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PERIODICO DI INFORMAZIONE CULTURA E APPROFONDIMENTO SUL MONDO SPORTIVO LO SPORT COME FONTE DI BENESSERE: LA PAROLA AGLI ESPERTI 3/2010 3/2010 3/2010 3/2010 marzo marzo marzo marzo “A quale età posso portare mio figlio a giocare a pallone, a sciare, a correre sulle piste di atletica, a pedalare? Qual è il momento giusto per iniziare un’attività agonistica. Come faccio a capire se mio figlio è portato per una disciplina sportiva? Come posso evitare di river- sare su di lui le mie frustrazioni giovanili di agonista mediocre e de- sideroso di rivincita”. Sono domande che praticamente tutti i genito- ri si pongono. Solo i veri esperti (psicologi, medici sportivi, trauma- tologi, istruttori e allenatori) possono rispondere. Così come solo coloro che sono veramente “del mestiere” sanno valutare se e come un anziano, un disabile, una persona che sta recuperando la forma fisica dopo un trauma o una malattia possono cominciare o ripren- dere una pratica sportiva. Questo numero della newsletter ospita gli autorevoli e documentati pareri di esperti la cui competenza scienti- fica spazia dalla psicologia alla sociologia, dalla medicina alle scienze motorie. Il messaggio di fondo che emerge da tutti i contributi è chiaro: lo sport è e deve essere innanzitutto benessere, fisico e psichico. Lo sport fallisce quindi la sua missione quando mina il fisico e la mente di chi lo pratica: con il doping, con un allenamento sbagliato o esa- sperato, con una scelta errata della disciplina o della specialità da praticare. In quanto fonte di benessere, lo sport è un diritto del cittadino, a tut- te le età ed in tutte le condizioni sociali. Fare sport deve comportare il fatto di stare bene con se stessi e di stare bene insieme agli altri: all’aria aperta o in palestra, in un campo da calcio o in una piscina, sulle piste da sci o sulle strade. Lo sport è aggregazione, confronto continuo e (soprattutto) leale con gli altri e con se stessi (e soprat- tutto con i propri limiti e le proprie potenzialità ancora inespresse). Come tutte le attività umane, lo sport può aiutarci o forzarci a tirare fuori il meglio ed il peggio di noi stessi. E’ una sfida, in cui, prima che la vittoria sono in palio il nostro equilibrio psichico e fisico e la nostra capacità di rapportarci con gli altri. Non è retorica dire che prima di saper vincere bisogna imparare a saper perdere. Perché l’essenza dello sport è proprio questa: sfida ai propri limiti e (prima ancora) ricerca leale e cor- retta di quei limiti. I contributi che pubblichiamo in questo numero della newsletter ci aiutano a capi- re come possiamo attrezzarci fisicamente e psico- logicamente alla pratica motoria e come possiamo aiutare i giovani a vivere lo sport nel modo più corretto e genuino. SOMMARIO NEWSPORT NEWSPORT NEWSPORT NEWSPORT Newsletter dello sportello sport Newsletter dello sportello sport Newsletter dello sportello sport Newsletter dello sportello sport Praticare sport per vincere nella vita 2 Stile di vita e benes- sere dei cittadini 4 Il bambini e lo sport: quando iniziare? 6 La psicologia dello sport nella terza età: possibilità e benefici. 14 Disabilità, Sport e Qualità di Vita 16 News dall’Ente 19 Traumi da sport in età scolare 10

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P E R I OD I CO D I I N FORM AZ I ON E CU L TUR A E A P P RO F OND IM EN TO SU L MONDO S POR T I V O

LO SPORT COME FONTE DI BENESSERE: LA PAROLA AGLI ESPERTI

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“A quale età posso portare mio figlio a giocare a pallone, a sciare, a correre sulle piste di atletica, a pedalare? Qual è il momento giusto per iniziare un’attività agonistica. Come faccio a capire se mio figlio è portato per una disciplina sportiva? Come posso evitare di river-sare su di lui le mie frustrazioni giovanili di agonista mediocre e de-sideroso di rivincita”. Sono domande che praticamente tutti i genito-ri si pongono. Solo i veri esperti (psicologi, medici sportivi, trauma-tologi, istruttori e allenatori) possono rispondere. Così come solo coloro che sono veramente “del mestiere” sanno valutare se e come un anziano, un disabile, una persona che sta recuperando la forma fisica dopo un trauma o una malattia possono cominciare o ripren-dere una pratica sportiva. Questo numero della newsletter ospita gli autorevoli e documentati pareri di esperti la cui competenza scienti-fica spazia dalla psicologia alla sociologia, dalla medicina alle scienze motorie.

Il messaggio di fondo che emerge da tutti i contributi è chiaro: lo sport è e deve essere innanzitutto benessere, fisico e psichico. Lo sport fallisce quindi la sua missione quando mina il fisico e la mente di chi lo pratica: con il doping, con un allenamento sbagliato o esa-sperato, con una scelta errata della disciplina o della specialità da praticare.

In quanto fonte di benessere, lo sport è un diritto del cittadino, a tut-te le età ed in tutte le condizioni sociali. Fare sport deve comportare il fatto di stare bene con se stessi e di stare bene insieme agli altri: all’aria aperta o in palestra, in un campo da calcio o in una piscina, sulle piste da sci o sulle strade. Lo sport è aggregazione, confronto continuo e (soprattutto) leale con gli altri e con se stessi (e soprat-tutto con i propri limiti e le proprie potenzialità ancora inespresse).

Come tutte le attività umane, lo sport può aiutarci o forzarci a tirare fuori il meglio ed il peggio di noi stessi. E’ una sfida, in cui, prima che la vittoria sono in palio il nostro equilibrio psichico e fisico e la nostra capacità di rapportarci con gli altri. Non è retorica dire che prima di saper vincere bisogna imparare a saper perdere. Perché l’essenza dello sport è proprio questa: sfida ai propri limiti e (prima ancora) ricerca leale e cor-retta di quei limiti. I contributi che pubblichiamo in questo numero della newsletter ci aiutano a capi-re come possiamo attrezzarci fisicamente e psico-logicamente alla pratica motoria e come possiamo aiutare i giovani a vivere lo sport nel modo più corretto e genuino.

SOMMARIO

NEWSPORT NEWSPORT NEWSPORT NEWSPORT Newsletter dello sportello sportNewsletter dello sportello sportNewsletter dello sportello sportNewsletter dello sportello sport

Praticare sport per

vincere nella vita

2

Stile di vita e benes-

sere dei cittadini

4

Il bambini e lo sport:

quando iniziare?

6

La psicologia dello

sport nella terza età:

possibilità e benefici.

14

Disabilità, Sport e

Qualità di Vita

16

News dall’Ente 19

Traumi da sport in

età scolare

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allenamento mentale, tutto ciò deve essere realiz-zato in autonomia dallo sportivo.

3) Il concetto di uno sport che mira al risultato, tipico dello sport professionistico, si va applican-do ormai a tutti i livelli, fino alle categorie amato-riali e a quelle giovanili: che contributo può dare la psicologia nel far crescere la consapevolezza dell’alternanza inevitabile di vittoria e di sconfitta? Si può insegnare a perdere? La psicologia dello sport lavora principalmente sul favorire la consapevolezza, migliorando la cono-scenza di sé in senso psicomotorio, e aiutando l’individuo a trasformare i propri limiti in possibilità di crescita e di autorealizzazione. Vittoria e scon-fitta sono facce della stessa medaglia, una origi-na dall’altra e viceversa, il presupposto di base è che si accetti questa regola fondamentale del gio-co dello sport. Non solo lo psicologo ma tutti i professionisti che lavorano nel mondo dello sport devono adoperarsi affinché la cultura dell’ecces-so (o dell’inconsapevolezza senza confini) non abbia mai la meglio sulla naturale ricerca del su-peramento dei propri limiti ( che a volte, ma solo a volte, si traduce in vittoria). Occorre quindi spo-stare l’attenzione dal vincere al competere, dal conflitto con l’avversario al fair play, dalla ricerca dell’eccesso alla consapevolezza del momento presente e delle sensazioni positive dell’esperien-za. Per facilitare questo percorso occorre attivare meccanismi introspettivi individuali e culturali. La psicologia può dare il suo contributo fondamenta-

le, esportabile in tutti gli altri ambiti della vita.

4) Quali benefici specifi-ci, dal punto di vista psi-cologico, possono veni-re da uno sport indivi-duale e quali da uno sport di gruppo? Le ricerche in questo campo mettono in evi-denza dati contrastanti. E’ chiaro che lo sport di

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Giuseppe VERCELLI

Nato a Torino il 10/12/1967 è laureato in Psicologia Clinica e di Comunità presso l'Università di Padova e specializzato i Psicoterapia. Ha svolto la propria attività lavorativa principalmente presso la Scuola Univer-sitaria Interfacoltà in Scienze Motorie, Università degli Studi di Torino, presso la quale è docente di Psico-logia del Lavoro e dello Sport e dirige l'Unità Operativa di Psicologia dello Sport del Centro Ricerche in Scienze Motorie e Sportive. È stato lo psicologo dello sport ufficiale del CONI per le Olimpiadi invernali di Torino 2006 e per le Olimpiadi di Pechino 2008. Iscritto all'Albo dell'Ordine degli Psicologi del Piemonte. Ha insegnato alla Bocconi di Milano e presso la Facoltà di Economia dell'Università di Torino; è lo psicolo-go dello sport della squadra nazionale di sci alpino (F.I.S.I.) e della squadra nazionale di canoa e kayak (F.I.C.K.).

Praticare sport per vincere nella vita la psicologia dello sport per sviluppare la capacità di affrontare e superare le sfide quotidiane

di Giuseppe Vercelli

Con l’obiettivo di chiarire la connessione tra la psicologia applicata allo sport e lo sviluppo di competenze utili all’individuo nella propria quoti-dianità, vengono qui proposte le domande più fre-quenti in questo ambito, e le possibili risposte.

1) Sport e Psicologia sono oggi un binomio con-solidato: quale contributo può dare oggi la psico-logia allo sport? La psicologia dello sport si sta diffondendo sem-pre più perché può permettere a un atleta o a un dilettante di migliorare la sua connessione mente, corpo e ambiente, in altre parole permette una migliore gestione dell’energia investita nella prati-ca sportiva e aumenta la consapevolezza dell’in-dividuo rispetto ai suoi punti di forza e alle aree di miglioramento. Inoltre lo sport dà un grande con-tributo alla psicologia in quanto è ormai accertato che la pratica dell’attività motoria e sportiva mi-gliora lo stato psicofisico dell’individuo, ne favori-sce la socializzazione, agisce in modo positivo sull’autostima.

2) Tutti sappiamo che si possono allenare con successo le qualità fisiche di uno sportivo: esiste un allenamento mentale? e in che cosa consiste? Dalla nascita della psicologia dello sport i vari e-sperti del settore hanno lavorato per sviluppare tecniche e modelli che permettessero all’atleta e al dilettante di arrivare al momento della competi-zione nella migliore condizione psicofisica. L’alle-namento mentale consiste in un metodo, appreso e utilizzato in autonomia dallo sportivo, o più in generale da chiunque debba svolgere una perfor-mance specifica, che permetta l’assoluta corri-spondenza tra prestazione potenziale (quella rea-lizzata per esempio in allenamento) e prestazio-ne reale (quella della gara). Per raggiungere tale risultato si lavora sulla dimensione cognitiva per portare a consapevolezza i pensieri depotenzian-ti, le convinzioni limitanti, in modo che ognuno possa tenerne conto. E poi si lavora sulla dimen-sione emotiva, per sciogliere eventuali blocchi, per smuovere ristagni e far fluire le energie nella direzione desiderata. Alla fine del programma di

gruppo facilita la socialità, insegna a gestire le relazioni e a mediare i conflitti, mentre la pratica di uno sport individuale sviluppa in modo più con-sistente l’autocontrollo e la gestione delle emozio-ni e agisce per migliorare i meccanismi introspet-tivi di connessione tra mente, corpo e ambiente.

La competizione, così come in gene-rale ogni tipo di sfi-da , ha una azione diretta sulla struttu-razione della perso-nalità , nel senso che la pratica sporti-va permette una migliore identifica-zione delle proprie caratteristiche come individuo e permette di costruire quel senso di apparte-nenza a una “comunità” basata su elementi di si-militudine ma anche di diversità.

5) Lo sport, a livello giovanile, quali caratteristi-che dovrebbe avere per poter essere un positivo percorso di crescita della persona? Albert Einstein diceva che “La scelta più impor-tante che un bambino deve fare è capire se si tro-va all’interno di un ambiente amico o un ambiente nemico”. Tutto il resto viene da sé. La pratica sportiva deve rispettare ed essere coe-rente con il naturale sviluppo psicofisico del bam-bino e deve essere svolta all’interno di un am-biente sano, che trasferisca messaggi coerenti, permettendo a ognuno di riconoscere le proprie risorse e manifestarle, superando il dualismo vit-toria – sconfitta e sostituendolo con l’attenzione costante all’apprendimento continuo. I bambini non sono piccoli uomini, sono bambini, mentre gli uomini di oggi, che vogliano muoversi verso la realizzazione di questo obiettivo, non possono prescindere dal tornare a guardare il mondo con gli occhi di quel bambino che è dentro di loro.

6) Quali sono gli “ingredienti della prestazione”, su cosa si agisce per migliorare la propria capaci-tà di superare le sfide? La psicologia dello sport applicata alle sfide di ogni genere aiuta a sviluppare, tra le altre com-petenze, la cosiddetta “Intelligenza Agonistica”, cioè quella capacità insita nella naturale tendenza dell’essere umano di superare, progettare, affron-tare e prevedere le sfide con se stesso, con gli altri, con l’ambiente.

Dagli studi effettuati in questo settore, su migliaia di atleti professionisti e dilettanti, proprio all’inter-no della SUISM, l’ex ISEF di Torino, che è il pun-to di riferimento a livello nazionale per le scienze motorie, appare chiaro che si possa agire su cin-que fattori fondamentali che sono i responsabili di ogni tipo di sfida e di prestazione e si possono ricondurre all’acronimo SFERA.

Ogni prestazione può essere in pratica scompo-sta nei suoi “ingredienti” per essere attuata al me-glio. Si tratta di agire sulla Sincronia (per l’appun-to la S di SFERA), cioè la capacità di stare nel momento presente con la massima connessione mente-corpo, di portare nella sfida solamente i propri punti di Forza, cioè le capacità di cui si è assolutamente certi, di regolare al meglio l’Ener-gia psicofisica, di generare il giusto Ritmo nella sequenza dei movimenti, e infine di agire sull’Atti-vazione, cioè la dimensione motivazionale che riguarda quella particolare sfida. Questo modello di intervento è stato utilizzato da centinaia di atleti professionisti tra cui piloti, giocatori di calcio, volley e basket, sciatori, quali Giorgio Rocca e i canoisti Antonio Rossi e Josefa Idem in occasioni di Olimpiadi e gare internazionali.

7) In quale modo le pubbliche amministrazioni possono utilizzare questa competenza psicologi-ca? Ci troviamo in una epoca sociale e culturale in cui è fondamentale la prevenzione, sia dal punto di vista economico che educativo. La psicologia del-lo sport ha la caratteristica dominante di agire sul-le risorse dell’individuo, esaltarne la genialità, fa-vorire la capacità di problem solving come atto necessario e normale nella vita, generare autono-mia e allenare alla sfida. Esattamente come le federazioni sportive fanno sempre più ricorso a questo tipo di competenza, per capitalizzare gli sforzi di tutto il team che segue atleti e squadre durante le importanti manifestazioni internazionali in cui lo sport rappresenta la migliore vetrina per la Nazione, anche le pubbliche amministrazioni possono avere un vantaggio nell’instaurare sul territorio questa competenza psicologica, tramite una formazione specifica, rivolta ai genitori, alle-natori, ai ragazzi che praticano sport a qualsiasi livello. Questa cultura della sfida affrontata con le proprie naturali capacità ha inevitabilmente una azione preventiva su possibili devianze, secondo le indicazioni della recente direttiva europea che invita le pubbliche amministrazioni a sviluppare motivazione allo sport in età adolescenziale.

Praticare sport per vincere nella vita

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Muoversi è una necessità vitale, lo è stato per mi-gliaia di anni quando l’uomo doveva muoversi per procurarsi il cibo per vivere o per fare la guerra, continua ad essere un’impellenza biologica e psi-cologica per il neonato che cresce e si sviluppa proprio attraverso l’acquisizione della libertà di movimento. Sedentari, invece, si diventa tanto che a partire dai 45 anni il livello di pratica sportiva de-gli italiani scende al 30,9%, a cui si somma un al-tro 29,5% che svolge qualche forma di attività fisi-ca, ma ben il 39,8% non fa assolutamente nulla. Nonostante l’esiguità di questi numeri, l’ISTAT ha rilevato, nell’indagine “La pratica sportiva in Italia” effettuata nel 2006, che sono 17 milioni 170 mila (pari al 30,2% della popolazione con più di tre an-ni) le persone che hanno dichiarato di praticare una o più attività sportive in modo continuativo (20,1%) o saltuario (10,1%). Inoltre, un’elevata percentuale di cittadini (28,4%) si dedica a forme di attività fisica leggere come camminare, nuotare, andare in bicicletta e altre ancora. Il 41% della po-polazione ha, al contrario, dichiarato di non svol-gere alcuna forma di attività fisica o sportiva. L’affermarsi dello sport nella nostra cultura non è solo legato alle passioni che suscitano le grandi sfide agonistiche dal campionato di calcio, agli ori olimpici o alle regate della Coppa America ma si fonda anche su alcune idee che sono ormai parte integrante del patrimonio di convinzioni delle per-sone. La prima si riferisce all’idea che lo sport è benessere e la seconda che lo sport è educazione alla vita. A tale riguardo continua ad essere attua-le quanto Argyle(1) scrisse nel 1987, a proposito di questa forma dell’attività umana, e cioè che lo sport e l’attività fisica vengono scelti dalle persone in quanto sono percepiti come attività di svago e di divertimento, praticate perché procurano piacere e sono definite come quel tipo di attività in cui ci s’impegna perché lo si vuole, per gioco, per mi-gliorarsi, per intrattenimento, per se stesse, per scopi liberamente fissati da ogni partecipante ma non per guadagno. Implicano sia il raggiungimento

di obiettivi immediati determinati dal semplice pia-cere d’impegnarsi in un’attività, sia la realizzazione di obiettivi a medio e lungo termine quali possono essere l’apprendimento di una specifica competen-za sportiva, la riduzione del peso, il mantenimento della forma fisica desiderata o lo stare con gli ami-ci. Pertanto, se ci si muove per stare bene, ciascun individuo esprime il diritto fondamentale di poter essere messo nelle condizioni di fare movimento e/o fare sport e, proprio per soddisfare questa esi-genza, lo sport per tutti è nato e si è diffuso sino a diventare un’attività che coinvolge milioni di persone.

Quali sono dunque i bisogni a cui lo sport per tutti fornisce una risposta: Il bisogno di movimento – Viviamo in una società che ci obbliga a condurre una vita sedentaria, camminare per andare a lavorare o giocare per strada sono attività quasi impensabili e si deve sopperire a questa riduzione di movimento sponta-neo istituzionalizzando momenti della giornata da dedicare esclusivamente all’attività fisica/sportiva. Ormai è possibile per milioni di cittadini trascorrere una giornata senza neanche aver percorso 1km a piedi.

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Stile di vita e benessere dei cittadini

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Nato a Torino nel 1955 è laureato in Psicologia (indirizzo applicativo) all'Università di Roma "La Sapienza". Svolge da sempre la propria attività lavorativa come libero professionista. Dal 1982 ad oggi si è occupato di psicologia dello sport (ha partecipato alle ultime 4 Olimpiadi estive, gli atleti seguiti hanno vinto 10 me-daglie olimpiche, ha lavorato per Ericsson, Gore, Magna e a Torino per GTT, consulente della Maratona di Roma). È docente di psicologia dello sport all'Università di Cassino e di Coaching presso l'Università di Tor Vergata, Roma e alla Scuola dello Sport del Coni. Coordinatore dell'attività di psicologia del settore giova-nile e scolastico della FIGC.

Iscritto all'Ordine degli psicologi del Lazio e al registro degli psicoterapeuti. Ha scritto 13 libri di psicologia dello sport, è diret-tore della rivista "Movimento", direttore della rivista "International Journal of Sport Psychology", presidente della Società Italia-na di Psicologia dello Sport, tesoriere della Federazione Europea di Psicologia dello Sport .

Alberto CEI

di Alberto CEI

(1) Argyle, M. (1987). Psicologia della felicità. Milano: Cortina, (trad. it. 1988).

Il bisogno di educare il proprio corpo – Il miglior esempio di educazione del proprio corpo attraver-so il movimento lo forniscono i bambini nei primi anni di vita, basta osservarli per capire quanto im-pegno pongono nell’imparare a camminare e a correre o nell’acquisire quei processi di autoregola-zione che gli consentono di migliorare riducendo i rischi di farsi del male (es., il piacere che provano nello svolgere l’attività di arrampicarsi e di salta-re). Anche per l’adulto la ricerca del benessere può venire soddisfatta attraverso una migliore perce-zione del proprio corpo o attraverso il riscontrare che il proprio umore migliora per mezzo di un’attivi-tà pratica motoria svolta a intensità moderata. Per molti individui è la scoperta che possono agire atti-vamente e positivamente sulle reazioni del proprio corpo e di quanto queste sia inscindibilmente colle-gate alla loro condizione psicologica, in un rappor-to di influenza reciproca. Il bisogno di autorealizzazione – Nello sport per tutti trovano terreno di cultura necessità di autorea-lizzazione diverse tra loro e che non sempre positi-ve. Una delle forme dell’intelligenza è quella cine-stesica e gli sportivi traggono un senso di valoriz-zazione personale dall’acquisizione di un livello elevato di maestria nello svolgimento della loro at-tività. Il mantenimento di una condizione di benes-sere psicofisico soddisfacente per l’individuo rap-presenta un'altra modalità di autorealizzazione. Non accettabili come forme di valorizzazione posi-tiva sono, ad esempio, quelle di coloro che si ser-vono di sostanze nocive alla salute (farmaci usati in modo sbagliato e doping) per migliorare il loro aspetto fisico o le loro prestazioni sportive. Il bisogno di appartenenza – Per molti sportivi la

ricerca del contatto sociale attraverso la pratica motoria/sportiva rappresenta una delle motivazioni principali. Lo sport diventa sinonimo di attività svol-ta in gruppo. Un’attività su tutte: il podismo; la cor-sa è uno sport individuale che si svolge in gruppo, perché il bisogno di stare con gli amici o di farsene di nuovi e di condividere con questi la propria e-sperienza sportiva personale è una dimensione psicologica fondamentale, che accompagna tutte le fasi della vita umana. Il bisogno di gioco e di avventura – Sport per tutti significa sport a misura di ognuno, in cui la sogget-tività e l’esigenza del singolo prevalgono sulla re-gola del modello competitivo tradizionale. Questo perché lo sport per tutti lo si pratica per piacere personale e le regole del gioco le stabiliscono i partecipanti. Non è in palio la vittoria o l’ottenimen-to della prestazione assoluta, bensì la soddisfazio-ne di un proprio desiderio. L’avventura non è solo quella assoluta dei grandi esploratori. Lo è anche quella della persona sedentaria che decide, talvol-ta per la prima volta nella sua vita, di vincere le proprie resistenze legate a una non buona perce-zione del proprio corpo e di seguire un programma di attività motoria in palestra o di andare a passeg-giare in un parco. Il bisogno di vivere in un ambiente naturale – E’ sempre più avvertita l’esigenza di fare dell’attività fisica immersi nella natura sia essa quella di un parco cittadino o quella del mare, della montagna o della campagna. La ricerca di un contesto am-bientale adeguato non sorge unicamente dal pia-cere di respirare un’aria più pulita o di sentire pro-fumi a cui in città non siamo più abituati. Ancora più profondamente, invece, s’inserisce nell’ambito di uno stile di vita fisicamente attivo, in cui la natu-ra diventa il luogo per eccellenza dove muoversi, fosse anche solo per camminare chiacchierando con gli amici.

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Stile di vita e benessere dei cittadini

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Si sta affermando in campo medico il principio che la prevenzione di malattie come quelle cardiova-scolari aterosclerotiche, il diabete, l’obesità, l’oste-oporosi deve iniziare in età infantile e fra i mezzi più importanti disponibili vi è l’attività fisica. L’incre-mento dell’obesità che si verifica nei paesi indu-strializzati anche nell’infanzia è associata ad a-spetti alimentari ma anche alla riduzione di attività motoria connessa con i giochi moderni davanti a consolle computerizzate e alla TV. Dai dati forniti dall’Istituto di Medicina dello Sport di Torino attual-mente all’età di 11 anni risultano obesi a Torino il 9,3% dei maschi ed il 6,5% delle femmine con un ulteriore 24% circa di soggetti di entrambi i sessi in sovrappeso. Sempre a questa età il 65,4% dei ma-schi risulta praticare almeno uno sport a cui dedi-ca settimanalmente in media 3,8 ore. Di questi bambini il 24,8% dichiara un impegno agoni-stico per circa 5 ore in media alla settimana. Solo 15,8% degli sportivi praticano pure un secon-do sport. La percentuale di femmine praticanti al-meno una disciplina sportiva risulta più bassa, pari al 53% per un impegno settimanale di circa 2,8 ore. L'attività agonistica è sostenuta solo dal 8,7% dei soggetti per circa in media 5,4 ore di impegno alla settimana. Il 17,2% delle bambine pratica pure un secondo sport. Lo sport che raccoglie i maggiori consensi tra i ma-schi è il calcio seguito, a notevole distanza, dalla pallacanestro, dal nuoto, arti marziali in genere e dalla pallavolo. Lo sport di gran lunga più praticato a livello agoni-stico risulta il calcio (64,6%), seguito da pallacane-stro (9,6%), karate (4,8%), nuoto (3,2%) e sci (2,3%). Le bambine, invece, presentano una più equilibrata ripartizione tra la pallavolo, il nuoto, la ginnastica, in special modo la ginnastica artistica e ritmica e la danza. A livello agonistico lo sport più praticato e' ancora la pallavolo (27,9%) seguito da vicino dalla palla-canestro (26,5%), quindi dal nuoto (10,2%) e poi dalla ginnastica ritmica e artistica (7,5%), pattinag-

gio a rotelle (3,4%), judo, karate e sci (2,7%). E’ interessante rilevare che il 66,4% dei maschi ed il 70,3% delle femmine manifestino il desiderio di praticare una attività sportiva, avendone la possibi-lità, o come unica disciplina od in aggiunta ad altre cui già si dedicano. La richiesta di sport è quindi molto sentita dai bam-bini, ma bisogna ricordare che il bambino non è un adulto in miniatura e che quindi non è sufficiente adattare gli strumenti ed i mezzi alle loro dimensio-ni. L’adattamento allo sforzo nel bambini è più rapi-do di quello dell’adulto ma la tenuta nel tempo è invece carente. Il bambino ha bisogno di pause più frequenti poiché il lavoro costante tende ad incre-mentare progressivamente la frequenza cardiaca e la temperatura interna, arrivando ben presto a va-lori massimali. Il cuore ed i vasi hanno dimensioni relativamente ridotte rispetto alle dimensioni corporee e questo spiega la frequenza cardiaca più elevata già a ripo-so ed il riscontro frequente di soffi cardiaci funzio-nali. Il sistema di controllo della temperatura inter-na è carente rispetto all’adulto e questo oltre a spiegare le temperature elevate in caso di febbre rende conto delle difficoltà di adattamento del bambino sia a basse che ad alte temperature. Il sistema metabolico è in fase di sviluppo ed in parti-colare quello anaerobico.

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Il bambini e lo sport: quando iniziare? Nato a Torino il 24 gennaio 1950, ha conseguito la Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Torino, è stato abilitato all'esercizio professionale ed è iscritto all'Ordine dei Medici della Provincia di Torino. Ha conseguito il Diploma di Specialista in Medicina dello Sport presso la medesima Università. Ha conseguito il Diploma di Specialista in Medicina dello Sport presso la medesima Università. È Medico Com-petente in Medicina del Lavoro ed è consulente medico presso alcune Aziende. È vicedirettore e responsabi-le della Ricerca dell'istituto di Medicina dello Sport FMSI di Torino. Dall'anno accademico 1991/92 al 1999/00 è stato incaricato dell'insegnamento della materia di "Medicina applicata allo sport e pronto soccorso" presso l'Istituto Superiore di Educazione Fisica di Torino. Ha ricoperto l'incarico di insegnamento di numerose materie presso la Scuola di Specializzazione in Medici-na dello Sport dell'Università degli Studi di Torino dagli anni accademici 1987/88 ed attualmente ha l'incari-co per Fisiologia dello sport e per Metodologia e tecnica della valutazione dell'efficienza fisica.

Attualmente inoltre ricopre i seguenti incarichi: membro della Commissione Scientifica della Federazione Medico Sportiva Italia-na e direttore della Scuola Regionale dello Sport del Piemonte del C.O.N.I.

G. Pasquale GANZIT

di G. Pasquale GANZIT

Il bambino forma rispetto all’adulto sotto sforzo minori quantità di acido lattico e ne tollera quantità minori con comparsa più precoce di senso di fatica. L’incapacità poi di giudicare l’entità dell’attività svolta può portare in certi casi ad uno stimolo re-spiratorio eccessivo con comparsa di dispnea, cioè difficoltà respiratoria da sforzo con malessere e senso di soffocamento. Le strutture muscolo sche-letriche cioè ossa, tendini e muscoli sono in rapido accrescimento e non sempre ben coordinato fra loro con anomalie e variazioni anche improvvise di rendimento biomeccanico. In particolare le ossa presentano aree particolari non ossificate dette cartilagini di accrescimento che permettono all’os-so di crescere in lunghezza ma sono anche aree di minore resistenza. Queste zone possono andare incontro a traumi sia acuti che cronici, da sovrac-carico prolungato con comparsa di dolore e di ano-malie strutturali che possono durare tutta la fase di accrescimento, ma provocare problemi anche in seguito nell’età adulta. Si discute se queste possa-no influire anche sulla crescita corporea e sulla statura finale. Un’attività fisico-sportiva ben condotta dovrebbe portare ad uno sviluppo più armonico e completo sul piano fisico ma con risvolti positivi anche sulla psiche. Il bambini diventa infatti progressivamente cosciente delle sue possibilità fisiche nei confronti

dei coetanei e dell’ambiente. La pratica di attività sportiva rappresenta un ampliamento delle cono-scenze anche dal punto di vista sociale. L’attività sportiva in particolare di gruppo rappre-senta un mezzo estremamente valido per favorire i rapporti sociali nei bambini che per svariati motivi presentino fenomeni di introversione o timidezza eccessiva. Ma anche soggetti particolarmente vi-vaci o poco coordinati dal punto di vista neuro-motorio possono trarre giovamento dalla pratica di attività sportive che richiedano disciplina, rispetto delle norme, apprendimento di precisi schemi mo-tori. In particolare nel bambino l’attività sportiva deve essere rivolta al miglioramento generale dello stato di salute psico-fisico evitando qualsiasi situa-zione che possa arrecare danno. Quindi il bambino deve usare un attrezzatura adeguata e un abbiglia-mento adatto, in particolare le scarpe devono es-sere congrue alla superficie di gioco. I mezzi di protezione devono essere usati non solo quando richiesti ma anche quando opportuni, ad esempio il casco protettivo non solo per varie atti-vità sportive traumatiche (sci, hockey, MTB…) ma anche per le più comuni come andare il bicicletta. Il bambino deve imparare a rispettare le regole di gioco perché molte sono fatte proprio per ridurre i rischi ed i traumi. Questo è un aspetto educativo importante che può trasferirsi a molti altri aspetti della vita sociale sul quale istruttori, allenatori, animatori, genitori devo-no porre la massima attenzione. L’attività sportiva svolta con controllo dei carichi e dell’ambiente in cui viene praticata non risulta fa-vorire l’insorgenza di malattie in quantità diversa rispetto ai non praticanti. Anzi molte forme di ma-lattie possono trarre beneficio dall’esercizio fisico controllato come diabete, asma, malattie cardiocir-colatorie, malattie del sistema nervoso. L’esclusione per eccessivi timori del bambino dall’-attività fisica finisce per determinare una netta ridu-zione del livello di efficienza fisica con conseguen-te minore resistenza di fronte a stress sia fisico che psichico di malattie intercorrenti o impegni straordinari, che la vita quotidiana può richiedere. Vi possono essere anche risvolti negativi sullo for-mazione della personalità del bambini in rapporto all’esclusione da attività che i coetanei praticano. Particolarmente importate in questo caso è la ca-pacità dell’educatore fisico di inserire questi sog-getti nel gruppo senza sovraccaricarli eccessiva-mente ma anche senza farli sentire inferiori agli altri. Tenuto conto di tutti questi elementi è arrivato il momento di chiedersi a quale età incominciare a fare sport. Dobbiamo differenziare tra due momenti

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quello in cui lo sport è puramen-te gioco organizza-to e quello in cui ini-zia ad es-sere fatto in modo

serio a livello agonistico. Per quanto riguarda il primo caso se dovessimo dare una risposta univoca per molti sport, anche guardando ai pareri espressi ed alle norme inter-nazionali, diremmo 5-6 anni. Oltre che per i motivi sopra riferiti, a questa età vi sono limiti psichici a fare sport più seriamente quali scarsa capacità di attenzione, di reazione allo stress, di pensiero a-stratto, di coordinazione fine, di azioni complesse, di anticipazione, di decisione rapida e forte neces-sità di approvazione e lode. Molte società sportive iniziano ad accettare nelle loro scuole i bambini a iniziare da questa età. E’ importante che il bambino abbia la possibilità di apprendere movimenti e tecniche diverse, cimen-tarsi con azioni di coordinazione motoria sempre più complesse per poi scegliere quella più gradita o quella in cui ottiene i risultati migliori. Quindi bi-sogna evitare a questa età una specializzazione troppo spinta. E’ da ricordare a questo proposito che non vi è ancora nel bambino a questa età una specializzazione metabolica, per cui il bambino che ha buone doti motorie generalmente ha buone prestazioni in molti gesti sportivi sia con compo-nenti di abilità che di resistenza o di forza. Naturalmente il gesto motorio può essere appreso prima dei 5-6 anni. Un bambino di 3 mesi può stare in acqua in piscina con il genitore o l’istruttore ed a 3 anni si può ini-ziare ad insegnargli movimenti tecnici specifici nel-lo stile di nuoto. A 3 anni si può iniziare ad inse-

gnare ad un bambino a sciare facendo attenzione alle condizioni ambientali e cioè al freddo, come pure ad andare in bicicletta o a pattinare, senza dimenticare di supervisionare l’attività e di usare i mezzi protettivi. I bambini sono in grado di calciare e correre dietro al pallone ma aspettiamo i 6 anni per iscriverli alle scuole calcio così come sono in grado di saltare e fare capriole ma aspettiamo i 5 anni per portarli in palestra. In tutti i casi lo sport deve essere visto come un gioco senza elementi di competizione né specializzazione. I premi devono essere per tutti e le opportunità di provare nuove esperienze motorie devono essere usufruite e ri-cercate ma anche consentite a tutti. Il problema dell'età ideale a cui poter cominciare a far fare sul serio uno sport e quindi ad iniziare l’atti-vità agonistica è più complesso e deve essere af-frontato in modo diversificato in funzione delle va-rie attività sportive. E’ così importante che è stato variamente affrontato a livello internazionale e na-zionale. In Italia il CONI ha coordinato recente-mente un lavoro specifico richiedendo il parere ad ogni singola Federazione Sportiva Nazionale, che consultati i tecnici ed i medici federali ha indicato l'età di inizio dell'attività agonistica e delle modalità con cui calcolarla. Il CONI ha raccolto le varie indi-cazioni e dopo approfondite discussioni, sentito anche il parere della Federazione Medico Sportiva Italiana, le ha sottoposte al Consiglio Superiore di Sanità che le ha approvate in data 09/04/2008. Queste norme che sono attualmente in vigore ed a cui devono attenersi tutti gli operatori sportivi pre-vedono ad esempio per alcuni sport i seguenti limi-ti di età: Età di inizio dell'attività sportiva agonistica Calcio 12 anni Corsa 12 anni Danza sport. 8 anni Ginnastica 8 anni Nuoto 8 anni Pallavolo 14 anni Pallacanestro 11 anni Scherma 10 anni Sci 11 anni Tennis 10 anni I dati relativi a tutti gli sport si possono trovare al-l’indirizzo internet :

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http://www.fmsitv.org/index.php?option=com_content&task=view&id=327&Itemid=43

NEWSLETTER n. 3/ 2010

Presidente Provincia di Torino Antonio SAITTA

Vice Presidente e Assessore Sport e Post Olimpico Gianfranco PORQUEDDU

ASSESSORATO ALLO SPORT e POST OLIMPICO- Servizio Programmazione e Gestione Attività Turistiche e Sportive

Dirigente Mario BURGAY

Coordinamento Redazionale Ufficio SPORTELLO SPORT

Redazione Consulenti SPORTELLO SPORT

Grafica Ufficio SPORTELLO SPORT

Stampato Stampato in proprio

Supplemento a : ‘Cronache da Palazzo Cisterna’ n. 8 - 2010

www.provincia.torino.it/sport

Come si può osservare le indicazioni ufficiali, frutto di approfondita elaborazione durata più di 2 anni, sono molto diverse da sport a sport e han-no tenuto conto di vari elementi e sono state e-splicitate anche per contrastare la tendenza a fare sport seriamente e quindi con finalità agoni-stiche troppo precocemente, da parte di allenato-

ri e società sportive. Sicuramente potremmo citare come esempio utile a sostenere l’opportunità di un inizio preco-ce dello sport qualche campione che ha iniziato in età molto giovane, crediamo ad esempio che tutti gli sciatori agonisti abbiamo imparato a scia-re almeno a 3 anni. Ma non possiamo trascurare molti aspetti negativi dello sport agonistico preco-ce come imporre ai bambini carichi allenanti fisici e psichici troppo elevati, oppure portare molti al-l'abbandono precoce per noia e stress, oppure un precoce indirizzo verso uno sport precostituito probabilmente dal parere dei genitori in soggetti con doti più adatte per altre attività sportive. Le norme attuali in vigore appaiono un buon compromesso fra due ten-denze diverse quelle dell’al-lenatore che vuole avere a disposizione soggetti sem-pre più giovani per meglio plasmarli nello sport specifi-co per creare il campione e quello del medico e dell’e-ducatore che vedono nello sport agonistico una possibi-le sorgente di patologie fisi-che e psichiche. Lo sport e l’esercizio fisico svolto a li-vello controllato sono utili alla salute dell’uomo e pos-sono esser impiegati anche per il trattamento di diverse

patologie affiancando la terapia medica e chirur-gica. Questo tipo di sport va salvaguardato ed incenti-vato con tutte le risorse possibili pubbliche e pri-vate per tutte le età dell’uomo. Lo sport agonistico spinto alle sue espressioni estreme è affascinante, spettacolare, importante ai fini economici non solo per gli atleti e non solo per il mondo sportivo, ma è sorgente di problemi per la salute, sia in termini immediati che in pro-spettiva futura. Dobbiamo proteggere quindi i bambini dai possibili rischi anche se questo può comportare la perdita di qualche campione. La necessità di aumentare l’attività motorie nei bambini, l’opportunità per loro di provare espe-rienza motorie diverse e approcci mentali e com-portamentali diversificati è condivisa da molti or-gani. Ad esempio il CONI da alcuni anni promuo-ve a livello delle scuole l'iniziativa “Gioco Sport”, le Federazioni Sportive propongono corsi dimo-strativi delle proprie specialità, la Scuola Regio-nale dello Sport ha avviato quest’anno un corso di formazione per insegnati della scuola primaria, che ha suscitato molto interesse, la Regione ha nel passato messo a disposizione delle scuole “tutor” laureati in Scienze Motorie, lo Stato ha avviato proprio ora una sperimentazione di attivi-tà motoria guidata per i bambini della scuola pri-maria.

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NUOVO SITO SPORT

www.provincia.torino.it/sport

La partecipazione dei giovani in età scolare all’atti-vità sportiva crea diversi interrogativi da parte dei genitori. • A che età mio figlio è pronto per l’attività sportiva? • Che rischio c,è di traumi importanti ? • Quale sport è + pericoloso ? • Ci sono lesioni specifiche correlate a determinati sport ?

QUANDO? La comprensione dello sviluppo sociale del bambi-no è fondamentale per rispondere a questa do-manda. Se prima dei 5 anni il bambino vive sostanzialmen-te in un mondo di gioco tutto suo ,è dopo i 5 o 6 anni che il soggetto inizia ad apprezzare l’intera-zione con i compagni ma non è ancora in grado di competere psicologicamente come un adulto; è pronto per una interazione di gruppo ma non per le regole né strutture. Dai 10 anni fino all’inizio della pubertà si sviluppa un crescente interesse per “il risultato” e la discipli-na anche se in questa fase la motivazione del bambino è essenzialmente quella ludica. E’ solo dopo la pubertà che il giovane matura una più sofisticata prospettiva verso la struttura , la disciplina e in ultima analisi verso il sacrificio ri-chiesto in uno sport personale o di squadra.

RISCHI ? La domanda più giusta sembra essere non tanto se la pratica sportiva in questa fase della vita sia rischiosa quanto se ci sia un rischio”eccessivo”. Molti studi hanno documentato per contro una bassa incidenza di traumi da sport in età prepube-rale rispetto a quella pospuberale.e più bassa nei postadolescenti rispetto ai giovani adulti. Ciò è probabilmente dovuto al rapporto energia cinetica - massa corporea; + immaturo è il fisico + bassa è la velocità e la potenza. Sono infatti statisticamente + frequenti traumi mi-nori come distorsioni o stiramenti rispetto a fratture o lussazioni. In sostanza il fisico più “agile” e “ snodato” del giovane è in genere meno esposto a traumi im-portanti rispetto al corpo dell’adulto.

Ciò detto la traumatologia sportiva è molto etero-genea in quanto comprende una fascia di età che va in pratica dai cinque anni e all’adolescenza ed è estremamente variabile in base al tipo di sport, alla sede delle lesione (caviglia, ginocchio, ecc.), al tipo di struttura interessata (osso, articolazione, muscolo, ecc.), al tipo di lesione (frattura, stira-mento, strappo, ecc.). L’età è molto importante poiché le peculiarità delle lesioni sportive sono tanto più marcate quanto più giovane è l’età del bambino mentre, nei soggetti adolescenti, le lesio-ni tendono ad assumere le caratteristiche definiti-ve del soggetto adulto. In ultimo occorre ricordare che in traumatologia sportiva esistono due tipi so-stanzialmente diversi di danno: la lesione acuta, dovuta ad un evento traumatico unico, concentrato nel tempo e che determina un danno immediato, e la lesione cronica, determinata dal sovraccarico funzionale, cioè conseguente a sollecitazioni ab-normi o ripetute eccessivamente. Per quanto ri-guarda i traumi acuti, la localizzazione del danno può essere a livello osseo, articolare o muscolare.

Lesioni ossee Le lesioni ossee sono rappresentate dalle fratture. Le fratture sono definite come interruzioni della continuità di un osso. In realtà nel bambino anche la stessa definizione di frattura può non essere del tutto idonea a descrivere alcuni tipi di lesione osse-a, in quanto è possibile una lesione traumatica senza una vera e propria interruzione: si tratta del-le cosiddette deformazioni plastiche, in cui l’osso si deforma in modo permanente senza una rima di frattura. Tali lesioni sono però tipiche del soggetto più giovane a livello delle ossa lunghe e si ritrova-no raramente nella traumatologia sportiva. Le fratture più frequenti in ambito sportivo si loca-lizzano a livello meta-epifisario al polso o alla cavi-glia (calcio, pattinaggio, ciclismo, ecc.), mentre a livello diafisario è colpita soprattutto la gamba nello sci, la clavicola nel ciclismo, negli sport di contatto, ecc. In linea di massima le differenze fra le fratture in età pediatrica e quelle dell’adulto sono:

1. Presenza dei nuclei di accrescimento e delle

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di Renzo ORSI

Nato ad Alessandria nel 1949, si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Pavia con specia-lizzazione in ortopedia, traumatologia, microchirurgia e chirurgia sperimentale, nonché in chirurgia della mano. Primario ortopedico presso le strutture ospedaliere di Nizza Monferrato e Tortona, dal 2003 esercita la libera professione. Autore di 98 pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali, ha partecipato a più di 300 tra corsi e congressi ,numerosi dei quali in qualità di relatore, in Italia e all'estero. Ha frequentato nu-merosi centri stranieri in Europa e negli Stati Uniti in qualità di fellow e come vincitore di borse di studio di società mediche italiane. Membro di numeroso società scientifiche italiane e straniere, quali la O.T.O.D.I. (ORTOPEDICI TRAUMATOLOGI D'ITALIA) e la S.I.O.T. (SOCIETA' ITALIANA ORTOPEDIA E TRAUMA-TOLOGIA ), è stato professore a contratto in ‘Patologia della spalla’ presso la scuola di specializzazione in

Ortopedia e Traumatologia dell'Università degli studi di Pavia dal 1999 al 2003. In ambito sportivo ha ricoperto il ruolo Medico sociale dell'Alessandria Calcio per la stagione 2007-2008 .

Renzo ORSI

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cartilagini metafisarie. Le lesioni acute a livello me-taepifisario sono pericolose per la possibile interfe-renza sui normali processi di accrescimento e pos-sono portare a postumi permanenti talora anche se correttamente trattate. Meno problematiche, ma molto frequenti nei giovani atleti, sono le lesioni acute da avulsione dei nuclei apofisari, sui quali si inseriscono forti masse muscolari o robusti lega-menti. Le lesioni epifisarie sono generalmente classificate secondo Salter e Harris in cinque grup-pi (vedi figura).

Fra le localizzazioni più frequenti figurano l’epifisi distale del radio e l’epifisi distale della tibia: in que-st’ultimo caso la lesione si verifica per un trauma distorsivo simile a quello che produce le fratture malleolari dell’adulto. Il trattamento consiste in una riduzione in narcosi seguita da apparecchio gessa-to. Il trattamento chirurgico è destinato alle lesioni irriducibili, o con riduzione instabile. Le complicanze possono essere costituite dalla saldatura prematura del nucleo, che di solito è par-ziale e che comporta quindi un accrescimento a-simmetrico ed una successiva deviazione angola-re. Molto più frequente è però un allungamento complessivo dell’osso fratturato per uno stimolo della crescita longitudinale a livello della frattura; a livello del femore o della tibia il risultato è una ete-rometria degli arti inferiori, in genere di grado con-tenuto. Nello sportivo, soprattutto nell’età compre-sa fra i 12 ed i 14 anni, sono frequenti i distacchi apofisari, come il distacco della spina iliaca ante-riore superiore, della spina iliaca anteriore inferiore e della tuberosità ischiatica, dovuti allo strappo da parte dei muscoli a cui forniscono inserzione. Per uno sportivo questo significa una sospensione pro-lungata dall’agonismo, ma il trattamento della le-sione è relativamente semplice; infatti, trattandosi di apofisi e non di epifisi, la riduzione anatomica

non è in genere necessaria, neppure in caso di diastasi importanti, ed il trattamento consiste nel riposo in scarico per circa 4 settimane.

1. Grande elasticità dell’osso ed elevato spessore

del periostio. Questo comporta la presenza di frat-ture con caratteristiche peculiari come le fratture “a legno verde”. Oggi si tende a distinguerle in due sottogruppi: le fratture a legno verde propriamente dette, che si localizzano a livello diafisario e che sono determinate da un una sollecitazione in com-pressione su di una corticale ed una in distrazione su quella opposta; il periostio integro fa sì che non si verifichi uno spostamento dei monconi e l’aspet-to radiografico ricorda quello di un ramo verde spezzato in modo incompleto. Di gran lunga più frequente è il secondo tipo, determinato dal cedi-mento in compressione di una sola corticale; oggi tali fratture vengono definite torus fractures , facen-do riferimento al toro che è l’elemento architettoni-co situato alla base di una colonna, con l’aspetto di un cercine rotondeggiante; il quadro radiografico di queste fratture, che sono tipiche della metafisi del-le ossa lunghe, è caratterizzato da un piccolo “increspatura” della corticale. La prognosi di que-ste lesioni è costantemente buona ed il trattamento è conservativo.

2. Notevole capacità di rimodellamento. Alcune

fratture, soprattutto nei soggetti più piccoli, anche se lasciate con una certa deformità angolare o ta-lora addirittura con accavallamento vanno incontro ad un processo di rimodellamento che ristabilisce, con la crescita residua, i normali rapporti anatomici fra i monconi. Occorre però conoscere i limiti di tolleranza che variano sensibilmente con l’età, la sede ed il tipo di spostamento (ad esempio le rota-zioni fra i monconi sono soggette a scarsa corre-zione spontanea).

3. Tempi di guarigione più rapidi. Prima dei dieci anni i tempi di immobilizzazione sono più brevi ri-spetto all’adulto, ma sono comunque i controlli ra-diografici a stabilire la fine del trattamento.

Lesioni articolari Le lesioni articolari sono rappresentate dalle lussa-zioni e dalle distorsioni. Le lussazioni sono molto rare nel soggetto in accrescimento, in quanto un’a-zione traumatica trova meno resistenza nella carti-lagine metafisaria che non nei robusti legamenti, per cui in genere invece di una lussazione si verifi-ca un distacco epifisario. Nell’adolescente le lussa-zioni aumentano di incidenza, soprattutto a livello della spalla (lussazione scapolo-omerale ed acro-mio-clavicolare). Una lussazione di spalla che in-sorge prima dei diciotto anni ha un’elevatissima

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Le distorsioni sono relativamente frequenti, soprat-tutto a livello degli arti inferiori (collo piede e ginoc-chio) in sport come calcio, sci, ecc. Le distorsioni possono essere distinte in tre gradi: il primo grado è rappresentato dallo stiramento capsulo-legamentoso, il secondo dalla rottura parziale dei legamenti, il terzo dalla rottura completa. Le lesioni di terzo grado sono rare nei bambini. Negli adole-scenti aumenta progressivamente l’incidenza delle lesioni legamentose del ginocchio, in particolare del legamento crociato anteriore. Spesso queste richiedono un trattamento chirurgico che, nel sog-getto in accrescimento, è particolarmente impe-gnativo per la persistenza della cartilagini metafi-sarie che controindicano gli interventi di ricostru-zione classici. Spesso la scelta più pratica è quella di dilazionare l’intervento al momento della chiusu-ra delle cartilagini. Sempre a livello del ginocchio, le lesioni meniscali sono molto rare al di sotto dei 10-12 anni, a meno che non insorgano in un menisco con anomalie morfologiche, come in un menisco discoide. Una lesione meniscale traumatica in un bambino ha caratteristiche relativamente diverse da quelle del-l’adulto. Di solito si tratta di una lesione longitudi-nale del menisco mediale a livello medio-posteriore, con segni obiettivi spesso mal definibili. La maggiore vascolarizzazione del menisco nel bambino al di sotto dei 10 anni, rispetto all’adulto comporta alcune peculiarità diagnostiche e tera-peutiche; prima di tutto la RM è molto meno speci-fica e sensibile, per cui ha minore valore diagnosti-co e deve essere valutata con cautela; dal punto di vista terapeutico la vascolarizzazione estesa an-che al terzo intermedio fa sì che un numero molto maggiore di lesioni possa guarire conservativa-mente o, in caso di necessità di intervento chirurgi-co, possa essere suscettibile di riparazione, con una sutura meniscale, evitando comunque la meni-scectomia, anche parziale che, se praticata in gio-vane età , ha effetti deleteri tardivi.

Lesioni muscolari I traumi acuti sui muscoli possono essere esterni o interni; i traumi esterni sono rappresentati dalle contusioni muscolari con eventuali ematomi, quelli interni sono rappresentati dalle contratture, dagli stiramenti e dalle rotture muscolari. Nel soggetto in accrescimento le lesioni di gran lunga più frequenti sono le contusioni, soprattutto negli sport di contat-to. La prognosi è in genere benigna ma un tratta-mento scorretto o traumi ripetuti possono portare ad una miosite ossificante. Per quanto riguarda gli stiramenti e le lacerazioni, l’incidenza è molto più

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probabilità di diventare recidivante, soprattutto in uno sportivo, determinando una instabilità di spal-la. La spalla è forse l’articolazione più delicata del no-stro corpo; essa infatti riunisce due caratteristiche apparentemente antitetiche: la stabilità e l’ampia libertà di movimento. E’ proprio questo delicato equilibrio tra la necessità di compiere movimenti a 360° nello spazio e al contempo di assicurare la necessaria stabilità tra i capi articolari, che la ren-de particolarmente fragile ed esposta ai traumi del-la vita quotidiana e ancor più a quelli della attività sportiva.

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Traumi da sport in età scolare

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il sovraccarico funzionale determina una frattura da stress o da durata, a livello muscolo-tendineo determina patologie inserzionali come epicondilite, tendinite dell’Achilleo, ecc.; a livello articolare de-termina quadri meno specifici come instabilità arti-colari, artropatie, ecc. La patologia da sovraccarico funzionale più tipica del soggetto in accrescimento è la spondilolisi. Con questo termine si definisce una soluzione di continuo dell’istmo vertebrale che è quella parte dell’arco posteriore di una vertebra compreso tra l’articolare superiore e quella inferio-re. L’eziologia della spondilolisi è varia, compren-dendo sia una predisposizione congenita che le sollecitazioni funzionali, ed una percentuale del 5-6% della popolazione ne è affetta anche in assen-za di pratiche sportive. In alcuni sport (ginnastica artistica, sollevamento pesi, tuffi, ecc.) l’incidenza sale vertiginosamente superando in alcune casisti-che il 60% di incidenza, testimoniano che in ambito sportivo i limiti di resistenza dell’istmo vengono fre-quentemente superati con un meccanismo di frat-tura da durata.

bassa rispetto al soggetto adulto. Infatti anche in questo caso è più probabile che il danno si sviluppi a livello delle inserzioni con un distacco dell’apofi-si, che non a livello del ventre muscolare. Lesioni da sovraccarico funzionale Il sovraccarico funzionale nello sport è legato alla ripetizione del gesto atletico per tempi molto pro-lungati e con intensità estremamente elevate. La patologia da sovraccarico colpisce tre categorie di individui dediti allo sport:

1. quelli che incrementano molto rapidamente il

proprio livello di attività

2. gli atleti che mancano di una preparazione spe-

cifica per quello specifico sport, come ad esempio i principianti

3. atleti che, nonostante l’esperienza e la prepa-

razione corretta, a causa della grande motivazione e della frequenza degli impegni agonistici finiscono per ridurre al di là dei limiti di sicurezza il periodo di riposo e di recupero fra le prestazioni. Il sovraccarico funzionale è determinato da solleci-tazioni microtraumatiche sia di tipo endogeno (movimenti violenti che tendono a far superare i limiti dell’escursione fisiologica o che sollecitano l’articolazione su piani diversi da quelli naturali) che esogeno. Questi ultimi sono rappresentati dal sollecitazioni contusive ripetute negli sport da contatto o da combattimento, dalle sollecitazioni con il suolo nel-la corsa su particolari superfici, dall’uso di attrezzi particolari, ecc. Il microtrauma è un’azione meccanica che determi-na un danno silente dal punto di vista clinico e ra-pidamente riparabile dall’organismo; però la ripeti-zione del microtrauma in tempi ravvicinati non per-mette il completo recupero strutturale e le piccole lesioni si sommano, generando alterazioni anato-miche e quadri clinici particolari. A livello dell’osso

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Lo stereotipo che vede l’anziano sulla via del declino deve essere sfatato. Molte iniziative, progetti ed eventi si caratterizzano ormai perché sempre più spesso si sente parlare di di sport e terza età.

E’ ormai noto che l’attività fisica e motoria porti dei benefici comprovati sia a livello fisico che a livello psicologico nelle persone anziane. L’in-cremento del numero degli anziani praticanti re-golare attività motoria e sportiva è in continua crescita.

E in questa cre-scita, sempre più spesso troviamo simpatici ultra 70-enni che non si accontentano di fare la semplice passeggiatina nel parco sotto casa ma si impegna in

competizioni agonistiche, al pari dei loro colleghi atleti più giovani.

Perché questo fenomeno e in che modo la psi-cologia dello sport può essere utile in questo campo?

E’ stato studiato che lo sport nella popolazione anziana ha alcuni effetti primari a livello psicolo-gico, tra i quali sicuramente l’aumento della ca-pacità di socializzazione e l’incremento del sen-so di autostima e autoefficacia nelle persone praticanti. Inoltro lo sport negli anziani pare es-sere un ottimo strumento di prevenzione per i disturbi depressivi, abbastanza frequenti nella terza età. Questi sono soltanto alcuni degli effet-ti positivi che l’attività sportiva induce indiretta-mente nella psiche umana.

Ma il dato interessante, che viene dalla pratica sul campo come psicologi dello sport, è osserva-re l’aumento di atleti “master” che si rivolgono a noi per migliorare la propria performance. Atleti a tutti gli effetti che decidono di impegnarsi in un

percorso di allenamento mentale da affiancare al quotidiano allenamento fisico.

Ovviamente ciò che cambia, rispetto ai loro col-leghi più giovani, riguarda il tipo di obiettivo che essi decidono di raggiungere. Salvo in rari casi l’atleta master ricerca un obiettivo di prestazione più che un obiettivo di risultato. In altre parole è spinto dal desiderio di migliorare se stesso in un processo che passa attraverso lo sport.

E questo messaggio è molto positivo soprattutto per chi come me ha iniziato la sua attività come neuropsicologa dell’invecchiamento, a contatto con anziani che purtroppo non godono di piena salute. Fino a pochi anni fa era ancora ampia-mente diffuso lo stereotipo dell’anziano malato che oramai non può più pretendere niente dalla vita perché il suo tempo è passato.

Vedere persone impegnate a 70 anni in un per-corso di psicologia dello sport, alla ricerca della

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La psicologia dello sport nella terza età: possibilità e benefici. di Gladys BOUNOUS

Nata a Torino nel 1978, è laureata in Psicologia clinica e di comunità all'Università di Torino. Iscritto all'albo degli psicologi del Piemonte. Ha svolto la propria attività lavorativa principalmente presso l'Unità Operativa in Psicologia dello Sport, Centro Ricerche Scienze Motorie di Torino e presso il SUISM di Torino, oltre che come libero professionista. Dal 2004 è docente a contratto in psicologia generale presso SUISM, sede di Asti. Ha svolto numerose collaborazioni, tuttora in corso, con diverse organizzazioni sportive, tra cui Juven-tus Soccer School e Yacht Club Italiano per la preparazione squadra olimpica Pechino 2008. Presidente del Comitato Regionale Piemontese della SPOPSAM (Società Professionale Operatori in Psicologia dello Sport e Attività Motorie).

di Gladys BOUNOUS

Gladys BOUNOUS

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La psicologia dello sport nella terza età: possibilità e benefici.

loro migliore performance, è senza dubbio un segnale di quanto siano infondati alcuni pensieri rispetto alla terza età.

Il percorso di allena-mento mentale che uno sportivo “master” svi-luppa insieme allo psi-cologo dello sport inizia da una precisa defini-zione degli obiettivi da raggiungere. In questa fase, per la determina-zione dell’obiettivo sti-molante ma raggiungi-bile, inevitabilmente si deve fare i conti con le limitazioni fisiche che

un anziano ha rispetto ad un atleta di 30 più gio-vane. Ma questo punto diventa semplicemente un dato di fatto e non certo un limite.

Dopodichè, come in ogni processo di allenamen-to, l’atleta master viene accompagnato dallo psi-cologo in un percorso fatto di esercizi pratici in cui impara a conoscere meglio sé stesso e il funzionamento della propria mente.

Impara ad allenare la concentrazione (peraltro uno degli aspetti cognitivi che fisiologicamente si deteriorano nella fase anziana), inizia a riscoprire i propri punti di forza (che la società circostan-te, e a volte anche le famiglie stesse, non sempre mettono in evidenza) e comprende come gestire al meglio le energie (che nella senescenza tendono a ridursi).

Un percorso di allenamento mentale che tiene conto delle peculiarità dei soggetti anziani ma non fa sconti per-ché alla fine la verifica del lavoro arriva per tutti: se il percorso ha funzionato bene i miglioramenti sono visibili e quantificabili.

La cosa più interessante è che questo processo di allenamento mentale, con i principi che lo co-stituiscono, può essere esportato in altri ambiti di vita, in tutti quelli in cui la persona è posto da-vanti alla necessità di dare il meglio di sé.

Una delle storie più belle della mia esperienza mi fu regalata da un mio paziente parkinsoniano che, in uno stadio già avanzato di malattia, deci-

se di andare a correre la maratona di New York. Insieme ad altri colleghi parkinsoniani partirono e terminarono la maratona in più di 7 ore di mar-cia, fermandosi per assumere regolarmente le loro medicine. Ma la soddisfazione più grande per loro era di essere riusciti a superare una grande sfida: dimostrare che anche la malattia può essere affrontata con spirito di competizione senza arrendersi di fronte alle difficoltà.

In sintesi la psicologia dello sport nel mondo de-gli anziani può avere principalmente due funzio-ni:

- l’allenamento mentale vero e proprio, come sopra descritto;

- la sensibilizzazione e la promozione all’atti-vità sportivo/motoria con particolare attenzio-ne alle connessioni psicofisiche di tale espe-rienza.

In conclusione, riportiamo una curiosità, tratta da una ricerca ISTAT del 2006 sulla pratica sportiva in Italia. Dai dati emersi emersi in que-sta ricerca pare che alcune discipline sportive siano maggiormente predilette dagli ultrasettan-tenni. Ed è così che la caccia, la pesca, le boc-ce, il bowling e il biliardo sono stati a pieno titolo definiti “sport da vecchi”!.

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Disabilità, sport e Qualità di Vita

Lo sport e l’attività motoria sono da tempo indi-scutibilmente riconosciuti come fonte di benesse-re psico-fisico. Nonostante le ormai numerose ricerche mediche e psicologiche che ne dimostra-no le potenzialità e benefici in campo preventivo, terapeutico e riabilitativo, disabilità e sport sono a tutt’oggi un binomio ancora poco conosciuto e diffuso. L’approccio più attuale in psicologia della salute riconosce come gli aspetti fisiologici, le caratteri-stiche individuali e il contesto sociale ed ambien-tale contribuiscano in modo integrato alla perce-zione di disagio e di handicap. Mentre in passato il focus era prevalentemente centrato sul proble-ma, ora la persona viene considerata in modo

olistico, integrandone gli aspetti biologici, psicolo-gici e sociali. Seguendo tale ottica, la definizione e la classifica-zione delle disabilità ha subito un articolato pro-cesso di revisione. Nella più recente classificazio-ne del 2001 dell’OMS, l’International Classifica-tion of Functioning, Disability and Health (ICF), il nuovo documento non si riferisce più a un distur-bo, organico o funzionale, senza prima rapportar-lo a uno stato di salute. I termini “disabilità” e “handicap”, dalla connotazione negativa (in quan-to indicanti qualcosa di mancante per raggiungere la “globalità” organica, funzionale e sociale della persona) sono qui sostituiti con i termini “attività” e “partecipazione”. L’ICF evidenzia questa prospettiva sottolineando

gli aspetti di valorizzazione del singolo nel suo contesto ambientale e sociale. Ciò che diventa rilevante non è stabilire la causa della menoma-zione, ma intervenire, in modo da poter ridurre la percezione di handicap. Come sottolinea Caneva-ro “l’individuo è relativamente handicappato, cioè l’handicap è un fatto relativo e non un assoluto, al contrario di ciò che si può dire per il deficit. In altri termini, un’amputazione non può essere negata ed è quindi assoluta; lo svantaggio (handicap) è invece relativo alle condizioni di vita e di lavoro, in una parola della realtà in cui l’individuo ampu-tato è collocato. L’handicap è dunque un incontro fra individuo e situazione. E’ uno svantaggio ridu-cibile o (purtroppo) aumentabile.” Considerando l’attività sportiva, la riflessione di Canevaro è estremamente importante, in quanto se attraverso lo sport è possibile creare una fonte di emancipazione ed autonomia in grado di ridur-re lo svantaggio, è altresì fondamentale creare le condizioni affinché non si trovino al contrario bar-riere, non solo fisiche, che possano aumentare il senso del disagio e frustrazione. In quest’ottica può essere utile conoscere la qua-lità dell’esperienza che le persone disabili perce-piscono rispetto ad attività e contesti quotidiani, così come le loro modalità di interagire con le op-portunità disponibili nell’ambiente, al fine di poter evidenziare risorse e potenzialità dell’individuo da un lato, e offerte di servizi dall’altro. Il concetto di Qualità di Vita (QdV) si afferma quindi come importante criterio-guida ed obiettivo finale degli interventi in questo ambito. Nonostan-te non esista una definizione univoca, è possibile riprendere ciò che è indicato dal World Health Or-ganization Quality of Life (WHOQOL) Group che la definisce “come l’insieme di reazioni emotive e cognitive che l’individuo espe-risce rispetto al proprio ruolo nel contesto culturale e valo-riale, rispetto ai propri obietti-vi, alle proprie aspettative, e ai propri standard”. Ogni individuo, in base alle proprie condizioni di salute,

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di Claudia Gambarino

Nata a Torino nel 1969 è laureata in Psicologia all'Università di Torino e in Lingue e Letterature Straniere. Ha svolto la propria attività lavorativa principalmente presso la SUISM "Scuola Universitaria Interfacoltà di Scienze Motorie". Dal 2003 ad oggi si è occupata di formazione, insegnamento, consulenze ad atleti e socie-tà sportive. È stata psicologa della squadra italiana di snowboard (nel 2003). È formatrice senior del Comitato Italiano Paralimpico. Iscritta a: - Albo degli Psicologi , - Albo dei Formatori Senior del Comitato Italiano Paralimpico; - Albo dei Formatori per la Specializzazione dell'insegnamento dello sci ai disabili ; Collabora da alcuni anni con il SUISM dove è docente a contratto di Psicologia Sociale.

Claudia Gambarino

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Disabilità, sport e Qualità di Vita duali e aumentare il senso di efficacia e la resi-lienza, intesa come capacità di fronteggiare e ge-stire difficoltà ed imprevisti. La motivazione allo sport può infine essere un catalizzatore per un maggior impegno anche in altre attività riabilitative e di recupero. Nonostante l’importante ruolo evidenziato, sono però ancora poche le ricerche scientifiche che si sono occupate di correlare sport, disabilità e QdV, riflettendo la carenza attuale rispetto a que-sta tematica. Infatti quando si parla di “integrazione”, l’attenzione viene rivolta spesso all’inserimento lavorativo e scolastico, trascuran-do l’attività sportiva e il tempo libero, considerati ancora da molti aspetto secondario o difficilmente applicabile. I recenti Giochi Paralimpici di Torino 2006 hanno aiutato nella sensibilizzazione e nella conoscenza delle potenzialità sportive offerte, facendo cono-scere in modo più diffuso molte discipline sportive stimolanti. Risulta quindi importante da una parte, il potenziamento delle strutture in grado di svolge-re attività sportiva adattata, e dall’altra sostenere le famiglie nel difficile compito di integrazione, trovando le giuste strategie di informazione, coin-volgimento e avviamento alle attività. Ogni individuo disabile può avvicinarsi allo sport, se adeguatamente supportato. Tale supporto deve essere personalizzato, al fine di rendere più efficace l’attività e prevenire e ge-stire eventuali difficoltà: è infatti importante una conoscenza, dal punto di vista psicologico degli “effetti collaterali” di un’attività sportiva mal propo-sta o non adattata: occorre un contesto adeguato, un ambiente favorevole e rassicurante, nel quale

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personalità e stile di interazione con le opportuni-tà offerte dall’ambiente, sviluppa una valutazione personale di cosa sia una buona qualità di vita e sono numerose le evidenze che indicano nell’atti-vità fisica un ruolo chiave positivo rispetto ad im-portanti indicatori. Estremamente interessanti sono le correlazioni fra attività sportiva nella popolazione disabile ed un aumento dei parametri di QdV, sia sotto il pun-to di vista fisico che psicologico: lo sport, in tal senso può avere un ruolo importante nel ridurre la percezione dell’handicap. Le teorie proprie della psicologia dello sport si dimostrano particolarmente fertili per individuare i fattori che contribuiscono allo sviluppo psico-fisico dei soggetti disabili. Attraverso l’attività sportiva è possibile infatti il recupero e il mantenimento mirato delle potenzia-lità individuali esistenti, delle abilità e risorse non solo residue, ma latenti ed inespresse, quelle abi-lità nascoste che spesso un individuo non sa di possedere perché non utilizzate. Quindi lo sport può facilitare non solo un recupero funzionale, ma soprattutto una maggiore autono-mia personale, intervenendo inoltre sulle conse-guenze emotive e sociali del trauma. Confrontandosi con le nuove sfide che l’attività sportiva comporta è possibile recuperare la pro-pria capacità di azione e partecipazione alla vita sociale, incrementando la percezione di controllo positivo sugli eventi esterni. Sport non solo come momento di svago e di di-vertimento, ma anche come elemento fondamen-tale per lo sviluppo fisico e mentale della persona trasmettendo valori e concetti che tengono in considerazione lo sviluppo motorio, mentale, rela-zionale ed emotivo. Praticare attività sportiva tra le persone portatori di deficit motori, sensoriali e psichici offre quindi l’opportunità di sperimentare movimenti e sensa-zioni che frequentemente sono impossibilitati a causa di barriere fisiche, ambientali e sociali, svolgendo un ruolo fondamentale nel valorizzare la persona con disabilità. Può costituire un motivo di emancipazione e cre-scita, poiché il confronto e la socializzazione con gli altri, la percezione immediata della propria effi-cienza e l’affinamento delle capacità motorie pos-sono dar vita a un ambiente ricco di stimolazioni positive, in grado di concretizzarsi anche nello svolgimento di un’attività agonistica. Essendo poi una pratica ricca di proposte adatta-bili alla soggettività individuale, rappresenta un contesto in grado di valorizzare le qualità indivi-

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Disabilità, Sport e Qualità di Vita

gli stimoli siano adeguati alla condizione fisica del partecipante. Solo così è possibile creare i presupposti per mo-tivare, evitando fallimenti o disillusioni. Nella progettazione di tale attività è importante un’attenta valutazione di ogni singolo allievo per impostare programmi il più possibile personaliz-zati, per durata e tipologia, e obiettivi che tengano in considerazione l’età, il tipo e gravità del deficit, precedenti esperienze sportive, le caratteristiche psicologiche, ma soprattutto le motivazione e a-spettative. Infatti risulta fondamentale aiutare l’al-lievo che si avvicina allo sport dopo un trauma a ritarare gli obiettivi motori in funzione delle proprie possibilità, stimolando sempre verso nuove sfide. Quando possibile risulta poi estremamente impor-tante favorire contesti di integrazione dove possa-no essere coinvolti nell’attività sportiva non solo soggetti disabili, ma per esempio, anche i compa-gni di classe. Attività all’aria aperta, come per esempio gli sport invernali, favoriscono sicuramente tale integrazio-ne oltre a creare stimoli forniti dal contesto am-bientale variabile.

Nella Provincia di Torino sono già presenti realtà di eccellenza rispetto a progetti sportivi, sia a li-vello di avviamento che di agonismo, nell’ambito della disabilità, ma purtroppo non è sempre age-vole per i soggetti interessati e per le famiglie ve-nirne a conoscenza o poterne fruire. Sarebbe au-spicabile una condivisione di tali esperienze e buone pratiche al fine di un maggior accesso, dif-fusione e abbattimento di pregiudizi e barriere, sia fisiche che mentali, tutt’ora presenti. Il contributo concreto che la psicologia dello sport può offrire in tale ambito si pone in modo trasver-sale nei progetti sportivi rivolti a soggetti disabili: dalla sensibilizzazione e informazione rispetto all’approccio integrato bio-psico-sociale, alla for-mazione e supervisione degli operatori. Di qui la complessità e l’importanza di integrazio-ne tra i vari professionisti del settore che si occu-pano di sport e disabilità, e il ruolo centrale degli aspetti psicologici, dalla riabilitazione fino all’ago-nismo, per considerare lo sportivo nella sua glo-balità, superando l’ormai obsoleta dicotomia tra mente e corpo.

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Ufficio Promozione Sportiva Orario: lun. – ven. 9,00 - 12,00 Tel. 011 8612117 – 2119 – 2125 email: [email protected]

Ufficio Gestione Impiantistica Sportiva

Orario: lun. – ven. 10,00 - 12,00 Tel. 011 8612147 – 2113 – 2115

Email: [email protected]

Ufficio "Sportello Sport" Orario: lun. – ven. 9,00 - 12,00

Tel. 011 8612117 - 2116 E-mail: [email protected]

UFFICIO PROMOZIONE SPORTIVA VIA MARIA VITTORIA, 12 - FAX: 011 8612165

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News dall’Ente

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Convegno

SICUREZZA SUL LAVORO Applicazioni nelle attività sportive

GIOVEDI’ 15 aprile 2010 ore 14.30 AUDITORIUM PROVINCIA DI TORINO - C.so Inghilterra, 7 Torino

Programma dei lavori: Moderatore : Ing. Mario Piovano - Presidente Commissione CONI Impianti Sportivi Regionale - CONI Piemonte

Ore 14.30 Saluti di indirizzo: Antonio Saitta - Presidente Provincia di Torino Gianfranco Porqueddu Presidente CONI Regionale – Assessore allo Sport e Post Olimpico Provincia di Torino Francesco de Sanctis Direttore Scolastico Regione Piemonte (MIUR) Assessore alla Sanita’ Regione Piemonte Ore 15.00 Normativa- aspetti generali - valutazione del rischio – il ruolo dell’Organo di Vigilanza Relatori: Prof. Dott. Enrico Pira - Professore Ordinario Medicina

del Lavoro Università di Torino Dott Santo Alfonso - Direttore Spresal ASL CN 1

Ore 15.40 Aspetti pratici sulla gestione di alcuni impianti/ attività sportive Relatori: Ing. Piero Marocco - Presidente FISI Piemonte - Sport invernali Ing. Mauro Crosio - Oro – Blu Srl - Calcio Ing. Giorgio Gaetani – Gruppo 2G Consulting - Piscine e palestre Ore 16,10 Aspetti giuridici: responsabilità e sanzioni Relatore : Avv. Giovanni Lageard -Avvocato

Ore 16. 30 Aspetti assicurativi: la tutela assicurativa dello sportivo Relatore: Dott. Pasquale Malavenda - Sovraintendente medico regionale INAIL Piemonte

“Avviso pubblico” La Provincia di Torino si avvale dell’organo collegiale “Sportello Sport” attivo dal 1997 per l'affidamento di incarichi di consulenza in campo sportivo; tale organo necessita di

essere integrato con nuovi consulenti, con la creazione di un tavolo tematico all’interno dell’area tecnica, deno-minato “Pianificazione e sicurezza” e con l’integrazione dei tavoli “giuridico-amministrativo” e “fiscale-finanziario”. Pertanto, questo Ente indice “Avviso pubbli-co”, con il quale definisce la procedura di selezione dei candidati. Entro e non oltre le ore 12.00 del 22 marzo 2010 gli interessati dovranno presentare l’istanza, comprensiva di curriculum vitae secondo il modello predisposto, che potrà essere sca-ricato dal sito www.provincia.torino.it/sport, contestualmente al presente “Avviso”.

La Provincia propone il

Primo Gran Premio Sportivo Scolastico – Provincia di Torino con lo scopo di offrire

un riconoscimento particolare alle scuole se-condarie di primo e secondo grado i cui allievi si saranno particolarmente distinti nell’attività agonistica nell’ambito delle fasi Provinciali dei Giochi Sportivi Studenteschi.

Ore 16.50 : Break Ore 17.15 Conclusione con tavola rotonda dei relatori e dibattito con pubblico

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News dall’Ente

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5 e 6 giugno 2010 "PASport" - Porte Aperte allo Sport per tutti. Torna nei comuni della provincia di Torino la manifestazione di promozione dello sport che si propone di avvicinare i cittadini di ogni età a una salutare attività fisica.

NOVITA’ DELL’EDIZIONE 2010

Le date di svolgimento di PASport coincidono quest’anno con altri due eventi im-portanti:

- “La giornata mondiale dell’ambiente” che si celebra il 5 giugno di ogni anno ed è uno dei principali strumenti attraverso cui le Nazioni Unite sensibilizzano l’opinione pubblica mondiale sulla questione ambientale richiamando l’attenzione del mondo politico e stimolandolo all’azione.

- “La Giornata Nazionale dello Sport” celebrata convenzionalmente la prima domenica di giugno di ogni anno (6 giugno quest’anno) ed organizzata a livello periferico dal Comitato Regionale del Coni Piemonte, in collaborazione con il Comitato Provinciale di Torino in abbinamento con la manifestazio-ne denominata “SportDay” che abitualmente individua come sede ideale di svolgimento una grande piazza della città di Torino. - Il Concorso per le scuole

“P“PAASSPPOORRT T GGIIOOCCAA C COON N L’L’AAMMBBIIEENNTTEE –– IIMMMMAAGGIINNA A EE C CRREEAA L LOO S SPPOORRT”T”

Lo sport come occasione per un utilizzo eco-compatibile delle risorse ambientali un concorso pubblico a premi rivolto alle scuole primarie e secondarie di primo grado del territorio della provincia di Torino, che si ispira ai valori dello sport e del rispetto dell’am-biente e che si caratterizza come momento complementare e di promozione delle iniziati-ve legate alla manifestazione PASport.

Per info www.provincia.torino.it/sport http://www.usrpiemonte.it/usptorino Circ. n. 080 - 15.02.2010

Progetto pilota nazionale MIUR – CONI - PCM

Alfabetizzazione motoria nella scuola primariaAlfabetizzazione motoria nella scuola primaria

Firma del PROTOCOLLO DI INTESA tra Firma del PROTOCOLLO DI INTESA tra Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ri-cerca - Direzione Generale Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte - Regione Piemonte - Direzione

Cultura,Turismo e Sport - Regione Piemonte - Direzione Istruzione, Formazione professionale e Lavoro - CONI Comitato Regionale Piemonte - Conferenza Regionale dei Presidenti Provinciali del C.O.N.I. - Provincia di Torino - Assessorato Sport e Post-Olimpico

L’accordo ha permesso di integrare il progetto na-zionale che prevedeva il solo coinvolgimento di 70 scuole della provincia di Biella (esteso successiva-mente alle province di Vercelli e Novara). Con il finanziamento degli enti firmatari altre 80 scuole fruiranno del progetto di ‘Alfabetizzazione motoria nella scuola primaria’ di cui 47 nella pro-vincia di Torino.

IMPLEMENTAZIONE IN PIEMONTE

Per info www.provincia.torino.it/sport