reconstruc-don, Princeton University Press, 1990.

JONES STEVE, MARTIN R. D. e PILBEAMDAVID, The Cambridge Encyclopedia ofHuman Evolution, Cambridge Univer-sity Press, 1992.

LE SCIENZEquaderni

n.73, settembre 1993a cura di Francesco Fedele

è dedicato alla

EVOLUZIONEDELL'UOMO

e contiene i seguenti articoli:

L'evoluzione dell'uomo:una nuova scimmia prende forma

di Francesco Fedele

L'evoluzione degli ominoideie degli ominidi

di David Pilbeam

Le orme fossili di Laetolidi R. L. Hay e Mary D. Leakey

L'evoluzione dell'andaturabipede nell'uomo

di C. Owen Lovejoy

Comportamento alimentareed evoluzione umana

di Robert J. Blumenschinee John A. Cavallo

Un cervello per correre?di Francesco Fedele

L'uomo di Pechinodi Wu Ju-kang e Lin Sheng-lun

Uomini di tipo modernonel Vicino Orientedi Ofer Bar-Yosef

e Bernard Vandermeersch

Le origini dell'uomomoderno in Europa

di Jean-Jacques Hublin

Gli uomini di Neandertaldi Erik Trinkaus

e William W. Howells

Idee vecchie e nuovesulle nostre origini vicine

di Francesco Fedele

Una genesi africana recentedi Allan C. Wilsone Rebecca L. Cann

Un'evoluzione multiregionaledi Alan G. Thome

e Milford H. Wolpoff

Da Darwin a Lucy:l'uomo scopre se stesso

di Francesco Fedele

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