Piccolo artigianato domestico Tradizioni - picmediofriuli.it · Il legno di bagolaro è sempre...

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Tradizioni Progetto Integrato Cultura del Medio Friuli Piccolo artigianato domestico a cura di Ivano Urli versi per i vari usi: per portare da mangiare in campagna, bianco per mettere ad asciugare, ce- sto per la semina (zei di semenâ) o per raccogliere il granoturco (par cjapâ sù blave), per contene- re quanto serve per cucire (zei di cusî). Le donne vanno liberamente al mercato a Mortegliano, a Codroipo, a Udine, a vendere radicchio, aglio, ci- polla: sono lis rivendiculis. I bambini e le bambine vengono spediti in campagna a raccogliere erbe mangerecce (lidric mat, lidrichesse, ardielut, sclo- pit ovvero tarassaco, valerianella, silene); si ven- devano lupini (luvins) coltivati ai bordi delle vigne (a ôr des vîts), messi a bagno nell’acqua salata e venduti a misura di bicchiere. Il legno di bagolaro è sempre buono per manici e simili (cempli, buinç, mani). Tutto si cuce in casa, con la macchina a manovella, solo le sarte hanno il pedale. Si fila la lana (filâ), la si sferruzza (gugjâ). Scheda n° 5. 1. 16 fig. 1 - la lana viene filata con la gorlete (o corlete). le donne non possono stare con le mani in mano, i maschi si. Piccolo artigianato domestico Fig. 2 - Quasi in ogni cortile vi era un “cjaliâr”: çuculis, çavatis, e mulots, scarpis di fieste per tutte le età. In un’economia da sussistenza, va a piedi e con passo claudicante la circolazione della moneta. Ci si procura il cibo con l’agricoltura. Un cibo sempre uguale nella sua uniforme genuinità, ab- bondante o stentato a seconda delle annate e a seconda della terra che si possiede e lavora, o della terra che non si possiede e si lavora per altri e sotto altri. E ci si procura gli oggetti talvolta con il baratto (provvidenziali le uova delle galli- ne per i piccoli acquisti quotidiani nelle botteghe degli alimenti – buteghe di coloniâi) o più spesso realizzandoli da sé. Contadini di fatto, artigiani di necessità. Lavori di falegname, fabbro, mura- tore, soprattutto, per gli uomini. Di cucito, rica- mo, rammendo, filatura per le donne. Si fanno in casa gli attrezzi da lavoro, i serramenti più grezzi della casa e delle stalle, i cesti intrecciando vimi- ni, le scope di saggina (saròs), gli zoccoli con la ferratura, i manici più disparati, selezionando il legname adatto (provvidenziale il sambuco – saûl o saût, che è resistente, non pesa ed è comune in tutti i fossi) e i componenti meno complessi del carro da lavoro, compreso il tavolato, per cui non serve di necessità gente del mestiere. Per le donne di casa, rammendare e rattoppare (blecâ) sono adempimento quotidiano, fino ad ispessire e irrigidire ogni fondello nella ripetuta sovrapposizione delle toppe (un blec tal cûl). A ricamare si impara da piccole presso le suore del paese o qualche sarta ricamatrice che tiene presso di sé bambine e ragazze ad imparare, se hanno passione, se sono mansuete ai richiami, se non hanno pretese di soldi e vanno a mangiare a casa, che ben si sa. Per lavorare a maglia (gucjâ), quando la lana non c’è, come negli anni delle guerre, si tengono le pecore, si tengono i coni- gli bianchi; si lavora al filatoio (corlete o gorlete) ricavando il filo che poi è da lavare, raddoppiare e torcere col fuso. Anche i bambini sanno che, in un’economia di sussistenza e baratto, nean- che parlare di spendere soldi che non ci sono a comprare giocattoli. Allora anche loro si danno da fare da giocattolai. Inventano le bambole con stracci, sassi, legni vivificati dall’immaginazione. Pian pianino sa- gomano con mano esperta i manici delle fionde. Calciano un pallone di vecchi panni (di peçote) legati con un fil di ferro. Per i più piccoli devono per forza provvedere i nonni che intagliano ca- vallini negli steli del mais o zufoli in una canna di bambù. Tutto quel che avanza non si spreca, si vende ciò che sopravvanza il consumo familiare e che si riesce a produrre in più: bestie da cortile, conigli al cuninâr , stracci e ferro al peçotâr , scope e granatini (scovis di saròs, scovets, scoi), rastrelli di legno, borse di cartocci di mais (sportis di scus), sostegni per falci (falcjârs), arconcelli (buinçs), mastelle di legno (podinis, selis), zoccoli (zocul se chiuso, mule aperto). Ma soprattutto cesti, di-

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Progetto Integrato Cultura del Medio Friuli

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niPiccolo artigianato domesticoa cura di Ivano Urli

versi per i vari usi: per portare da mangiare in campagna, bianco per mettere ad asciugare, ce-sto per la semina (zei di semenâ) o per raccogliere il granoturco (par cjapâ sù blave), per contene-re quanto serve per cucire (zei di cusî). Le donne vanno liberamente al mercato a Mortegliano, a Codroipo, a Udine, a vendere radicchio, aglio, ci-polla: sono lis rivendiculis. I bambini e le bambine vengono spediti in campagna a raccogliere erbe mangerecce (lidric mat, lidrichesse, ardielut, sclo-pit ovvero tarassaco, valerianella, silene); si ven-devano lupini (luvins) coltivati ai bordi delle vigne (a ôr des vîts), messi a bagno nell’acqua salata e venduti a misura di bicchiere. Il legno di bagolaro è sempre buono per manici e simili (cempli, buinç, mani). Tutto si cuce in casa, con la macchina a manovella, solo le sarte hanno il pedale. Si fila la lana (filâ), la si sferruzza (gugjâ).

Scheda n° 5. 1. 16

fig. 1 - la lana viene filata con la gorlete (o corlete). le donne non possono stare con le mani in mano, i maschi si.

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ticoFig. 2 - Quasi in ogni cortile vi era un “cjaliâr”: çuculis, çavatis, e

mulots, scarpis di fieste per tutte le età.

In un’economia da sussistenza, va a piedi e con passo claudicante la circolazione della moneta. Ci si procura il cibo con l’agricoltura. Un cibo sempre uguale nella sua uniforme genuinità, ab-bondante o stentato a seconda delle annate e a seconda della terra che si possiede e lavora, o della terra che non si possiede e si lavora per altri e sotto altri. E ci si procura gli oggetti talvolta con il baratto (provvidenziali le uova delle galli-ne per i piccoli acquisti quotidiani nelle botteghe degli alimenti – buteghe di coloniâi) o più spesso realizzandoli da sé. Contadini di fatto, artigiani di necessità. Lavori di falegname, fabbro, mura-tore, soprattutto, per gli uomini. Di cucito, rica-mo, rammendo, filatura per le donne. Si fanno in casa gli attrezzi da lavoro, i serramenti più grezzi della casa e delle stalle, i cesti intrecciando vimi-ni, le scope di saggina (saròs), gli zoccoli con la ferratura, i manici più disparati, selezionando il legname adatto (provvidenziale il sambuco – saûl o saût, che è resistente, non pesa ed è comune in tutti i fossi) e i componenti meno complessi del carro da lavoro, compreso il tavolato, per cui non serve di necessità gente del mestiere. Per le donne di casa, rammendare e rattoppare (blecâ) sono adempimento quotidiano, fino ad ispessire e irrigidire ogni fondello nella ripetuta sovrapposizione delle toppe (un blec tal cûl). A ricamare si impara da piccole presso le suore del paese o qualche sarta ricamatrice che tiene presso di sé bambine e ragazze ad imparare, se hanno passione, se sono mansuete ai richiami, se non hanno pretese di soldi e vanno a mangiare a casa, che ben si sa. Per lavorare a maglia (gucjâ), quando la lana non c’è, come negli anni delle guerre, si tengono le pecore, si tengono i coni-gli bianchi; si lavora al filatoio (corlete o gorlete) ricavando il filo che poi è da lavare, raddoppiare e torcere col fuso. Anche i bambini sanno che, in un’economia di sussistenza e baratto, nean-che parlare di spendere soldi che non ci sono a comprare giocattoli. Allora anche loro si danno da fare da giocattolai. Inventano le bambole con stracci, sassi, legni vivificati dall’immaginazione. Pian pianino sa-gomano con mano esperta i manici delle fionde. Calciano un pallone di vecchi panni (di peçote) legati con un fil di ferro. Per i più piccoli devono per forza provvedere i nonni che intagliano ca-vallini negli steli del mais o zufoli in una canna di bambù. Tutto quel che avanza non si spreca, si vende ciò che sopravvanza il consumo familiare e che si riesce a produrre in più: bestie da cortile, conigli al cuninâr, stracci e ferro al peçotâr, scope e granatini (scovis di saròs, scovets, scoi), rastrelli di legno, borse di cartocci di mais (sportis di scus), sostegni per falci (falcjârs), arconcelli (buinçs), mastelle di legno (podinis, selis), zoccoli (zocul se chiuso, mule aperto). Ma soprattutto cesti, di-

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Progetto Integrato Cultura del Medio Friuli

Scheda n° 5. 1. 16

L’angolo della Lingua Friulana

Qual è il vero friulano? La nostra lingua locale ha molte varietà, quasi una per paese, e sono tutte “giuste”. Ma c’è anche bisogno di una lingua co-mune, una koinè, per i testi ufficiali, soprattutto scritti. Se vogliamo presentare un telegiornale in friulano o scrivere su un giornale useremo la va-rietà del giornalista? Non è possibile, stonerebbe a chi non è di quella zona. È stata perciò definita una lingua standard. Per conoscere le forme nor-malizzate si può usare il Dizionari ortografic e il Coretôr ortografic preparati dalla Cooperative di informazion furlane nel 2001, inoltre è disponi-bile gratuitamente il Grant dizionari bilengâl ta-lian-furlan a cura del Centri Friûl Lenghe 2000.

Per ricercare e approfondire• Cosa significa l’espressione ‘economia di sussistenza’? Perché vi circola poco la moneta? Spiega che cosa si intende per ‘baratto’. • Chiedi ai tuoi familiari quali artigiani erano attivi nel loro borgo o quartiere negli anni della loro infanzia, e quanta mano d’opera impiegavano. • Informati su come si imparava il mestiere un tempo, se si dava più importanza all’istruzione o all’apprendistato, se gli apprendisti erano pagati. Rifletti su quante fra queste attività sono ancora presenti e sulle ragioni del cambiamento. • Rifletti sul ruolo degli anziani e sul lavoro infantile nella società contadina. • Quali riflessioni riesci a fare confrontando le caratteristiche del mondo descritto nella scheda con l’attuale globalizzazione?

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Fig. 3 - Si imparava a cucire e ricamare dalle suore.

Bibliografia• T. Ribezzi, La cassapanca e il corredo in Friuli, Udine, Istituto per l’enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, 1981• A. Nicoloso Ciceri, Tradizioni popolari in Friuli, (terza ed.) Udine, Chiandetti, 1992• S. e S. Marangone, Sul lâ a farcs, a scuari, e altri piçul comercio familiâr, Las Rives, ed. Comune di Lestizza, Tavagnacco, Arti Grafiche Friulane, 1997• E. Ferro, Siôr Serilo di Gnespolêt, un cramar di planure, Las Rives, ed. Comune di Lestizza, Tavagnacco, Arti Grafiche Friulane, 1998• R. Bassi, A fâ siele par sportes, cjapiei e cjadrees, Las Rives, ed. Comune di Lestizza, Tavagnacco, Arti Grafiche Friulane, 2000• P. Beltrame, A fâ fros, Las Rives, ed. Comune di Lestizza, Ronchi dei Legionari, Ergon, 2001• E. Ferro, Lâ a scuari, Las Rives, ed. Comune di Lestizza, Ronchi dei Legionari, Ergon, 2001• B. Gomba, Las coltres di Armide, Las Rives, ed. Comune di Lestizza, Talmassons, Litografia Ponte, 2002

Fig. 4 -Tutti gli attrezzi da lavoro erano fatti a mano.