PERCHÉ IL MEDIOEVO - cisam.org · Mi sono occupato della presenza del medioevo nella cultura diff...

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Qualcuno ha definito la politica di Bossi, nei giorni scorsi, come medievale, volendo così bollarla di un se- gno negativo. Mi sono sentito offeso, come cittadino prima ancora che come studioso, per tutto ciò che il Medioevo è stato e ancora oggi rappresenta (non è ancora oggi il nostro paesaggio architettonico un pa- esaggio soprattutto medievale? Non ammiriamo san Benedetto e san Francesco? Non ricordiamo alme- no qualche verso di Dante?). Si deve invece dire che l’equiparazione di Medioevo a barbarie, ad arretratezza, a oscurantismo è storicamente sbagliata e storiografi- camente impropria. È grande la civiltà classica, cioè la civiltà pagana? Lo è certamente per i suoi pensatori, la sua letteratura, il suo diritto, ma grandi sono stati anche i suoi limiti, pari alla grandezza. Si pensi all’isolamento e alla condanna di Socrate, indice di una svalutazione totale della persona, di fronte alla morale della città, e alla schiavitù che deriva. E così è grande il Medioevo, pur con tutti i suoi limiti, e grande ogni epoca e insie- me terribilmente limitata. Ci si deve allora chiedere da dove derivi l’idea di un Medioevo oscuro e barbari- co. Questa concezione viene certamente dal giudizio dell’Umanesimo, che ha creduto di fare leva sui limiti medievali per affermare la propria identità. L’Umane- simo ha affermato un certo naturalismo contro il so- prannaturalismo medievale, ha affidato alla filologia il compito di indagare ogni scibile; ha visto l’uomo come capace, pur non negando la fede cristiana, di regolare la sua vita e la sua storia, capace autonomamente di stabilire la morale e di determinare la politica. L’altro evento che ha dato origine all’epoca moderna è stata la riforma di Lutero, la scissione nella tradizione cristiana, la condanna di Roma e del papato. SEGUE A PAG 3... ANNO 01 | N. 02 semestrale | OTTOBRE 2010 m Q il medievist a GIUSEPPE SERGI Il CISAM può curare le malattie della storia? Mi sono occupato della presenza del medioevo nella cultura diffusa contemporanea in un libro recente (Antidoti all’abuso della storia. Medioevo, medievisti, smentite, Napoli, Liguori, 2010). Riadattando al presente vari saggi dagli anni Settanta a oggi, ho constatato che la qualità del ‘medioevo condiviso’ è purtroppo, nell’ultimo decennio, peggiorata... A PAG 2... PERCHÉ IL MEDIOEVO IL MEDIOEVO È UN’ETÀ CHE SEMBRA CORRISPONDERE A QUALSIASI DOMANDA di ENRICO MENESTÒ IL MEDIOEVO? COMINCIA NEL DUEMILA. CLAUDIO LEONARDI VERSO IL VERDETTO PER LA CANDIDATURA UNESCO A PAG 3 A NOVEMBRE IL CISAM È A UMBRIALIBRI A PAG 8 LEGGERE E SCRIVERE NELL’ALTOMEDIOEVO A PAG 8 APPUNTAMENTI DEL CISAM NEWS «Il Medioevo inventa tutte le cose con cui ancora stiamo facendo i conti, le banche e la cambiale, l’or- ganizzazione del latifondo, la struttura dell’amministrazione e della politica comunale, la lotta di classe e il pau- perismo, la diatriba tra Stato e Chiesa, l’università, il terrorismo mistico, il processo indiziario, l’ospedale e il ve- scovado, persino l’organizzazione tu- ristica... compresa la guida Michelin» (U. Eco). Se dunque il Medioevo è la «nostra infanzia» (J. Le Goff), è oggi fin troppo facile riferirsi e aspirare ad essa, trasfigurandola e sognandola, pur nella consapevolezza dei vari giudizi – spie di ansie e tormenti delle diverse generazioni storiografiche – che via via, dall’Umanesimo ai nostri giorni, sono stati proposti sull’età di mezzo. Superata l’idea di un Medioevo età delle tenebre, si è presto scoperto un Medioevo età della luce: e la barbarie dei secoli bui si è così trasformata in una tensione verso la libertà indivi- duale prima che collettiva. Tutti inseguiamo l’idea del Medioevo come specchio e alibi del tempo presente Ben oltre i limiti o le mistiche metafore dei romantici, si assi- ste oggi a un imponente revival del Medioevo: letteratura, teatro e musica, ma anche e soprattut- to cinema, televisione, fumetti e videogiochi continuano, infatti, a riproporre un’età che diviene una figura dai cento volti, che si impone nel presente e si proietta nel futuro. È sotto gli occhi di tutti quanto costante e approfondita sia or- mai l’informazione sulla storio- grafia medievistica che offrono i più grandi quotidiani italiani. Ciò vuol dire che alcuni tra i più acuti studiosi di quella storia ritengono doveroso informare i lettori sui risultati più significa- tivi della medievistica, non solo perché molti sembrano inseguire l’idea di riconoscersi nel Medio- evo, specchio e alibi del tempo presente. Il panorama delle cul- ture attuali è dunque sempre più intriso di Medioevo. Ma quale Medioevo? La domanda è certa- mente legittima, se si pensa che accanto ad un cosiddetto Me- dioevo rozzo, incolto, culla delle corrusche origini germaniche vive ed opera un Medioevo di SEGUE A PAG 2... LA 59° SETTIMANA DI STUDI OFFERTA SPECIALE PER ACQUISTI ON-LINE WWW.CISAM.ORG ITALIA LANGOBARDORUM

Transcript of PERCHÉ IL MEDIOEVO - cisam.org · Mi sono occupato della presenza del medioevo nella cultura diff...

Qualcuno ha defi nito la politica di Bossi, nei giorni

scorsi, come medievale, volendo così bollarla di un se-

gno negativo. Mi sono sentito off eso, come cittadino

prima ancora che come studioso, per tutto ciò che il

Medioevo è stato e ancora oggi rappresenta (non è

ancora oggi il nostro paesaggio architettonico un pa-

esaggio soprattutto medievale? Non ammiriamo san

Benedetto e san Francesco? Non ricordiamo alme-

no qualche verso di Dante?). Si deve invece dire che

l’equiparazione di Medioevo a barbarie, ad arretratezza,

a oscurantismo è storicamente sbagliata e storiografi -

camente impropria. È grande la civiltà classica, cioè la

civiltà pagana? Lo è certamente per i suoi pensatori, la

sua letteratura, il suo diritto, ma grandi sono stati anche

i suoi limiti, pari alla grandezza. Si pensi all’isolamento

e alla condanna di Socrate, indice di una svalutazione

totale della persona, di fronte alla morale della città, e

alla schiavitù che deriva. E così è grande il Medioevo,

pur con tutti i suoi limiti, e grande ogni epoca e insie-

me terribilmente limitata. Ci si deve allora chiedere da

dove derivi l’idea di un Medioevo oscuro e barbari-

co. Questa concezione viene certamente dal giudizio

dell’Umanesimo, che ha creduto di fare leva sui limiti

medievali per aff ermare la propria identità. L’Umane-

simo ha aff ermato un certo naturalismo contro il so-

prannaturalismo medievale, ha affi dato alla fi lologia il

compito di indagare ogni scibile; ha visto l’uomo come

capace, pur non negando la fede cristiana, di regolare

la sua vita e la sua storia, capace autonomamente di

stabilire la morale e di determinare la politica. L’altro

evento che ha dato origine all’epoca moderna è stata la

riforma di Lutero, la scissione nella tradizione cristiana,

la condanna di Roma e del papato. SEGUE A PAG 3...

ANNO 01 | N. 02 semestrale | OTTOBRE 2010

mQ

il medievista

GIUSEPPE SERGI

Il CISAM può curare

le malattie della storia?Mi sono occupato della presenza del medioevo nella cultura diff usa contemporanea in un libro recente (Antidoti all’abuso

della storia. Medioevo, medievisti, smentite, Napoli, Liguori, 2010). Riadattando al presente vari saggi dagli anni Settanta a oggi, ho

constatato che la qualità del ‘medioevo condiviso’ è purtroppo, nell’ultimo decennio, peggiorata... A PAG 2...

PERCHÉ IL MEDIOEVOIL MEDIOEVO È UN’ETÀ CHE SEMBRA CORRISPONDERE A QUALSIASI DOMANDAdi ENRICO MENESTÒ

IL MEDIOEVO? COMINCIA NEL DUEMILA.CLAUDIO LEONARDI

VERSO IL VERDETTOPER LA CANDIDATURAUNESCO A PAG 3

A NOVEMBRE IL CISAM È A UMBRIALIBRI A PAG 8

LEGGERE E SCRIVERENELL’ALTOMEDIOEVO A PAG 8

APPUNTAMENTI DEL CISAM

NEWS

«Il Medioevo inventa tutte le cose

con cui ancora stiamo facendo i

conti, le banche e la cambiale, l’or-

ganizzazione del latifondo, la struttura

dell’amministrazione e della politica

comunale, la lotta di classe e il pau-

perismo, la diatriba tra Stato e Chiesa,

l’università, il terrorismo mistico, il

processo indiziario, l’ospedale e il ve-

scovado, persino l’organizzazione tu-

ristica... compresa la guida Michelin»

(U. Eco). Se dunque il Medioevo è la

«nostra infanzia» (J. Le Goff ), è oggi

fi n troppo facile riferirsi e aspirare ad

essa, trasfi gurandola e sognandola, pur

nella consapevolezza dei vari giudizi

– spie di ansie e tormenti delle diverse

generazioni storiografi che – che via

via, dall’Umanesimo ai nostri giorni,

sono stati proposti sull’età di mezzo.

Superata l’idea di un Medioevo età

delle tenebre, si è presto scoperto un

Medioevo età della luce: e la barbarie

dei secoli bui si è così trasformata in

una tensione verso la libertà indivi-

duale prima che collettiva.

Tutti inseguiamo

l’idea del Medioevo

come specchio e alibi

del tempo presente

Ben oltre i limiti o le mistiche

metafore dei romantici, si assi-

ste oggi a un imponente revival

del Medioevo: letteratura, teatro

e musica, ma anche e soprattut-

to cinema, televisione, fumetti e

videogiochi continuano, infatti,

a riproporre un’età che diviene

una fi gura dai cento volti, che si

impone nel presente e si proietta

nel futuro.

È sotto gli occhi di tutti quanto

costante e approfondita sia or-

mai l’informazione sulla storio-

grafi a medievistica che off rono

i più grandi quotidiani italiani.

Ciò vuol dire che alcuni tra i

più acuti studiosi di quella storia

ritengono doveroso informare i

lettori sui risultati più signifi ca-

tivi della medievistica, non solo

perché molti sembrano inseguire

l’idea di riconoscersi nel Medio-

evo, specchio e alibi del tempo

presente. Il panorama delle cul-

ture attuali è dunque sempre più

intriso di Medioevo. Ma quale

Medioevo? La domanda è certa-

mente legittima, se si pensa che

accanto ad un cosiddetto Me-

dioevo rozzo, incolto, culla delle

corrusche origini germaniche

vive ed opera un Medioevo di

SEGUE A PAG 2...

LA 59° SETTIMANADI STUDI

OFFERTA SPECIALE PER ACQUISTION-LINEWWW.CISAM.ORG

ITALIA LANGOBARDORUM

altissima e raffi nata cultura; che

ad un Medioevo mistico e devoto

si contrappone un medioevo laico

e profano; che ad un Medioevo

pieno di superstizioni corrisponde

un Medioevo assolutamente razio-

nalista, e ad un Medioevo guer-

riero uno pacifi sta. Sono interessi

ed esigenze particolari a scegliere

e a riproporre oggi uno dei tanti

Medioevi. È proprio in una siff atta

operazione che il Medioevo viene

a costituire un alibi, un alibi che

non di rado si deteriora in equivo-

co. La scoperta del Medioevo – ha

detto qualcuno – è l’approdo ad

un’isola che non esiste, dove l’uo-

mo va a cercare – o rincorrendo i

miti dell’infanzia o per sfuggire dal

tempo attuale – altre dimensioni di

se stesso. Il Medioevo, del resto, è

un’età che sembra corrispondere

sempre a qualsiasi domanda. Per

una società come la nostra che ha

02 | Quale Medioevo

PERCHÉ IL MEDIOEVO

IL MEDIOEVO È IL PASSATO PROSSIMO E L’EREDITÀ ALLA QUALE TUTTI APPARTENIAMO.

fatto del protagonismo uno dei prin-

cipali punti di riferimento, la fi gura

del cavaliere medievale – ad esempio

– è un modello pieno di attrattiva e

irresistibile. Ma quel cavaliere, che è

non solo un protagonista ma anche

un emarginato come tanti eroi più o

meno attuali di fi lms western, ha un

codice d’onore, elemento che lo rende

ancora più aff ascinante agli occhi di un

mondo che i codici d’onore ha perdu-

to da un pezzo. Egli ha in sé – come

tutto il Medioevo – una vocazione

interiore intensa e talvolta muta: agire

in nome di un ideale che si rispecchia

nell’immagine di Dio.

L’idea di un Medioevo intriso di re-

ligiosità e di desiderio di Dio, sembra

essere il vestito fatto indossare a viva

forza ad alcune tensioni in realtà attua-

lissime. Lo dimostrano, almeno, l’in-

quietudine e il fascino che esercitano

sulla coscienza moderna le tante im-

magini dell’uomo medievale intento a

misurare le proprie azioni col metro di

un Dio presentissimo e inevitabile.

Si tratta, quasi, della nostalgia di

un’epoca che, persi i puntelli di ri-

ferimento delle ideologie, resta ca-

ratterizzata dalla provvisorietà e

dall’incertezza. “Condannato” all’au-

todeterminazione, l’uomo contem-

poraneo, sia pure forte del proprio

progresso, sembra smarrito, vittima di

se stesso, condannato a un’invincibile

angoscia esistenziale. Nel fondo oscu-

Il CISAM può curarele malattie della storia?

Mi sono occupato della presenza del

medioevo nella cultura diff usa con-

temporanea in un libro recente (An-

tidoti all’abuso della storia. Medioevo,

medievisti, smentite, Napoli, Liguori,

2010). Riadattando al presente vari

saggi dagli anni Settanta a oggi, ho

constatato che la qualità del ‘medio-

evo condiviso’ è purtroppo, nell’ulti-

mo decennio, peggiorata rispetto alla

stagione della prima importazione in

Italia dei messaggi storiografi ci della

rivista «Annales» e della signifi cativa

internazionalizzazione (anni Ottan-

ta, soprattutto) della cultura storica

italiana.

Il peggioramento è da ascrivere a una

nuova, decisa strumentalizzazione

della storia, dovuta a tre cause: 1) l’

«invenzione della tradizione» non più

da parte delle grandi nazioni dell’Ot-

tocento, ma da parte di un’Europa

delle piccole patrie impegnate a co-

struire, anche con la deliberata falsi-

fi cazione, nuovi edifi ci identitari; 2)

l’esplosione del marketing territo-

riale, al servizio del quale Assessorati

al Turismo e Pro Loco hanno fatto

nascere una pletora di sagre, rievoca-

ro di questa condizione pare attecchire

e germogliare con sempre maggiore

frequenza e rigoglio l’esigenza di un

rapporto con una certezza esterna, au-

tosuffi ciente, capace di smussare la spi-

golosità del relativismo culturale. Ed è

questa esigenza ansiosa che trova il suo

simmetrico ancestrale nella certezza

dell’uomo medievale di vivere immer-

so e confortato dalla Provvidenza divi-

na, appeso a uno qualunque dei punti

di circonferenza di un circolo chiuso

di cui Dio è centro, punto d’avvio e

punto d’arrivo. La certezza, cioè, agli

estremi possibili, del monaco che, ri-

fuggendo il mondo, cerca per tutta la

vita una più piena contemplazione di

Dio, e quella dell’eretico, che, nella

propria dissidente militanza dentro

il secolo, continua a cercare un Dio

giusto e meno “istituzionale”. D’altra

parte, i desideri, le tensioni, le paure,

le angosce e gli incubi del Medioe-

vo si originavano per le stesse ragioni

per cui nascono oggi. Ecco perché di

quel Medioevo pare quasi impossibile

liberarci. Il Medioevo siamo noi stessi.

Il Medioevo, dunque, non “prossimo

venturo”, né “presente alternativo”

e neppure “passato remoto”, come

sono invece altre età della storia uma-

na, ma – stando a una felicissima intu-

izione di Ovidio Capitani – “passato

prossimo”, con una sua grande eredità

alla quale tutti apparteniamo.

Enrico Menestò

zioni storiche, palii senza alcuna pre-

occupazione di aderenza ai modelli

(presunti) medievali delle manifesta-

zioni; 3) il successo di trasmissioni

televisive sedicenti culturali che, per

garantirsi spettatori, coltivano la di-

mensione esoterico-misterica (Voya-

ger) o procedono a ricostruzioni più

attente ai gusti di massa che alla cor-

rettezza dell’informazione (Quark,

History Channel ecc.).

Da tempo si sottolinea come il me-

dioevo sia un ‘altrove’ comodo, in

cui collocare tutto ciò che ci piace

immaginare del passato più oscuro e

più diverso dal presente: lo ha aff er-

mato con forza, ancora di recente, il

medievista statunitense Patrick Geary,

frequente ospite delle Settimane e dei

Congressi del Centro Italiano di Stu-

di sull’Alto Medioevo di Spoleto. Ma

è un tema su cui non avevano manca-

to di insistere prima Georges Duby e

poi Jacques Le Goff .

Una curiosa contraddizione si riscon-

tra nelle manifestazioni folkloriche

in costume ‘medievale’, rivitalizzate

rispetto a modelli tardivi ottocente-

schi oppure create dal nulla negli ul-

timi anni: applicando approssimativi

schemi di comodo, risulta almeno in

parte ‘di destra’ la spinta a organizzare

quelle manifestazioni, che vogliono

rispolverare tradizioni in chiave no-

stalgica; d’altra parte sono spesso ‘di

sinistra’ i contenuti, con frequenti

richiami a ribellioni popolari contro

lo strapotere e gli abusi dei signori

locali (come lo ius primae noctis, che i

medievisti sanno bene non essere mai

esistito).

Alcuni studiosi del medioevo si schie-

rano a favore del «meglio che niente»:

meglio cioè che del millennio medie-

vale si parli, anche se è un

medioevo inventato, perché

in ogni caso così si fa cultu-

ra, anche se bassa. Non sono

di questo avviso, sostengo

con convinzione il «meglio

niente». Il mio sogno è che

non solo il medioevo del-

la scuola, ma anche quello

della politica, delle sagre e

della televisione sviluppi

una divulgazione ben fat-

ta – semplice ma corretta

– del medioevo che il CI-

SAM di Spoleto sta insegnando da

oltre mezzo secolo: con aspetti anche

più originali, interessanti e sorpren-

denti rispetto alla vulgata dominante.

Per evitare quella che una prestigio-

sa rivista culturale (L’Indice) ha scelto

come titolo di un suo dibattito pub-

blico: La storia come malattia.

Giuseppe Sergi

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il medievista

Quale Medioevo | 03

ITALIA LANGOBARDORUM INSEGUENDO LE TRACCE BARBARICHE DELL’ITALIA ALTOMEDIOEVALEdi MASSIMILIANO BASSETTI

Il Medioevo? Comincia nel duemila

L’«Italia Langobardorum» ci riprova. Il 18

gennaio 2010, la “rete” di siti longobardi

che consorzia centri di prima importan-

za della civiltà dei Longobardi (Cividale

del Friuli, Brescia, Castelseprio, Spoleto,

Campello sul Clitunno, Benevento e

Monte Sant’Angelo) ha di nuovo de-

positato presso il Centro del Patrimonio

Mondiale di Parigi la propria candida-

tura (l’unica italiana) per l’inclusione

nella «World Heritage List - UNESCO»

2010 di un progetto di valorizzazione del

patrimonio monumentale italiano risa-

lente all’età longobarda. Dopo il giro a

vuoto della prima candidatura del 2009,

la Fondazione CISAM ha accettato ben

volentieri di collaborare con il consorzio

all’arricchimento e al consolidamento

del dossier scientifi co del progetto, nel

tentativo di mettere a regime le indica-

zioni con le quali l’ICOMOS lo aveva

“rimandato” a ulteriore valutazione. La

straordinaria validità del nuovo progetto,

dal titolo «I longobardi in Italia. I Cen-

tri del potere (568-774 d.C.)», è fuori di

discussione. Come pure fuori di discus-

sione è il fatto che i monumenti ora can-

didati a divenire patrimonio dell’UNE-

SCO rappresentino uno spettacolare

percorso culturale in grado di fornire

un’appagante e convincente rappresen-

tazione di quella civiltà longobarda.

I monumenti

di “Italia Langobardorum”

sono una spettacolare rappresentazione

della civiltà

longobarda.

È singolare come l’Umanesimo ab-

bia rifi utato il Medioevo e abbia cerca-

to le sue radici nell’antichità cristiana,

nei classici, così come il protestantesi-

mo nell’antichità cristiana. La nostra

Claudio Leonardi è morto il 21 maggio 2010. Gli avevo chiesto durante l’ultima

settimana di studi (aprile 2010), di poter ristampare in Quale Medioevo questo

articolo apparso sul quotidiano Avvenire del 5 settembre 1999 (ha dunque più di

dieci anni), con il quale inaugurava una sua rubrica intitolata Tempo di Mezzo.

Accettò. Ora ci restano la sua saggezza, la sua sterminata cultura, il suo insostitu-

ibile insegnamento, la sua piena umanità e la sua profonda spiritualità.

Enrico Menestò

È bene ricordare, però, come tale

immagine “monumentale” sia solo

la parte emersa di una ben più vasta

piattaforma culturale longobarda sulla

quale, per due secoli, avevano insisti-

to le due Langobardiae d’Italia: quella

Maior al Nord, quella Minor al Me-

ridione. Questa comune piattaforma

poté formarsi e consolidarsi grazie

ad alcune consapevoli scelte di poli-

tica culturale (come si direbbe oggi)

imposte, al primo stanziamento nella

Penisola, dal confronto con quanto

restava dell’organizzatissima macchi-

na amministrativa dei Romani.

È il caso, in primo luogo, del diritto

tradizionale longobardo, nato a nuo-

va vita a meno di ottant’anni dalla

“fondazione” del regno longobardo

in Italia, in una data fatidica. Il 22 no-

vembre del 643, nel suo palazzo di Pa-

via, il re dei longobardi Rotari (636-

652) promulgava l’Editto che ancora

ne porta il nome e che organizzava

in un sistema coerente il patrimo-

nio normativo della natio longobarda.

Era la prima codifi cazione scritta di

leggi trasmesse, sino ad allora, solo

oralmente, tramite uomini esperti,

dei veri e propri “codici viventi”, alla

cui memoria era affi dato il complesso

delle norme. Sono questi gli «antiqui

homines», di cui dice il capitolo 386

dell’Editto, che avevano supportato il

sovrano nel riesumare le «antiquae le-

ges patrum nostrorum, quae scriptae

non erant». Questa codifi cazione fece

di Rotari un re-codifi catore, secon-

do il modello romano-imperiale di

Giustiniano, mutuando, dunque, al-

cune almeno delle categorie di rega-

lità defi nite dalla secolare tradizione

cristiano-ellenistica. Un re, dunque,

che fece le leggi, ma anche (e più)

leggi che fecero il re. Per quanto ec-

epoca sembra avere perso proprio que-

ste radici. Bisogna chiedersi per quale

ragione, anche se le risposte potranno

essere problematiche.

In verità noi assistiamo alla fi ne della

grande epoca nata con l’Umanesimo

e il Protestantesimo. La civiltà fondata

sulla ragione che ha frantumato la ra-

gione. Che sia essa a regolare positiva-

mente la morale e la politica, in questa

fi ne di secolo, non è possibile aff ermare.

L’epoca moderna, come le altre epo-

che, ha generato anche i suoi mostri:

dopo il nazi-fascismo e il comunismo,

le due guerre mondiali, i genocidi in

molte parti del mondo, il nostro tempo

appare come un tempo diverso, senza

più radici, appunto, nell’epoca antica,

senza più fi ducia nella ragione, che ha

rintracciato forze nell’atomo e nella

cellula tali da travolgere e modifi care la

natura e da distruggere la storia.

La nostra è veramente un’epoca post-

moderna. Per questo il Medioevo

torna alla nostra esperienza come un

tempo che si può comprendere sen-

za pregiudizi. La classicità è stata una

grande epoca. Platone e Aristotele rap-

presentano una conquista perenne per

l’umanità. Ora bisogna aggiungere che

anche Tommaso d’Aquino e Bonaven-

tura da Bagnoregio rappresentano una

conquista perenne, essi sono la norma

della tradizione cristiana, il punto più

alto in cui la tradizione cattolica è stata

organizzata e trasmessa.

Non è il caso che il Medioevo, nono-

stante conservi volgarmente un signifi -

cato negativo, sia da qualche anno, per

così dire, di moda. Questo sentimento

corrisponde a un’esigenza di radica-

mento, che si rivolge al Medioevo per-

ché non può più ritrovare radici nella

civiltà <classica> (non esaltava Musso-

lini i colli fatali di Roma e il nazismo

non si rifaceva ai miti della Grecia?)

e tanto meno in quella moderna, che

è quella che ora abbiamo lasciato alle

spalle. Non si vuol dire con questo che

il Medioevo rappresenti senz’altro per

l’uomo d’oggi il punto di riferimen-

to con il passato: la nostra incertezza è

oggi troppo grande per avere certezze

storiche. Il cristiano tuttavia dovrebbe

sapere di poter trovare nel Medioevo

una grande civiltà che si è formata alla

luce della fede, senza negare la ragio-

ne, e dove è possibile ancora oggi, anzi

forse proprio oggi, trovare premesse e

stimoli a ripensare la propria ragione

d’essere e la propria civiltà. Non un ri-

torno al Medioevo, ma la piena accet-

tazione del Medioevo nella storia della

civiltà e quindi nella nostra consapevo-

lezza civile e culturale.

Claudio Leonardi

cezionale, quest’opera di raccolta e

di riscrittura giuridica fu soltanto il

momento iniziale di un diritto pro-

priamente longobardo, che avrebbe

goduto di ben più larga fortuna. Il

motore di questo successo, ben misu-

rabile nella pratica documentaria, va

rintracciato nella prolifi ca scuola di

diritto fi orita presso il palazzo rega-

le di Pavia. Proprio nel cuore dell’età

dei Carolingi (tramontato, dunque,

il regno longobardo nord-italiano),

questa scuola avrebbe dato il meglio

di sé, riuscendo ad armonizzare i di-

spositivi giuridici di tradizione lon-

gobarda e la normativa più recente

promossa dai capitolari franchi e ga-

rantendo all’Editto di Rotari il salva-

condotto per altri secoli d’applicazio-

ne. Il Liber Papiensis, con i suoi estesi

commentari del pieno XI secolo, la

Lex Walcausina e l’Expositio in Librum

Papiensem, avrebbe concesso al diritto

germanico in Italia una solidità e una

certezza d’applicazione ben superiore

allo stesso diritto romano. Ne è prova

il fatto che, sino alla prima metà del

XII secolo, ormai esauriti gli altri di-

ritti germanici che pure avevano avu-

to corso (almeno quelli alamanno, sa-

lico, burgundo), le professioni di legge

longobarda, da parte degli attori della

documentazione privata, avrebbero

persino sopravanzato in numero le

dichiarazioni di vivere secundum legem

romanam. Solo la scuola (e poi lo Stu-

dium) bolognese, tramite le proprie

poderose bocche da fuoco, capeggiate

da Irnerio, Pepo e Bulgaro, avrebbe,

da ultimo, fatto tabula rasa, attorno al

Codex Iustinianus e alla sua riscoperta.

Il diritto longobardo

ha rivaleggiato

fi no al XII secolo

con quello romano.Se, dunque, scrivere la legge fu il ge-

sto di autocoscienza capace di tra-

sformare la gelatinosa struttura tri-

bale longobarda in monarchia di tipo

romano-cristiano, scrivere la storia fu il

momento naturalmente conseguente

ad esso sullo scivoloso piano inclinato

dell’identità “nazionale” così inau-

gurato. Come Giordane per i Goti,

come Gregorio di Tours per i Franchi,

come Beda per gli Angli, così il coltis-

simo monaco Paolo Diacono provvi-

de alla costruzione di una storia per i

Longobardi: la Historia Langobardorum.

Come i suoi colleghi storiografi del-

la tribolata Europa barbarica, anche

Paolo si mostra portatore, per dirla

con Walter Benjamin, di una debole e

dolente forza messianica, attraverso la

quale egli ha tentato di corrispondere

alle attese di riscatto delle generazioni

precedenti. Perché, sennò, raccontare

la storia di un popolo che si sa scon-

fi tto? Certo, sul racconto di Paolo è

come stesa una patina grigia e greve.

Epperò, dinnanzi a quella sconfi tta,

dinnanzi alla superiorità culturale e

spirituale dei Franchi che avevano

schiacciato i Longobardi, Paolo ebbe

la forza di ripensare alla storia longo-

barda come al passaggio dalla barbarie

alla civiltà, dalla grandezza germanica

alla grandezza germanico-cristiana. È

questa prospettiva cristiana della Sto-

ria che rende accettabile la disfatta

longobarda, dignitosa almeno quan-

to l’ultimo re che per Paolo merita

di essere raccontato: Liutprando. Alla

consapevolezza della sconfi tta, Paolo

poteva, infatti, associare la convinzio-

ne che la storia sia guidata da Dio tra-

mite la saggezza dei suoi re. E la civil-

tà longobarda saprà trovare la propria

redenzione: il nuovo impero di Carlo,

che nasce nel momento in cui Paolo

muore, non è solo un impero ger-

manico, è un impero anche romano

proprio perché la nazione più romana

delle nazioni germaniche era quella

longobarda. L’Historia Langobardorum,

del resto, rifl ette appieno la fi gura di

Paolo, nella sua cifra interculturale e

internazionale. Friulano di nascita, a

Pavia per formarsi e formare, di pas-

saggio tra i dotti della corte di Carlo,

ad Aquisgrana, per i quali forse scrisse

la Storia dei Longobardi, a Beneven-

to e a Montecassino, infi ne, per rian-

nodare il fi lo di cui era portatore a

quello sfi lacciato degli ultimi legitti-

mi eredi della tradizione longobarda.

Tra scrivere la legge

e scrivere la storia c’è

un minimo comune

denominatore...

scrivere.Tra scrivere la legge e scrivere la storia

c’è, da ultimo, un minimo comune

denominatore per niente scontato e

della massima importanza: scrivere. I

Longobardi delle origini dovevano

trovarsi in una condizione di sostan-

ziale estraneità al mondo della scrit-

tura. L’impatto con la cultura romana,

che aveva assegnato alla scrittura la

funzione di pressoché esclusivo mez-

zo di comunicazione, valse ai Lon-

gobardi una di quelle scelte cultura-

li alle quali si accennava in avvio di

discorso. Prima attraverso il ricorso

a scriventi locali, poi con l’articolar-

si di un’educazione grafi ca primaria

ed elementare diff usa almeno tra gli

strati superiori dei nuovi dominato-

ri – via via più compromessi con le

strutture ecclesiastiche – anche pres-

so i Longobardi la scrittura divenne

una componente vitale del discorso

amministrativo, sociale, economi-

co e culturale. Quale scrittura, però?

Naturalmente la scrittura usuale di-

sponibile agli scriventi dell’ammini-

strazione provinciale dell’età tardo-

imperiale in Italia: la corsiva nuova. E

sin qui, tutto normale: lo stesso mec-

canismo di conversione alla scrittura,

innestato su questo tipo grafi co, si era

già felicemente compiuto in Gallia,

presso i Franchi della dinastia mero-

vingica, e nella penisola iberica, con

i Visigoti. Di nuovo, semmai, nel più

attardato percorso dei Longobardi, va

rilevato il carattere assai distinto della

corsiva che da quell’innesco sarebbe

derivata (oggi la chiamiamo «bene-

ventana»), e la capacità che essa ebbe

di porsi come privilegiato indicatore

di una specifi ca cultura territoriale.

La scrittura in vigore nei territori

di tradizione longobarda (principal-

mente quelli italomeridionali, ma con

sconfi namenti in alcune roccaforti di

sicuro marchio longobardo, come

Nonantola) si era specializzata così da

interpretare e manifestare al meglio la

diversità – culturale e politica, se non

più quella etnica – rispetto ai Franchi

dell’impero carolingio, che usavano

un’altra scrittura: la carolina. In altri

termini, scrivere in beneventana era

un gesto simbolicamente importante

per manifestare con orgoglio la pro-

pria cultura di riferimento, in opposi-

zione a quella dominante.

Che questo abbinamento tra una

scrittura e un territorio (e, natural-

mente, tra una scrittura e una cultura),

non sia solo una lettura di noi mo-

derni è provato dalla consapevolezza

che se ne ebbe nel passato prossimo

alla civiltà longobarda. Angelo Poli-

ziano, Biondo Flavio, Giovan Battista

Palatino non esitavano, in riferimen-

to a scritture vagamente assimilabili a

quella che diciamo oggi beneventana,

a usare il nome di «litterae langobar-

dae», così manifestando un’associa-

zione per loro evidentissima.

“Buon vento”, insomma, alla can-

didatura di «Italia Langobardorum».

E che il prestigioso itinerario mo-

numentale possa, infi ne, alimentare

una rinnovata curiosità per gli aspetti

meno spettacolari (ma, come visto,

non meno importanti) della nostra

«Italia dei Longobardi».

Massimiliano Bassetti

04 | Quale Medioevo

TORNARE,

AVANTI!di ROBERTO LEONI

L’educazione delle gio-vani generazioni è in-dubbiamente uno dei compiti fondamentali di ogni società, un diritto dovere che è garanzia di positivo sviluppo cul-turale, scientifi co e tec-nologico, etico, innanzi tutto.

“L’azione educativa

è progettazione

del futuro”L’azione educativa è progettazione

del futuro, come spiega il Suchodolski

nella sua fondamentale opera Trattato

di Pedagogia.

Per questo l’azione educativa, che

comprende in larga parte il momento

istruttivo ma non si ferma solo a que-

sto, è svolta cercando sempre di guar-

dare in avanti e, proprio per questo, la

Scuola è soggetta ad una permanente

azione, intrinseca a se stessa, di ade-

guamento allo sviluppo socio cultu-

rale, all’accrescersi e rinnovarsi delle

conoscenze; per questo i Governi

dicono di voler investire nell’educa-

zione e nella Scuola, che comprende

anche l’Università - pur essendo que-

sta scuola in senso atipico.

Nel Nostro Paese, ma non solo in

Italia, si susseguono, dal Dopoguerra

in poi, i tentativi di riforma, alla ri-

cerca dell’adeguamento della Scuola

all’evolvere della società.

Diciamo tentativi di riforma perché

in realtà nessuno, anche per la breve

durata dei governi della così detta

Prima repubblica e per le aporie in-

terne alla Seconda, ha potuto porre

in atto un quadro complessivo e stra-

tegico di sistema scolastico che so-

stituisse quello posto in atto dall’im-

pianto napoleonico, rivisitato, in Italia,

dal Gentile. Tentando di rincorrere il

nuovo abbiamo avuto ed abbiamo in-

terventi settoriali, pannicelli caldi al

sistema, che hanno oscillato fra il mo-

dello centralistico e quello autonomo,

proprio questo dei Paesi anglosassoni.

Tutto ciò ci ha portati ad inseguire il

nuovo, però ogni giorno c’è il nuovo,

facendo della Scuola una perenne in-

seguitrice di aste senza bandiere, per

dirla con Dante.

Come corollario abbiamo avuto il

trasformarsi della scuola in un conte-

nitore sociale - scarsamente produtti-

vo nonostante l’aumento del numero

dei docenti, la così detta autonomia

scolastica (che in realtà è più uno

slogan che un fatto), il crescere della

spesa… - l’abbassarsi complessivo del

livello qualitativo e la collocazione

del nostro sistema e dei suoi risultati

agli ultimi posti delle classifi che in-

ternazionali.

La scuola non

può più essere

un contenitore

sociale scarsamente

produttivoOggi, forse per la prima volta da de-

cenni, è in atto un tentativo di porre

uno freno alla dequalifi cazione del si-

stema innescata dalla demagogia del

’68 e proseguita con una orizzonta-

lizzazione dequalifi cante, che ha por-

tato ai preoccupanti risultati odierni.

Come si può dirigere

il sistema scolastico

senza esser stati

docenti e dirigenti?

Cioè senza conoscere

dal suo interno

la Scuola stessa? Tuttavia credo che vada detto che la

benemerita azione posta in atto dal

ministro Gelmini necessiti di alcune

integrazioni, che vanno dall’avere una

struttura di conduzione ministeria-

le adeguata - come si può dirigere

il sistema scolastico senza esser stati

docenti e dirigenti? Cioè senza cono-

scere dal suo interno la Scuola stessa?

- ad una impostazione culturale che,

pur accettando le necessità di adegua-

mento economico e riduzione della

spesa, pur puntando alla reale quali-

fi cazione dei docenti e dei dirigenti,

pur ricercando l’adeguamento co-

stante all’evolvere della società, non si

limiti all’effi centismo economicistico

tecnologico - bocconiano, per dirla

con un termine esemplifi cativo an-

che se non esaustivo.

Chi non sa da

dove viene non sa

neppure dove andareAdeguamento culturale che, anche

qui in una parola non esaustiva, deve

esser di tipo storicista: crediamo che si

sbagli nel pensare che facendo studia-

re l’attuale, il Novecento, si risolva il

problema dell’incombente ignoranza

prossima ventura.

La vera sfi da è operare una rivolu-

zione copernicana capace di porre in

atto una sintesi a priori culturale che

dia fi nalmente luogo ad un umanesi-

mo degno di questo nome.

Per ottenere questo risultato è ne-

cessario aff ondare la formazione dei

cittadini, dei docenti in primis, nelle

radici culturali ed etiche che ci ca-

ratterizzano e che sole possono darci

identità e, quindi, capacità di crescita.

Per andare avanti

bisogna esser capaci

di tornare

alle radici autentiche

e profonde della

nostra civiltà.

Chi non sa da dove viene non sa nep-

pure dove andare, cammina, cammina,

per trovarsi sempre allo stesso posto.

Per andare avanti bisogna esser capa-

ci di tornare alle radici autentiche e

profonde della nostra civiltà, quelle

che ci hanno dato la possibilità dello

sviluppo sin qui raggiunto e che, sole,

potranno darci garanzia di sviluppo,

radici che ci vengono da duemila

anni di storia: radici cristiane.

Senza avremo inevitabilmente l’im-

barbarimento del relativismo, che, da

soli, né l’inglese, né l’informatica, né

internet, potranno evitarci.

Più storia nella

scuola almeno come

qualità

di insegnamento

Per questo gli studi storici anziché

ridotti dovranno esser approfonditi,

non tanto nella quantità delle ore

quanto nella qualità dell’insegna-

mento!

Roberto Leoni

Ministero della Pubblica Istruzione

Gabinetto del Ministro

Dirigente Tecnico Consigliere

Quale Medioevo | 05co

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LA CASSA DI RISPARMIODI SPOLETO: UNA BANCA PER IL TERRITORIO TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONEdi ANTONIO ALUNNI Presidente

La costituzione della Cassa di Rispar-

mio di Spoleto risale al 1836, epoca in

cui, nello Stato Pontifi cio, preesiste-

va soltanto una Cassa di Risparmio,

quella di Roma.

Il Nostro Istituto

ha improntato la

propria fi losofi a alla

conoscenza dei valori

della collettività.Da allora, il Nostro Istituto ha im-

prontato la propria fi losofi a alla co-

noscenza dei valori della collettività

in cui opera, anche in vista del per-

seguimento del massimo benessere

della collettività, intesa nel senso più

ampio ed esteso cui è solita ispirarsi la

cultura anglosassone (si pensi ai ter-

mini shareolders o stakeolders).

In tale ottica, la Cassa di Risparmio

di Spoleto opera con la massima at-

tenzione alle imprese ed allo sviluppo

dei servizi e dell’innovazione, ferma

restando la sua originaria “vocazione”

alla valorizzazione del risparmio.

Tutto ciò senza tralasciare un fon-

damentale spirito di apertura verso

l’esterno, che l’ha condotta, alla fi ne

degli anni ’80, ad ottenere l’impor-

tante primato di essere la prima Cassa

ad essere partecipata da una grande

banca quale è stata la Cassa di Ri-

sparmio delle Province Lombarde,

Cariplo.

la Cassa si pregia

di essere partecipata

dal più grande

gruppo bancario

italiano,

Intesa SanpaoloAttualmente la Cassa, in virtù della

sua natura composita, ha uno status

del tutto originale e caratteristico:

essa, in primo luogo, si pregia di esse-

re partecipata dal più grande gruppo

bancario italiano, Intesa Sanpaolo, che

con le sue competenze professionali

le conferisce grandi potenzialità ope-

rative e commerciali; al tempo stesso,

la presenza della Fondazione Carispo

Quale Medioevo è lieto di dar voce alla Cassa di Risparmio di Spoleto autorevole interprete del credito nel territorio.

unitamente all’ingresso di oltre mille

soci privati, garantiscono il radica-

mento territoriale e l’aff ezione dei

clienti.

Una formula, questa, che spetta al ma-

nagement ed ai dipendenti della Cassa

di saper valorizzare.

Ciò, ovviamente, senza dimenticare le

origini, la tradizione e la storia ed è

proprio quest’ultima ad essere cele-

brata nel volume intitolato La Cassa

di Risparmio di Spoleto, arricchito del

contributo di illustri ed appassionati

studiosi ed edito proprio dalla fonda-

zione CISAM, volume che ripercorre

i quasi duecento anni di storia della

Cassa.

Una storia che, possiamo aff erma-

re con sicurezza, nel permeare di sé

il tessuto sociale ed imprenditoriale

dell’intera regione Umbria, ci con-

sente di guardare al futuro con la con-

sapevolezza delle Nostre tradizioni e

dei Nostri valori.

È sulla base di questi valori che la

Cassa intende continuare il suo cam-

mino, con una sempre maggiore

apertura alle esigenze del mercato

non soltanto locale, ma anche e so-

prattutto globale.

Sulla base dei valori

del proprio territorio

la Cassa intende

continuerà a guardare

alle esigenze del

mercato locale e

soprattutto globale.Sotto questa prospettiva, la Carispo

continuerà ad avvalersi della colla-

borazione di apposite Strutture del

Gruppo, quali il Mediocredito Italia-

no per le operazioni di lungo termi-

ne, il Leasint per il Leasing, la Banca

Infrastrutture Innovazione e Sviluppo

(BIIS) per fi nanziare le opere pubbli-

che, la Banca Prossima per il settore

del non-profi t, l’Agriventure per il

supporto dei settori agroalimentare,

agroindustriale ed agroenergetico.

06 | Quale Medioevo

Il Nostro istituto, inoltre, continuerà

ad intrattenere profi cui rapporti di

collaborazione con le Cooperative di

Garanzia operanti sul territorio, le As-

sociazioni di categoria e tutte le Isti-

tuzioni locali, nell’ottica di raff orzare

gli interventi di supporto all’econo-

mia locale.

Quanto ai clienti privati, la Cassa

continuerà ad off rire un qualifi cato

servizio di Private Banking che con-

sente di cogliere le migliori opportu-

nità del mercato.

Tutto ciò dimostra come la Carispo

sia in grado di soddisfare le esigenze

imprenditoriali e commerciali così

come le esigenze dei privati, dan-

do anche la possibilità alla propria

clientela di accedere ad un articolato

ventaglio di servizi, con particolare

riguardo al Sistema dei Pagamenti,

alla operatività con l’Estero, al fi nan-

ziamento degli impianti fotovoltaici,

alla consulenza fornita al Desk per le

energie rinnovabili.

In defi nitiva, la Cassa di Risparmio di

Spoleto aspira ad essere per la propria

clientela un partner ideale, in grado di

costruire modelli di off erta, di stimo-

lare la domanda, di coprire fi nanzia-

riamente idee e progetti. Ciò anche

grazie e soprattutto alla ricerca ed

all’impegno profuso dai suoi azioni-

sti, managers e dipendenti, che hanno

fatto della Cassa un Brand riconosci-

bile ed unico.

la Cassa di Risparmio

di Spoleto aspira

ad essere un partner

ideale per elaborare

modelli di off erta,

per stimolare

la domanda

e per coprire

fi nanziariamente

idee e progetti.

www.carispo.it

Quale Medioevo | 07

14 novembre, PerugiaUmbrialibri 2010

La fi era «Umbrialibri 2010» si presenta,

come ogni anno, ricca di iniziative

che, dal 10 al 14 Novembre prossimi,

animeranno prestigiosi palazzi, antiche

chiese e sale pubbliche della città

di Perugia. La manifestazione, posta

sotto l’egida dalla Regione Umbria,

propone anche una mostra-mercato

dell’editoria umbra, irrinunciabile

per chi voglia tastare il polso della

vitalità culturale di questa regione.

La Fondazione CISAM parteciperà a

Umbrialibri proponendo una tavola

rotonda, a chiusura e suggello della

manifestazione, che insisterà attorno

al tema Il medioevo oggi; ne parleranno,

ciascuno dalla propria suggestiva e

autorevole prospettiva disciplinare, i

proff . Franco Cardini, Tullio Gregory

ed Enrico Menestò.

9-11 dicembre, TerniConvegno: San Valentino e il suo culto tra medioevo ed età contemporanea: uno status quaestionis

In collaborazione con la Diocesi

di Terni, Narni e Amelia, dodici

studiosi di profi lo internazionale

prenderanno in esame l’impalpabile

fi gura storica, letteraria e agiografi ca

del santo

presule della

città, il cui

carisma

ne spinse

la fama

ben oltre

i confi ni

dell’Impero.

Senza

tralasciare gli

aspetti archeologici, antropologici,

religiosi, nonché sociologici, si

tenterà di ricostruire e mettere in

prospettiva moderna questa decisiva

presenza religiosa del territorio

umbro.

28 aprile-4 maggio 2011

LIX Settimana di Studi

Scrivere e leggere nell’alto medioevo:

questo è il coinvolgente titolo della

Settimana di studi spoletina che,

come ormai da quasi sessant’anni,

detiene una forza attrattiva per i

maggiori studiosi del medioevo

di ogni parte del mondo. Durante

le 35 lezioni che riempiranno le

giornate di studio si indagheranno

gli aspetti più rilevanti delle pratiche

di scrittura e di lettura in Occidente

e nel mondo bizantino, attraverso

l’esame di libri, documenti, iscrizioni

monumentali, sigilli e monete. Sarà

l’occasione per verifi care, una volta

di più, l’assertivo ammonimento

di un grande storico della lettura:

«Non esiste testo a prescindere dal

supporto che permette di leggerlo

e non esiste comprensione di uno

scritto, qualunque esso sia, che non

dipenda in parte dalle forme in cui

raggiunge il suo lettore»

(R. Chartier)

08 | Quale Medioevo

LE EDIZIONI DELLA FONDAZIONE CISAM

Quale Medioevo

Direttore responsabile: Erika Monticone

Hanno collaborato: Antonio Alunni, Massimiliano Bassetti, Francesca Bernardini, Claudio Leonardi, Roberto Leoni, Enrico Menestò, Giuseppe Sergi.

Art direction: Elisabetta Severini

Consulenza Marketing: Etheria Consulting

Edizioni Fondazione «Centro italianodi studi sull’alto medioevo»

SPOLETOP.ZZA DELLA LIBERTÀ, [email protected]

www.cisam.org

CONSIGLIO SCIENTIFICO DELLA FONDAZIONE CISAMOvidio Capitani (presidente onorario), Enrico Menestò (presidente), Letizia Ermini Pani (vice presidente), Ermanno Arslan, Paolo Cammarosano, Antonio Carile, Guglielmo Cavallo, Giuseppe Cremascoli, Tullio Gregory, Paolo Grossi, Claudio Leonardi, Carlo Alberto Mastrelli, Massimo Montanari, Antonio Padoa Schioppa, Adriano Peroni, Giuseppe Sergi.Copyright © 2010 per la Fondazione CISAMRegistrazione del Tribunale di Spoleto n. 2/2010 del 25 marzo 2010

BRUNO ANDREOLLI, PAOLA GALETTI,TIZIANA LAZZARI, MASSIMO MON-TANARI (CUR.)Il medioevo di Vito FumagalliSpoleto 2010, pp. X-346

(Miscellanea, 16)

Gli allievi di Vito Fumagalli, uno tra

i più illustri medievisti italiani, riper-

corrono, come per proporre un’ana-

lisi critica degli studi del loro comu-

ne maestro, i temi principali che egli

ha aff rontato in numerosi e fecondi

contributi off erti alla ricerca sul me-

dioevo. Quattro i temi individuati, fra

loro diversi, ma strettamente integrati;

per evocarli si è scelta la suggestiva

soluzione di fare ricorso a espressioni

tratte dalla storiografi a fumagalliana:

Terra e società, La Pietra viva, il Regno

Italico, Atteggiamenti mentali e stili di

vita. Un intensa raccolta di studi, in-

somma, per ricordare il maestro a 10

anni dalla sua scomparsa.

al 18 maggio del 2008, presso l’Uni-

versità “Gabriele d’Annunzio” di

Chieti e il comune di S. Salvo (Ch). È

il secondo di una serie di incontri de-

dicati allo studio delle strutture mo-

nastiche medievali: il primo si è te-

nuto a Tergu (SS) nel settembre 2006.

Tali convegni, fondamentali per uno

approfondimento diretto circa gli

aspetti che riguardano la nascita e lo

sviluppo dei contesti monastici be-

nedettini, sorti nel primo medioevo,

contribuiscono a chiarire e defi nire

le problematiche inerenti le attività

progettuali e tecniche necessarie alle

“grandi opere” architettoniche che

ancora oggi impreziosiscono i nostri

panorami. I contributi di questo II

convegno si soff ermano puntualmen-

te sia sulle modalità di reperimento

sia sulla lavorazione delle materie

prime, senza trascurare le necessarie

puntate dedicate alla decorazione.

monografi ci, il Del Punta si è sentito

pronto con questo suo lavoro, nono-

stante l’ancor giovane età, a cimen-

tarsi con un tema di ampio respiro,

che tuttavia ha avuto la misura e la

prudenza di non aff rontare mediante

lo strumento di quella che ordina-

riamente si defi nisce una “sintesi or-

ganica”, bensì attraverso una serie di

monografi e […]: la guerra sula mare,

i suoi aspetti tecnici, i suoi legami

con la pirateria e il commercio, la ti-

pologia urbana e la relativa struttura

sociale, la memoria civica, il rapporto

infi ne tra mercatura e potere».

Con queste “istruzioni per l’uso”

Franco Cardini, introducendo l’opera,

ne raccomanda caldamente la lettura

e immette al cuore di questo lavoro

dedicato a una aff ascinante ricostru-

zione storica della Toscana costiera

d’età pieno-medievale.

ballon d’essai che sarebbe stato conti-

nuato lungo tutto il Quattrocento. Il

“diario” segue, come in presa diret-

ta, l’evolversi quasi quotidiano della

politica veneziana attraverso alcune

fonti di prima mano: lettere di mer-

canti, dispacci di ambasciatori veneti

e larga parte della documentazione

che giungeva alle autorità pubbliche

veneziane. L’editore ha concretizzato

in questa poderosa opera una ricerca

durata oltre dieci anni, al cui centro si

ravvisa un’intensa attività di indagini

condotta in collaborazione con i più

prestigiosi istituti accademici interna-

zionali.

MARIO SENSI

«Mulieres in ecclesia» storie di monache e bizzoche.(tomi II)

Spoleto 2010, pp. XX-1342

(Uomini e Mondi medievali, 21)

Sin dal secolo XIII le donne che si

votavano a esperienze di profon-

da spiritualità, pur conservando una

condizione laicale, venivano chiamate

bizzoche (ovvero pinzochere, incar-

cerate, recluse, cellane). Era, quella

delle bizzoche, una vita ascetica di

solitudine e penitenza, il cui fascino,

ancora oggi, non cessa di contagiare

uomini e donne alla ricerca di un

rapporto intimo, privatissimo e assai

personale con Dio.

L’autore aff ronta il tema della gestio-

ne sociale della reclusione, sia maschi-

le sia femminile, nell’Italia centrale,

facendo della presente opera una ide-

ale prosecuzione del volume Storie di

bizzoche tra Umbria e Marche (Roma,

1995). Tramite le numerose e intense

ricerche d’archivio si tracciano così

anche le origini dei tanti monasteri

di cui è costellata l’Italia centrale, al-

cuni dei quali arrivati ai nostri giorni.

DANTE ALIGHIERI

Monarchia. Testo introduzione traduzione e commentoa cura di Gustavo Vinay.

A sessant’anni dalla prima comparsa dell’edi-

zione della Monarchia curata da Gustavo

Vinay, il CISAM ne ripropone anastatica-

mente le pagine con la scoperta intenzione

di riproporre un’opera centrale per la defi -

nizione del pensiero dantesco e della società

medievale in genere, ma utilisima anche per

i «disagi e le inquietezze» di un’epoca come

la nostra. La vexata quaestio circa il dissidio tra

potere spirituale e potere temporale trova so-

luzione, nella rifl essione di Dante (in questo

erede di una lunga tradizione patristica che

rimonta ad Ambrogio), nella comune unicità

della sorgente di quelle due forme di potere:

Dio. La presente ristampa anastatica consente

anche, inaugurando la collana «La Memoria

del Medioevo», di sottolineare a vantaggio

di una più ampia platea l’acribia e l’acume

intellettuale, l’erudizione e il genio creativo

di uno dei maggiori medievisti del secolo

scorso: Gustavo Vinay. (La Memoria del Me-

dioevo, 1).

APPUNTAMENTI DELLA FONDAZIONE CISAM

SAVE THE DATE

di Francesca Bernardini

di FRANCESCA BERNARDINI

Tratto da Repubblica.it

“VIVIAMO UN MEDIOEVO SENZA ORIZZONTE”.

LE ULTIME PAROLE FAMOSE SUL MEDIOEVOMalgrado Quale Medioevo voglia essere un antitodo ai luoghi comuni sul Medioevo, questi continuano...

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con

il co

ntribu

to d

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MARIA CARLA SOMMA (CUR.)Cantieri e maestranze nell’Italia medievale. Atti del Convegno di studio (Chieti - San Salvo, 16-18 maggio 2008) (De re monastica, II)Spoleto 2010, pp. X-616 ill.(Incontri di Studio, 7)

Il volume contiene gli atti del II Conve-

gno di De re monastica tenutosi dal 16

IGNAZIO DEL PUNTA

Guerrieri, crociati, mercanti. I toscani in Levante in età pieno-medievale (secoli XI-XIII)Spoleto 2010, pp. XXXIV-478(Uomini e Mondi medievali, 20)

«Provvisto di una solida formazione

nell’àmbito della storia commerciale

e bancaria toscana, garantita da or-

mai quasi un decennio di buoni saggi

ANDREA NANETTI (CUR)

Il Codice Morosini. Il mondo visto da Venezia (1094-1433) (tomi IV)Spoleto 2010, pp. LXII-2274 ill.(Quaderni della rivista di Bizantinistica, 10)

Sempre rimasta sotto l’epigrafe di cro-

nicha de Veniexia, l’opera cronachisti-

ca del Morosini si mostra oggi come

una sorta di diario “aperto”, come un