Pastiche n° 48 ottobre 2015

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come si fa a scrivere poesie quando stiamo vivendo un cambiamento epocale che cambierà significativamente la nostra esistenza. c'è troppa carne al macero, troppa e le automasturbazioni poetiche non servono più a un cazzo. prima di tutto bisogna guardarsi intorno, capire cosa sta succedendo, cercare di metabolizzare, riflettere... e poi con calma esprimersi senza giudizi su quello che sta succedendo ( ma non per forza! ) a volte la cosa migliore è solo darsi da fare; di parolai ce ne sono già troppi. ma se proprio uno sente il bisogno di scrivere è bene che lo faccia con parsimonia e intelligenza! non sprecate parole: hanno ancora un valore! cerchiamo di dare valore alle parole, non sprechiamole a caso!

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COPERTINA A CURA DI:

GAIA GUARINO, TUFFATRICEpastiche

editorialeeditoriale

#48#48

PENSATA E REDATTA DA:PAOLO BATTISTA

IMPAGINAZIONE DI:ALESSANDRO VALENTINO

COLLABORATORICHIARA FORNESI

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OTTOBRE 2015

COME SI FA A SCRIVERE POESIE QUANDOSTIAMO VIVENDO UN CAMBIAMENTO EPOCALECHE CAMBIERÀ SIGNIFICATIVAMENTE LA NOSTRA ESISTENZA.C’È TROPPA CARNE AL MACERO, TROPPA E LE AUTOMASTURBAZIONI POETICHENON SERVONO PIÙ A UN CAZZO. PRIMA DI TUTTO BISOGNA GUARDARSI INTORNO,CAPIRE COSA STA SUCCEDENDO, CERCARE DI METABOLIZZARE, RIFLETTERE... E POI CON CALMA ESPRIMERSI SENZA GIUDIZI SU QUELLO CHE STA SUCCEDENDO ( MA NON PER FORZA! ) A VOLTE LA COSA MIGLIORE È SOLO DARSI DA FARE; DI PAROLAI CE NE SONO GIÀ TROPPI. MA SE PROPRIO UNO SENTE IL BISOGNO DI SCRIVERE È BENE CHE LO FACCIA CON PARSIMONIA E INTELLIGENZA! NON SPRECATE PAROLE: HANNO ANCORA UN VALORE!CERCHIAMO DI DARE VALORE ALLE PAROLE, NON SPRECHIAMOLE A CASO!

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Ne hai prese d’inculate nella vita, amica.

Mica è un’amaca in va-canza o in gita,

mica è insalata condita mangiata con dita.

Mica è saporita.Rimani muta come una

parete rosa; pantere e volanti alla rinfu-

sa mentre fai le fusa, ti braccano in cerchio e tu

cerchi abbracci. Rinchiusa nel tormento dei

piatti sporchi di vino, nel lavandino.

Angelo Zabaglio Andrea Coffami

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Nudi all’aria

fredda di gennaio

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Mi sento come se avessi appena fatto l’amore, gli dico.Ma lo abbiamo appena fatto l’amore!, mi fa Regi-na. Poi mi guarda e fa: sei un bastardo!Grazie molto gentile, le sor-rido e accendo il mio siga-ro puzzolente, e Regina be-stemmia garbatamente, e allora mi alzo, nudo, con le sole pantofole ai piedi mi dirigo verso il frigo, prendo una birra scadente e mi affaccio sul balcone, apro e respiro una fredda boc-cata di gennaio, sempre nudo, sempre in pantofo-le, sempre col sigaro in un mano e la birra nell’altra. Di sotto la città, la notte, luci soffuse e intontite, luci bianche, gialle, giallobian-che, macchiate d’arancio, a tratti spettrali, sfuggen-ti; il quartiere senza fiato, metallico, grigio, cenere, grigionero, sporco, spettra-le, sfuggente; le macchine parcheggiate, gli alberi minimali, un camion dei rifiuti, qualcuno che cam-mina veloce. Poi un brivido mi coglie alle spalle, giùg-iù fin sotto le palle, stelle ovunque, e sulla pelle l’aria fredda di gennaio. Mi scolo tutta la birra che resta nella lattina e la poggio sul corri-mano della ringhiera. Me ne sto lì a pensare alla stanchezza, al fatto che lavorare come magazzi-

niere mi sta distruggendo la schiena, alla donna che ora si pascia nel mio letto e al fatto che ades-so non vorrei nessuno nel mio letto. Poi dal palazzo di fronte, come un colpo di pistola, spicca una luce, un balcone si spalanca e dalle tende bianche vedo comparire un uomo, alto e nudo come me, tra le mani una birra e un sigaro, se ne sta con la testa fissata ver-so un punto indefinibile da-vanti a lui; come se stesse guardando me ma in real-tà non mi vede per niente ( anche perché sono al buio ). Ha il corpo magro, i capelli neri, le braccia mi sembra-no aliene, faccio finta di niente e continuo a guar-dare le nuvole. C’è ne una che ha la forma di un gros-so culone, proprio sopra le nostre teste. Un po’ m’in-quieta, sembra in procinto di fare i suoi bisogni. C’è ne un’altra a forma di ranoc-chio e una più piccola a forma di piede, che invece sembra volerci prendere a calci. Mi rilassa guardare le nuvole, certe notti passo il tempo a contarle ( come fossero pecore ) per farmi venir sonno ( ma in realtà non è mai servito a un caz-zo! ). Poi dalla camera da letto sento urlare: dove sei fini-to? Mi porti un bicchiere d’acqua?

PAOLO BATTISTA

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Non rispondo, o forse mugugno qual-cosa, ma lei non può sentirmi. La luna è un pelo svolazzante, antenne impa-gliate pronte a trasmettere un muc-chio di stronzate, sulla strada un cane sommerge una ruota con la sua mer-da, ombre gravide, alzo lo sguardo verso l’uomo del palazzo di fronte che ancora sorseggia la sua birra, e anco-ra non mi ha visto. Cerco di ricordare se ci siamo già conosciuti, magari dal tabaccaio, dal farmacista, durante la pausa caffè, ma niente. Ha un volto poco familiare e niente di quel poco che vedo mi dice qualcosa. Poi lo scor-go bagnarsi le mani, sempre con la bir-ra, lo vedo ghignare, guardarsi intorno come un pazzo fuorioso, e sotto l’aria fredda di gennaio lo vedo smanettarsi l’uccello come un forsennato, legger-mente piegato in avanti, con la lingua tra i denti e gli occhi sparati. Mi guardo intorno per vedere se c’è qualcun’altro oltre a me e chiaramente al masturba-tore, ma non si vede un’anima. Sono imbarazzato, combattuto ma non mi va di distogliere lo sguardo, qualcosa mi trattiene, il voyeur che è in me si fa strada nel buio. Certo è una cosa de-lirante ma proprio per questo affasci-nante, e poi sborrare tutta la tua ansia in testa alla gente dev’essere una cosa liberatoria e rilassante, soprattutto pri-ma di andare a letto.Cazzo l’acqua, sento urlare dall’altra stanza, ma dove sei finito? Cosa fai?Tu non ci crederai…, urlo ma in quello stesso istante l’uomo si accorge di me, istintivamente cerca di coprirsi le parti intime ma poi ci ripensa e continua la sua opera, mi fa un cenno con la testa in segno di complicità che io ricambio per solidarietà, anche se non so per-ché lo faccio. In fondo abbiamo avuto la stessa idea ed è un’assurda interes-

sante coincidenza il fatto che entram-bi fossimo usciti nudi sul balcone nello stesso momento e soprattutto nello stesso quartiere, o meglio nella stessa strada, a pochi metri di distanza. Sei un bastardo cazzo, grida Regina, ti avevo chiesto solo un bicchier d’ac-qua.ARRIVO!, sbotto di rimando ma non mi va di muovere il culo, anche perché re-starmene da solo nella notte è una sen-sazione unica intima che non mi piace condividere con nessuno ( in realtà neanche col mio amico segaiolo ). Poi l’uomo cerca la mia attenzione alzan-do la birra verso di me come per brin-dare al suo orgasmo e al nostro strano incontro, dopo di che lo vedo sparire dietro la tenda e spegnere la luce. Tutto torna silenzioso e spettrale, mi guardo intorno un’ultima volta come per scoprire qualche altra stranezza, qualche altra perversione notturna, ma niente, solo nuvole antenne e stelle. Pure la luna sottilissima è sparita dietro qualche nuvolone gravido di demoni. Una sirena ulula dalla strada principale, un cagnetto rantola strozzato dal suo padrone, un’auto impazzita cerca par-cheggio; cazzo, penso, la gente è pro-prio strana e rientro in casa blaterando: tu non ci crederai, non ci crederai, vuoi sapere cos’ho visto?, ma poi ci ripenso e decido di tenermi tutto dentro. Dov’è l’acqua?, frigna Regina che alla fine si alza tirandosi la coperta sulle spalle nude perché dice che ha fred-do, e va in cucina per il suo bicchier d’acqua. Non me ne frega un cazzo di quello che hai visto, mi urla dalla cucina e nuda, con una sigaretta tra le labbra screpolate esce sul balcone a fumare e guardare la notte ambigua e lussu-reggiante.

Foto: DANIELE CAMBRIAhttp://danielecambria.com/

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di creativo?Una sola semplice cosa, il mio sguardo è il mio.E il mondo che il mio sguardo guarda è il mio mondo.Accecatemi e tutto sparirà.Ma che ne sapete voi, voi non mi vedete!

TRA SOGNO E INQUIETO 2GIANGUIDO OGGERI

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Milano vomita nuvole grigie per com-petere con Dio.Le formiche con una ventiquattr’ore parlano di quanto siano belli i gra-nelli di terra nei nuoviformicai in promozione all’Ikea.Pietro prega su di un angolo dell’at-tico su un grattacieloe guarda quelle formiche, le guarda, le vorrebbe morte.Con il suo obbligo di frequenza sco-lastico sa come togliere corrente all’ascensore dietro di lui.Ha paura di ritrovarsi come l’alba-tro Baudleriano, decide di morire in cielo.Le formiche passeggiano con le loro ventiquattr’ore in pelle, con le cin-ghie strette.Emanuele lancia la valigetta in aria urlando fuochi artificiali che sor-prendono tutti.La ragione è il saper possedere una mente, Emanuele aveva ragione.Sotto il sole di un Inverno invivibile gruppi folk riscoprivano il successo del cantare con la sciarpasotto un sole scarno.Arriverà il giorno in cui Emanuele re-galerà vocabolari propri alle persone come gesti di carità earriverà il giorno in cui Pietro po-trà volare sopra il petrolio di quella grande città.Il petrolio sarà inchiostro sui murie Banksy si fonderà con Éluard.Tutti avranno la possibilità di essere come tutti quelli che non conoscono.I manganelli saranno fiori del sorriso,

i fucili gambe di tavolini, i carri ar-mati saranno elefanti di metallo.La meraviglia è che tutto ciò sarà nella mente di chi pensa, nelle cica-le e non nelle formiche, non conta la schiena ma le sinapsi, non conta se corri ma se ti porti avanti, con qual-siasi mezzo.E poi ci sarò io, pronto a ridere sot-to i tavoli del biliardo, scrivendo su scontrini da bar le mie memorie e il mio non sentirmi più solo.Con fratelli volti all’omicidio della ex-sapienza solo per impostare nuove regole naturali che il vecchio Dio so-pra di noi, creatore delle leggi, non potrà smontare, non lo farà e anche lui si adatterà.Pronti a morire per la comprensione, i miei fratelli decadenti si butteranno dalle creste degli alberi, nelle piaz-ze vuote, per spezzarsi una gamba e ritentare a volare, come vecchi psi-copatici.Nei momenti di perdizione realizzo che i punti di vista hanno un impatto fatale sul mondo, bisogna uccidere le fontane distillatrici di informazioni.Seguendo un fascio rosso capirò la verità politica ed ucciderò il con-trollo esterno dei padroni.Io vincerò.

Inspiro il fumo della sigaretta, espello le nuvole grigie di Milano.La mia mente è in subbuglio.Sai? mi piacerebbe chiamarmi Emanue-le o Pietro.

THE CITY INSIDE me.

SIMONE FILIPPETTI

GIANGUIDO OGGERI

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Giacomo Clerici, Coppia Post Nucleare

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FINE

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Abbatto le sfiancate in questi portici ma-latiquesto silenzio plumbeo mentre fumo

opaco opaco appoggiato ad una lavatriceniente di diverso dai meccanismi autogestitile ore di lavoro dei merli, i bar dei demoniche fumano accentuando la propria carne ra-diocomandataattraverso le strade le scale i piani e gli ospizi. Come un dipinto di Escher.

Un giorno come Dio ritorneràmi nasconderò in uno zoo di rullini usatiusando un potere sconosciutodi quaranta notti e giorni informidentro pasticche della socialità meccanica;l’acte de tuer le visage; piegarsi le maniche come ferroviericordi, binariil grembiule di pece posato in cerca di famel’iniziativa compressa in un rimpianto, questa non ègiovinezzaè addio. Un replay ininterrotto;benedicendo i metalmeccanici, imprimendo un ricordo albanese, ridisegnando forme sovrumanesu ogni muro su ogni albero. Costruendo pressioni determinazioni ossa di traduzioni. B**** mi perdoni la cena. B**** mi perdoni la cena. B**** mi perdoni la cena. B**** personifica la scena.

(The women talk about a fork.

Accidents and appearances) Prassi di violenza sognando gioieragazze infilate negli occhiutt’uno con una credenza dentro la rivista, apparenza del martire; okti dirò, ho finito le conclusioniperò mi sbaglio a lasciare il pasto,

IRRÉCOUV-RABLE,

INACCESSI-BLE

Frankie Fancello

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magari non ho più case rosse da pilota-re, sdraiato come quando mi dicevo: “non sono verticalema impantanato in un pomeriggio di mercato, uno stronzo col coltello senza tempo, risortonella russia transcutanea, dogana dell’a-more. Accendiamoci, sfiorando specchi piegati sulle drogheaccartocciati con onore.

Ti scriverei una lettera bellissima, ma sarebbe un topoche sfila solo vecchi fumetti, eh, vedi, il pranzo sale gli ascensori e li narcotizza verso il comune verso il porto sale e riscende per negozi di scarpe per distributori di cracker se noi fossimo un lontanissimo paesaggio solitario un’oasi di viadotti riposati.”

Cani che guardano sempre film in bianco e neroio mi chiedo se ancora ci sia il coraggio di alzare venti svedesi cucine distorte calze sfasate piani distesi muri per piangere, il sonnosi disperde nel rumore delle folle alle fiere il movimento passato delle tende nel sole compresso in luce fotograficauna radiografia che t’avvolge sconvolge capovolgeimmagini dei cuori d’incenso. Un re scalzo muoretutte le volte che dici “lasciamo perdere.”

Dopo tanto tempo tanto (passeranno via col vento tutte le volte)polvere di te come atomi vivi sopra una città dell’orrore

quivi un mostro forma spettro Visconti Fellinitirò fuori i coltelli e uccise tutti gli esseri che indossassero delle scarpesolosolo che io non posso moriretenendo le piogge su delle mani perfettecome un pianista senza antitetanica, che io possiedo tutto quello che non si vede, che iouccido Nietzsche dentro scatole di plastica senza nessuna fatica alcuna prova di essere uomo, la verità è stata trascuratadata in pasto ai maiali, e non posso rubare le ossa cadendo sulla neve come una bicicletta senza pedali un’infinitesimale goccia sulla tavola.

Non c’è domenica senza gli acquisti della nottesenza un ortopedico che ti aiuti a scalare un rumore. Così tanto semplice non sembraaccedere in fontane d’oroanelare (quando io riappaio ed ecco sono mutoun farfalla posata un incidente metano nirvana cavolo amaroincretinito senza contegno).Ore 17.45santificato sia l’oscurarsi dei cappottii cerotti che non si slanciano.Dio benedica i tuoi capelli(del sole mi illudo e mi rinfaccio ad mio agio con qualcosa che non soinacessibile).

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TRA SOGNO E INQUIETO 3GIANGUIDO OGGERI

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CREDO NEL TERRORISMO POETICO, NEL-LA CRISTALLINA DEFLAGRAZIONE DELLA PAROLA, NELL’EVERSIONE DEL GESTO.CREDO NELLA POTENZA DELL’ATTIMO, NELLA MERAVIGLIA IRRIPRODUCIBILE IN-SITA NELL’IMPERFEZIONE, NELLA LOTTA GIOIOSA TRA MARGINE E ROTTURA.CREDO NELLA GUERRA.CREDO NELLA PAROLA IRRIVERENTE, NEL VAFFANCULO BUCOLICO.CREDO NELLE MOLOTOV CHE TI SCOMPI-GLIANO IL SALOTTO.CREDO CHE – SE L’ARTE HA UN LUOGO – QUESTO DEBBA ESSERE LA STRADA, CHE FAR CADERE LA CULTURA DALL’ALTO SIA UN GESTO OFFENSIVO – PER CHI LO SUBISCE E PER CHI LO COMPIE.CREDO NELL’AZIONE SPONTANEA, NEL VALORE DELL’UNICO PER TUTTI.CREDO NELLE CREPE.CREDO CHE POESIA DEBBA OCCUPARE

CON TUTTA LA VIOLENZA POSSIBILE LO SPAZIO USATO PER SCRIVERE REPRES-SIONE – ELIMINANDOLO.CREDO CHE L’EGO IN TUTTO QUESTO NON TROVI SPAZIO, CHE REITERAZIONE SIA UN SINONIMO DI MORTE, CHE SARÀ IM-POSSIBILE FAR FIORIRE IL CIELO SE NON SI GUARDANO CHE I PIEDI.CREDO CHE LE VIOLENZE PIÙ GROSSE SI NASCONDANO DIETRO AI SORRISI E CHE LA RABBIA GODA DI UNA PESSIMA REPUTAZIONE PERCHÉ TERRORIZZA A MORTE IL DOVER ESSERE ONESTI CON SE STESSI.CREDO NELLA FURIA.CREDO CHE GESTO E PAROLA SIANO DUE GEMELLI DIFFORMI DAGLI OCCHI CIECHI.CREDO NELLO SCONTRO QUOTIDIANO, NELLA GUERRIGLIA SENZA SOSTE.CREDO NELLA PERFETTA POLICROMIA DELLE ESPLOSIONI.

Vera Bonaccini

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CREDO NELLE CREPE

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LE FAMIGERATE O/SVenti azzurri in stanze d’ospe-dale, l’aconito mischiato ai brodi di pollo servito ai pazienti su vassoi con codici miniati di formule spargiriche.Attraverso condutture labirinti-che esalazioni di miasmi di lon-tane operazioni in scantinati umidi.Chirurghi con bende sugli oc-chi che praticano operazio-ni-scommesse (le famigerate O/S), il pubblico che punta soldi dietro enormi opache ve-trate di sale autoptiche sotter-ranee e gridano, si spingono, bevono coca-cola, gin, vodka e ruttano, prendono a calci le sedie mentre il dottore taglia il pancreas dell’uomo sul lettino inondato di luci, 1 a 10, 3 a 5, il medico closer che non ha mai completato un’operazione in modo perfetto… sempre quei fottuti grumi di sangue che gli intasano le vene… e non par-liamo delle bende sterili, una scocciatura, a dir poco… Uno spruzzo di sangue macchiato di feci gli macchia il camice e crea un punto esclamativo sulla bianca parete di fronte,

vicino alla griglia del canale d’areazione.La gente non si fida dei dan-cer o dei quitter, questi ultimi hanno aspetti diligentissimi, arrivano alle sale in Mercedes con giacca e doppio petto, infermiera privata e camici alla moda… si mettono a ope-rare con una tranquillità e una efficienza lampante, gli scom-mettitori acerbi puntano su di lui, ma non sanno che è un quitter e che, sempre, all’ulti-mo momento dell’operazione combina un casino, chessò: mentre sta per cucire la pelle aperta gli parte l’ago chirur-gico e uno sfregio, come di una stecca di un principiante di biliardo sul panno verde, si apre nella pancia del pazien-te… gli spettatori cominciano a riempire di pugni il vetro che li separa dalla sala chirur-gica, come bestie in gabbia, il dottore li vede muovere la bocca arrabbiata nella stanza insonorizzata e capisce che lo stanno mandando al diavo-lo… che forse è meglio uscire dalla porta sul retro …

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Buoni soldi si vincono sui chirur-ghi underlay. Gli underlay sono molto quotati perché sono poco conosciuti. Si dice siano inesperti ma non tutti sanno che si sono fatti le ossa nelle bagarre di Santa Cruz, dove ci si scontra in gruppi di medici: 4, 5, anche 6 sullo stesso pa-ziente. È vero che quest’ultimo muore sempre, alla fine, ma lo stesso il pubblico che parteci-pa a questa kermesse si può fare un’idea dell’audacia del chirurgo… che deve solo cer-care di non incrociare gli ar-nesi e non annodare i fili con quelli altrui… o di non tagliare la pancia a un medico sfidan-te per sbaglio...Urla da camere sbarrate, lam-

peggianti e sottili sirene che strisciano lungo i corridoi in-tonacati di fresco. Folli libera-ti dalle camicie di forza che sbraitano e si torcono e si spez-zano le vene con i denti affilati nel tempo, mentre si ode il vo-ciare dei medici davanti alla macchinetta del caffè … Dr. Sigfrid, con un sorriso sdentato, che tocca il culo alla Dott.ssa Blanche… la donna si alza im-percettibilmente la gonna sot-to il camice, si passa la lingua sulle labbra tumide ed emette uno sguaiato gridolino acuto e d’autocompiacimento, da oca, mascherato da finta sor-presa… è così che vanno le cose…

[Nota: i termini dei chirurghi operanti in O/S sono tratti dai gerghi dell’ippodromo americano. Personalmente li ho spulciati da un racconto di C. Bukowski. Nella mia storia i termini dei cavalli vengono riportati, non senza una mia personale e grottesca vena ironica, sui medici che operano. Ecco i nomi con l’esigua spie-gazione: closer: cavallo che risale diverse posizioni ma che non riesce mai a vincere, superando cavalli già stanchi e dando sempre l’impressione di essere in forma; dancer e quitter: il dancer (“ballerino”) è un cavallo che solitamente par-te bene ma non arriva mai primo, come il quitter non è un cavallo su cui puntare per una vincita; l’underlay è poco conosciuto, le sue scommesse ai “mattinali” calano prima delle corse e diventa un buon cavallo su cui puntare qualcosa.]

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Alessandro Pedretta

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RED

TW

ENY,

BLA

CK

JAC

KET

PAOLO BATTISTA