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1 5.9.2013 SOSPENSIONE E SCIOGLIMENTO DEI CONTRATTI IN CORSO DI ESECUZIONE NEL CONCORDATO PREVENTIVO di Francesco Petrucco Toffolo, Magistrato Sommario: 1. Premessa - 2. La nuova disciplina dei contratti pendenti e i problemi interpretativi - 3. La sospensione dei contratti pendenti nel concordato con riserva 1. Premessa Come è noto, prima della recente riforma (decreto legge n. 83/2012 conv. in legge n. 134/2012), nessuna espressa disposizione regolava la sorte dei rapporti pendenti nel concordato preventivo. Ciò a differenza di quanto accade per il fallimento: l’art. 72 detta quale regola generale (discipline specifiche sono recate dagli articoli seguenti) quella della sospensione ex lege dei rapporti, con facoltà di scelta da parte del curatore di subentrare o di sciogliere i contratti in essere. In assenza di norma espressa, per il concordato preventivo si affermava comunemente il principio della prosecuzione dei rapporti contrattuali pendenti , non ritenendosi applicabili analogicamente gli articoli 72 e seguenti ad una procedura diversa dal fallimento e caratterizzata da una più accentuata funzione conservativa dell’impresa, oltre che dallo spossessamento soltanto attenuato del debitore. La prosecuzione ex lege creava problemi pratici evidenti con potenziale influenza negativa sul contenuto del piano e della proposta concordatari: i rapporti la cui permanenza si presentasse pregiudizievole o inutile potevano (e possono) comportare l’emersione di poste passive superiori a quelle che si produrrebbero, per effetto della disciplina sopra richiamata, nel fallimento. La sorte dei rapporti pendenti andava allora gestita, di preferenza, negozialmente, essendo possibile la risoluzione consensuale o un accordo transattivo sulla sorte del rapporto e sulle conseguenze dell’eventuale suo prematuro (convenuto) scioglimento. In alternativa, il debitore poteva essere indotto a provocarne la risoluzione per proprio inadempimento prima dell’accesso alla procedura - secondo taluno, anche dichiarando (al più tardi) con il ricorso introduttivo la propria definitiva volontà di non adempiere - al fine della cristallizzazione dei crediti conseguenti della

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5.9.2013

SOSPENSIONE E SCIOGLIMENTO DEI CONTRATTI IN CORSO DI ESECUZIONE NEL CONCORDATO PREVENTIVO

di Francesco Petrucco Toffolo, Magistrato

Sommario: 1. Premessa - 2. La nuova disciplina dei contratti pendenti e i problemi interpretativi - 3. La

sospensione dei contratti pendenti nel concordato con riserva

1. Premessa

Come è noto, prima della recente riforma (decreto legge n. 83/2012 conv. in legge

n. 134/2012), nessuna espressa disposizione regolava la sorte dei rapporti pendenti

nel concordato preventivo.

Ciò a differenza di quanto accade per il fallimento: l’art. 72 detta quale regola

generale (discipline specifiche sono recate dagli articoli seguenti) quella della

sospensione ex lege dei rapporti, con facoltà di scelta da parte del curatore di

subentrare o di sciogliere i contratti in essere.

In assenza di norma espressa, per il concordato preventivo si affermava

comunemente il principio della prosecuzione dei rapporti contrattuali pendenti,

non ritenendosi applicabili analogicamente gli articoli 72 e seguenti ad una

procedura diversa dal fallimento e caratterizzata da una più accentuata funzione

conservativa dell’impresa, oltre che dallo spossessamento soltanto attenuato del

debitore.

La prosecuzione ex lege creava problemi pratici evidenti con potenziale influenza

negativa sul contenuto del piano e della proposta concordatari: i rapporti la cui

permanenza si presentasse pregiudizievole o inutile potevano (e possono)

comportare l’emersione di poste passive superiori a quelle che si produrrebbero,

per effetto della disciplina sopra richiamata, nel fallimento. La sorte dei rapporti

pendenti andava allora gestita, di preferenza, negozialmente, essendo possibile la

risoluzione consensuale o un accordo transattivo sulla sorte del rapporto e sulle

conseguenze dell’eventuale suo prematuro (convenuto) scioglimento. In

alternativa, il debitore poteva essere indotto a provocarne la risoluzione per

proprio inadempimento prima dell’accesso alla procedura - secondo taluno, anche

dichiarando (al più tardi) con il ricorso introduttivo la propria definitiva volontà di

non adempiere - al fine della cristallizzazione dei crediti conseguenti della

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controparte, così destinati ad essere pagati in moneta concorsuale. Restavano (e

restano per regola generale) in ogni caso a disposizione del contraente in bonis i

tipici rimedi contrattuali all’inadempimento, ed in particolare l’eccezione di

inadempimento di cui all’art. 1460, la facoltà di sospensione di cui all’art. 1461 c.c. e

gli ordinari strumenti risolutivi del rapporto.

2. La nuova disciplina dei contratti pendenti e i problemi interpretativi

Ebbene, la citata riforma del 2012 ha introdotto una rilevante novità: l’art. 169-bis

prevede ora, al primo comma, che “il debitore nel ricorso di cui all’articolo 161”

possa “chiedere che il Tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice

delegato lo autorizzi a sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione alla data della

presentazione del ricorso. Su richiesta del debitore può essere autorizzata la

sospensione del contratto per non più di sessanta giorni, prorogabili una sola

volta”1.

I commi 3 e 4 escludono l’applicazione del primo comma alla clausola

compromissoria eventualmente contenuta nel contratto pendente (nel senso che

permane la devoluzione ad arbitri delle controversie inerenti il rapporto, che però

può essere sospeso o sciolto con il meccanismo di nuova introduzione) nonché ai

contratti di lavoro subordinato, ai preliminari di vendita trascritti aventi ad oggetto

immobili destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi

parenti ed affini entro il terzo grado o destinati a costituire la sede principale

dell’attività d’impresa dell’acquirente, ai contratti aventi ad oggetto la concessione

di finanziamenti destinati e, infine ai contratti di locazione di beni immobili (in caso

di accesso del locatore al concordato preventivo).

La nuova disposizione, come altre d’infelice formulazione, è stata accolta

favorevolmente in termini generali, ma suscita alcuni delicati problemi

interpretativi, anche di ordine sistematico.

Il primo è quello relativo al suo ambito di applicazione: il legislatore non ha usato,

per l’individuazione dei rapporti cui sono riferite le nuove facoltà del debitore, gli

stessi termini impiegati nell’art. 72 l. fall. (contratto “ancora ineseguito da entrambe

le parti” al momento del fallimento): l’art. 169-bis l. fall. fa riferimento ai “contratti

in corso di esecuzione alla data della presentazione del ricorso”; può sembrare, la

seconda, una nozione più ampia, suscettibile di includere anche contratti in cui una

delle parti abbia già eseguito la propria prestazione. Va però dato atto che la

generalità dei commentatori, pur rilevando il differente dato testuale, ha

condivisibilmente preferito suggerire - per un’evidente esigenza di equilibrato

componimento degli interessi confliggenti - un’interpretazione restrittiva della

1 Per un inquadramento sitematico cfr. Lamanna, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo”, in Il civilista,

Milano, 2012; Inzitari, Speciale D.L. Sviluppo - I contratti in corso di esecuzione nel concordato: l’art. 169-bis l.fall., in IlFallimentarista.it.

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nuova disposizione e pertanto una coincidenza, sotto tale profilo, degli ambiti di

applicazione delle due norme.

Sono dunque rapporti pendenti quelli perfezionati prima del momento

introduttivo della procedura (che la riforma individua generalmente - v. il novellato

art. 168 - nella data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, ma che

l’art. 169-bis - come del resto l’art. 169 - individua nella presentazione del ricorso) e

per i quali in quel momento nessuna delle parti abbia eseguito la propria

prestazione principale. Correttamente, ad esempio, il tribunale di Monza2 ha

affermato che tale non è il mutuo per il quale il mutuante abbia già erogato l’intero

importo dovuto, solo residuando il debito restitutorio del mutuatario: in tal caso si

riscontra soltanto la presenza di un credito concorsuale (con applicazione, tra

l’altro, di quanto disposto dall’art. 1186 c.c.).

E’ possibile, dunque, optare, sulla base di un’analisi comparativa dei costi e dei

vantaggi, per lo scioglimento del rapporto (trattasi in sostanza di un recesso

unilaterale per il cui esercizio serve l’autorizzazione giudiziale) oppure - in genere in

vista dell’eventuale successivo scioglimento - per la sua temporanea sospensione.

La sospensione ha effetto per entrambe le parti e quindi è teoricamente possibile

solo se il contraente in procedura è a propria volta in grado di rinunciare, sia pur

temporaneamente, alla prestazione altrui. Al termine del periodo, se non vi è

scioglimento, il rapporto è integralmente ripristinato (ad esempio saranno dovute le

rate di leasing il cui pagamento era stato sospeso non potendosi deformare

l’unitario programma finanziario che ne è alla base); solo se si tratta di un rapporto

di durata in cui le prestazioni sono frazionate temporalmente in termini

sinallagmatici nulla sarà dovuto per il periodo in cui il rapporto è rimasto sospeso

(ad esempio per il periodo in cui è rimasta - realmente e bilateralmente - sospesa la

locazione dell’immobile). Se invece una parte non è in grado di “fare a meno” della

prestazione altrui (ad esempio di usufruire dell’immobile locato) non può - si ritiene

- pretendere la mera sospensione (rectius la dilazione del termine) del proprio

adempimento.

Dallo scioglimento (e dalla sospensione quanto al, verosimilmente più limitato,

danno conseguente al ritardo) sorge un credito del contraente in bonis

parametrato al danno che egli subisce per il mancato adempimento benché

qualificato in termini di indennizzo anziché di risarcimento in quanto cagionato da

un atto lecito anziché illecito.

La relativa quantificazione è - auspicabilmente - oggetto di accordo tra le parti

interessate. Fin tanto che non lo sia, il debitore ne dovrà operare ab initio una

ragionevole stima appostando la voce tra le passività concordatarie ed il

professionista incaricato della relazione ex art. 161, comma 3, l. fall. ne dovrà

verificare la congruità. Una volta ammesso il debitore al concordato, il giudice

delegato potrà essere chiamato a pronunciarsi sull’entità del credito solo ai fini del

voto. In caso di controversia tra le parti la decisione “definitiva” sarà assunta - come

2 Trib. Monza, decr. 16.1.2013, in IlFallimentarista.it.

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per l’accertamento di qualsiasi credito nel concordato preventivo - in sede

extraconcorsuale, dal giudice civile.

Ulteriore questione è quella relativa alla necessità, da taluno ipotizzata, che il

tribunale (o il giudice delegato) decidano sull’istanza di sospensione e - soprattutto -

di scioglimento previa instaurazione di un contraddittorio con il contraente in bonis.

Pare diffondersi la prassi che prevede l’assegnazione a quest’ultimo, cui si dispone

sia comunicata l’istanza, di un termine per eventuali controdeduzioni. Non vi è

dubbio che sia nei poteri del tribunale, se lo ritiene utile, un’interlocuzione con

l’altra parte del rapporto, per verificare le informazioni rese dal debitore o (anche al

fine dell’analisi comparativa che giustifica l’opzione) per verificare la prevedibile

entità dell’indennizzo. Non pare tuttavia che si possa ravvisare una qualche

violazione da parte del tribunale che provveda de plano sull’istanza, non sembrando

correttamente invocato il principio del contraddittorio. Si deve infatti notare che

l’istanza ex art. 169-bis non è espressione di un contenzioso oggetto di una

decisione che il giudice debba assumere sentite le parti (processuali) interessate;

l’autorizzazione del tribunale è della stessa natura di altre che l’ufficio emette nel

corso della procedura - si pensi all’autorizzazione al compimento di atti di

straordinaria amministrazione ex art. 167 l. fall. al cui genus, a ben vedere, è

riconducibile la specifica ipotesi in esame - e che pure possono incidere

sull’interesse di qualche terzo; essa ha l’effetto di necessaria integrazione del

potere concesso dalla legge al debitore o, se si preferisce, di rimozione

dell’ostacolo legale al relativo esercizio ed assume come punto di riferimento gli

interessi della massa dei creditori, non la posizione individuale delle parti e

tantomeno quella del contraente in bonis.

Ben più grave è la questione che attiene all’individuazione del termine entro il

quale il debitore possa chiedere l’autorizzazione alla sospensione o allo

scioglimento del rapporto: rendono, allo stato, impossibile una risposta certa

l’equivoco dato testuale, il mancato coordinamento della disposizione con

l’ulteriore novità, introdotta dalla stessa riforma, del c.d. concordato con riserva

(art. 161, comma 6) e soprattutto, sul piano sistematico, la previsione di cui al

secondo alinea del secondo comma dell’art. 169-bis per cui il credito da indennizzo,

cui in caso di scioglimento o sospensione ha diritto il contraente in bonis, “è

soddisfatto come credito anteriore al concordato”.

Secondo l’incipit dell’art. 169-bis, “il debitore nel ricorso di cui all’art. 161 può

chiedere che il tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato” lo

autorizzi a sciogliersi o a sospendere il rapporto pendente.

Da un lato, si indica come (unico) atto destinato a contenere l’istanza il ricorso

introduttivo della procedura, dall’altro, si statuisce che dopo l’ammissione possa

provvedere il giudice delegato, con ciò facendo pensare che la richiesta possa

essere espressa con istanza successiva all’ammissione (in alternativa, si deve

ritenere che ci si riferisca all’ipotesi d’istanza contestuale al ricorso, ma sulla quale il

tribunale, nel decretare l’ammissione, non provveda, rimettendo la questione alla

successiva decisione del - solo - giudice delegato). Si potrebbe allora ritenere

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ammissibile l’istanza successiva se presentata, in quanto elemento del piano ed

influente sui termini della proposta, entro il momento oltre il quale la proposta

stessa non potrà più essere modificata, e quindi fino all’inizio delle operazioni di

voto.

3. La sospensione dei contratti pendenti nel concordato con riserva

Può il debitore chiedere l’autorizzazione nel ricorso ex art. 161, comma 6, l. fall.

relativo al c.d. concordato con riserva o preconcordato? L’art. 169-bis non lo

afferma, ma il generico riferimento al “ricorso di cui all’art. 161” non sembra

escluderlo, perché tale è sia quello proposto ai sensi del primo, sia quello proposto

ai sensi del sesto comma.

Dal punto di vista razionale, la proposizione dell’istanza in sede di concordato con

riserva rappresenta un’opportunità, perché consente di operare scelte conservative

(sospensione) o definitive (scioglimento) funzionali al piano da elaborare:

affermarne il necessario rinvio alla fase successiva potrebbe pregiudicare il

perseguimento degli obiettivi di risanamento o quantomeno aggravare l’esposizione

debitoria; in senso contrario3 è stato però fatto notare che la disciplina di cui all’art.

169-bis assume carattere derogatorio della regola generale della prosecuzione del

rapporto e perciò merita di essere interpretata restrittivamente e, soprattutto, che

la fase introdotta dall’art. 161, comma 6, l. fall. presenta una prospettiva troppo

incerta perché appaia opportuno estendere ad essa la nuova previsione: il piano e

la proposta potrebbero non essere mai presentati, il debitore potrebbe optare per

un accordo di ristrutturazione dei debiti che, soprattutto se si accede all’opinione

prevalente che ne nega la natura di procedura concorsuale, non giustifica lo

scioglimento unilaterale di un rapporto contrattuale.

La prevalente giurisprudenza sembra, in linea di principio, ammettere

l’applicazione dell’art. 169-bis alla fase del preconcordato e si è piuttosto

soffermata su una valutazione di carattere sostanziale, rappresentando l’esigenza di

almeno parziale disclosure da parte del debitore, in ordine all’aggiornata situazione

finanziaria e patrimoniale e, soprattutto, in ordine ai contenuti del piano in corso di

elaborazione, non essendo il contenuto minimo del ricorso e degli allegati previsto

ex art.161, comma 6, sufficiente a fornire al tribunale i necessari elementi di

giudizio.

A tale riguardo, va precisato che, a fronte della mancata indicazione da parte del

legislatore del criterio di giudizio sulla base del quale il tribunale dovrebbe

esercitare il potere autorizzatorio, isolata è rimasta l’opinione espressa dal tribunale

di Salerno secondo cui sarebbe stato riconosciuto dall’art. 169-bis al debitore un

diritto potestativo, del cui esercizio il tribunale dovrebbe limitarsi a prendere atto: si

ritiene invece, in prevalenza, che questi sia chiamato a valutare la coerenza 3 C. Cavallini, “Spigolature” e dubbi in tema di (pre)concordato, continuità aziendale e sospensione/scioglimento dei

contratti pendenti, in IlFallimentarista.it.

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dell’opzione prospettata dal debitore con il piano e la proposta formulati (o, in

caso di concordato con riserva, in corso di elaborazione) e quindi, in ultima analisi,

la funzionalità alla “miglior riuscita del concordato preventivo nell’interesse dei

creditori”4. Proprio il carattere incompleto degli elementi di conoscenza offerti in

questa fase e la loro provvisorietà, come si è osservato, anche dal punto di vista

procedurale, inducono la giurisprudenza ampiamente maggioritaria ad escludere lo

scioglimento dei rapporti contrattuali fino al deposito del piano e della proposta,

optandosi invece, con largo favore, per l’alternativa, meramente conservativa e

strumentale alla salvaguardia delle successive più opportune determinazioni, della

sospensione del contratto5.

Ma, come si è accennato, il quadro è reso ben più complicato dall’attribuzione della

natura concorsuale al credito avente ad oggetto l’indennizzo per il contraente che

subisce lo scioglimento o la sospensione.

In termini generali, è principio noto che il "concorso dei creditori" che si apre con il

fallimento - come con il concordato preventivo - non comprende i crediti sorti dopo

l’apertura della procedura: secondo consolidata giurisprudenza, per valutare la

natura concorsuale o meno di un credito occorre tenere conto dell’elemento

genetico dell’obbligazione sul piano sostanziale, alla stregua dell’art. 1173 c.c.: deve

considerarsi sorto prima dell’apertura della procedura il credito derivante da

contratto, fatto illecito o altro fatto idoneo a produrre obbligazione verificatosi

anteriormente all’avvio della procedura, essendo invece ininfluente che i relativi

effetti, come, ad esempio, il danno, si siano manifestati in un momento successivo6.

Nell’art. 169-bis il legislatore è (consapevolmente?) incorso in una probabile

forzatura nella previsione della natura concorsuale del credito indennitario, posto

che la genesi del credito non pare anteriore all’avvio della procedura7.

Nel tentativo di “giustificare” la scelta del legislatore si è scritto che “il fatto

genetico dal quale germina lo scioglimento è la volontà del debitore e questa

volontà deve porsi a monte dell’ingresso in procedura; poi, poco importa che

l’autorizzazione sia rilasciata dal tribunale o dal giudice delegato”8; poco importa

pure, evidentemente, che questa volontà si attui - e dispieghi l’effetto sul rapporto

contrattuale - in un momento ancora successivo, quale quello della comunicazione

alla controparte del recesso (che è atto unilaterale recettizio). La

concorsualizzazione del diritto all’indennizzo appare in questa luce legittima se - ma

4 A. Patti, Rapporti pendenti nel concordato preventivo riformato tra prosecuzione e scioglimento , in Il Fallimento,

3/2013, pag. 269.

5 Il Tribunale di Piacenza, con decr. 4.4.2013, in Ilfallimentarista.it, ha ritenuto che la richiesta subordinata di

sospensione possa evincersi anche implicitamente nella proposta di scioglimento

6 V., ad esempio, Cass., sent. 29.9.2004, n. 19533.

7 Con questa previsione “il legislatore si è esibito in un vero e proprio gioco di prestigio”, osserva P. F. Censoni, La

continuazione e lo scioglimento dei contratti pendenti nel concordato preventivo,pag. 20, in ilcaso.it.

8 M. Fabiani, Per una lettura costruttiva della disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in Ilcaso.it,

pag. 4.

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allora solo se - la volontà di scioglimento è manifestata dal debitore al momento del

deposito del ricorso.

Se così è, dalla previsione di cui al secondo comma si trae, per esigenze

sistematiche, una conclusione non obbligata, come si è anticipato, dall’incerto

incipit testuale del primo comma: l’istanza non si può proporre oltre la

presentazione del ricorso.

Questa conclusione appare senz’altro ragionevole - anche in termini di certezza del

traffico giuridico - se si pensa alla disciplina del concordato preventivo tralasciando

il concordato con riserva; nel momento in cui si cerca di rendere compatibile col

sistema così delineato anche quest’ultimo, le difficoltà aumentano non poco.

E’ noto infatti che, per espressa previsione dello stesso sesto comma dell’art. 161 l.

fall., “i crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti

dal debitore sono prededucibili ai sensi dell’articolo 111”. Ciò che si è detto circa la

necessità di anticipare “a monte dell’ingresso in procedura” il fatto genetico del

credito da indennizzo vale, nel caso di concordato con riserva, con riferimento alla

presentazione del ricorso ex art. 161, comma 6. Con la conseguenza secondo cui se

il debitore non ha chiesto in quella sede quantomeno la sospensione del ricorso non

potrà più chiederla successivamente ed in particolare al momento del deposito del

piano e della proposta.

Tale conseguenza potrebbe esprimersi in termini di inammissibilità della successiva

istanza, con la radicale affermazione per cui, essendo ormai il rapporto proseguito

oltre l’accesso alla procedura, non risulta più applicabile l’art. 169-bis l. fall.

Vi è anche una (sub)opzione interpretativa che attenua la rigidità della conclusione:

l’istanza può essere proposta anche oltre il momento introduttivo della procedura,

ma quando ciò accade non si può applicare il secondo alinea del secondo comma

dell’art. 169-bis ed il credito da indennizzo assume natura prededucibile.

In effetti, questa soluzione è coerente con quanto dettato dalla disciplina del

fallimento: l’art. 72, che prevede la sospensione ex lege del rapporto, esclude nel

caso di mancato subentro del curatore che al contraente in bonis sia dovuto alcun

risarcimento e conferma la natura concorsuale del credito conseguente al mancato

adempimento (in coerenza col fatto che il rapporto non è mai proseguito oltre

l’apertura della procedura); gli articoli 79, 80 e 104 in relazione a casi in cui, invece,

il rapporto è proseguito attribuiscono al previsto indennizzo per recesso del

curatore la prededuzione.

Nel percorso interpretativo da ultimo delineato, dalla natura concorsuale del

credito affermata dal secondo comma dell’art. 169-bis si traggono conseguenze

coerenti con il sistema, ma che:

a) “correggono” la portata letterale, nella prima versione, del primo comma

(anticipando al ricorso ex art. 161, comma 6, il termine ultimo per la proposizione

dell’istanza da parte del debitore che intenda fare ricorso al concordato con riserva)

e, nella seconda opzione, del secondo comma (smentendo l’espressa previsione di

concorsualità dell’indennizzo, qualora l’istanza sia presentata dopo il primo ricorso

presentato);

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b) non appaiono del tutto conformi alla ratio sulla base della quale è stato

introdotto il concordato con riserva: se è vero che il legislatore ha voluto

concedere al debitore il tempo per attuare gli approfondimenti necessari alla

migliore elaborazione di piano e proposta, al riparo da iniziative pregiudizievoli dei

singoli creditori, appare contraddittorio esigere che le opzioni di cui all’art. 169-bis

siano invece anticipate al momento introduttivo di questa fase.

Al fine di concepire una ricostruzione alternativa, forse si dovrebbe riconoscere

che, dopo aver appannato il criterio tradizionale distintivo tra crediti prededucibili e

crediti concorsuali riconoscendo la prededuzione a crediti sorti prima dell’accesso

alla procedura (in quanto funzionali alla medesima), il legislatore avrebbe ora

attribuito natura concorsuale a crediti sorti dopo l’avvio della stessa. Si tratterebbe

allora di ricostruire il sistema in modo ampiamente innovativo rispetto alla

tradizione, riconoscendo come ne esca indebolito il criterio temporale per la

distinzione tra le due categorie di crediti: sarebbe ora più liberamente che in

passato la legge a dire quando il credito è prededucibile e quando è concorsuale

sulla base di un discrezionale regolamento tra gli interessi in conflitto, che trova

anche nel rango dei crediti uno strumento di composizione. Resterebbe allora da

verificare la ragionevolezza - specie sotto il profilo del rispetto del parametro

costituzionale di cui all’art. 3 - della scelta del legislatore. E la verifica nella specie

potrebbe anche dare un risultato positivo, atteso che il sacrificio imposto al

contraente in bonis con la previsione di concorsualità del suo credito potrebbe

apparire giustificato dalla prevalenza dell’interesse della massa dei creditori al

miglior esito del concordato e dell’interesse diffuso alla prosecuzione dell’impresa.

Ma non vi è dubbio che, sul piano dogmatico, la prima via interpretativa appare

ancor oggi più solida: è vero che la stessa si traduce in un elemento di sfavore per il

concordato con riserva, ma è anche vero che questa soluzione può riequilibrare gli

spazi che tale istituto - nella cui concezione il legislatore ha forse “esagerato” il

proprio favor verso l’imprenditore in crisi e verso il quale crescente ostilità

dimostrano le associazioni di categoria - è destinato ad incontrare nella prassi.