Periodico della Diocesi di Caserta formazione ... · fi nite problematiche di oggi, spesso...

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Anno 2 - n. 4 Aprile 2017 Periodico della Diocesi di Caserta www.ilpoliedro.info formazione | informazione | cronaca Cristo Risorto Speranza per tutti di Giovanni D’Alise I n questi giorni pensavo a cosa dirvi e soprattutto cosa augurarvi in occasione della Pasqua. Mi sovvenivano le in- finite problematiche di oggi, spesso negative, da un lato. D’altro lato mi scoppiava sem- pre più nel cuore la luce pro- fonda e sconcertante della Ri- surrezione del Cristo, che apre infiniti orizzonti di vita. Come mettere insieme tenebre e luce? Ma soprattutto, come dire, in un mondo così, la luce e la grazia pasquale? E la chiesa, le comunità sparse sul nostro territorio e nel mon- do brillano di gioia e di luce? Mi è venuto prepotente e illu- minante ciò che diceva nella sua prima lettera Pietro, l’A- postolo: «Non vi sgomentate per paura di loro, né vi tur- bate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pron- ti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ra- gione della Speranza che è in voi» (1Pt. 3,14-15). La società nella quale viveva- no i primi cristiani, nel primo secolo dopo Cristo, era una so- cietà molto simile alla nostra. L’Apostolo esorta i cristiani ad essere pronti sempre a “dare ragione della Speranza che è in voi”. La Speranza, più che la fede, è il “proprium” del cristiano ed è l’apporto specifico che il cristiano è chiamato a dare al mondo in cui vive. Il nostro mondo è smarrito, ha perso le strade che fino ad ora lo hanno guidato alla Speran- za… Ci si pone sempre più domande di senso per capire che, nonostante tutto, vale la pena vivere. Conviene vivere e vivere bene, guardando ol- tre l’immediato, oltre il basso e i lati, guardando lontano, avendo un orizzonte lungo avanti. Oggi, come nel primo secolo, viviamo concre- tamente le problematiche di un’epoca di “decadenza”. I cristiani e le comuni- tà non possono accettare ciò e, come gli altri, concentrarsi sempre più solo verso il basso, o appena verso il fianco, sen- za dare alcun respiro al proprio passo, al passo comunitario, senza Speranza. Questo è il momento, è il tempo “vera- mente favorevole”, di ascoltare l’Aposto- lo e dare ragione, a questo mondo, a que- sta umanità, della Speranza che è in noi. In ogni Eucaristia noi facciamo memo- ria (memoriale) del fondamento della nostra Speranza, “Cristo morto e risor- to”. È Cristo risorto che traccia, in ogni epoca ed in ogni tempo, la strada della Speranza per tutti. In ogni “celebra- zione” noi ripetiamo in coro, facendoci LA VOCE DEL VESCOVO coraggio e sostenendoci, che questo è il grande “mistero della vita” in cui en- triamo e camminiamo, “in attesa della Sua venuta”. Infatti nella celebrazione diciamo: «Annunciamo la tua morte, Si- gnore, proclamiamo la tua risurrezione, in attesa della tua venuta». Dopo aver fatto memoria del momento centrale della vita di Gesù, la sua morte e Risurrezione, con l’Eucaristia entria- mo in comunione con il Cristo Risorto, che ha vinto la morte e “giuriamo”, sul suo corpo glorioso-eucaristico, che lo cerchiamo e lo seguiamo e avanziamo verso di Lui attraversando i tempi, certi che Egli “ritornerà”, anzi sta tornando, viene incontro a noi. Questa è la Speranza che è in noi. Infatti l’Apostolo dice: «Adorate, il Si- gnore, Cristo, nei vostri cuori», e poi dice che non basta adorarlo nei nostri cuori, ma essere pronti «A dare ragione del- la Speranza che è in voi». Ma come rendere visibile la Speranza che è in noi? È facile renderla visibile? Il Cristiano vive nella tensione tra la certezza che la morte e Risurrezione del Cristo, il figlio di Dio, sia il fatto cen- trale e risolutivo della storia e il ritorno del Signore. Il suo ritorno è la certezza che mi sta davan- ti, ma che la storia va avanti come prima. Una certezza che bisogna coniugare con la co- statazione di un mondo dove l’ingiustizia, la sopraffazione, l’offesa e dimenticanza di Dio ed il peccato ancora ci sono e sono visibili, ingombranti e condizionanti. In questa situazione è interra- to, posto a “coltura” il “germe” della salvezza posto da Dio, procede, insieme, ai segni evi- denti del peccato e alla virulen- za del peccato. Ricordando quanto Gesù ha detto nel Vangelo di Matteo 13,24-30, la parabola del grano e della zizzania, della tensione in cui il cristiano è chiama- to a vivere, corroborato dalla con-corporeità con il Cristo Risorto, nella tensione tra il bene e il male, tra il grano e la zizzania, al versetto 30 dice: «Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mie- titura e al momento della mie- titura dirò ai mietitori: cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece (il bene) riponetelo nel mio granaio (il Regno)». In questa tensione o in que- ste tensioni si inserisce l’ og- gi del Cristiano “pellegrino paziente”, “viatore insieme al viatore”, Cristo che continua a segnare la strada. E come l’a- gricoltore vive tra la certezza che il seme spunterà e ci sa- ranno i frutti e il “tempo” che scorre e nulla si potrà costruire e rivelare immediatamente. Occorre dunque la pazienza dell’agricoltore, che semina, poi cura, rassoda, pota, certo che arriveranno i frutti. Quel- lo della vita è il tempo della pazienza dell’agricoltore che opera e attende. Ma qui non si richiede appena la Speran- za individuale, ma si richie- de la Speranza che si rende visibile nella “Comunità”, nel popolo che celebra, prende for- za e cammina, e attraverso il coraggio di attraversare questa storia concreta e feriale, quel coraggio rende visibile la Speranza il cui seme, che è Cristo Morto e Risorto, diventa visibile per tutti e Speranza di salvezza offer- ta a tutti e di “esodo” che continua, dal deserto alla Terra Promessa, che è già presente. Rubens, Resurrezione di Cristo, olio su tela, Firenze 1616 Auguri di coraggio, nella Speranza per un esodo di salvezza per tutti.

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Anno 2 - n. 4Aprile 2017

Periodico della Diocesi di Caserta

www.ilpoliedro.info

formazione | informazione | cronaca

Cristo RisortoSperanza per tutti

di Giovanni D’Alise

In questi giorni pensavo a cosa dirvi e soprattutto cosa

augurarvi in occasione della Pasqua. Mi sovvenivano le in-fi nite problematiche di oggi, spesso negative, da un lato. D’altro lato mi scoppiava sem-pre più nel cuore la luce pro-fonda e sconcertante della Ri-surrezione del Cristo, che apre infi niti orizzonti di vita.Come mettere insieme tenebre e luce? Ma soprattutto, come dire, in un mondo così, la luce e la grazia pasquale?E la chiesa, le comunità sparse sul nostro territorio e nel mon-do brillano di gioia e di luce?Mi è venuto prepotente e illu-minante ciò che diceva nella sua prima lettera Pietro, l’A-postolo: «Non vi sgomentate per paura di loro, né vi tur-bate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pron-ti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ra-gione della Speranza che è in voi» (1Pt. 3,14-15).La società nella quale viveva-no i primi cristiani, nel primo secolo dopo Cristo, era una so-cietà molto simile alla nostra.L’Apostolo esorta i cristiani ad essere pronti sempre a “dare ragione della Speranza che è in voi”.La Speranza, più che la fede, è il “proprium” del cristiano ed è l’apporto specifi co che il cristiano è chiamato a dare al mondo in cui vive. Il nostro mondo è smarrito, ha perso le strade che fi no ad ora lo hanno guidato alla Speran-za… Ci si pone sempre più domande di senso per capire che, nonostante tutto, vale la pena vivere. Conviene vivere e vivere bene, guardando ol-tre l’immediato, oltre il basso e i lati, guardando lontano, avendo un orizzonte lungo avanti. Oggi, come nel primo secolo, viviamo concre-tamente le problematiche di un’epoca di “decadenza”. I cristiani e le comuni-tà non possono accettare ciò e, come gli altri, concentrarsi sempre più solo verso il basso, o appena verso il fi anco, sen-za dare alcun respiro al proprio passo, al passo comunitario, senza Speranza. Questo è il momento, è il tempo “vera-mente favorevole”, di ascoltare l’Aposto-lo e dare ragione, a questo mondo, a que-sta umanità, della Speranza che è in noi.In ogni Eucaristia noi facciamo memo-ria (memoriale) del fondamento della nostra Speranza, “Cristo morto e risor-to”. È Cristo risorto che traccia, in ogni epoca ed in ogni tempo, la strada della Speranza per tutti. In ogni “celebra-zione” noi ripetiamo in coro, facendoci

LA VOCEDEL VESCOVO

coraggio e sostenendoci, che questo è il grande “mistero della vita” in cui en-triamo e camminiamo, “in attesa della Sua venuta”. Infatti nella celebrazione diciamo: «Annunciamo la tua morte, Si-gnore, proclamiamo la tua risurrezione, in attesa della tua venuta».Dopo aver fatto memoria del momento centrale della vita di Gesù, la sua morte e Risurrezione, con l’Eucaristia entria-mo in comunione con il Cristo Risorto, che ha vinto la morte e “giuriamo”, sul suo corpo glorioso-eucaristico, che lo cerchiamo e lo seguiamo e avanziamo verso di Lui attraversando i tempi, certi che Egli “ritornerà”, anzi sta tornando, viene incontro a noi.Questa è la Speranza che è in noi.Infatti l’Apostolo dice: «Adorate, il Si-gnore, Cristo, nei vostri cuori», e poi dice

che non basta adorarlo nei nostri cuori, ma essere pronti «A dare ragione del-la Speranza che è in voi».Ma come rendere visibile la Speranza che è in noi? È facile renderla visibile?Il Cristiano vive nella tensione tra la certezza che la morte e Risurrezione del Cristo, il fi glio di Dio, sia il fatto cen-trale e risolutivo della storia e il ritorno del Signore. Il suo ritorno è

la certezza che mi sta davan-ti, ma che la storia va avanti come prima. Una certezza che bisogna coniugare con la co-statazione di un mondo dove l’ingiustizia, la sopraffazione, l’offesa e dimenticanza di Dio ed il peccato ancora ci sono e sono visibili, ingombranti e condizionanti.In questa situazione è interra-to, posto a “coltura” il “germe” della salvezza posto da Dio, procede, insieme, ai segni evi-denti del peccato e alla virulen-za del peccato.Ricordando quanto Gesù ha detto nel Vangelo di Matteo 13,24-30, la parabola del grano e della zizzania, della tensione in cui il cristiano è chiama-to a vivere, corroborato dalla con-corporeità con il Cristo Risorto, nella tensione tra il bene e il male, tra il grano e la zizzania, al versetto 30 dice: «Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fi no alla mie-titura e al momento della mie-titura dirò ai mietitori: cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece (il bene) riponetelo nel mio granaio (il Regno)».In questa tensione o in que-ste tensioni si inserisce l’og-gi del Cristiano “pellegrino paziente”, “viatore insieme al viatore”, Cristo che continua a segnare la strada. E come l’a-gricoltore vive tra la certezza che il seme spunterà e ci sa-ranno i frutti e il “tempo” che scorre e nulla si potrà costruire e rivelare immediatamente.Occorre dunque la pazienza dell’agricoltore, che semina, poi cura, rassoda, pota, certo che arriveranno i frutti. Quel-lo della vita è il tempo della pazienza dell’agricoltore che opera e attende. Ma qui non si richiede appena la Speran-za individuale, ma si richie-de la Speranza che si rende visibile nella “Comunità”, nel popolo che celebra, prende for-za e cammina, e attraverso il

coraggio di attraversare questa storia concreta e feriale, quel coraggio rende visibile la Speranza il cui seme, che è Cristo Morto e Risorto, diventa visibile per tutti e Speranza di salvezza offer-ta a tutti e di “esodo” che continua, dal deserto alla Terra Promessa, che è già presente.

Rubens, Resurrezione di Cristo, olio su tela, Firenze 1616

Auguri di coraggio,nella Speranza per un esodo

di salvezza per tutti.

2 Aprile 2017 Anno 2- n. 4il poliedro Comunicazione

Alcuni signifi cativi passaggi dell’intervista di Mons. D’Alise a TV2000

Il Diario diPapa Francesco

la politica e certe volte anche la chiesa tendono a suonare la propria musi-ca, a coltivare il proprio orto. Come prova Lei a far si che la chiesa a Caserta diventi artefi ce di una musica condivisa per uscire dal proprio spazio?Mi sembra importante che la prima realtà che la chiesa deve far venire fuori è ciò che è giusto e ciò che non è giusto secondo il vangelo, secondo la giustizia umana: occorre se-parare la luce delle tenebre! Questo è il primo compito che il Signore ci dà. Una volta fatto questo, bisogna dire con chiarezza le cose che non vanno, ma anche poi aiutare la chiesa stessa ad essere un esempio perché Gesù l’ha pensata come un bozzetto di società nuova, che lui chiama il Regno, una società dove c’è la giustizia, la pace e l’amore. Per fare questo si deve dare voce a tutti: quando manda un uomo sulla terra, lo man-da con un messaggio scritto nella natura e nessuno di noi

bisogna scartare nessuno anzi il lavoro più importante non è mantenere quel poco, quel tanto che già abbiamo, ma di cogliere la presenza degli altri e metterla in gioco.

Ma a chi guarda vera-mente la Chiesa per fare purifi cazione? Quale è il distintivo di appartenen-za di coloro che portano il messaggio di Dio?Dio ha scelto di essere un uomo, ha scelto lo spazio nostro per dire ciò che Dio pensa di questo spazio e cosa vuole farne di questo spazio. Si è incarnato nel senso che ha preso tutto su di sé: ciò che lo fa soffrire di più è vedere che non ci amiamo tra di noi. Allora ci ha dato

mente mi faccio trasformare, posso cominciare, come lui, a immettere attraverso di me questa potenza che viene dal-la Risurrezione. C’è chi deve far passare la potenza della Risurrezione in questo mon-do per risolvere i problemi. L’uomo può fare tanto, ma non può fare tutto. Chi salva il mondo è Dio attraverso la morte in croce del Figlio e la sua Risurrezione.

Che signifi ca concreta-mente portare la croce sulle nostre spalle e non come un semplice ogget-to?Signifi ca aver fatto l’espe-rienza dell’incontro con Gesù Cristo; non un’esperienza aleatoria ma concreta, cioè

a cura della Redazione

La puntata su TV2000 de “Il Diario di Papa

Francesco” del 4 aprile 2017 condotta da Gennaro Fer-rara con Marco Burini ha visto ospite in studio Mons. Giovanni D’Alise. Il Vescovo di Caserta è stato invitato a parlare della Evangelii Gau-dium, e in modo particolare ha commentato il paragrafo 222, nel quale il papa tratta la dimensione sociale dell’e-vangelizzazione individuando alcuni principi della dottrina sociale della chiesa, principi che orientano lo sviluppo della società verso l’armonia la pace.

Eccellenza, uno di que-sti principi, trattati nel paragrafo 222, recita “il tempo è superiore allo spazio”: perché ha scelto proprio questo numero e cosa signifi ca questo nella quotidianità? Ho scelto questo nume-ro perché mi ha colpito in modo particolare in quanto operatore giorno per giorno dell’attuazione del vangelo, perché per attuare il vangelo, e non solo annunciarlo, ma metterlo a cultura per poter produrre frutti, c’è bisogno del tempo e oggi invece siamo costretti dallo spazio a dare risposte immediate, si deve essere effi cienti e il papa ci fa capire e soprattutto rifl ettere sul nostro impegno pastorale, nella diocesi: lo spazio chiede risposte immediate, mentre attuare il vangelo signifi ca generare dei processi.

Può fare un esempio sce-gliendo questa prospetti-va?A me sta molto a cuore la risposta che ho cercato di dare ai giovani che chiedono la cresima. Tante volte la chiedono per motivi estranei al rapporto con Gesù Cristo, che richiede per l’incontro con lui tempo di maturazione per una risposta convinta e fi duciosa. Richiedere tempo signifi ca uscire dall’orizzon-te stretto dello spazio per entrare in un orizzonte più grande, soprattutto a livel-lo pastorale, senza il quale siamo destinati solo a far consumare le cose sacre, ma non a intraprendere un cammino che produca dei frutti. Portare frutti richiede pazienza, attenzione, cura e soprattutto attesa che il seme produca il suo frutto. Per questo ho proposto un cammino per la cresima di due anni, in un’ottica com-pletamente nuova: bisogna immettere germi nuovi che annullino i vecchi germi. Se prendiamo sul serio questo principio che il papa ha dato come uno dei quattro principi della vita sociale, veramente ci può essere un cambiamen-to autentico.

Il Papa, parlando della Populorum progressio, ha parlato di “spartito condiviso”: la vita umana è come un’orchestra che suona bene se i diversi strumenti si accordano e seguono uno spartito condiviso. Spessso però la fi nanza, l’economia,

l’esempio di come cominciare: Gesù Cristo si è incarna-to ed è diventato colui che assorbe tutto il negativo di questo mondo, quello che il demonio semina, rimettendo nella storia tutto il positivo. Io posso amare perché sono stato amato, i miei pecca-ti sono stati assorbiti da Gesù Cristo e trasformati. Io personalmente non ho la capacità di amare, ma se io mi rinnovo dentro e vera-

può annullare questo. Non c’è chi vale di più e chi vale di meno: tutti hanno un apporto da dare e solo se mettiamo insieme i diversi contributi, facciamo armonia. Il maestro d’orchestra deve saper capire qual è il suono giusto che ci vuole e allora si comincia a vedere veramente il progetto che Dio ha su di noi. Papa Francesco sta dicendo conti-nuamente che non bisogna abbandonare nessuno, non

quando io dico “credo in Gesù Cristo” devo dire anche “io credo che la vita che sto vi-vendo può essere trasformata in Lui”: gioia, dolore, diffi col-tà o accompagnamento degli altri possono essere portati in positivo, farli suonare nell’orchestra. Se non c’è nessuno che dà la vita perché questo avvenga, ci sono solo tanti suoni sgradevoli che noi produciamo, dove ognuno vuole emergere sull’altro.

Papa Francesco

Mons. Giovanni D’Alise

Mons. D’Alise nello studio di TV2000 con il conduttore G. Ferrara e M. Burini

3il poliedroAprile 2017 Anno 2- n. 4 Intervista

di Ornella Mincione

“Il mio Hashtag è Fiducia-Caserta: bisogna avere

fede. Per potersi migliora-re, bisogna avere fi ducia. E la Chiesa ne è portavoce”.

#FiduciaCasertaIntervista al direttore della Reggia Mauro Felicori

ce ne siano costituisce il punto di partenza per la crescita stessa. Noi, dal canto nostro, stiamo lavorando tanto, sia per il marketing che per la co-municazione del sito. Ad oggi, questo lavoro ci ha portato ad avere 700.000 visitatori nel 2016. Sono convinto che non solo raggiungeremo il milione di visitatori, ma lo superere-mo”.

Quello che lei ha descritto è un atteggiamento che ogni cittadino farebbe bene ad assumere: ovvero avere quella fi ducia ne-cessaria per ottimizzare le possibilità. In concreto, cosa si potrebbe fare per

Bisognerebbe che sia più vivo il senso di un interesse ge-nerale, accompagnato poi da quello individuale. A questo punto, poi, far scattare una rete tra le diverse istituzioni vera, reale, che crei a sua volta un dialogo fattivo con la città”.

Da quando dirige la Reg-gia, l’abbiamo vista parte attiva nel contesto sociale casertano. Dove crede ci si-ano le possibilità più pron-te ad essere sviluppate?

alla diffi cile realtà occupa-zionale che vivono già da diversi anni?“La Chiesa ha un ruolo fonda-mentale: è il cemento morale, oltre che spirituale, della città. Io nel mio lavoro ho sentito molto forte il conforto del vescovo Giovanni D’Alise e mi sono relazionato alla città anche con questa forza che lui mi ha trasmesso. Non a caso una delle mie prime uscite pubbliche è stata proprio nella Biblioteca diocesana. La Chie-sa deve sempre appoggiare e

lavoriamo e vediamo lo svi-luppo dei nostri progetti e per i giovani che possono trarne vantaggio per il loro futuro. Non ci sarà mai lavoro per i giovani se non c’è lo sviluppo della città. In questo senso, guardare quei dati che dicono che Caserta è l’ultima provin-cia in Italia per tante cose, deve essere motivo per noi per avere la fi ducia che ci sia tutto un mondo da conquistare. In questo processo, è chiaro che bisogna concentrarsi su questioni primarie”.

Quando parla di speranza, il direttore della Reggia Mau-ro Felicori è molto diretto e concreto, visti anche i risultati raggiunti riguardo gli ingressi registrati negli ultimi mesi al Palazzo reale casertano.

Questa è la Terra dei Fuo-chi e in tantissimi vivono lo sconforto di una realtà diffi cile sotto tanti punti di vista. Prendendo in rife-rimento le parole di Papa Francesco e della sua vo-lontà di nutrire speranza, cosa direbbe ai casertani per dare loro uno sprone a continuare ad avere spe-ranza nella propria realtà?“Credo che l’atteggiamento migliore sia quello di trasfor-mare le negatività di questo ambiente in una ragione di fi ducia. È indubbio che esi-stono qui tanti fattori critici. Prendo ad esempio proprio il caso della Reggia. Quando sono arrivato qui, si contava-no 400.000 visitatori contro il milione degli anni precedenti. Questo è un dato che deve essere visto positivamente, se si tiene conto che a Versailles sono stati raggiunti i sette milioni.Io credo fortemente che ci sono ampi margini di crescita. Anzi, proprio la possibilità che

Caserta e i tanti comuni della provincia per avere ancora più chances nel futuro?“Credo che bisognerebbe pun-tare a migliorare la pubblica amministrazione che, qui a Caserta, ha un ruolo molto importante. Credo che ogni miglioramento della pubbli-ca amministrazione possa portare giovamento alla città. Ogni componente dovrebbe fare il proprio lavoro con professionalità e generosità, considerando di fare il bene altrui non soltanto il proprio.

sostenere coloro che lavorano per il bene della città. Per i giovani, poi, è chiaro che quello che facciamo è innanzi-tutto per creare possibilità a loro. La nostra prima respon-sabilità, in questo momento, è produrre lavoro perché loro ne possano trarre vantaggio. Credo che questa sia la via maestra per tutti: per noi che

Intanto, anche alla Reg-gia torna la spiritualità, con la prima Santa Messa celebrata nella cappella palatina. Perché questa decisione?“La Reggia è un museo popolare e tanti visitatori vengono anche di domenica.Era giusto offrire da un lato un ‘servizio’ in più e dall’altro arricchire l’at-mosfera artistica della c appella riportandola alla sua destinazione d’origine. Riporteremo in auge anche il teatro: per ora è visitabile solo il sabato e la domenica, grazie alla collaborazione del Touring Club.Ma stiamo lavorando per-ché non solo venga aperta al pubblico anche gli altri giorni, ma anche perché possa essere ripristinato come palco.Per far questo bisogna anzitutto metterla in sicu-rezza secondo la normativa vigente.Per ora, comunque, è già possibile fare alcune regi-strazioni”.

“Io vedo innanzitutto tan-ta voglia di fare e ho tanti riscontri di piccole volontà, di piccole professionalità che lavorano tantissimo per emer-gere. Tanti operatori privati vogliono intraprendere strade e mettersi in gioco, anche al di fuori di questo territorio. Anche per questo sono convin-to che questa non sia affatto una terra senza speranze. Anzi. È necessario però un supporto. Ecco perché ritengo necessaria la rete non solo tra le istituzioni, ma anche con la classe dirigente: tutti insieme devono comunicare la voglia e la capacità di emergere insie-me, lavorando insieme”.

In questo contesto, cosa la Chiesa può fare, anche in riferimento ai giovani e

Reggia di Caserta: Cappella Palatina

Il direttore Mauro Felicori

Reggia di Caserta: Biblioteca vanvitelliana

Reggia di Caserta: A. Joli, Festa per l’inaugurazione dell’acquedotto Carolino

Reggia di Caserta: veduta dall’alto

4 Aprile 2017 Anno 2- n. 4il poliedro Territorio

di Gian Maria Piccinelli

Sono trascorsi 25 anni dall’inizio delle attività

dell’Università, oggi “della Campania”, nella città e nel-la provincia di Caserta. Dopo l’intervento pubblicato nel numero di settembre 2016, torno di nuovo sull’argomen-to perché mi colpisce un’af-fermazione che spesso viene ripetuta, anche da persone attive nella vita politica e cul-turale di questo territorio: “L’Università è lontana, è di-staccata dalla città. Vive iso-lata nella sua torre d’avorio!”.Vivendo dall’interno l’espe-rienza universitaria, mi ren-do conto che è diffi cile valu-tare in modo oggettivo una simile posizione e rispondere adeguatamente. E poi, lonta-na in che senso? da che cosa? dalle persone? dai giovani?Vorrei quindi tornare sul tema, non per ripetere po-sizioni enfatiche sull’impor-tanza dell’università, ma per presentare dei dati, elementi concreti sui quali avviare una discussione oggettiva. Quelli che seguono sono cifre relati-ve soltanto a studenti e laure-ati della provincia di Caserta che costituiscono, mediamen-te, circa il 60% del dato totale.Come sappiamo, quella che allora prese il nome di Se-conda Università di Napoli, si insediò a Caserta nel 1992, istituita “senza oneri per la fi nanza pubblica”. Il sostegno della città e del territorio fu determinante per l’identifi -cazione delle prime strutture

didattiche e l’avvio dei corsi. Allora, i laureati erano solo 3 ogni 100 residenti (circa 25 mila in tutta la provincia). In quello stesso anno si laurea-rono i primi 10 studenti con il titolo di studio della nuova Università. Al censimento del 2001, la percentuale era sa-lita al 6%. Nel 2011 era del 8,5% e oggi siamo intorno al 10% con percentuali, rispet-to a una media nazionale (la più bassa in Europa) che si attesta intorno al 15%. Tra i laureati casertani, solo il 4% avevano un titolo della SUN nel 2001, percentuale che sale al 26% nel 2011 e al 38% nel 2016. Il che signifi ca in nu-meri assoluti che l’università casertana, dalla sua fondazio-ne, ha rilasciato quasi 40.000 titoli di laurea a persone resi-denti in questa provincia.Per comprendere la valenza di questo dato, è utile metter-lo in relazione al livello di sco-larizzazione complessivo. Il censimento del 2011 eviden-ziava che il 29% dei cittadini della provincia non avevano concluso la scuola dell’obbli-go, il 30% era in possesso del-la sola licenza media, il 30% aveva conseguito il diploma di scuola superiore. Concentriamoci sulla fascia di età dei casertani più inte-ressata agli studi universitari (tra i 18 e i 25 anni). Nell’ul-timo triennio circa il 12% dei giovani della provincia (pari a una media di 15.000 studen-ti ogni anno) si è iscritto alla nostra Università, lasciando così ipotizzare un signifi ca-tivo incremento del numero complessivo dei laureati nei prossimi anni. Un’ultima ri-fl essione. Quanto costa la for-mazione di questi giovani? Nei suoi venticinque anni di atti-vità, l’Università ha visto una media di 13.000 iscritti dalla provincia, dei quali 2.000 dal comune capoluogo. In base ai dati OCSE, in questo periodo il costo medio pro-capite di un anno di studi universitari è stato di circa 4.300 euro di cui il 13% soltanto è fi nanziato dallo studente con le tasse di iscrizione. Ciò signifi ca che, dal 1991, l’Università SUN/

Vanvitelli ha investito in for-mazione - solo per il nostro territorio - una media annua di oltre 55 milioni di euro, per un totale complessivo di un miliardo e 400 milioni. Nel 2016 l’investimento è stato di quasi 110 milioni, di cui 15 milioni nella città. Cifre che si raddoppiano se consideriamo il totale degli iscritti anche di altre province. Sarebbe utile ragionare anche su quanto incide la presenza capillare e decentrata dell’Università sul territorio provinciale. Mi chiedo, piuttosto, quale altra istituzione pubblica o priva-

ta abbia investito altrettan-to per lo sviluppo economico, tecnico e scientifi co del ter-ritorio attraverso la crescita culturale dei giovani. Sono loro il seme migliore di un do-mani diverso, possibile grazie all’apertura verso prospettive europee e internazionali, alla creazione di imprese capa-ci di sviluppo e innovazione, ad una riprogettazione del tessuto urbano e territoriale. Chi vuole, allora, vedere l’u-niversità casertana chiusa in una torre d’avorio, si fa por-tavoce di una città distratta, intenta in piccole beghe loca-

li e interessi di bottega, che non si è accorta della portata culturale della presenza uni-versitaria al suo interno per il riscatto socio-economico del territorio. E ancora i giovani, grazie agli sforzi delle loro fa-miglie e al loro impegno nel-lo studio, potranno offrire un contributo sempre più avan-zato per garantire il progres-so della società civile, per la trasformazione positiva della politica e del governo del ter-ritorio, insieme al rafforza-mento dei processi economici. Ma, soprattutto, per impara-re a guardare lontano.

di Paola Broccoli

A fi ne marzo, si è tenuto nel Belvedere di San Leucio, una tavola rotonda promossa da Masse Frankfurt Srl Italia dal titolo «Automazione 4.0»: i distretti campani si racconta-

no a Caserta. L’incontro casertano, che segue quello di Ancona e Milano, è parte di un itinerario che mira a promuovere la cultura di fare sistema tra imprese. L’appuntamento conclusivo è fi ssato per fi ne maggio a Parma, città che ospita la fi era dell’automazione digitale. Alla tavola rotonda casertana, hanno partecipato imprese nazionali ed internazionali, Confi n-dustria Campania e Confi ndustria Caserta, docenti della Federico II. Dal confronto sono emersi interessanti spunti sulle potenzialità del nostro tessuto produttivo, peraltro poco note. Conosciamo bene le criticità che frenano lo sviluppo e dunque vogliamo partire dalle risorse: come abbiamo già detto, il lavoro si crea, ma prima ancora si devono determinare le pre-condizioni, tenendo conto della realtà globale nella quale viviamo. I dati ci dicono che l’economia sta diventando sempre più «metropoli-centrica»: le prime 600 città del mondo concentrano il 65% della ricchezza prodotta sul pianeta e compare solo Milano tra le città italiane. Il Sud è sempre più lontano. A Caserta siamo in ritardo anni luce: il declino della “vecchia” Caserta industriale inizia a metà degli anni ’70, agli albori della globalizzazione. Il modello di sviluppo che si era diffuso era un modello dipendente dalle imprese del Nord che qui insediavano i loro stabilimenti per le ingenti agevolazioni statali e per l’abbondanza di manodopera. L’industrializzazione casertana si è sviluppata senza avere fattori autopro-pulsivi in sé, espellendo dal sistema produttivo le piccole imprese locali. Oggi in provincia di Caserta si contano 100.000 imprese-aziende, caratterizzate da un numero basso di addetti (da 1-10) delle quali il 10% sono riconducibili al settore edile. Queste imprese non fanno sistema e quindi sono poco competitive. La chiave resta l’innovazione e la politica dovrebbe intervenire per superare i limiti, favorendo la competitività e la produttività per creare occupazione. Fare sistema a partire dal connettersi alla tradizione della nostra provincia. Tradizione, innovazione e patrimonio artistico. Sono queste le chiavi che ha Caserta per accedere al futuro. Il rapporto «Global cities of future» sulle grandi aree metropolitane ci dice che la ricchezza nasce nei luoghi dove «il brain power» incontra i capitali e genera sviluppo.

Tradizione, innovazione e patrimonio artistico

L’Università e la “torre d’avorio”

Caserta: statua di Luigi Vanvitelli

5il poliedroAprile 2017 Anno 2- n. 4 Istituzioni

a cura della Redazione

È stato un fi ume azzurro quello formato dalle don-

ne e dagli uomini della Scuola Specialisti dell’Aeronautica Militare, frequentatori del 15° e 16° corso VSP che, il 22 marzo scorso, dalla sede del-la Scuola Specialisti in via-le Douhet, si è diramato per

La Scuola Specialisti dell’A-eronautica Militare, che ha sede a Caserta, fonda le sue radici storiche sin dalle origini costitutive dell’Ae-ronautica quando, accanto all’esigenza di formare i pi-loti, si ebbe la necessità di addestrare gli specialisti del mezzo aereo. Nel 1924, ad appena un anno dalla costi-tuzione dell’Aeronautica, nasce Scuola Specializzati dell’Arma Aeronautica orga-nizzata su due sedi: Capua e Roma. La Scuola Specializ-zati dell’Arma Aeronautica, infatti, fece da “chioccia” ai primi tecnici specializzati dei motori di aeroplano che, con fede ed entusiasmo, pre-stavano la loro opera nella neonata forza aerea.

L’avvicinamento ed il coin-volgimento della nazione nella seconda guerra mon-diale non compromise lo svolgimento dei corsi per specialisti, infatti le attività della Scuola continuarono normalmente fi no all’8 set-tembre del 1943, momento in cui le attività didattiche vennero sospese e l’istituto venne soppresso.Dopo i disastrosi eventi bel-lici della seconda guerra mondiale, dove tra l’altro, tanti specialisti formatisi a Capua e Capodichino, scris-sero pagine epiche della Re-gia Aeronautica nell’intero scacchiere internazionale, la Scuola, il 1 ottobre del 1948, fu ricostituita presso la Reg-gia di Caserta con la denomi-

nazione di Scuola Specialisti dell’Aeronautica Militare.Il complesso vanvitelliano, che meglio si prestava alle esigenze della formazione degli specialisti, fu già sede di istituzioni militari quali la Scuola Sottuffi ciali dell’E-sercito dal 1888 al 1895, l’Accademia della Guardia di Finanza dal 1896 al 1925 e soprattutto dell’Accade-mia Aeronautica dal 1926 al 1943.Da quel momento le attività della Scuola Specialisti ripre-sero con le stesse metodolo-gie anche nell’ambito della neo-costituita Aeronautica Militare che fece posto alla Regia Aeronautica. Il 1° Cor-so Specialisti fu incorporato a Caserta nel 1949.

lonnello Domenico Lobuono, del personale militare e ci-vile del quadro permanente, di alcune associazioni per scopi di utilità sociale, quali l’Associazione Arma Aero-nautica sezione di Caserta, l’ANAFIM e il PASFA, ha raggiunto momenti di grande intensità grazie alle toccanti parole che il Monsignor D’A-lise ha voluto spendere nell’e-logiare lo spirito di sacrifi cio con cui le donne e gli uomi-ni dell’Aeronautica Militare quotidianamente si dedicano per garantire la sicurezza dei

Il Precetto Pasquale

i viali principali del centro storico giungendo al Duomo della Città di Caserta, dove Monsignor Giovanni D’Alise, assistito dal cappellano mi-litare della SSAM, don Emi-lio Di Muccio, ha celebrato il Precetto Pasquale.La celebrazione, che si è svolta alla presenza del Co-mandante della scuola, Co-

Negli anni successivi, il sem-pre continuo aggiornamento tecnologico della forza arma-ta, portò alla rivisitazione delle strutture e dei program-mi dedicati alla formazione degli specialisti elevando il livello qualitativo dei risul-

cieli. Si è detto poi profonda-mente colpito nel vedere il Duomo di Caserta felicemen-te “invaso” dall’azzurro delle uniformi dell’AM.La celebrazione si è conclusa con un momento di viva alle-gria che il Vescovo ha voluto regalare a tutti i presenti nel chiedere al gruppo di anima-zione musicale (composto, tra l’altro, da personale militare e civile della Scuola Speciali-sti) di ripetere un canto che, per sua diretta ammissione, aveva particolarmente gra-dito, sia per l’eccellente ese-cuzione, sia per il testo che ricordava, per molti tratti, la Preghiera dell’Aviatore, egre-giamente recitata da un gio-vane frequentatore.Non poteva, infi ne, mancare

la foto di gruppo del Monsi-gnor D’Alise e del Comandan-te con tutti i frequentatori e col personale della SSAM. Un momento molto intenso che è divenuto già tradizione quando l’azzurro delle unifor-mi dell’Aeronautica Militare incontra le amorevoli braccia del Vescovo di Caserta.

La Scuola Specialistidell’Aeronautica Militaredi Caserta

tati raggiunti dalla stessa.Dal 1° novembre 2007, nel quadro di ulteriori provve-dimenti volti ad una pro-gressiva ristrutturazione e trasformazione dell’Aero-nautica Militare, la Divisio-ne Formazione Sottuffi ciali e Truppa – Scuola Sottuffi -ciali A.M. è stata riorganiz-zata in Scuola Specialisti A.M.Nel 2009, la Scuola Specia-listi ha completato la fase di riorganizzazione logistica ed infrastrutturale che ha visto, con la consegna del nuovo Centro Polifunzio-nale la defi nitiva creazione di una nuova area didat-tica d’avanguardia, sulla stregua delle più moderne strutture universitarie.

Il Comandante D. Lobuono e il Cappellano don E. Di Muccio

Cattedrale di Caserta: foto di gruppo

Il saluto di Mons. D’Alise ai militari dell’Aeronautica

Mons. D’Alise con il Colonnello Lobuono

Da sx: don E. Di Muccio, il Comandante Lobuono e don Enzo De Caprio

L’Aeronautica Militare in Cattedrale

6 Aprile 2017 Anno 2- n. 4il poliedro Curia

Il nuovo cammino dei Ministri Istituitie dei Ministri straordinari della Comunione

Incontro del 22 marzo scorso nella Biblioteca Diocesana

di Mario Izzo

“Deo agimus gratias”! Il 23 febbraio scorso, il

nostro vescovo Mons. D’Alise ha nominato don Biagio Saia-

di Antonio Izzo

Si è svolto, nei giorni 24 e 25 Marzo, presso la Chiesa S. Antonio di Pado-

va, il I Convegno Diocesano di Musica e Canto Sacro organizzato dall’Uffi cio Liturgico Diocesano: un’opportunità fortemente voluta dal suo ideatore, Sac. Don Claudio Nutrito, che ha in-vitato, per l’occasione, un relatore di eccezione, Mons. Giuseppe Liberto, Direttore emerito della Cappella Mu-sicale Pontifi cia “Sistina”. Sono stati riuniti, su invito dell’Uffi cio Liturgico, tutti i responsabili del settore musica e canto sacro delle parrocchie di Caser-ta, estendendo anche alla Diocesi di Aversa, che ha preso parte all’evento portando una nutrita rappresentanza di musicisti, direttori e coristi. Il pro-gramma si è sviluppato in due gior-ni: nel pomeriggio del 24 marzo, S.E. Mons. Giovanni D’Alise ha chiarifi cato lo spirito del convegno, ringraziando tutti i partecipanti e sottolineando loro “il ruolo di primaria importanza”, qua-le hanno la responsabilità di svolgere, in ogni Santa Celebrazione. Di segui-to, il relatore ha argomentato i suoi primi pensieri nella prima relazione

“Tibi silentium laus”, Incentrata su un aspetto, troppo frequentemente sotto-valutato, quello del silenzio: Mons. Li-berto ha spiegato come anche la pausa sia in realtà musica e che, spesso, nelle nostre celebrazioni (come nella nostra frettolosa esistenza) siamo bombarda-ti da suoni, rumori e onde sonore che ci distolgono dal Vero Mistero, quel-lo di Cristo. Nella fase successiva del pomeriggio, si è esibita, come da pro-

Il Primo ConvegnoDiocesano di Musicae Canto Sacro

Uffi cio Liturgico Diocesano

no “Responsabile dei Ministri istituiti e dei Ministri straor-dinari della Comunione” ed il 22 marzo, presso la Biblioteca Diocesana, si è svolta la pri-ma assemblea plenaria del

Settore Ministeri Ecclesiali. A questo primo incontro Don Biagio ha voluto dare come augurio il saluto rivolto dal-la cugina Elisabetta a Maria andata a visitarla ad Ain-Ka-

rem, dalla lontanissima Na-zareth: “Benedetto il frutto del tuo grembo!” (Lc 1,42). La motivazione di questa scel-ta, ci ha rivelato don Biagio, è che questo gesto volontario di Maria, di condivisione e di attenzione all’altro, deve rappresentare per coloro che nella chiesa svolgono un mi-nistero ecclesiale l’esempio da seguire nell’adempimen-to del servizio eucaristico o della Parola presso i fratelli, soprattutto gli infermi; servi-zio che risponde alle esigen-ze della Chiesa Casertana. Durante l’Assemblea sia il Vescovo che il nuovo Respon-sabile hanno colto l’occasione per incoraggiare ancora una volta tutti i ministri ad esse-re segni della “prossimità” di Cristo soprattutto negli Ospe-dali e nelle Case di Cura per dare la possibilità a chi è sof-ferente ed è solo, lontano dal-le proprie Comunità parroc-chiali, di ricevere il Pane e la Parola di Vita nel giorno del Signore, ed in altre festività

liturgiche dell’anno: stabilire così un anello di congiunzio-ne tra l’altare della Mensa Eucaristica e l’altare della sofferenza. È stata quindi cal-damente raccomandata l’as-sidua partecipazione di tutti i Ministri istituiti a svolgere l’importante missione affi da-ta loro operando nella piena consapevolezza di essere “un dono grande per la Chiesa casertana ed uno strumento prezioso attraverso il quale Cristo raggiunge i suoi fra-telli nel suo essere Parola e Pane”. Con questo incontro il Settore Ministeri Ecclesiali riprende in pieno le proprie attività che prevedono, tra l’altro, incontri specifi ci ed un programma, ancora da defi -nire, di formazione spirituale permanente.

A fi ne giornata, i convegnisti e l’assem-blea tutta hanno partecipato ai Primi Vespri della Solennità dell’Annuncia-zione del Signore. Il giorno seguente, sabato 25 marzo, in seguito alla celebrazione delle Lodi, Mons. Giuseppe Liberto ha attenziona-to l’uditorio alla sua seconda relazione

“Te decet Hymnus”, accompagnato da un successivo dibattito con i convegni-sti, al termine del quale il M° Antonio Izzo ha eseguito la Pastorale di Cesar Franck al Grande Organo della chiesa di S. Antonio, recentemente ampliato con nuovi registri ed unico strumento a canne completo e funzionante presso la nostra Diocesi. Ha avuto poi luogo l’e-sibizione della Corale San Bartolomeo Apostolo (M° Nunzia Zito) con due bra-ni di Mons. Marco Frisina: Totus Tuus e Preghiera Semplice. Nel pomeriggio, con la sua ultima relazione “Cantare amantis est” il relatore ha illustrato i criteri di scelta dei canti per la liturgia, dal gregoriano al genere più moderno ed attuale: ne è nato un utile dibatti-to di forte crescita per i partecipanti. Si è esibita, infi ne, la corale Harmonia Mundi, della parrocchia Gesù Buon Pastore, diretta dal M° Loredana Cop-pola che ha eseguito 2 brani dei Gen Verde: Santo e So che sei qui.A conclusione dei lavori, rifl essioni e proposte per i prossimi convegni dio-cesani hanno visto una prima con-cretizzazione dei pensieri esposti in questi due giorni, congiuntamente all’impegno, lasciato ai presenti cori polifonici, di prendere parte, in unio-ne alla corale Diocesana, all’anima-zione di due rilevanti celebrazioni: la Messa Crismale di giovedì 13 aprile e l’incontro di tutti i Vescovi della Cam-pania il 2 Maggio. Il tutto è terminato con la S. Messa della IV Domenica di Quaresima presieduta da S.E. Mons. Giovanni D’Alise, concelebrata da Mons. Giuseppe Liberto, Don Claudio Nutrito, Don Biagio Saiano (respon-sabile del Settore Musica e Canto Sa-cro) e Don Stefano Sgueglia.

gramma, la Corale Diocesana di Ca-serta diretta dal M° Rosario Messina, che ha eseguito, per l’occasione, l’Inno a Cristo Signore del Millenni, compo-sto da Mons. Giuseppe Liberto per la chiusura della Porta Santa nel 2000, e Dio è mia Luce, con elaborazione del direttore stesso per coro a quattro voci.

Don Biagio Saiano

Biblioteca diocesana: l’assemblea dei Ministri Istituiti

Chiesa S. Antonio in Caserta: da sx Mons. G. Liberto, Mons. G. D’Alise e don C. Nutrito

7il poliedroAprile 2017 Anno 2- n. 4 Caritas

CaritasDiocesiCaserta

di Antonello Giannotti

Carissima Caserta, ti auguro una vera Pa-

squa di risurrezione!Dopo lungo torpore, comin-ci a svegliarti. Ti hanno chiamato città distratta, città sonnolenta, città fa-talista, città rassegnata. Ma i primi segni di una nuova primavera iniziano a spuntare; sul ceppo della vecchia Caserta spunta il germoglio di vita nuova.Auguri per il tuo risveglio civile. Riscopri la tua vera vocazione di Casa hirta. Ascendi verso ideali più belli e più nobili. Risorgi!Auguri, perché cominci a vedere la devastazione del tuo territorio, l’illegalità penetrata a tutti i livelli, la corresponsabilità dei tuoi cittadini per il degrado che ti soffoca e l’incapacità del-le istituzioni che dovevano proteggerti. Coraggio, Caserta: forse da un male può nascere un bene. Il dramma ambientale ti ha aperto gli occhi perché il fondo ancora non era sta-to toccato.Adesso scopri che non c’è solo mancanza di lavoro, degrado sociale o crimina-lità organizzata; adesso scopri che è stata fatta vio-lenza alla tua salute e alla tua vita, sono stati feriti il cibo che mangi e l’aria che respiri.Da terra dei fuochi, di-venta terra di fuoco: fuoco dell’amore per il prossimo, per l’ambiente, per la polis.Caserta, sei una città for-tunata: le tue bellezze naturali e architettoniche basterebbero da sole ad ali-mentare in maniera sana la tua economia. Caserta, smettila di cam-minare nelle tenebre, cam-mina nella luce, progetta il tuo futuro, testimonia l’onestà, non essere indiffe-rente al bene comune, usa il metro dell’amore concre-to soprattutto per i tanti poveri e immigrati che vi-vono sul tuo territorio. Caserta scegli nuovi stili di vita, scegli il Vangelo nei comportamenti e nelle scelte personali e familiari; scegli la sobrietà, l’essen-zialità, il rispetto per l’al-tro, l’amore per l’ambiente e per i doni che madre ter-ra ci ha dato.Questo è l’augurio che ti formulo dal mio cuore sa-cerdotale, mia amata città.

Caserta,buonaPasqua!

di Mimmo Iannascoli

Dal 27 al 30 marzo a Ca-stellaneta (TA) si è svolto

il 39° convegno nazionale di Caritas Italiana che ha riu-nito oltre 500 tra direttori e operatori, convenuti da 155 diocesi, sul tema, “lo Svilup-po integrale dell’uomo”, alla luce della recente istituzio-ne dell’omonimo Dicastero, voluto da Papa Francesco ed alla cui guida è stato posto S.E. il Cardinale P. Turkson. Nel suo intervento, il Car-dinale ha sottolineato come “lo sviluppo umano integrale sia alla base della dignità di ogni persona umana, il vero sviluppo deve essere univer-sale e di tutti, deve compren-dere la dimensione materiale e spirituale, perseguendo il bene comune secondo il prin-cipio di solidarietà, con un’at-tenzione ai più poveri ed agli esclusi”. Non è un caso, nei temi posti al centro del con-vegno, che Caritas Italiana abbia voluto privilegiare re-altà esistenziali, espressione di talune condizioni di grave malessere sociale, non di-sgiunte, tuttavia, dalla possi-bilità di individuare percorsi concreti di uscita, rifuggendo da atteggiamenti vittimistici o di cupa rassegnazione. Èquanto è accaduto a Y. Sa-gnet, il quale ha ripercorso la propria odissea, dallo sbar-co in Italia alla riduzione in schiavitù, nella raccolta del pomodoro, da parte dei “capo-rali”,a loro volta al soldo della criminalità organizzata e di

La Caritas di Caserta partecipa al Convegno Nazionale

taluni imprenditori conni-venti. Fino a guidare il moto di ribellione che condusse ad uno sciopero generale ed al loro arresto. Non meno signi-fi cativa la testimonianza di C. Rega, ergastolano, trentacin-que anni scontati. Cosimo era una delle fi gure più in vista della camorra del salernitano. Tre omicidi alle spalle, egli ha saputo rendersi protagonista del proprio riscatto, attraver-so l’impegno teatrale in car-cere. Protagonista del noto fi lm “Cesare deve morire”, vincitore dell’“Orso d’oro” al Festival di Berlino nel 2012, regia dei fratelli Taviani, ha descritto in modo incisivo e coinvolgente il proprio cam-biamento, ispirato dall’amore per la famiglia: “appena avu-to l’ergastolo–racconta–dissi a mia moglie ed ai fi gli che la mia condanna era giusta. Non c’è peggiore emozione di vedere negli occhi dei fi gli la delusione. Le dissi: tu lo sai, io non uscirò più, sei giovane, rifatti una vita.Lei mi rispose: pensi che un muro di cinta possa dividere il nostro amore?”. Quel gior-no Cosimo si pentì di essere camorrista, subendo il di-sprezzo e l’ostilità degli altri detenuti. Ad un giovane che in carcere gli chiedeva con ammirazione quante perso-

ne avesse ucciso, risponde-va “non chiedermi quante persone ho ammazzato, ma quante donne ho reso vedove e quanti bambini orfani”. Al-tro tema di estrema attuali-tà, ha riguardato il dramma dei profughi dell’area medio orientale. In particolare, con un collegamento da Amadiya, regione montuosa e isolata del Nord Iraq, il parroco S. Yousif ha saputo coniugare accoglienza e convivenza tra confessioni religiose, sia pure

da parte di svariate organiz-zazioni internazionali, tra cui Caritas Italiana, che Samir ha ringraziato pubblicamen-te. Infi ne, il dramma del ter-remoto nell’Italia centrale, attraverso le parole del dele-gato regionale della Caritas Umbra, G. Pallucco. Egli ha fatto il punto dell’impegno della Caritas locale e nazio-nale, sottolineando come lo sforzo principale sia consisti-to nel ricomporre un tessuto comunitario lacerato, renden-dosi prossimi soprattutto nei confronti di quanti non erano nelle condizioni di lasciare quelle terre. Grazie all’aiuto delle Caritas diocesane e di organizzazioni religiose, che hanno raccolto 25 milioni di euro, è stato possibile, ad es.

Lo sviluppo integraledell’uomo

in condizioni di estrema dif-fi coltà ed emergenza perma-nente. Nel villaggio ha creato spazi di accoglienza, ripristi-nato strutture scolastiche, or-ganizzato piccole attività la-vorative. Ciò è stato possibile grazie alla rete di solidarietà

ricostituire stalle crollate, so-stenere le necessità primarie di numerose famiglie, con-tribuire al rilancio di talune attività. Tuttavia, non è man-cata la denuncia dei gravi ritardi negli impegni assunti dal governo.

Convegno nazionale Caritas: da sx don A. Vigliotta, M. Iannascoli e don A. Giannotti

Convegno nazionale Caritas: sala convegno

8 Aprile 2017 Anno 2- n. 4il poliedro Rifl essioni

di Francesco Catrame

Non capiremo mai il senso pieno della Risurrezione

di Cristo se non diventiamo discepoli di Colui che apre le porte della vita donandoci la novità dell’Amore pasquale. Il cristianesimo si fonda sulla risurrezione di Cristo, e il suo messaggio né più né meno è messaggio pasquale per eccellenza. Una religione di vita, insomma, che ha affascinato e preso gradualmente tutte le fasce sociali del grande Impero romano. Nel suo esodo spirituale il fi losofo russo Berdjaev (1874-1948), leggeva il cristianesimo come la religione della risurrezione: “Il cristianesimo è la più grande religione, perché è la religione della risurrezione: perché non si adatta alla morte e alla sparizione, perché cerca la risurrezione di tutto ciò che veramente è”. Porre attenzione alla risurrezione è scavare dentro il nostro essere cristiani, porre un fondamento stabile della verità di Dio che nel suo amore trinitario si rivela come il Dio della vita. Nel suo libro su Gesù di Nazareth, Benedetto XVI invitava a chiederci con onestà cosa signifi chi per noi oggi la risurrezione di Cristo, scriveva: “Essa è un evento dentro la Storia che, tuttavia, infrange l’ambito della Storia e va al di là di essa. Forse possiamo servirci di un linguaggio analogico, che sotto molti aspetti rimane inadeguato, ma può tuttavia aprire un accesso alla comprensione. Potremmo considerare la risurrezione quasi come una specie di radicale salto di qualità in cui si dischiude una nuova dimensione della vita, dell’essere uomini”. La Pasqua di Risurrezione diventa assicurazione di una qualità di vita nuova, diversa,

Pasqua è rinnovarela fi ducia vitale nelDio trinitario

al cui centro non c’è più l’io egoistico ma c’è un radicale cambiamento all’altro. La Festa delle feste, dunque, dà un senso alla Storia e alla vita degli uomini: la Storia non è chiusa in se stessa, ha un’apertura, una feritoia, un piccolo spazio per guardare sempre l’oltre, non solo, Pasqua deve donare un senso alla vita umana, alla vita come dono, alla vita come condivisione che nell’agire trinitario nella Storia diventa comunione, solidarietà, fraternità, gioia di stare bene insieme. La Pasqua chiede di essere interiorizzata mai privatizzata: pretende perciò di

essere principio di umanesimo, perché evento salvifi co che coinvolge l’umanità e la trasforma in nuova umanità. Nel tempo dell’indecisione e della paura dove l’incertezza e l’ansia economica rischiano di diventare incertezza sull’uomo, la risurrezione indica un punto di riferimento solido. Evidentemente, non basta che la risurrezione venga presentata come un modello di vita da imitare; si richiede, anzitutto, che essa sia un principio di vita che trasformi dall’interno le esistenze degli uomini e delle donne, che vogliono adottarlo come

paradigma di umanesimo. A queste condizioni l’evento vissuto della risurrezione è capace di sprigionare imprevedibili energie: ad esempio, può ampliare con forza unica gli orizzonti della speranza, in un tempo nel quale essi tendono a ridursi, ad arricchire la vita e l’esistenza degli uomini con prospettive di solidarietà e di fraternità. La mancata fraternità è segno di sottosviluppo e di profondi contraddizioni sociali. Benedetto XVI, sulla scia del Magistero sociale della Chiesa, lo aveva chiesto come impegno globale: “la società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli. La ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità…” (Caritas in Veritate, 19). La Risurrezione non può che donare all’uomo il desiderio della fraternità come esigenza inderogabile per una nuova umanità, in poche parole il messaggio pasquale del Risorto

aiuta e rinsalda la Verità nella carità degli uomini tra loro. Il vescovo Melitone della città di Sardi in Asia minore, stimato dal popolo come pastore carismatico, alla fi ne del II secolo dopo Cristo, propose alla sua gente una elegante e sostanziosa omelia sulla Pasqua, l’unica a noi pervenuta. Melitone vedeva nel mistero del Cristo risorto un passaggio dinamico: dalla schiavitù alla libertà, dalla tristezza alla gioia, dal lutto alla festa, dalle tenebre alla luce, dalla schiavitù alla redenzione, con questa dinamicità il credente può dire e dare lode a Dio. Pasqua, dunque, è rinnovare la fi ducia vitale nel Dio trinitario è affermare senza paura, ma con orgoglio e onore che vale la pena vivere come Cristo da risorti; la vita che il Vangelo ci propone è rinnovata e per questo buona e bella. Pasqua è la positività di Dio che entra nelle case degli uomini: libertà, gioia, festa, luce, redenzione come un unico canto di vita, è la vita del Dio amore che fi orisce nel mondo degli uomini.

di Alberto Zaza d’Aulisio

L’incontro di Papa Francesco con i carcerati di Rebibbia, nel segno delle opere di misericordia, apre uno spaccato di ri-

fl essione esegetica e storica che attinge alle sacre scritture ed al vissuto della Chiesa. La codifi cazione delle opere di misericordia ce la offre Matteo quando parla del giudizio universale. “Allora il re dirà a colo-ro che sono alla sua destra: ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, sono stato forestiero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, sono stato malato e mi avete visitato, sono stato in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 31-36). Papa Francesco, nel solco di una tradizione che parte da lontano, ravvivata dai suoi immedia-ti predecessori, ha fatto riecheggiare, attraverso il Vangelo di Matteo, l’invocazione di Gesù che richiama le parole del profeta minore Osea: “Poiché io voglio amore, non sacrifi cio, conoscenza di Dio, non olocausti” (Libro di Osea 6,6). “Voglio misericordia e non sacrifi cio. Non sono venuto, infatti, a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13), e Papa Francesco è andato a trovare i detenuti di Rebibbia offrendo la sua presenza e la sua parola consolatrici così come aveva fatto incontrando i detenuti di Pog-gioreale: “L’amore di Gesù per ciascuno di noi è sorgente di con-solazione e di speranza. È una certezza fondamentale per noi: niente potrà mai separarci dall’amore di Dio! Neanche le sbarre di un carcere. L’unica cosa che ci può separare da Lui è il nostro peccato; ma se lo riconosciamo e lo confessiamo con pentimento sincero, proprio quel peccato diventa luogo di incontro con Lui, perché Lui è misericordioso”.

Le opere di Misericordia

Visitare i carceratiEpocale fu la visita di Giovanni XXIII ai carcerati di Regina Coeli il 26 dicembre 1958. “Può capitare che si può infrangere la legge anche se le intenzioni non sono cattive. Ma se si sbaglia si sconta” – aveva detto ai detenuti accalcati sui diversi piani della rotonda – “e noi dobbiamo offrire al Signore i nostri sacri-fi ci”. Prima di Giovanni XXIII, Pio IX era stato l’ultimo Papa in visita ai detenuti: prima dell’annessione di Roma al Regno d’I-talia si era incontrato con quelli politici nelle prigioni capitoline; il 26 ottobre 1868 con i reclusi nel bagno penale di Civitavec-chia. In precedenza Innocenzo X (1650) e Clemente XI (1704), si erano recati sui cantieri delle Carceri Nuove di Via Giulia e del correzionale di S.Michele a Porta Portese. Ultimati i lavori vi tornarono per incontrarsi con i carcerati. Leone XII aveva visitato le Carceri Nuove di Via Giulia (1824) ed il carcere Mi-norile di Via del Gonfalone (1827). Dalla breccia di Porta Pia la tradizione si interruppe. L’attenzione pastorale per i carcerati fu riaccesa da Pio XII col radiomessaggio rivolto a tutti i dete-nuti del mondo (Natale 1951): “Noi, consapevoli della fragilità e della debolezza incommensurabile, che spesso fi acca a morte l’animo umano, comprendiamo il triste dramma che può avervi sorpresi e coinvolti, per un concorso sventurato di circostanze, non sempre imputabili al vostro libero volere. E come nel Cielo si fa più festa per un peccatore che si converte, così sulla terra ogni uomo onesto deve inchinarsi dinanzi a colui, che già ca-duto, forse in un istante di smarrimento, sa poi penosamente redimersi e risorgere”.E col Cristo Redentore risorge l’uomo nuovo.

Di fi anco:Papa Giovanni XXIII al Regina Coeli

In basso:Papa Francesco a Rebibbia

9il poliedroAprile 2017 Anno 2- n. 4 Cultura

di Luisa Palazzo

“L’arte, oltre a essere un testimone credi-

bile della bellezza del crea-to, è anche uno strumento di evangelizzazione. Nella Chiesa esiste soprattutto per evangelizzare: attraverso l’arte – la musica, l’architet-tura, la scultura, la pittura – la Chiesa spiega, interpre-ta la rivelazione. Guardiamo la Cappella Sistina: cosa ha fatto Michelangelo? Un la-voro di evangelizzazione. Così le cattedrali medievali: il catechismo era nelle scul-ture di pietra, la gente non sapeva leggere ma osserva-va le sculture e imparava. La Chiesa ha sempre usato l’arte per dimostrare la me-raviglia della creazione di Dio e della dignità dell’uomo creato a sua immagine e so-miglianza, così come il pote-re della morte, e la bellezza della risurrezione di Cristo che porta la rinascita in un mondo affl itto dal peccato. La bellezza ci unisce e, come ha detto anche san Giovanni Paolo II, citando Dostoevskij ci salverà. Seguire Cristo non è solo una cosa vera ma anche bella, capace di riem-pire la vita di gioia, perfi no nelle diffi coltà di tutti i gior-ni. In questo senso la bellez-za rappresenta una via per

La mostra “Homo Crucis” a Capodrise

incontrare il Signore” (Papa Francesco). Sostenuti da questa certezza, la Comuni-tà Parrocchiale di Capodri-se, guidata dal Parroco don Giuseppe Di Bernardo, ha promosso e ospitato nella settimana di Passione, dal 1 al 7 aprile, una mostra dal titolo “Homo Crucis. Simboli ed interpretazioni”. Essa è stata curata dall’Associazio-ne culturale Horus, diretta dalla scrivente.Homo Crucis ha inteso rap-presentare l’io dei 15 inter-preti magistrali, degli arti-sti locali che hanno messo a nudo la propria interiorità, senza avvalersi di un regi-stro compositivo, con un lin-guaggio di getto e di perce-zione.Un excursus di emozioni e di sensazioni, nonché di sommovimenti spirituali di

comune immediatezza e ri-cevibilità. Homo Crucis è stata un’importante indagi-ne sul tema della crocifi ssio-ne nell’ambito dell’arte.L’iconografi a della crocifi s-sione, attraverso le opere degli artisti in esposizione, secondo un’identità in tra-sversale, ha mostrato una varietà di sistemi di inter-pretazione, attribuiti alla sofferenza e alla morte di Cristo e alla promessa di salvezza per gli uomini. Le opere, visitate da gran nu-mero di pubblico, soprattut-to scolaresche, hanno costi-tuito un importante registro documentario, in quanto il simbolo della croce e la rap-presentazione del racconto evangelico della crocifi ssio-ne, hanno avuto da sempre un rilievo assoluto nell’ico-nografi a del cristianesimo.

Il lavoro di ricerca “Nuove parrocchie o parrocchia

nuova? Ipotesi di modelli educativi e adeguate for-me istituzionali per ri-di-re il Vangelo”, del professor Andrea Russo, docente di Re-ligione al Liceo Statale delle Scienze Umane “Don Gnoc-chi” di Maddaloni e assistente universitario alla cattedra di Teologia della prassi parroc-chiale presso la Facoltà Teolo-gica di Napoli, parte da questa prospettiva: la necessità di un differente modo di proporsi da parte della parrocchia.Non dunque nuove parrocchie per far fronte ai “segni dei tempi”, ma fondamentalmen-te una parrocchia “nuova”.Un approccio culturale ai pro-blemi, o una rinnovata incar-nazione da parte delle parroc-chie, non comporta certo che queste debbano trasformarsi in tanti centri di studio. Vuol dire semplicemente che la lin-fa spirituale di una comuni-

IL LIBROtà cristiana deve proporsi di raggiungere tutti gli ambiti dell’umano. Il ripensamento della parroc-chia esige uno sforzo di appro-fondimento delle questioni e di confronto con la realtà. Si tratta di attivare un percorso che renda concretamente vi-sibile un’intenzione che sta a cuore di molti, cioè la necessi-tà, in questo tempo di cambia-mento, di elaborare e provare scelte non scontate, ma “pen-sate” in un contesto inedito e in continua evoluzione, anche per una realtà, come la parroc-chia. In particolare si tenta di ri-spondere alle seguenti solle-citazioni: quale visibilità de-vono avere le parrocchie nel contesto sociale della città odierna, multietnica e multi-religiosa? Quali relazioni l’edi-fi cio ecclesiale (spazio cultuale e centro parrocchiale) deve innescare rispetto all’intorno urbano? Quale deve essere il ruolo dell’edifi cio di culto cristiano all’interno di una società multietnica e multire-ligiosa? L’autore è dell’avvi-so che è necessario ripensare la parrocchia anche a partire dall’edifi co: un edifi cio che non miri a difendersi da un conte-sto frammentato e insidioso, ma che si apra sempre più alla città, condividendone le espe-rienze del vissuto quotidiano.

A. Russo, Nuove Par-rocchie o Parrocchia nuova?2016

Capodrise: don G. Di Bernardo con l’Associazione Culturale Horus

10 Aprile 2017 Anno 2- n. 4il poliedro Giovani

di Rosanna De Lucia

“Oggi l’umanità ha bi-sogno di uomini e di

donne, e in modo particolare di giovani come voi, che non vogliono vivere la propria vita

Via Crucis Giovani

Sulla Via dell’Amore

“a metà”. Giovani pronti a spendersi nel servizio gratui-to ai fratelli più poveri e più deboli, a imitazione di Cristo, che ha donato tutto sé stes-so per la nostra salvezza. Di fronte al male, alla sofferen-za, al peccato, l’unica risposta possibile per il discepolo di

Gesù è il dono di sé. Questa sera, cari giovani, il Signore vi rinnova l’invito a diventare protagonisti nel servizio, per essere segno del suo amore misericordioso per il nostro tempo! Per compiere questa missione, Egli vi indica la via dell’impegno e del sacrifi -cio di voi stessi: la Via della croce”. Parole controcorrente, in una società individualista, che allontana la sofferenza e dimentica il dolore; che rifi u-ta, opprime, schiaccia chi è debole, costringendolo a vive-re nell’emarginazione e nella solitudine. Parole forti che, ascoltate con fede e ragione, spaventano. Parole che non lasciano spazio a interpreta-zioni, dubbi o fraintendimen-

ti sull’agire del vero Cristia-no. Queste parole, rivolte da Papa Francesco ai giovani del mondo intero, in occasione della Giornata Mondiale del-la Gioventù di Cracovia, sono diventate, venerdì 7 aprile scorso, le nostre parole. Pro-nunciate dal Vescovo Giovan-

ni, per accogliere il fi ume di giovani accorsi, hanno dato inizio e vigore alla Via Crucis diocesana “Sulla via dell’amo-re”, che per quasi tre ore ha irrigato le strade della nostra città di Caserta, terra fertile, ma tanto bisognosa d’acqua. La via crucis, organizzata dal servizio diocesano per la Pastorale Giovanile, in colla-borazione con i tanti e mera-vigliosi carismi della Chiesa casertana, ha meditato sulle quattordici opere di miseri-cordia corporale e spirituale, “cuore” della nostra fede, con-cretezza della nostra religio-ne.Le quattordici stazioni sono state preparate ed allestite in modo da toccare i luoghi in cui la sofferenza fi sica e spiri-tuale diventa grande e, non di rado, sfocia nella disperazio-ne. Iniziata dalla chiesa del Santissimo nome di Maria in Puccianiello, la via della croce ha attraversato le strade che circondano il grande Ospeda-le di Caserta, dove decine di pazienti hanno pregato, o solo osservato, affacciati dalle fi -nestre delle loro stanze, e si è conclusa al cimitero. Ogni stazione legata ad un’opera di misericordia. Ogni opera di misericordia accompagnata da una testimonianza di vita vissuta, vera e raccontata a tutti, di pianto trasformato in riso, di amore disinteressato e più che ricompensato. Ogni testimonianza seguita dalla lettura e dalla meditazione della Parola, che illumina e dà vita. E poi la preghiera di invocazione, perché da soli, senza l’aiuto di Dio, nulla

possiamo. Così pregando, ab-biamo camminato, Vescovo, sacerdoti e giovani, tutti se-guendo la Croce, “simbolo di vittoria”. Camminato e can-

di un giorno ormai al termine, con il cuore grato e gli occhi al cielo, la preghiera fi nale è del Vescovo per tutti noi. La Via della croce è l’unica che

tato. Con le chitarre, i cemba-li, il bongo e le voci di tutti i presenti che intonavano all’u-nisono. Quel canto, di pre-ghiera e di festa, insieme ai fl ambeaux accesi, dava luce al fi ume che incedeva deciso, anche nel buio; anche verso i luoghi di sofferenza e di mor-te, perché consapevole che non è lei, la morte, ad avere l’ultima parola. Giunti al ci-mitero, nel silenzio surreale

sconfi gge il peccato, il male e la morte, perché sfocia nella luce radiosa della risurrezio-ne di Cristo, aprendo gli oriz-zonti della vita nuova e piena. È la Via della speranza e del futuro. Chi la percorre con ge-nerosità e con fede, dona spe-ranza al futuro e all’umanità. “Attraverso la morte passia-mo alla vita: Gesù è il Signore e il Signore è Resurrezione”. Noi crediamo!

di Giuseppe Di Bernardo

La devozione al Volto sofferente di Gesù Crocifi sso, resta di primaria importanza

e di eccezionale valore per i cristiani che vo-gliano imparare a donarsi, nel sacrifi cio di se stessi, ai fratelli più bisognosi e sofferen-ti, nei quali rivive il Volto doloroso di Cristo. Uno degli errori più devastanti della fede ai nostri giorni è certamente l’errore teologico e sociologico di quei tali che hanno neutra-lizzato il valore della Croce esautorandone ogni potere per la salvezza degli uomini. Eppure si dovrebbe ben sapere che Gesù attira e attirerà tutti a sé proprio dalla Cro-ce e sulla Croce, come Egli disse espressa-mente ai discepoli: «Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32); e per questo la Croce è la chiave di volta dell’uni-verso che in Cristo e per Cristo si trasfi gura nella salvezza dell’umanità per la somma ed eterna gloria di Dio Uno e Trino. La Cro-ce è sempre fi ssa, mentre il globo continua

Giacomino, in Cristocrocifi sso e risorto!

a girare, dice un’antica scritta sul portale di una Certosa: «Stat Crux dum volvitur orbis terrarum». Il Crocifi sso, particolarmente venerato in Marcianise (foto), città di origi-ne del Venerabile Servo di Dio Giacomo Ga-glione, è stato suo compagno inseparabile. Il sofferente a Lui ricorre, sorgente perenne di aiuto e di conforto ai tribolati che a Lui si rivolgono.Un altro dei segni liturgici più espressivi della nostra morte e resurrezione in Cristo Crocifi sso e Risorto, inoltre, è certamente il Cero pasquale. Bello e luminoso, posto sul presbiterio, accanto all’altare, il Cero pa-squale ci parla del mistero della morte di Cristo, consumandosi; ci parla della vita ri-sorta di Cristo, ardendo della fi amma viva e radiosa. Consumarsi e ardere: ecco l’esem-pio virtuoso di Giacomino; tale dovrebbe essere, in effetti, la più vera vita cristiana che si consuma nel sacrifi cio di sé, ardendo perennemente viva per Cristo e con Cristo morto e risorto.

Via Crucis Giovani: Mons. D’Alise con alcuni sacerdoti

Via Crucis Giovani: il corteo

Via Crucis Giovani: un momento della processione

Duomo di Marcianise: il Crocifi sso

11il poliedroAprile 2017 Anno 2- n. 4 Famiglia

di Lina e PasqualeCarpenito

A circa cinque mesi di distanza dalla conclu-

sione del VII Convegno dio-cesano “La gioia dell’amore nella famiglia”, permangono vivi nel cuore e nella mente l’entusiasmo e la gioia di aver vissuto un’autentica esperienza di comunione. Sacerdoti, suore, diaconi e sposi cristiani, tutti insieme abbiamo condiviso le nostre esperienze di vita e di fede, in modo schietto e senza ipocrisie. Ci siamo interro-gati sulla realtà familiare, ognuno contribuendo con la propria prospettiva vocazio-nale. Pur non conoscendoci, fi n dal principio si è perce-pita una grande armonia, perché al centro c’era Cri-sto. Tante le rifl essioni, gli spunti e i temi stimolati dal convegno. Nella nostra esperienza ventennale di sposi cristia-ni e di operatori di pasto-rale familiare, abbiamo ac-compagnato tanti fi danzati nel cammino di preparazio-ne al Sacramento del Matri-monio.Pensiamo che sia ormai tempo di riprogettare que-sti itinerari nell’ottica di un’integrazione della pasto-rale giovanile e pre-matri-moniale. “L’Ordine e il Matrimonio sono ordinati alla salvezza altrui. Se contribuiscono an-che alla salvezza personale, questo avviene attraverso il servizio degli altri. Essi conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servono all’edifi cazione del popolo di Dio” (CCC 1534). Coppie e sacerdoti sono per-tanto chiamati a lavorare in sinergia. Oggi la vera sfi da

Echi del VII Convegnodiocesano sulla famiglia

di Marcello Natale

Oggi viviamo in una realtà in profondo cam-biamento, che provoca nelle persone ed in

particolare nei giovani un senso di insicurezza e di paura, per cui si accetta a priori la possibi-lità del fallimento, si evitano progetti di lunga durata per non rimanere delusi e si ha paura di mettere al mondo dei fi gli per l’incertezza del futuro.Si rimane così legati alle sicurezze del passato della “famiglia chioccia” che accoglie e proteg-ge i fi gli fi no alla maturità: i giovani si sposano in età sempre più adulta, consolidano le pro-prie abitudini, e questo provoca una maggiore diffi coltà nella coppia.I fi danzati, molte volte non credenti o non pra-ticanti, si sposano in chiesa per tradizione o per assecondare i genitori: vivono quel gior-no come attori di una telenovela e tendono a trasformare la celebrazione del matrimonio in uno spettacolo esteriore. Fondamentale dun-que è chiarire il rapporto che esiste tra segno e realtà e che c’è qualcosa oltre la funzione. Proviamo adesso per un attimo a tralasciare le mille diffi coltà e a non considerare le sovra-strutture della cerimonia che congestionano il dato originale, per soffermarci sul senso del matrimonio cristiano e sul rapporto sponsale tra i coniugi. Il sacramento del matrimonio - afferma Amo-ris Laetitia [pr.72] - non è una convenzione sociale, un rito vuoto o il mero segno esterno

Il sacramento del matrimonioaccompagna la vita familiare

di Maria Mazzarella

Quando Dio creò l’uomo e lo pose nell’Eden vide

che si sentiva solo, in quanto non trovava un suo simile, così gli pose accanto la don-na non solo come compagna ma anche come inizio di una famiglia. Il loro amore sarà il simbolo di una famiglia dispo-nibile ad aprire la porta del loro cuore e della loro casa ai bisognosi del prossimo. Essa ha un posto importante nella relazione dell’individuo con l’universale e non solo, ma si

Un dono di Dio all’umanità

di un impegno. Il sacramento è un dono per la santifi cazione e la salvezza degli sposi, per-ché «la loro reciproca appartenenza è la rap-presentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa.L’esortazione apostolica richiama [pr.67] la Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Ecumenico Vaticano II: «Esso ha defi -nito il matrimonio come comunità di vita e di amore, mettendo l’amore al centro della fami-glia».Nella quotidianità gli sposi cristiani rinnove-ranno il “Sì” pronunciato ai piedi dell’altare ogni giorno, in tutte le situazioni concrete, nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia, in ciò che piace e in ciò che piace meno. Essi manifesteranno la loro ade-sione all’annuncio evangelico, e si sforzeranno di incarnarne i valori, rendendo evidente come la vita umana può essere trasformata dall’ade-sione a Cristo.Gli sposi prolungano nel tempo e dilatano nel-lo spazio l’antica alleanza. Ma non è più come fu all’inizio tra Dio ed Israele. Il sacramento non è una “cosa” o una “forza”, perché in realtà Cristo stesso viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Egli rimane con loro, dà loro la forza di seguirlo prendendo su di sé la propria croce, di rialzarsi dopo le loro cadute, di perdonarsi vicendevol-mente, di portare gli uni i pesi degli altri: gli sposi diventano Vangelo vivo.

è incontrare i giovani nelle loro realtà, comprenderne i bisogni, le loro dinamiche, per costruire un rapporto di amicizia e di fi ducia e far assaporare loro la bellezza e la gioia dell’incontro con Gesù. Successivamente si può proporre alle coppie di fi -danzati, che non hanno defi nito ancora la data del matrimonio, dei percorsi formativi in piccoli gruppi, per annunciare il “Vangelo della Famiglia”.Certamente ciò non può essere proposto né in pros-simità della celebrazione sacramentale, quando sono completamente assorbiti dai preparativi della “fe-sta”, né in pochi mesi o in pochi incontri, come avvie-ne attualmente. Un’altra criticità che emer-ge è che troppe volte le gio-vani coppie si allontanano proprio nei momenti crucia-li del loro cammino, quando la relazione potrebbe conso-lidarsi nell’impatto con le prime consistenti diffi coltà della vita di coppia e invece spesso soccombono sotto il peso della fatica e dello sco-raggiamento (separazioni, divorzi…).È un orizzonte nuovo, da perseguire con tenacia e con competenza, questo dell’accompagnamento dei giovani sposi. La speranza è di far fruttifi care il seme con la formazione di gruppi familiari all’interno delle parrocchie. Nell’attesa di rincontrarci al prossimo Convegno sulla fa-miglia, che si svolgerà dal 12 al 15 ottobre 2017, affi diamo alla protezione della Vergine Maria e di San Giuseppe tut-te le coppie della Diocesi di Caserta.

può vedere un primo livello di intersoggettività tra l’io e il tu che si incontrano. La fami-glia è naturale e fa parte degli attributi originari dell’uomo, così diventa un punto di inizio per la società civile. Metafori-camente dovrebbe essere un terreno (giardino) fertile dove le piantine vengono coltivate e curate per l’avvenire di un po-polo e al contempo dello Stato.Oggi, possiamo notare che la famiglia naturale va scompa-rendo, non solo perché molte coppie non riescono a farsi ca-rico delle situazioni di diffi col-

tà economica, ma anche con il Referendum abrogativo del 1974 meglio conosciuto come Referendum sul divorzio. In quanto prima cellula della so-cietà dovrebbe essere aperta all’accoglienza, in primis nei confronti della famiglia natu-rale e in secondis verso l’altro. Secondo la visione hegeliana la vera famiglia non dura ge-nerazioni, ma nasce e muore di generazione in generazione perché è connessa all’evolu-zione storica. Nel nostro tem-po possiamo notare coniugi che non desiderano avere fi gli

o ne fanno sempre meno per-ché è diffi cile la gestione della famiglia dato che la donna è proiettata sempre più verso la sua realizzazione lavorativa o carriera e ha meno tempo per la responsabilità della casa, così è costretta a scegliere tra la famiglia e il lavoro; inoltre è probabile che a collaborare a tale decisione sia anche il datore di lavoro che la licenzi perché sarebbe in parte one-roso per lui dato che dovrebbe sostenere permessi e materni-tà che preferisce evitare.Noi sappiamo che negli ultimi

anni la popolazione italiana è cresciuta per l’arrivo di nume-rosi migranti e non per le na-scite. La società è destinata a essere senza speranza se non tutela il lavoro femminile e adotti misure a sostegno del-la famiglia moderna in cui sia marito che moglie lavorano (l’articolo 29 della Costituzio-ne Italiana defi nisce i principi di uguaglianza tra i coniugi), per poter continuare a credere in un futuro sereno.Essa è un progetto di Dio, è un dono di Dio all’umanità e spetta alla stessa umanità realizzarla.

Papa Francesco con una famiglia

Il nuovo volto della Famiglia

12 Aprile 2017 Anno 2- n. 4il poliedro 8xmille

di Gianni Vella

La costruzione del nuovo complesso parrocchiale, che comprende la chiesa con annessi i locali per le attività

pastorali, è in dirittura di arrivo. Fra pochi mesi avremo fi nalmente la gioia di inaugurarlo. È da tanto tempo che la nostra Parrocchia attende la realizzazione di un edifi cio che possa soddisfare le richieste e i bisogni di una comunità così numerosa come la nostra.Tutto cominciò nel 1996, quando venne presentata la ri-chiesta di poter costruire una nuova chiesa a S. Giuliano. Nel 2001 organizzammo un concorso di idee, che coinvolse diversi architetti della zona fra i quali venne, poi, scelto il nuovo progetto da realizzare. Cominciammo con tanto en-tusiasmo che venne, però, messo a dura prova dai lunghi tempi di attesa, dalle diffi coltà che si presentavano di volta in volta ma soprattutto dall’interruzione dei lavori appena avviati, nel 2008, a causa di controversie con alcuni confi -nanti.Ma eccoci, dopo oltre 20 anni, ad essere testimoni che il sogno di tanti sta diventando fi nalmente realtà. Il nuovo complesso parrocchiale sarà, certamente, un luogo di aggregazione e di riferimento per una comunità che in questi anni ha sperimentato una vera e propria disgrega-zione causata, a dire di molti, dalla mancanza di spazi ade-guati alle esigenze attuali. Costruendo la propria chiesa-edifi cio la nostra comuni-tà costruisce se stessa come tempio vivo, fatto di persone battezzate che vivono nella carità. Siamo chiamati a con-tinuare l’eredità di fede dei nostri padri che hanno visto nel cristianesimo una dimensione essenziale della vita sia religiosa che civile, al punto che l’edifi cio di culto è sempre stato percepito come il centro di una città e il simbolo che la identifi cava. Non è da sottovalutare, perciò, il fatto che un nuovo complesso parrocchiale è una realtà che svolge, un importante servizio anche alla comunità civile. La pre-senza di un edifi cio sacro nel territorio aumenta la qualità dello spazio urbano e lo arricchisce. Sono certo che, da que-sto punto di vista, assisteremo ad una riqualifi cazione del nostro rione da sempre considerato periferico rispetto alla stessa città di Marcianise.È doveroso ricordare che la costruzione di questo centro parrocchiale è stata resa possibile grazie al fi nanziamento proveniente dai fondi dell’8 per mille che ha contribuito per il 75 per cento del costo complessivo dell’opera. Ai fedeli della Parrocchia S. Giuliano Martire viene chiesto di con-correre economicamente per la parte che rimane a carico della comunità locale e cioè, per il restante 25 per cento. È da questa necessità che è nata la proposta affi nché ogni fa-miglia della Parrocchia sia disponibile a versare una quota mensile per affrontare questo impegno fi nanziario. È fondamentale un’opera di sensibilizzazione e di educazio-ne ai valori della condivisione. Tutti coloro che appartengo-no alla comunità devono sentire il diritto-dovere della cor-responsabilità, condividendo con il Vescovo e con il Parroco il servizio dell’evangelizzazione e della solidarietà in una posizione di protagonismo e di originalità.La nuova Chiesa sarà davvero la casa di tutti se tutti con-tribuiranno a costruirla.

Parrocchia S. Giuliano Martire in Marcianise

Il nuovo complessoparrocchiale

di Andrea Campanile

Da sempre, ci sforziamo nel nostro cammino ecclesiale

di gettare le reti sulla Parola del Signore. In comunione di fede con le comunità apostoli-che, siamo fi duciosi, che il vero tesoro della Chiesa è il nome di Gesù. Questa fede come dono di Dio, «[…] nasce nell’incon-tro con il Dio vivente, che ci chiama e ci svela il suo amo-re, un amore che ci precede e su cui possiamo poggiare per essere saldi e costruire la vita. Trasformati da questo amore riceviamo occhi nuovi, speri-mentiamo che in esso c’è una grande promessa di pienezza e si apre a noi lo sguardo del fu-turo» (PAPA FRANCESCO, Lumen fi dei 4). Abbiamo, dunque, il dovere di non danneggiare la credibilità della Chiesa disin-teressandoci della disponibili-tà delle risorse economiche e di inquadrarne l’utilizzo nell’in-treccio dei valori evangelici perché la Chiesa, che trae vita dallo Spirito del Risorto, sia messa in grado di esercitare la missione ricevuta dal Signore. Questa comunione ecclesiale, in quanto segno e testimo-

nistrazione dei beni è attività pastorale e che è esperienza di comunione” e bisogna atten-dervi con la diligenza di un buon padre di famiglia. Oggi siamo coscienti che, la Chiesa, pur nello stile della sempli-cità e sobrietà, è chiamata a rispondere a molteplici com-piti e che crescono i doveri di partecipazione alle responsa-

di quei criteri fondamentali che presiedono alla gestione e amministrazione dei beni della Chiesa e che richiamano le caratteristiche proprie del-la comunità ecclesiale quali la comunione, partecipazione, corresponsabilità e gratuità, valori che si partecipano ai fe-deli laici che vivono, in modo non solo affettivo ma effettivo,

nianza dell’unità in Cristo di tutti i battezzati e delle sin-gole comunità cristiane, si esprime anche attraverso una diligente e coordinata cura dei beni e dei servizi affi datici, destinati alle opere di carità e all’esercizio del culto. Non è superfl uo, dunque, ricordare il principio secondo cui “l’ammi-

bilità sociali per la diffusione dei principi cristiani. Sappia-mo anche che, bisogna aiuta-re la gente a comprendere e a conoscere, con una sempre più viva coscienza ecclesiale, le crescenti necessità della Chiesa italiana e della nostra in specie. Questo ci muove sempre più, verso la visibilità

in modo convinto ed operoso le loro responsabilità educative nel tessuto ecclesiale non solo in sede di reperimento delle risorse economiche, necessa-rie alla vita della Chiesa, ma anche in quello della loro am-ministrazione, a cui si aggiun-gono i criteri della correttezza e della trasparenza, verso cui è molto sensibile l’ambiente culturale che ci circonda. Sia-mo, dunque, sempre più con-sapevoli, nel nostro impegno missionario e di promozione umana, dell’urgenza di far crescere comunità che siano vere famiglie di credenti per far comprendere le ragioni profonde che motivano la par-tecipazione al sostegno econo-mico nella Chiesa affi nché il nostro impegno profuso nella cura e nella amministrazione di quanto ci viene destinato, assuma una luce nuova.

Comunione, partecipazionee corresponsabilità

Il direttore Uffi cio amministrativo

Mons. Gianni Vella, parroco di

S. Giuliano Martire in Marcianise

Marcianise: La Fontana dei Delfi ni (P.zza Umberto I)

Sopra e in basso a dx: il cantiere del nuovo complesso parrocchialedi S. Giuliano Martire in Marcianise

13il poliedroAprile 2017 Anno 2- n. 4 Sociale

di Ornella Mincione

“Prima di stare qui, tut-to era negativo. Poi,

è scattato il cambiamento, quella volontà di trovare non fuori di noi l’equilibrio e la volontà di vivere, dando onore alla vita stessa”. La visita del vescovo di Caserta

La visita delvescovo D’Aliseal Centro Le Ali

di O. M.

Il tesoro della comunità ri-abilitativa del Centro Le

Ali è all’interno della strut-tura. Una struttura non molto grande, capace però di accogliere comodamente 20 persone. Il tesoro, oltre alla preziosissima chiesa di San Pietro ad Montes, è costitu-ito dalla fortissima volontà di ricominciare che trape-la dagli occhi degli uomini, giovani e adulti, che vivono nella comunità di recupero.

La comunità riabilitativadel Centro Le Ali

Ma non solo dai loro occhi si evince la grande forza di volontà di farcela: a trai-nare tutti è la presidente dell’associazione Centro Le Ali Anna Maria Borghi, che da ben 27 anni non si stan-ca di accompagnare ciascu-no degli ospiti alla propria rinascita. “La motivazione è loro e, una volta iniziato il cammino in comunità, la defi niscono ancora più forte-mente. Attraverso i gruppi di autoaiuto, li aiutiamo ad individuare, ad evidenziare e ad affrontare i propri sensi

di colpa. Quei sensi di colpa che li hanno portati alla di-pendenza, vuoi dalla droga, vuoi dall’alcol o da altro”, spiega Borghi. La comuni-tà, pur essendo di matrice laica, sente molto forte “la presenza della Chiesa, sia attraverso il vescovo di Ca-serta D’Alise sia attraverso l’opera di don Nicola Lom-bardi. La spiritualità in que-sta comunità è un punto di arrivo”, continua ancora la presidente, indaffarata per i preparativi della visita del vescovo, nell’entusiasmo ge-

nerale di tutti gli ospiti del-la struttura che la chiamano per perfezionare gli ultimi dettagli. Nonostante il fer-mento, Alessandro, un ra-gazzo che si trova in comu-nità da 11 mesi, ha il tempo di mostrare i punti forte della comunità: lo spazio dove poter giocare a pallone con i fi gli, quando nel fi ne settimana fanno visita ai propri papà; il grande orto, dove tutti coltivano quelle verdure che poi cucinano e mangiano ad ogni pasto; il

forno, dove viene impastato e infornato il pane di tutti i giorni; il magazzino, dove hanno luogo le riparazioni e la messa in opera dei pro-getti ideati dagli ospiti stes-si. “Non ci fermiamo mai. Siamo sempre in attività. È questo il percorso che ci aiuta a capire che sbaglia-vamo”, racconta Alessandro durante la visita, con gli occhi lucidi di chi vuole re-cuperare tutto ciò che è pos-sibile per rivivere agli occhi del fi glio di quattro anni.

senza mostri, senza incubi, il sonno di chi, in comunità, è già approdato ad una tappa importante del proprio per-corso. Tutti, in occasione del-la visita del 30 marzo scorso di Sua Eccellenza presso la comunità, si sono seduti in cerchio, al centro di quella bellissima chiesa di San Pie-

vivi non è la stessa cosa di vivere. Vivere vuol dire dare senso alla vita, il dono più grande che ho ricevuto”, ha detto ancora il vescovo du-rante il momento di racco-glimento che gli ospiti della comunità hanno vissuto con molto trasporto. Dai più gio-vani ai più anziani, la mag-

glia. Dovete tutelarla. Già venendo qui, avete dimostra-to di volerlo fare. Se non vi foste fermati sarebbe succes-so il peggio”. E poi la parola di conforto sulla presenza e sull’amore di Dio Padre: “An-che Dio soffre: non è un’en-tità immobile o di acciaio, lontano da noi. Dio è Padre e questo vuol dire che è fonte d’amore”. L’apprezzamento all’opera dell’associazione e della comunità è stato molto sentito da parte del vescovo, che spesso, almeno due volte l’anno (ma non solo) si reca nella struttura per far visita ai ragazzi. “Sfruttate bene il dono di essere qui – ha detto ancora Sua Eccellenza, se-duto in cerchio, tra gli ospiti della comunità -. Mettete il cuore in quello che vi chie-dono di fare qui e crescete. Vi si prospetta solo un cam-mino di crescita. Non pensa-te più e non fermatevi alla ‘roba’, perché non vi darà

la vita. Guardate ciò che vi viene proposto solo in modo positivo. La conversione più grande, infatti, è comincia-re a fi darsi e uno dei doni più grandi è l’amicizia. È un dono più grande dell’amore, perché l’amore vuole un ri-torno, l’amicizia per defi ni-zione, è il dare e basta”. Al termine della rifl essione del vescovo, è stata la volta de-gli ospiti della comunità che hanno voluto presentarsi e accennare alla propria sto-ria, ringraziare D’Alise per la sua presenza (offrendogli anche un omaggio, oltre ad un biglietto scritto da loro) e apprezzare ancora di più i percorsi previsti in comuni-tà. Storie importanti, diffi cili e molto emozionanti: tutte raccontate con profonda spi-ritualità da parte di quegli uomini che hanno manife-stato a parole e con i fatti la ferma volontà di uscire dal tunnel della dipendenza.

Giovanni D’Alise è stata vis-suta con molta emozione dai 17 ospiti del Centro Le Ali, della comunità riabilitativa di San Pietro ad Montes. Oc-chi tristi, alternati ad occhi felici, sicuri: gli occhi di chi vive un sonno ormai sereno,

tro ad Montes, curata e ma-nutenuta proprio da quei ra-gazzi, da quegli uomini che cercano di raccogliere pezzi di se stessi e dare “onore alla vita”, proprio come il vescovo ha suggerito durante la sua visita in comunità. “Essere

gioranza di loro hanno fi gli (anche piccoli) che aspettano con ansia un loro ritorno. E proprio a loro D’Alise ha ri-volto un suggerimento spe-cifi co: “Voi avete messo al mondo una cellula forte, una vita: questa è la vostra fami-

Mons. D’Alise con i giovani del Centro nell’Abbazia di S. Pietro ad Montes

Un momento dell’incontro

Mons. D’Alise con don N. Lombardi e la Dott.ssa A. Borghi

14 Aprile 2017 Anno 2- n. 4il poliedro Notizie

di Antonio Grasso

Eh, si, non sono i mo-schettieri del romanzo

di Dumas, ma sono i cinque diaconi (Bologna Ciro, Gras-so Antonio, Lombardi Bru-no, Librera Mario, Tambur-ro Luigi, in verità quattro perché mancava don Bruno Lombardi per ovvi motivi) ordinati quel sette aprile di vent’anni fa, quando per la Chiesa di Caserta si ricon-fermò la validità della stra-da del diaconato. In effetti si trattava di ridare nuova linfa, poiché in Diocesi già vi erano stati due ordinati: don Gioacchino Marchesi e don Giuseppe Papa. Per ri-cordare tale data il collegio dei diaconi, che ormai conta un numero considerevole di ordinati, si è incontrato col proprio Vescovo, Mons. D’Alise, domenica 3 aprile. Infatti il Vescovo, a seguito della richiesta del gruppo che gli faceva presente il desiderio di ricordare tale data, ha invitato tutto il col-legio a vivere questa memo-ria con un ritiro, culminato con la celebrazione eucari-stica in Cattedrale.Dopo un momento di ac-coglienza, partendo da un brano degli Atti, il Vesco-vo ha invitato a rifl ettere, guidando la meditazione su due piste: una prima, su cui sta già battendo e ribaden-do da tempo, che il sacra-mento dell’ordine è unico, pur se con tre diramazioni e ovviamente servizi diversi, perché provengono dall’uni-co Sommo Sacerdote, e una seconda che vede i diaconi impegnati sul fronte del-la carità sia materiale che quali annunciatori della Pa-rola: prassi che, ambedue, si evincevano dal brano propo-sto. In Cattedrale è seguita la celebrazione eucaristica, durante la quale il Pastore ha chiarito all’assemblea il perché della particolare presenza dei diaconi. Al ter-

Il diaconato permanente nella Diocesi di Caserta

Vent’anni dopomine, nel doveroso e sentito indirizzo di saluto che gli è stato rivolto, due cose sono state evidenziate: l’entusia-smo che anima tutto il col-legio nel servire la Chiesa e la consapevolezza che è “il cammino che fa el carre-ro”: è il cammino che stiamo percorrendo che forma man mano la strada da seguire.Non poteva mancare poi un incontro con Mons. Noga-ro, che ha voluto e credu-to in questa nuova realtà. Vedendo lontano , ha visto nel ripristino del diaconato una pista aperta e tutta da percorrere, per rispondere in modo adeguato alle sfi de della realtà contemporanea, e trovando in don Claudio Nutrito un realizzatore en-tusiasta, motivato e san-tamente caparbio nel dare corpo a questa intuizione.La celebrazione eucaristica di ringraziamento si è te-nuta il 10 aprile presso la chiesa del Buon Pastore, che si avvale del servizio di tre diaconi. Il Vescovo emerito ha ribadito la sua forte fi du-cia in questa presenza e la vede, con spirito paterno e profetico, come un segno dei tempi di una Chiesa mini-steriale, non più e non solo all’altare del tempio, ma all’altare della storia e del vissuto quotidiano. Nell’in-dirizzo fi nale di ringrazia-mento Egli, come il Santo Padre, è stato salutato con le parole che Dio pone in bocca al suo profeta “chiamo da lontano l’uomo dei miei disegni” E in realtà a Mons. Nogaro (a cui va la stima e l’affetto di tutto il clero, dal Vescovo, ai presbiteri e ai diaconi, come da parte di tutto il popolo santo di Dio) è stato l’uomo della Provvi-denza che con il coraggio che lo caratterizza, ha ripreso a percorrere una strada ripri-stinata dal Concilio, forte-mente voluta da Lui ,e or-mai entrata nella mentalità del popolo.

di Angela Santonastaso

La movida del sabato sera a Caserta è mol-to variegata. Ragazzi di ogni età escono, si

incontrano per le vie del centro per mangiare una pizza o semplicemente trascorrere la se-rata fuori un bar o un pub della città. Negli ultimi anni, i ristoranti, i pub e i bar a Caser-ta sono moltiplicati, ed è risaputo che per ogni età esiste un luogo dove uscire e frequentare persone. La gran parte dei ragazzi, però, si in-contra soprattutto in Via Ferrante, una strada stretta e lunga che con il tempo si è rivalutata ed è diventata famosa per la crescita incessan-te di locali che attirano ragazzi di ogni età. Sabato 25 Marzo, era una serata qualsiasi, i giovani erano usciti e molti si erano ritrova-ti presso i muretti di piazza Gramsci, meglio conosciuta come la Flora. Da lontano all’im-provviso si presentano un gruppo di suore missionarie venute a Caserta e ospitate dalla Parrocchia di S. Antonio, con in mano chitarre e leggii che iniziano a cantare e ballare atti-rando l’attenzione di molti giovani, per lo più adolescenti. Cosa avranno pensato questi giovani è facile da intuire però nonostante i loro pensieri, le loro risate anche scettiche, non hanno esitato per curiosità, gioco, o per una invisibile e nascosta Fede ad essere trascinati dal carisma delle suo-re. E così tra una risata e un’altra si è formato un cerchio che man mano attirava altri passan-ti di ogni età. Non erano più le suore a decidere cosa cantare ma gli stessi giovani, anzi qualcu-no ha esordito dicendo “quando andavo a messa mi piaceva questo brano…”; e attraverso questo fi nto karaoke i ragazzi hanno ricordato il loro passato, si sono messi in gioco ballando, can-

Parrocchia S. Antonio in CasertaLe suore missionariein mezzo ai giovani della città

tando ma soprattutto hanno provato gioia sen-za ancorarsi a sostanze che incatenano dando loro una fi nta euforia. Il messaggio delle suore è stato molto chiaro: hanno scelto questa piazza perché ormai, da anni, è un luogo dove tran-quillamente, senza alcun controllo, si può “fu-mare” una gioia illusoria che non ti dà niente. Al termine, le suore hanno raccontato la loro esperienza: qualcuno le ascoltava, altri erano distratti, ma la loro presenza è stata un fulmine a ciel sereno; hanno dimostrato che solo osando, solo avendo il coraggio di creare scompiglio in realtà particolari come quelle del sabato sera alla Flora, si può arrivare ad ognuno, si può provare almeno a cambiare le cose. Di certo, non si può pensare che i ragazzi dopo sabato, si siano convertiti ma sicuramente quelli presen-ti si ricorderanno sempre di questa improvvisa pazzia di cinque donne con il velo che li hanno fatti cantare e ballare a suon di dolci melodie dedicate a Gesù.

di Ornella Mincione

Manca ormai pochissimo all’attesissimo pellegri-

naggio bambini dell’Unitalsi. Come tutti gli anni, anche in questa edizione 2017, parte-ciperà la sottosezione di Ca-serta, presieduta da Renato Iaselli. Partenza fi ssata il 26 aprile (il 27 per chi sceglie di viaggiare in aereo), per torna-re poi in Campania il 2 mag-gio (il giorno prima invece per chi è in modalità ‘fl y’). È forse il pellegrinaggio più at-teso per tutte le dame e i ba-rellieri dell’Unitalsi, perché è quello che apre la vasta sta-gione unitalsiana di accom-pagnamento degli ammalati a Lourdes e in altri santuari mariani.Ma il treno Bianco dei picco-li fi gli di Nostra Signora di Lourdes è quello che di fatto anima l’intero paesino fran-cese, quasi a voler adibire a

Il pellegrinaggiobambini dell’Unitalsi

festa per tutte le migliaia di pellegrini che nelle settimane e nei mesi a venire si reche-ranno per pregare e portare la loro fede alla Madonna. Il treno, che sebbene ci sia la possibilità di viaggiare in aereo, resta il mezzo che emotivamente risulta più vi-cino allo spirito dei pellegrini, partirà quest’anno da Napoli

il 26 aprile per poi fare tappa nelle varie stazioni campane a raccogliere tutti i fedele, i fratelli e le sorelle pronti con valigie e rosari alla mano, oltre a giochi, festoni, colori, dolci, caramelle e tutto ciò che serve per preparare e vi-vere una festa che durerà otto giorni. Per la sottosezione di Caserta, poi, i pellegrinaggi successivi previsti sono quello di luglio (dal 26 al primo ago-sto), quello di settembre, dal 30 agosto al cinque settem-bre: resta da defi nire, poi, il pellegrinaggio nazionale che solitamente cade alla fi ne del mese di settembre.

Cattedrale: Mons. D’Alise con i Diaconi Permanenti

Caserta, P.zza Cattaneo: un momento di animazione delle Suore missionarie

Unitalsi: le dame con i bambini a Lourdes

15il poliedroAprile 2017 Anno 2- n. 4 Agenda

11 maggio 2017ore 18:00 – Sala della Biblioteca Diocesana: il Vescovo incontra le mogli dei Diaconi Permanenti della Diocesi

16 maggio 2017ore 9:30 – Sala della Biblioteca Diocesana: Ritiro del Clero

20 maggio 2017ore 20:00 – Piazza Duomo: Fe-sta delle Aggregazioni Laicali “La Gioia dell’Amore … Essere Amore”

2 maggio 2017La Conferenza Episcopale Campana sarà in visita a Caserta.ore 18:00 – Cattedrale: Con-celebrazione Eucaristica dei Vescovi della Campania, dei Sacerdoti e Diaconi Permanenti della Diocesi, degli operatori pa-storali e di tutto il popolo di Dio

8 maggio 2017ore 11:30 – Santuario San Michele in Maddaloni (CE): Celebrazione Eucaristica e Supplica alla B.V. di Pompei

Dal 22 al 25 maggioRoma: il Vescovo partecipa ai lavori dell’Assemblea Generale dei Vescovi Italiani – CEI

26 maggio 2017ore 19:00 – Cattedrale: Celebra-zione Eucaristica del Vescovo per gli Oratori della Diocesi in occasione della memoria di San Filippo Neri

31 maggio 2017ore 17:00 – Chiusura diocesana del mese Mariano a Casertavecchia: Raduno presso Cappella di San Rocco, processione fi no al Duomo e Concelebrazione Eucaristica

Agendadel Vescovo Maggio

Si ricorda che il calendario delle udienze del Vescovo dovrebbe essere preferibilmente, il seguente: Lunedì per i sacerdoti - Mercoledì per gli Uffi ci di Curia - Venerdì per i laici

Direttore ResponsabileLuigi Nunziante

Direzione - RedazioneAmministrazioneCaserta, Piazza Duomo, 11Tel. e Fax 0823 448014 (int. 70)e-mail: [email protected]

EditriceDiocesi di Caserta

StampaDepigraf s.n.c.Caserta, Via Cifarelli, 14

Si ringrazia per la realizzazione di questo numero:Mons. Giovanni D’AlisePaola BroccoliAndrea CampanileLina e Pasquale CarpenitoFrancesco CatrameRosanna De LuciaGiuseppe Di BernardoAntonello GiannottiAntonio GrassoMimmo IannascoliAntonio IzzoMario IzzoMaria MazzarellaOrnella MincioneMarcello NataleLuisa PalazzoGian Maria PiccinelliAngela SantonastasoGianni VellaAlberto Zaza d’Aulisio

Reg. Trib.S. Maria C.V.

n. 839, 28/09/2015

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Periodico della Diocesi di Caserta