PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 2 novembre 1933; Pret. Della Valle — Imp. Silvagna
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Udienza 2 novembre 1933; Pret. Della Valle —Imp. SilvagnaAuthor(s): Mario RomanelliSource: Il Foro Italiano, Vol. 59, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1934), pp.191/192-197/198Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23128618 .
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191 PARTE SECONDA 192
multa, rimanendo pertanto fermo il concesso perdono giu
diziale, che fa della sentenza impugnata una sentenza di
non doversi procedere per tale causa.
Per questi motivi, cassa senza rinvio.
PRETURA DI CÀSTEGGIO.
Udienza 2 novembre 1933 ; Pret. Della Valle — Imp.
Silvagna.
Vaino penale — Imputato che nega I propri prece denti penali — False dichiarazioni aggravate (Cod.
pen., art. 495).
Commette il delitto di false dichiarazioni aggravate ai
sensi dell'art. 495, capov. 2" n. 2, V imputato che,
nell'interrogatorio, nega i propri precedenti penali. (1)
(1) II falso personale nell'Interrogatorio.
La sentenza, che annotiamo, va rilevata agli studiosi, per chè il caso esaminato non si è presentato, che raramente, nella
pratica giudiziale. Può anzi aftermarsi, se le nostre ricerche
giurisprudenziali sono esatte, che fattispecie simili a quella de
cisa, possono soltanto rinvenirsi in due recenti sentenze della Corte di appello di Milano (1).
Tali decisioni furono, come osserva anche la sentenza su
riprodotta, fra loro contrastanti. Con la prima si ritenne la sus sistenza del reato, nella specie però si assolse, perchè si dubitò del dolo dell'imputato. Con la seconda si pervenne invece alla
conclusione, che il fatto non costituisce reato.
Intendiamo, nel caso in esame, studiare se, allo stato at
tuale della nostra legislazione, possa incriminarsi un imputato, che, nell'interrogatorio, mentisca al Giudice i propri precedenti penali.
È noto il vecchio aforisma nemo tenetur se accusare. Non bisogna giungere però con questo principio a conse
guenze assurde, sino a ritenere, che possa l'imputato sconfes sare sé stesso innanzi al Giudice. Ed è perciò che l'interroga torio, pure essendo un atto unico nel suo insieme, si distingue in due parti : costituto soggettivo (art. 366 cod. proc. pen.) e costi tuto oggettivo (art. 367 cod. proc. penale).
Per quanto riguarda il costituto oggettivo, il giudicabile può impunemente mentire, poiché l'obbligo suo di dire il vero ha carattere meramente etico (2).
Non così invece per quanto riguarda il costituto soggettivo (art. 366 cod. proc. pen.). Qui non si ammette difesa, perchè l'attestazione sulla propria persona non è imputazione.
Libero l'imputato di mentire, nelle sue risposte all'interro
torio, relativamente al fatto, che gli è attribuito e contestato ; ma, se rifiuta di dichiarare o, se dichiara falsamente al Giudice le proprie generalità, egli è passibile delle conseguenze a cui si espone chi si rifiuta di darle o le dà false.
L'art. 366 cod. proc. pen. parla solo di generalità e, per quanto alle parole si voglia dare significato estensivo, non vi si può mai far rientrare i precedenti penali. Né è da dimenti care la finalità dell'art. 366 cod. proc. pen., quella cioè d'iden tificare la persona, che si presenta al Giudice. Ciò ottenuto, è
soddisfatta la volontà della norma (3). È vero che il Magistrato, oltre ad invitare l'imputato a di
chiarare le proprie generalità, lo invita a dichiarare altresì : « se ha un soprannome o pseudonimo, se sa leggere e scrivere, se
ha beni patrimoniali, quali sono le sue condizioni di vita fami
liare, individuale e sociale, se ha adempiuto agli obblighi del
servizio militare, se è stato sottoposto ad altri procedimenti penali, se ha riportato condanne nello Stato o all'estero, se esor
ti) E cioè in quella della VI sezione del Is giugno 1982, Bosetti, (Foro it., Rep. 1932, voce Falso pen., n. 185) e in quella della YII sezione in data 24 giugno 1932, Cremona.
(2) Il principio, legislativo se oonvenisBe considerare l'accusato te stimone nella propria causa, fu, nell'ultimo congresso di diritto inter nazionale di Palermo, dopo ampia discussione dei proti". Maggiore, Saranoff e I.i:: Marc Hadour, rioonosoiuto, all'unanimità, oome poco racoomandabile nei paesi continentali (cfr. Aiti del terso congresso in ternazionale di diritto penale, Lavori della prima sezione).
(8) Manzini, Trattato di dir. process, pen., 1982, vol. IV, pag. 166.
Il Pretore : — ... Il Silvagna dal suo canto dichia rava di non avere affatto partecipato al reato e, a specifica domanda del Pretore, dichiarava di non avere mai ripor tato precedenti condanne.
Essendo risultato in seguito che ben dodici condanne
per delitti non colposi, oltre a diverse altre condanne per
contravvenzioni, il Silvagna aveva già riportato, il Pre
tore elevava contro di lui rubrica per il reato di cui allo
art. 495, capov. 2° n. 2, cod. penale.
cita o ha esercitato uffici o servizi pubblici o servizi di pub blica necessità, se copre o ha coperto cariche pubbliche, se gli sono stati conferiti dignità o gradi accademici, se ha titoli no
biliari, ovvero, decorazioni o altre pubbliche insegne onorifiche»
(art. 25 disposizioni di attuazione del codice di procedura pe nale) (4); ma è anche vero, che tali ultime domande servono soltanto « a lumeggiare la personalità dell'individuo » (5) sotto
posto all'interrogatorio, non all'identificazione del giudicabile. Per la quale sono soltanto essenziali le domande di cui all'art. 366 cod. proc. pen., e per le quali è comminata la sanzione pu nitiva.
In altre parole il legislatore si è preoccupato, con la di
sposizione in esame, di evitare errori di persona. Questa la fi nalità della norma legislativa. Ed a noi sembra che, non po tendo la menzogna sui propri precedenti penali e giudiziali nuocere, in alcun modo, all'identificazione del giudicabile, giac ché il certificato penale dovrà essere richiesto di ufficio al com
petente casellario penale, non si possa per nulla qui parlare di effettuata violazione di legge.
Alla nostra tesi dell'impunibilità, a base dell'art. 366 cod.
proc. pen., potrebbe essere obiettato che, non essendo possi bile la mancanza di correlazione tra detto articolo e quello 495 cod. pen., il fatto sarebbe punibile, a tenore di questa ultima
disposizione, la quale espressamente prevede il caso di chi « di chiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l'identità o lo stato o altre qualità della propria o della altrui persona ».
I precedenti penali costituirebbero, in altri termini, le qua lità della propria persona, previste dall'art. 495 cod. penale.
Contra è stato osservato dalla Corte di appello di Milano, con la innanzi detta sentenza del 24 giugno 1932, che i prece denti penali costituiscono non una qualità personale, ma « una
speciale condizione in cui taluno può versare e che è, in ogni modo, improduttiva di efletti giridici».
Parimenti in dottrina il Camisasca, osservava come l'impu tato negasse un fatto storico, una circostanza, che riguardava la sua condizione di fatto e non la sua qualità, che a lui po teva recare vantaggio, senza però portare danno a terze per sone (6).
La sentenza, che annotiamo, discute ampiamente le dette osservazioni. Anzi fa di più. Afferma, con un confronto tra il
codice penale del 1889 e quello attuale, come, avendo questo in
novato rispetto all'abrogato art. 279 nella aggiunta dell'espres sione « qualità personali », si presenti adesso, per la prima volta,
all'interpetre il còmpito di precisare « in che consistano le dette
qualità personali su cui l'imputato ha il dovere di dire la ve rità». E trova una facile via di soluzione con l'art. 25 delle di
sposizioni di attuazione del codice di procedura, che rivela, a suo detto, che cosa abbia voluto intendere il Jegislatore conia dizione «altre qualità personali».
La detta opinione è rafforzata in dottrina dall'autorità del
Manzini, per il quale le qualità personali si riferiscono allo stato di cultura, di possidenza, di vita familiare, individuale e so
ciale, ai precedenti penali, agli uffici, servisi, professioni o me stieri esercitati, ai titoli, dignità, gradi, etc. (7).
Esaminiamo lo spirito informatore dell'art. 495 cod. penale. Questo articolo non è che la riproduziene, con una formula zione «più precisa e sintetica», come si legge nella relazione del Guardasigilli al Re, dell'abrogato art. 436 cod. penale. Per ciò il Guardasigilli non credette aderire alla soppressione delle
(4) Una analoga disposizione era oontennta nelle norme di attua zione del oodioe di procedura penale abrogato (art. 20).
(5) Cfr. Relazione al Re. Vedila in Jannitti-Piromai.i.o A., Illustra eione pratica dei codici penale e di procedura penale, Roma, 1982, Soo. ed. del « Foro italiano », voi. VII, pag. 868.
(0) Camisasca, L'imputato che nega i propri precedenti è colpevole di
falso giudiziale ? in Riv. it. di dir. pen , 1982, pag. 760. (7) Manzini, op. e voi. cit., pag. 167.
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198 GlUfìISPRUDENZA PENALÌ5 194
Nell'odierno dibattimento il difensore dell'imputato ha
prospettato, limitandosi solo ad enunciarla, la tesi che nel
fatto ascritto al Silvagna non si riscontrino gli estremi
voluti dall'art. 495, capov. 2° n. 2, cod. penale.
La questione, presentatasi rarissime volte nella pra
tica, involge l'esame sulla portata e sull'estensione del
diritto, da parte dell'imputato, di mentire su fatti e cir
parole « qualità personali » proposta dalla Commissione parla
mentare, perchè, come si legge sempre in detta relazione, « non
diversamente disponeva l'art. 436 del codice del 1889, il quale menzionava il nome, il cognome, lo stato, la professione, il
luogo di nascita o di domicilio o altre qualità personali, la cui
formula mai ha dato luogo a dubbi, nè agli eccessi temuti dal
la Commissione». Infatti non ci consta che, sotto il vigore del
codice abrogato, sia stato mai incriminato alcuno per essersi di
chiarato incensurato, mentre non lo era. Si disputava invece sol
tanto, se l'imputato, che declinasse false generalità nell'inter
rogatorio, incorresse nel delitto previsto dall'art. 279 cod. pen. o nella contravvenzione di cui all'art. 436 cod. penale. Ed è
risaputo come la Corte suprema, nella decisione dei vari ricorsi
su tale questione, non abbia sempre seguito lo stesso ordine di
concetti. In un primo tempo ritenne la inapplicabilità dell'art.
279 cod. pen., giacché l'interrogatorio non è atto destinato a
provare le dichiarazioni dell'imputato (8). Poi mutò tale giuri
sprudenza, mantenendosi ferma per l'ipotesi delittuosa e non
contravvenzionale(9). Nè è a tacere di una soluzione intermedia,
approvata anche dal Maino : non falso, quando l'imputato dia
un nome immaginario ; falso se dia il nome di persona esi
stente (10). Ma, per questo riguardo, col codice penale del 1930, e pre
cisamente con l'art. 495, capov. 2° n. 2, si è risolta autentica
mente la questione, cui aveva dato luogo l'art. 279 del codice
Zanardelli, e la falsa attestazione al pubblico ufficiale, in un
atto pubblico, dei fatti dei quali l'atto è destinato a provare la
verità, è stata configurata nell'apposito art. 483 cod. penale. La innovazione effettuata dal legislatore del 1930 consiste
in ciò : mentre al rifiuto delle dichiarazioni richieste dal pub blico ufficiale e previste dall'abrogato art. 436 si è mantenuta
la natura contravvenzionale, le false dichiarazioni, invece, sono
assurte a carattere delittuoso. Giacché, come si esprime il Guar
dasigilli nella sua relazione al Re, « nel mendacio è implicito un proposito fraudolento, che giustifica la qualificazione del
fatto come delitto ». Se l'attuale art. 495 cod. pen. ha la propria origine, come
è indiscutibile, in quello 436 cod. abrogato; se, per la parola stessa del Guardasigilli, soltanto la formulazione é stata resa
più precisa e sintetica ; se qusllo art. 436 parlava appunto di
altre qualità personali, risultano logiche conseguenze :
а) non è affatto vero che sorga solo oggi la questione di
accertare cosa siano le dette qualità personali ; б) l'interpretazione della dottrina e della giurisprudenza,
secondo il codice abrogato, alle parole qualità personali deve ri
manere la medesima anche pel codice vigente, essendo la stessa
la ratio legis (11).
(8) Cfr.: 0., 22 febbraio 1898 (Foro it., 1898, II, 412) ; C., 17 gennaio 1901 (id., 1901, n, 161); C., 23 novembre 1908 (id., 1909, II, 1) j 0., 27 feb braio 1918 (id., 1918, II, 285).
Conforme in dottrina: Chauvkau ed 11ki.ii:, Porta, nella Legge 1883,1, 287; Qiur. pen., 1881, 4-5; Coen nel Foro pen., anno II, parte li, pa gina 221; La Direzione della Riv. pen., XXXIII, 553, e del Foro pen., anno II, parte II, pag. 221; Escobedo, nel Foro it., 1895, II, pag. 318; Tuo/zi, Corso di dir. pen., 1897, pag. 288; Manzini, Trattato di dir. pen. 1919, vol. IX, pagg. 54-55.
(9) Cfr.: C., 1 dicembre 1914 (Foro it., Ì915, II, 102); C., 4 gennaio 1916 (id., 1918, II, 166) ; C., 7 febbraio 1919 (Giust. pen., 1919, 415) ; C., 28 febbraio 1921 (id., 1921, 912); C., 5 dioembre 1924 (id., 1925, 217); C., 29 novembre 1926 (Scuola pos., 1927, II, 818).
Conforme in dottrina : Cisotti nella Riv. pen., XIV, pag, 463; Lon
ghi, in Scuola pos., anno III, 529 ; Mortara, in Giur. it., 1893, II, 168 ; Civoli, Dei delitti contro la fede pubblica in Enc. del dir. pen. del Pessina, vol. VIII, 107, nota 1 ; Nkori, Le contravvenzioni nel cod. pen., italiano in Enc. citata, vol. X, 724-725 ; Cirino, Le false generalità dell'imputato in Suppl. alla Riv. pen., vol. XVIII, 34.
(10) C., 1 aprile 1891 (Foro it., 1891, Rep. 1891, vooe Falso penale, n. 25); C., 22 dioembre 1902, {id., 1903, II, 186).
(11) É da osservarsi ohe il dire : « Chiunque dia indicazioni men daci ad un pubblico uffioiale, nell'esercizio delle sue funzioni, sul pro prio nome, cognome, stato, professione, luogo di nascita o di domicilio,
costanze che possano aggravare la sua posizione di giu dicabile.
Sotto l'impero del codice Zanardelli, per un principio di eccessiva longanimità, si ritenne che il sacro diritto
alla difesa consentisse all'imputato di mentire sui fatti
chiestigli in sede di interrogatorio e quindi di negare an
che i propri precedenti penali.
Ed allora : come è etato inteso l'abrogato art. 436 cod. pe nale ?
Tutta la dottrina concorda nel ritenere doversi interpe trare tali espressioni legislative per quelle qualità per le quali l'essere umano si individualizza e assume uno stato (12).
> Ciò che si vuole ottenere » scriveva il Viazzi, « è l'iden tificazione dell'individuo, e questa ottenuta è soddisfatta la ra
gione della legge » (13). Il Manzini, nel suo autorevole trattato, discutendo dell'art. 436: «Se si aggiunga la falsa indicazione di altre qualità personali, si incorre nel reato, purché la men
zogna sia tale da riflettersi sulle indicazioni precedenti, produ cendo confusione o altrimenti nuocendo all'identificazione » (14).
Nell'abrogato articolo 436 cod. pen., pur usandosi la espres sione qualità personali, è stato sempre pacifico, che, fra esse, dovessero escludersi i precedenti penali e giudiziali.
Questo dubbio adunque, per quanto si è detto innanzi, non
può esistere nemmeno ora. Perchè, ripetiamo, la formula del l'art. 436, che non aveva mai dato luogo a dubbi, nè agli ec cessi temuti dalla Commissione parlamentare, in riguardo al
l'espressione qualità personali, è stata soltanto resa con l'art. 495 cod. pen. più sintetica ; ma lo spirito della disposizione è
sempre il medesimo, per la parola stessa del Guardasigilli. Si
può quindi atìermare per l'attuale art. 495 cod. pen. quanto in nanzi notato per l'art. 436 cod. pen. abrogato.
Tale tesi è confermata ancora da altri due argomenti :
a) dalle parole del Guardasigilli nella relazione sui libri 2° e 8° del progetto : « E indispensabile arginare questa speciale forma di delinquenza assai comune, specialmente tra i delin
quenti abituali, che, facendosi giudicare sotto falso nome, rie scono ad usufruire dei benefici di legge e ad evitare inasprimenti di
pena » ; b) dalla risposta negativa data dal Guardasigilli al Diret
tore dell'ufficio centrale di statistica, che proponeva di esten dere il delitto, di cui all'art. 495 cod. pen., anche alle false di chiarazioni circa lo stato patrimoniale proprio (15). Questo, se condo l'opinione contraria, costituirebbe una vera qualità per sonale.
E si giungerebbe ad evidente esagerazione. Infatti, mentre
l'imputato, che rifiuta di dare il proprio nome, cognome ecc., intralciando l'opera della giustizia e potendo anche riuscire ad
ottenere, con una errata identificazione, i benefici di legge, dai
quali lo volle escludere il legislatore, è punito soltanto con l'ar resto sino ad un mese ; l'imputato invece che, pure dà tutti i dati per la sua completa individualizzazione e mentisce solo sui
propri precedenti penali, risultanti d'altronde dal certificato re
lativo, è punito con una pena non inferiore nel minimo ad un anno.
Ci auguriamo che la massima della sentenza riportata non abbia seguito.
Dott. Mario Romanelli.
o altre qualità personali » ; come faoeva l'abrogato art. 486, o : « Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, l'identità o lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona » ; come l'attuale art. 495, significa lo stesso di chiunque attesta falsamente le proprie o le altrui qualità personali. In questo senso si esprime sul
l'abrogato art. 488 la relaz. ministeriale prog. 1887 n. CLXXII : « Molte volte accade, e specialmente allorché sia avvenuto un reato, ohe il
pubblico ufficiale debba richiedere al cittadino le sue qualità personali, come sarebbe il nome, cognome, stato e simili indicazioni ».
Parimenti il Tuozzi, Corso di dir. peti., à897, pag. 238: «Come ve
desi, il Ministro nel proporre l'art. 415 tenne presente la ipotesi che , dopo commesso un reato, l'imputato venga interrogato da un pubblico ufficiale sulle sue qualità personali. .. » Anche il Longhi intitolava un suo pregevole scritto in Qiust. pen., 1895, 1118: « False dichiarazioni ài
qualità personali nell'interrogatorio giudiziale». (12) Cfr. particolarmente Lowghi, op. citnota 11.
(18) Viazzi, Delle contravvenzioni, nel Trattato di dir. pen. del Fio
rian, pag. 118. (14) Manzini, Trattato di dir. penale1919, vol. IX, pag. 65 e segg. (15) Cfr. Relaz. riass., Lavori preparatori, vol. IV, pag. 864 e s«gg.
Il Foro Italiano — Anno LIX — Parte //-15
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Ì9è PARTE SECONDA 196
La nuova dizione adottata però dal legislatore nel co
dice vigente fa sorgere il dubbio che il diritto alla difesa
sia stato sensibilmente circoscritto e limitato da impre
scindibili superiori motivi di difesa sociale. Per quanto consta al giudicante, sotto l'impero del
nuovo codice, la questione si è finora presentata due volte
alla Corte di appello di Milano, la quale è giunta a con
clusioni opposte fra loro.
In una prima sentenza del 1° giugno 1932 fu ritenuta
la sussistenza del reato, in conferma dell'opinione seguita
dal Tribunale di Varese con sentenza 28 gennaio 1932.
La Corte non dette però una esauriente giustificazione della conclusione raggiunta e si limitò ad affermare che
«nell'art. 495, capov. 2° n. 2, cod. pen., si contempla la falsa dichiarazione sul proprio stato giuridico».
Con una seconda sentenza, in data 24 giugno 1932, la
stessa Corte di Milano (sez. VII, imp. Cremona) escluse
invece il reato, totalmente riformando un'altra sentenza
dello stesso Tribunale di Varese.
La Corte giustificò l'assolutoria sul rilievo che i pre cedenti penali non riguardano una qualità personale, ma
costituiscano una speciale condizione in cui taluno può versare e ohe è in ogni modo improduttiva di effetti
giuridici. Dopo essersi soffermata ad esaminare in che consista
l'interrogatorio così e come prescritto dall'art. 366 cod.
proc. pen., la Corte affermava che non potendo arrecare
nessun danno ai terzi e nessun nocumento all'indagine
processuale, la menzogna relativa ai precedenti penali dovesse rientrare nel generico diritto della propria difesa,
anche in omaggio al principio romanistico « nemo testis
in re propria ».
Con tutto il rispetto dovuto per l'opinione della Corte
milanese, il giudicante sommessamente ritiene che non si
possa ancora oggi sostenere seriamente la legittimità della
menzogna sui precedenti penali col generico diritto di di
fesa individuale. Gli argomenti addotti nella suddetta sen
tenza, oltre che poco convincenti, contrastano coi piin
cipi generali che ispirano tutto il nuovo sistema penale. Rafforzato il principio dell'autorità, conferito col nuovo
sistema di legge un fondamento squisitamente etico allo
Stato, non poteva il legislatore fascista permettere che
sotto l'influenza di una corrente dottrinaria pericolosa mente indulgente si potesse, in nome del sacro diritto
alla difesa, sfuggire a quell'obbligo di veridicità che è
basato, come si è detto, su motivi di difesa sociale. Nè
volle d'altra parte il legislatore coartare la coscienza del
l'imputato fino a pretendere da lui la verità sui fatti con
testatigli, costituenti cioè il materiale di accusa. Egli
pertanto, risolvendo con formula autentica le questioni
agitatesi sotto l'impero del codice abrogato, enunciò tas
sativamente le notizie e le condizioni soggettive su cui
l'imputato è tenuto a dire la verità. E con espressione
generica stabili recisamente che l'imputato ha il dovere
di non mentire circa la propria identità, il proprio stato
o le proprie qualità personali. L'innovazione consiste, rispetto al codice del 1913,
nell'aggiunta dell'espressione «altre qualità personali», ond'è che si presenta all'interprete il còmpito di preci sare in che consistano le dette qualità personali su cui
l'imputato ha il dovere di dire la verità.
La Corte milanese non giustificò sufficientemente la
esclusione della qualità di « incensurato » dalla categoria « qualità personali » prevista dal legislatore, nè precisò in che cosa dovessero consistere le qualità personali su
cui l'imputato non deve mentire, limitandosi soltanto a
tentarne una definizione sul rilievo della presenza o meno
dell'elemento «danno».
Altri ritennero, consentendo con l'opinione della Corte
milanese, che le qualità personali consistessero non già nello stato giuridico, ma negli attributi di stato civile, di
condizioni di famiglia, di professioni o infine di titoli o
cariche onorifiche.
Non mancarono infine, anche sotto l'impero del co
dice vigente, autorevoli giuristi a difendere la benevola
dottrina favorevole all'imputato affermando che la do
manda sui precedenti penali più che per obbligo o per vera necessità è fatta dal Giudice per comodità o per sem
plicità, dal momento che con la richiesta del certificato
penale ogni menzogna viene senz'altro svelata.
Altri infine credettero di poter proclamare l'impunità
per il tatto che la menzogna sui précédenti penali, po tendo avere una particolare importanza con l'imputazione
attuale, potesse rientrare nel supremo diritto dell'impu tato di non aggravare la propria situazione processuale.
Siffatte argomentazioni non trovano nella legge alcuna
conferma. Esaminando l'intima struttura di quell'atto
processuale denominato « interrogatorio dell'imputato » è fa
cile rilevare come esso consti dj due parti ben distinte, l'una vertente sull'identificazione (costituto soggettivo :
art. 366 cod. proc. pen.) e l'altra vertente sui fatti, cioè
sul merito dell'imputazione (costituto oggettivo : art. 367
cod. proc. penale). Ciò posto, sembra al giudicante che
il diritto alla difesa abbracci soltanto il costituto ogget
tivo, mentre per il costituto soggettivo incombe, per
espressa volontà del legislatore, l'obbligo all'imputato di
dire la verità. Il diritto di difesa è quindi limitato a quella sola parte delle risposte che ha stretta e diretta attinenza
con l'accusa. In altri termini l'imputato può negare i
fatti che gli si contestano o può di essi fare un resoconto
diverso dal vero perchè è naturale, per quanto social
mónte riprovevole, che cerchi di sottrarsi alla giustizia
punitiva, ma in nessun caso può ingannare con le sue
false attestazioni il Giudice sulla propria identità (com
prendendo in tale espressione tutti gli attributi che ser
vono ad individuare una singola persona fisica nella col
lettività sociale) o dolosamente addossare ad altri la pro
pria responsabilità (art. 368 cod. pen.), giacché il suo
diritto di difesa che si concreta praticamente nel generico diritto di libertà, trova una naturale delimitazione nello
altrui diritto di libertà e nell'interese supremo, da parte dello Stato, di difendersi contro una categoria, quanto altra mai insidiosa, di raffinati delinquenti che tentano
di tarsi giudicare sotto falso nome, talvolta per sfuggire alla pena, talvolta per godere di particolari benefici (am
nistia, sospensione condizionale della pena ecc.), che nou
potrebbero altrimenti ottenere.
Al solo costituto oggettivo è quindi, con le restrizioni
derivanti dal diritto dei terzi, limitata la facoltà di men
tire ; su tutto quanto forma il resto dell' interrogatorio
egli è tenuto a dire la verità.
A differenza dell'art. 279 cod. pen. abrogato, la pos sibilità di nocumento non è più richiesta dal legislatore, il quale nell'art. 495 ha chiaramente fissato che il costi
tuto soggettivo consta appunto delle indicazioni sulla iden
tità, sullo stato e sulle altre qualità personali. In rela
zione all'art. 366 cod. proc. pen., egli ha inoltre indicato
nell'art. 25 delle disposizioni di attuazione del codice di
procedura penale quali domande preliminari deve anche
rivolgere il magistrato all'imputato nell'interog^torio :
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19? GIURISPRUDENZA PENALE 198
« se ha un soprannome o pseudonimo, se sa leggere e scri
vere, se ha beni patrimoniali, se ha adempiuto agli ob
blighi del servizio militare, se è stato sottoposto ad altri
procedimenti penali e se ha riportato condanne nello Stato
o all'estero, se ha ricoperto cariche pubbliche, se ha ti
toli nobiliari o decorazioni o altre pubbliche insegne o
onorificenze ecc. ». Il che, mentre da una parte smentisce
l'opinione di coloro che ritengono che il Giudice chieda i
precedenti dell'imputato non per necessità ma per como
dità, rivela d'altra parte che cosa abbia voluto intendere
il legislatore con la generica dizione di « altre qualità
personali ».
Discutere ancora sull'opportunità di usare tanto rigore
nei confronti dell'imputato che è istintivamente portato,
per amor di difesa, a mentire, non è nè serio nè ragio
nevole, dal momento che il legislatore ha coscientemente
introdotto la innovazione, pure rappresentandosi le obbie
zioni che ad essa sarebbero state mosse dai sostenitori di
un illimitato e incomprensibile diritto di difesa.
Si potrebbe opporre che la menzogna sui propri pre
cedenti penali incide sul merito dell'imputazione, perchè
nella maggior parte dei casi tende a respingere l'aggra
vante della recidiva. L'obiezione non regge perchè, a
parte il fatto che il legislatore dall'espressione « qualità
personali » non ha potuto certamente escludere i prece
denti penali, è anche vero che una tale menzogna non
potrebbe in nessun caso servire all'imputato, essendo la
recidiva una circostanza aggravante obbiettivamente ac
certabile con la prescritta richiesta del certificato del ca
sellario, a differenza del merito dell'accusa che, se non
risultasse dalle ammissioni dell'imputato, ha bisogno di
altre prove certe e concordanti.
Il che in altri termini significa che, mentre la menzo
gna sul merito della accusa è concettualmente compresa
nel diritto di difesa per la attitudine di arrecar vantaggio
all'imputato, la menzogna sui precedenti penali non ha
invece una tale attitudine e si concreta e si esaurisce in
uno sterile, meschino sotterfugio. Cosi si viene anche a
distruggere l'obiezione che si potrebbe fare e che a prima
vista potrebbe apparire fondata : l'obiezione cioè che adot
tando la tesi da noi prospettata si verrebbe all'assurda
conclusione che, mentre a norma dell'art. 384 cod. pen.
dovrebbe andare esente da pena il testimone che depone il falso per esservi costretto dalla necessità di salvare se
medesimo o un prossimo congiunto da un grave ed inevi
tabile nocumento nella libertà e nell'onore, si verrebbe
invece a condannare l'imputato appunto per il fatto di
aver negato per salvare sé stesso. L'idoneità ad arrecare
un utile contributo nel sistema difensivo dell'imputato è
il carattere che serve a differenziare la falsa dichiarazione
non punibile dalla falsa dichiarazione punibile. La menzogna sui precedenti penali non rientra nel di
ritto di difesa.
Alla Commissione che propose, a proposito dell'art. 496
del progetto (ora art. 495 cod. pen.) la soppressione delle
parole * altre qualità personali » il Guardasigilli rispose
che all'Autorità può interessare legittimamente di avere
esatta notizia non solo della identità e dello stato della
persona, ma anche di altre qualità della medesima ; il che
importava che la legge vuole che fin dal primo contatto
diretto con l'imputato il Giudice ne conosca la personalità
e la figura morale attraverso la descrizione dei precedenti.
Chè se cosi non fosse, non si spiegherebbe perchè il Giu
dice debba richiedere all'imputato le notizie enunciate
nell'art. 25 delle diposizioni di attuazione, dal momento che
di esse egli potrebbe averne sempre conoscenza o attra
verso il certificato di anagrafe, o le informazioni dei Ca
rabinieri o il certificato del casellario. Ispirandosi a tale
concetto, il Guardasigilli nella relazione al Re sulle di
sposizioni di attuazione del codice di procedura penale
spiegava che le domande preliminari che il Magistrato deve rivolgere all'imputato servono ad accertare « ele
menti che possono servire principalmente a lumeggiare la
personalità dell'individuo e facilitare l'applicazione delle
pene accessorie e delle misure di sicurezza, nonché a rac
cogliere elementi utilissimi per la statistica criminale».
Con tale relazione il Guardasigilli scolpiva la particolare indole del reato identificandola nella mancanza di rispetto
per l'Autorità che ha il diritto di conoscere fin dal primo momento la personalità dell' individuo colpito da una
accusa.
Invocare pertanto i sacri principi della difesa per in
ferirne la non punibilità dell'imputato che scientemente
cerchi di nascondere al Giudice che lo interroga le traccio
delle colpe di cui già si è macchiato, significa apportare un'arbitraria restrizione nello spirito della legge, che esige
invece, come un dovere sociale, l'obbligo da parte dello
imputato di svelare al Giudice la propria personalità. Al cospetto del Magistrato, interpetre e custode del
la legge, non vi è per l'imputato miglior titolo di vanto
che il potersi dichiarare « incensurato ». E questo il più ambito attributo di ogni onesto cittadino, onde è che non
si riesce a concepire la ragione per cui il legislatore, dopo essersi preoccupato della menzogna di chi per es. si ar
roghi titoli nobiliari ed onorifici, avrebbe dovuto poi rila
sciare impunito l'imputato che, negando i propri prece denti penali, avesse fatto professione di rispetto e di ob
bedienza alle leggi patrie.
Ragioni di politica criminale hanno pertanto indotto
il legislatore a porre a carico dell'imputato tutte quelle
menzogne che, essendo estranee all'imputazione attuale, non costituiscono materiale di difesa, ma sono soltanto il
frutto di una comoda e sistematica slealtà, non ammis
sibile nel cittadino di uno Stato forte e bene ordinato ...
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI TbIPOLl.
Udienza 8 settembre 1933 ; Pres. ed est. Nigbo, P. M.
Conti (conci, conf.) — App. Bubacker ben Sasi.
Colonic — Trlpolllanla e Cirenaica — Lesioni per
sonali — Aggravante dell'arma — Coltello e fal
cetto l'aiori «lei centri abitati — Won Non» armi —
Aggravante fnsiiNslsteiite (Cod.pei)., art. 585 J Ol'd.
di polizia 8 maggio 1927, n. 884, art. 40).
In Tripolitatiia e Cirenaica non vi è divieto assoluto o
relativo di portare coltello o falcetto fuori dei centri
abitati. (1) Quindi le lesioni personali commesse in aperta campagna
con tali strumenti non possono considerarsi aggra
vate ai sensi dell'art. 585 cod. penale. (2)
(1-2) Conforme stessa Corte 7 ottobre 1932, Freg ben Ahmed
(Foro it., Rep. 1932, voce Lesione personale, nn. 21 e 22) ; contro
la seconda massima : Tallarigo, Lesioni con arma nella Colo
nia libica, in lìiv. pen., 1933, 1245. L'art. 40 dell'ordinamento di polizia 8 maggio 1927, n. 884,
corrisponde all'art. 43 del nuovo ordinamento 6 luglio 1933, nu
mero 1104.
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