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1 Pedagogia Speciale e Integrazione. Dal pregiudizio agli interventi educativi. Maura Gelati PARTE PRIMA: PERCORSI D’INTEGRAZIONE. I La pedagogia speciale italiana e alcune delle sue radici. PEDAGOGIA E PEDAGOGIA SPECIALE. La pedagogia appartiene alla grande famiglia delle Scienze dell’Educazione, ed è suo compito: Cercare i fondamenti della teoria dell’educazione; Studiare il rapporto educativo e i suoi metodi; Mettere a fuoco il concetto di educazione; Sviluppare una soluzione ai problemi educativi. L’unica vera fonte, e quindi oggetto della pedagogia come scienza è l’EDUCAZIONE! il compito della pedagogia è farsi SCIENZA con oggetto l’EDUCAZIONE. Nel tempo la pedagogia ha visto staccarsi dal suo campo varie pedagogie , che non hanno cambiato l’oggetto di ricerca, ma hanno cambiato gli ambiti nei quali questo evento si verificava. La PEDAGOGIA SPECIALE rispetto alla Pedagogia ha sempre come oggetto l’educazione e il rapporto educativo, ma specifica il tipo di popolazione che nell’evento educativo è attore, studiandone i problemi relativi all’educazione e considerando metodi specifici per rispondere in modo SPECIALE ai BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI di soggetti con menomazioni, deficit o condizioni di salute che li possono portare a disabilità. La pedagogia speciale considera importante mettere a punto una teoria dell’educazione anche per soggetti con bisogni educativi speciali in età adulta. I disabili, per il loro uscire dalla norma, in molti casi richiedono strumenti e metodi educativi e formativi fuori dalle normali prassi didattiche. Sono fuori dalla norma coloro che presentano tempi di sviluppo molto dissimili rispetto ai loro coetanei oppure dimostrano di non essere in grado di avvalersi delle risorse che gli educatori mettono a loro disposizione per favorire gli apprendimenti e la socializzazione . IL LINGUAGGIO TRA CAMBIAMENTI E CONFUSIONI. Molti termini usati dalla Pedagogia speciale connotano più gli aspetti negativi degli eventi, che quelli positivi relativi a persone con determinati deficit o menomazioni.

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Pedagogia Speciale e Integrazione.

Dal pregiudizio agli interventi educativi.

Maura Gelati

PARTE PRIMA: PERCORSI D’INTEGRAZIONE.

I La pedagogia speciale italiana e alcune delle sue radici.

PEDAGOGIA E PEDAGOGIA SPECIALE.

La pedagogia appartiene alla grande famiglia delle Scienze dell’Educazione, ed è suo

compito:

Cercare i fondamenti della teoria dell’educazione;

Studiare il rapporto educativo e i suoi metodi;

Mettere a fuoco il concetto di educazione;

Sviluppare una soluzione ai problemi educativi.

L’unica vera fonte, e quindi oggetto della pedagogia come scienza è l’EDUCAZIONE!

il compito della pedagogia è farsi SCIENZA con oggetto l’EDUCAZIONE.

Nel tempo la pedagogia ha visto staccarsi dal suo campo varie pedagogie, che non hanno cambiato l’oggetto di ricerca, ma hanno cambiato gli ambiti nei quali questo evento si verificava.

La PEDAGOGIA SPECIALE rispetto alla Pedagogia ha sempre come oggetto l’educazione e il rapporto educativo, ma specifica il tipo di popolazione che nell’evento educativo è attore, studiandone i problemi relativi all’educazione e considerando metodi specifici per rispondere in modo SPECIALE ai BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI di soggetti con menomazioni, deficit o condizioni di salute che li possono portare a disabilità.

La pedagogia speciale considera importante mettere a punto una teoria dell’educazione anche per soggetti con bisogni educativi speciali in età adulta.

I disabili, per il loro uscire dalla norma, in molti casi richiedono strumenti e metodi educativi e formativi fuori dalle normali prassi didattiche. Sono fuori dalla norma coloro che presentano tempi di sviluppo molto dissimili rispetto ai loro coetanei oppure dimostrano di non essere in grado di avvalersi delle risorse che gli educatori mettono a loro disposizione per favorire gli apprendimenti e la socializzazione.

IL LINGUAGGIO TRA CAMBIAMENTI E CONFUSIONI.

Molti termini usati dalla Pedagogia speciale connotano più gli aspetti negativi degli eventi, che quelli positivi relativi a persone con determinati deficit o menomazioni.

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Termini come “idiota” o “deficiente” che hanno fatto parte del linguaggio di studiosi che si sono occupati di determinate categorie di disabili e alle nostre orecchie risuonano come offese, nel momento in cui furono ideati avevano tutt’altro significato.

Idiota compare nel titolo di un volume di Séguin, il quale usa il termine per indicare un individuo che si isola al punto di non comunicare e, incapace di rompere la barriera che lo separa dal mondo, richiede un trattamento educativo speciale.

Deficienti De Sanctis lo usa nel titolo di una delle sue opere più interessanti, riferendosi a soggetti con ritardo mentale.

Handicappato è l’elemento chiave della legge del 5 febbraio 1992 n. 104 la legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate e che per handicappato definisce colui che presenta una minoranza fisica, psichica, sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o integrazione lavorativa, tale da determinare una situazione di svantaggio e emarginazione. Una minoranza è causa di HANDICAP e nella realtà lo diventerà se non saremo in grado di offrire risorse educative, culturali, economiche e relazionali a colui che presenta un deficit o minorazione per evitargli una situazione di handicap.

La legge 104 è tuttora in vigore e il linguaggio che usa ritorna in diversi documenti:

Un documento della Presidenza del Consiglio dei ministri, una relazione annuale al Parlamento sullo stato di attuazione delle politiche per l’handicap in Italia relativa all’anno 2000;

Un documento della Corte Costituzionale del 2001 sul diritto di istruzione e l’obbligo formativo di un alunno handicappato;

La bozza di un decreto del Presidente del Consiglio sull’individuazione dei soggetti in situazione di handicap del 2003. L’individuazione di questi soggetti avviene sulla base di accertamenti collegiali disposti dall’Azienda sanitaria locale.

L’Organizzazione mondiale della sanità ha redatto invece un importante documento, l’ICF, dal quale sono spariti i termini “handicappato” e “handicap”, sostituiti da “partecipazione” e “funzionamento” degli individui con situazioni di salute particolari.

Inoltre in Italia, dal 1992 ad oggi, sono stati pubblicati molti scritti per sottolineare come l’handicappato sia lo svantaggio che il soggetto deve subire nel contesto in cui vive, nuocendo al grado di partecipazione di un individuo alla vita quotidiana.

L’handicap non è una malattia, perché allora sono necessari accertamenti medici?! L’elemento dovuto a una conseguenza sociale, va visto in altri contesti.

DISABILE O DIVERSABILE.

Un altro termine diffusosi è DISABILE, per indicare colui che presenta disabilità, cioè che ha impedimenti nel portare a termine compiti abitualmente assolti dagli individui. Potremmo pensare che sia una formula abbastanza neutra, invece contestazioni si sono avute proprio da parte dei disabili e di loro associazioni.

Disabile dichiara solo che ad un individuo mancano una o più competenze, abilità, ma non si dice che egli possiede anche delle ABILITA’.

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Qualche Associazione ha proposto di cambiare il termine in DIVERSAMENTE ABILE, per una lettura in positivo delle caratteristiche possedute dalla persona.

Nel 2003, Anno Europeo delle persone disabili, un altro termine è entrato a far parte del vocabolario, DIVERSABILE, che non troviamo nei dizionari della lingua italiana, ma è in qualche contesto è diventato già uno slogan e ha dato il titolo ad un volume uscito nel 2003 dove sono riportate delle interviste a soggetti che vivono in prima persona esperienze di deficit o menomazioni oppure lavorano con disabili o studiano i problemi educativi.

Claudio Imprudente in un’intervista sottolinea come il termine dis-abile sia statico, un biglietto da visita che parte già male. Mentre la parola diversabile sottolinea una positività e non una negatività. È importante guardare la diversità, tutte le diversità, come risorse, opportunità e non come intralci!

UN DEBITO VERSO LA FRANCIA DELLA PEDAGOGIA SPECIALE ITALIANA.

Non è lunga la pedagogia speciale italiana.

Nel ‘900 in Italia:

Si diffondono notevolmente istituzioni speciali per i soggetti con menomazioni o deficit, sia fisici che intellettuali;

Inizia l’obbligo scolastico per ciechi e sordi, previsto nella Riforma Gentile del 1923; Avviene l’avocazione da parte dello Stato delle scuole per insufficienti mentali.

La pedagogia speciale cambia più volte denominazione, ma mai cambiano i destinatari

dei suoi interventi!

1 PEDAGOGIA EMENDATIVA, dove il soggetto è considerato anormale, fuori dalla norma, perciò da normalizzare, da emendare cioè da correggere attraverso l’educazione.

2ORTOPEDAGOGIA con il compito di prevenire e curare tutte le devianze presentate dal soggetto, per portarlo a comportamenti conformi alle regole.

3PEDAGOGIA CURATIVA, quando la diversità sarà considerata malattia, perciò da curare.

4PEDAGOGIA D’AIUTO, perché il soggetto è fragile e va aiutato.

5PEDAGOGIA DI SOSTEGNO, quando si penserà che il disabile abbia bisogno di un’educazione

che lo sostenga, sia in senso fisico che morale.

6PEDAGOGIA SPECIALE, perché riteniamo che a bisogni educativi speciali debbano essere date

risposte speciali.

Per il diverso il riconoscimento del diritto all’educazione e all’istruzione è stato una difficile conquista!

Nel ‘700 l’interesse educativo infatti era limitato ai soggetti con deficit sensoriali, considerati come esempi da studiare singolarmente all’interno di una teoria nuova della conoscenza.

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La Pedagogia Speciale nasce solamente dopo il XVIII secolo, quando l’attenzione e il desiderio di conoscere più a fondo i DIVERSI non solo nella loro fisicità, m anche nella loro educabilità, diventano componenti di una società che ha acquisito determinate sensibilità culturali e politiche.

Le prime esperienze italiane di educazione dei diversi si hanno con:

Jean-Marc Itard quando inizia ad occuparsi di un diverso, e quasi per caso, è un giovane medico di 26 anni, che ha avuto qualche contatto a Parigi con l’Istituto imperiale per i sordomuti. Itard ha un approccio pedagogico, un modo cioè di affrontare il problema che si fonda sulla cultura contemporanea. Itard è divenuto qualcuno aiutando un essere che non era nessuno a diventare qualcuno! E nel diventare qualcuno, ha lasciato le sue tracce nella Pedagogia speciale italiana.

Edouard Séguinconsidera il soggetto recuperabile. Rifiuta immediatamente il modello di educazione di Itard e fonda la sua prima scuola per l’educazione di insufficienti mentali gravi, al tempo denominati idioti, nella quale teorizza e applica la possibilità di migliorare le motivazioni affettive dei soggetti ritardati mentalmente attraverso la loro partecipazione attiva all’ambiente, il valore e l’efficacia di un intervento precoce e continuo, la possibilità della ricostruzione totale della funzione distorta o non sviluppata. Il modello educativo che propone fa pensare all’importanza data dalla Pedagogia speciale ai processi educativi miranti a far acquisire al disabile il più alto grado di autonomia e all’importanza che la sua formazione avvenga all’interno di un gruppo, contrariamente a ciò che pensava Itard.

GRANDI NOMI SULLO SFONDO DELLA PEDAGOGIA SPECIALE ITALIANA.

Tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 in Italia fiorirono tantissime iniziative a favore dell’educazione dell’infanzia derelitta, deficiente, anormale e delinquente.

Ricordiamo la Lega nazionale per la protezione dei fanciulli deficienti, voluta da Bonfiglioli, direttore dell’ospedale psichiatrico di S.Maria della Pietà in Roma. L’obiettivo era di aprire degli Istituti speciali per insufficienti mentali. L’associazione ebbe l’attiva partecipazione di De Sanctis.

I grandi nomi che fanno da sfondo all’attuale Pedagogia Speciale sono:

Sante de Sanctis, Maria Montessori, Giuseppe Ferruccio Montesano.

Non sono stati gli unici, ma sono quelli che hanno iniziato percorsi nuovi e li potenziano al punto di mostrarne anche oggi la necessità di perseguirli, pur con modalità e strumenti diversi.

Sante de sanctis

Medico, neuropsichiatra infantile e psicologo sperimentale, autore di numerosi scritti, nel 1899 apre a Roma il primo asilo-scuola per minorati psichici, per i quali progetta un rientro attivo nella società grazie all’EDUCAZIONE e alla RIABILITAZIONE attuata su basi scientifiche.

È vivo in lui il principio positivista del ruolo dell’educazione e del ruolo della prevenzione nel trattamento medico-psico-pedagogico.

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Nel modello che propone è dato grande spazio al LAVORO, fondamentalmente per lo sviluppo personale e per la futura integrazione sociale del fanciullo deficiente, che presenta cioè limiti a livello intellettuale.

De Sanctis verifica sul campo le sue teorie, come nell’asilo-scuola per fanciulli di famiglia agiata, da lui fondato nel 1899, nel quale è messo in atto l’insegnamento individualizzato, con lezioni di canto, di educazione fisica e di avviamento al lavoro … aspetti nuovi per gli orizzonti dell’educazione dei disabili del tempo.

Giuseppe ferruccio montesano.

Ha giocato un ruolo fondamentale nella formazione degli insegnanti per i soggetti con ritardo mentale, oltre che per gli studi e per il costante impegno a favore dell’infanzia mentalmente anormale.

Nel 1900 nasce a Roma la Scuola Magistrale Ortofrenica per la formazione di insegnanti per minorenni anormali (di cui ne fu direttore per diversi anni) e nel 1901 nasce l’Istituto medico psico-pedagogico dove le maestre svolgono tirocinio con alunni con ritardo mentale al fine di conseguire la specializzazione e poter insegnare nelle SCUOLE SPECIALI e negli ISTITUTI PER ANORMALI PSICHICI.

Nel 1913 fondò una rivista trimestrale “L’assistenza dei minorenni anormali”,dove molto spazio era dato a relazioni riguardanti le Scuole ortofreniche italiane e di vari paesi europei.

A lui si riconosce di:

Aver dato importanza alla formazione degli insegnanti che dovevano avere conoscenze, metodi

e strumenti speciali, per rispondere a richieste speciali;

Aver intuito il ruolo della specializzazione per questi docenti;

Aver capito la necessità di una formazione continua attraverso il contributo della rivista.

Maria montessori.

Tra il 1898 e il 1900 traduce per sé la prima edizione del Séguin e si fa costruire tutto il materiale didattico del Séguin. Va a Parigi e a Londra per studiare l’applicazione del metodo ma non il libro è introvabile e nessuno consce e adotta il suo metodo. Dopo 60 anni, nel 1907 sperimentò il metodo Séguin apportando alcune modifiche.

La pedagogia della Montessori si radica nella biologia, nella psicologia. È una pedagogia che lei definisce SCIENTIFICA.

Nell’educazione dei soggetti con ritardo mentale vede l’importanza di coniugare le competenze didattiche, possedute dalla maestra, con le competenze del medico.

È il lungo periodo dei MEDICI-EDUCATORI!

Dal deficit del soggetto disabile inizia l’approccio educativo e il generarsi della supremazia dell’ambito medico nell’ideazione dei metodi didattici per ridurre le difficoltà dei soggetti ritardati, malati, amorali.

I medici-educatori credono che ai disabili serva un’educazione creata solo per loro, in ambienti e strutture separate, perché come sostiene la Montessori:

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il cattivo comportamento dei bambini con ritardo mentale potrebbe essere imitato dai

normodotati;

gli stessi bambini ritardati potrebbero subire troppe frustrazioni non riuscendo ad apprendere

come i compagni.

Scuole dunque per tutti, ma scuole SEPARATE.

Un modello che la Pedagogia Speciale italiana oggi non condivide, perché negli ultimi trent’anni vive nell’INTEGRAZIONE!

II Le istituzioni speciali per l’educazione dei disabili.

LE CLASSI DIFFERENZIALI D’INIZIO SECOLO.

Una storia sistematica dell’educazione dei soggetti disabili non è stata ancora scritta, o perché si pensa che non si possa costituire un patrimonio culturale utile alla riflessione, o perché chi si occupa di Pedagogia Speciale si lascia prendere spesso dall’urgenza di affrontare tematiche dettate da eventi che sopraggiungono.

Noi ci occupiamo di un piccolo tratto di storia dell’educazione dei soggetti disabili, quella iniziata con l’obbligo scolastico per alcune categorie di soggetti con menomazioni o deficit.

L’obiettivo è l’INTEGRAZIONE nella scuola comune di alunni con BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI!

Montesano, inoltre, pensò di offrire una chance agli alunni in difficoltà (demotivati, provenienti da famiglie socio-culturalmente deprivate) classi meno numerose e con programmi semplificati.

Nacquero a Roma nel 1908 le prime CLASSI DIFFERENZIALI nelle quali furono accolti coloro che saranno chiamati “bambini tardivi”.

L’esperienza proposta da Montesano ebbe immediato consenso del mondo scolastico e già nel 1910 le classi differenziali romane passarono sotto la gestione del Comune di Roma, mentre in altre città italiane si sperimentavano analoghe iniziative. In questo periodo non esisteva ancora l’obbligo scolastico per questi tipi di soggetti.

Oggi certamente abbiamo un’altra sensibilità, che ci deriva dalla cultura che il nostro tempo ha creato in noi, dalle conoscenze di tipo pedagogico, psicologico e sociologico.

Fu necessaria la Riforma Gentile per avere norme riguardanti l’obbligo scolastico per ciechi e sordi, tutti gli altri soggetti con diverse disabilità non erano tenuti all’obbligo, quindi anche lo Stato non metteva a loro disposizione nessun servizio educativo e d’istruzione.

Le iniziative dei Comuni purtroppo erano limitate alla disponibilità economiche dei vari territori.

La Riforma Gentile fu il primo giro di boa per quanto riguarda l’istruzione e l’educazione dei disabili italiani.

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Un secondo giro di boa si ebbe con il processo di integrazione nelle scuole comuni dei soggetti con bisogni educativi speciali, qualsiasi tipo di disabilità o difficoltà di partecipazione essi presentassero.

Furono poche le classi differenziali statali aperte negli anni successivi e nella maggior parte dei casi accoglievano alunni che ponevano problemi alla scuola, il più delle volte di carattere disciplinare … ed è difficile credere che qui venisse offerta loro un’occasione migliore di scolarizzazione. Queste classi finivano per avere il compito di liberare la scuola comune, almeno in parte, dalle difficoltà che incontrava, più che di rispondere ai problemi posti dagli alunni con bisogni educativi speciali.

Dai registri risulta solo qualche osservazione sull’alunno e niente più. Non si può sapere neanche se gli insegnanti avessero un titolo di specializzazione.

Nel 1933 passarono allo Stato, ma la situazione non cambiò!

SCUOLE SPECIALI E ISTITUTI SPECIALI PER CHI PRESENTA MINORAZIONI E DEFICIT.

Per i ciechi e per i sordi furono istituite le SCUOLE SPECIALI, in plessi distinti. Nacquero anche gli ISTITUTI SPECIALI nei quali furono accolti i bambini e i ragazzi che, per differenti motivi, non potevano vivere in famiglia.

I minorati della vista.

All’inizio del XX secolo ci sono grandi difficoltà all’educazione e all’istruzione di coloro che presentano minorazione visiva.

Il cieco non è sottoposto all’obbligo scolastico e non esistono scuole per ciechi e gli Istituti già

fondati vivevano di beneficienza.

Grazie alla Riforma Gentile furono fissate alcune linee operative:

Scolarizzazione dei minorati della vista;

Nelle scuole speciali fino alla terza classe;

Successivamente dovevano frequentare le pubbliche scuole comuni.

Furono pochi i bambini che in quegli anni passarono dalle Istituzioni speciali alla scuola comune, per non mettere a rischio i risultati conseguiti, sia per lo sviluppo complessivo del bambino non vedente.

Qualche esperienza di coeducazione tra normodotati e ciechi si ebbe nelle scuole elementari di Firenze nel 1926 e i risultati furono più che sufficienti.

Nel 1952 la legge n.1563 impose la frequenza della scuola speciale per tutto il ciclo elementare perché nelle scuole comuni un cieco non avrebbe trovato quegli insegnamenti per lui obbligatori, dettati dalle esigenze della sua minorazione.

I sordi.

Il 1828 fu un anno importantissimo per l’educazione dei sordi: aprì un Istituto a Verona grazie a don Antonio Provolo, uno a Modena per le ragazze sorde e uno a Siena grazie a Tommaso Pendola.

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Molti degli Istituti italiani per sordi avevano alle spalle interessanti esperienze e un dibattito sul metodo più idoneo a educare un sordo:

Farli comunicare attraverso la gestualità;

Avviarli a usare la comunicazione orale.

Lo scontro tra i sostenitori si concluse con il Congresso di Milano nel 1880, che optò per la comunicazione orale, ma negli Istituti continuò ad esserci confusione mischiando i metodi.

Pasquale Ferrari insegnò a lungo nella scuola per sordi e pubblicò diversi lavori sull’educazione dei sordi collaborando anche al Dizionario illustrato di pedagogia.

Dei minorati dell’udito il legislatore non si occupò per diverso tempo, lasciando che le Istituzioni scolastiche funzionassero all’interno degli Istituti per sordi, fino agli anni ’70, quando i primi processi di integrazione scolastica determinarono notevoli cambiamenti.

Anormali psichici.

Anormali psichici i soggetti con deficit intellettuale e problemi psichici, i minori con disabilità non sensoriali.

La sanitarizzazione dell’educazione dei disabili nasce con l’apertura delle stesse Istituzioni che se ne occupano.

Montesano il maestro deve appurare il patrimonio dell’allievo, per aumentarlo poi gradualmente secondo un dato ordine.

De Sanctis non fa parte del campo medico, ma anche lui parla con autorità e critica i Giardini per bambini normodotati.

UNA MEDICALIZZAZIONE DIFFUSA.

Ancora oggi viviamo una realtà nella quale il disabile è visto prima di tutto come un MALATO, poi come UOMO.

Se ci ponessimo nell’ottica di Claudio Imprudente, di un DIVERSABILE, si uscirebbe dal recinto della medicalizzazione. Es: un uomo normale va cavallo e diciamo che cavalca, un disabile cavalca e noi diciamo che fa ippoterapia!

Il linguaggio rispecchia molto bene i nostri pregiudizi!

La nostra società ha riservato al DIVERSO sia una speciale attenzione, sia una buona dose di negazione! La medicalizzazione incombe tuttora, basti pensare che è affidata ad un’equipe medica sentenziare se uno è disabile oppure no!

GLI ANNI 50 E 60.

Si deve attendere il 1952 per vedere statalizzate le scuole elementari per ciechi e ribadito il concetto che solo i ciechi educabili sono soggetti all’obbligo scolastico, da assolversi nelle scuole speciali.

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Il Ministero della Pubblica Istruzione intervenne con due circolari con le quali assegnava ai servizi medico-psico-pedagogici i compiti d’individuare i soggetti da avviare alla scolarizzazione separata, cioè nelle scuole speciali e nelle classi differenziali.

In quest’ultime andavano i bambini rapidamente recuperabili sul piano dell’apprendimento grazie alla frequenza in classi poco numerose e quindi reinseribili in breve tempo nella scuola elementare comune.

Nel 1962 entra nell’equipe il pedagogista, riducendo lo spazio al controllo della

medicalizzazione.

I bambini sottoposti all’esame delle commissioni erano perlopiù bambini dei quali la scuola

non riusciva a sollecitare interesse, poco sostenuti dai genitori che non riconoscevano nella

scuola un valore.

Le uniche categorie dei minorati che non frequentarono le classi differenziali furono i

minorati della vista e dell’udito, perché avevano l’obbligo scolastico di frequentare gli

Istituti e le scuole speciali.

Con un grave ritardo lo Stato promulgò la legge istitutiva della scuola materna statale con sezioni speciali per bambini disabili dai 3 ai 6 anni

III L’integrazione snodo della ricerca della Pedagogia speciale italiana.

DALLE SCUOLE SPECIALI AI PRIMI INSERIMENTI.

Da parte di alcune forze sociali, culturali e politiche ci fu un ripensamento sui modelli educativi fino ad allora praticati a favore dei soggetti con bisogni educativi speciali. Si consolidava l’idea che ci fosse un diverso modo per formarli e istruirli.

Si diffondeva l’idea che il vivere in un ambiente sociale, in un clima di collaborazione e condivisione con i normodotati permettesse ricchi e interiorizzati apprendimenti.

La legge del 30 marzo 1971, specificava che l’obbligo scolastico dei disabili era da assolversi nella scuola pubblica, salvo casi di gravi deficienze intellettive o menomazioni fisiche.

In realtà si verificò un deflusso di handicappati dalle scuole speciali verso quelle comuni.

Pensando a questi anni, si può parlare di un PROCESSO DI INSERIMENTO.

La scuola pubblica ammetteva l’alunno con lievi disabilità, ma questi si doveva adattare alla scuola, ai suoi metodi, alla sua realtà, poiché il suo ingresso era considerato più strumento affinché socializzasse e rimaneva in secondo piano il suo sviluppo cognitivo.

Furono ampliati i compiti dell’equipe medico-psico-pedagogica, in quanto venne chiesto loro di seguire i soggetti con difficoltà all’interno delle classi comuni quando dimostrassero di aver bisogno di trattamenti educativi differenziati, soprattutto interventi dello psicologo e del pedagogista per rispondere a problemi comportamentali, di apprendimento.

LA RELAZIONE CONCLUSIVA DELLA COMMISSIONE FALCUCCI.

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Agli inizi degli anni ’70 fu istituita una COMMISSIONE con il compito di esaminare i problemi scolastici degli alunni disabili.

La Commissione chiuse i lavori nel 1975 con un documento finale che va sotto il nome di Relazione della Commissione Falcucci con oggetto i problemi scolastici degli alunni handicappati, i metodi usati, le risorse che la scuola deve disporre.

La Commissione proponeva di accogliere tutti i bambini in situazione di handicap nelle scuole materne normali, sottolineando l’importanza degli interventi precoci nell’educazione, nella riabilitazione e nell’abilitazione di coloro che presentano BISOGNI SPECIALI dovuti a disabilità.

Una scuola per tutti, abili e diversamente abili!

La scuola, secondo la Relazione Falcucci, è il contesto nel quale ogni soggetto potrà realizzare al meglio le proprie potenzialità ma specifica anche che il fatto che gli handicappati frequentino la scuola comune non comporti necessariamente il raggiungimento di mete culturali comuni.

Tutti possono camminare sulla stessa strada, ma ognuno con il suo passo!

La Commissione precisa che una classe con un disabile non può superare il limite medio di 15-20 alunni.

Nonostante tutto l’integrazione restava un’opportunità per i soggetti con lieve disabilità, ma chi può giudicare e stabilire quando è grave

GRAVI, GRAVISSIMI. PER CHI L’INTEGRAZIONE?

Ci sono tante esperienze splendide sull’integrazione, noi esaminiamo un lavoro pubblicato

nel 2002.

È il racconto di un’insegnante specializzata per l’integrazione che racconta la sua esperienza didattica con Federico, un bambino cieco dalla nascita la cui situazione è aggravata dall’impossibilità di rimanere in piedi da solo, di camminare e di poter usare la mano sinistra. L’autrice incontra Federico in prima elementare, ma il libro nasce dopo alcuni anni, quando il ricordo di quel bambino è un’immagine positiva e vitale che ha incarnato il suo sogno giovanile che l’impossibile bisogna desiderarlo e volerlo intensamente perché si avveri!

Federico a sei anni non riusciva ancora a tenere la testa eretta, segno di attenzione di quanto accade intorno. In classe reclinava il braccio e appoggiava la testa e rimaneva ore fermo, chiuso nel suo mondo.

Un disabile grave, anzi gravissimo qualcuno può pensare.

Non vede e non ha mai visto, non cammina, usa una sola mano, sembra incapace di interessarsi a qualcosa, teme i rumori e la confusione, non esprime i suoi bisogni e il suo disagio può diventare solo pianto.

Se l’insegnate si fosse limitata a osservare ciò che a Federico MANCAVA, lo avrebbe giudicato NON IDONEO a una integrazione scolastica. Purtroppo siamo portati a vedere

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sempre ciò che manca rispetto allo STANDARD, ma così rinunciamo come educatori, come insegnanti, come genitori a crearci il terreno per LAVORARE PER EDUCARE, ISTRUIRE, SOCIALIZZARE un bambino, un ragazzo, un giovane in situazione di disabilità!

Bisogna prendere in considerazione ciò che POSSIEDE, puntando al pieno sviluppo di tutte le sue POTENZIALITA’.

L’insegnante quando incontra Federico si trova di fronte a un bivio:

Seguire il bambino inserito nel gruppo classe per tutto il tempo scolastico; Ritirarsi nella stanza di sostegno per individualizzare non solo le strategie, ma anche i ritmi

e i contenuti.

Scelse la prima perché ritirarsi nella stanza di sostegno sarebbe stato un ulteriore isolamento e la scuola privandolo del contatto dei coetanei, sarebbe venuta meno al suo compito di spingerlo in avanti ed avrebbe contribuito ad accentuare il suo isolamento e il suo svantaggio!

Si poneva un altro problema: come far sì che il bambino fosse INTEGRATO e non solo INSERITO!

Per inserire basta far posto ad un nuovo membro, ma nel processo di INSERIMENTO la scuola è tenuta a migliorare lo sviluppo delle potenzialità del disabile, avvengono tanti CAMBIAMENTI.

Il soggetto con minorazioni o deficit dovrà essere aiutato a sviluppare un PROCESSO DI COMPENSAZIONE che può avere una molteplicità di conclusioni tra i due estremi: SCONFITTA e VITTORIA.

Quando i COMPORTAMENTI COMPENSATIVI non sono accolti dalla collettività alla quale il disabile appartiene, le sue capacità diventano HANDICAP.

Quindi la gravità di un soggetto, in un certo momento, non può mai essere il termine per fissare un tipo di PROPOSTA EDUCATIVA e FORMATIVA piuttosto che un’altra e non deve essere l’occasione per attuare una SENTENZA inappellabile per soluzioni segreganti.

Luigi D’Alonzo l’integrazione degli alunni gravi giova sia alla persona disabile sia alla persona normodotata.

LA LEGGE 4 AGOSTO 1977, N.517, E L’INTEGRAZIZONE SCOLASTICA.

L’integrazione sperimentata da Federico è stata possibile grazie alla legge n.517 del 1977.

Quella che si intravedeva nella legge 517/1977 era una scuola che cominciava a cambiare i propri modelli didattici, che usciva dal chiuso delle singole aule scolastiche per fare ESPERIENZE DI INTERCLASSI, rompendo gli schemi tramandati da generazioni di docenti, tanto da poter accogliere nelle attività anche gli alunni disabili.

Occorrono strumenti in grado di facilitare il processo di integrazione e questi strumenti sono gli INSEGNANTI SPECIALIZZATI per la didattica ad alunni disabili.

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Questa legge prevedeva anche l’abolizione delle classi di aggiornamento e classi differenziali, ma manca di funzionare da bussola per la scuola, che si trova a vivere un TEMPO NUOVO, certamente stimolante, ma anche pieno di difficoltà.

Il Ministero della Pubblica Istruzione con la circolare ministeriale n.216 riconosce l’importanza di integrare gli alunni disabili nelle scuole del territorio nel quale essi vivono per consentire una maggior socializzazione e dargli la possibilità di avere degli amici vicini.

Nel 1975 furono istituiti, presso i Provveditorati agli Studi, dei GRUPPI DI LAVORO con la funzione di:

Conoscenza dei fenomeni del territorio, in rapporto agli alunni disabili e alle risorse disponibili per la loro scolarizzazione;

Attività di coordinamento e di programmazione delle attività dell’equipe psico-pedagogiche; Attività di aggiornamento permanente del corpo insegnante sulle tematiche dell’educazione e

dell’istruzione di alunni con disabilità.

LA LEGGE QUADRO 5 FEBBRAIO 1992, N.104.

Il 5 febbraio 1992 è approvata la LEGGE QUADRO PER L’ASSISTENZA, L’INTEGRAZIONE SOCIALE E I DIRITTI DELLE PERSONE HANDICAPPATE.

Il suo focus è l’INTEGRAZIONE, orientata a favorire l’opportunità di vita autonoma e di partecipazione del disabile, un’integrazione che non si può limitare a un periodo di vita dei soggetti con bisogni speciali, ma che deve comprendere la SCUOLA, IL MONDO DEL LAVORO, IL TEMPO LIBERO!

Il ruolo assegnato alla società è di promuovere il superamento di ogni forma di emarginazione e di esclusione sociale del disabile, attraverso il rispetto dei suoi diritti riguardante:

L’assistenza;

L’integrazione scolastica;

L’integrazione nel mondo del lavoro;

Il tempo libero.

Le linee guida per evitare situazioni di esclusione e ridurre le disabilità là dove siano già presenti sono:

Potenziare lo sviluppo della ricerca scientifica per ridurre i casi di malattia e di disabilità;

Garantire l’intervento tempestivo dei servizi terapeutici e riabilitativi in caso di disabilità;

Rendere disponibili sostegno psicologici e psico-pedagogici alla famiglia del disabile e allo stesso disabile;

Assicurare al disabile gli opportuni strumenti e sussidi tecnici;

Promuovere i processi di integrazione del soggetto con minorazione, deficit o menomazione.

Obiettivi dell’integrazione scolastica:

Sviluppo delle potenzialità nell’apprendimento, nella comunicazione , nelle relazioni e nella socializzazione;

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Integrazione nelle classi comuni, una scuola per tutti ma che non deve offrire a tutti né gli stessi percorsi, né gli stessi strumenti, né le medesime mete.

La legge 104 vuole fare di ogni disabile un membro attivo del contesto sociale!

LA RICERCA IN PEDAGOGIA SPECIALE E L’INTEGRAZIONE.

Le ricerche della Pedagogia Speciale hanno considerato che il loro campo d’indagine dovesse essere lo studio del RAPPORTO EDUCATIVO e dei suoi METODI, del concetto di EDUCAZIONE del soggetto in età evolutiva con caratteristiche fisiche, sensoriali, psichiche e comportamentali fuori dalla norma!

La Pedagogia Speciale italiana ha allargato il suo campo di studio a TUTTA LA VITA DEL SOGGETTO CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI.

Per questo possiamo parlare di integrazione nella società; il maturare di esperienze dei disabili in contesti extrascolastici ha favorito un processo d’integrazione non settorializzata, ma posta in un continuum che attraversa ogni età del soggetto con disabilità.

Parte seconda: figure dell’integrazione.

IV La formazione degli operatori scolastici nel quadro delle professioni educative al servizio dell’integrazione scolastica.

DALL’INTEGRAZIONE ALLE INTEGRAZIONI.

Oggi la scuola italiana presenta una situazione d’integrazione degli alunni con disabilità in continua trasformazione. Occorrono risorse materiali e risorse umane per realizzarsi come processo di qualità.

Oggi la scuola deve fronteggiare la richiesta di bisogni educativi di tutti quegli alunni che si segnalano per diversità senza essere disabili:

Alunni appartenenti a famiglie emigrate da nazioni con lingua, costumi e religione differenti; Bambini e ragazzi entrati nella scuola italiana con un precedente inizio di scolarizzazione in un

altro contesto culturale; Esistono ambienti familiari socio-culturalmente deprivati che forniscono scarse competenze; Vi sono alunni che non trovano nella scuola motivazione a causa di problemi personali, o per la

didattica; La scuola di ogni ordine e grado è frequentata da soggetti che vivono in realtà familiari

problematiche e che presentano disturbi a relazionarsi con i coetanei.

Dobbiamo quindi parlare di PLURALITA’ DI INTEGRAZIONI!

La classe deve essere progettata come luogo educativo di incontro dei bisogni di tutti. Deve rispondere ai bisogni DIVERSI dei DIVERSI ALUNNI, questa è una scuola che individualizza i suoi obiettivi, le didattiche che utilizza e i contenuti che propone in rapporto alle diversità degli alunni.

Una scuola qualitativamente migliorata saprà:

Mettere in evidenza i bisogni e non le limitazioni degli alunni; Scegliere di operare primariamente sulle risorse dell’individuo;

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Considerare il momento di accoglienza un momento prioritario; Sollecitare la partecipazione di ogni alunno; Tenere presente i fini ultimi dell’azione educativa.

TANTE VOCI PER FORMARE IL CORO DELL’INTEGRAZIONE.

È impensabile che i docenti possano da soli fronteggiare queste problematiche che la scuola si trova avanti quotidianamente, senza avere una collaborazione.

La scuola di ogni ordine e grado ha bisogno di formare tutti gli insegnanti sui problemi che scolasticamente pongono gli alunni con problemi educativi speciali.

La giustificazione degli insegnanti è l’ignoranza rispetto ai modi di rapportarsi e l’inesperienza rispetto alle tecniche e alle strategie didattiche da utilizzare con i soggetti con bisogni educativi speciali.

Limitarsi ad essere bravi docenti dei bravi alunni è venir meno al proprio ruolo di educatori e docenti!

OPERATORE TECNOLOGICO PER L’INTEGRAZIONE DEI DISABILI.

Accantonando la figura che conosciamo dell’INSEGNANTE DI SOSTEGNO, proponiamo un OPERATORE SCOLASTICO che abbia delle COMPETENZE TECNOLOGICHE.

OPERATORE TECNOLOGICO PER L’INTEGRAZIONE DEI DISABILI dovrebbe essere aggiornato su ciò che di nuovo è sul mercato nel settore delle nuove tecnologie per la didattica, sia per gli ausili informatici per i disabili, sia nel settore del software didattico comune e speciale. C’è bisogno di esperti nel settore!

Dovrebbe inoltre possedere competenze nelle tecniche classiche legate all’educazione e all’istruzione dei soggetti con particolari minorazioni, come la conoscenza della lingua dei segni per interagire con alunni sordi o sapere l’alfabeto Braille per la lettura e scrittura dei ciechi.

Infine dovrebbe possedere una solida cultura dell’INTEGRAZIONE e una cultura della DIVERSITA’, senza pregiudizi che sono i maggiori impedimenti alla realizzazione delle potenzialità di ogni singolo disabile.

Pensando alla formazione di questo operatore si fa riferimento all’importanza di un TIROCINIO, anche se poi nella realtà si troverà ad affrontare dinamiche di gruppo che dovrà saper gestire all’interno di modalità relazionali educativamente corrette.

Sarà in collegamento sia con gli insegnanti che con la famiglia del disabile.

Si tratta di richiedere una formazione in progress che dura tutto l’arco della vita professionale.

I COLLABORATORI SCOLASTICI NELL’INTEGRAZIONE DEGLI ALUNNI DISABILI.

Il collaboratore scolastico è tenuto a prestare ausilio all’alunno disabile nell’accesso dalle aree esterne alle strutture scolastiche, all’interno e nell’uscita da esse, nonché nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, 1993.

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Nel 1999 si ha una rettifica, non si impone nulla al collaboratore scolastico, ma deve essere una libera scelta.

Con il contratto del 2002-2003 se viene specificata che l’accoglienza da parte del collaboratore scolastico deve essere nei riguardi anche degli alunni disabili, lui è tenuto a farlo e verrà remunerato per questo.

Se il modo di rapportarsi al disabile da parte degli adulti fosse nello spirito dell’accoglienza, dell’accettazione, dell’incoraggiamento, la scuola sarebbe in grado di formare bambini, ragazzi e giovani alla cultura della diversità e alla cultura dell’integrazione.

GRUPPI DI STUDIO E DI LAVORO PER L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA.

Sono stati pensati due importanti strumenti dalla legge 104:

Gruppo di lavoro provinciale per l’integrazione scolastica partecipano rappresentanti delle associazioni degli handicappati, esperti della scuola, esperti degli enti locali, dei servizi sanitari;

Gruppo di lavoro e di studio devono essere istituiti presso ogni circolo didattico ed istituto di scuola secondaria di primo e secondo grado e non tutti coloro che ne fanno parte sono professionisti (genitori dei disabili, compagni di classe..).

I familiari che partecipano al gruppo di lavoro possono essere utili per indicare quali sono i punti di forza e di debolezza del proprio figlio disabile. È un modo per impegnarsi affinché le proposte della scuola di integrazione del disabile non si esauriscano tra le mura della scuola, ma si estendano anche nelle famiglie, al tempo libero.

La presenza degli alunni nel gruppo di studio, è di rappresentanza democratica e un’occasione per avere delle proposte a misura di classe.

Il gruppo di lavoro interprovinciale ha compiti di consulenza, di proposta e di collaborazione con tutti gli organi che operano sul territorio e presenta una relazione sull’andamento dell’integrazione annualmente al Ministero dell’Istruzione e al Presidente della Giunta regionale.

Compiti del gruppo di lavoro secondo Marisa Pavone:

Ricognitivi (raccolta dei dati circa la realtà scolastica ed extrascolastica); Organizzativi (gestione delle risorse come distribuzione delle ore di attività di

sostegno, utilizzazione delle compresenze dei docenti, attivazione di consulenze esterne);

Progettuali ( progetti per la continuità tra ordini scolastici, per l’aggiornamento dei docenti …)

Consultivi ( iniziative per sollecitare collaborazioni tra docenti).

Se veramente le figure che operano nella scuola in rapporto all’integrazione dei disabili e alle integrazioni di tutti coloro che presentano bisogni educativi speciali sapranno collaborare e complementare le proprie azioni, si realizzerà un processo in grado di contribuire allo sviluppo delle potenzialità di ogni alunni, abile o diversamente abile, e alla sua piena integrazione scolastica, premessa per una futura integrazione sociale.

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V L’insegnante specializzato per l’integrazione scolastica.

UNA FIGURA TRA “SPECIALIZZAZIONE” E “SOSTEGNO”.

Nelle Scuole Magistrali Ortofreniche romane potevano conseguire la specializzazione solo i maestri interessati a insegnare nelle istituzioni speciali per anormali psichici e nelle classi differenziali, mentre per la docenza nelle scuole speciali per ciechi e sordi, fino alla Riforma Gentile, i maestri si formavano presso gli istituti nei quali erano educati i soggetti con queste minorazioni.

Solo dopo il regolamento generale furono istituite le SCUOLE DI METODO per gli insegnanti per alunni ciechi e sordi.

La tradizione di specializzare gli insegnanti che si vogliono dedicare all’educazione e all’istruzione dei disabili, non è nata oggi.

Oggi non si parla di insegnante specializzato, ma di INSEGNANTE DI SOSTEGNO, termine comparso la prima volta nel 1979.

Con la chiusura delle scuole speciali la scuola si sarà trovata in difficoltà perché i docenti specializzati erano pochi. Oggi ancora nelle scuole ci sono docenti con il compito di insegnante di sostegno senza alcuna specializzazione.

DALLA FORMAZIONE MONOVALENTE ALLA FORMAZIONE POLIVALENTE PER ORDINI SCOLASTICI.

La formazione dei docenti nasce dal T.U. del 1928 che prevedeva dei corsi di fisiopatologia dello sviluppo fisico e psichico, nei quali conseguivano la specializzazione per poter insegnare nelle scuole con particolari finalità ciò è avvenuto per circa 50 anni. I corsi erano annuali, molto spazio veniva dato alla didattica speciale, alla legislazione scolastica, agli ambiti clinici connessi alle patologie.

L’anno 1975 costituì un momento di svolta per la specializzazione dei docenti per gli alunni disabili. Fu emanato il Decreto n.970 che passò da corsi annuali a CORSI BIENNALI aperti solo previa autorizzazione ministeriale.

Nel 1977 comparvero i primi programmi per i corsi di specializzazione. Prevedevano la formazione elusivamente per docenti di scuola elementare. Nei programmi si iniziava a parlare di POLIVALENZA, ma in realtà era possibile specializzarsi per uno dei 3 indirizzi previsti:

Disabili psicofisici;

Minorati della vista;

Minorati dell’udito.

Questa riforma ebbe vita breve. Il 4 aprile 1984 il ministero della Pubblica Istruzione istituì una COMMISSIONE DI STUDIO con il compito di fare proposte per il riordino dei corsi.

I programmi furono pubblicati nel 1986 e tra gli elementi significativi ricordiamo:

La scelta culturale della formazione polivalente; La riduzione dell’area sanitaria a favore dell’area didattico-educativa;

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Lo spazio dedicato al ruolo che deve avere l’osservazione nell’attività didattica; La specificazione dei compiti che l’insegnate specializzato dovrà assolvere per

favorire i processi d’integrazione dei disabili.

Tutto questo fino al 1992.

Nel biennio 1993-1995 furono sospesi i corsi di specializzazione non gestiti dal Provveditorato per le irregolarità rilevate in molti corsi. Solo nel 1995 ci fu la riapertura dei corsi di specializzazione per l’integrazione e nel frattempo era già uscita la legge quadro 104.

Secondo i nuovi programmi tutta la comunità scolastica è il referente per l’integrazione scolastica del disabile e ciò sarebbe più facile se il corpo docente potesse aggiornarsi, con modalità di crediti formativi accertati.

I programmi del 1995 articolano la formazione dello specializzando in 5 aree:

1. Il quadro; 2. Il soggetto; 3. Il metodo; 4. I linguaggi; 5. La professionalità.

Una lacuna è l’assenza di DIDATTICA SPECIALE.

Si dovrebbero avvicinare tutti i docenti ai problemi che presentano gli alunni con bisogni educativi speciali, non per far di tutti degli specializzati, ma per SENSIBILIZZARE tutti ai problemi del disabile e sviluppare la CULTURA DELL’INTEGRAZIONE.

QUANDO SI CAMBIA.

Il ruolo che la legislazione scolastica riconosceva ai docenti come CORRESPONSABILI degli alunni dell’intera classe e non solo del soggetto disabile, non sempre era gradito agli insegnanti di classe, abituati a essere docenti unici e non EQUIPE DI DOCENTI e portarti a deresponsabilizzarsi rispetto all’insegnamento dovuto al disabile.

Al docente specializzato è chiesto di collaborare con i docenti di classe e con i membri dell’equipe che seguono il disabile, con la famiglia dell’alunno e con il gruppo di lavoro e di studio per l’integrazione d’istituto.

Dalla collaborazione potranno nascere programmi, metodi, strategie e strumenti didattici usati dai normodotati ma proponibili al disabile.

ESIGENZE DIVERSE NEI VARI ORDINI SCOLASTICI.

Il primo ordine scolastico ad affrontare l’integrazione dei disabili è stato quello elementare e i disabili provenivano dalle scuole speciali e dalle classi differenziali.

Il MODELLO D’INTERAZIONE tra la scuola comune e l’insegnante specializzato per il sostegno è stato costruito sul campo della SCUOLA ELEMENTARE. Lo stesso modello è stato presentato poi alla SCUOLA MEDIA.

Il problema più rilevante è nato nel momento in cui è stato garantito il diritto a frequentare la scuola secondaria di secondo grado all’alunno disabile. Fu inserita

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nei corsi una quarta sezione, dedicata alla preparazione per i docenti della scuola secondaria di secondo grado.

Una volta entrati nelle SCUOLE SUPERIORI, i docenti di sostegno si trovarono nella condizione di ricevere richieste difficilmente sostenibili e per niente in linea con il processo di integrazione. Veniva chiesto loro di essere esperti disciplinari, di occuparsi solo del disabile, quasi come un custode.

UNA FUGA DI RISORSE.

La scuola italiana denuncia la mancanza di insegnanti specializzati per l’integrazione scolastica come mai?

Non ci sono corsi di formazione sufficienti?

Molti poi diventano insegnanti di classe?

Un numero elevato di docenti specializzati rinunciano ad essere insegnanti di sostegno:

Posizione frustante; Mancanza di risorse sul territorio; Insufficienti interventi dei servizi sanitari, fondamentali per la progettazione di un

serio lavoro educativo con disabili. A volte si sentono considerati con insegnanti di serie B; Oppure le competenze che la scuola richiede di possedere vanno oltre quelle che

dispone, perciò entra in crisi e subisce il BURN-OUT (cortocircuito)professionale.

Burn-out è una sindrome di esaurimento emotivo, di spersonalizzazione. Di ridotta

realizzazione personale che può insorgere in operatori che lavorano a contatto con la gente. Il soggetto si sente in tensione, inaridito nel rapporto con gli altri, tende a comportarsi in modo sgarbato, in lui viene meno il desiderio di operare, avere successo, interagire con i colleghi, con i soggetti verso i quali la sua professionalità lo porta. Malumore, irritazione quotidiana, l’operatore si

sente pervaso dal malessere e da repulsione nei confronti della propria attività lavorativa.

Vie di fuga dal Burn-out:

Cambiare lavoro; Cambiare se stessi con psicoterapia; Separare la vita professionale da quella privata; Strumentalizzare la professione per i propri interessi privati.

SPECIALIZZARSI NELLE SSIS PER IL SOSTEGNO.

SSIS Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario. Tra le discipline non c’è didattica speciale, né pedagogia speciale … sono solo 800 ore per formare insegnanti già in possesso di un’abilitazione.

Ai docenti che intendono specializzarsi per l’integrazione degli alunni disabili, occorre appropriarsi di STRUMENTI per portare a termine compiti a volte molto difficili.

Viene chiesto loro di avere:

Competenze disciplinari;

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Capacità didattiche;

Metodi e strategie adeguate a situazioni di apprendimento ;

Conoscenze pedagogiche e psicologiche VI L’educatore professionale: modi e luoghi dell’operare.

LE PRIME INIZIATIVE DI FORMAZIONE.

La figura dell’EDUCATORE degli anni ’50 era un soggetto privo di titoli particolari di studio ed essenzialmente utilizzato nell’assistenza dei minori in difficoltà in:

Carceri minorili;

Collegi;

Orfanotrofi.

La figura dell’EDUCATORE PROFESSIONALE in Italia nasce dall’evoluzione della figura di un OPERATORE SOCIO-EDUCATIVO che, dalla fine degli anni ’60, si è messo a servizio delle categorie

emarginate della società e non solo dei minori e si rese necessaria una formazione.

Si aprirono così le prime SCUOLE PER EDUCATORI SFES Scuola Formazione Educatori Specializzati. Ma c’era molta confusione soprattutto alle denominazioni: educatore di gruppo-appartamento, educatore di distretto, educatore-animatore, educatore socio-culturale …

LE ISTITUZIONI FORMATIVE DEGLI ANNI ’80.

Solo negli anni ’80 la legislazione richiederà al personale chiamato a compiti educativi di possedere uno specifico titolo di studio.

Il decreto del Ministero della Sanità del 10 febbraio 1984 decreto degan, dal nome del Ministro, aveva per oggetto Identificazione dei profili attinenti a figure nuove atipiche o di dubbia iscrizione.

Tra le figure prese in considerazione dal decreto c’è l’ EDUCATORE PROFESSIONALE, che deve essere in possesso di un attestato di corso di abilitazione biennale svolto in presidi del Servizio Sanitario nazionale.

Con questo decreto lo Stato assume un ruolo di coordinamento e di mediazione, di potenziamento e di valorizzazione delle risorse.

FORMARSI OGGI.

Nel 1994 nell’istituzione del corso di laurea in Scienze dell’educazione, con indirizzo Educatore professionale extrascolastico, all’interno della facoltà di Scienze della Formazione.

Un corso di laurea quadriennale, con meno spazio dedicato al tirocinio ( da 1200 ore a 200/400 ore), ma con più spazio all’acquisizione di competenze in ambito:

Pedagogico; Psicologico; Sociologico; Sanitario.

UN DECRETO UTILE?

Decreto del Ministero della Sanità 8 ottobre 1998 n.520 una svolta importante per il riconoscimento della figura dell’educatore nell’ambito del SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE. Crea confusione perché separa l’ambito sanitario da quello sociale.

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Perché chiamare allora EDUCATORE una figura che non si vuole più di tanto con competenze educative, ma sanitarie??!!

Il decreto pone la supremazia dell’area sanitaria. Eppure tra i compiti assegnati dal decreto all’educatore professionale, di sanitario c’è ben poco!

Programma, gestisce, verifica interventi educativi mirati al recupero e allo sviluppo delle potenzialità dei soggetti in difficoltà;

Contribuisce a promuovere e organizzare strutture e risorse sociali e sanitarie; Programma, organizza, gestisce le proprie attività professionali all’interno di servizi socio-

sanitari e strutture socio-sanitarie-riabilitative e socio-educative; Opera sulle famiglie e nel contesto sociale dei pazienti, allo scopo di favorire il reinserimento

nella comunità; Partecipa ad attività di studio, ricerca e documentazione.

Nonostante operi nell’ambito sanitario, è in primo luogo un EDUCATORE impegnato in un processo educativo.

Oggi esistono due classi di lauree:

Scienze dell’educazione e della formazione; Facoltà di medicina e chirurgia

UNA PROFESSIONE RICONOSCIUTA.

Il decreto degan riconosce giuridicamente la figura dell’educatore professionale. Con il decreto n.309 del 1990 si prevede l’educatore professionale nei servizi socio-sanitari.

L’educatore visto quindi come professionista a tutti gli effetti. Chiamato ad assolvere compiti di:

Cura; Riabilitazione nel senso di potenziare le risorse disponibili nel soggetto; Prevenzione.

Un ultimo riferimento giuridico: la legge 8 novembre 2000 n.328, LEGGE QUADRO PER

LA REALIZZAZIONE DEL SISTEMA INTEGRATO DI INTERVENTI E

SERVIZI SOCIALI.

All’educatore è dunque richiesto di specializzare l’elaborazione, in forme extrascolastiche, del tempo dell’agire umano con fini di relazione, di comunicazione, di cooperazione e di divertimento.

Essere educatore non è un compito che si può improvvisare poiché si ha una RELAZIONE EDUCATIVA solo quando è intenzionale e connotata dalle competenze dell’educatore.

QUALI COMPETENZE.

Competenze dell’educatore:

Sapere;

Saper essere;

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Saper fare.

L’educatore dovrà acquisire sia nella formazione iniziale, sia nella formazione continua, una serie di saperi in grado di affinarne le capacità di relazione, formazione e partecipazione.

Al pedagogista spetta il compito di elaborare MODELLI TEORICI che poi l’educatore

metterà in pratica, e di volta in volta affronterà le singole situazioni con tutte le variabili, predisponendo piani che cambieranno a seconda delle realtà rilevate e dei bisogni espressi dagli educandi.

La competenze pedagogica dovrebbe funzionare da contenitore di tutti i saperi dell’educatore, è una specie di META-COMPETENZA che permette di rileggere gli altri saperi posseduti dall’educatore, finalizzandoli al cambiamento educativo.

Processo educativo e i suoi livelli:

Analisi dei bisogni;

Progettazione;

Azione formativa;

Valutazione dei risultati.

Tutti ciò costringe l’educatore a mettere ordine nella sua mente prima che nell’operato stesso. Nella stesura della programmazione educativa non bastano gli obiettivi che si vogliono perseguire, ma si deve specificare la modalità, le strategie alle quali si intende ricorrere e le risorse umane ( professionisti, familiari, figure esterne, volontari, consulenti) o materiali (risorse economiche, mezzi tecnici) alle quali si vuole far riferimento e il tempo entro cui si vuole compiere la valutazione.

In ambito extrascolastico la valutazione è complessa perché ci sono molte variabili che entrano in gioco e sono spesso di difficile controllo.

METTERE IN RETE LE RISORSE.

Quando l’educatore professionale si trova a operare a favore di soggetti con bisogni educativi speciali deve saper mettere a confronto realtà anche molto differenti tra loro quali:

La famiglia;

La scuola;

Le agenzie extrascolastiche;

I servizi territoriali.

Questi contesti devono essere messi in rete, cioè devono esser fatti INTERAGIRE!

Il primo compito dell’educatore è quello di restituire una visione positiva del proprio essere al soggetto, promuovendo modelli centrati sulle RISORSE e sulla SALUTE di questi.

Maria Teresa Cairo la patologia determina un solo modo di essere, la normalità offre tante possibilità.

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Il soggetto in situazione di disagio potrà prendere coscienza dei limiti giorno dopo giorno, ma con la presenza attenta dell’educatore non rinuncerà, ma si porrà sempre nuovi obiettivi da raggiungere.

L’educatore deve operare per far sì che l’educando cammini con le proprie gambe, a farcela da solo, far sì che la sua presenza non sia più necessaria.

L’educatore deve saper modificare se stesso nella relazione, deve sapersi allontanare

progressivamente, affinché il soggetto in difficoltà possa divenire PROTAGONISTA DEI

TRAGUARDI che raggiunge!

Parte terza: strumenti per l’integrazione.

VII Relazione educativa e relazione d’aiuto.

NON UNA QUALSIASI RELAZIONE.

L’educatore deve avere:

Competenze pratiche;

Competenze teoriche.

La differenza tra relazione e relazione educativa è l’intenzionalità o meno dell’educatore.

La RELAZIONE EDUCATIVA è infatti l’insieme dei rapporti sociali che si stabiliscono tra

educatore ed educando. Questa relazione è l’oggetto della pedagogia!

Compito dell’educatore è quello di portare l’educando in un rapporto di equilibrio, il soggetto deve avere fiducia in se stesso e nelle sue capacità.

In ambito extrascolastico i contenuti dell’apprendimento sono per lo più affettivi e della rappresentazione del sé e risulta centrale per l’educatore possedere COMPETENZE RELAZIONALI, cioè sapersi relazionare, oltre che con i bisogni dell’educando, anche con i propri bisogni, le proprie reazioni emotive, con le proprie incertezze e anche con le paure che sperimenta.

EMOZIONI E PAURE.

Le emozioni e le paure riguardano tanto l’educatore quanto l’educando

Paura delle critiche.

Molti educatori temono le critiche dei soggetti con i quali operano, delle loro famiglie, dei colleghi, dei dirigenti dei servizi.

L’educatore deve essere sia consapevole dei propri limiti, sia che le critiche che gli sono rivolte sono infondate. Potrebbero essere solo sentimenti provati da coloro che entrano in rapporto con lui e che scaricano ciò che sentono indesiderabile per sé.

L’educatore può reagire in due modi:

Mostrandosi troppo debole al punto di perdere il suo ruolo educativo;

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Interpretando ogni osservazione in chiave negativa come se fosse un attacco personale.

Paura dell’ostilità.

Temono l’ostilità e lo vivono come un attacco personale.

In molti processi educativi dove l’educando ha bisogni educativi speciali, la

relazione educativa si connota per sensazioni di frustrazione, sia da parte dell’educatore che dell’educando che sempre provocano una certa rabbia.

Non si deve evitare all’educando le situazioni spiacevoli, perché non lo si aiuta a crescere altrimenti!

L’educatore che ha paura dell’espressione della rabbia, cerca di allontanare questo sentimento e di renderlo estraneo al rapporto educativo, ma facendo ciò rischia di restituirlo all’educando.

Paura di perdere il controllo.

Perdere il controllo della situazione, del soggetto, del gruppo o del contesto nel quale sta operando.

Ci sono educatori che si sentono in colpa che si arrabbiano, ma perdere la pazienza è umano

Ogni educatore è tenuto a mostrare capacità di controllo delle proprie reazioni.

Paura degli impulsi sessuali.

Ci sono educatori che evitano rapporti affettuosi all’interno della relazione educativa, adottando modi distanti.

La relazione educativa deve esulare da ogni COINVOLGIMENTO, ma ciò non significa che l’educatore deve comportarsi con freddezza perché potrebbe togliere spontaneità a coloro che interagiscono con lui.

Paura della sofferenza.

Questa situazione può portare l’educatore a non farsi più di tanto coinvolgere nel contesto relazionale. Ha il timore di essere oppresso dai problemi degli utenti, perché l’educatore professionale si può trovare sopraffatto da sfoghi angoscianti.

Alcuni educatori tendono ad evitare un contatto molto diretto.

Certo non è ignorandole che si opera in modo educativo! Entra in gioco la personalità dell’educatore, la sua capacità di introspezione, la conoscenza dei suoi limiti e delle sue risorse, capire come deve coltivarle per svilupparle secondo linee di professionalità.

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CAPACITA’ RELAZIONALI.

L’educatore deve possedere capacità relazionali, cioè la capacità di:

Comunicare non solo con il linguaggio, ma anche con gli atteggiamenti, le espressioni, le azioni;

Pensare prima di agire; Attendere i risultati del proprio operato, spesso i tempi necessari all’evoluzione delle

situazioni sono superiori alle nostre aspettative; Apprendere dall’esperienza, che significa anche imparare dai propri errori; Tollerare le frustrazioni; Collaborare con i colleghi; Mantenere il giudizio aperto ai cambiamenti e muoversi nell’ottica di quelle che

possono essere le necessità delle situazioni; Capacità di osservare; Capacità di ascoltare.

Saper ascoltare e saper osservare sono capacità che l’educatore deve rivolgere all’esterno e a se stesso, perché ci vuole maturità mentale dell’educatore.

Quando smette di mettere al centro l’altro, rischia di cadere nella routine del servizio stesso, perdendo di vista il vero significato del suo operare.

La sua formazione dovrà essere in progress, dovrà aggiornarsi continuamente, stare al passo con i cambiamenti che in ogni società avvengono.

IL SIGNIFICATO DEL LAVORO.

Giorgio Blandino il significato che diamo al nostro lavoro influenza il nostro modo di interagire. Alcuni lavorano solo per lo stipendio, per raggiungere un’emancipazione, per mostrare il proprio valore, per conquistare potere.

Elliot Jaques il lavoro è l’occasione che porta l’uomo ad adattarsi all’ambiente nel quale vive e lo porta a riflettere su se stesso, a conoscersi meglio, a valutare le sue capacità, obbligandolo ad un operato verificabile.

La professione dell’educatore rientra tra le professioni di aiuto, che comportano coinvolgimento emotivo.

Blandino chi è impegnato in attività connesse alla formazione, all’apprendimento, all’educazione si trova a combattere una battaglia contro la distruttività e la morte e contro la sua distruttività e aggressività e contro l’angoscia e i sensi di colpa. Secondo questa teoria in ognuno di noi ci sono parti disruttive , ma anche un contrapposto bisogno di rendere felici gli individui, di aiutarli, di capirli, di occuparsi di loro.

Non è facile aderire alla teoria di Blandino in pieno, ma in ogni educatore si percepisce il desiderio di portare aiuto, di prestare attenzione a chi è emarginato e sottovalutato, di riparare i danni che la società ha provocato.

PROFESSIONALITA’ NON PROFESSIONISMO.

Ogni professione deve essere vissuta con PROFESSIONALITA’.

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Professionalità non è svolgere una professione, ma è vivere l’aiuto non come dovere ma come IMPEGNO!

Caratteristiche di un buon operatore:

Mantenere sempre una capacità critica; Mantenere l’obiettività anche nelle giornate più faticose, negli eventi imprevisti; Superare l’idea che bontà è solo disponibilità; Esser attento al proprio privato.

Professionalità è sinonimo di competenza coniugata ad una maturità personale.

Il mestiere di educatore professionale è certamente difficile e per rispondere alle esigenze poste dagli utenti, richiede un alto livello d’integrazione di tutte le risorse della società.

L’educatore deve stare attento a non avere deliri di onnipotenza che lo portano a guidare la volontà dell’educando entro binari precostituiti, l’obiettivo è renderlo quanto più autonomo possibile.

L’AIUTO DIFFICILE DA ACCETTARE.

Nell’azione dell’educatore c’è l’azione del fare un dono, nel suo operare professionalmente, nel suo progettare, organizzare, monitorare.

Ma dobbiamo ricordarci che colui che riceve il dono si trova sempre in una condizione di inferiorità che può portarlo ad alti livello di risentimento verso il donatore stesso.

VIII Le tecnologie per una didattica orientata all’integrazione.

TANTI CAMBIAMENTI.

Molti sono i cambiamenti avvenuti nella scuola italiana negli ultimi 10-15 anni.

NUOVE TECNOLOGIE.

Nuove tecnologie macchine che hanno a che fare con l’informatica e con il mondo

dei computer.

Alcune RISORSE TECNOLOGICHE possono facilitare PROCESSI DI SCOLARIZZAZIONE, sia di soggetti normodotati, sia i soggetti con bisogni educativi speciali.

STRUMENTI PER L’UOMO.

L’uomo fin dalle origini è sempre stato tecnologico, cioè fabbricatore di strumenti.

Tra gli strumenti che hanno maggiormente segnato la storia ci sono quelli messi al servizio della COMUNICAZIONE, che comprendono anche le risorse rispondenti alla necessità di calcolare in modo rapido.

Nel 3000 a.C. le tavole di calcolo; Nella seconda metà dell’800 i primi calcolatori di tipo elettromeccanico; Nel 1947 fu inventato il transistor che permise al calcolatore di avere dimensioni più

ridotte, di essere più veloce e più economico; Nel 1964 con il sistema 360 IBM nacquero i primi computer della terza generazione;

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Nel 1970 comparve la quarta generazione con macchine più potenti e più economiche;

Negli anni 80 elaboratori in grado di fare molte operazioni contemporaneamente: calcoli, trattare immagini, testi, suoni e svolgere molte attività fino ad allora compiute solo dalla mente umana.

IL COMPUTER A SCUOLA.

In Italia è negli anni ’80 che la scuola apre le porte al computer, prima nei laboratori d’informatica, poi via via nell’attività didattica quotidiana, con la convinzione che il suo uso potesse diventare una

abilità di base, come leggere e scrivere e che dunque l’analfabetismo informatico rischiasse di essere una scelta irresponsabile.

Alcuni autori sostennero che si potesse arrivare all’alfabetizzazione informatica solo attraverso la PROGRAMMAZIONE se sapete dire al computer cose fare le cose che volete, voi siete alfabetizzati (Arthur Luerhrmann).

Altri sostennero che l’informatica doveva essere introdotta come attività opzionale e limitatamente per migliorare l’acquisizione delle abilità di base.

Nel mondo scolastico italiano l’informatica per un certo tempo è rimasta ancorata alla MATEMATICA.

C’è da dire che la scuola in passato ha accolto tante innovazioni apparentemente promettenti e poi è ritornata sui suoi passi. Uno dei fallimenti potrebbe essere che l’innovazione accolta non è andata di pari passo con il ripensamento sul ruolo della scuola, sul suo modo di operare e sul fatto che aprirsi alla tecnologia non significava perdere il patrimonio del passato.

Ormai c’è un ampio consenso sul fatto che l’informatica e il computer vadano affiancate alle altre risorse.

Approvare l’ingresso del computer nelle attività didattiche non è dargli potere onnipotente: dovrà essere uno strumenti come altri, di grande potenzialità, ma che non potrà sostituire il docente, anzi ne sottolineerà la funzione.

Non è certo sufficiente un computer nell’aula per migliorare l’apprendimento degli alunni che

studiano in quel contesto, ma è un apporto tecnologico che il docente può finalizzare

all’apprendimento.

L’insegnante ideale colui che ha acquisito in maniera disinvolta un uso perosnale dell’informatica

e che sa stimolare, motivare gli studenti, a IMPARARE ATTRAVERSO IL COMPUTER rendendo più vivo l’insegnamento e l’apprendimento, ma allo stesso tempo non si fa dominare dalla macchina. Non è più l’unico depositario del sapere e ciò cambia il rapporto tra docente-discente.

La scuola non può essere sorda davanti a uno scenario culturale e tecnologico che è passato alla MULTIMEDIALITA’, all ’IPERTESTO.

IPERTESTI E IPERSCUOLA.

Ipertesto un insieme coerente di nodi e di collegamenti. Il nodo è il documento elettronico ed è la singola unità informativa, la parte più elementare.

Bruner definisce l’ipertesto un amplificatore cognitivo, perché è in grado di accumulare e diffondere attraverso media, le conoscenze disponibili.

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Dunque strategie nuove applicate ai problemi di sempre!

Bruner sostiene che la cultura è una cassetta degli attrezzi di tecniche e di procedure per capire e gestire il mondo. Ogni strumento tecnologico è un attrezzo per partecipare più attivamente alla cultura, alla conoscenza del mondo, alla possibilità di cambiare il mondo stesso rispetto alle ingiustizie che in esso si compiono.

Nella scuola ipertesto e testo sono le facce della stessa medaglia, entrambi strumenti di conoscenza.

Gli IPERTESTI consentono un tipo di apprendimento non lineare, ma associativo, in quanto la possibilità di muoversi liberamente nel testo permette al soggetto di seguire il suo pensiero, senza esser condizionato da una struttura rigida, mentre i TESTI sono una fonte unica del sapere organizzato, dove il percorso è già definito.

Limiti dell’ipertesto:

Data la vastità di informazioni che contiene, l’utente rischia di perdere il ficus della sua ricerca;

Abbia difficoltà nella comprensione riguardante l’organizzazione del materiale.

Iperscuola per essere realizzata ha bisogno di:

Individualizzazione dell’apprendimento; Uso di una didattica multimediale; La scuola deve diventare parte di una rete, di centri interdipendenti.

Solo così la TECNOLOGIA potrebbe essere il modo migliore per ridisegnare il SISTEMA EDUCATIVO.

IL COMPUTER PER L’INTEGRAZIONE DEI DISABILI.

La maggior risorsa che la nostra società ha messo a disposizione dei disabili è stato l’INSEGNANTE DI SOSTEGNO.

Le tecnologie informatiche possono essere dei facilitatori dello sviluppo razionale e cognitivo del ragazzo con disabilità ma certo la tecnologia non può sostituire il docente.

Le nuove tecnologie sono strumenti flessibili in grado di adeguarsi alle esigenze del disabile; a volte sono vissuti dal disabile come un rinforzo della disabilità e per questo vengono accantonati o rifiutati. Per ridurre il disagio occorre sfruttarle adeguatamente, con obiettivi che si adattano alle caratteristiche del soggetto al quale si propongono.

Per ogni realtà, ogni caso, si dovranno pensare, studiare, valutare gli aspetti positivi e quelli negativi, scoprire le vie d’accesso per arrivare all’integrazione che si vuole raggiungere.

Canevaro sostiene che vanno rispettate 3 condizioni quando si propongono ausili tecnologici agli alunni con bisogni educativi speciali delle scuole elementari:

La conoscenza da parte di tutti i bambini dell’ausilio;

La preparazione dell’ambiente e dei materiali necessari;

Tutti i bambini devono imparare a spiegare il funzionamento dell’ausilio.

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Così lo strumento diventa un centro di interesse per tutti gli alunni della classe e un’occasione di apprendimento.

Quando le nuove tecnologie sono ben utilizzate rispondono a 4 domande chiave che si pongono coloro che si occupano dell’educazione, dell’istruzione e dell’ integrazione dei soggetti con disabilità:

Contribuisce ad offrire migliori ed eque opportunità di studio, di lavoro, di comunicazione alla persona disabile?

Contribuisce ad estendere la rete delle relazioni significative del disabile con gli altri?

Consente alla società di utilizzare le potenzialità del disabile?

Tutto ciò avviene senza limitazioni o vincolo rispetto a importanti aspetti della personalità del disabile?

Limite il computer ha un notevole potere d’attrazione e questo potrebbe portare il

disabile a isolarsi dal gruppo dei coetanei. Il computer deve essere sempre mediato dal contatto umano e dalla presenza dell’insegnate, poiché lo guida.

L’apprendimento attraverso l’approccio ludico aumenta la partecipazione, migliora l’autostima del disabile che inizia a vivere l’errore non come un fallimento definitivo, ma come la tappa di un processo di apprendimento, privo di una connotazione negativa.

HARDWARE E SOFTWARE.

Un sistema informatico è costituito da:

Hardware;

Software.

L’hardware ha permesso ai programmi di migliorare nel tempo, fino ad arrivare ad un ambiente interattivo, in cui si percepisce la realtà virtuale.

Software didattico o educativo programmi prodotti per l’insegnamento e per

l’apprendimento di soggetti senza particolari difficoltà ma che in casi particolari, possono essere usati anche con studenti disabili.

Software specialeè pensato per soggetti con disabilità e per alunni con bisogni educativi

speciali.

Software dedicato creato per recuperare alcune disabilità (coordinazione occhio-mano) .

Ci sono software speciali che necessitano di hardware speciali con sistemi di input e periferiche speciali. Anche i programmi speciali possono essere usati dagli alunni senza difficoltà.

Per poter usare facilmente un software della scuola è preferibile che:

sia in lingua italiana;

non abbia costi elevati;

non richieda hardware costosi e di difficile reperibilità.

Un software deve essere INTERATTIVO, per permettere all’insegnante di impostare il livello di difficoltà, deve dare feedback, l’help e l’abbassamento del livello di difficoltà davanti al ripetersi dell’errore.

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I software speciali devono rispondere a delle caratteristiche:

essere semplici da usare;

disporre di una funzione di aiuto;

istruzioni d’uso;

devono essere innovativi;

devono essere motivanti con grafica accattivante;

testi brevi e chiari da comprendere.

I software sono strumenti che il docente deve valutare in rapporto ai soggetti ai quali li propone.

Il computer non sostituisce l’insegnante, ma richiede lo stesso duro lavoro di osservazione, domande, guida e supporto richiesto in ogni situazione didattica.

IX Progetti di vita, orientamento, formazione professionale.

LA DIVERSITA’ VA INTEGRATA.

Gli strumenti, le strategie, le modalità devono essere collocati in un contesto dove un gruppo di persone condivide con il soggetto in difficoltà, esperienze didattiche, ludiche, formative, lavorative … cioè lo integri!

L’integrazione deve avvenire con urgenza e con cautela sembrano quasi inconciliabili. L’urgenza ci fa pensare all’affrettarsi, mentre la cautela alla prudenza. In realtà l’urgenza deve considerare con attenzione tutte le variabili che riguardano colui che verrà integrato, il contesto che integrerà e il processo stesso di integrazione.

Per i familiari del disabile, il negargli il diritto a essere riconosciuto adulto, può esser legato al fatto che ancora conservano nei suoi confronti speranze di cambiamenti, di riduzione del deficit, di cancellazione della diversità. Ammettere che siano adulti è accantonare la speranza di normalizzazione. Su un piano razionale sono consapevoli che non può realizzarsi, ma inconsciamente continuano a sperare che succeda l’impossibile.

Forse per ogni genitore i figli restano sempre un poco bambini, ma per i genitori di un disabile questo atteggiamento è come una forma di difesa, che permette loro di contenere le emozioni e il dolore generato dalla consapevolezza che certe tappe della vita non verranno superate mai dal loro figlio.

QUALI OSTACOLI.

In molti ambiti ci sono forze che si impegnano, giorno dopo giorno, a far sì che i disabili siano un po’ meno handicappati, che la loro qualità di vita migliori e vederli membri sempre più integrati nella società.

Fare progetti di vita per individui in situazione di disabilità significa tenere presente che l’autonomia di ogni individuo non può essere confusa con la sua autosufficienza. Il compito non è semplice e non basta la scuola o la famiglia … ci vuole l’impegno della società perché metta in rete le proprie risorse.

I percorsi e i contributi considerati dalla legge 104, se resi disponibili, utilizzati e adeguatamente monitorati, potrebbero migliorare davvero la qualità di vita. Troppo spesso però non c’è continuità negli interventi, cosa fondamentale per la riuscita di un progetto educativo.

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UN ORIENTAMENTO PRECOCE PER ACQUISIRE ABILITA’.

Le difficoltà che il DISABILE deve affrontare per essere riconosciuto soggetto non di assistenza,

ma PROTAGONISTA DELLA SUA VITA come lo vuole la legge 104, sono davvero tante.

Una delle più radiate difficoltà è determinata dai pregiudizi e dalle paure che colpiscono il disabile in età adulta e si avvicina al mondo del lavoro.

Il disabile ha bisogno di ORIENTAMENTO, perché possa lavorare al proprio progetto di vita che di per sé è un processo educativo.

È indispensabile per l’orientamento conoscere:

le capacità cognitive del disabile; le capacità relazionali; il tipo di disabilità; le sue aspettative; l’autonomia; gli interessi ecc.

altre conoscenze saranno poi costituite dalle risorse del territorio:

i tipi di scuola esistenti; le cooperative sociali; gli ambiti lavorativi dove è ipotizzabile un’integrazione.

PROGETTO FORMATIVO.

Si devono offrire al soggetto INFORMAZIONI QUALITATIVE in grado di incidere sulle condizioni culturali, sociali ed economiche in cui avviene la scelta. L’orientamento non è che un processo educativo finalizzato alla formazione di un’immagine adeguata di sé.

La concezione del percorso orientativo, grazie alla nuova realtà che ha investito il mondo del lavoro è divenuta più complessa. Il progetto formativo necessita di essere INDIVIDUALIZZATO e centrato

sugli aspetti che connotano il disabile.

Non si tratta di indirizzare il disabile verso una specifica professione, ma piuttosto di

metterlo in condizione di sviluppare abilità sociali e attitudine al lavoro.

AVVIAMENTO PROFESSIONALE.

Il collocamento al lavoro rappresenta la felice conclusione dell’iter formativo. Solo

attraverso l’ingresso nel mondo del lavoro e l’INTEGRAZIONE LAVORATIVA che

ogni individuo raggiunge una piena INTEGRAZIONE SOCIALE.

Il solo fatto di avere un lavoro, indipendentemente dall’esserne soddisfatti, in una società come la nostra incentrata sulla produzione, porta a un rispetto e a una stima da parte del contesto sociale che altri non hanno, come le casalinghe alle quali non è riconosciuto il ruolo di lavoratrici.

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Il processo di avviamento lavorativo avviene attraverso interrelazioni tra:

l’individuo in rapporto alle sue capacità relazionali, potenzialità, caratteristiche;

il compito che deve svolgere;

l’ambiente fisico e sociale nel quale deve operare.

Queste componenti devono interagire secondo il criterio della FLESSIBILITA’, per

raggiungere un adattamento tra soggetto e situazione.

Il TUTOR del disabile deve evitare che questi si senta emarginato nel contesto dove sta sperimentando le sue capacità, non deve sentirsi frustato a causa dei fallimenti ripetuti che si trova a vivere.

Purtroppo ancora oggi, i disabili hanno difficoltà ad accedere al MONDO DEL

LAVORO, anche se la legge n.68 del 1999 parla di INTEGRAZIONE SOCIALE e

VALORIZZAZIONE DELLA PERSONA DISABILE e non parla di obbligo ad assumere disabili, ma di ACCESSO DI COLLOCAMENTO MIRATO.

CENTRI DI FORMAZIONE PROFESSIONALE.

Il disabile non deve ricevere una FORMAZIONE PROFESSIONALE SEPARATA dopo un percorso di integrazione nella scuola dell’infanzia e nella scuola dell’obbligo!

Il maggior numero di studenti disabili risulta frequentare istituti e scuole professionali, ma finora avveniva con l’iscrizione nelle classi comuni dei disabili, per i quali venivano attivati percorsi scuola-lavoro per sviluppare un percorso di continuità tra MONDO SCOLASTICO e MONDO DEL LAVORO.

L’alunno disabile invece viene allontanato dalla classe e affidato al CFP Centro Formazione Professionale dove ci si limita ad addestrarlo per un determinato lavoro, questo non è un processo di integrazione!

Purtroppo l’art. 17 della legge 104 stabilisce che nei CFP sono istituiti corsi per persone handicappate non in grado di frequentare corsi normali.

Questa legge che dovrebbe essere per l’integrazione, in realtà concepisce microclassi speciali separate.

LA SITUAZIONE LEGISLATIVA IN MATERIA DI INSERIMENTI LAVORATIVI.

Per quanto riguarda l’INSERIMENTO LAVORATIVO di persone disabili, il principale riferimento legislativo è la legge del 2 aprile 1968, n. 482 che è stata abrogata dalla legge 12 marzo 1999 n.68.

L’inadeguatezza della legge abrogata era nella concezione di risolvere il tutto con la sola

obbligatorietà del collocamento al lavoro. L’esigenza di un collocamento mirato, in base

alla valutazione delle capacità lavorative delle persone disabili, è stata accolta dalla legge 68/1999.

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Tutto questo ha ancora bisogno di leggi regionali e di valutazioni di efficacia, ma sembra che le porte che si aprono alla richiesta di lavoro dei disabili diventino più accoglienti.

X Storie di vita per superare i pregiudizi.

UN DECALOGO.

Nel 1994 il ministero degli Affari Sociali italiano, in occasione della Giornata Mondiale della

Tolleranza, ha presentato un Decalogo Antirazzista.

Punto 2 La diversità non è mai assoluta, è relativa. Siamo tutti

diversi rispetto a qualche cosa!

Qualche tempo fa un disabile ha detto che questa diversità va rispettata, in certi casi è addirittura una ricchezza, in altri una fatica in più.

Diversità non vuol dire meno diritti!

Siamo tutti diversi, perché non siamo dei robot, ma individui con caratteristiche, vissuti,

educazioni, culture, esperienze diverse che ci hanno modellato diversi, ma non di valore

differente, perciò a tutti devono essere riconosciuti pari dignità e pari diritti, perché la vita di

ciascuno di essi possa essere una vita di qualità.

Diversi, ma con dei tratti comuni, eppure questo ci fa paura al punto di negare le analogie che abbiamo con i diversi.

PREGIUDIZI E STEREOTIPI.

Generalizzazioni e pregiudizi sono presenti nel nostro modo di avvicinarsi alle cose e alle persone, perché sono una modalità economica di pensare.

Spesso a causa del pregiudizio non arriviamo a formarci un giudizio derivandolo dalla conoscenza. Molti pregiudizi hanno origine da meccanismi di difesa.

Allport 10 situazioni che portano gli individui ad avere pregiudizi:

la presenza di elementi diversi nella società; processi di mobilità sociale; bruschi cambiamenti sociali e culturali; insufficiente comunicazione tra i membri della società; ampliarsi del gruppo minoritario; presenza di conflitti tra i gruppi; sfruttamento dei membri del gruppo minoritario; non condannare atti di fanatismo e violenza da parte della società; egocentrismo della cultura dominante; opporsi delle minoranze ai processi di integrazione culturale.

Discriminazioni, pregiudizi, stereotipi hanno tutti alla base una MANCANZA DI CONOSCENZA, una limitata INTERAZIONE, una paura di trovarsi SIMILI nella DIVERSITA’.

Per superare il pregiudizio bisogna educare al RISPETTO DELL’UMANITA’ che è negli altri, nei diversi, un’umanità portatrice di ricchezze esistenziali. Occorre fornire altri valori e idee, come lo spirito di collaborazione, il senso di giustizia sociale, il concetto e la volontà di pace.

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È la solidarietà che ci permette di abbattere il muro del pregiudizio e dell’intolleranza, in quanto suppone sempre disponibilità alla stima e alla fiducia reciproca, al rapporto, al dialogo, all’arricchimento personale.

DALLE PAROLE DEI DISABILI.

A loro sono negati tanti diritti a causa dell’ IGNORANZA SOCIALE, dovuta alla scarsa

conoscenza dei loro problemi, delle loro potenzialità e dei loro vissuti.

Sono proprio i disabili che ci hanno dimostrato come può esistere un’ALTERNATIVA!

Loro sanno trarre dalle piccole cose quotidiane stimoli per continuare a credere in un futuro migliore!

Piccole cose che diventano grandi quando è dato loro un grande valore. La diversità esiste, nessuno può negarla, ma non va emarginata. Le persone disabili, nella loro diversità, non possono vivere senza l’affetto, l’aiuto, l’incoraggiamento, la collaborazione di coloro che incontrano sul loro cammino.

La conoscenza apre nuove porte verso la cultura dell’integrazione e della diversità, è un primo passo per farci comprendere che il disabile non è semplicemente un’anomalia del codice genetico, una lesione cerebrale o un danno organico, ma è prima di tutto un INDIVIDUO che non vuole la nostra compassione, ma la nostra conoscenza, capacità di condividere, il nostro saperlo coinvolgere e vuole il nostro rispetto!

GLI SGUARDI DELLA GENTE.

Un diverso, un disabile è spesso guardato più con curiosità che con interesse, e lo sguardo è per eccellenza STRUMENTO DI COMUNICAZIONE.

Claudio Imprudente numerose possono essere le difficoltà che i figli di disabili sperimentano nell’infanzia: la derisione degli altri bambini per le minorazioni o i deficit dei genitori, la precoce assunzione di responsabilità, non provano verso i genitori quel sentimento per dire mio pare è il più forte, la mia mamma è la più bella. Un figlio di disabile può provare vergogna per il deficit del genitore.

ESSERE GENITORI DI UN FIGLIO DISABILE.

I genitori che scoprono di avere un figlio con gravi disabilità sono costretti ad accantonare molte ASPETTATIVE, perché essere genitori di un disabile ti porta a dover affrontare situazioni che altri genitori non affrontano. È doloroso accettare la condizione del figlio!

Il carico emotivo da sopportare è molto alto.

Momenti di disperazione possono cogliere chi deve vivere:

controcorrente, combattendo contro le difficoltà dovute alla salute del figlio; contro i pregiudizi della gente; l’insensibilità della società.

ESSERE ACCETTATI PER IMPARARE AD ACCETTARSI.

Obiettivo primario è l’AUTONOMIA del soggetto disabile che deve essere protagonista della sua vita.

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Nessuno vive isolato e la percezione che io ho di me è legata alla percezione che gli altri hanno di me.

La chiave per poter accettare è dunque sentirsi accolti e amati così come si è.

Il disabile incontra difficoltà a vivere questa situazione, a causa dei pregiudizi che lo rinchiudono nella categoria dei dis-abili, dei privi dunque di abilità!

È importante non fuggire davanti a un limite dell’altro, di non partire dal limite ma dalle risorse che possiede il soggetto.

IL RUOLO DELLA COMPENSAZIONE.

Ogni soggetto in situazione di disabilità è in grado di operare delle COMPENSAZIONI al fine di partecipare alla quotidianità.

Don Milani Dio non fa dispetti all’uomo, né la natura. Un deficit richiama sempre una compensazione: l’organismo si ristruttura e assume capacità diverse.

Questi processi di compensazione devono essere favoriti dalla società!

Vygotskij la compensazione è il risultato di una lotta con due esiti: sconfitta o vittoria.

INTEGRARE O ACCOGLIERE.

Tutte le storie di vita ascoltate ci dicono di non tenere i disabili ai margini, di non discriminarli: ecco perché parliamo di integrazione e non di accoglienza!

Parte..terza:tecnologie..e..contesti..interculturli

IX Tecnologie, disabilità, integrazione.

TECNOLOGIE INFORMATICHE E BISOGNI SPECIALI.

Skinner nel 1985 usò con successo il software PC Coloring Book per lavorare :

sull’aumento dell’attenzione; sulla selezione visiva; sulla discriminazione dei colori; sulla sequenzialità; sulla coordinazione oculo-manuale; sulla pianificazione motoria in pazienti con disabilità cognitiva.

Papert nel 1976 affermava che a seguito del LOGO ( è un linguaggio di

programmazione per computer creato da lui) con bambini disabili, la scoperta del riuscire a fare matematica causa un cambiamento nell’immagine che il bambino ha di sé.

A partire dagli anni ’90 si è cercato di mettere a disposizione del disabile, il sofisticato sviluppo tecnologico per:

compensare bisogni speciali; normalizzare le condizioni fisiche e mentali; potenziare le capacità residue;

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migliorare la qualità di vita.

Le tecnologie possono aiutare il disabile a comunicare e partecipare al contesto sociale e

culturale, aumentare la motivazione all’apprendimento che genera miglioramenti

nell’autonomia con potenziamento del benessere generale del soggetto e della sua

autostima.

I DIVERSABILI E LA SOCIETA’ DELL’INFORMAZIONE: LA CULTURA DELL’ACCESSO.

Il Consiglio Dell’U.E. ha proclamato il 2003 l’ANNO EUROPEO DEL DISABILE per indicare il forte bisogno di impegno sociale, al fine di favorire la riflessione, la discussione e la sensibilizzazione verso le tematiche della diversità, della non discriminazione, della cultura dell’integrazione.

Si è tanto parlato di ACCESSO all’informazione, cioè offrire a tutti le stesse opportunità di scelta e senza limitazioni ed inoltre accesso alle nuove tecnologie per agevolare le persone disabili nello svolgimento delle attività della vita quotidiana e lavorativa in condizioni di sicurezza.

In rete i navigatori sono innumerevoli, come innumerevoli sono le loro esigenze e tutti

hanno diritto ad accedere all’informazione e al servizio offerto.

Per le persone disabili un aspetto molto importante è l’annullamento della necessità di deleghe. Un numero sempre maggiore di operazioni e attività potranno essere svolte direttamente dal pc liberando così le persone con disabilità dalla dipendenza e dall’isolamento e restituendo loro privacy e autosufficienza nella gestione delle relazioni sociali e nella vita professionale.

IL W3C E IL CAMMINO LEGISLATIVO VERSO L’ACCESSIBILITA’.

Nato nel 1994 questo Consorzio Internazionale ha lo scopo di portare il web al massimo del suo POTENZIALE.

Nel 1997 il W3C lanciò la WEB ACCESSIBILITY INITIATIVE (WAI) con l’intento di favorire la collaborazione tra le persone e di creare siti dai contenuti accessibili a tutte le tipologie di utenti.

Nel 1999 sono state emanate le linee guida sull’accessibilità dei contenuti web.

Nel 2000 viene istituito un Comitato di studio interministeriale per il miglioramento dell’accessibilità dei siti web delle Pubbliche Amministrazioni.

Nel 2004 la Legge Stanca ha come obiettivo quello di favorire l’accesso dei disabili agli strumenti informatici, evitando che le nuove tecnologie determino forme di emarginazione, anche più pericolose di quelle tradizionali.

Lo scopo è di abbattere le barriere virtuali che limitano l’accesso dei disabili alla Società dell’Informazione e li escludono dal mondo del lavoro, dalla partecipazione democratica e da una migliore qualità di vita.

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La legge obbliga i soggetti pubblici a rendere accessibili i propri siti e invita ad adeguarsi, incentivando la qualità. Sono previste sanzioni per coloro che evadono la legge promulgando siti non conformi ai criteri di accessibilità. Sanzioni disciplinari ed economiche.

GLI ALTRI SIAMO NOI.

Criteri dell’accessibilità:

assicurare una trasformazione elegante delle pagine web a seconda delle caratteristiche del browser dell’utente;

rendere il contenuto comprensibile e navigabile in modo che sia facile l’orientamento nella pagina;

le pagine web devono adattarsi alle esigenze del navigatore.

Gli utenti possono non essere in grado di:

vedere, ascoltare o muoversi o possono non essere in grado di trattare alcuni tipi di informazioni facilmente o del tutto, possono avere difficoltà nella lettura o nella comprensione, possono non esser in grado di usare la tastiera o un mouse, avere una connessione Internet lenta, non riuscire a capire la lingua…

tutti siamo virtualmente disabili!

USABILITA’.

Parlare di accessibilità non vuol dire che il sito sia usabile, i due termini non sono sinonimi!

Usabile è il prodotto che può essere usato da particolari utenti per raggiungere certo obiettivi con:

efficaciacapacità del prodotto di portare a termine il compito che l’utente desidera;

efficienzacapacità di portare a termine il compito che l’utente desidera con il minor costo possibile;

soddisfazione l’uso del prodotto è piacevole e dà origine a esperienze positive.

Progetto di usabilità mette al centro del discorso gli utenti.

Progetto di accessibilità mette al centro del discorso gli utenti svantaggiati.

LE TECNOLOGIE ASSISTIVE PER L’INTEGRAZIONE.

Perseguire l’obiettivo dell’integrazione a scuola è pensare ad una scuola orientata non solo ad accogliere il soggetto disabile, ma anche adattarsi alle sue richieste, ai suoi bisogni.

Si tratta di creare occasioni di SPECIALE NORMALITA’ come diceva Ianes, ossia una didattica rafforzata da elementi di

specialità;

Page 37: Pedagogia Speciale e Integrazione. Dal pregiudizio agli ... · 4 PEDAGOGIA D’AIUTO, perché il soggetto è fragile e va aiutato. 5 PEDAGOGIA DI SOSTEGNO, quando si penserà che

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di diversità; di particolarità di strumenti e percorsi.

Tecnologia assistiva insieme di strumenti, sistema, servizi a sostegno delle persone disabili

nella loro vita quotidiana, nell’educazione, nel lavoro, nel tempo libero per realizzare il loro potenziale.

Offerta tecnologica di ausilio:

Tastiere speciali tastiere semplificate con pochi tasti grandi e colorati, con

scudo di diversa misura, tastiere espanse dai tasti grandi e ben separate, tastiere ridotte da usare con le dita dei piedi, tastiere controllabili tramite puntatore laser, tastiere a membrana programmabili;

Emulatori di mouse touch screen, puntamento con il capo;

Sensori dispositivi elettrici capaci di azionare, comandare, trasmettere comandi

ad uno strumento;

Comunicatori strumenti in grado di trasformare un codice comunicativo

particolare in un messaggio comprensibile. Comunicatori alfabetici utilizzati da chi sa scrivere e leggere e i comunicatori simbolici sono tavolette portatile dove si inseriscono schede che raccolgono disegni a cui si associa la registrazione audio;

Ausili tiflotecnici dispositivi specifici, hardware e software, per compensare le difficoltà di persone non vedenti ed ipovedenti per l’accesso al computer. Screen reader, display Braille, stampante Braille, tastiera Braille, sintesi vocale, video ingranditori, software ingrandenti.

ACCESSIBILITA’ COME VALORE EDUCATIVO.

Attraverso l’educazione è possibile formare e alimentare un pensiero di convivenza e di pace che riesca ad accrescere il grado di accessibilità e traslarlo nella nuova società della conoscenza.

L’accessibilità è da intendesi come valore educativo se diventa segnale istituzionale di un

impegno verso la comprensione,la democrazia, la partecipazione sociale.

È fondamentale assicurarsi che ogni cittadino del villaggio globale sia in grado e messo nelle condizioni di avere accesso ai nuovi strumenti della comunicazione!

Devono concorrere tre fattori:

1. Garantire a chiunque la disponibilità dei materiali dei nuovi strumenti di comunicazione;

2. Evitare che la mancanza di informazione e di conoscenza impedisca a gruppi sociali di capire e utilizzare i nuovi strumenti;

3. Adorarsi affinché ogni cittadino della rete abbia una chiara percezione dei vantaggi/rischi insiti nell’uso di tali strumenti.

Un’accessibilità dove ognuno ha il diritto di attuare il CAMMINO EDUCATIVO che risponde alle sue capacità, al suo talento e ai suoi interessi.