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5.9.2013
SOSPENSIONE E SCIOGLIMENTO DEI CONTRATTI IN CORSO DI ESECUZIONE NEL CONCORDATO PREVENTIVO
di Francesco Petrucco Toffolo, Magistrato
Sommario: 1. Premessa - 2. La nuova disciplina dei contratti pendenti e i problemi interpretativi - 3. La
sospensione dei contratti pendenti nel concordato con riserva
1. Premessa
Come è noto, prima della recente riforma (decreto legge n. 83/2012 conv. in legge
n. 134/2012), nessuna espressa disposizione regolava la sorte dei rapporti pendenti
nel concordato preventivo.
Ciò a differenza di quanto accade per il fallimento: l’art. 72 detta quale regola
generale (discipline specifiche sono recate dagli articoli seguenti) quella della
sospensione ex lege dei rapporti, con facoltà di scelta da parte del curatore di
subentrare o di sciogliere i contratti in essere.
In assenza di norma espressa, per il concordato preventivo si affermava
comunemente il principio della prosecuzione dei rapporti contrattuali pendenti,
non ritenendosi applicabili analogicamente gli articoli 72 e seguenti ad una
procedura diversa dal fallimento e caratterizzata da una più accentuata funzione
conservativa dell’impresa, oltre che dallo spossessamento soltanto attenuato del
debitore.
La prosecuzione ex lege creava problemi pratici evidenti con potenziale influenza
negativa sul contenuto del piano e della proposta concordatari: i rapporti la cui
permanenza si presentasse pregiudizievole o inutile potevano (e possono)
comportare l’emersione di poste passive superiori a quelle che si produrrebbero,
per effetto della disciplina sopra richiamata, nel fallimento. La sorte dei rapporti
pendenti andava allora gestita, di preferenza, negozialmente, essendo possibile la
risoluzione consensuale o un accordo transattivo sulla sorte del rapporto e sulle
conseguenze dell’eventuale suo prematuro (convenuto) scioglimento. In
alternativa, il debitore poteva essere indotto a provocarne la risoluzione per
proprio inadempimento prima dell’accesso alla procedura - secondo taluno, anche
dichiarando (al più tardi) con il ricorso introduttivo la propria definitiva volontà di
non adempiere - al fine della cristallizzazione dei crediti conseguenti della
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controparte, così destinati ad essere pagati in moneta concorsuale. Restavano (e
restano per regola generale) in ogni caso a disposizione del contraente in bonis i
tipici rimedi contrattuali all’inadempimento, ed in particolare l’eccezione di
inadempimento di cui all’art. 1460, la facoltà di sospensione di cui all’art. 1461 c.c. e
gli ordinari strumenti risolutivi del rapporto.
2. La nuova disciplina dei contratti pendenti e i problemi interpretativi
Ebbene, la citata riforma del 2012 ha introdotto una rilevante novità: l’art. 169-bis
prevede ora, al primo comma, che “il debitore nel ricorso di cui all’articolo 161”
possa “chiedere che il Tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice
delegato lo autorizzi a sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione alla data della
presentazione del ricorso. Su richiesta del debitore può essere autorizzata la
sospensione del contratto per non più di sessanta giorni, prorogabili una sola
volta”1.
I commi 3 e 4 escludono l’applicazione del primo comma alla clausola
compromissoria eventualmente contenuta nel contratto pendente (nel senso che
permane la devoluzione ad arbitri delle controversie inerenti il rapporto, che però
può essere sospeso o sciolto con il meccanismo di nuova introduzione) nonché ai
contratti di lavoro subordinato, ai preliminari di vendita trascritti aventi ad oggetto
immobili destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi
parenti ed affini entro il terzo grado o destinati a costituire la sede principale
dell’attività d’impresa dell’acquirente, ai contratti aventi ad oggetto la concessione
di finanziamenti destinati e, infine ai contratti di locazione di beni immobili (in caso
di accesso del locatore al concordato preventivo).
La nuova disposizione, come altre d’infelice formulazione, è stata accolta
favorevolmente in termini generali, ma suscita alcuni delicati problemi
interpretativi, anche di ordine sistematico.
Il primo è quello relativo al suo ambito di applicazione: il legislatore non ha usato,
per l’individuazione dei rapporti cui sono riferite le nuove facoltà del debitore, gli
stessi termini impiegati nell’art. 72 l. fall. (contratto “ancora ineseguito da entrambe
le parti” al momento del fallimento): l’art. 169-bis l. fall. fa riferimento ai “contratti
in corso di esecuzione alla data della presentazione del ricorso”; può sembrare, la
seconda, una nozione più ampia, suscettibile di includere anche contratti in cui una
delle parti abbia già eseguito la propria prestazione. Va però dato atto che la
generalità dei commentatori, pur rilevando il differente dato testuale, ha
condivisibilmente preferito suggerire - per un’evidente esigenza di equilibrato
componimento degli interessi confliggenti - un’interpretazione restrittiva della
1 Per un inquadramento sitematico cfr. Lamanna, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo”, in Il civilista,
Milano, 2012; Inzitari, Speciale D.L. Sviluppo - I contratti in corso di esecuzione nel concordato: l’art. 169-bis l.fall., in IlFallimentarista.it.
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nuova disposizione e pertanto una coincidenza, sotto tale profilo, degli ambiti di
applicazione delle due norme.
Sono dunque rapporti pendenti quelli perfezionati prima del momento
introduttivo della procedura (che la riforma individua generalmente - v. il novellato
art. 168 - nella data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, ma che
l’art. 169-bis - come del resto l’art. 169 - individua nella presentazione del ricorso) e
per i quali in quel momento nessuna delle parti abbia eseguito la propria
prestazione principale. Correttamente, ad esempio, il tribunale di Monza2 ha
affermato che tale non è il mutuo per il quale il mutuante abbia già erogato l’intero
importo dovuto, solo residuando il debito restitutorio del mutuatario: in tal caso si
riscontra soltanto la presenza di un credito concorsuale (con applicazione, tra
l’altro, di quanto disposto dall’art. 1186 c.c.).
E’ possibile, dunque, optare, sulla base di un’analisi comparativa dei costi e dei
vantaggi, per lo scioglimento del rapporto (trattasi in sostanza di un recesso
unilaterale per il cui esercizio serve l’autorizzazione giudiziale) oppure - in genere in
vista dell’eventuale successivo scioglimento - per la sua temporanea sospensione.
La sospensione ha effetto per entrambe le parti e quindi è teoricamente possibile
solo se il contraente in procedura è a propria volta in grado di rinunciare, sia pur
temporaneamente, alla prestazione altrui. Al termine del periodo, se non vi è
scioglimento, il rapporto è integralmente ripristinato (ad esempio saranno dovute le
rate di leasing il cui pagamento era stato sospeso non potendosi deformare
l’unitario programma finanziario che ne è alla base); solo se si tratta di un rapporto
di durata in cui le prestazioni sono frazionate temporalmente in termini
sinallagmatici nulla sarà dovuto per il periodo in cui il rapporto è rimasto sospeso
(ad esempio per il periodo in cui è rimasta - realmente e bilateralmente - sospesa la
locazione dell’immobile). Se invece una parte non è in grado di “fare a meno” della
prestazione altrui (ad esempio di usufruire dell’immobile locato) non può - si ritiene
- pretendere la mera sospensione (rectius la dilazione del termine) del proprio
adempimento.
Dallo scioglimento (e dalla sospensione quanto al, verosimilmente più limitato,
danno conseguente al ritardo) sorge un credito del contraente in bonis
parametrato al danno che egli subisce per il mancato adempimento benché
qualificato in termini di indennizzo anziché di risarcimento in quanto cagionato da
un atto lecito anziché illecito.
La relativa quantificazione è - auspicabilmente - oggetto di accordo tra le parti
interessate. Fin tanto che non lo sia, il debitore ne dovrà operare ab initio una
ragionevole stima appostando la voce tra le passività concordatarie ed il
professionista incaricato della relazione ex art. 161, comma 3, l. fall. ne dovrà
verificare la congruità. Una volta ammesso il debitore al concordato, il giudice
delegato potrà essere chiamato a pronunciarsi sull’entità del credito solo ai fini del
voto. In caso di controversia tra le parti la decisione “definitiva” sarà assunta - come
2 Trib. Monza, decr. 16.1.2013, in IlFallimentarista.it.
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per l’accertamento di qualsiasi credito nel concordato preventivo - in sede
extraconcorsuale, dal giudice civile.
Ulteriore questione è quella relativa alla necessità, da taluno ipotizzata, che il
tribunale (o il giudice delegato) decidano sull’istanza di sospensione e - soprattutto -
di scioglimento previa instaurazione di un contraddittorio con il contraente in bonis.
Pare diffondersi la prassi che prevede l’assegnazione a quest’ultimo, cui si dispone
sia comunicata l’istanza, di un termine per eventuali controdeduzioni. Non vi è
dubbio che sia nei poteri del tribunale, se lo ritiene utile, un’interlocuzione con
l’altra parte del rapporto, per verificare le informazioni rese dal debitore o (anche al
fine dell’analisi comparativa che giustifica l’opzione) per verificare la prevedibile
entità dell’indennizzo. Non pare tuttavia che si possa ravvisare una qualche
violazione da parte del tribunale che provveda de plano sull’istanza, non sembrando
correttamente invocato il principio del contraddittorio. Si deve infatti notare che
l’istanza ex art. 169-bis non è espressione di un contenzioso oggetto di una
decisione che il giudice debba assumere sentite le parti (processuali) interessate;
l’autorizzazione del tribunale è della stessa natura di altre che l’ufficio emette nel
corso della procedura - si pensi all’autorizzazione al compimento di atti di
straordinaria amministrazione ex art. 167 l. fall. al cui genus, a ben vedere, è
riconducibile la specifica ipotesi in esame - e che pure possono incidere
sull’interesse di qualche terzo; essa ha l’effetto di necessaria integrazione del
potere concesso dalla legge al debitore o, se si preferisce, di rimozione
dell’ostacolo legale al relativo esercizio ed assume come punto di riferimento gli
interessi della massa dei creditori, non la posizione individuale delle parti e
tantomeno quella del contraente in bonis.
Ben più grave è la questione che attiene all’individuazione del termine entro il
quale il debitore possa chiedere l’autorizzazione alla sospensione o allo
scioglimento del rapporto: rendono, allo stato, impossibile una risposta certa
l’equivoco dato testuale, il mancato coordinamento della disposizione con
l’ulteriore novità, introdotta dalla stessa riforma, del c.d. concordato con riserva
(art. 161, comma 6) e soprattutto, sul piano sistematico, la previsione di cui al
secondo alinea del secondo comma dell’art. 169-bis per cui il credito da indennizzo,
cui in caso di scioglimento o sospensione ha diritto il contraente in bonis, “è
soddisfatto come credito anteriore al concordato”.
Secondo l’incipit dell’art. 169-bis, “il debitore nel ricorso di cui all’art. 161 può
chiedere che il tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato” lo
autorizzi a sciogliersi o a sospendere il rapporto pendente.
Da un lato, si indica come (unico) atto destinato a contenere l’istanza il ricorso
introduttivo della procedura, dall’altro, si statuisce che dopo l’ammissione possa
provvedere il giudice delegato, con ciò facendo pensare che la richiesta possa
essere espressa con istanza successiva all’ammissione (in alternativa, si deve
ritenere che ci si riferisca all’ipotesi d’istanza contestuale al ricorso, ma sulla quale il
tribunale, nel decretare l’ammissione, non provveda, rimettendo la questione alla
successiva decisione del - solo - giudice delegato). Si potrebbe allora ritenere
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ammissibile l’istanza successiva se presentata, in quanto elemento del piano ed
influente sui termini della proposta, entro il momento oltre il quale la proposta
stessa non potrà più essere modificata, e quindi fino all’inizio delle operazioni di
voto.
3. La sospensione dei contratti pendenti nel concordato con riserva
Può il debitore chiedere l’autorizzazione nel ricorso ex art. 161, comma 6, l. fall.
relativo al c.d. concordato con riserva o preconcordato? L’art. 169-bis non lo
afferma, ma il generico riferimento al “ricorso di cui all’art. 161” non sembra
escluderlo, perché tale è sia quello proposto ai sensi del primo, sia quello proposto
ai sensi del sesto comma.
Dal punto di vista razionale, la proposizione dell’istanza in sede di concordato con
riserva rappresenta un’opportunità, perché consente di operare scelte conservative
(sospensione) o definitive (scioglimento) funzionali al piano da elaborare:
affermarne il necessario rinvio alla fase successiva potrebbe pregiudicare il
perseguimento degli obiettivi di risanamento o quantomeno aggravare l’esposizione
debitoria; in senso contrario3 è stato però fatto notare che la disciplina di cui all’art.
169-bis assume carattere derogatorio della regola generale della prosecuzione del
rapporto e perciò merita di essere interpretata restrittivamente e, soprattutto, che
la fase introdotta dall’art. 161, comma 6, l. fall. presenta una prospettiva troppo
incerta perché appaia opportuno estendere ad essa la nuova previsione: il piano e
la proposta potrebbero non essere mai presentati, il debitore potrebbe optare per
un accordo di ristrutturazione dei debiti che, soprattutto se si accede all’opinione
prevalente che ne nega la natura di procedura concorsuale, non giustifica lo
scioglimento unilaterale di un rapporto contrattuale.
La prevalente giurisprudenza sembra, in linea di principio, ammettere
l’applicazione dell’art. 169-bis alla fase del preconcordato e si è piuttosto
soffermata su una valutazione di carattere sostanziale, rappresentando l’esigenza di
almeno parziale disclosure da parte del debitore, in ordine all’aggiornata situazione
finanziaria e patrimoniale e, soprattutto, in ordine ai contenuti del piano in corso di
elaborazione, non essendo il contenuto minimo del ricorso e degli allegati previsto
ex art.161, comma 6, sufficiente a fornire al tribunale i necessari elementi di
giudizio.
A tale riguardo, va precisato che, a fronte della mancata indicazione da parte del
legislatore del criterio di giudizio sulla base del quale il tribunale dovrebbe
esercitare il potere autorizzatorio, isolata è rimasta l’opinione espressa dal tribunale
di Salerno secondo cui sarebbe stato riconosciuto dall’art. 169-bis al debitore un
diritto potestativo, del cui esercizio il tribunale dovrebbe limitarsi a prendere atto: si
ritiene invece, in prevalenza, che questi sia chiamato a valutare la coerenza 3 C. Cavallini, “Spigolature” e dubbi in tema di (pre)concordato, continuità aziendale e sospensione/scioglimento dei
contratti pendenti, in IlFallimentarista.it.
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dell’opzione prospettata dal debitore con il piano e la proposta formulati (o, in
caso di concordato con riserva, in corso di elaborazione) e quindi, in ultima analisi,
la funzionalità alla “miglior riuscita del concordato preventivo nell’interesse dei
creditori”4. Proprio il carattere incompleto degli elementi di conoscenza offerti in
questa fase e la loro provvisorietà, come si è osservato, anche dal punto di vista
procedurale, inducono la giurisprudenza ampiamente maggioritaria ad escludere lo
scioglimento dei rapporti contrattuali fino al deposito del piano e della proposta,
optandosi invece, con largo favore, per l’alternativa, meramente conservativa e
strumentale alla salvaguardia delle successive più opportune determinazioni, della
sospensione del contratto5.
Ma, come si è accennato, il quadro è reso ben più complicato dall’attribuzione della
natura concorsuale al credito avente ad oggetto l’indennizzo per il contraente che
subisce lo scioglimento o la sospensione.
In termini generali, è principio noto che il "concorso dei creditori" che si apre con il
fallimento - come con il concordato preventivo - non comprende i crediti sorti dopo
l’apertura della procedura: secondo consolidata giurisprudenza, per valutare la
natura concorsuale o meno di un credito occorre tenere conto dell’elemento
genetico dell’obbligazione sul piano sostanziale, alla stregua dell’art. 1173 c.c.: deve
considerarsi sorto prima dell’apertura della procedura il credito derivante da
contratto, fatto illecito o altro fatto idoneo a produrre obbligazione verificatosi
anteriormente all’avvio della procedura, essendo invece ininfluente che i relativi
effetti, come, ad esempio, il danno, si siano manifestati in un momento successivo6.
Nell’art. 169-bis il legislatore è (consapevolmente?) incorso in una probabile
forzatura nella previsione della natura concorsuale del credito indennitario, posto
che la genesi del credito non pare anteriore all’avvio della procedura7.
Nel tentativo di “giustificare” la scelta del legislatore si è scritto che “il fatto
genetico dal quale germina lo scioglimento è la volontà del debitore e questa
volontà deve porsi a monte dell’ingresso in procedura; poi, poco importa che
l’autorizzazione sia rilasciata dal tribunale o dal giudice delegato”8; poco importa
pure, evidentemente, che questa volontà si attui - e dispieghi l’effetto sul rapporto
contrattuale - in un momento ancora successivo, quale quello della comunicazione
alla controparte del recesso (che è atto unilaterale recettizio). La
concorsualizzazione del diritto all’indennizzo appare in questa luce legittima se - ma
4 A. Patti, Rapporti pendenti nel concordato preventivo riformato tra prosecuzione e scioglimento , in Il Fallimento,
3/2013, pag. 269.
5 Il Tribunale di Piacenza, con decr. 4.4.2013, in Ilfallimentarista.it, ha ritenuto che la richiesta subordinata di
sospensione possa evincersi anche implicitamente nella proposta di scioglimento
6 V., ad esempio, Cass., sent. 29.9.2004, n. 19533.
7 Con questa previsione “il legislatore si è esibito in un vero e proprio gioco di prestigio”, osserva P. F. Censoni, La
continuazione e lo scioglimento dei contratti pendenti nel concordato preventivo,pag. 20, in ilcaso.it.
8 M. Fabiani, Per una lettura costruttiva della disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in Ilcaso.it,
pag. 4.
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allora solo se - la volontà di scioglimento è manifestata dal debitore al momento del
deposito del ricorso.
Se così è, dalla previsione di cui al secondo comma si trae, per esigenze
sistematiche, una conclusione non obbligata, come si è anticipato, dall’incerto
incipit testuale del primo comma: l’istanza non si può proporre oltre la
presentazione del ricorso.
Questa conclusione appare senz’altro ragionevole - anche in termini di certezza del
traffico giuridico - se si pensa alla disciplina del concordato preventivo tralasciando
il concordato con riserva; nel momento in cui si cerca di rendere compatibile col
sistema così delineato anche quest’ultimo, le difficoltà aumentano non poco.
E’ noto infatti che, per espressa previsione dello stesso sesto comma dell’art. 161 l.
fall., “i crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti
dal debitore sono prededucibili ai sensi dell’articolo 111”. Ciò che si è detto circa la
necessità di anticipare “a monte dell’ingresso in procedura” il fatto genetico del
credito da indennizzo vale, nel caso di concordato con riserva, con riferimento alla
presentazione del ricorso ex art. 161, comma 6. Con la conseguenza secondo cui se
il debitore non ha chiesto in quella sede quantomeno la sospensione del ricorso non
potrà più chiederla successivamente ed in particolare al momento del deposito del
piano e della proposta.
Tale conseguenza potrebbe esprimersi in termini di inammissibilità della successiva
istanza, con la radicale affermazione per cui, essendo ormai il rapporto proseguito
oltre l’accesso alla procedura, non risulta più applicabile l’art. 169-bis l. fall.
Vi è anche una (sub)opzione interpretativa che attenua la rigidità della conclusione:
l’istanza può essere proposta anche oltre il momento introduttivo della procedura,
ma quando ciò accade non si può applicare il secondo alinea del secondo comma
dell’art. 169-bis ed il credito da indennizzo assume natura prededucibile.
In effetti, questa soluzione è coerente con quanto dettato dalla disciplina del
fallimento: l’art. 72, che prevede la sospensione ex lege del rapporto, esclude nel
caso di mancato subentro del curatore che al contraente in bonis sia dovuto alcun
risarcimento e conferma la natura concorsuale del credito conseguente al mancato
adempimento (in coerenza col fatto che il rapporto non è mai proseguito oltre
l’apertura della procedura); gli articoli 79, 80 e 104 in relazione a casi in cui, invece,
il rapporto è proseguito attribuiscono al previsto indennizzo per recesso del
curatore la prededuzione.
Nel percorso interpretativo da ultimo delineato, dalla natura concorsuale del
credito affermata dal secondo comma dell’art. 169-bis si traggono conseguenze
coerenti con il sistema, ma che:
a) “correggono” la portata letterale, nella prima versione, del primo comma
(anticipando al ricorso ex art. 161, comma 6, il termine ultimo per la proposizione
dell’istanza da parte del debitore che intenda fare ricorso al concordato con riserva)
e, nella seconda opzione, del secondo comma (smentendo l’espressa previsione di
concorsualità dell’indennizzo, qualora l’istanza sia presentata dopo il primo ricorso
presentato);
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b) non appaiono del tutto conformi alla ratio sulla base della quale è stato
introdotto il concordato con riserva: se è vero che il legislatore ha voluto
concedere al debitore il tempo per attuare gli approfondimenti necessari alla
migliore elaborazione di piano e proposta, al riparo da iniziative pregiudizievoli dei
singoli creditori, appare contraddittorio esigere che le opzioni di cui all’art. 169-bis
siano invece anticipate al momento introduttivo di questa fase.
Al fine di concepire una ricostruzione alternativa, forse si dovrebbe riconoscere
che, dopo aver appannato il criterio tradizionale distintivo tra crediti prededucibili e
crediti concorsuali riconoscendo la prededuzione a crediti sorti prima dell’accesso
alla procedura (in quanto funzionali alla medesima), il legislatore avrebbe ora
attribuito natura concorsuale a crediti sorti dopo l’avvio della stessa. Si tratterebbe
allora di ricostruire il sistema in modo ampiamente innovativo rispetto alla
tradizione, riconoscendo come ne esca indebolito il criterio temporale per la
distinzione tra le due categorie di crediti: sarebbe ora più liberamente che in
passato la legge a dire quando il credito è prededucibile e quando è concorsuale
sulla base di un discrezionale regolamento tra gli interessi in conflitto, che trova
anche nel rango dei crediti uno strumento di composizione. Resterebbe allora da
verificare la ragionevolezza - specie sotto il profilo del rispetto del parametro
costituzionale di cui all’art. 3 - della scelta del legislatore. E la verifica nella specie
potrebbe anche dare un risultato positivo, atteso che il sacrificio imposto al
contraente in bonis con la previsione di concorsualità del suo credito potrebbe
apparire giustificato dalla prevalenza dell’interesse della massa dei creditori al
miglior esito del concordato e dell’interesse diffuso alla prosecuzione dell’impresa.
Ma non vi è dubbio che, sul piano dogmatico, la prima via interpretativa appare
ancor oggi più solida: è vero che la stessa si traduce in un elemento di sfavore per il
concordato con riserva, ma è anche vero che questa soluzione può riequilibrare gli
spazi che tale istituto - nella cui concezione il legislatore ha forse “esagerato” il
proprio favor verso l’imprenditore in crisi e verso il quale crescente ostilità
dimostrano le associazioni di categoria - è destinato ad incontrare nella prassi.