PARTE SECONDA - Camera

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Senato della Repubblica — 99Ì •— Camera dei Deputati LEGISLATURA VI — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI PARTE SECONDA (Relazione del senatore PISANO)

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LEGISLATURA VI — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI

PARTE SECONDA

(Relazione del senatore PISANO)

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MAFIA, POLITICA E POTERI PUBBLICI

ATTRAVERSO LA STORIA DI LUCIANO LEGGIO

63.

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Nel capitolo quarto della Relazione dimaggioranza (« Le ramificazioni territorialidella malìa »), dopo avere 'trattato l'evolu-zione del fenomeno mafioso in questo do-poguerra, attraverso una rapida sìntesi dellavita di Luciano Leggio dall'inizio della suaattività criminale fino al/la sua cattura av-venuta a Milano ii 16 maggio 1974, si affer-ma (paragrafo 7):

« Naturalmente sarebbe vano cercare diindividuare le responsabilità personali chehanno permesso a Leggio di non essere chia-mato a rispondere dei suoi crimini con lanecessaria tempestività... ».

Ebbene, noi non concordiamo con questaaffermazione.

Le testimonianze e i documenti raccoltidalla Commissione antimafia offrono piena-mente la possibilità di individuare questeresponsabilità, ipermettendo contemporanea-mente di comprendere i motivi dì fondo chehanno consentito all'organizzazione mafiosasiciliana di rafforzarsi paurosamente nel cor-so di questi ultimi decenni, estendendo lesue attività a tutto il territorio nazionale.

Questi documenti e queste testimonianzeconsentono infatti, ricostruendo passo pas-so d'attività banditesca di Luciano Leggio(che è stato e resta il simbolo stesso delladelinquenza mafiosa dal primo dopoguerraad oggi), di mettere a fuoco le complicità, icollegamenti, le protezioni che, a livello dipoteri politici, statali ed economici, hannodato modo all'organizzazione mafiosa di im-porre Ja sua criminosa presenza anche inquelle regioni d'Italia settentrionale semprerimaste immuni da fenomeni del genere.

I documenti e le testimonianze esistentinegli archivi della Commissione antimafia(e che noi citeremo nel corso della nostrarelazione) portano infatti a collegare il no-me di Luciano Leggio e ile vicende di cui èstato protagonista il dottor Pietro Scaglio-ne, Procuratore capo dal/la Repubblica diPalermo, assassinato il 5 maggio 1971, aldottor Angelo Vicari, già prefetto di Pa-lermo e Capo della polizia dal 1960 al 1973,a Salvatore Lima, già sindaco democristia-no di Palermo, eletto quindi deputato e di-venuto Sottosegretario idi Stato alle finanzecon ii secondo Governo Andreotti, al ban-chiere De Luca, già creatura di Sindona, che,attraverso il suo Banco di Milano, ci portaa Graziano Verzotto, ex senatore democra-tico cristiano e già /presidente dell'Ente mi-nerario siciliano, al cui nome torna semprea galla ogni volta che si parla del rapimen-to del giornalista Mauro De Mauro, scom-parso nel settembre del 1970 mentre stavaindagando sulle ultime ore di vita di EnricoMattei, presidente dell'ENI, tragicamente fi-nito nell'esplosione in volo del suo aereo lanotte del 27 ottobre 1962, due ore dopo es-sere decollato dall'aeroporto di Catania.

Convinciamo, quindi1, con la storia di Lu-ciano Leggio, dagli inizi della sua attivitànel 1944 e lungo tutta la sua prima latitan-za, durata praticamente dal 1948 al 14 mag-gio 1964, giorno in cui venne catturato aCorleone. È una storia che riportiamo quasiintegralmente da un documento della Com-missione (Doc. XXIII, n. 2-quater — V Legi-slatura — « Cenni biografici su Luciano Leg-gio ») e che offre alla meditazione non soloun impressionante « spaccato » della crimi-nalità mafiosa in Sicilia tra il 1944 e già annisessanta, ma anche la dimostrazione della

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impotenza, della incapacità, o peggio, degliorgani dello Stato ad affrontare il fenomenocrimiaoiso.

« Luciano Leggio può considerarsi il de-gno successore dei grossi pezzi da novanta:dopo Vito Cascio Ferro, Calogero Vizzini eGiuseppe Genco Russo la mafia non avevaavuto così prestigioso esponente, che nonfosse soltanto il basso delinquente sangui-nario ma che unisse alla temibile crimina-lità delle innegabili doti di organizzatore, dicapo, di contrattatore.

« Appartenente a famiglia di umili conta-dini, ai Leggio intesi "Ficateddi" per distin-guerli dai Leggio intesi "Fria", Lucianonacque a Corleone il 6 gennaio 1925 da Fran-cesco Paolo e da Palazzo Maria Rosa.

« Aveva dunque solo 18 anni quando losbarco delle forze alleate in Sicilia scuote-va l'Isola, facendo rivivere le vecchie forzemafiose già represse ma mai dome, por-tando un vento di ribellione e di rivolta,dando via libera a ogni ruberia e a ogniviolenza, nell'inevitabile tumulto di animi,di cose, di istituti e di ordinamenti provo-cato dal passaggio del fronte.

« Corleone era al centro di un vastissimoterritorio in prevalenza riarso e collinoso,dotato di ampi boschi quali quello della Fi-cuzza di Cedrano e quelli di Santa Mariadi Bisacquino, reso di difficile accesso perla presenza di notevoli rilievi montuosi, do-minati dalla nuda e selvaggia Rocca Busam-bra, a soli 56 chilometri da Palermo ma inrealtà molto più lontana dalla capitale, igno-rata di fatto dalle autorità centrali e costret-ta al rango di retroterra depressa.

« Su questo sfondo, si affacciava LucianoLeggio nel 194445 e decideva subito di de-dicarsi ad attività ,più lucrose riuscendo afarsi assumere come campiere dal dottorCorrado Caruso, .proprietario di una grossaazienda agricola in contrada Strasatto, su-bentrando al campiere Punzo Stanislao, uc-ciso il 29 aprile 1945 in località Galardo diRoccamena. Nessun elemento emerse con-tro di lui per l'eliminazione del Punzo, maè certo che la morte di costui, individuo one-sto e non legato alla mafia, consentì a Lu-ciano Leggio di diventare, all'età di ventianni, campiere di una importante aziendaagricola. Guardiani e campieri di altri feudi

(Rubinia, Malvello, Muranna, Lupolto, Rao,Ridocco, Piano di Scala, Patria, Galardo,Guardinello) furono molti di coloro desti-nati ad essere i compartecipi delle azionicriminose del giovane, o suoi compiici o suevittime future: Pasqua Giovanni, RoffinoGiuseppe, Streva Antonino, Catanzaro Vin-cenzo, Pennino Car.melo, Governale Antoni-no, Vintaloro Angelo, Leggio Biagio, ColluraVincenzo, Maiuri Vincenzo.

« L'esatta natura del rapporto instaura-tosi tra il dottor Caruso e il giovane delin-quente, già noto per la personalità aggres-siva e violenta, emerge dalla sentenza 14 ago-sto 1965 del Giudice istnittorc di Palermo,che ainviò il Leggio a giudizio per vari rea-ti, dalla quale risulta che il Caruso (mortoil 3 marzo 1951) quando tornava dalle sueterre era spesso di pessimo umore, tantoda volersi appartare dai suoi stessi con-giunti; onde, in considerazione dell'indoleprepotente e avida del Leggio, si può a ra-gione ritenere che il malumore del possiden-te era probabilmente dovuto alle angherie,alle intimidazioni e alle sopraffazioni cheegli era costretto a subire ad opera del suopericoloso dipendente. Le condizioni gene-rali della zona in quel periodo possono benimmaginarsi, peraltro, se si tien presenteche soltanto nel territorio di Corleone furo-no denunciati nel 1944: 278 furti, 120 dan-neggiamenti e 22 rapine ed estorsioni; nel1945: 143 furti, 43 danneggiamenti e 22 ra-pine ed estorsioni; nel 1946: 116 furti, 29danneggiamenti e 10 rapine ed estorsioni;negli stessi anni, gli omicidi salirono dagli11 del 1944, ai 16 del 1945, ai 17 del 1946!

« II controllo della terra era di fatto sud-diviso dalla mafia in zone di influenza, chefacevano capo a Governali Antonino, Collu-ra Vincenzo e Catanzaro Vincenzo, dai qualisi risaliva al medico dottor Michele Navarra,eminenza grigia dell'intero corleonese e suc-cessore del famigerato Calogero Lo Bue. Lu-ciano Leggio si affacciò presto alla ribaltamettendosi in 'mostra come validissimo ele-mento, per spregiudicatezza e sanguinarietà,della cosca del Navarra.

« II 1° giugno 1944 veniva denunciato perla prima volta per porto abusivo di armida fuoco.

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« Due mesi dopo, il 2 agosto 1944, venivaarrestato in flagrante dalle guardie campe-stri Splendido Pietro e Cortimiglia Pietro,con -la collaborazione della guardia giurataComajanni Calogero e denunciato per furtodi covoni di grano; nel successivo ottobreotteneva la libertà (provvisoria.

1) L'uccisione, 'di Comajanni

« II 28 marzo 1945 la guairdia giurata Co-majanni veniva uccisa a colpi di lupara neipressi della sua abitazione in Corleone; soloalla fine del 1949, dopo che si era già con-cluso il conseguente procedimento penale acarico di ignoti, il comando forze repressio-ne banditismo, con rapporto del 31 dicem-bre 1949, denunciava quale autore dell'omi-cidio Luciano Leggio che, in concorso conPasqua Giovanni, avrebbe agito per vendi-carsi di essere stato arrestato e denunciatodalla umile guardia campestre. Dopo seiarmi, la Corte di Assise di Palermo, consentenza 13 ottobre 1955, assolveva il Leggioe il Pasqua per insufficienza di prove: e do-po altri 12 armi, il 18 febbraio 1967, la Cortedi Assise dii Appello df Bari, alla quale ilprocedimento era stato rimesso dalla Cortedi Cassazione, rigettava l'appello del Pubbli-co ministero e confermava Ja sentenza diproscioglimento di primo grado. Nel corsodelle indagini di polizia giudiziaria e Pa-squa, arrestato dai Carabinieri mentre ilLeggio si manteneva irreperibile, rendevaampia confessione, dichiarando che il Leg-gio gli aveva manifestato propositi vendica-tivi contro il Comajamni per essere stato dalui denunciato e ilo aveva invitato ad aiu-tarlo nel conseguimento della vendetta.

« Avendo egli accettato, all'alba del 28marzo 1945, dopo un tentativo andato avuoto la sera precedente, avevano appostatoil Comajanni nei pressi della di lui abita-zione e appena uscito di casa gli avevanoesploso addosso alcuni colpi di lupara. Lavedova del Comajanni, alle precise contesta-zioni dei Carabinieni, 'richiamava l'episodiodell'arresto e della denuncia del Leggio adopera del marito e dichiarava che la seraprecedente il delitto, il Comajanni, rincasan-

do, aveva riferito ai familiari di aver notatonei pressi di casa il Leggio e il Pasqua ar-mati; essa stessa, all'indomani, aperta la por-ta all'esplosione dei colpi, aveva visto fug-gire il Leggio. Il timore della sicura rappre-saglia del delinquente le aveva impedito diriferire prima tali circostanze. Tre figli delComajanni confermarono di aver appresodal padre che il Leggio e il Pasqua erano sta-ti da lui incontrati presso casa poche oreprima che egli venisse ucciso e aggiunseroche la madre, passato il primo momentodi più cocente dolore, aveva loro confidatodi aver riconosciuto in uno degli assassiniLuciano Leggio. Certo De Prisco Vito, arre-stato col Leggio per il furto di covoni digrano, riferì che durante la detenzione ilLeggio stesso gli aveva espresso duri propi-siti di vendetta nei confronti di colui cheaveva dato causa al loro arresto.

« Senonchè, in sede giudiziaria, il Pasquaritrattava la sua confessione, frutto — se-condo le sue asserzioni —, delle violenze edei mal trattamenti subiti; anche il De Priscoritrattava le confidenze fattegli dal Leggio.Mantenevano sostanzialmente la loro versio-ne soltanto i familiari dell'ucciso. Il magi-strato, dal canto suo, disponeva persine laricostruzione dei fatti, l'ispezione e la pla-nimetria dei luoghi, da cui si accertava chel'abitazione del Pasqua distava 'metri 150dal luogo del delitto mentre molto lontanane era quella del Leggio.

« La Corte di Assise di Appello di Bari(presidente De Giacomo, Procuratore gene-rale De Bellis), come quella di primo gradodi Palermo, dubitava della causale della ven-detta, perché remoto nel tempo (agosto 1944)il fatto che avrebbe dato origine all'omici-dio commesso sei mesi dopo (marzo 1945);dubitava della spontaneità deila confessionedel Pasqua perché ritrattata dinanzi al magi-strato e "frutto di pressioni e di intimida-zioni" (non disponeva però di procedere acarico di coloro che, illecitamente, avreb-bero posto in essere tali pressioni e intimi-dazioni); negava ogni valore di prova alledichiarazioni dei familiari del Comajanni,per le "reticenze, le contraddizioni e le in-certezze" in cui essi erano caduti e perché"non sono stati coerenti", avendo tra l'altro,

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la moglie dell'ucciso, preferito confidarsi coni giovanissimi figlioli anziché con le cogna-te e, dopo 22 anni dal fatto, il 18 febbraio1967 assolveva definitivamente il Leggio eil Pasqua dall'omicidio della povera guardiagiurata.

« II 7 febbraio 1948 veniva ucciso tal Pi-raino Leoluca di Giovanni: pochi giorni do-po, il 18 marzo 1948 il commissariato di Pub-blica sicurezza di Corleone, con rapporton. 247 diretto alla Procura deilla Repubblicadi Palermo, denunciava Luciano Leggio qua-le autore dell'omicidio, commesso in cor-reità con Bellomo Salvatore. Veniva iniziataformale istruttoria, ma al termine di essa,con sentenza del 21 giugno 1950, il Giudiceistnittorc di Palermo proscioglieva il Leg-gio e il Bellomo con formula piena, per nonaver commesso il fatto. Nessuno, neppure iparenti della vittima, avevano portato alcu-na accusa contro l'imputato.

« Intanto nel 1946-1948 il dottor Navarra —eliminato di direttore dell'ospedale e ufficialesanitario di Corleone, dottor Carmelo Nico-losi, trovato ucciso il 29 atprile 1946 ad ope-ra di ignoti — rafforzava il suo potere ma-fioso in tutto il corleonese: medico condot-to, 'medico fiduciario dell'INAM, direttoredell'ospedale civile, Michele Navarra avevaoltremodo potenziato il gruppo mafioso deisuoi accoliti di cui Luciano Leggio divenne inbreve uno dei primi esponenti. Attraversola cosca del Navarra passavano ormai i con-trolli nell'assunzione della manodopera brac-ciantile ed operaia, i versamenti in danaro(pizzo) per protezioni ai campi, alle messi,ai lavori, alle abitazioni, alle persone. Ov-viamente era lo stesso gruppo mafioso cheorganizzava sequestri di persona a scopo diestorsione, delitti contro la persona nei con-fronti di avversar! personali o politici o dicosca, e nei confronti altresì di " scassapa-gliari " che osassero recare disturbo allazona protetta o di influenza, e i delitti diogni genere suscettibili di recar danno ointimidazione (pascoli abusivi, danneggia-menti, abigeato, incendi, eccetera). La verae propria associazione a delinquere di cuiil Navarra era il capo e il Leggio di luogo-tenente — pur se talvolta sfuggente al con-

trollo dello stesso Navarra — aveva assun-to un assetto e una potenzialità criminosadi tale pericolo che -molti rinunziavano, perpaura, a denunziare i danni ed i soprusisubiti.

« La "famiglia" agiva in campi di specia-lizzazione ed i proventi delittuosi che ne con-seguivano servivano sia alle spese di orga-nizzazione dell'associazione sia a gettar lebasi di quelle solide posizioni economicheche ancor oggi si registrano nei confrontidel Leggio e di altri personaggi allora ap-pena ventenni. Gli interessi del feudo, cheil Navarra aveva preso a cuore e proteggevae per tornaconto economico e per motivi po-litici, contrapponendosi la classe agraria ofeudale alle masse in fermento che reclama-vano le assegnazioni di terra e migliori red-diti di lavoro, videro a un tratto in LucianoLeggio, espressione egli stesso del più umi-le proletariato, un insperato paladino.

2) L'uccisione di Rizzotto

« II 10 marzo 1948 scompariva da Corleo-ne il segretario della locale camera del la-voro, Placido Rizzotto, che come già il sin-dacalista Bernardino Verro, ucciso nel 1915,si prodigava nel movimento contadino ebracciantile, per la revisione della politicaagraria e per la ripartizione dei grossi feudiincolti e improduttivi, contro la resistenzadei proprietari terrieri e ancor più controquella dei gabellotti del prepotere mafiosoche attingeva forza e mezzi di vita dalla strut-tura feudale dell'economia agraria. Il Riz-zotto ricopriva pure l'incarico di segretariodella locale sezione combattenti e reduci ecome tale si era apposto alla nomina delNavarra a socio onorario dell'associazione(il Navarra, ufficiale medico di complemen-ti nel 1930, venne congedato nel 1931 dopoil servizio di leva; richiamato alle anni nel1935, fu dichiarato inabile e ricollocato incongedo; e benché promosso tenente nel 1938e capitano nel 1942, non era né combattentené reduce). Inoltre, circa un mese primadella sua scomparsa, Placido Rizzotto si eravenuto a trovare in Corleone al centro diuno scontro tra ex partigiani di passaggio

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ed alcuni studenti sostenuti dai manosi lo-cala e nella circostanza si era schierato afianco degli ex partigiani, che ebbero ragio-ne degli avversari. Il giovane sindacalista,che aveva osato contrastare i "picciotti" del-la cosca dominante presenti e, più ancora,sfidare i capi che erano assenti .fino a col-pire ed a ferire un 'lontano nipote di uno diessi (La Torre Leonardo), divenne subito perla mafia, un "tragediatore" (spione, infido):ce ne era abbastanza per decretarne ila fine.

« Nella cartella biografica di Michele Na-varra redatta dailla Questura di Palermo, silegge, a un. certo punto, che egli agì come" mandatario " (voleva probabilmente dirsimandante) di numerosi omicidi, fra i qualiin particolare quelli in persona del dottorNicolosi e del Rizzotto. Certo è che il 21marzo 1948 LI quotidiano La Voce della Si-cilia (n. 28) pubblicò un articolo dal titolo"Un bimbo morente ha denunziato gli as-sassini che uccisero Placido Rizzotto nel feu-do Malvello", nel quale si assumeva che Pla-cido Rizzotto sarebbe stato sequestrato danumerosi uomini che, ad un segnale di certoCri'scione Pasquale, lo avrebbero condottonel feudo Malvello, dove un ragazzo dodicen-ne, Letizia Giuseppe, rimasto in quel feudoper sorvegliare il gregge, avrebbe visto gliassassini compiere il delitto. Atterrito e scon-volto per la scena terribile che si sarebbesvolta sotto i suoi occhi, il ragazzo avrebbeavuto delle allucinazioni e nonostante le cu-re prodigategli in Corleone dai medici dot-tori Navarca e Dell'Aira sarebbe morto dopopochi giorni per cause .non accertate. In al-tro articolo pubblicato nel n. 29 del 26 mar-zo successivo, col titolo "Per avvelenamentoe per trauma psichico l'allucinazione e lamorte del bambino?" lo stesso giornale rife-riva che uno di coloro che avrebbe "caccia-to a forza il Rizzotto nella macchina comeuna bestia sul carro del macellaio" sarebbestato il Leggio Luciano, fuggito la sera del16 marzo alla sola vista dei Carabinieri.

« L'autorità di Pubblica sicurezza proce-dette agli accertamenti opportuni in meritoa quanto riferito dal quotidiano e con rap-porto del 22 marzo 1948 comunicò al Procu-ratore della Repubblica che il Letizia eradeceduto per tossicosi, come da certificato

di morte redatto dal dottor Dell'Aira Ignazio;che il ragazzo aveva avuto delle allucinazionied aveva narrato al sanitario che due indi-vidui l'avevano invitato a prendere un col-tello col quale avrebbero dovuto uccideredue persone e pai lui stesso; che la macchi-na di cui si faceva cenno sarebbe stata una« Fiat 1100 » appartenente a Leggio Luciano;che nessun elemento concreto era, però,emerso a carico di costui. Interrogati dalNucleo mobile Carabinieri di Corleone e suc-cessivamente dal giudice inquirente, i con-giunti del Letizia esclusero che egli avessenarrato di avere assistito all'uccisione di Pla-cido Rizzotto. Dall'autopsia eseguita sul suocadavere, integrata da una perizia clinico-tossicologica sui visceri, risultò che la morteera stata determinata da grave intossica-zione, e più precisamente da una infezioneacuta febbrile encefalopatica, che va sotto ilnome di "delirio acuto".

« Successivamente, il comando CompagniaCarabinieri di Corleone, con rapporto del 3aprile 1948 denunciò in istato di irreperibi-lità, quale autore del sequestro di personadel Rizzotto, il Leggio Luciano, che avrebbeagito in concorso con Criscione Pasquale,Criscione Biagio, Benigno Leoluca e LeggioGiovanni; ma non si acquisirono validi ele-menti nei loro confronti e in esito alle ri-sultanze istruttorie il Giudice istnuttore, consentenza del 30 novembre 1949, prosciolseil Leggio e gli altri con formule varie. Lastessa sera del 30 novembre 1949, venivanofermati dai Carabinieri del V comando Grup-po squadriglie del comando forze repressionebanditismo in Corleone, Criscione Pasqualee Collura Vincenzo, perché da fonte oltre-modo attendibile (come si legge nel rappor-to di denunzia del predetto comando) erastato riferito che la sera del 10 marzo 1948Leggio Luciano era stato notato insieme colCollura e quella stessa sera, verso le ore 22,era stato nuovamente notato nei pressi delcaffè Alaimo, nell'atto in cui chiamava adalta voce il Criscione che era insieme colRizzotto,

« Contestati i nuovi elementi raccolti aloro carico, tanto il Criscione quanto il Col-lura ammisero dinanzi ai verbalizzanti, ca-pitano Carlo Alberto dalla Chiesa, brigadie-

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re Capizzi e carabiniere Ribezzo, di averepartecipato al sequestro di Placido Rizzotto,in concorso con Leggio Luciano, che avreb-be poi ucciso la vittima con tre colpi dipistola.

« Dichiarò, in particolare, il Criscioneche la sera del 10 marzo 1948, trovandosinella piazza principale del paese, aveva vistoil Rizzotto insieme con Benigno Ludovicoe con altro individuo. Verso le ore ventidue,nei pressi del caffè Alaimo, era stato chia-mato dal Leggio Luciano, che gli aveva in-giunto di avvicinare il Rizzotto e di prose-guire con lui verso la villa comunale, mo-strandogli per intimidirlo una pistola cheteneva nella cintura sotto il mantello. Ciòegli aveva fatto e nella via Marsala il Leggioli aveva raggiunti e minacciando il Rizzottocon la pistola gli aveva ordinato di seguirloverso .la via Sant'Elena, all'estremità dellaquale si era unito ad essi Collura Vincenzo,pure armato. Il Rizzotto era stato posto nelmezzo tra il Leggio e il Collura e condottoverso la contrada Sant'Ippolito, mentre a lui,Criscione, era stato ingiunto di ritornareindietro e di non far cenno con alcuno diquanto era avvenuto, pena la morte. Il gior-no successivo il Leggio gli aveva detto cheil Rdzzotto era caduto in un fosso dove nes-suno avrebbe potuto trovarlo.

« Collura Vincenzo confermò quanto di-chiarato dal Criscione, aggiungendo che, ri-tornato indietro il Criscione, egli, Leggio eRizzotto, dopo avere attraversato la contra-da Sant'Ippolito, erano pervenuti in un ter-reno seminativo, nella contrada Casale, doveera stato a lui ingiunto di rimanere ad at-tendere, mentre Leggio e Rizzotto avevanoproseguito verso le pendici della montagna.Pochi minuti dopo egli aveva inteso tre col-pi di pistola; dal Leggio, ritornato indietro,gli era stato riferito che aveva ucciso Riz-zotto perché questi era un "tragediatore" eche ne aveva buttato il cadavere in una"ciacca". Aveva rivisto il Leggio due gior-ni dopo e successivamente egli era stato dalmedesimo raccomandato di mantenere ilsilenzio assoluto su ciò che era accaduto.Sulla causale del grave delitto non dettespiegazioni.

« In base alle indicazioni fornite dai fer-mati, il comando dell Gruppo squadriglie Ca-rabinieri di Corleone accedette il giorno 6dicembre 1949 nella località Scala del Car-done, e, identificato il terreno di cui avevafatto cenno il Collura, rintracciò, dopo al-cune ore di ricerche, tra le quattro o cinque"ciacche" esistenti nella zona rocciosa dellependici della montagna del Casale, occultatada una parete rocciosa, una foiba dall'im-boccatura ristretta, profonda oltre 50 me-tri, come si potè accertare calandovi unagrossa pietra con una fune di quella lun-ghezza.

« Due .giorni dopo, con un sistema a car-rucola fu tentata l'esplorazione della foibafacendovi calare un militare, il quale scesosino alla profondità di 40-50 metri riuscì ascorgere nel fondo, alla luce di una lampa-dina elettrica, delle masse informi. Il suc-cessivo giorno 13, con l'intervento di unasquadra dei vigili del fuoco, furono estrattidalla foiba i resti scheletrici di tre cadaverinon essendo stato possibile recuperarli to-talmente a causa delle ristrettissime dimen-sioni dell'ingresso della foiba e dei cunicolidiscendenti, ile cui pareti, frastagliate e an-frattuose, non solo impedivano di tirar supesi voluminosi, ma rappresentavano un se-rio pericolo per chi dovesse risalire con unacorda da guida e con movimenti intralciati.

« Furono prelevati dai resti umani, lem-bi di indumenti e oggetti utili per l'identifi-cazione, tenendoli per quanto possibile di-stinti per ciascuno dei tre cadaveri (pezzi dìstoffa, portafogli di tela cerata grigia, cin-ghia di cuoio bleu, la montatura di unospecchio, striscia di gomma piatta costi-tuente un legaccio reggicalza, un pettine ne-ro, due scarponi chiodati con salvapunte diferro, due gambali di cuoio, una fondina concinghia per pantaloni, due scarponi tipoamericano con suole e tacchi di gomma eresti ossei nell'interno, nonché una calza,una cordicella elastica legata a farfalla, pre-sumibilmente usata come reggicalza, una pi-stola modello 1889, due scarponi con suolee tacchi di gomma, tipo americano, con re-sti di piede umano, lembi di stoffa per mu-tande).

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« I reperti furono portati nella sala mor-tuaria del cimitero di Corleone ed il giornosuccessivo, 14 dicembre, senza che il Procu-ratore della Repubblica di Palermo ritenes-se di inviare un suo sostituto, ad onta dellagravita del caso, il vice pretore onorario diCorleone, dottor Di Miceli Bernardo, cuginodel dottar Navarra, procedeva alla ricogni-zione dei resti scheletrici e degli indumentied oggetti recuperati nella foiba, fra i quali:parte di una teca cranica, frammenti osseidel cranio, radio e ulna in discrete condi-zioni di conservazione, un frammento di ar-ticolazione del radio, parte di una calottacranica ben conservata nel lato posteriorefino alla base con capelli rappresi di colo-rito castano. Lo stesso giorno (14 dicembre1949) i resti e oggetti repertati furono mo-strati ai familiari di Placido Rizzotto e pre-cisamente al padre e ai fratelli Antonino,Biagia, Giovanna, Concetta, Giuseppa, Aga-ta ed alla matrigna Mannino Rosa. Tutti di-chiararono di riconoscere come appartenen-ti al congiunto gli scarponi di tipo america-no con suole e tacchi di gomma, nonchélembi di stoffa di color verdastro e lembidi stoffa da mutande.

« Le sorelle Biagia e Giusappa riconobbe-ro inoltre la cordicella elastica legata a no-do che asserirono essere stata adoperatacome reggicalze dal fratello Placido; Manni-no Rosa credette di poter riconoscere anchela calotta cranica.

« II comando Gnuppo squadriglie di Cor-leone denunziò quindi, con rapporto del 18dicembre 1949, quali autori dell'efferato omi-cidio del Rizzotto, il Luciano Leggio sempreirreperibile, il Criscione Pasquale e il Col-lura Vincenzo, in stato di arresto; denunciòpure, iper favoreggiamento, certo eutropiaBiagio.

« Procedutosi a carico dei denunciati, ilCriscione, il Collura e il Cutropia negaronoogni addebito. Dichiararono, i primi due, dinon aver reso alcuna confessione e di averefirmato dei verbali ignorandone il contenuto,perché sottoposti ad estenuanti' interroga-tori ed a violenze di ogni sorta .da parte deiverbalizzanti, nelle camere di sicurezza dellastazione di Bisacquino.

« Si procedette nel cimitero di' Corleonealla ricognizione delle cose e dei resti di-nanzi al magistrato e anche questa volta lescanpe ed i pezzi di stoffa color verde fu-rono riconosciuti da Rizzotto Carmelo, non-ché da Benigno Ludovico.

« I periti accertarono che lo scheletro dicui facevano parte la tibia ed il perone .re-pertati erano di individuo robusto, di sessomaschile, alto centimetri 165 circa, giovanetra i venti e i quaranta anni; ritennero chela morte risalisse ad un anno o due e nonfurono in grado di stabilirne le cause. Circa.gli altri pezzi scheletrici, essi dovevano ap-partenere a due scheletri diversi, l'uno diindividuo dai 20 ai 30 anni, alto centimetri159-160 e l'altro di individuo di sesso ma-schile, di età tra i 20 e i 30 anni e di staturanon precisabile. La 'morte di entrambi risa-liva ad uno o due anni prima. In sede di ispe-zione dei luoghi, il giudice accertò che dallaperiferia dell'abitato di Corleone, e precisa-mente dall'ultimo fabbricato della via Sant'E-lena, percorrendo a piedi la trazzera di San-t'Ippolito denominata strada vicinale Punzot-to e poi la vicinale Rozzola Pane e la trazzeraSant'Agata, si perviene nella proprietà Vin-taloro, ove trovasi la foiba, superando unadistanza di chilometri 8,200 ed impiegandopoco più di tre one. I Carabinieri che accom-pagnarono sul posto ili magistrato inquiren-te riferiscono che l'imboccatura della foiba,all'atto in cui era stata scoperta, era ostrui-ta da due grossi massi che riducevano l'aper-tura, massi rimossi durante le operazionidi estrazione dei resti dei1 tre cadaveri.

« In seguito a varie istanze presentate daRizzotto Carmelo per ottenere che fosseroestratti dalla foiba del Casale tutti i restidei tre cadaveri, non solo per darvi degnasepoltura ina -anche per agevolare le inda-gini (per la sicura identificazione degli uc-cisi, il comando dei vigili del fuoco comu-nicò che le difficoltà di accesso nella foiba,rendendo impossibile l'impiego di mezzi di•respirazione speciale autonoma, non consen-tivano di procedere ad ulteriore esplora-zione; i periti nominati dal Giudice istrut-tore confermarono che le anguste dimen-sioni dei cunicoli discendenti, fortementefrastagliati, sconsigliavano di' ritentare ogni

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esperimento e giudicarono che la miglioresoluzione per rendere possibile l'accesso nel-la foiba fosse quella di allargare l'imbocca-tura mediante uno scavo in verticale. Datal'entità della spesa da sostenere, prevista inlire 1.750.000, la Procura della Repubblica,con nota del 1° agosto 1950, ritenne oppor-tuno informare il Ministero di grazia e giu-stizia perché autorizzasse l'esecuzione deilavori, ma espresse il parere che la estrazio-ne degli altri resti dei cadaveri fosse di scar-sa importanza ai fini processuali.

« I familiari dello scomparso confermaro-no le precedenti dichiarazioni e RizzottoCalmelo aggiunse che, pur non potendo for-nire alcun elemento concreto, era pienamen-te convinto che fra i -responsabili del delittovi fosse oltre al Leggio e agli altri denun-ziati anche il Michele Navarra, quale man-dante. Rdzzotto Antonino precisò che il de-funto suo fratello era stato in ottimi rap-porti con Criscione Pasquale sino a quandoparte delle terre dell'ex feudo Brago eranostate concesse alla cooperativa agricola "Ber-nardino Verro" e dichiarò che nei primigiorni di marzo, uscendo una sera daHa se-de della camera del lavoro, aveva notato,nelle immediate vicinanze, Leggio Lucianoe Criscione Pasquale che pareva fossero inagguato. In merito al riconoscimento dellescarpe già effettuato dinanzi al magistrato,precisò che non poteva sussistere dubbioalcuno in lui, perché aveva egli stesso cal-zato quel paio di scarpe, che essendo per luistrette aveva poi cedute al fratello.

« Rinviati a giudizio dinanzi alla Corted'Assise di Palermo, il Pubblico ministerorichiese l'ergastolo a carico di Luciano Leg-gio, del Cniseiooe e dell CcuMura: ma la Corte(presidente Gionfrida), con sentenza 30 di-cembre 1952, li prosciolse per insufficienzadi prove, revocando il mandato di catturaemesso a suo tempo contro il Leggio, dubi-tando delle confessioni "stragiudiziali" reseai Carabinieri dal Grisciome e dal Collura,dubitando del riconoscimento dei misera re-sti effettuato dai congiunti del Rizzotto, du-bitando dell'effettiva causale del raccapric-ciante assassinio.

« La sentenza venne appellata dal Pubbli-co ministero; ma soltanto 7 anni dopo, l'il

luglio 1959, a oltre 11 anni dal fatto, la Cortedi Assise di Appello di Palermo (presidenteCriscuoli, Pubblico ministero Sesti) portavail suo esame sulla macabra vicenda. Ancorauna volta il Pubblico ministero chiedeva lacondanna all'ergastolo del Leggio, del Cri-soione e del Collura, e ancora una volta laCorte li assolveva con formula dubitativa,confermando la sentenza di primo grado.Ciò perché, secondo i giudici di appello, nonpotevano considerarsi attendibili le confes-sioni « stragiudiziali » del Criscione e delCollura, poi ritrattate dinanzi al magistrato,anche per le "insistenti pressioni" che si do-veva "fondatamente pensare" fossero stateposte in essere dagli inquirenti; non potevadarsi; soverchia fede al riconoscimento deiresti effettuato dai parenti del Rizzotto; nonpotevano ritenersi univoche le causali pro-spettate a movente dell'assassinio.

« II ricorso che il Pubblico ministero pro-poneva in Cassazione veniva rigettato in da-ta 26 maggio 1961, tredici anni dopo il fatto,e la sentenza diveniva così definitiva.

« II grave episodio della scomparsa delsindacalista Rizzotto, che si attribuiva co-ralmente al Navarra e al Leggio, l'esigenzadi non deludere un'opinione pubblica chenel corleonese era giunta, dopo alcuni annidi violenze, di sopraffazioni, di intimidazio-ni mafiose, ad uno stadio ormai insoppor-tabile di terrore e di esasperazione, indusse-ro le autorità di Pubblica sicurezza — indi-pendentemente dall'esito delle indagini incorso — a proporre i due per il confino dipolizia: ciò avvenne in data 12 novembre1948 per il Navarra, riconosciuto socialmen-te pericoloso e assegnato per un periodo dicinque anni a Gioiosa Tonica (da cui facevaperò ritorno dopo pochi mesi a seguito diriforma del provvedimento) e, in data 28novembre 1948, per il Leggio. Costui perònon «i presentava alla Commissione provin-ciale per il confino, dove era stato convocatoper la seduta del 15 novembre 1948, e re-stava anche successivamente irreperibile.

« È degno di meditazione il fatto che ildifensore del Leggio nel processo Rizzotto,avvocato Bino Canzoneri, deputato regiona-le, nella seduta del 23 agosto 1963 dell'As-semblea regionale siciliana, nel corso di un

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acceso dibattito circa l'accusa che gli silanciava di aver avuto a Corleone numero-sissimi voti di preferenza per una presuntaattività elettorale spiegata dal Leggio a suofavore, pubblicamente dichiarava che "ilLeggio in passato era stato accusato e perse-guitato giudiziariamente dai comunisti, iquali evidentemente per consolarsi della as-soluzione subita, perché era stata dimostra-ta calunniosa la loro accusa per la scom-parsa di un sindacalista di sinistra, hannobisogno di fare del Leggio Luciano un de-mocristiano, anzi addirittura un propagan-dista democristiano".

« Dopo gli omicidi Comajanni e Rizzotto,il potere e il prestigio del giovane mafiososi accrebbero enormemente. Egli non erapiù il piccolo delinquente audace e sangui-nario, possibile sicario di autorevoli man-danti, né il modesto esecutore di ordini al-trui, ma aveva bisogno di lavorare in pro-prio, sullo stesso piano dei più autorevolimafiosi della zona. Nel novembre 1948 Lu-ciano Leggio si sottrasse all'arresto e sidette alla latitanza, che doveva protra-rsi<per ben 16 anni, ad eccezione di un breveintervallo tra il 1957 e il 1958, in cui ritor-na libero a Corleone, finché il 14 maggio1954 non veniva arrestato in circostanze tut-tora poco chiiaTe, ad opera dei Carabinierie della Polizia, in troppo scoperta gana diemulazione tra loro. Per Jungo tempo il Leg-gio si era temuto nascosto meli' " Ospizio Ma-nino " di Palermo, sotto M falso nome di Ga-spare Centineo, alloggiato in una conforte-vole camera appartata e assistito dal me-dico dottor Gaetano La Mantia, evidente-mente suo buon amico. La lunga latitanzaserve anche a dimostrare quali enormi pro-fitti abbia ricavato dalle sue imprese crimi-nose; è sufficiente pensare alle ingenti som-me necessariamente spese in tanti anni perspostarsi continuamente da una località al-l'altra, per ricoverarsi o soggiornare in co-stosi luoghi di cura, per retribuire infor-matori e favoreggiatori, perché si abbia unaidea approssimativa e certamente inferiorealla >realtà dei cospicui guadagni da lui rea-lizzati sfruttando convenientemente la suaposizione di capomafia, mediante l'estorsio-ne praticata nelle più svariate forme, quasi

sempre neppure denunciate, dall'imposizio-ne diretta della mediazione negli affari edalla partecipazione senza oneri in lucroseattività commerciali e industriali.

« L'arricchimento di Luciano Leggio nonpuò avere altre spiegazioni; ed è da esclu-dere che egli possa essere stato in qualche.modo aiutato dai suoi congiunti, perché co-storo, che non ne avrebbero comunque aAru-to la possibilità, anziché depauperarsi han-no anzi notevolmente .migliorato le propriecondizioni economiche, dimostrando così diavere beneficiato anche essi del suo arric-chimento.

« Protetto dal Navanra, che, reduce nel1949 dal confino di polizia e abbandonatii legami politici di un tempo (prima sepa-ratista, poi iliberale) aveva sposato la causadel partito al potere dopo le elezioni del18 aprile 1948 per rifarsi una verginità econsolidare la propria posizione, LucianoLeggio per alcuni anni, sia perché latitantesia perché intento a gettare le basi di unsicuro avvenire, non da luogo a manifesta-zioni criminose di rilievo o meglio non sihanno le prove di tali manifestazioni. Egliopera e agisce in silenzio, fidando sud timoreche incute e sul proprio prestigio e prefe-rendo evitare dimostrazioni clamorose. Tut-tavia, secondo il dettato dell'esperienza, èproprio nei periodi apparentemente più tran-quilli che la mafia si mostra nell'intera suapossenza, quando cioè nessuno osa contra-starle il passo e nessuna voce si leva controquella autorevolissima dei suoi accoliti.

3) L'uccisione di Splendido

« E la conferma la si ha nel febbraio 1955,allorché viene ucciso il guardiano SplendidoClaudio, addetto alla sorveglianza del can-tiere stradale Lambertinì sulla statale Cor-leone-Agrigento. Il cadavere dello Splendidovenne rinvenuto la sera del 6 febbraio diquell'anno e il movente della vendetta ap-pariva evidente dal volto, sfigurato da colpidi rivoltella sparati a bruciapelo e schiac-ciato da un sasso insanguinato rinvenuto neiparaggi. Con insolita sollecitudine l'istrut-toria giudiziaria per l'orrendo delitto veniva

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definita pochi 'mesi dopo, con dichiarazionedi non doversi procedere essendo rimastiignoti gli autori del reatro. Soltanto 11 annidopo, a seguito delle dichiarazioni di undetenuto di Corleone ristretto nelle carceridi Palermo, tale Raia Luciano, il quale ri-feriva di aver appreso che lo Splendido erastato soppresso perché, a ragione del suolavoro, aveva visto spesso il Luciano Leggioe i gregari della sua cosca manosa riunirsiin un terreno sito in prossimità del cantiereda lui sorvegliato, si riapriva l'istruttoria.Si accertava che lo Splendido era stato con-fidente dell'autorità di Pubblica sicurezza edei Carabinieri ed aveva segnalato la presen-za nella zona del ricercato Luciano Leggioe di altro suo complice, provocando duebattute rimaste infruttuose. Il Leggio Lu-ciano veniva rinviato a giudizio per rispon-dere dell'omicidio dello Splendido, ma consentenza 10 giugno 1969 della Corte di As-sise di Bari era assolto con formula piena.

« L'ampia libertà di azione e la protezioneaccordata dal Navarrà, consentirono al Lu-ciano Leggio di assurgere a posizioni di pri-mo piano, a tal punto che, nel tempo, lanatura prepotente ed ambiziosa e la sete dipotere e di più forti guadagni lo portaronoinevitabilmente a volersi sostituire al suostesso capo e "padrino".

« Nel 1956 veniva costituita in Corleone,in contrada Piano di1 Scala, una società ar-mentizia per l'allevamento di ovini e bovinifra i mafiosi Di Carlo Angelo, Leggio Fran-cesco Paolo, Leggio Francesco, Leggio Leolu-ca. Il Leggio Luciano ne fu l'ideatore ed ilmembro più influente anche se il suo nomenon appariva nella società e al suo posto figu-rava il di lui padre Fancesco Paolo. Il Di Car-lo Angelo, che aveva sopportato il 'maggioronere finanziario, non poteva effettuare uncontinuo e vigile controllo sull'attività socia-le, essendo residente a Palermo. Ne approfit-tò il Luciano Leggio che gradualmente e scal-tramente finì per impedirgli qualsiasi inge-renza nell'azienda, diventando così il padro-ne (con il fido gregario Leoluca) di tutti ibeni sociali.

« Tale predominio consentì al Leggio dagarantirsi quella fonte di guadagno che egli

fin dall'inizio si era ripromesso e cioè lamacellazione clandestina del bestiame ru-bato ed dil successivo avvio ai mercati diPalermo, ciò che praticamente non era pos-sibile fare nel bosco della Ficuzza, ove il fi-dato amico e protettore del Navarra, Catan-zaro Vincenzo, non glielo avrebbe consentito.Piano di Scala diventò così il centro di ope-razioni della cosca che ormai faceva capoa Luciano Leggio e alla quale affluivano iproventi dei numerosi abigeati di tutto ilcorleonese.

« Non contento di avere neutralizzato ilDi Carlo, il Leggio, imbaldanzito dal suc-cesso e forse equivocando sul significatodella prudente attesa del Navarra, passò al-l'azione anche contro uno dei suoi più fe-deli luogotenenti, Vintaloro Angelo. Costuiaveva acquistato 40 salme di terreno a Pia-no di Scala, confinanti' con le terre dellasocietà armentizia e con le disponibilità diun "baglio" in comune. Ciò aveva fatto se-condo la migliore tradizione manosa, chie-dendo, cioè, prima dell'acquisto ed in osse-quio alla regola di rispetto verso gli "amici"confinanti, se nulla essi avessero in contra-rio; nessuna obiezione venne sollevata el'acquisto fu così perfezionato. Ma poco do-po ebbero inizio da parte del Leggio unaserie di danneggiamenti e di azioni di di-sturbo, ai danni del Vintaloro, tali da im-pedirgli ogni cura per le terre acquistate.Piano di Scala divenne, verso il 1957-1958,dominio incontrastato di Luciano Leggio,e dei suoi gregari, fra i quali spiccavano Ba-gareHa Calogero, iProvenzaeo Giovanni, RiinaGiacomo e Roffino Giuseppe. Il Vintalorodovette subire anche l'onta del furto di unfucile e di 7 quintali di formaggio, da impu-tarsi senza ombra di dubbio al gruppoLeggio.

« Tali prepotenze ed angherie nei confron-ti di un vecchio amico del Navarra non po-tevano evidentemente lasciare indifferenteil "capo", al quale non erano sfuggiti gliatteggiamenti di sprezzo, indipendenza e tra-cotanza assunti da colui che, fino a pocotempo prima, era stato ossequiente e 'ri-spettoso e che, per quanto aggressivo, vio-

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lento e spavaldo, altro non era e doveva con-siderarsi che un gregario dell'associazione.

« Era .perciò inevitabile che da parte diMichele Navarra si corresse ai ripari conl'unico rimedio possibile e concepibile: laeliminazione dell'irrequieto e insubordinatoLuciano Leggio. Forse egli sarà stato ancheoggetto, in un primo tempo, di appelli edi invki, affinchè desistesse dalla posizioneassunta e -si 'mostrasse più sottomesso, enon è da escludere, dato lo svolgersi crono-logico dei fatti, che sulle prime, di' frontealla sua ostinazione, il Navarra abbia ancheesitato ad ingaggiare un conflitto aperto,non fosse altro per non compromettere unaposizione ormai di primo piano in tantisettori. Poi, però, sia per timore del suoavversario, sia per non pregiudicare il suoprestigio, si deve essere determinato a pas-sare dagli avvertimenti all'azione.

« Si arriva così all'attentato di Piano diScala, verso il 23 o 24 giugno 1958, organiz-zato da Michele Navarra contro il Leggio;alcuni individui armati e con il viso ben-dato facevano improvvisamente irruzione,verso le ore sette del mattino, nei "bagli" esparavano numerosi colpi di' arma da fuocoin direzione di Leggio Luciano, Leggio Fran-cesco, Leggio Leoluca e Roffino Giuseppe chevi si trovavano riuniti. Il Leggio Lucianoriportò solo una leggera ferita di striscio aduna mano, gli altri restarono incolumi. L'at-tentato andò così a vuoto e aprì definitiva-mente, tra il Leggio e il Navarra, un solcoche avrebbe potuto chiudersi solo col san-gue (1).

(1) Per tale episodio comparvero dinanzi allaCorte di Assise di Bari, per rispondere di tentatoomicidio, soltanto Vantatóre Angelo, Mangiameli An-tonino e Maium Antonino, essendo «tati uccisi dal-la vendetta del Leggio prima del giudizio il Navar-ra e gli altri suoi .gregari che vi avevano parteci-pato: Marino Giovanni, Marino Marco, Maiuri Pie-tro, Streva Francesco Paolo e Governali Antonino.I tre superstiti vennero assolti con formula pienacon la discussa sentenza del 10 giugno 1969. Lasentenza venne appellata dal Procuratore della Re-pubblica di Bari e dal Procuratore generale pres-so la Corte di Appello della stessa città, che, consentenza del 23 dicembre 1970, assolse gli impu-tati per insufficienza di prove.

4) L'uccisione di Navarra

« La reazione non si fece attendere: a di-stanza di quasi due mesi, il 2 agosto 1958,Michele Navarra fu ucciso, nella strada sta-tale 118, in località Sant'Isidoro della con-trada Imbriaca di Palazzo Addano, mentrein automobile faceva rientro da LercaraFriddi a Corleone. Insieme venive ucciso ildottor Giovanni Russo, occasionale accom-pagnatore e vittima innocente. L'autovettu-ra su cui viaggiavano i due veniva rinvenu-ta in una scarpata sottostante la strada; abordo, erano i cadaveri crivellati di colpi,uno dei quali, quello del dottor Russo, an-cora al posto di guida.

« La carrozzeria presentava numerose trac-ce .di proiettili da tutti i lati, con i vetri eil parabrezza in frantumi; nella parte ante-riore destra aveva subito una collisione re-cente. Sulla carreggiata erano una pistola"Snudi" calibro 38 e vari bossoli di calibrodiverso, alcuni dei quali simili a quelli rin-venuti nel cortile di Piano di Scala dovesi era svolto il conflitto a fuoco del prece-dente maggio fra gli assalitori del Leggio egli uomini di costui. Numerosi frammentidi vetro rosso — che una perizia tecnicaaccertava appartenere a un catarinfrangenteposteriore montato esclusivamente sulle au-tovetture "Alfa Romeo 1900 super" — porta-vano a ritenere che l'autovettura del Navar-ra fosse venuta a collisione con una mac-china di tale tipo, che probabilmente le ave-va sbarrato il cammino. Si accertava subitoche Leggio Giuseppe, intimo del Luciano, eraproprietario di un' "Alfa Romeo 1900 super"targata PA 31500, da lui acquistata un meseprima; la macchina non veniva rinvenutae il giovane Leggio dichiarava che gli erastata rubata circa 8 giorni prima del 2 ago-sto. Senonchè, da una parte, egli non avevamai denunciato il furto ad alcuno e, dal-l'altra, una contravvenzione per infrazionestradale contestata a Leggio Giuseppe alleore 21,45 del 1° agosto in Palermo, compro-vava che quanto meno fino a poche ore dalfatto il Leggio Giuseppe era ancora in pos-sesso dell'auto. Lo stesso Leggio Giuseppe,inoltre, invitato a indicare come avesse pas-

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sato il pomeriggio del 2 agosto, dava varierisposte; e precisava, da ultimo, di essersitrattenuto al cinema Nazionale di Palermo:il locale, però, era quel giorno chiuso perrestauro.

« Per il gravissimo episodio del 2 agostovenivano rinviati a giudizio Leggio Lucianoe Leggio Giuseppe. La Carte di Assise di Pa-lermo, con sentenza 23 ottobre 1962, li assol-veva entrambi per insufficienza di prove,condannandoli soltanto (anni 5 di reclusio-ne) iper il reato di associazione per delin-quere. Con la stessa sentenza venivano assol-ti per insufficienza di prove alcuni gregaridel Navarra (Roffino Giuseppe, Ferrara In-nocenze, Ferrara Pietro) imputati di esserestati gli esecutori, su mandato del capo, del-l'omicidio del noto e famigerato Collura Vin-cenzo, ucciso in Corleone il 24 febbraio 1957.

« Li Pubblico ministero appellò la senten-za e la Corte di Cassazione rinviò di giudiziodi secondo grado alla Corte di Assise di Ap-pello di Bari che, con sentenza del 23 di-cembre 1970, condannò il Leggio Luciano al-la pena dell'ergastolo per il duplice omici-dio; lo stesso Leggio Luciano, Leggio Leo-luca, Leggio Francesco, Bagarella Calogero,Provenzano Bernardo, Riina Salvatore eRiina Giacomo, alla .pena di anni 5 di re-clusione per associazione per delinquere.Comminò a Leggio Luciano anche altre peneper reati minori.

« È di grande rilievo il fatto che nel cor-so del dibattimento di primo grado, si con-statò che i frammenti di vetro da fanaleriarinvenuti sul .posto il 2 agosto 1958 e rico-nosciuti ad una prima perizia come appar-tenenti a vettura Alfa Romeo 1900 super,dello stesso tipo cioè di quella di proprie-tà di Leggio Giuseppe, erano stati sostituitida .altri nello stesso 'reperto giudiziario(n. 23565). I giudici non mancarono di farlonotare in sentenza, osservando testualmen-te: "II reperto è stato sicuramente mano-messo ed il relativo procedimento penaleinstaurato dal Pubblico ministero si è chiu-so purtroppo con sentenza di non doversiprocedere perché rimasti ignoti gli autoridel reato: non si è potuto accertare neppuredove e quando sia avvenuta, ma che sia av-venuta la manomissione non può revocarsi

in dubbio. Né deve meravigliare il fatto chei sigilli erano integri e le firme autentiche,perché una organizzazione criminosa poten-te ed operante come quella di Corleone nonsi arrestava certo dinanzi a tali ostacoli. Ilcolpo di scena, sollecitato e voluto dagli im-putati, che hanno chiesto il richiamo e ilriesame dei reperti, si è risolto in loro fa-vore, avendo suscitato dubbi e perplessitànella Corte".

« La gravita dell'episodio dispensa da ognicommento!

« Ma la guerra tra il gruppo di Navarrae quello del Leggio non finì con la 'morte delprimo. La cosca del Navarra rappresentavala vecchia mafia agraria e feudale, arroc-cata su posizioni di potere che avevano leloro radici da una parte nel latifondo e nel-la statica economia della terra e dall'altranei legami con la politica e l'apparato am-ministrativo pubblico {e lo confermano i nu-merosi incarichi del Navarra medesimo). Lacosca del Leggio era invece espressione del-la nuova mafia dei ribelli, che nati e cre-sciuti all'ombra della prima, insorgevano aun tratto contro i capi, dando vita a gruppidi potere autonomi e indipendenti, che con-trapponevano a quelli tradizionali altri si-stemi di sfruttamento, più dinamici e red-ditizi, abigeato, macellazione clandestina,estorsioni, per tentare poi l'assalto alla stes-sa Palermo nel settore dei mercati e dell'edi-lizia. Fu una lotta che si concretizzò in unacatena di imboscate, di attentati, di assas-sini che dal 1958 al 1963 videro decine divittime.

5) La strage di Corleone

« Un mese dopo l'omicidio del Navarra,il 6 settembre 1958, Corleone era teatro dinuo dei più sanguinosi scontri della mafia:nelle prime ore della sera i superstiti delgruppo navarriano si scontrarono con labanda Leggio e nel conflitto a fuoco resta-vano uccisi Marino Marco, Marino Giovannie Maiuri Pietro, tutti del gruppo Navarra,mentre venivano gravemente feriti due gre-gari del Leggio (Roffino Giuseppe e Proven-zano Bernardo) ed alcuni passanti che si tro-

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vavano occasionalmente per strada e cheriuscirono a stento a salvare la vita (Cutro-na Maria, Santacolomba Annamaria, Gua-stel'la Anna, Panzarella Antonio). Il 13 ot-tobre 1958 era 'la volta di Lo Bue Carmelo,anche egli navarriano. L'11 febbraio 1961veniva eliminato Cortimiglia Vincenzo, gio-vane mafioso che si era messo in vista co-me accanito avversario del Leggio e che (pri-ma di morire rispondeva ai colpi -degli av-versari uccidendo uno dei suoi aggressori,Provenzale Salvatore, del gruppo Leggio.

« Un anno dopo, il 3 luglio 1962, era uc-ciso Rima Paolo, che pur essendo estraneoalla mafia, era stato testimone dell'omicidioCortimdglia, gestendo egli all'epoca un nego-zio di generi alimentari a pochi passi dalluogo del delitto.

« II 10 maggio 1963 veniva attirato in unaimboscata e fatto segno a numerosi colpi diarma da fuoco Streva Firainoesco Paolo che,.morto il 'Navarca, aveva assunto la direzionedella sua cosca. Il malcapitato riusciva asopravvivere, ma per poco, perché quattromesi dopo, il 10 settembre 1963, veniva uc-ciso insieme con i fedeli amici Pomilla Bia-gio e Pdraino Antonino.

« In pochi anni, così, i navarriani eranostati di fatto eliminati dalla scena mafiosadi Corleone e Luciano Leggio poteva affer-mare incontrastato tutto il suo prestigio dinuovo capo della mafia non più solo di Cor-leone, ma di un vasto, redditizio e turbolen-to territorio alle spalle di Palermo. I navar-riani avevano perso Ja maggior parte deiloro esponenti: agli uccisi debbono aggiun-gersi gli scomparsi, senza più dar notiziedi sé, forse finiti in qualche foiba di RoccaBusambra, forse emigrati all'estero, forseannegati in mare: Listi Vincenzo, Belo Gio-vanni, Trombadoiri Giovanni, Governali An-tonino, Sottile Salvatore ».

Fin qui il documento della Commissione(XXIII, n. 2-quater - V Legislatura), ma va ag-giunto che, sempre in quegli anni, LucianoLeggio, uscito daJla rocca feudale di Corleo-ne, era calato nel frattempo su Palermo, dive-nendo uno dei capi della più temibile associa-zione a delinquere che imperversava nellacittà e nelle zone circostanti e che compren-deva i notissimi mafiosi Angelo La Barbera,

Tommaso Buscetta, Rosario Mancino, Salva-tore Greco detto « ciaschiteddu », SalvatoreGreco detto 1' « ingegnere », Vincenzo Rimi,Filippo Rimi, Pietro Torretta, Giuseppe Pan-zeca, Francesco Paolo Bontade, Giovanni DiPeri e Michele Cavatalo, che sarà poi uccisocon altre tre persone, il 10 dicembre 1969,negli uffici di viale Lazio del costruttoreMonca da.

Ma si legge ancora nel citato documento« Ha avuto compiici o conniventi, Luciano

Leggio, fra pubblici dipendenti, fra le per-sonalità politiche, fra gli amministratori lo-cali, che hanno favorito le sue imprese, peramore o per forza, e che hanno reso possibilile sue sconcertanti avventure?

« Non è difficile rispondere...« Le stesse innumerevoli assoluzioni per

insufficienza di prove da dui riportate ba-stavano da sole a dare la dimostrazione del-la sua pericolosità e a comprovare il (terroreche egli incuteva, e con di quale è sempreriuscito a "cucire" le bocche di chi sapeva,assicurandosi i mezzi, autorità e prestigioche gli procuravano un'infinita rete di fa-voreggiatori grazie ai quali — come eglistesso impudentemente e con iattanza di-chiarava nelle interviste concesse alla stam-pa all'indomani della sua scarcerazione —poteva senza pericolo circolare per la pro-vincia di Palermo e curare gli affari del pro-prio commercio (fra i quali anche un'impre-sa di autotrasporti), non avendo nemmenola preoccupazione di travisarsi!

« Come meravigliarsi, dunque, che, pur la-titante, egli si accompagnasse talora, nei suoiviaggi a bordo di autovetture, con ricchi eincensurati proprietari terrieri, che non di-sdegnavano la sua compagnia, come il ba-rone Valente Antonino da Corleone? E per-ché meravigliarsi che, sempre latitante, eglimantenesse persine una relazione amorosacon l'insegnante Marino Nania Anita, di Ci-nisi, ed amministrasse, nello stesso periodo,una officina meccanica e garage, di cui eraproprietario a Palermo?

« Nel novembre 1948 il commissariato diPubblica sicurezza di Corleone, dopo aversegnalato che da fonti confidenziali attendi-

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bilissime egli risultava l'autore, oltre chedell'omicidio Camajaoni nel 1945, anche de-gli omicidi in persona di Punzo Stanislao,nel 1944, di Capra Antonio, nel 1948, e diPiraino Leoluca, nel 1948, rivelava gli ille-citi guadagni della di lui attività criminosa,tali da consentirigli fino da allora un tenoredi vita "lussuoso" e lo proponeva per il con-fino di polizia per anni cinque, data la suapericolosità sociale.

« Luciano Leggio non raggiungeva mai ilconfino di polizia, e ancora otto anni dopo,la Compagnia Carabinieri di Corleone, osser-vando come egli fosse elemento socialmentepericoloso, che viveva col ricavato di azio-ni delittuose, e designato dalla voce pubbli-ca come "abitualmente (sic) colpevole diomicidio, furto, estorsione, violenza privataed altro", rilevava che era considerato spie-tato e fedele esecutore delle sentenze decisedalle organizzazioni di mafia e che in Corleo-ne era odiato per i lutti ed il male cagionatie temuto per la fredda determinazione e laferocia del carattere e per la lunga catenadi delitti a cui aveva partecipato, propo-nendolo, quindi, per un provvedimento dipolizia. Anche questa volta il (provvedimentonon venne, onde il 3 gennaio successivo lostesso comando tornava a segnalare il Leg-gio, «alila Questura di Pallenmo, come sogget-to indicato dall'opinione pubblica quale au-tore di numerosi gravi delitti di sangue etale che nessuna delle vittime osava denun-ziare sue malefatte iper paura di incorrere,prima o poi, nella sua spietata vendetta.Finalmente, il Questore di Palermo, in data21 marzo 1957, invitava Luciano Leggio a"vivere onestamente", a "rispettare le per-sone e le proprietà", e ad "osservare le leg-gi e i regolamenti", nonché a ottemperareagli altri obblighi imposti nell'atto di dif-fida.

« Un mese dopo, il comando CompagniaCarabinieri dii Coricane così lo descriveva alGruppo esterno dei Carabinieri di Palermo:

" Tipico elemento della malvivenza locale,ha compiuto molti gravi reati che vannodalla rapina all'omicidio aggravato, al seque-stro di persona, all'estorsione, alla compar-tecipazione con elementi della sua risma

.nella consumazione di altri gravi reati divaria e complessa natura.

" Carattere naturalmente violento, crimi-nale per costituzione e tendenza, determi-nato e feroce, ha seminato in molte fami-glie il lutto, beneficiando di lauti compensi,per la sua opera di fedele sicario.

" L'odio e la paura che le sue gesta hannogenerato, anche tra i mandanti dei molte-plici delitti, lo hanno consigliato ad abban-donare Corleone, e pertanto vive a Palermo,apparentemente estraniato dall'attività del-la mafia locale. In effetti, è elemento attivo,a malapena trattenuto dalla amicizia piùche dall'ascendente dei capi della mafia, diPiazza Sopran", con i quali tende a dividerel'imperio morale su queste contrade.

" Gode di molto ascendente tra la malvi-venza locale, in ispeoie tra i giovani, per ilmorboso interesse che le sue imprese han-no destato e per le 'reiterate assoluzioni perinsufficienza di prove.

" Naturalmente diffidente, ama vivere inos-servato. Si mantiene in istato di semiclan-destinità per essere pronto ad eludere sial'azione delle forze di polizia, sia la even-tuale azione da parte di malviventi awer-sari, diretta ad eliminarlo data la poten-ziale minaccia ohe egli costituisce per i man-danti dei molteplici delitti da lui stesso con-sumati ".

« Passavano gli anni: e nel 1963, sempreperdurando 'la sua latitanza, la Squadra dipolizia giudiziaria dei Carabinieri di Cor>leo-ne così lo indicava al Nucleo di Polizia giu-diziaria dei Carabinieri di Palermo:

" Persona scakra, sanguinaria e violenta,di indiscusso ascendente sui suoi gregari,incute paura ed orrore in Corleone. £ il re-sponsabile delle innumerevoli stragi verifi-catesi nella zona e unica causa deMa preci-pitazione ideila sicurezza pubblica nel cor-leonese, nel palermitano e nei paesi viciniori.

" Con le sue imprese brigantesche ha ra-cimolato potenza e rispetto nella malavitasiciliana.

" È capo di una -masnada di delinquentiagguerriti che lo servono in ogni suo desi-derio seminando lutti e terrori fra le pacifi-che popolazioni del luogo.

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" Portatore di lutili, ha gettato nella scia-gura decine e decine di famiglie.

" E primo attore nel teatro intricato edrammatico delle cosche maliose locali edelimina quanti a lui si oppongono,

" Responsabile delle innumerevoli spari-zioni di .persone appartenenti alla cosca na-varriana, quali: Governali Antonino, Trom-badori Giovanni, Listi Vincenzo, Delo Gio-vanni ed altri, è temuto e, a causa di talestato di cose, viene rafforzata la omertà lo-cale e la libertà dì agire del masnadiere.

" Pericoloso, scaltro sino all'incredibile, èlatitante da più di una decina di anni ed èriuscito sempre a farla franca in tutto, an-che negli attentati a lui diretti.

" Nel palermitano vuoisi addentrato sianel contrabbando che nella edilizia e nell'in-dustria. Sembra protetto da personalità po-litiche che appoggia e fa appoggiare dallasua cricca, durante le elezioni regionali onazionali.

" In ogni fatto criminoso degno d'impor-tanza per le .modalità ed i fini vi è 'impli-cato Luciano Leggio " ».

6) Leggio e la morte di Giuliano

Di fronte a questa realtà, già così pesan-temente drammatica agli inizi degli annisessanta, e di fronte alla evidente impotenzadei poteri pubblici ad affrontare e risolvereil caso di questo bandito le cui imprese giàda tempo stavano offuscando persine il ri-cordo di Salvatore Giuliano, c'è da doman-darsi: ma di quali protezioni, e a quale li-vello politico, godeva questo pericolosissimocapomafia per permettersi di sfidare tantoimpunemente tutte le leggi dello Stato?

Qualcuno ha tentato di dare una rispostaa questa domanda avanzando l'ipotesi cheLuciano Leggio si fosse conquistato unaquasi totale impunità agli inizi della sua« carriera » in quanto era stato lui, e nonGaspare Pisciotta, a uccidere Giuliano nel-la notte del 5 luglio 1950, per conto dellamafia che, come è noto, aveva deciso di« callaborare » con de forze dell'ordine con-tro il bandito di Montelepre, allorché si eraaccorta che lo stesso nuoceva, con la sua

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attività, ai tradizionali interessi della loroorganizzazione.

Non è il caso, in questa sede, di appro-fondire l'argomento. Basti comunque preci-sare che l'ipotesi trova un suo fondamentonei seguenti fatti:

1) La verità assoluta circa l'uccisione diSalvatore Giuliano non è mai stata rag-giunta. Ufficialmente a sparargli nella casadell'« avvoca tìcchio » De Maria a Castelve-trano fu Gaspare Pisciotta, d'accordo con dCarabinieri dal comando forze repressionebanditismo in Sicilia. Ma dalle testimonian-ze raccolte dalla Commissione antimafia, ri-sulta chiarissimo che Pisciotta non avevaavuto il compito di uccidere Giuliano, ilquale, tra l'altro, venne assassinato mentredormiva. Nella seduta del 22 maggio 1969(Doc. XXIII, n. 2-sexies — V Legislatura —),il colonnello dei Carabinieri, Antonio Peren-ne, ohe la notte del 5 luglio 1950, quando eraancora capitano, aveva comandato l'opera-zione che doveva portane alla cattura di Giu-liano, rispondendo alile domande dei Com-missari dell'Antimafia, testimoniò nipatuta-menite in questo senso. Ecco alleuni brani si-gnificativi della testimonianza Paranze:

« TUCCARI. Ma era indispensabile fairllo uc-cidere (Giuliano) da Pisciotta?

« PERENZE. Ma oo, •indubbiamente no.

« TUCCARI. Quindi, sarebbe stato possibileprenderlo vivo?

« PERENZE. Noi sparavamo di poterlo pren-dere vdvo: anzi, eravamo protesi proprioverso quello scopo lì.

« BERNARDINETTI. Sicché, quando Pisciottalo ammazzò, fu per voi una novità?

« PERENZE. Una novità, un fatto del tuttoimprevisto.

« TUCCARI. Io mi permetto di essere sor-preso di fronte a questo, dato che Pisciotta,in fondo, agiva di concerto con voi.

« PERENZE. Ma Pisciotta non doveva ucci-derlo, doveva stanarlo: accertare, prima diogni altra cosa, dove si trovasse e poi tirar-lo fuori.

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« TUCCARI. Ma che ragione avrebbe avutodi ucciderlo, se 'l'uccise nel sonno? Non cifu neanche un motivo di legittima difesa.

« PERENZE. C'è stato un motivo: Giuliano,cioè, era stato avvertito, qualche minutoprima, o la sera prima, o nella stessa gior-nata, che Pisciotta era con noi, che Pisciot-ta do tradiva.

« TUCCARI. E come mai, allora, quella nottesi addormentò tranquillamente?

« PERENZE. Non credo che si fosse addor-mentato tanto tranquillamente, sa! Credoche siano rimasti in piedi per molte ore achiacchierare: e Pisciotta, che aveva una dia-lettica non indifferente, riuscì a convincereGiuliano che si sbagliava, e quello che gliavevano detto era inesatto e così via...

« TUCCARI. Ma io torno alila mia domanda:come mai Pisciotta che era il vostro brac-cio (e quindi, come lei dice, conosceva lavostra volontà di prenderlo vivo) invece l'hafatto fuori?

« PERENZE. Ma glielo ho detto, gdieì'ho spie-gato! Perché, per quello che ricordo (sonopassati tanti anni!), quando Pisciotta arrivòin casa di questo avvocato De Maria, mi•sembra che Giuliano stesse cenando, con ilDe Maria, con la domestica del De Maria,o con qualcuno. Pisciotta entrò, si mise asedere, e quell'altro lo aggredì, letteralmen-te: gli disse: « Traditore! Bastardo! ». Glie-ne disse di tutti i colori. E questo mi sem-bra che sia stato ripetuto anche al processo.

« TUCCARI. Ma, colonnello, Giuliano fu uc-ciso nel sonno! Lei lo sa benissimo: fu ucci-so nel sonno.

« PERENZE. Quesito fu ripetuto anche al pro-cesso di Viterbo. Pisciotta, dunque, aveva lasicurezza matematica che non sarebbe usci-to vivo da casa De Maria. Questa è da giu-stificazione di Pisciotta.

« TUCCARI. Ma se Giuliano dormiva, e fuucciso nel sonno, come è possibile dire chePisciotta non sarebbe uscito vivo dalla ca-sa? Ormai Giuliano dormiva!

« PERENZE. Bisognava vedere quali erano levere intenzioni di Giuliano. Giuliano non era

i un tipo che non sapesse uccidere a sanguefreddo.

« TUCCARL Ma Piiselo Uà aveva l'appoggiovostro, era d'accordo con De Maria; Giulianodormiva...

« PERENZE. Era d'accordo con De Maria?Non credo! Per quel che io so, quando Pi-sciotta entrò, quella era la prima volta, quelgiorno, che De Maria lo vedeva.

« TUCCARI. Ma De Maria aveva saputo davoi a che cosa doveva servire Pisciotta, no?Come mai Pisciotta fu fatto entrare in casa?Evidentemente non era uno sconosciuto, maarrivava per assolvere ad una certa missio-ne; non sarà stato spiegato al De Maria qua-le era, ma comunque... Il padrone di casa,insemina, doveva sapere chi era Pisciotta.

« PERENZE. Ma Pisciotta non sapeva nem-meno con sicurezza se Giuliano fosse da DeMaria: non lo sapeva.

« BERNARDINETTI. E quindi, De Maria nonsapeva niente di questa azione che si stavaportando a compimento, d'accordo tra Pi-sciotta e la Polizia?

« PERENZE. Niente, rial modo più assoluto.Se De Maria, guardi, fosse stato un mafioso,non avrebbe mai tollerato che si uccidessedentro casa sua, perché sarebbe stato squa-lificato.

« BERNARDINETTI. Ed affiora come gius-tificail fatto che ospitò Giuliano?

« TUCCARI. Mi scusi, la sua è una domandaingenua. Lo ha ospitato per incarico dei ma-fiosi!

« PERENZE. Non glielo so dire. Fotrse perincarico dei mafiosi. Ma per quel che ri-cordo, De Maria era un tipo da niente.

« TUCCARI. Io vorrei far rilevane l'inspiega-bilità di questa uccisione, avvenuta in unmomento di tranquillità di Giuliano, ecco.

« PERENZE. Pisciotta ha detto che ha dovutofar finta di dormire per parecchio tempo;di russare per parecchio tempo: « Soltanto

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quando mi sono accorto che lui dormivasicuramente, ho sparato ».

« BERNARD i NETTI. Questo ha dichiarato Pi-sciotta?

« PERENZE. Sì. E gridò: " Avvocato, stannosparando ".

« TUCCARI. Ed allora, perché voi non aveterivelato subito questa verità ed avete invecemontato quella messa in scena?

« PERENZE. Perché noi avevamo tutto l'inte-resse, come le dicevo, a tenerci ancora Pi-sciotta, visto che era venuto meno Giuliano,per sapere tutti i retroscena del banditi-smo e risalire, principalmente, al cognatodi Giuliano, Sciortino.

Dalle parole del colonnello Perenze che,ripetiamo, fu l'uomo che comandò l'azionedi quella notte a Castelvetrano, emergequindi che Giuliano sapeva di essere statotradito da Pisciotta. Quest'ultimo, però, en-trò ugualmente nella casa dove si nascon-deva il suo capobanda, discusse a lungo conlui e Jo convinse che gli era ancora fedele.Poi Giuliano si sarebbe addormentato, dan-do prova, perlomeno, di una ingenuità e diuna tranquillità addirittura inconcepibile inun bandito che sapeva di essere braccatocome un cane -rabbioso, e Pisciotta, allora,pur sapendo che i Carabinieri volevamo Giu-liano vivo, avrebbe approfittato del son-no del capobanda, e gli avrebbe sparato.Una storia, vista alla luce dell'interessantetestimonianza resa dal colonnello Perenze,che non sta in piedi. Ma c'è dell'altro.

2) Gli stessi superstiti della banda Giu-liano, infatti, non sono convinti che sia sta-to Pisciotta a uccidere Salvatore Giuliano.Frank Mannino, interrogato dalla Commis-sione nelle carceri di Civitavecchia, il 2 lu-glio 1970, ha dichiarato, riferendosi ad unmomento del processo di Viterbo nel cor-so del quale vennero processati i componen-ti della banda Giuliano: « Quello che pos-si dire è questo. Prima che Pisciotta dicesse" Io ho uccìso Giuliano ", l'avvocato ci par-la e ci dice: " Badate che Pisciotta dirà diavere ucciso Giuliano: ma state tranquilliperché non è lui ». Io, oggi, sono convinto

che Pisciotta non ha ucciso Giuliano. È untraditore, Pisciotta, ma non è l'uccisore diGiuliano ». E ancora: « È questo che si do-vrebbe chiarire. Perché non fu Perenze aduccidere Giuliano. Pisciotta non fu. Chi fuche uccìse Giuliano? Chi diede il colpo digrazia? Perché, per conto mio, è stata la" bustina " ohe ha bloccato Giuliano ». Inten-dendo, il Mannino, per « bustina », una do-se di sonnifero.

E Antonio Terranova, altro componentedella banda Giuliano, interrogato anche luiil 2 luglio nelle carceri di Civitavecchia:« Inoltre lui (Pisciotta) aveva promesso ame che avrebbe detto la verità, a Viterbo,ma nel senso come la intendevo io, e cioèla verità vera. Mi disse che la sapeva e chel'avrebbe detta. Lui, in un primo tempo,disse che aveva ucciso Giuliano. In un se-condo tempo disse di no. Successivamentecambiò ancora opinione affermando cheavrebbe detto chi era il responsabile... ».

Ma Gaspare Pisciotta non fece in tempoa dire più niente perché, come è noto, ven-ne misteriosamente avvelenato nel carceredi Palermo la mattina del 9 febbraio 1954.

Assassinato da chi? E perché? Questi in-terrogativi sono tali da rendere fondata,come dicevamo aprendo questa parentesisulla morte di Giuliano, l'ipotesi che sia sta-to Luciano Leggio a uccidere il bandito diMontelepre, garantendo così alla organizza-zione manosa, di cui era diventato uno de-gli uomini di punta, la protezione e l'appog-gio di quelle forze politiche che avevanol'assoluta necessità di eliminare il famosocapobanda.

Protezione e appoggio che, come docu-menteremo in seguito, si manifestarono in-fatti in termini addirittura clamorosi.

In quel periodo (prima metà del 1950),Giuliano era diventato un personaggio trop-po ingombrante e pericoloso, non solo peri gruppi degli uomini politici che, nel ma-rasma siciliano del primo dopoguerra, l'ave-vano strumentalizzato spregiudicatamente,•ma anche per la mafia che, per sfruttarepienamente tutte le enormi possibilità for-nitele dalla nuova realtà politica del paesee dalla evidente debolezza dei pubblici po-teri, aveva bisogno di sgomberare il campo

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da un pericoloso concorrente per colpa delquale, Ira l'altro, la Sicilia occidentale vi-veva ormai da troppo tempo in un peren-ne stadio di assedio.

E la mafia, infatti, come è noto e ampia-mente 'documentato, « collaborò » attiva-mente con i poteri pubblici per giungerealla distruzione della banda Giuliano.

Dice a questo proposito la Commissioneantimafia (Doc. XXIII, n. 2-septies — V Legi-slatura — ad capitolo quarto, 1° paragrafo« Mafia e Banditismo »): « In questo disegnola mafia si accorge che il banditismo puònuocerle e non esita perciò ad abbandonar]o,mettendosi a disposizione della Polizia perbraccare, nei singoli nascondigli, i singolibanditi... ».

Così Giuliano, in quel luglio del 1950, èrimasto praticamente solo, isolato, insegui-to da vicino dalle forze di Polizia. Il suopiù fido luogotenente, Gaspare Pisciotta, èancora a piede libero per il semplice mò-ràvo ohe si era messo a disposizione dei Ca-rabinieri. E lui lo sa. Ma Pisciotta, comeconferma il colonnello Perenze, non ha l'or-dine di uccidere Giuliano: deve solo scovar-lo e farlo catturare, vivo.

Troppi, però, in Sicilia sono coloro chenon hanno alcun interesse a far cadere Giu-liano vivo nelle inani dei Carabinieri: il ban-dito sa troppe cose, e può comprometteretroppe posizioni di potere.

Così, quella notte del 5 luglio 1950, incasa De Mania, Giuliano viene ucciso men-tre dorme profondamente, tanto profonda-mente da non accorgersi della trappola nel-la quale è caduto. Una trappola organizza-ta, ora lo sappiamo bene, non dai Carabi-nieri e non da Pisciotta.

Da chi, allora? La risposta è ovvia: dallamafia, che agisce ormai in stretto collega-mento con quei centri di poteri politici chehanno interesse a far tacere Giuliano persempre. Quei centri di potere che .manovra-no nell'ombra, dietro lo schieramento delleforze di Polizia impegnate nella cattura dellbandito.

Ma se di mafia si tratta, e tutto coincidenel!'avvalorare questa tesi, è fuori dubbioche in quei primi 'mesi del 1950, nella Si-cilia occidentale, la mafia si identifica so-prattutto nel binomio Navarra-Leggio, essen-

dosi conquistato, quest'ultimo, i gradi dikiller più spieiato dell'organizzazione.

Torniamo quindi a Luciano Leggio.Nel periodo in cui Giuliano viene elimi-

nato, Leggio è già latitante. Ma la sua è unasbrana latitanza. Già notissimo per esserequel delinquente che è, già inseguito da nu-merosi mandati di cattura per omicidio e al-tri pesanti reati, Leggio vive ed opera indi-sturbato melila Sicilia occidentale e, specifica-mente, nella zona di Corleone, senza chenessuno riesca a mettergli le mani addosso.

Anzi, proprio a Carleone, gode dell'apertaprotezione di alcuni notabili del luogo, primitra i quali il barone e la baronessa Valente,che tengono alle loro dipendenze, quale am-ministratore, un notissimo mafioso, Antoni-no Sbreva, che è uno dei luogotenenti di Leg-gio. Il fatto viene ufficialmente confermatodal colorsneiHo dea Carabinieri Ignazio Milillonella deposizione da lui resa davanti allaCommissione in data 26 giugno 1969. SempreMilillo, nel corso della sua deposizione, con-fermerà la notizia, già nota, che i Valente, aloro volta, erano 'legati da amicizia con ildottor Angelo Vicari, all'epoca in cui questi,tra il 1948 e ili 1953, era Prefetto di Palermo.

7) La carriera di Angelo Vicari.

Angelo Vicari, nato a Sant'Agata di Militel-lo (Messina) il 2 gennaio 1908, era entrato nel-l'amministrazione dello Stato nel 1931. Fun-zionario estremamente abile e capace, lo ri-troviamo, già vice prefetto nel 1946, quale Ca-po di gabinetto del Ministro dell'interno Ro-mita all'epoca del referendum istituzionale.

Per l'attività svolta in quel periodo, il 1°agosto 1948 viene nominato Prefetto, a sodiquarant'anni, e destinato a Palermo.

Dopo l'eliminazione di Giuliano, verrà pro-mosso Prefetto di prima alasse per i meritiacquisiti nella lotta contro il bandito di Mon-telepre.

Destinato successivamente Prefetto a Ge-nova nel 1953 e poi a Milano nel 1958, diven-terà infine Capo della polizia: carica che ri-coprirà ininterrottamente dall'ottobre 1960al 1973, sotto undici governi di centro-sini-stra, avendo quali ministri dell'interno Scel-

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ba, Taviani, Restivo e Rumor. Quando se neandrà in pensione, la malìa sarà dilagata dal-la Sicilia in tutto il territorio dello Stato, po-nendo le basi più efficienti nelle regioni delNord.

Luciano Leggio restò dunque latitante dal1948 al 1964, a'ilorohè i Carabinieri, che ope-ravano in maniera piuttosto autonoma rispet-to agli altri organi di polizia, cominciaronoa stringere il bandito m una morsa semprepiù stretta.

La prima azione decisa per giungere allasua cattura venne eseguita nel settembredel 1963.

Nella relazione predisposta dal Comitatoristretto della Commissione incaricato di se-guile la dinamica dei fatti di mafia (e com-posto dal Presidente, senatore Luigi Carra-ro, dal senatore Giorgio Pisano e dai deputatiPio La Torre, Marcelle Sgarlata e ManlioVineis), relazione svolta nella seduta del 30gennaio 1974, si legge, a questo proposito(Doc. XXIII, n. 1 - allegato I — VI Legisla-tura) :

« Nel 1963, fonti confidenziali riferironoai Canabmiari del Gruppo esterno di Palermo,comandato dal tenente colonnello Ignazio Mi-li'llo, che il Leggio, affetto da morbo di Pott,a Palermo, era degente nel ricovero Albane-se. I Carabinieri ritennero che l'accennatalocalità si identificasse con la cllnica Albane-se e, pertanto, il 5 settembre 1963, vi effettua-rono una perquisizione, che non ebbe però ri-sultato positivo. Il Leggio, infatti, come poisi stabilì, era '.ricoverato a quell'epoca nello" Ospizio Marino ", sotto il falso nome diGaspare Centineo, nato a Partinico il 3 gen-naio 1925.

« Questa circostanza fu accertata dagliinquirenti, quando il Leggio aveva già la-sciato la casa di cura. Essa tuttavia si ri-velò ugualmente decisiva per la cattura delbandito. Gli inquirenti, infatti, poterono anzi-tutto rilevare dai documenti sanitari dello" Ospizio Marino " i nomi di alcuni medicie di un'infermiera che avevano accompagna-to, raccomandato ed assistito il Leggio. Siaccertò anche che, durante la sua degenza', ilbandito era stato visitato da un mobilieredi Palermo, Francesco Paolo Marino, e chedopo avere lasciato la casa di cura, avevapreso alloggio nella sua abitazione ».

Mentre le indagini dei Carabinieri sono inpieno sviluppo arriva a Corleone (16 novem-bre 1963) un funzionario di Polizia, espres-samente inviato dal Capo della polizia, dot-tor Vicarii si i ratta del commissario di Pub-blica sicurezza Angelo Mangano.

8) Mangano e Vicari.

Nato a San Giovanni Giarre (Catania), il 2gennaio 1920, Angelo Mangano era entratonell'amministrazione dello Stato nel 1939.Vice commissario nel 1952, commissario nel1955, faceva parte, all'epoca dei fatti in og-getto, dell'Ufficio affari riservati del Ministe-ro dell'interno, un organismo speciale cherispondeva della sua attività esclusivamentei/1 Capo della polizia.

Circa questa sua diretta dipendenza, eccoquanto il dottor Mangano ebbe a dichiararenel corso dalla testimonianza resa alla Com-missione il 13 febbraio 1974:

« PISANO. Dottoir Mangano, dal quadro del-la sua deposizione, dai rapporti che lei avevacon il mondo della mafia che doveva com-battere, risulta praticamente che nell'azionedella Polizia italiana, lei era una specie dibattitore libero, nel senso che si muovevain maniera autonoma rispetto alle questuree aveva compiti particolarissimi. Questo èchiaro. Ma lei, delle sue azioni, a chi rispon-deva direttamente?

« MANGANO. Al vice capo della Pollizia, dot-tor Lutri.

« PISANO. li suo rapporto diretto era conlui? Le informazioni che lei riceveva a chi lepassava e come?

« MANGANO. Al dottor Lulri.

« PISANO. Brano rapporti continui, diretti?Era tenuto a riferire continuamente tuttoquello che veniva a sapere?

« MANGANO. Sì, tutte le emergenze che si ve-rificavano, le riferivo al dotlor Lutri.

« PISANO. E gli ordini, eventualmente, ila ri-ceveva da questo funzionario?

« MANGANO. Sissignore.

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« PISANO. Ma non poteva essere sempre lui,dato che lei sono anni che agisce sul frontedella mafia.

« MANGANO. Bisogna vedere in quale perio-do. Per il dottor Lutri parlo deH'u'ltimo pe-riodo, dal 1970 in poi. Prima ero a La Speziaed ho avuto vari questori. Poi sono andato aTrieste ove avevo Marzano e De Nozza. DaTrieste sono venuto a Roma ed avevo DeNozza e quindi dipendevamo dall'allora Capodella polizia Carcaterra. Poi sono andato aProsinone ...

« PISANO. Rapporti diretti con ii Capo dellapolizia Vicari?

« MANGANO. Sì. Io ero a Genova e il Capodella polizia mi chiama; telefona al questoreLutri e gli dice: " Manda già Mangano ".Questo nel 1963. Io mi presento e il Capo dei-la polizia mi dice: " Senti, tu sei stato desti-nato . . ." anzi, mi dice: " Io desidero chetu vada a Palermo, a Corleone, però lì c'è dalottare, c'è da arrestare Leggio, ci sonomeniti delitti impuniti. Vai? ". " Sì, senz'altrovado ".

« PISANO. Quindi, lei si muoveva /per ordinidel Capo della polizia?

« MANGANO. Naturale. Il Capo della poliziaha disposto il movimento e sono andato aCorleone. Poi mi ha trasferito a Milano ...

« PISANO. Comunque, il rapporto era diret-to sia pure per interposta persona. Cioè, leiriferiva al dottor Lutri ...

« MANGANO. Dall 1970. Quando ero Èri Sicilia,la prima volta, riferivo direttamente al Que-store di Palermo perciò non ho mai riferitodirettamente al Capo della polizia, neanchequando fu arrestato Leggio perché quandofu arrestato Leggio ha telefonato il questoreMelfi, non do.

« PISANO. Ad ogni modo chi sovraintendevaa questo servizio speciale era il Capo dellapolizia?

« MANGANO. Sissignore. Naturalmente. IlCapo della polizia poi mi mandò, in un se-condo tempo, prima a Conleone a dirigere lapolizia criminale di tutta la Sicilia e, natural-

mente, i miei rapporti andavano al Capodelia polizia, attraverso il Questore di Pa-lermo.

9) La polemica tra Mangano e i Carabinieri.

Ciò precisato, veniamo alla cattura di Lu-ciano Leggio (14 maggio 1964) che costitui-sce, nel quadro degli sconcertanti retroscenache sempre hanno contrassegnato le vicendedi questo capobanda mafioso, uno degli epi-sodi più significativi.

Come abbiamo già scritto, il commissarioMangano giunse a Corleone, inviato dal Capodella polizia, quando i Carabinieri, da mesisulle tracce dal bandito, erano giunti a in-calzarlo da vicino.

La cattura ebbe luogo alle ore 22 del 14maggio 1964, quando gli 'inquirenti accer-chiarono alcuni isolati e fecero irruzione inun appartamento di via Nicolo Orsini, n. 6,delle sorelle Sorisi, dove, in una stanza, tro-varono Luciano Leggio.

In un primo rapporto ufficiale, inviato alMinistero dell'interno dal prefetto di Paler-mo, dottor Ravallì (rapporto n. 4854 — Divi-sione Gabinetto •— del 16 giugno 1964) eradetto che « alla rischiosa operazione, allecomplesse, difficili indagini dirette e coordi-nate dal Questore, davano il loro validissimoe determinante apporto, il commissario diPubblica sicurezza dottor Angelo Manganoed ili commissario aggiunto di Pubblica si-curezza dottor Nicola Ciocia, nonché il per-sonale del commissariato di Pubblica sicu-rezza di Corleone, unitamente a quello del-l'Arma diretto dal tenente colonnello Igna-zio Miliil/lo e dal capitano dei Carabinieri Au-relio Carlino ».

Il rapporto, inoltre, metteva in risalto chel'intera operazione era iniziata praticamen-te con l'arresto, effettuato dal Mangano, diun noto mafioso amico del Leggio, SalvatoreRima, e relegava in secondo piano il contri-buto dato dai Carabinieri.

Successivamente, però, lo stesso prefettoRavalli, richiesto dalla Commissione anti-mafia di fornire chiarimenti circa le modali-tà dell'operazione, dovette convenire, conuna nota in data 1° giugno 1965, che le prime

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notizie circa l'imminente cattura di Leggiogli erano state fornite dal tenente colonnelloMilillo, che « 'lina certa preminenza » nellapositiva conclusione dell'operazione dovevaessere 'riconosciuta all'Arma e che il primorapporto in data 18 giugno, contenente glielogi nei confronti di Mangano, era stato sìfirmato da lui, ma predisposto dalla Que-stura.

Questa richiesta di chiarimenti al prefettoRavaMi era stata determinata dalla furibon-da polemica esplosa tra Carabinieri e Polizia,ma più specificatamente tra i Carabinieri e i'1commissario Mangano dopo l'arresto diLeggio.

Mangano, infatti, si era assunto subito l'in-tero merito della faccenda ed era anzi circo-lata una fotografia nella quale lo si vedevacon una mano sulla spalla del bandito appe-na catturato, mentre i Carabinieri sosteneva-no che all'arresto del bandito c'erano arriva-ti loro.

A sostegno della sua tesi, il dottar Manga-no, tra l'altro, aveva inviato ail Questore dtiPalermo, in data 18 maggio 1964, una « rela-zione di servizio » nella quaile, dopo avereduramente accusato i Carabinieri di slealecomportamento nelle fasi precedenti alla cat-tura del bandito, così descriveva l'arresto diLeggio:

« Dopo la vana perquisizione della casa inCiaculli dei La Rosa e dopo un ulteriore in-crociarsi di indagini ... si apprendeva dellapossibilità che il Leggio potesse trovarsi aCorleone, in una casa che veniva, poi, indi-cata.

« Telefonicamente facevo concentrare ventiuomini tra agenti e carabinieri di stanza aCorleone al bivio di Frizzi e, alle ore 20,15, abordo di quattro autovetture, si partiva allavolta di Corleone. Qui giunti una macchinafaceva il giro esterno del paese per prelevaregli uomini ivi concentrati mentre le altrepuntavano decisamente verso l'obiettivo.

« Disponevo i servizi attorno all'isolato e,quindi, mi avvicinavo alla porta d'ingressodell'appartamento che avrebbe dovuto ospi-tare il pericoloso bandito. I due .tenenti co-lonnelli si tenevano ad una certa distanzacoperti dalle mura dei fabbricati adiacenti.

Ero seguito dal collega Ciocia e da altri agen-ti e carabinieri, ai quali si erano accodati glial tiri ufficiali dei Carabinieri.

« Dopo avere bussato ed aperta la portaentravo decisamente nell'interno, salivo larampa di scale e sul pianerottolo mi colpivauna porta chiusa a chiave, l'aprivo e in fondoalla stanza su un tettino si delineava, nellaoscurità, la sagoma del pericoloso bandito,senza indugio accendo la luce e in un balenoero addosso al Leggio il quale esterrefatto,senza più speranze di salvezza, mi diceva:" Commissario sono l'uomo che lei cerca ".

« Dopo di me entravano gli altri collabora-tori e, quindi, dopo parecchi minuti, da mefatti chiamare, entravano i due tenenti co-lonnelli fino allora rimasti a debita distanza,forse in attesa di sentire crepitare l'armamicidiale del bandito.

« Ad avvenuta cattura rivolgevo vive rac-comandazioni al Militilo perché la diffusionedelle notizie avvenisse con assoluta lealtà,tenendo presente la perfetta collaborazionee la parità delle fatiche. Sebbene mi venivanofornite in tal senso le più ampie assicurazio-ni, gli ufficiali, collaborati dagli altri loro di-pendenti, facevano a gara a mettersi in evi-denza sia attraverso la stampa, la radio e latelevisione che presso le altre autorità allequali avevano telefonicamente comunicatol'avvenimento escludendoci dalla comunegioia.

« All'avvenuto arresto del bandito convo-cavo un fotografo locale il quale provvedevaa scattare le conseguenti fotografie. Al termi-ne gli ufficiali facevano sequestrare il roto-lino e, previa intesa, si impegnavano di con-segnarmi alle ore 7,30 del mattino 5 foto perogni negativo oppure il rotolino stesso. Alleore 9, alla richiesta delle foto, giustificavanoche il fotografo era andato a dormire, mentre•le foto stampate venivano da loro e a loropiacimento distribuite alla stampa, natural-mente escludendo in linea di massima quelledove appariva 'la Polizia. Alile continue insi-stenze, alle ore 13, mi venivano consegnatele negative, cioè solo quando ormai la stam-pa aveva pubblicato quelle da loro conse-gnate.

« Attorno alle ore 12 il maggiore Favali,con tono sprezzante ed imperioso, mi diceva

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apertamente che senza ordini del tenente co-lonnello Milillo, in quel momento tra l'altropresente, non poteva consegnarmi le foto.Molto risentito gli facevo notare che Milillocomandava tanto quanto me e che io nonero un servo, ma, tra l'altro, avevo sostenutola fatica preponderante dell'operazione.

« Ho la coscienza e la gioia di potere affer-mare, senza tema di smentita, che tutte le in-dagini sono -state dirette, organizzate e ma-terialmente espletate da me, mentre gli uffi-ciali dell'Arma si alternavano nella collabo-razione. Quasi tutti gli interrogatori degliarrestati, dei fermati, nonché tutti i confron-ti sono stati personalmente da me verbaliz-zati.

« Ogni altro adempimento è stato- da mecurato con la collaborazione materiale di al-cuni sottufficiali dei Carabinieri e della Pub-blica sicurezza.

« Anzi il primo giorno, essendo carente dimio personale, si è dovuto faticare per ave-re un'autovettura e qualche carabiniere pereffettuare il trasporto degdi arrestati alle car-ceri giudiziarie. Per ovviare a questo graveinconveniente, il giorno successivo, facevovenire degli uomini di Pubblica sicurezza edei Carabinieri, con proprio automezzo daCorleone. Anche la compilazione dei relativirapporti è opera esclusiva mia.

« A conclusione .di quanto sopra raccontatoè doveroso ancora aggiungere che, tra l'al-tro, il capitano Carlino e il maresciallo To-bia, dopo il primo mese di lavoro, iniziavanouna campagna di denigrazione nei miei con-fronti, cercando di far sollevare il personaledipendente al quale ricordavano l'eccessivosuperlavoro, praticamente non tollerabile,per cui proponevano la riduzione dei servizistessi.

« Suggerivo loro che avrebbero potuto be-nissimo astenersi dal partecipare ai servizi,anche perché da solo ero in grado di mante-nere la efficienza dei servizi necessari.

« Sebbene questa deleteria opera venivafatta serpeggiare tra il personale dipendente,questi, consci delle loro responsabilità, nonsolo non aderivano 'ma sdegnosamente re-spingevano il loro atteggiamento.

« Infime, per essere completamente estra-nei ad ogni .influenza da parte di altri organiconcorrenti, veniva stabilita quale sede del

" quairitier generale " l'ufficio del tenente co-lonnello MiliJlo.

« Questo nostro .generoso gesto di signori-lità, però, alfe conclusione dell'operazione,veniva artatamente travisato e tentavano diaccampare, almeno attraverso la pubblicità,un maggior diritto. F.to Mangano ».

10) La versione del colonnello Milillo.

Ma se questa è la versione dei fatti datadal dottor Mangano, ecco quella che vennefornita dal colonnello Milillo allorché, dopola clamorosa assoluzione data al Leggio dallaCorte d'Assise di Bari il 10 giugno del 1969(e della quale parleremo più oltre), venneascoltato dalla Commissione antimafia indata 26 giugno 1969.

Ne riportiamo il testo quasi integralmen-te, perché riteniamo che la testimonianza delcolonnello Milillo sia molto importante, alfine di inquadrare le precise funzioni affidatedal Capo della polizia Angelo Vicari al dottorMangano in ordine alle vicende che coinvol-sero, in quel periodo, Luciano Leggio.

« PRESIDENTE. La cattura di Leggio è avve-nuta subito, non appena gli organi di poliziasono stati informati del posto dove si trova-va, oppure hanno tergiversato qualche giornoo comunque un periodo più o meno lungo?E poi, come è avvenuta? Pacificamente o conuna reazione da parte di Leggio?

« MILILLO. È avvenuta subito e pacifica-mente. Il Leggio, quando siamo entrati nellacamera, giaceva nel lettino in fondo alla stan-za. Appena mi ha visto mi ha detto: " Sem-pre a lei colonnello (senza che io fossi nep-pure in divisa, mi aveva individuato, e que-sto mi sorprese: probabilmente mi deveaver visto in fotografia) .sempre a lei l'avreidata la pistola e non a quel buffone". Si•rivolgeva al commissario, nei confronti delquale indirizzò anche altri epiteti poco pia-cevoli.

« Li CAUSI. Chi era il commissario?

« MILILLO. Il commissario Angelo Man-gano.

« PRESIDENTE. Ed ha insultato Mangano?

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« MiULLO. Si rivallo contro Mangano unpo' anche perché questi aveva preso il fra-tello in .piazza in pieno giorno, fratello cheera un deficiente ...

« Li CAUSI. Era un minaralo.

« MfLiLLO. Sì, un minorato psichico. Avevadichiarato ai giornali di averlo "catturato ":ed un po' perché sembrava deluso di certiatteggiamenti che si attendeva dal Mangano.Non «o, comunque, cosa volesse effettiva-mente dire, quali sentimenti volesse espri-mere o quali reazioni avesse nei riguardidi Mangano.

« Li CAUSI. Poiché ci troviamo in argomen-to, vorrei chiederle quale è la figura di que-sto Mangano. Come 'lo consideravate, dalmomento che non era ufficiale di poliziagiudiziaria? Come è piombato in Sicilia, conquale veste? Perché ha avuto tutta questaautorità?

« MILILLO. L'autorità l'ha avuta diretta-mente dall Capo della polizia. Almeno si van-tava di essere il braccio destro di Vicari e ilsuo inviato speciale. Su tutta la stampa inSicilia si parlava di lui come dell'inviatospeciale del Capo della polizia, ili quale fa-ceva determinate cose, non dico 'in contra-sto, ma al di fuori di quello che era l'indi-rizzo locate della Questura. Almeno ufficial-mente, non riconosceva come 'superiori, ilQuestore di Palermo, me il vice questore o al-tri funzionar!.

« Li CAUSI. E la Magistratura come reagivadi fronte a questo atteggiamento?

« MILILLO. C'è un particolare. Il Manganoè arrivato in Sicilia il 16 novembre 1963,dopo la strage di Ciaculli. Nel periodo frail 1° luglio — subito dopo cioè i funeralidelle vittime — e da fine di ottobre, i primidi novembre, noi avevamo già quasi termi-nato gli arresti in massa. Questi arresti tal-volta erano dettati dalla necessità di poterfermare determinate persone per sottoporrealila diffida e poi rimetterle in libertà, perchénon si poteva adottare poi il provvedimentodel confino se prima non vi fosse stata Jadiffida. Cosa che abbiamo fatto, e a ripeti-zione anche, per dare >la libertà vigilata eper applicare poi, se era il caso, il provve-

dimento del soggiorno obbligato. Mangano,quindi, è venuto quando era terminato ilgrosso lavoro di massa, quando praticamen-te, diciamo anche a seguito di questi arresti,etra slata assicurata la tranquillità (o quasi)nella zona di Corleone ...

« Li CAUSI. Eccetto la cattura di Leggio,

« MILILLO. Eccetto ;la cattura di Leggio. MaLeggio era sfuggito alla cattura per un er-rore commesso da me, perché la notizia chepoteva portarci alla cattura di Leggio giàmi era venuta; avevo saputo che era amma-lato e che stava in una casa di cura e allafine venni a sapere che si trattava di unacerta casa di cura Albanese. Io equivocai:ritenni che si trattasse della clinica Albane-se e andai ali a clinica Albanese. La stampapubblicò la notizia, Leggio lo venne a sa-pere e gli amici lo portarono subito via dal-'!' " Ospizio Marino Albanese " dove effettiva-mente si trovava. Quindi ripresi daccapo )eindagini per poter arrivare alle persone che10 avevano portato via e qui spuntò fuori11 Marino, spuntarono fuori il dottor La Man-ti a, il Centineo ed altri.

« PRESIDENTE. Quainti giorni dopo l'arrivodi Mangano a Corleone è stato arrestatoLeggio?

« MTLTLLO. Leggio venne arrestato alla finedi maggio 1964; Mangano era arrivato allafine di novembre dell'anno precedente. Mal'arresto avvenne salo allora perché abbia-mo dovuto riprendere tutto daccapo e inquesto, non per attribuire dei meriti a me,•le indagini, sia dirette che attraverso confi-denti, per arrivare ...

« PRESIDENTE. Allora come spiega, colonnel-lo, che dopo essere sfuggito così per questoinfortunio comprensibilissimo all'arresto,Leggio ritorna proprio nel momento in cuic'è aip.che la presenza di Mangano quale in-viato speciale del Capo della polizia a Cor-ico ne?

« MILTLLO. Direi che la cosa, dapprima, miha sorpreso. Quando poi fu catturato Leg-gio, seppi che si era trasferito a Corleoneaddirittura dopo l'arrivo di Mangano. Man-gano arriva a Corleone verso il 16 di novem-bre; dopo alcuni giorni, o alcune settimane,

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Leggio che era sempre o quasi sempre statofuori di Corleone e comunque aveva passatola maggior parte de1! periodo di latitanzain Palermo, si trasferisce a Corleone in casadelle sorelle Sorisi, dove poi fu catturato.Questo è un .particolare che veramente misorprese e che appresi successivamente, nelcorso delle indagini fatte dopo la cattura.

« Li CAUSI. Lei conferma che i magistratidi Bari possano, sulla base di tutti gli de-menti dell'istruttoria che avevano in mano,avere qualche giustificazione per aver emes-so un verdetto così sconvolgente e sconcer-tante?

« MILILLO. Io sono stato a Bari come te-stimone e ho confermato, naturalmente,quanto da me e dall'Arma era stato fattogià molti anni prima. Ma rapporti più sti-lati a suo temipo, per esempio per la mor-te di Navarra, sono stati copiati letteral-mente, a distanza di anni (da'l 1958 al 1964),da Mangano cambiando alla fine qualchepiccola cosa. Per esempio il mandante: ilrapporto dai Carabinieri affermava che il

. mandante era Leggio; il .rapporto più recen-te che riportava integralmente quello, allafine cambiava però — tanto per dire — laparte relativa ai mandanti, dicendo che ilmandante era un altro. È bastato questoperché gli avvocati avessero buon gioco nelmettere in dubbio de affermazioni del primoe del secondo rapporto.

« Li CAUSI. Come mai poteva sorgere que-sto dualismo? Perché lei si era prodigatocon accertamenti ad individuare il mandan-te e poi c'è l'altro che prende gli elementicosì come sono e cambia il mandante?

« MILILLO. Non so se lo abbia fatto in baseai suoi accertamenti...

« Li CAUSI. E il giudice, di frante a questedivergenze, quale atteggiamento prendeva?

« MILILLO. So che il Pubblico ministero diBari si è impegnato per venire a capo diquesta questione. Mi ha fatto anche delledomande per appurare, per poter convalida-re alcuni punti. Ma poi dinanzi...

« Li CAUSI. Ma, a Palermo, che fece il Giu-dice istruttore, di fronte a queste divergenze

così importanti, per cui tutti gli elementisono riportati in modo identico, ma, giun-ti alile conclusioni, i Carabinieri nel loro rap-porto identificano un mandante X, mentred'altro rapporto, con la firma di Mangano,perviene alla individuazione del mandan-te 7?

« MILILLO. Non -saprei che dire. Posso soloaffermare di essermi trovato in una situa-zione anche più imbarazzante, quando fecila denuncia di una cinquantina di persone,mafiosi di Corleone. Mangano, che dopo lacattura di Luciano Leggio aveva avuto lapromozione ed era andato via, il 29 marzodell'anno successivo ritornò a Palermo; as-

j seri che tornava per una licenza di 20 gior-! ni da godere a Corleone, cosa alquanto stra-

na perché ci sono tanti bei posti... Penso,infatti, che era venuto con qualche altroscopo. Sta di fatto che, appena arrivato,ha riunito alcuni suoi amici dicendo cheveniva per far liberare alcune persone e hafatto liberare effettivamente 50 di quelli cheio avevo messo dentro. Non so se l'ha fattocon uno scopo molto più serio, molto piùimportante o no.

« PRESIDENTE. Ha fatto liberaire da chi?

« MILILLO. Dalla Magistratura. Voglio, peronestà, dire che gli edementi che potevamofornire alla Magistratura, sul conto di queimafiosi erano elementi talvolta effimeri, oquasi; comunque c'era un particolare...

« PRESIDENTE. Si dice che -siano sitati libe-rati alcuni indiziati mafiosi (indiziati in mo-do consistente), mentre invece sono state,quasi contestualmente o a 'distanza di pocotempo, arrestate persone che avevano di-mostrato di voler collaborare in qualchemodo.

« MILILLO. Per la verità qualche caso risul-ta anche a me: i figlioli di qualcuno di que-sti che erano in passato mafiosi, ma chepoi, essendo diventati professionisti, voleva-no forse riscattare l'onta di essere additaticome mafiosi e volevano farsi perdonare;quindi questi hanno coldaborato, dando lepiù preziose notizie sulla situazione nel suocomplesso di Corleone. Essi stessi sono poistati arrestati, da Mangano. ,

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« GATTO Vincenzo. Anche se ani risulta dif-ficile, vorrei chiedere ad un uomo dell'espe-rienza del colonnello Milillo se tutto ciò puòessere solo il frutto di un certo spirito dicorpo, di rivalità, di emulazione, o se c'eraqualcosa di obiettivo.

« MTLILLO. Spirito di corpo davvero nonpuò chiamarsi, perché io ho cdMaborato inperfetta armonia col questore di Palermo j(prima era Melfi, poi Inturrisi) sono sempre i•stato in ottimi rapporti col capo della Squa- idra mobile, ho collaborato con Gambuto e jtutti gli altri senza differenza alcuna; anche Icon gli altri funzionar.! andavamo d'accor-do. Ad esempio, quando c'è stato il tripliceomicidio di Francesco Paolo Stirava, di Po-mil'lia e di Piraìno, io stesso ho chiamatoil dottor Mendoilia, capo dalla Squadra mo-bile e Mendolia è venuto, anche se stavamale e quel giorno poco ci mancava che nonci restasse, perché quella zona è franosa edinaccessibile, tanto più che aveva piovuto,ed io ho dovuto farlo riaccompagnare cond'elicottero, altrimenti Mendolia ci restava.Questo tanto per fare un esempio, per chia-rire con quanto zelo e quanto piacere sia-mo sempre stati insieme. Non è, secondome, che Mangano era contro l'Arma: eracontro tutti, era anche contro la Questura:non hanno desiderato che venisse in Sici-lia nemmeno i suoi colleghi.

« GATTO Vincenzo. Ma questo Muterventoad hoc...

« MILILLO. Non so: questa è una domandache deve essere rivolta al Capo della poli-zia, Vicari.

« Li CAUSI. Ma questo Mangano che si van-ta di essere 1' " inviato " di Vicari...

« MILILLO. Beh, è stato inviato e ha anche iottenuto una promozione in barba a tuttiquanti gli altri.

« Li CAUSI ... era stato inviato perché si era jriscontrata qualche carenza nella vostra iazione precedente?

« MILILLO. No, certo, perché avevamo giàoperato tutti gli arresti: ilui è venuto dopo!E direi, addirittura, che Luciano Leggio haavuto paura di lui che è venuto ad abitare ,a Corleone dopo il suo arrivo! Se fosse sta- ;

to vero che aveva avuto paura, non credoche sarebbe tornato!

« GATTO Vincenzo. Il dottor Mangano è ve-nuto una prima volta a Corleone il 16 no-vembre 1963; poi fu promosso e trasferito.Già in questa prima fase si erano determi-nati attriti?

« MILILLO. No, gli attuiti si verificarono su-bito dopo l'arresto di Leggio; egli era -statoinvitato da me a partecipare a questo ser-vizio appunto per evitare storie e campani-lismi; fu lui ad impedire quasi che vi par-tecipassero altri suoi coMeghi. Noi avevamoavuto disposizioni di evitare qualsiasi esi-bizionismo, di evitare fotografie, di evitareogni scalpore sulla stampa. Anche per unaquestione di sistema, io mi ritirai quandovidi che il fotografo era già pronto — enon so chi l'avesse chiamato — per fareuna fotografia a Leggio mentre varcava la•soglia della casa — Mangano tornò inve-ce indietro, allontanò il maresciallo e si mi-se in posa accanto a Leggio, a colui, cioè,che fino a poco prima l'aveva offeso! Io nonfaccio considerazioni: poco prima era statooffeso, ma lui si mise in posa come per farcapire...

« Li CAUSI. Gli aveva detto " buffone "!

« MILILLO. Insomma, aveva i suoi scopi:non avrebbe dovuto farlo; invece l'ha fat-to con uno scopo preciso e poi ha sfruttatoquell gesto. Infatti poi ha detto che avevapreso lui Leggio! È andato pure in America,tutt i i giornali ne hanno parlato distorcen-do la verità dei fatti sulla cattura di Leggio:la verità fino ad ora non si è saputa e non•si saprà tanto facilmente perché ogni tantospuntano fuori giornali, riviste dove com-paiono .le fotografie di Mangano e non lemie, dove si da sempre una versione erratadella cattura, deformando la verità deifatti ».

Questa la storia della cattura di LucianoLeggio e del comportamento del commissarioMangano in quella occasione, secondo la te-stimonianza resa dal colonnello Milillo.

Ora, delle due l'una; o mente Manganoo mente Milillo.

C'è però un elemento di fondo che portaa dare maggior credito aLl'a versione dei Cara-

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binieri: e cioè che il doltor Mangano (nomi-nato vice questore il 1° gennaio 1965 e infinequestore il 30 giugno 1971) ha costantementericoperto, nella vicenda Leggio, un ruolopiuttosto equivoco e sconcertante, come con-fermano gli avvenimenti connessi alla « bal-lata delle bobine » di cui parleremo più oltre,e sempre operando agli ordini diretti de] Ca-po della polizia Vicari, che continuò ad affi-dargli incarichi nella lotta contro la mafia no-nostante gli insuccessi registrati.

Per cui, accettata per buona la versione deiCarabinieri, non si capisce bene se Manganosia piombato nel novembre del 1963 a Cor-leone per catturare effettivamente Leggio, or-mai braccato da vicino dagli uomini di Mi-lillo, oppure per contrastare in qualche ma-niera l'operato dell'Arma. Salvo poi recitaread ogni costo, una volta caduto Leggio intrappola, la parte del vincitore, per creare unalibi a se stesso e a chi l'aveva inviato aCorleone.

Certo è, comunque e in ogni caso, cheMangano non ha agito di sua iniziativa, maha obbedito a ordini ricevuti.

Ma torniamo a Luciano Leggio. Arresosi aiCarabinieri senza opporre resistenza, il ban-ddto andò a raggiungere i suoi compiici giànelle mami della giustizia.

Con due successive sentenze, del 14 agosto1965 e del 13 ottobre 1967, ili Giudice istnitto-rc di Palermo, dottor Cesare Terranova, lorinviò a giudizio, unitamente ad altri 64 ma-fiosi tutti di Corleone, per l'assassinio di Vin-cenzo Cortimiglia, Marco Marino, GiovanniMarino, Pietro Maiuri, Paolo Francesco Stre-va, Biiagio Pamillla, Antonino Piraino, PaoloRiina e Claudio Splendido.

A seguito delle due sentenze di rinvio a giu-dizio, Leggio e i suoi compiici vennero desti-nati a comparire davanti alla Corte di Assisedi Bari, con un carico di imputazioni checomprendevano nove omicidi, otto tentatiomicidi e quattro associazioni per deliquere.

Nelle carceri di Bari, in attesa del proces-so, Leggio ebbe modo di avvicinare e frequen-tare numerosi altri mafiosi, tra i quali il no-tissimo Frank Coppola, detto « Frank tredita », detenuti sotto diverse imputazioni, al-cuni dei quali ritroveremo poi puntualmentenelle successive vicende del bandito.

Il processo ebbe inizio nel marzo del 1969.Si trattò di un processo difficile e complesso,sia per il numero degli imputati, sia per il nu-mero e la gravita delle imputazioni, sia perla diffusa omertà e il sentito timore che impe-divano qualsiasi collaborazione con la giu-stizia. Basti ricordare che i parenti delle vit-time non si costituirono parte civile. Giudicie giurati popolari, inoltre, vennero « avvisatidi morte » dall'organizzazione mafiosa seavessero condannato Leggio e gli altri impu-tati.

11) Leggio e l'assoluzione di Bari.

Dopo un dibattito durato quasi tre mesi,e nonostante la pubblica accusa (dottor Zac-caria) avesse avanzato richiesta di condannaall'ergastolo, il 10 giugno 1969, la Corte emi-se una clamorosa sentenza di assoluzioneper Leggio e per i suoi compiici: « insuffi-cienza di prove » per quanto concerneva ilreato di associazione a delinquere e « pernon avere commesso il fatto » in ordine agliomicidi.

La Commi'ssioine antimafia così commentòla sentenza (Doc. XXIII, n. 2-quater, V Legi-slatura, pagina 120):

« La sentenza dei la Corte d'Assise di Bariprovocò viva sorpresa in tutti gli ambienti eallarmò l'opinione pubblica, per la strenua di-fesa che essa faceva dei diritti degli imputatie per l'insistenza con cui, pur non essendove-ne ovviamente alcun bisogno, essa riafferma-va l'ultroneo concetto che compito del giu-dice è quello di punire o di assolvere a se-conda che i fatti risultino o meno provati"nel rispetto costante dei limiti di carattereformale e sostanziale imposti dalla legge al-l'esercizio del dovere-potere di giudicare".E ciò, dopo avere riconosciuto da "estremacautela" (e cioè la omertà) con la quale tuttii testimoni chiamati a deporre hanno resole loro dichiarazioni e la "costante preoc-cupazione" (e cioè il timore) di ognuno dinon riferire fatti che in qualche modo po-tessero pregiudicare gli imputati "sino alpunto di negare anche circostanze prive diogni rilievo ai fini processuali" ».

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Ma le sorprese cibano appena incominciate.Una volta scarcerato, Leggio si recò a Bi-

tonto (Bari), unitamente al suo fido luogo-tenente Salvatore Riina, godendo dell'appog-gio e dell'amicizia del dottor Mitelo, uno deiprofessionisti che l'avevano assistito duranteil dibattimento.

Il giorno successivo, 11 giugno, la Questuradi Palermo segnalò aiMa Procura de'lla Repub-blica di quella .città l'opportunità di proporrel'adozione, a carico del Leggio, della misuradi prevenzione della sorveglianza speciale,previa emissione di ordine di custodia pre-cauzionale a suo carico.

In altre .parole, la Questura paiopose cheLeggio venisse arrestato in attesa che fosseemanato l'ordine di soggiorno obbligato.

La stessa proposta venne avanzata nei con-fronti del Riina.

Il 17, il Leggio e il Riina vennero munitidalila Questura di Bari di foglio 'di via obblii^gatorio per Corleone, con 1'ànigkmzione dipresentaci entro il 19 presso quell'ufficio diPubblica sicurezza, e con la diffida a non fareritorno a Bitonto per un periodo di tre anni.

Leggio e Riina lasciarono Bitonto, ma men-tre Riina proseguì per Corleone, Leggio si fer-mò a Taranto e, il 18 giugno, si fece ricovera-re neli]'osped?Jle civile delia Santìssima An-nunziata, nel reparto malattie infettive, diret-to dal professor Ippolito, figlio di un notomafioso, residente a Palermo, così descrittoin un rapporto dai Carabinieri: « È temutodalla popolazione perché prepotente e capacedi commettere delitti: già appartenente allamafia prima dell'ultimo conflitto, tiene at-tualmente contatti con numerosi pregiudicatidi Palermo e del trapanese ».

Per quanto riguarda poi il reparto del-l'ospedale di Taranto diretto dal professorIppolito, ecco che cosa si legge in un « ap-punto » inviato alla Commissione antimafiadalla direzione generale di Pubblica sicurezzadel Ministero dell'interno in data 14 gennaio1970: « Fino a qualche mese fa, il repartomalattie infettive della SS. Annunziata costi-tuiva luogo di concentramento di ammalatisiciliani affetti, nella quasi totalità, da maliche nulla o ben poco avevano a che spartire

con la specialistica funzione del repartostesso ».

£ lì, comunque, che Leggio si rifugia, beneaccolto e confortato, interrompendo il suoviaggio per Corleone.

12) Leggio e Scaglione.

Lo stesso giorno 18 giugno, intanto, ilProcuratore oapo della Repubblica di Paler-mo, dottor Scaglione, accoglie la proposta diapplicazione, a carico del Leggio e del Riina,del'la misura di prevenzione della sorveglian-za speciale con obbligo di soggiorno in un de-terminato comune (ai sensi degli articoli 1 e2 della legge 31 maggio 1965, n. 575). Taliproposte sono state sottoscritte dal sosti-tuto procuratore della Repubblica, dottorPietro GiaimmaTico, e vistate dal dottor Sca-glione, lai pari data, il Presidente della pri-ma sezione civile e penale del Tribunale diPalermo, dottor Nicola La Perdita, compe-tente per le misure di prevenzione nei con-fronti defilé persone pericolose, emette la ri-chiesta ordinanza di custodia precauzionalenei confronti del Leggio e di Riina.

A partire da quel momento, i due banditipossono essere arrestati dovunque si trovino,in qualunque punto del territorio dello Stato.

Invece non succede niente.Succede solo che Salvatore Riina, giunto

a Corleone il 20 giugno e presentatosi a quelcommissariato di Polizia, viene anrestato inbase a'11'o.ndiinainza emessa dal Presidente delTribunale di Palermo e tradotto nelle carce-ri dell'Ucciardone. Il 5 luglio successivo,comparirà davanti alla piuma sezione delTribunale che, con decreto del 7 luglio, gliapplicherà la misura di prevenzione ddlasorveglianza speciale, con l'obbligo di sog-giorno nel Comune di San Giovanni in, Persi-ceto (Bologna) per la durata di 4 anni. Scar-cerato e munito di foglio di via obbligatorioper la località emiliana, Salvatore Riina nonraggiungerà mai il Comune di residenza ob-bligata e si renderà irreperibile.

Leggio, intanto, è sempre a Taranto. Hasaputo che Riina, appena giunto a Corleone,

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è stato arrestato, e sa quindi perfettamenteche, se vi si reca, lo attende la stessa sorte.

Sa molto bene inoltre, da mafioso allenatoad ogni tipo di avventura giudiziaria, che ilprovvedimento di arresto può essere eseguitoanche contro di lui in qualunque momento ein qualunque località si trovi.

Eppure non si muove, non se ne va da Ta-ranto, non si nasconde. Evidentemente si sen-te molto sicuro del fatto che nessuno andràad arrestarlo.

E così accade, nonostante che in data 25giugno la Questura di Tarante gli notifichi inospedale una nuova ordinanza di rimpatrio,con l'ioigkinzioine di presentarsi a Cocrleoneentro tre giorni.

Il colmo, poi, lo si raggiunge il 7 lugliosuccessivo, quando il nome del Leggio com-pare sul « Bollettino delle ricerche » n. 78,nonostante che ia presenza del mafioso nel-l'ospedale di Taranto fosse perfettamente no-ta non solo agli organi di polizia periferici,ma anche a quelli centrali, nonché all'opi-nione pubblica regolarmente informata daigiornali delle vicende che interessavano ilbandito.

Ma Leggio resta indisturbato a Taranto. Eci resta fino al 28 settembre, quando si tra-sferisce, anziché a Corleone, nella cllnica« Villa Margherita », in viale di Villa Massi-mo, a Roma. Trasferimento regolarmente no-tìficato alla Polizia dail suo difensore avvoca-to Gironda.

Bisogna arrivare al 10 ottobre 1969 per-ché il Presidente del Tribunale di Palermo,dottor La Fedita, 'SÌ decida a chiedere notizieagli organi di polizia per « conoscere l'esitodell'ordinanza di custodia precauzionale »,vale a dire per sapere se Leggio è stato arre-stato o no.

E si sente rispondere, come da testimo-nianza da lui resa ailla Commissione antima-fia il 27 gennaio 1970: « Stia tranquillo, ab-bia pazienza ancora per alcuni giorni. Noiarresteremo Leggio ».

Invece Leggio non viene arrestato nemme-no in quella occasione. Né accade nulla dinuovo quando tre giorni dopo, il 13 ottobre,il commissario idi Pubblica sicurezza di Cor-

leone rompe gli indugi, denuncia Leggio percontravvenzione al foglio di via obbligatorio,sia pure con tre mesi di ritardo, e ne infor-ma tutte le Questure, compresa ovviamentela Questura di Roma che, nel frattempo,« sorveglia discretamente » il bandito ricove-rato nella clinica « Villa Margherita ».

Leggio, intanto, viene sottoposto a inter-vento operatorio in data 18 ottobre.

E il 19 novembre successivo, ristabilito, ab-! bandona la clinica eludendo la « discreta sor-

veglianza » e si rende irreperibile, dandosinuovamente alla clandestinità, dalla qualeriapparirà solo cinque anni più tardi, il 16maggio del 1974, allorché la Guardia di fi-nanza, indagando sull'anonima sequestri aglio riddili di due miagiistira'ti milanesi, il Giudiceistruttorie Turone e il Pubblico ministeroCaizzi, lo arresterà in un appartamento di viaRipamonti, a Milano.

Scomparsi il Leggio, finalmente il 19 gen-naio 1970 viene diramata una circolare perl'arresto del bandito, il cui nome viene pub-blicato questa volta sul « Bollettino delle ri-cerche » e anche su quello dell'Interpol, fa-cendo menzione del provvedimento restritti-vo a suo carico.

L'opinione pubblica apprende così quantoera accaduto e, soprattutto, viene a sapereche Leggio doveva, e poteva, essere arresta-to già sette mesi prima, a partire dal 18 giu-gno.

Le ripercussioni furono enormi.La Commissione parlamentare d'inchiesta

aprì immediatamente una indagine, i cui attisono raccolti nel « Documento XXIII, n. 2,V Legislatura », per da/re soprattutto una ri-sposta alla domanda che tutti si ponevano:come mai, cioè, poteva essere accaduto cheLeggio, colpito da un mandato di arrestoche portava la data dal 18 giugno 1969 e chepoteva essere eseguito su tutto il territoriodello Staito, fosse rimasto tranquillamente incircolazione fino al 19 novembre successivo,rendendosi poi iirreperibile.

Tra il 20 gennaio e il 12 febbraio, la Com-missione procedette alla raccolta dei docu-menti e delle testimonianze necessarie a chia-rire l'enigma.

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13) // mancato arresto 'di Leggio: la Poliziaaccusa Scaglione.

Ne vervne fuori un quadro di una gravitaestrema, che denunziava non solo una apertadichiarazione preventiva di resa incondizio-nata dei pubblici poteri, una loro confes-sione di impotenza e di inefficienza, ma so-prattutto delle precise responsabilità ad al-tissimo divallo che coinvolgevamo il Procu-ratore capo della Repubblica di Palermo,dottor Pietro Scaglione, e il Capo della poli-zia, dottor Angelo Vicari.

La Poilìiz'ia, nelle persone deli vice capo dellaPolizia e direttore della Criminalpol, dottorGiuseppe Lutri, del questore di Palermo dot-tor Paolo Zamparelli, del dirigente il com-missariato di Corleone dottor Francesco Pia-cente, del vice questore vicario di Palermodottor Emanuele De Francesco, dei vice que-stori di Palermo dottor Aldo Arcuri e dottorGaetano Fortino, del commissario capo pres-so la Questura di Palermo dottor SalvatoreScandariato, del dirigente la Squadra mobiledi Palermo dottor Nino Mendolia, del fun-zionario della Squadra mobile di Palermodottor Francesco Cipolla, e del dottor Ma-rio Bertero, vice questore di Bari, fu una-nime nel rovesciare su'l Procuratore capo del-la Repubblica di Palermo e, in subordine, sulPresidente del Tribunale di Palermo che ave-va emesso il provvedimento, ogni responsa-bilità, dichiarando senza mezzi termini che ilprocurato/re Scaglione aveva accettato di pro-porre al Tribunale le richieste misure di pre-venzione nei confronti del Leggio e del Rima,subomlinamdolie però alla precisa condizioneche l'arresto dei due pregiudicati dovesse es-sere eseguito solo ed unicamente qualora idue 'banditi avessero rimesso piede a Cor-leone.

Si legge nel rapporto dal 20 gennaio 1970del questore, dottor Nino De Vìto, inviatoala Commissione dal Capo della polizia:« L'azione responsabile della Questura di Pa-lermo diveniva penetrante nell'ambito giu-diziario, ove non mancava, con contatti di-retti, dall'illustrare a quel procuratore del-la Repubblica, do/ttor Scaglione, ia necessitàdi tempestivi provvedimenti di prevenzione.

« III suddetto magistrato, con sensibilità.adeguata alila bisogna, inoltrava subito la•proposta al Tribunali e tanto che il Presidenteidi quel-la la sezione, dottar La Fedita, inve-stito del procedimento, con ordinanza del18 giugno 1969, disponeva che il Leggio, nellemore procedurali, fosse, intanto, tenuto sot-to custodia nel carcere giudiziario di Paler-mo. Analogamente si operava per il Riina.

« A questo punto accade qualcosa che ral-lenta e rende più difficile l'iter cautelativo,così tempestivamente disposto.

« Come è noto, un provvedimento del ge-nere innanzi indicato, alla pari degli altriche limitano la libertà personale, non trovalimite territoriale di applicabilità, sul suolonazionale.

« L'immediata divulgazione presso tuttele questure del cennato provvedimento,ai fini dell'esecuzione, avrebbe determi-nato l'arresto tempestivo del Leggio o, in casodi suo ricovero in luogo di cura per compro-vate esigenze, il suo legittimo e continuativopiantonamento con la conseguente impossi-bilità, del predetto, di rendersi irreperibile.

« Veniva invece disposto che l'ordinanzadi custodia precauzionale fosse eseguita soloa Corleone, per l'eventualità che ivi il Leg-gio avesse fatto apparizione per "dimorarvi"(anche solo temporaneamente).

« Per facilitare tale avvenimento, la Que-stura di Palermo, di accordo con quella Pro-cura, inoltrava richiesta alla Questura diBari affinchè i due compari fossero subitomuniti di figlio di via obbligatorio, con l'in-giunzione di presentarsi all'autorità di Pub-blica sicurezza di Corleone ».

Stralciamo ora dai verbali della Commis-sione le battute più significative dette daifunzionari della Questura di Palermo nelcorso delle testimonianze rese sull'argo-mento.

Dalla testimonianza del dottor Zamparelli,questore di Palermo, (22 gennaio 1970):

« PRESIDENTE. Senta, signor Questore, pri-ma di dare la parola all'onorevole Malaguginilei ha accennato poc'anzi che, verbalmente,il Procuratore della Repubblica di Palermo leavrebbe posto la limitazione della eseguibi-lità del provvedimento solo nel caso in cui il

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Leggio si fosse recato a Corleone: solo ver-balmente. Quindi, ecco, il provvedimento — aparte la disquisizione giuridica che poi si po-trà fare e le interpretazioni che possonoessere diverse — era eseguibile su tutto ilterritorio nazionale. È stato <il Procuratoredella Repubblica che a lei ha detto: " Peròsi deve applicare solo nel caso in cui il Leggiosi trovi a Corleone? ".

« ZAMPARELLI. Il Procuratore dalla Repub-blica, in un primo momento...

« PRESIDENTE. Verbalmente...

« ZAMPARELLI. Verbalmente. In un primomomento, di Procuratore delia Repubblica,e in un secondo momento il dottor La Fer-lita, Presidente del Tribunale della prima se-zione penale. Dopo...

« PRESIDENTE. Sempre verbalmente.

« ZAMPARELLI. Sempre verbalmente. Dopola latitanza del Leggio, io mi sono recato allaProcura e qui, alla Procura, era presente an-che il Presidente del Tribunale. Là mi hannoconfermato, anzi mi hanno detto, che se noil'avessimo eseguito in altra parte del territo-rio della penisola diverso da quello che po-teva essere Corleone essi non sarebbero statipiù competenti e lo avrebbero revocato.

« PRESIDENTE. Alla Commissione, vede, si-gnor Questore, risulta un caso analogo aquello del Leggio in cui, evidentemente, que-sti consigli verbali del Procuratore della Re-pubblica, del Presidente del Tribunale non cisono stati, e una persona che si trovava nellastessa condizione giuridica del Leggio è sta-ta, mi pare dalla Puglia, o comunque da unaregione diversa dalla Sicilia, comunque tra-dotta alle carceri di Palermo e sottoposta amisura di custodia preventiva in attesa dellaemissione del provvedimento della sorve-glianza speciale. In questo caso, non c'è stato,così, da (parte del 'PTODuratore della Repub-blica e idei Presidente del Tribunale ilo scru-polo di dare una interpretazione giusta allalegge; nel caso di Leggio, invece, questo scru-polo si è avvertito immediatamente tantoè vero che è stato esternato con un consi-glio verbale. Lei è a conoscenza di questoaltro caso?

« ZAMPARELLI. Signor Presidente, io possorispondere solo nei limili della mia compe-tenza ».

E ancora Zamparelli:

« ... lo ho proposto al Presidente del Tri-bunale La Ferlila che sarebbe stato mio de-siderio di procedere all'arresto del Riina aPalermo, e non a Corleone, perché potevaanche fermarsi a Palermo ed eludere la no-stra vigilanza, e poi non essere pescato. Miè stalo dato ordine di eseguirlo a Corleonealtrimenti l'avrebbero invalidato: " Da ese-guire a Corleone ". Io, quindi, mi sono do-vuto attenere alle disposizioni che avevo ri-cevuto, e sia pure, orali: ma che mi sonostate confermate anche dopo la lalilanza delLeggio, quindi, non è che io... ».

Dalla testimonianza del dottor Bertero,vice questore di Bari (11 febbraio 1970):

« NICOSIA. Ella ha detto poc'anzi che visono stati contatti telefonici con la Questuradi Palermo, nei quali voi da Bari chiedevate:se vi sono questi ordini di custodia, perchénon li trasmettete?

« BERTERO. Sì, nello stesso giorno 16 hoavuto due collloquii telefonici con la Questu-ra di Palermo, e in entrambi i casi ho fattoquesta sollecitazione ad Arcuri. In effetti mipareva strano avere sottomano questi due in-dividui e non potere agire. La risposto fu chel'Autorità giudiziaiia non intendeva emet-tere i due provvedimenti se non ci fosse statala presenza dei due, Leggio Luciano e RiinaSalvatore, a Palermo (si parlava sempre diPalermo, eravamo noi che facevamo la que-stione di Corleone); e che, se anche fosseroslati emessi, non sarebbero stati trasmessiperché la loro esecuzione era limitata allapresenza in Palermo di questi due.

« PRESIDENTE. Quindi se i provvedimentifossero stati emessi, secondo la Procura dellaRepubblica avrebbero potulo avere esecu-zione solo limitatamente.

« BERTERO. Esattamente. Pertanto era inu-tile, da parte rostra, ogni ulteriore insi-stenza ».

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Dalla testimonianza del dottor Piacente,dirigente del commissariato di Corleone (11febbraio 1970):

« PIACENTE. Sono stato convocato telefoni-camente alle ore 13 circa e sono stato invi-tato a presentarmi in Questura nelle primeore del pomeriggio. Difatti verso le ore 18dalle mani del dottor Zamparelli, nel suo uf-ficio, ho ricevuto un plico (non sigillato) con-tenente le due ordinanze di custodia precau-zionale relative al Leggio e al Riina Salvato-re, con l'incarico di eseguirli esclusivamentee solo quando i due si fossero presentati aCorleone. Poi si aggiungeva che i predettidovevano presentarsi in quanto erano statimuniti in precedenza di foglio di via obbli-gatorio daJila Questura di Bari dato che ara-no stati allontanati da Bitonto. Si dovevanopresentare entro il 19, la sera successiva.Senonchè il 19 ci fu la comunicazione cheper il Riina era stata concessa una prorogafino al 21. La sera del 20, poco prima lamezzanotte, si presentò il Riina accompagna-to da un legale (l'avvocato Mitelo Donato)ed eseguimmo l'ordine di custodia precauzio-nale. Il Riina fu accompagnato la notte stes-sa a Palermo. Il Leggio non si è presentato,e io non l'ho mai visto.

« Successivamente, quando mi è stato co-municato ufficialmente che il Leggio non siera presentato, inoltrai un «rapporto alla Pre-tura di Corleone, denunciando il Leggio perviolazione al foglio di via obbligatorio.

« PRESIDENTE. Prima di arrivare a questecircostanze, facciamo un passo indietro.Quando Zamparelli le consegnò il plico con-tenente l'ordinanza di custodia preventiva,e precisò che quest'ordine avrebbe potutoessere seguito solo appena il Leggio fossestato (presente, le accennò il perché?

« PIACENTE. Sissignore: in quanto tali era-no le direttive che ara rao state date dal Pro-curatore della Repubblica di Palermo.

« PRESIDENTE. Date o concordate?

« PIACENTE. Date dal Procuratore deila Re-pubblica di Palermo ».

Dalla testimonianza del dottor Arcuri, vicequestore di Palermo (11 febbraio 1970):

« PRESIDENTE. Una volta emesso dal Presi-dente del Tribunaile l'ordine di custodiapreventiva, il provvedimento doveva avereeffetto su tutto il territorio nazionale, suquesto non c'è dubbio, viceversa esso è statoconsegnato al commissariato di Corleone,con la clausola che avrebbe avuto valore sol-tanto se il Leggio si fosse presentato a Cor-leone. È stata questa una decisione presa dalquestore Zamparelli, oppure egli si è compor-tato in questo modo avendo ricevuto istru-zioni in questo senso dai Procuratore dellaRepubblica?

« ARCURI. Il questore Zamparelli aveva vis-suto con noi il travaglio degli scarcerati cheavevano riacquistato la libertà e sapeva, perscienza diretta e per i colloqui che avevaavuto con noi, che l'ordine di custodia pre-cauzionale era condizionato al ritorno delLeggio a Corleone.

« PRESIDENTE. Chi lo dice?

« ARCURI. Il Procuratore della Repubblica.Lei sapeva benissimo che quando un Pro-curatore della Repubblica fa presente cheper evitare che nascano degli inconvenienti,per evitare che gli avvocati in sede di giudiziopossano dichiarare nulla e la vostra propostae 'la competenza del Tribunale, è bene farloritornare, noi non possiamo fare altro cheattenerci a questi consigli ».

« ARCURI. I punti ribaditi successivamentecon il dottor Scaglione erano questi: l'ordinedi custodia precauzionale doveva essere ese-guito solo a Corleone, per evitare che, insede di giudizio, i difensori degli imputatipotessero sollevare l'eccezione di incompe-tenza da parte del Tribunale di Palermo ».

« MALAGUGINI. I suoi colloqui con il dottorScaglione sono intervenuti il 14 giugno e il17 gennaio.

« ARCURI. Il 17 gennaio c'era anche il Pre-sidente La Ferlita chiamato da Scaglione.

« MALAGUGINI. E in quella occasione checosa è stato detto?

« ARCURI. Che gli ordini di custodia pre-cauzionale per Leggio e per Riina dove-

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vano essere eseguiti soltanto a Corleone perevitare che in sede di giudizio i difensoridegli stessi potessero sollevare una eccezionedi incompetenza da parte dell Tribunale diPalermo. Che gli ordini dovevano essere te-nuti segreti per evitare che gli interessatine avessero sentore e si sottraessero a uneventuale giudizio di prevenzione. Che, inparticolare per quanto riguardava l'ordinedel Riina, una eventuale esecuzione fuoridella provincia di Palermo avrebbe compor-tato l'incompetenza del Tribunale di Paler-mo. Se la proposta fosse sitata già discussadal Tribunale il giudizio si sairebbe conclusocon un non luogo a procedere. Questi sono iquattro punti che abbiamo ribadito in quel-l'occasione; lei ci aveva dato queste istru-zioni, 1, 2, 3 e 4.

« MALAGUGINI. Ed il dottor La Ferlita checosa disse?

« ARCURI. Il dottor La Ferlita fu chiamatoda Scaglione, il quale gli disse che potevafissare l'udienza...

« MALAGUGINI. Ma, in ordine a questi quat-tro punti confermati dal dottor Scaglione,che cosa disse?

« ARCURI. No, successivamente arrivò LaFerlita; Scaglione lo mandò a chiamare e glidomandò per quando potesse fissare l'udien-za; La Ferlita rispose che l'avrebbe fissataper il 3 febbraio.

« MALAGUGINI. Torniamo indietro. Quandoil 17 gennaio, a posteriori, voi ricordate iquattro punti, il dottor Scaglione li con-ferma?

« ARCURI. Sì.

« MALAGUGINI. I rapporti sono intervenutiquindi sempre ed esclusivamente in ordine aquesto punto della esecuzione tra organi edufficiali della Polizia e Pubblico ministero;mai con il dottor La Ferlita: è esatto?

« ARCURI. È esatto. Vidi il dottor La Fer-lita in quella occasione, il 17 gennaio. Peròil dottor La Ferlita condivideva il pensierodel Procuratore, il quale aveva detto che sisarebbe .riservata la incompetenza del Tri-bunale di Palermo ».

« LUGNANO. Vorrei fare presente al dottorAromi che il Procuratore della Repubblica,dottor Scaglione, alla domanda: perché ilQuestore di Palermo non ha eseguito l'ordi-rne, ha risposto che riteneva che il Questóredi Palermo volesse per sé la gloria di averloarrestato personalmente.

« ARCURI. Mi pare un'illazione gratuita an-re perché M Questore di Palermo, che per20 anni è stato alila Squadra mobile di Milanoe che ha legato il suo nome ad avvenimentifamosi, tra gli altri la rapina di via Osoppo,non aveva bisogno di diventare importantearrestando il Leggio ».

Dalla testimonianza del dottor Scanclaria-to, commissario capo presso la Questura diPalermo (11 febbraio 1970):

« SCANDARIATO. Effettivamente sonò statoincaricaito dal Questore, tramite il vice que-store vicario di Taranto che sovraintende aiservizi di polizia giudiziaria, di approntarequesta segnalazione da fare alla Procura del-la Repubblica, perché inoltrasse, ai sensi del-l'articolo 2 della legge del 1965, la propostaper misure di prevenzione nei confronti diLeggio Luciano. Stilata la proposta, è sortoil problema, se fosse necessaria la presenzao meno del Leggio a Corleone, anche perchéla nostra proposta iniziava così: il ritornodel Leggio in Corleone porterà questi per-turbamenti... Allora il Procuratore della Re-pubblica ha detto che avrebbe inoltrato laproposta al Presidente del Tribunale, avreb-be richiesto l'ondine di custodia precauziona-le a condizione che fosse eseguito a Corleo-ne: perché, se fosse stato eseguito altrove, ilTribunale sarebbe stato poi costretto a di-chiarare il non luogo a procedere per incom-petenza territoriale.

« PRESIDENTE. Però il provvedimento venneemesso il 18 giugno 1969 quindi, ed una voltaemesso, perché il Tariibunaile aveva riconosciu-to la propria competenza ad emetterlo, essodoveva essere eseguito sull'intero territorionazionale.

« SCANDARIATO. La direttiva era di eseguirlosolo a Corleone ».

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« PRESIDENTE. Però quando è emesso ilprovvedimento di custodia preventiva, indi-pendentemente dalle discussioni intervenuteper l'erogazione della misura preventiva stes-sa, esso deve essere eseguito dovunque ilsoggetto si trovi.

« SCANDARIATO. Nel caso di Leggio, le di-rettive del Procuratore dellla Repubblica era-no precise: solo a Corleone ».

« MALAGUGINI. Vorrei contestarle una cir-costanza che emerge dai nostri atti. Il dot-tor Scaglione, Procuratore Capo dellla Re-pubblica, che è stato interrogato da noi, haescluso in maniera categorica e con linguag-gio pittoresco e piuttosto violento di averemai avanzato interpretazioni di questo ge-nere, aggiungendo che tutto ciò che avevadetto (di cui si assume piena responsabilità)era che il provvedimento doveva rimanereriservatissimo solo per quei pochi giorninecessari ad assicurare la presenza del Leg-gio a Palermo, e quindi il suo arresto. Aggiun-se che mai si sarebbe sognato di esporreuna teoria giuridica aberrante al punto dafar sospettare che lui avesse perso la testa.

« SCANDARIATO. Mi si consenta di insisterenella maniera più assoluta. Il fatto dellariservatezza di alcuni giorni, è cosa di nor-male amministrazione, e non solamente perdue o tre giorni, ma per il tempo necessarioall'esecuzione di un determinato atto, qua-lunque esso sia. Non vedo quindi perché ilProcuratore dovesse raccomandare da riser-vatezza proprio in quel caso ».

Dalla testimonianza del dottor Fortino,vice questore di Palermo (11 febbraio 1970):

« MALAGUGINI. Mi permetta: in questi col-loqui precedenti, le fu spiegato che l'ordi-nanza era stata consegnata al commissariodi Corleone, ma per essere eseguita solo inCorleone?

« FORTINO. Certamente. Quando questa or-dinanza di custodia precauzionale fu mate-rialmente consegnata, fu data con la condi-zione che venisse applicata e resa esecutivasolamente a Corleone.

« MALAGUGINT. Una cosa del genere nonl'ha stupita un po'?

« FORTINO. Si riferisce a me personal-mente?

« MALAGUGINI. Sì, certamente.

« FORTINO. In un certo senso mi ha procu-rato stupore. Io di regola ricevo le ordinanzedi custodia precauzionale e provvedo imme-diatamente a diramare le disposizioni per laaicerca, sia alla Squadra mobile, per quantoriguarda il capoluogo, sia ad Carabinieri edagli uffici di Pubblica sicurezza quando ilsoggetto nei cui confronti l'ordine deve es-sere eseguito risiede nei territori di loro com-petenza.

« MALAGUGINI. Un fatto del genere le è maicapitato, nella sua esperienza pregressa?

« FORTINO. No. Esplico questo servizio daoltre un anno e non è mai accaduta una cosasimile.

« MALAGUGINI. Non è mai accaduto che learrivasse un provvedimento di custodia pre-cauzionale, con l'indicazione che dovesse es-sere eseguito solo se il soggetto avesse mes-so piede in un certo territorio?

« FORTINO. No, anche perché gli ordini ame li trasmette la concelleria, quindi non liricevo direttamente dal magistrato.

« MALAGUGINI. Questa spiegazione dei pre-cedenti da chi dei suoi colleghi le è statafatta?

« FORTINO. Probabilmente sarà stato il vice-questore vicario, dottor De Francesco, ancheperché ho diretti contatti con lui.

« MALAGUGINI. E il dottor De Francesco neldarle questa spiegazione le ha aggiunto chiaveva impartito disposizioni di questo gene-re, o ha detto: " è stata una iniziativa no-stra? ".

« FORTINO. Ha detto che è stata un'inizia-tiva del Procuratore della Repubblica di Pa-lermo ».

Ma se questo furono le testimonianze con-coidi dei funzionali dellla Questura di Pa-lermo, ben diverse furono quelle rese dalProcuratore Scaglione e dail Presidente dalTribunale La Ferlita. Le dichiarazioni resedai due magistrati, e particolarmente da]

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Procuratore Scaglione, si rivelarono assolu-tamente contrastanti e decisamente polemi-che nei confronti dei funzionari di polizia.

Ecco alcune delle affermazioni fatte dalpresidente La Farlita (27 gennaio 1970):

« LA FERLITA. Signor Presidente, io hoemesso il provvedimento di custodia precau-zionale. Venne da me un sostituto a dirmi:" Guardi, c'è questo rapporto, abbiamo avu-to assicurato dalla Polizia che il Leggio frauno, due giorni, tre giorni massimo, sarà aCorleone. Quindi c'è qua il rapporto per laproposta. Se lei lo esamina con assoluta ur-genza e se ritiene di emettere il provvedi-mento di custodia precauzionale, lo facciacon la massima riservatezza, battere, stilare,tutto in modo che non si sappia assoluta-mente niente, perché se trapela la minima in-discrezione evidentemente noi non potremopiù avere Leggio ".E 'allora io (ero in udien-za) in udienza stessa, sospesi, esaminai, vidiche la Polizia diceva che il Leggio era (resi-dente a Corleone e quindi mandai a chiamareil cancelliere... Anzi il sostituto mi disse: ver-rà un funzionario di Polizia a prendere que-sto provvedimento. E allora io esaminai,mandai a chiamare il cancelliere e gli dissi:questo, senza passare assolutamente dall'uf-ficio delle misure di prevenzione, faccia leil'ordine di custodia precauzionale, faccia lecopie. Verrà un funzionario a prendere que-ste copie qui. Il fascicolo non deve ancoraandare giù, alle misure di prevenzione, al-l'ufficio delle misure di prevenzione, se nonpassano questi due o tre giorni, come dice laPolizia. Credo che c'era anche il provvedi-mento per il Riìna. Questo ora non potrei ri-cordarlo erano Leggio e Riina. Immediata-mente fu fatto l'ordine di custodia precau-zionale, furono fatte le copie, venne uncommissario e gli si dette l'ordine di cu-stodia precauzionale chiuso in busta di-retta al Questore. In seguito non so quel-lo che sia avvenuto. Certo si è che indata 10 ottobre io sollecitai, dissi: " fa-temi sapere l'esito di quest'ordine di cu-stodia precauzionale " e allora venne un...come si chiama, venne un giovane fun-zionario di Polizia che disse: sa, lei deveattendere un pochino perché prenderemo

Leggio... prenderemo Leggio. Questo so io,signor Presidente. Per il resto...

« PRESIDENTE. Cioè mi pare di capire, si-gnor Presidente, che lei non ha mai ordinatoverbalmente...

« LA FERUTA. Assolutamente.

« PRESIDENTE. ... ailla Questura di non ese-guire l'ordinanza sul territorio nazionale odelimitare la eseguibilità solo a Corleone.

« LA FERLITA. Ma assolutamente, signorPresidente. Tant'è vero che io ho fatto poiun sollecito e se io avessi ordinato di limi-tare o di fare qualche cosa limitativa di que-sto ordine non avrei poi fatto il sollecito,per dire fatemi sapere che cosa se ne è fattodi quest'ordine di custodia precauzionale.

« PRESIDENTE. Signor Presidente, quello chenon riesce chiaro è questo: dal giorno incui il Leggio fu scarcerato a seguito dellanota sentenza assolutoria della Corte d'Assisedi Bari (che noi in questo momento nonintendiamo commentare) l'opinione pubblica,direi noi stessi non tanto come membri dellaCommissione ma come cittadini, conosceva-mo giorno per giorno dove Leggio alloggiava,dove abitava, cosa faceva. Ora, che ragioneaveva, insomma, tanta segretezza nell'esecu-zione del mandato di custodia preventivaquando si poteva, se non entro la giornatasuccessiva alla emissione dell'ordinanza, en-tro tre giorni, sapere esattamente dove erail Leggio e quindi incarcerarlo?

« LA FERLITA. Ma questo non è compitomio, signor Presidente. Io sono... mi si dice:massima segretezza... massima cosa... Infattiper esempio il rapporto, il fascicolo fu con-servato dal cancelliere nella cassaforte pertre o quattro giorni, appunto per evitareche potesse venire a conoscenza di chiunque.

« Voce. Tre o quattro giorni...

« PRESIDENTE. Quindi secondo lei, signorPresidente, Li Questore di Palermo ha com-messo un reato?

« LA FERUTA. Perché non lo ha arrestato'

« Voce. Perché non ha eseguito l'ordine

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LEGISLATURA VI — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI

« LA FERUTA. Questo non è ... io non l'hodetto. ..

« MALAGUGINI. Signor Presidente, in que-sta facenda — ripeto a lei, cose che hagià detto anche il Procuratore della Repub-blica — noi siamo partiti dall'esame di unrapporto degli argani di polizia al Capo dellapolizia. In questo rapporto sono descrittitutti gli spostamenti del Leggio, dal momen-to in cui viene dimesso dal carcere giudizia-rio di Bari fino al 19 novembre 1969, quan-do si rende irreperibile abbandonando unaclinica di Roma. Cioè, noi sappiamo con esat-tezza che 'la Questura era a conoscenza gior-no per giorno (anche perché, poi, dui stesso sipremurava di darne comunicazione) dei suc-cessivi spostamenti del Leggio. Di guisache diventa incomprensibile perché a caricodi un soggetto, che si sa in ogni momentodov'è, non viene eseguito un provvedimentodi coercizione. Sempre in questi rapporti sida, della inerzia degli organi di polizia nel-l'eseguire ©li ordini di custodia preventiva,una spiegazione molto diffusa, molto anali-tica, cioè si dice che quest'ordine mon è sta-to eseguito, perché? Perché e il Presidente.del Tribunale di Palermo cioè lei, e il Procu-ratore della Repubblica di Palermo nel conse-gnare materialmente, non ad un funzionario,ma al Questore che l'avrebbe ricevuto in pre-senza del vicequestore e del commissario ca-po della polizia giudiziaria, l'ordine di custo-dia precauzionale, i due magistrati, concorde-mente, avrebbero o suggerito o addirittuiraordinato al Questore di non eseguire l'ordi-ne di custodia preventiva se non e quandoil Leggio si fosse trovato sul territorio di Car-leone.

« LA FERUTA. Vi do Ja mia parola...

« MALAGUGINI. Mi permetta, signor Pre-sidente! Questo discorso i due magistratil'avrebbero fatto ai Questore ài presenza didue funzionami di Polizia ...

« LA FERUTA. Cioè?...

« MALAGUGINI. ..., del vice questore edel commissario comandante la Squadradi polizia giudiziaria, sulla base di unaargomentazione pseudo-giuridica: la compe-tenza ad emettere i provvedimenti è del Pre-

sidente del Tribunale residente meli capoluo-go ideila provincia dove il soggetto dimora;in questo momento da dimora del Leggio in-tesa strido sensu (cioè come semplice rap-porto materiale di presenza in un determi-nato luogo) non è nella provincia di Paler-mo, quindi noi magistrati siamo incompe-tenti ad emettere il provvedimento: diven-tiamo competenti a posteriori, se la catturaha luogo nell'ambito della provincia di Pa-lermo. E su questo i funzionari di Poliziaricamano abbondantemente, scrivono un lun-go rapporto.

« LA FERUTA. Io do la mia parola d'onore.di uomo e di magistrato che io non ho co-nosciuto il Questore di Palermo se non inquesti giorni. Non ho mai parlato di que-st'ordine di custodia precauzionale al Questo-re di Palermo o al vice questóre di Paler-mo o a qualunque commissario! Non misono mai riunito con il Procuratore del-la Repubblica per consigliare una cosa si-mile; assolutamente! Ripeto, io ero in udien-za. Ed è venuto il .sostituto in udienza... ».

Ed ecco, infine, dalla testimonianza delProcuratore capo della Repubblica dottorPietro Scaglione (27 gennaio 1970), i passipiù indicativi:

« PRESIDENTE. Dunque, l'ordinanza del Tri-bunale di Palermo poteva essere eseguita an-che a Bitonto o a Tarante.

« SCAGLIONE. Dovunque. Ripeto, però, vo-glio chiarirlo, par quello che mi è stato det-to, non so fino a che periodo, peraltro, per-ché un bel giorno penso che d'avranno dira-mato dovunque quest'ordine: forse troppotardi, non lo so.

« PRESIDENTE. Comunque <un punto fermomi pare che sia questo, è vero collega Bisan-tis? Cioè che una volta che il Tribunale di Pa-lermo ha riconosciuto la sua competenza ademettere il provvedimento, il provvedimentodoveva essere eseguito dovunque il Leggio sitrovasse.

« SCAGLIONE. Doveva essere esieguito ovun-que: su questo non c'è dubbio.

« Voce. Su questo non c'è dubbio...

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LEGISLATURA VI — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI

« BISANTIS. E non sa il Procuratore dellaRepubblica perché non fiu eseguito?

« SCAGLIONE. Ho detto, signor senatore, cheio non avevo poteri...

« SCAGLIONE. Nessun ordine! Neanche, ri-peto, se fossi un bambino di due anni andreia dare LUI ordine in contrasto con quelloscritto del Presidente del Tribunale. Bisogna-va essere veramente deficiente da parte miaed io credo, sino ad oggi, di conservarla unpo' di luna! Che io abbia detto, e l'ho già ac-cennato: siamo riiservaitissimi sino a que-sto giorno atteso per tendere la rete: io ri-confermo oggi e lo confermerò altre millevolte; che in quell'occasione si sia pure det-to; ma quando li arrestiamo sul posto allorala questione è superata — è una questionedi indole generale, cui accenno — Tizio sitrova a Corleone, dove nacque; è inutile chepoi mi venga a provare che lui dimorava aParigi. Se tu l'arresti lì, per noi la prova c'èe resta. È chiaro. Ma tutto questo che ho det-to è d'indole generale.

« SCAGLIONE. Da quello che ho saputo do-po, da quello che ho saputo dopo, ripeto,proprio negli ultimi giorni, il Questore ritie-ne che arrestandolo a Corìeone avrebbe for-nito la prova lapalissiana, oltre che 'di averloarrestato lui, che la residenza l'aveva lì quin-di non poteva eccepire alita» e quindi si ri-servava di farlo, certo! Aveva escogitato difarlo seguire fino a Corìeone, non so se conprovvedimenti adatti per arrestarlo... (Ri-peto, trovò conforme me per quello che ri-guardò la prima operazione; perché, mi scusi,una volta che noi depositiamo il verbale idei-le varie ricerche in ufficio, lo sanno i cani ei gatti, perché il segreto vale per due, tre,quattro giorni, cinque, e su questo assumop-'ena la responsabilità. Io gli dissi ... nonfaccia telegrammi, e invece ha fatto il diavo-lo a quattro. Non fummo felici della previ-sione, dico a metà, perché il Riina arrivò peresempio...

« Voce ... fu mandato da Leggio . .. (Ru-mori) Leggio.. .

« SCAGLIONE. Guardi che le dico di più. Dafoniti risarvatissime .della mafia doveva fare

la smargiassata di veniale due giorni a vederei suoi luoghi ed andarsene. Poteva darsi. Poicapitò la festa del Riina..., ma da quel mo-mento era stupido che io dicessi: aspettateuno che non verrà mai...

«Voce ... che aveva già 'dichiarato che nonsarebbe tornato!

« SCAGLIONE. Ma lasciamo stare quello cheavrebbe dichiarato, onorevole, cioè che dopol'arresto del Riina non sarebbe più venuto...era logico perché sapeva che era ricercato.Fino, ripeto, a quel giorno, io lo ripeto, per lacentesima volta e mi assumo piena la 'respon-sabilità. (Commenti in aula) ».

È indiscutibile che la lettura delle dichia-razioni soprariportate, rese alla Commissio-ne antimafia dai funzionari di Polizia e daimagistrati palermitani che furono protago-nisti dell'episodio, lascia veramente esteref at-ti e autorizza una conclusione ben precisa.E cioè che Leggio, al momento della sua asso-luzione a Bari (10 giugno 1969) fimo al .gior-no dal suo ritorno nella clandestinità (19 no-vembre successivo) godette di protezioni adaltissimo livello. Le prove sono nei fatti:

1. — Alla richiesta di tempestivi provve-dimenti di prevenzione ned confronti 'del Leg-gio avanzata dalla Questura di Palermo alProcuratore capo dalla Repubblica dottorScaglione, provvedimenti che implicavanol'immediata cattura del bandito, il magistratorispose sì accogliendo la richiesta (e non po-teva farne a meno), ma vincolandone tassati-vamente l'esecuzione al ritorno di Leggio aCorìeone, ben sapendo, invece, che un prov-vedimento del genere era eseguibile in tuttoil territorio dello Stato.

2. — Leggio, pur sapendo perfettamenteche sul suo capo pendeva un mandato idi ar-resto, non fece nulla per nascondersi: e ciòdimostra e conferma la sua certezza nel fattoche l'ordine di cattura non <sarébbe stato ese-guito.

3. — I Carabinieri (e questo è un ulterio-re elemento sconcertante a riprova della va-sta manovra attuata par proteggere Leggio)non vennero informati dell'esistenza delmandato di arresto emesso nei confironitì idei

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LEGISLATURA VI — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI

bandito. E ciò in contrasto con tutte ile di-sposizioni in materia.

4. — Le autorità .locali di Pubblica sicu-rezza (e particolarmente quelle di Taramtoe di Roma, le due città dove Leggio potè sog-giornare indisturbato) non ricevettero maialcuna disposizione relativa al m'andato 'di ar-rosto. E infatti non l'eseguirono.

Eppure, al vertice della Polizia, si sapevabenissimo che sulla testa dal bandito pen-deva un ordine di custodia preventiva. Lo sa-peva il vice capo della Polizia, dottar Giu-seppe Lutri e lo sapeva, di conseguenza, ilCapo della polizia, dottar Angelo Vicari.

I documenti in possesso della Commissio-ne parlano chiaro.

Quando infatti la Questura di Palermochiese a quella di Bari di munire Leggio eRiina di foglio di via obbligatario per Cor-leone, al fine di costringere i due mafiosi arientrare nella località di residenza per ese-guiire così l'ordine di arresto che il Procura-tore Scaglione aveva limitato, come efficacia,a quella sola località, i funzionari della Que-stura di Bari (vedi deposizione del dottarBertero in data 11 febbraio 1970) opposerouna certa 'resistenza obiettando che era inu-tile incorrere ali foglio di via obbligatario,quando l'ordinanza di custodia precauziona-le nei confronti dei due banditi, avendo effi-cacia in tutta Italia, era eseguibile anche nel-la provincia di Bari.

Di fronte alle obiezioni dei colleghi bare-si che, in base alla prassi consueta, chiedeva-no che venisse loro trasmessa l'ordinanza dicustodia preventiva per procedere così isenzaindugio all'arresto di Leggio e Rima a Biton-to, i funzionari di Palermo, per smuovereogni ostacolo, fecero .intervenire la direzionegenerale di Pubblica 'Sicurezza.

II questore Zamparelli mise al correntedella .situazione il vice capo della Polizia,dottoir Lutri. Questi telefonò subito al Que-store di Bari, gli confermò quali fossero gliordini dati da Scaglione e, alla .fine, la que-stura di Bari munì Leggio e Riina del fogliodi via obbligatorio per Corleone.

È assolutamente certo, di conseguenza, cheail vertice della Polizia si era a conoscenzadell'ordine di arresto. Ed è altrettanto cer-

to ohe, una volta a conoscenza di quest'ordi-ne, i capi della Polizia avevano il preciso do-vere di farlo eseguire dovunque si trovasseLeggio, senza tenere in alcun conto le dispo-sizioni, perlomeno strane, impartite dal Pro-curatore Scaglione.

14) Leggio ed il comportamento del Capodella polizia.

Invece nessuno si mosse. La notizia delmandato di arresto restò gelosamente custo-dita negli uffici di Vicari e di Lutri.

La conferma clamorosa di questa incredi-bile inadempienza è venuta anche dalle di-chiarazioni rese ailla Commissione antimafiadei funzionaci della Questura di Roma dopola fuga di Leggio dalla cllnica « Villa Marghe-rita ».

Il vice questore dottor Fracassóni, dirigen-te del commissariato di « Porta Pia », al qua-le, per competenza territoriale, era stato af-fidato il compito di sorvegliare discretamen-te il noto mafioso trasferito da Tarantenella casa di cura romana, 'dichiarò testual-mente: « // commissariato ignorava nellamaniera più assoluta l'esistenza del foglio divia e dell'ordine di arresto ».

Altrettanto preciso fu il questore idi Roma,dottor Giuseppe Parlato. Riportiamo qui ibrani salienti della testimonianza da lui resaalla Commissione antimafia il 20 maggio1970:

« PRESIDENTE. La questura 'di Roma nonaveva avuto informazioni, o comunque noti-zie ufficiali, che nei confronti 'di Luciano Leg-gio pendeva un ardine di custodia preven-tiva »?

« PARLATO. No, nel modo più assoluto. Nes-suna comunicazione è pervenuta al riguardofino ai primi di gennaio, credo il 5 o il 6 gen-naio ».

« Li CAUSI. Il Questore di Tarante, quandoil Leggio si trasferì dalia cllnica di Tarantea Roma, avvertì la Questura di Roma di que-sto trasferimento? E che egli, Questore di Ta-ranto, aveva l'ordine, cioè sapeva ohe c'era unordine di custodia preventiva »?

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« PARLATO. Nel anodo più assoluto ».

« PARLATO. Par quanto riguarda la questio-ne <M m'andato d'arresto da parte dalla Que-stura idi Palermo, ripeto, in modo tassativo,è accaduto che la Questura di Roma non haavuto alcuna comunicazione né telefonica, népar iscritto, né per telegramma, né personal-mente a me, né ai miei (ufficiali dipendenti ».

Eppure al vertice della Polizia, nelle parso-ne sicuramente del Capo e del vice capo del-la polizia, si era a conoscenza dell 'esistenzadel mandato d'arresto: mandato eseguibileper legge in tutta Italia.

L'incredibile e 'preoccupante realtà cheemerge quindi da tutte le testimonianze edai documenti qui riportati si può così rias-sumere:

1. — Dal 10 giugno 1969 (giorno della suaassoluzione a Bari) al 19 dicembre successi-vo, Luciano Leggìo fece letteralmente tuttii isuoi comodi pur essendo colpito da unmandato d'arresto.

2. — L'ondine di anresto non venne ese-guito: a) perché ai Carahinieari non venne da-ta comunicazione; b) perché la Questura diPalermo venne paralizzata dalle assurde e il-legali limitazioni territoriali imposte dal Pro-curatore Scaglione; e) perché il Capo dellapolizia Vicari, pur essendo a conoscenza delmandato di arresto, non fece diramare allealtre Questuare, e particolarmente a quelle diTaranto e di Roma, l'ordine idi eseguirlo.

Questi sono fatti accertati.A questo punto, una volta chiarito il com-

portamento tenuto dal dottor Scaglione, perquanto lo riguarda, autorizza i più fondati so-spetti di complicità con l'organizzazione ma-nosa e (duole dirlo nei confronti di un uo-mo che non è più in grado di difendersi) c'èanche da domandarsi a che gioco abbia gio-cato l'alleila Capo della polizia, Angelo Vi-cari.

Esiste infatti negli archivi dell'Antimafiaun documento (n. 578) taile da sollevare pe-santi interrogativi su questo funzionario che,per tanti motivi è passato alle cronache poli-tiche e poliziesche di questo dopoguerra co-me uno dei più abili1, intelligenti, spregiudi-

cati esecutori della volontà della classe poli-tica al potere.

Si tratta di una testimonianza resa all'An-timafia dal dottor Angelo Mangano il 26 giu-gno 1969.

Mangano, a quell'epoca era vice questore.Apparteneva all'Ufficio affari riservati del Mi-nistero dall'interno, prendeva ordini diretta-mente dal Capo della polizia, ed era ampia-mente noto, a torto o a [ragione, per esserel'uomo che nel 1964, in concorrenza con i Ca-rabinieri, aveva catturato Leggio.

Ed ora si ponga un momento attenzionealla data in cui il dottor Mangano rese al-l'Antimafia la deposizione di cui stiamo par-lando: 26 giugno 1969.

In quella data Leggio, assolto sedici giorniprima a Bari, si era già trasferio da Bitontoalla clìnica di Taranto. Già da otto giornipendeva contro idi lui un mandato di cattura.E 'di questo mandato di cattura il Capo del-la polizia come abbiamo visto ara perfetta-mente a conoscenza. La logica avrebbe volu-to che anche Mangano, uomo di fiducia diVicari sul fronte della mafia, ne fosse al cor-rente.

Interrogato dalla Commissione a proposi-to delle iniziative deliberate o in via di deli-berazione a seguito della sentenza di assolu-zione della Corte d'Assise di Bari, Manganorese invece questa testuale e stupefacentedichiarazione:

« Per quanto riguarda le persone che sonostate assolte, ili Capo della polizia ha datodrastiche disposizioni affinchè sii provveda amisure di prevenzione. Sia la Polizia che i Ca-rabinieri, sin da quando hanno avuto moti-zia dell'assoluzione, hanno cominciato a pre-parare i vari .rapporti per le misure di pre-venzione anche in relazione al Leggio. In que-sto momento, quindi, è una fucina, tanto èvero che il Capo della polizia, ogni giorno eanche più volte al giorno, chiede notizie diquesti rapporti ».

E allora, delle due l'uria: o il dottor Man-gano ha mentito alla Commissione, sapendodi mentire, in ottemperanza a precise dispo-sizioni ricevute dal suo diretto superiore dot-tor Vicari, per tenere celato il fatto che le mi-sure di prevenzione contro Leggio erano giàsta/te foirmalmente deliberate ma che non

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c'era alcuna volontà, ad ailitissimo livello, diapplicarle; oppure è inevitabile concludereche il Capo della polizia, nel quadro di unpiano preordinato di protezione nei confron-ti del Leggio, faceva il doppio gioco, arnivan-do a mentire anche ai suoi fiunzionari più fe-deli.

Tutto considerato, ci sembra che questa se-conda ipotesi abbia non poco fondamento.

Conc'kisione finale: se Leggio, scandalosa-mente assolto a Bari, potè restare .indistur-bato per cinque mesi e tornare pod (tranquilla-mente alla latitanza nonostante un mandatod'arresto emesso contro di -lui, lo si dovettealle decisioni e agli atteggiamenti presi dalProcuratore capo di Palermo, Pietro Scaglio-ne e dal Capo dola polizia Angelo Vicari.

Il tutto nel quadro più vasto di una fit-ta rete di omertà e di complicità tra ma-fia, gruppi politici e poteri pubblici che gliavvenimenti successivi alla fuga di Leggio,come ora documenteremo, hanno ulterior-mente convalidato.

Luciano Leggio sparì dunque dalla circo-lazione il 19 novembre 1969 e restò latitanteper quattro anni e sei mesi circa: e fu pro-prio nell'arco di questo periodo che la mafia«esplose », senza incontrare resistenza, nel-l'Italia settentrionale, (prendendo sotto con-trollo la malavita delle (grandi città del nord,i mercati generali, il racket della mano d'ope-ra, ilo smercio della droga, il contrabbando ecreando quelle « anonime sequestri » ila cuistoria è stato solo parzialmente scritta graziealle indagini che hanno portato alia calittradi Leggìo nel maggio del 1974, ma che, perquel che si è saputo finora, porta a saldarenuovamente il nome del bandito 'di Corleonecon bene identificati ambienti politici.

Una saldatura che si può nitidamente av-vertire, anche in (rapporto ai pubblici poteri,sulla base di alcuni di-amorosi avvenimentiverificatisi durante da 'latitanza di Leggio.

15) L'uccisione del Procuratore Scaglione.

Ci inferiamo in maniera particolare all'as-sassinio del Procuratore Scaglione (5 maggio1971), alla « ballata delle bobine », alia « guer-ra » tra Frank Coppola e di questore Manga-

no e all'attentato che questi subì la sera del5 aprile 1973.

Dietro tutti questi avvenimenti apparesempre l'ombra di Luciano Leggio, latitante.

Pietro Scaglione venne ucciso unitamenteall'agente di scorta che gli faceva anche daautista, mentre tornava verso il centro di Pa-lermo dopo essere stato al cimitero, sullatomba della moglie morta poche settimaneprima.

Il delitto, per quanto riguarda il fatto con-tingente che lo determinò e i nomi degli ese-cutori materiali, è .ancora oggi avvolto nelmistero.

Ma ila meccanica del duplice, feroce omici-dio, gli stretti rapporti tenuti da Scaglionenei lunghi anni della sua permanenza a Pa-lermo, quale Procuratore capo, con gruppi dipotere e con uomini che risultano collegatiall'organizzazione mafiosa (Lima, Gioia, Cian-cimino, eccetera), la protezione da lui indub-biamente concessa al Leggio dopo l'assolu-zione di Bari, tutto porta ad avvalorare lalesi che il magistrato1 sia stato soppresso per-ché entrato in urto con i « vertici » della ma-fia o perché travolto in un gioco interno disupremazie.

Certo è che Pietro Scaglione non venne as-sassinato per questioni personali, né pervendetta da qualche pregiudicato da lui in-criminato. Tutte Ite indagini accuratamentesvolte per ancorare il delitto a moventi diquesto genere non hanno avuto alcun esito.

Vero è, invece, che l'agguato nel quale Sca-glione restò ucciso porta il segno tipico deldelitto mafioso: una squadra di killers, a vi-so scoperto, in pieno giorno e un crepitar© «diraffiche fulminanti, (oltre cento colpi in po-chi secondi) contro i bersagli umani colti disorpresa nell'interno della vettura. La stes-sa, precisa, identica « tecnica » usata tantianni prima da Luciano Leggio per .togliere dimezzo il suo ex capo mafia e protettore dot-tor Navarra.

E, come allora, lo scomparire idei sicari nelnulla, l'omertà totale, il silenzio terrorizzatodei testimoni che, nel caso specifico idei de-litto Scaglione, c'erano stati ed avevano vistotetto.

Delitto mafioso, non c'è dubbio. E l'unicatraccia esistente .porta a Leggio. Nel corso

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delle 'indagini svolte dall'Antimafia ned ,1974sulla « ballata delle bobine » di cui ora par-leremo, il questore Mangano testimoniò cheFrank Coppola, durante uno dei tanti incon-tri avuti con lui, si era (lasciato sfuggire cheLeggio aveva organizzato sia l'assassinio delgiornalista Mauro De Mauro, sia quelito delProcuratore Scaglione. Un'affermazione, que-sta, che, vista alla luce dei collegamenti emer-si dopo la cattura di Leggio a Milano tra ilbandito e don Agostino Coppola, nipote di« Frank tre dita » e a quest'ultimo stretta-mente legato, non va davvero sottovalutata.

Anche perché non va dimenticato che nel-la tragica e complessa storia dalla mafia diquest'ultimo trentennio, da figura di 'Leggiosi staglia sì come quella del più feroce e de-ciso capobanda, ma anche, e forse soprattut-to, come quella del cervello operativo, del-l'esecutore di decisioni prese ad aito livello,in quedle centrali « politiche » che costitui-scono la vera essenza dell'organizzazione ma-nosa e dalle quali ha .sempre tratto ogni ge-nere idi protezione.

Passiamo ora alla « badilata delle bobine ».Sotto questa denominazione è passata una

lunga e convulsa vicenda che. iniziata nel gen-naio del 1970 in seguito alla fuga di Leggiodalla clinica « Villa Margherita » si è protrat-ta negli anni successivi, in una sarabanda cre-scente e sempre più aggrovigliata che ha avu-to per protagonisti famigerati mafiosi legatial bandito di Corleone, alti funzionari dellaPolizia e noti magistrati, al punto che la stes-sa Commissione antimafia, al (termine di unalunga inchiesta condotta nel 1974, così con-cludeva (Doc. XXIII - n. 1 - VI Legislatura -pagina 22):

« In definitiva tutta l'indagine condottadalla Commissione ha evidenziato un aspet-to inquietante e per moki versi emblematicodelle capacità di inserimento di elementi ma-fiosi nei gangli della burocrazia, attraversola strumentalizzazione delle carenze dell'ap-parato statuale, dei vuoti di potere che daesse derivano ... ».

Noi siamo però dell'avviso, che, sulla ba-se dei fatti documentati negli atti raccoltidalla Commissione, la « ballata ideile bobi-ne » sia rivelatrice di una (realtà ben più in-quietante della sola « capacità 'di inserimen-to di dementi mafiosi nei gangli della buro-

crazia », così come siamo del parere che siadavvero ottimistico liquidare l'intera vicen-da (vedi relazione di maggioranza, capitolo4°, sez. Il, par. 3, p. 278) attribuendo laresponsabilità degli 'Sconcertanti e graviepisodi che la costellano a semplice « disfun-zioni .» in seno alla Polizia e alla Magistratu-ra e a « scarsa cautela » di questi organi del-lo Stalo nel trattare l'incandescente materia.

Se così fosse, bisognerebbe concludere chela Polizia e la Magistratura italiane, a co-minciare dai loro « vertici », sono compostedi incapaci e di minorati mentali: il che, ineffetti, non è.

La « ballata delle bobine » è quindi riveda-trice di retroscena chiaramente indicativi diquelli che sono i collegamenti, le complicitàe d'omertà esistenti tra organizzazione mano-sa, gruppi politici e potere 'dello Stato.

16) La « ballata delle bobine ».

Ma stiamo ai fatti.Scomparso Leggio dalla circolazione, il Ca-

po ideila polizia Vicari affida nuovamente aldottor Mangano il compito di trovarlo. II per-ché di questa scelta è ancora tutto da chia-rire. Mangano, questa è certo, era un uomo diassoluta fiducia del Capo della polizia. Ma èaltrettanto certo che, nell'espletamentio de-gli incanichi affidatigli da Vicari, specie sulfronte della mafia, era già stato al centro diroventi polemiche, e non solo nei confrontidei Carabinieri. Si legge, a questo proposito,negli atti dell'Antimafiia (Doc. XXIII - n. I -VI 'Legislatura - pagina 14):

« II 20 gennaio 1966, promosso vice questo-re, viene inviato (Mangano: nota della reda-zione) nuovamente in Sicilia con il compitodi dirigente il « Centro di coordinamento re-gionale di polizia criminale »: in questo nuo-vo incarico il Mangano affronta decisamentemolti casi rimasti insoluti, riapre le indaginisu numerosi episodi di stampo mafioso edincrimina numerose persone indiziate di queifatti. Tuttavia conduce tali indagini con me-todi discutibili, al punto che quasi nessunodi tali casi trova sbocco .positivo in sede giu-diziaria, non avendo la Magistratura ritenuto

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LEGISLATURA VI — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI

attendibili i risultati conseguiti da Manganoe dai suoi uomini.

« Tali metodi, anzi, suscitano apprensio-ni e proteste presso la Magistratura e glistessi organi regolari della Polizia e deiCarabinieri operanti in Sicilia, al puntoche l'organismo diretto da Mangano vienesciolto ».

Nonostante questi precedenti, il dottarMangano venne incaricato di trovare e cattu-rare Leggio, e, su sua richiesta, la Squadramobile della Questura di Roma richiese allaProcura della Repubblica l'autorizzazione adeffettuare >una serie di intercettazioni telefo-niche su apparecchi in uso a persone sospet-te di essere jin collegamento con il bandito la-titante e di aiutarlo. Le autorizzazioni ven-nero concesse dai sostituti procuratori Arnal-do Brace: e Claudio Vitalone e riguardavano12 persone, a cominciare da Frank Coppola,uno dei boss della mafia sicukvamericana,certamente legato a Luciano Leggio.

Le intercettazioni durarono, sia pure in pe-riodi differenti, dal 19 gennaio al 9 .maggio1970, con una sola eccezione (quella riguar-dante Mangiapane Giuseppe) che durò dall'8maggio all'8 giugno 1971.

Le bobine registrate, secondo i documentiesistenti in proposito, furono consegnate dal-la Polizia alla Magistratura nel corso del me-se di aprile 1970 (21 'bobine), di maggio (10bobine), di giugno (4 bobine), più cinque bo-bine nel giugno del 1971. Delle 40 bobine, 31vennero consegnate dalla Polizia, su sua ri-chiesta, al sostituto procuratore Claudio Vi-talone.

E qui sorge un primo interroga rivo: le bo-bine registrate furono davvero sodo 40 o fu-rono in numero maggiore?

Domanda legittima, se si tiene conto che,nel corso della deposizione resa all'Antimafiail 27 febbraio 1974, Frank Coppola, insisten-do isuil fatto ohe il dottor Mangano gli avevachiesto, e ottenuto, 18 milioni' per cancel-lare dalle bobine che lo iriguaaidaivano i rife-rimenti ad alcuni uomini politici, affermò de-cisamente che le bobine (registrate dalla Po-lizia non erano state 40, 'bensì 62 o 64.

17) Le rivelazioni di Frank Coppola.

Ecco, in proposito, il testo stenografico re-lativo a questo particolare:

« PISANO. Se ho ben capito, Mangano leavrebbe chiesto, o fatto chiedere o avrebbeottenuto dei soldi per togliere dalle famosebobine degli avvenimenti e dei nomi che siriferivano a dei suoi parenti. Lei ha detto cheriguardavano suo genero... eccetera. Quindi,se queste bobine non fossero state manipo-late vi dovrebbero risultare dei colloqui tele-fonici suoi, nei quali si parla di suo generoe nei quali si parla di questo suo parente pre-te, questo Coppola. E così?

« COPPOLA. E di altri mafiosi ».

« PISANO. Daccordo: comunque nelle bo-bine ci dovrebbero essere dei riferimentiprecisi.

« COPPOLA. Dei riferimenti precìsi a perso-ne di alto rango, di politici.

« PISANO. E questi 'discorsi sono stati fatti?

« COPPOLA. Ma lo diceva lui.

« PISANO. Ma lei dovrebbe ricordarnsi, però,se sono stati fiatti questi discorsi. Comunqueci 'dovrebbero essere questi (riferimenti. Quin-di se non ci sono più, questa è già una provache le bobine sono state manipoflae. Questa èla mia domanda. Volevo avere la confermache dovevano esserci determinati 'riferi-menti.

« COPPOLA. Le bobine erano 62-64. Una par-te di queste lui non Je portò mai, mi disse.Ebbe la fortuna di levarle.

« PISANO. Come, come...?

« COPPOLA. Una parte delle bobine lui nonle consegnò mai.

« PISANO. Quindi non sono 'tutte.

« COPPOLA. Fra quelle che aveva consegna-to, diceva iui, c'erano cose che "volteva-no " (?) diceva lu i . . . che con quelle conse-gniate non ci potevano fare niente.

« PISANO. Signor Coppola, un'ultima do-manda: lei seppe da Mangano che le bobi-ne erano 62-64?

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LEGISLATURA VI — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI

« COPPOLA. Così mi ha detto.

« PISANO. Va bene. Questa dichiarazionedi Mangano le è stata fatta prima ohe leidesse i 18 milioni?

« COPPOLA. Lui mi disse che una parte del-le bobine le aveva lui e una parte aio. Co-munque disse che a quelle die non aveva,ci avrebbe pensato lui. "Lei però — aggiun-se — mi deve dare una mano d'aiuto". Eva bene ».

Vale la pena di sottolineare un particola-re. Frank Coppola rese questa deposizioneil 27 febbraio 1974, quando Leggio era anco-conra latitante. Le bobine erano state regi-strate quattro anni prima, tra il gennaio eil giugno del 1970. E, secondo la versione diCoppola, dalle bobine Mangano aveva tol-to, dietro compenso, dei riferimenti relativinon solo a suo genero, già implicato nellafuga di Leggilo, ma anche a un suo « nipoteprete ». L'accenno a questo nipote prete è,nel testo della testimonianza di 'Coppola, mol-to sfumato, perché il vecchio « boss » (mafio-so lo cita solo per dire che questo nipoteprete era in grado di intercedere presso « unMinistro » per alleviare la sua posizione dipregiudicato sempre pesantemente control-lato dalla Polizia.

Il « nipote prete » di Frank Coppola è pa-dre Agostino Coppola, mato a Partinioo il27 luglio 1936: di lui si sa oggi con contez-za che si era recato più volte a visitare Lu-ciano Leggio quando il bandito era ricovera-to nella climica « Villa Margherita » a Roma.Ma (come vedremo meglio in seguito) sappia-mo soprattutto, dalle indagini condotte daimagistrati rniflanesi dopo la cattura di Leggioa Milano, che padre Agostino Coppola, du-rante la latitanza del bandito, era diventatoaddirittura l'esarttore della « anonima se-questri » creata dal capobanda mafioso.

C'è quindi da domandarsi: perché mai ilvecchio e scaltro Frank Coppola si lasciòsfuggire, di fronte all'Antimafia, (e bensapendo che i gioirnaili l'avrebbero poi ripor-tato), quell'accenno alle bobine manomesseo occultate (a suo dire) da Mangano neipunti che riguardavano il nipote prete delquale, sicuramente, doveva oonosicere vita emiracoli? Chi voleva avvertire? Chi vole-

va ricattare? Quali silenzi voleva garan-tire? E chi era il Ministro così cautamentee anonimamente tirato in ballo?

Ma torniamo alle bobine. JPer oltre unanno, vale a dire dal giugno 1970 all'apriledel 1971, quando scoppiò il « caso Rimi » el'Antimafia venne a sapere della loro esisten-za, nessuno ne parlò. Né Polizia, né magi-strati.

Il che è francamente incredibile, inaccet-tabile e solleva pesantissimi sospetti per iseguenti motivi:

1) le registrazioni, effettuate ufficial-mente per raccogliere informazioni su Leg-gio, sono state sicuramente manomesse ealterate: il che significa che contenevanonotizie interessanti le indagini su Leggio, ocomunque, sullajorganiizzazione maliosa;

2') su quelle bobine registrate si è sca-tenata una autentica guerra tra Frank Cop-pola e il questore Mangano: guerra culmi-nata nell'attentato subito da Mangano la se-ra del 5 aprile 1973, anche se non esisteprova che i killers siano stati inviati, co-me sostiene il questore, proprio dadi Coppola;

3) le bobine sono state occultate e di-sperse in maniera tale da fare ritenere fon-datamente che Ja dispersione sia stata deli-beratamente voluta.

Riassumiamo i fatti.L'Antimafia venne a sapere dell'esistenza

delle bobine allorché, come già detto, tra ilgiugno e il luglio del 1971 scoppiò il « casoRimi ». In quei giorni, infatti, da Commissio-ne venne a conoscenza che Natale Rimi, fi-glio e fratello di due mafiosi condannati al-l'ergastolo per clamorosi delitti di 'mafia,già imputato ned 1967 dei reati di associa-zione a delinquere, furto e rapina, già de-nunciato il 21 novembre 1970 dai Carabinie-ri con altre trenta persone con 'riferimentoalla scomparsa del giornalista Mauro DeMauro, già assunto dal Comune di Alcamo(Trapani), era riuscito a farsi trasferire aliledipiendenze della Regione Lazio.

La faccenda sollevò grande scalpore. L'in-chiesta subito avviata dalla Commissione an-timafia accertò che il .Rimi era stato assun-to alla Regione Lazio su proposta 'del Pre-

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sidente della Regione, Gìnolamo MechelJi. Siaccertò, inoltre, che Rimi era stato presen-tato a Mechelli da un sedicente « consulen-te commerciale », certo Italo Jalongo, notopregiudicato, uomo di fiducia di Frank 'Cop-pola, e che a presentare Jalongo a Mechelliera stato il magistrato, dottar Beverino San-tiapichi, consulente giuridico della Regione.Santiapichi, a sua volta, potè provare cheJalongo gli era Sitato presentato da un suoconoscente, certo Ep-iro, uomo di fiducia edorganizzatore elettorale dell'onorevole Giu-liano Vassalli, esponente del PSI.

Ma non basta. Indagando su Jalongo, laCommissione venne a sapere che costui erain rapporti di amicizia con il magistrato, dot-tor Romolo Pietrosi, che dal 1964 .prestavaservizio presso la Commissione stessa per inecessari collegamenti con ila Magistratura.Così saltò fuori che il dottor Pietroni sape-va dei rapporti esistenti tra Jalongo e FrankCoppella fin dalla primavera dell'anno pre-cedente; che il dottor Pietroni era a cono-scenza, per essere stato direttamente inte-ressato anche dallo stesso Mangano, dei rap-porti esistenti anche tra quest'ultimo e FrankCoppola; che il dottor Pietroni, una voltaesploso il «caso Rimi », si era recato conJalongo presso il Presidente della RegioneLazio, Mechelli, per informarsi sulle moda-lità che avevano accompagnato l'assunzionedi Rimi alla Regione Lazio (vedi testimonian-za resa alla Commissione il 6 ottobre 1971dal dottor Michele Vitellaro, della RegioneLazio, e dal dottor Gkodamo Mechelli il 12ottobre successivo).

Il tutto senza che la Commissione anti-mafia, presso la quale Pietroni era addettoper i collegamenti con la Magistratura, neavesse mai saputo niente.

E c'è dell'altro. Premesso che l'il aprile1970 il Tribunale di Roma aveva inflitto aFrank Coppola la misura di prevenzione del-la sorveglianza speciale per la durata di treanni, e che il boss mafioso aveva presen-tato ricorso, il 21 dicembre successivo si eratenuta la relativa udienza davanti alla Cor-te d'Appello. Ebbene, Pubblico ministero diquesto procedimento contro Coppola erastato il dottor Romolo Pietroni, amico di

Jalongo, a sua volta amico di Coppola. Inquella udienza, il dottor Pietroni, a sua vol-ta molto appoggiato dal Procuratore genera-le dottor Carmelo Spaglinolo, che lo difesesempre a spada tratta anche in intervistedate alla stampa, aveva chiesto il rinvio del-l'udienza ritenendo necessaria l'acquisizionedi ulteriori documenti.

Tutto questo l'Antimafia venne a scoprirlosolo dopo l'esplosione del « caso Rimi ».

Ma procediamo con la « ballata delle bo-bine ».

Una volta saputo dell'esistenza delle regi-strazioni effettuate dalla Polizia per il rin-traccio di Leggio, l'Antimafia, in data 4 ago-stro 1971, richiese alla Magistratura romanala trasmissione delle relative bobine. In ri-sposta ricevette un plico con una lettera diaccompagnamento, in cui si spiegava che ve-nivano inviati gli atti relativi alle intercetta-zioni eseguite sugli apparecchi intestati aFrank Coppola e Francesco Palumbo, e cioè,complessivamente, cinque nastri magnetici erelative trascrizioni. Senonchè, aperto il pli-co, ci si accorse che vi erano contenute sìcinque bobine, ma tre di esse si riferivano al-le registrazioni effettuate sul telefono diFrancesco Palumbo, e due a quello di Erne-sto Marchese: nessuna che riguardasse il te-lefono di Frank Coppola, 'mentre risultava(dalle « trascrizioni sommarie » effettuategiorno per giorno dai funzionar! addetti alleregistrazioni e già in possesso della Commis-sione), che dovevano esserci ben otto bobine.

Si scoprì allora che gran parte delle bobi-ne era dispersa tra l'Ufficio istruzione e quel-lo della Procura della Repubblica. E si scoprìanche che, delle 40 bobine complessive, due,relative alle intercettazioni effettuate sui te-lefoni dì Augusto Cucchiaroni non erano in-cise, per cui, in totale, la Commissione en-trò in possesso di 38 bobine.

Non staremo qui a riepilogare l'allucinan-te storia di queste bobine così come è stataricostruita dalla Commissione. Basti direche le registrazioni viaggiarono a lungo traQuestura e palazzo di giustizia, passando dimano in mano senza che venissero adottatele più elementari misure precauzionali men-

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tre, stranamente, le bobine diventavano, inbuona parte, « mute ».

Vale la pena, tanto per fornire un'idea diquanto può essere accaduto', riportare dagliatti della Commissione (Doc. XXIII - n. I -pag. 46) le vicende relative alla trascrizionedi 14 bobine richiesta ad un certo momento(3 marzo 1971) alla Questura dal sostitutoprocuratore Paolino Dell'Anno, dopo che que-sti se le era fatte consegnare dal collega Vi-talone che ne era materialmente in possesso:

« Le bobine vennero quindi ascoltate inQuestura e il vice brigadiere Savoia e Ila guar-dia Buccia'relli ne curarono la trascrizione.Si accertò così che 4 delle 14 bobine riguarda-vano conversazioni intercettate sul telefonodi Jalongo, che altre 3-4 si riferivano a Pa-lumbo e (sembra) a Marchese e che le altreportavano sulla parte esterna l'indicazioneche si trattava di intercettazioni riguardantiCoppola.

Queste bobine, però, a dire di Arcuri, Maini(due funzionairi della Questura di Roma:n.d.r.) e Savoia, non erano incise. Si capivacioè, a quanto dissero i testi, che si trattavadi nastri usati, perché si sentivano dei frusciie ogni tanto qualche mezza frase, ma per ilresto non erano intelligibili, come se i nastrinon fossero stati registrati. Si aveva anzil'impressione — come disse Maini pure alConsiglio superiore della Magistratura — chele bobine fossero state registrate male. Perquanto riguarda il numero di queste bobine,Maini parlò di 6-7, Savoia di 4, Arcuri che,in un primo momento, aveva parlato di 2 bo-bine bianche, successivamente riferì che lebobine bianche, o quasi bianche « perchéogni tanto si sentiva qualcosa », erano 6. Ildottor Arcuri, però, ha sempre precisato diessere al corrente di queste notizie, non perscienza diretta, ma per averle appirese daldottor Maini.

I testi hanno anche dichiarato che le rela-zioni di servizio trasmesse al dottor Dell'An-no erano contrastanti rispetto alle conversa-zioni che si ascoltavano sui nastri.

L'inchiesta sulla « ballata delle bobine »,indubbiamente connessa alla latitanza di Lu-ciano Leggio, venne iniziata nel corso dellaquinta legislatura e condotta avanti durante

la sesta, ma ogni indagine per giungere al-l'accertamento della verità, e scoprire checosa si nascondesse dietro questa vicendaresa misteriosa da una evidente, precisa vo-lontà, non approdò mai a risultati apprez-zabili.

Esiste a conferma e illustrazione di questasconcertante e avvilente realtà, un documen-to agli atti dell'Antimafia (Doc. XXIII - n. I -VI Legislatura - ali. 14), così intitolato: « Re-lazione svolta dal deputato Terranova sullerisultanze del sopralluogo da lui effettuato,unitameii'te ai senatori Agrimi e Pisano, pres-so gli uffici gii'Uidiziari ramami, aldo scopo diattingere i necessari elementi par la ricostru-zione delle vicende dei procedimenti origi-nati dalle intercettazioni telefoniche a segui-to della fuga di Luciano Leggio ».

Tale indagine venne decisa dalla Commis-sione nel febbraio del 1974, con la speranzadi districare l'ingarbugliata matassa della« ballata delle bobine ». Ma ecco il testo in-tegrale della relazione:

18) Le responsabilità della Magistratura ro-mana.

« II 28 febbraio 1974 il Gomitato, compostodai senatori Agrimi e Pisano e dal deputatoTerranova, in esecuzione dell'incarico rice-vuto dalla Commissione, in seduta plenaria,ha compiuto una visita conoscitiva negli uf-fici del Tribunale e della Procura della Re-pubblica di Roma allo scopo di acquisire, at-traverso l'esame diretto di registri, fascicolie documenti, ogni possibile elemento di fat-to idoneo a consentire, insieme con i dati ac-quisiti dalla Commisisone nel corso delleindagini svolte, la ricostruzione, la più esattapossibile, delle vicende inerenti alle intercet-tazioni telefoniche disposte dopo la fuga delmafioso Luciano Leggio (meglio noto comeLuciano Liggio), alla scomparsa ed al succes-sivo ritrovamento di alcuna bobine, alla as-serita manipolazione di alcuni nastri ed alleeventuali responsabilità connesse. Tutto ciònel quadro dell'inchiesta sul fenomeno dellamafia.

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« I dati materiali acquisiti nel corso del so-pralluogo effettuato sono riportati, insiemealle fotocopie di alcuni atti, nel verbale alle-gato alla presente relazione.

« In base alle risultanze degli accertamenticompiuti, e tenuto conto delle dichiarazionirese alla Commissione dai sostituti procura-tori della Repubblica Vitalone, Dell'Anno,Piotino e Lombardi, il Comitato ritiene disottoporre alla Commissione le seguenti os-servazioni e considerazioni.

« Le bobine relative alle intercettazioni te-lefoniche concernenti i nominati Talari go Ita-lo, Mangiapane Giuseppe, Cucchiaroni Augu-sto, Coppola Francesco Paolo — intesoFrank —, Palumbo Francesco, Virgili Giovan-ni, (risultano pervenute alla Procura della Re-pubblica di Roma in data 4 aprile 1970 e ri-spetto ad esse vengono formati diversi fasci-coli processuali, intestati separatamente adognuna delle persone sopra indicate, con inumeri di registro generale 1640, 1641, 1642,1643, 1644, 1645 del 1970, ed assegnati in da-ta 6 aprile 1970 al sostituto procuratore dellaRepubblica dottor Vitalone.

« Le bobine relative alle intercettazioni te-lefoniche concernenti Broechetti Marcelo ri-sultano pervenute in data 12 aprile 1970 e ri-spetto ad esse viene formato il fascicolo nu-mero 1837 del 1970, assegnato il 14 aprile1970 allo stesso dottor Vitalone.

« Tutti i processi sopra specificati vengonotrasmessi, in data 26 febbraio 1971, dal dot-tor Vitalone al sostituto procuratore dellaRepubblica dottor Dell'Anno; insieme con iprocessi vengono inviate le bobine non an-cora trascritte e le relazioni di servizio del-la Pubblica sicurezza.

« I fascicoli .processuali n. 1930, 1968 e 2290del 1970, concernenti le intercettazioni ese-guite sui telefoni intestati a Lizzi Ermanno,Cosentino Angelo e Marchese Ernesto vengo-no assegnati, il primo al dottor Vitalone egli altri due al dottor Lombardi, quindi man-dati in archivio e successivamente richiamatidal Pubblico ministero, ad eccezione di quel-lo intestato a Marchese Ernesto.

« II fascicolo n. 3685 del 1971 relativo al-le intercettazioni concernenti Mangiapane

Giuseppe e Vassalli Giovanni viene, a richie-sta idei Procuratore della Repubblica aggiun-to dottor Bràcci, mandato in archivio nel lu-glio 1971 e successivamente richiamato dalPubblico ministero ed, in data 24 novembre1971, assegnato al dottor Piotino.

« Nei registri esaminati non si rileva alcunaannotazione circa il numero delle bobine in-viate dalla Pubblica sicurezza all'Autoritàgiudiziaria, tranne per quanto riguarda il fa-scicolo n. 3685/71, in relazione al quale esi-ste una annotazione, nell'ultima colonna delregistro, concernente l'invio di cinque bo-bine.

« Esanimato il fascicolo proeessuafle inte-stato a Ma,rchese Ernesto, fascicolo che in at-to risulta custodito nell'ufficio del Consigliereistnittorc dottor Gallucci, si accerta che adesso sono allegati un plico sigillato che recala firma del dottor Gallucci, contenente duebobine, come da apposita annotazione, ed unfascicolo con trentratrè fogli di trascrizionedei relativi nastri.

« Nel fascicolo processuale intestato a Ja-longo Italo si rileva una nota, in data 3 mar-zo 1971, a firma del dottor Dell'Anno, indi-rizzata ailla Questura di Roma (all'attenzionedel vice questore Arcuri) con la quale vienechiesta la trascrizione di quattordici bobine.La nota è contrassegnata col n. 1640/70 —che si riferisce al processo Jalongo Italo —nonché con i numeri 1642, 1643, 1644 del1970 — che si riferiscono ai processi inte-stati a Cucchiaroni Augusto, Coppola Franke Palumbo Francesco. Secondo i dati in pos-sesso della Commissione, dati accertati nelcorso delle indagini precedentemente svolte,ai processi di cui sopra risultano allegateventi bobine e cioè 4 al n. 1640/70 — Jalon-go —, 4 al n. 1642/70 — Cucchiarone —, 9al n. 1643/70 — Coppola —, e 3 al n. 1644/70— Palumbo —. Non si comprende quindi per-ché solo di 14 delle 20 bobine venga dispostala trascrizione. Non vengono rilevate altrenote di analogo tenore.

« La mancanza di precise e specifiche anno-tazioni sul registro generale, almeno sino al9 settembre 1971 (vedi processo MangiapaneGiuseppe e Vassalli Giovanni) impedisce di

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accertare quali e quante bobine andarono afinire nel fascicolo processuale intestato aMarchese Ernesto, nel fasicolo cioè in cui fu-rono ritrovate le bobine di cui a suo tempoera stata denunziata la scomparsa.

« Le contraddittorie versioni al riguardofornite dai sostituti dottor Vitalone e dottorLombardi (quest'ultimo peraltro ha esclusocategoricamente di essere mai stato in pos-sesso di fascicoli con bobine) rendono an-cora più arduo il compito di stabilire il mo-vimento delle bobine da un ufficio all'altro.

« In proposito il Comitato ha il dovere disottolineare la estrema irregolarità del siste-ma adottato, almeno sino all'epoca delle vi-cende in esame, dalla Procura della Repub-blica di Roma in ordine alla custodia dellebobine ed alla trasmissione di esse, sistemache certamente non offriva alcuna garanziadi sicurezza e segretezza.

« È risultato, infatti, che le bobine deille ii>tercettazioni telefoniche venivano inviate dal-la Pubblica sicurezza in busta chiusa, non si-gillata, e allegate ai fascicoli senza alcunaparticolare cautela, cosicché esisteva la pos-sibilità, concreta e non ipotetica, che qual-cuno, ad esse interessato, fosse in grado disostituirle o manometterle.

« Le affermazioni fatte in proposito daldottor Vitalome, per il' quale il sistema adot-tato sarebbe idei tutto regolare e conforme al-le disposizioni regolamentairi e comunqueanalogo a quello genearalmeinite adottato intutti gli uffici giudiziari della Repubblica,sono decisamente smentite dalle categoricheaffermaaioni idei dottar Lombardi, il. quale haampiamente illustrato alila Commissione laprocedura corretta da applicare per la custo-dia dele bobine e sono altresì smentite dallaesperienza acquisita circa il modo di operareattuato in questa materia in tanti altri uffi-ci giudiziari.

« La irregolarità della .procedura è indiret-tamente confermata dal dottar Gallucci, Con-sigliere istruttore del Tribunale di Roma, ilquale ha mostrato al Comitato dei plichi,accuratamente confezionati e sigillati, conte-nenti bobine, dimostrando così di applicare,

per la conservazione di esse, un sistema ab-bastanza sicuro e soddisfacente, ben diversoda quello di cui ha parlato il dottor Vitalo-ne, anche se non rigoroso ed aderente alledisposizioni regolamentari come quello de-scritto dal dottor Lombardi.

« II Comitato ritiene che non sia il caso dìsoffermarsi oltre su questo argomento, giac-ché la superficialità, l'insicurezza e il disor-dine del sistema di custodia delle bobineadottato, almeno nel periodo che interessa,dalla Procura della Repubblica di Roma, ap-paiono di tutta evidenza, indipendentementedalle considerazioni sopra esposte.

« Basta pensare che nel fascicolo proces-suale intestato a Marchese Ernesto vanno afinire bobine destinate ad altro processo; cheil magistrato, il quale riceve dalla Pubblicasicurezza il plico con le bobine, non ne co-nosce spesso il numero esatto; che le bobinevengono trasmesse da un ufficio all'altro sen-za alcuna cautela atta a garantirne quantomeno la identità per cui, ad esempio, nes-suno è in grado di garantire che le bobineinviate dal dottor Dell'Anno, per la trascri-zione, alla Pubblica sicurezza, in numero diquattordici (e non di venti, cosicché si igno-ra il motivo delle esclusioni delle altre sei edove esse siano andate a finire) siano quellestesse successivamente restituite, in partetrascritte (quattro) in parte no (due bianchee otto illeggibili).

« Concludendo, l'indagine diretta eseguitanegli uffici della Procura della Repubblica edel Tribunale di Roma non ha messo in lucequegli elementi che, come si pensava, pote-vano emergere dai registri o dall'esame deifascicoli processuali, esame solo in minimaparte effettuato, poiché molti dei fascicoliinteressati non sono più a Roma, ma a Fi-renze, in relazione al processo ivi in corsoper l'attentato al questore Mangano e perreati connessi, successivamente emersi. IlComitato ritiene di avere esaurito il compitoaffidatogli, con gli accertamenti compiuti esottoposti alla Commissione e ritiene di do-versi astenere da quelle valutazioni politiche,che sono proprie dell'organo parlamentare,sia per mantenersi entro i limiti dell'incarico,

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sia per la opportunità che esse vengano ri-messe alla Commissione dopo la discussioneconclusiva su tutta la complessa vicenda del-le bobine.

Ogni commento a questa relazione ci sem-bra superfluo, ma non si può fare a menodi osservare che il sostituto procuratore dot-tor Claudio Vitalone, in tempi successivi, èrimasto coinvolto, direttamente o per inter-posta persona, in scandali maturati nel sotto-bosco governativo.

Sta di fatto che la verità sulla « ballata »di queste bobine, frutto di registrazioni tele-foniche effettuate nel quadro della cacciaa Luciano Leggio, non si è saputa, né si sa-pra mai.

Le uniche verità acquisite, comunque, con-sentono di affermare:

1) le bobine contenevano riferimenti apersonaggi e situazioni riguardanti l'organiz-zazione mafiosa, e, in particolare, LucianoLeggio;

2) il contenuto di quelle bobine è statoalla base di ricatti e controricatti, tra l'orga-nizzazione mafiosa e poteri dello Stato, inmaniera particolare tra il questore Mangano,uomo di fiducia dei Capo della polizia, Vi-cari, e il boss mafioso Frank Coppola;

3) le bobine sono state alterate, mano-messe, manipolate: lo hanno concordementedichiarato i periti incaricati dalla Commis-sione antimafia, dalla Procura generale del-la Repubblica di Roma e dal sostituto procu-ratore della Repubblica dottor Franco Pio-tino. Ma nessuno è stato in grado di stabilirese manipolazioni o alterazioni vennero com-piute già in sede di registrazione, o successi-vamente, nel corso dei numerosi passaggi dimaino tra Polizia e Magistratura;

4) nessuno può escludere che anche l'as-sassinio del Procuratore Scaglione possa es-sere messo in relazione con la vicenda delleregistrazioni telefoniche effettuate per ordi-ne di Mangano che, va ricordato, prendevaordini direttamente dal Capo della poliziaVicari;

5) impossibile, invece, non colibgare l'at-tentato subito da Mangano con questa sto-ria delle bobine.

19) L'attentato al questore Mangano.

La sera del 5 aprile 1973, verso le ore 20,15,infatti, quattro sconosciuti, giunti davantialla abitazione del questore Mangano su unaautomobile, tentarono di assassinarlo, spa-rando numerosi colpi d'arma da fuoco cheraggiunsero il funzionario e il suo autista.

Nel corso dell'istruttoria, il Questore in-dirizzò le indagini comtrO' Frank Coppola, so-stenendo che il boss mafioso' aveva volu-to farlo uccidere per dimostrare così ai suoicompagni di mafia di non essere diventatoun « confidente » del funzionario. Manganoaffermò inoltre di avere riconosciuto due deisuoi aggressori, indicandoli in Ugo Bossi eSergio Boffi, notoriamente al servizio di Cop-pola.

Il boss .mafioso e i due presunti sicarisi difesero negando ogni addebito e, infatti,furono assolti nel 1975 da ogni imputazionedalla Corte d'Assise di Firenze. In realtà, neiloro confronti, non erano stati raccolti cheindizi, basati soprattutto sulle confidenze diun informatore di Mangano, certo SalvatoreFerrara, noto pregiudicato.

Per cui anche quest'ultimo episodio lasciaadito a due sole ipotesi, sullo sfondo dellequali campeggia sempre l'ombra del latitan-te Luciano Leggio.

Prima ipotesi: Coppola ha voluto allonta-nare da sé ogni sospetto di collaborazionecon Mangano in ordine alla ricerche da que-sti condotte nei confronti del bandito di Cor-leone e ha dato ordine di ucciderlo. Questaipotesi non sta in piedi per molti motivi.Coppola non aveva alcun bisogno di ricrear-si una « verginità » ned confronti dei suoicompagni mafiosi perché è assodato cheMangano, da lui, non aveva mai saputo nien-te di importante e di interessante circa lalatitanza di Leggio. E i mafiosi suoi amicinon ignoravano di certo questo particolare.In secondo luogo, con quello che si è saputosulla « anonima sequestri » capeggiata da

! Leggio e sulle delicate « funzioni » ricopertej nella criminale organizzazione da don Ago-• stino Coppola, nipote prediletto di « Franki tre dita », risulta ormai evidente che, per tut-

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ta la durata della latitanza del bandito diCorleone (vale a dire per tutto l'arco di tem-po in cui accaddero gli avvenimenti che stia-mo evocando), Frank Coppola fu sempreperfettamente al corrente delle mosse di Leg-gio e non lo tradì mai. Ciò posto, che motivipoteva avere di fare assassinare Mangano?

Seconda ipotesi: Coppola non c'entra conl'attentato a Mangano e questi l'ha sempresaputo. Perché allora il funzionario avrebbemontato d'accusa contro il boss mafiosoche, tra d'altro, continuò a frequentare, comerisulta dagli atti dell'Antimafia, anche dopol'agguato? Di risposte possono essercene di-verse. Ma ila -più attendibile è che Manganoabbia voluto scaricare la responsabilità suCoppola per stornare le indagini dai veri mo-venti dell'agguato, che, a nostro avviso, sonocomunque ricoriducibili alla « ballata dellebobine » e alla attività, del resto quasi esclu-siva in quel periodo, da lui svolta in rapportoalla latitanza di Leggio.

Certo è che, visti oggi in prospettiva e al-la luce degli elementi giunti successivamentea illustrare la vita e l'attività criminosa diLuciano Leggio con particolare riferimentoai collegamenti tra mafia, politica e poteripubblici, tutti i convulsi, aggrovigliati, dram-matici e indicativi episodi svoltisi tra il 1969e il 1974 acquistano un preciso significatoche non è possibile sottovalutare o ignorare:dimostrano cioè che la mafia è riuscita a di-lagare e a imporre la sua criminale volontàgrazie a complicità e protezioni radicate aipiù alti livelli del potere politico e degli or-gani dello Stato. Per cui ridurre il fenome-no, corie si legge nella relazione di maggio-ranza, a un semplice fatto di « disfunzioni »e di « scarsa cautela » del potere pubbliconell'affrontare la mafia, è semplicementeinaccettabile.

Ciò che ora documenteremo, infatti, nonfa che aggravare questo quadro di compli-cità e di criminose responsabilità ad alto li-vello.

Luciano Leggio, come è noto, venne arre-stato dalla Guardia di finanza a Milano, il 16maggio 1974. Alla sua cattura gli inquirentigiunsero indagando sui rapimenti di PietroTorielli (prelevato il 18 dicembre 1972 e ri-

lasciato il 7 febbraio 1973) e di Luigi Rossidi Mootellera (rapito alila fine del 1973) e ri-trovato il 14 marzo 1974 in una cella sotter-ranea nella cascina dei fratelli Taormina, aTreviglio.

Giunti a quel punto delle indagini, gli in-quirenti (Giudice istnittorc dottar GiulianoTurane e Pubblico ministero doittor Giovarni Caizzi) avevano già sbaragliato una temi-bile banda di evidente matrice mafiosa, cheaveva posto le sue basi a Vigevano (Pavia),Trezzano sul Naviglio (Milano) e Treviglio(Bergamo) e che faceva capo alila famigliaGuzzardi, ai fratelli Ugone e ai fratelli Taor-mina. Tutti di origine siciliana e quasi tuttiprovenienti dalla città e dalla provincia diPalermo.

Ma le indagini proseguirono: e si arrivòa Luciano Leggio.

È interessante, a questo proposito, rievoca-re le fasi della inchiesta che portarono allacattura di Leggio, attraverso la sentenzaistruttoria depositata il 7 gennaio 1976 dalgiudice Turone, anche a dimostrazione delfatto che quando si opera seriamente senzabastoni fra le ruote e senza subire pressionidi carattere mafioso, si possono ottenerebniUanti risultati.

20) La cattura di Leggio a Milano.

« Immediatamente dopo la scoperta delledue celle sotterranee a Treviglio e a Monca-lieri, la polizia giudiziaria comincia a svolge-re un'intensa attività investigativa in ordine-ai nuovi imputati che sono entrati nell'in-chiesta. La Guardia di finanza, in modo par-ticolare, sia di Milano che di Bergamo, si im-pegna nel compito di mettere a fuoco le fi-gure dei tre fratelli Taormina, l'ambiente cuiessi famino capo, e le aMività ecomomiohe deimedesimi (delle quaJi ultime si tratterà nelprosieguo della esposizione).

« Con nota 2 aprile 1974 il Nucleo poliziatributaria di Milano comunica che i fratelliTaormina sono soliti acquistare partite divino presso la vinicola Borroni di Milanoviale Umbria 50, di proprietà di tale Giusep-pe Pullarà, dove la stessa tributaria, in oc-

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casione di precedenti verifiche fiscali, hanotato la presenza di persone sospettate diappartenere alla mafia, fra cui un individuoche è poi stato identificato per un pericolo-so pregiudicato evaso da un manicomio cri-minale. Su tale base la Guardia di finanzachiede ed ottiene l'autorizzazione a sottopor-re a controllo l'apparecchio telefonico dellavkiicoila Boirroni. Successivamente lil control-lo telefonico verrà allargato agli apparecchiinstallati nella casa di Giuseppe Pullarà, inquella di suo nipote Pullarà Ignazio, e nel-l'enoteca di via Giambellino 56, pure di Giu-seppe Pullarà, appena inaugurata.

« Nel frattempo si ha ben presto una con-ferma diretta dei rapporti fra i Taormioa e lavinicola Borroni del Pullarà: nel corso dellaperquisizione (24 aprile 1974) presso la casci-na di Treviglio, via Calvenzano, vengono se-questrate quattro bottiglie di champagneDora Perrignon 1966 sulle quali risulta appo-sta tuia etichetto con la dicitura « Impont dit-ta vinicola Borroni Milano ». È la riprovache i fratelli Taormina si rifornivano effetti-vamente presso l'azienda di Giuseppe Pul-larà.

« Ma un altro elemento viene acquisitoagli atti, il quale induce a ritenere ohe i fratel-li Taormina, al di là degli acquisti di vino,avessero rapporti personali eoo GiuseppePullarà; risulta infatti che ad primi di gennaio1974 il Pullarà Giuseppe ha ricevuto due te-lefonate sull'apparecchio installato in casasua, provenienti dall'apparecchio installatonella cascina di Treviglio. La cosa è emersain seguito a un reclamo presentato alla SIPdi Treviglio il 21 dicembre 1973 da FrancescoTaormina, intestatario dell'utenza telefonicainstallata nella cascina di via Calvenzano:poiché il Taormina lamentava un numero ec-cessivo di scatti la SIP ha proceduto ad ef-fettuare per un certo numero di giorni uncontrollo al contatore dell'utente con l'appo-sito apparecchio « zoller », il quale calcolaautomaticamente gli scatti stampigliando suun nastro di carta le cifre che vengono sele-zionate dall'utente sul disco selettore del suoapparecchio. Orbene, la pratica relativa alreclamo di Francesco Taormina è stata rin-tracciata presso gli uffici della SIP, con al-

legato il nastro di carta stampigliato dal-l'apparecchio « zoller », dal quale risulta cheil numero telefonico di casa di Giuseppe Pul-lai-à a Milano (02-2826178) è stato formatoper due volte sul disco selettore dell'apparec-chio del Taormina.

« Con rapporto 14 maggio 1974 la Guardiadi finanza di Milano inoltra una pdma infor-mativa sull'esito delle intercettazioni tele-foniche Pullarà, comunicando inoltre di ave-re raccolto notizie secondo cui al vertice del-l'organizzazione criminosa responsabile deisequestri di persona sarebbe un certo « zioAntonio », siciliano, che convive a Milano conuna donna settentrionale da cui ha avuto re-centemente un bambino. Questo fatto vienemesso in relazione con una delle risultanzedei controlli telefonici: risulta infatti la pre-senza costante, nei locali dell'enoteca di viaGiambellino, di un certo « zio Antonio », ilquale, dal tenore delle conversazioni ascol-tate, ha tutta l'aria di essere l'effettivo pro-prietario del locale, o comunque di esserelargamente interessato alla conduzione del-l'azienda Pullarà. Inoltre, il suddetto " zioAntonio " chiama spesso un'utenza telefonicadi Milano (che risulta intestata a ParenzanLucia via Riipamonti 166) parlando con unadonna. La Guardia di finanza comunica inproposito che la menzionata Parenzan Lucia,nata a Fiume, e domiciliata a Milano in viaRipamonti 166, è nubile e madre di un bim-bo di anni due.

« I controlili telefonici evidenziano inoltreche:

a) Giuseppe ed Ignazio Pullarà appaionoestremamente interessati dalla notizia gior-nalistica dell'evasione di Giuseppe Ciulla dalcarcere di Novara (dove era detenuto dagennaio 1974 par i noti fatti di Biella), avve-nuta in data 5 maggio 1974. Inoltre, risultache la figlia del Ciulla, l'8 aprile 1974, ha ef-fettuato una ordinazione telefonica di liquo-ri alla vinicola Borroni;

fc) Ignazio Pullarà viene più volte chia-mato al telefono da un certo « Vittorio », alquale però una volta Ignazio si rivolge chia-mandolo " Pinuzzo ". Il sedicente " Vittorio "dice di essere in catti/ve acque, chiede aiuto aIgnazio e allo zio, e Ignazio in una delle con-

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versazioni gli dice che gli ha trovato un la-voro. Orbene, la voce del sedicente « Vitto-irio », alias Pinuzzo, è identica a quella diUgone Giuseppe, così come questo ufficio hatempestivamente constatato mediante il raf-fronto con conversazioni telefoniche di costuiintercettate a Torino nel gennaio 1974.

« Sulla scorta di quanto sopra, e con ri-guardo in particolare ai rapporti dei duePullarà con i Taormina, con Giuseppe Ugo-ne e con il Giulla, in data 16 maggio 1974viene emesso mandato di cattura contro Giu-seppe e Ignazio Pullarà, con il quale vienecontestato loro, per il momento, il reato diassociazione per delinquere in concorso congli altri prevenuti. A questo punto, infatti, ilPubblico ministero ha esercitato l'azione pe-nale contro tutti gli imputati per il reatodi cui all'articolo 416 del codice penale, iliche viene reso noto ai precedenti .imputatimediante comunicazione giudiziaria (capo 1della .rubrica). Ed invero, comincia ad es-sere palese che i due sequestri di personasono maturati nell'ambito di una agguerri-ta organizzazione, che presenta le caratte-ristiche di una vasta associazione per de-linquere di cui cominciano a delinearsi i per-sonaggi1.

« II mandato di cattura contro i Pullaràviene eseguito lo stesso 16 maggio 1974. Inpari data vengono eseguite perquisizioni do-miciliari nei locali della vinicola Borroni diviale Umbria e dell'enoteca, di via Giambel-lino, nonché nelle abitazioni di Giuseppe eIgnazio Pullarà, con conseguente sequestrodi svariata documentazione.

« Lo stesso giorno viene eseguita una per-quisizione domiciliare previa comunicazionegiudiziaria della medesima (articolo 416 delcodice penale). Infatti, dal tenore delle telefo-nate intercettate, la Parenzan risulta essereconvivente con quello « zio Antonio » che letelefona spesso dai locali dell'enoteca, ilquale ha tutta l'aria di essere l'effettivo pro-prietario di quel locale, e dalle cui direttivecomunque i Pullarà sembrano dipendere.

« La perquisizione al n. 166 di via Ripamon-ti porta all'identificazione dello « zio Anto-nio » nella persona di Luciano Leggio, alias

Luciano Liggio: il noto capomafia di Cor-leone, ricercato da cinque anni e colpito dauna condanna definitiva alla pena dell'erga-stolo per duplice omicidio (16/94). Il Leg-gio, dopo aver dichiarato ai militari operantiche la sua convivente lo conosce con il nomeFerruggia Antonio, dichiara le proprie esattegeneralità e viene tratto in arresto.

« A questo punto la situazione appare esse-re la seguente:

a) emergono rapporti dei Taormina, diGiuseppe Ugone e di Giuseppe Giulla con iPullarà e con la loro azienda vinicola;

b) emergono stretti rapporti fra i Pul-larà e il Leggio, al quale (in base alle inter-cettazioni) risultano far capo le attività com-merciali della vinicola Borroni e dell'eno-teca, e dalle cui direttive risultano dipen-dere i due Pullarà;

e) emerge un collegamento diretto frail Leggio Luciano e l'Ugone Giuseppe.

« La situazione, in altri termini, appare in-dicativa di come i due empori dei Pullarà,sotto la supervisione di Luciano Leggio, co-stituiscano un punto d'incontro di vari im-putati nella presente inchiesta, fra cui i di-retti carcerieri del Torielli e del Montelera.

« Sulla scorta di quanto sopra, lo stesso 16maggio 1974, Leggio Luciano viene colpitoda mandato di cattura, con il quale gli ven-gono contestati il reato di associazione perdelinquere, il concorso nei due sequestri dipersona e i reati minori di cui ai capi da5 a 10 della rubrica. Pochi giorni dopo, pres-so le carceri, vengono sequestrati taluni ap-punti che egli aveva nel portafogli al mo-mento dell'arresto; anche fra questi appuntic'è il numero telefonico di Giuseppe Ugone ».

21) Da Leggio a don Agostino Coppola.

La cattura di Leggio e dei Pullarà misesubito in luce un grosso giro d'affari in attoda tempo tra il capo banda mafioso e isuoi compiici: centinaia di milioni in con-tanti. Somme che collegano inoltre i Pul-larà con un certo ambiente palermitano alcentro del quale emerge la figura di un per-

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sonaggio che abbiamo già incontrato: padreAgostino Coppola, il .nipote prete di « Franktre dita ». Ed ecco come i magistrati mila-nesi giunsero ai congiunto del boss ma-fioso.

Si legge nella sentenza istruttoria:

« L'indagine parallela sulla quale ci si deveora soffermare è quella che si è iniziata lostesso giorno del rapimento di Rossi di Mon-telera, a cura dell'Arma di Torino, e che èproceduta sul filo della trattativa apertasifra i rapitori e la famiglia del sequestrato.Ben presto, al lavoro investigativo dell'Ar-ma di Torino si è affiancato quello dell'Ar-ma di Palermo: infatti le lettere indirizzatedai rapitori alla famiglia Rossi recavanoil timbro di partenza di Palermo, e d'altron-de, fin dall'inizio della trattativa, i rapitorihanno insistito perché l'emissario della fa-miglia si spostasse nel capoluogo siciliano.

Le risultanze di queste indagini di poli-zia giudiziaria, che sono raccolte organica-mente nel rapporto 30 marzo 1974 dei Ca-rabinieri di Torino e nel rapporto 21 mag-gio 1974 dei Carabinieri di Palermo, forni-scono agli inquirenti un quadro davvero ine-dito e peculiare, dove altri sequestri di per-sona fanno capolino, e dove il sentore dimafia si confonde con l'odore di incenso: alcentro, don Agostino Coppola, il quale, comesi vedrà più avanti, risulterà collegato a Leg-gio Luciano, a Pullarà Giuseppe e ad altripersonaggi più o meno implicati nell'in-chiesta.

« Veniamo all'esposizione dei fatti.« Luigi Rossi di Montelera viene rapito

sulla tangenziale di Torino la mattina, del14 novembre 1973, mentre a bordo della suaBMW si sta recando in ufficio presso lo sta-bilimento della Martini & Rossi. Che si trat-ti di un sequestro a scopo di estorsione nonvi è alcun dubbio fin dal primo momento:infatti l'agiatezza della famiglia Rossi diMontelera, che controlla o comunque ha unaforte partecipazione nella società Martini &Rossi, è nota a tutta Torino. Quello del Mon-telera è il quinto sequestro di persona perestorsione compiuto nel triangolo .industria-le in quell'anno 1973, e la polizia giudiziaria,secondo quella che ormai sta diventando una

routine, sottopone a controllo i telefoni dicasa Rossi onde captare eventuali telefonatedei rapitori.

« Costoro però, per intavolare le trattative,scelgono una strada del tutto nuova, desti-nata a passare esclusivamente attraverso uo-mini di chiesa. La prima lettera per la fa-miglia Rossi viene indirizzata addirittura alCardinale arcivescovo di Torino, a cui arrivaanche una telefonata, il 26 novembre 1973,di uno dei rapitori il quale, dimostrandouna rara conoscenza delle gerarchle eccle-siastiche e delle norme interne di curia, sipresenta come "vicario generale della diocesidi Palermo".

« I banditi però hanno mirato troppo inalto, e sta di fatto che non riescono a con-vincere l'arcivescovo a fungere personalmen-te da intermediario. D'altra parte può darsiche non Io pretendessero neppure e abbia-no voluto solo stabilire il primo contatto conla famiglia Rossi facendo una mossa spetta-colare, tale da far capire subito alla contro-parte, una volta per tutte, che la trattativadovrà seguire una via ecclesiastica. In ognicaso l'arcivescovo non viene più importu-nato.

« La mattina del giorno 8 dicembre 1973un gesuita di Torino, padre Giovanni Costa,riceve la prima di quella che sarà una lungaserie di telefonate .dell'emissario dei rapito-ri. L'ignoto interlocutore si qualifica come"signor Trasporti". La famiglia Rossi con-ferisce a padre Costa l'incarico di seguirela vicenda. L'apparecchio telefonico di pa-dre Costa viene sottoposto a controllo.

« La trattativa è lunga. Sulle prime " Tra-sporti" chiede un riscatto di sei miliardi,che la famiglia ritiene esorbitante. Nel cor-so della laboriosa contrattazione, il sedicente"Trasporti" comincia ben presto a premeresu padre Costa perché questi si sposti a Pa-lermo, dove, a suo dire, sarà più facile rag-giungere un accordo. Già nella telefonata del12 dicembre 1973 "Trasporti" da inizio aquesta manovra, proponendo genericamenteal gesuita di considerare la possibilità diun viaggio fuori Torino "per riposarsi". Nel-la telefonata del 30 dicembre 1973, invece," Trasporti " è più esplicito e chiede a padre

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Costa se egli abbia solo qualche confratello,e l'altro non disdegna l'idea di interessare unaltro religioso, e aggiunge che sarà graditoun elemento di Palermo.

" Trasporti " torna sull'argomento con latelefonata del 2 gennaio 1974, e poi ancoracon la telefonata del 29 gennaio 1974, nel cor-so della quale propone a padre Costa di fareun viaggio a Palermo, dove fra i suoi con-fratelli esiste persona idonea ad agevolare letrattative. L'invito a trasferirsi a Palermo,per poter interessare un confratello, vieneribadito anche con una lettera, pervenuta apadre Costa il 4 febbraio 1974: l'ordine tas-sativo è che il nuovo intermediario rimangasconosciuto persino ai membri della famigliaRossi. È chiaro a questo punto che il reli-gioso e la famiglia Rossi non hanno altrascelta: si decide che padre Costa vada aPalermo.

« II 7 febbraio 1974 padre Costa raggiungePalermo e isi presenta a Casa Professa, resi-denza maggiore dei gesuiti di quella città,conferendo con il padre superiore Sferrazzaal quale chiede aiuto. Questi lo mette incontatto con uno dei gesuiti di Palermo, talepadre Giovanni Aiello. La scelta cade sul-l'Aiello, perché costui ha già una certa espe-rienza in materia: infatti, in occasione delsequestro a scopo di estorsione avvenuto aPalermo in danno di Luciano Cassina (agosto1972-febbraio 1973) padre Aiello, consiglierespirituale dei Cassina, aveva avuto un certoruolo nelle trattative. L'Aiello accetta senzaentusiasmo di prestare la propria assistenzaal suo confratello di Torino, e il giorno se-guente è già in grado di dargli una vaga as-sicurazione di aver trovato "la persona adat-ta". Il 9 febbraio padre Costa torna a Tori-no soddisfatto.

« Se padre Aiello è stato in grado di stabi-lire tanto (rapidamente il contatto, ciò sideve semplicemente al fatto che "la personaadatta", ovvero don Agostino Coppola, hagià provveduto di sua iniziativa a contattarel'Aiello, addirittura un mese prima dell'ar-rivo di padre Costa da Torino.

« Sembra opportuno, a questo punto, sof-fermarsi su alcuni avvenimenti precedenti,la cui conoscenza appare essenziale ai fini

di una corretta interpretazione di quanto siva esponendo. E a tale scopo è il caso diseguire il racconto fatto agli inquirenti, adavvenuta liberazione del Montelera, da pa-dre Giovanni Aiello. Non si prenderanno inconsiderazione le prime dichiarazioni resedal religioso palermitano, che sono decisa-mente false e reticenti, bensì solo quellerese dal 16 maggio 1974 in poi, nelle qualil'Aiello, costretto dalle contestazioni, si de-cide a rivelare che parte abbia avuto lui eche parte abbia avuto don Agostino Coppolanelle due distinte vicende del rapimento diLuciano Cassina e del rapimento di Rossidi Montelera. Il racconto di padre Aielloprende necessariamente le mosse dall'episo-dio precedente, e cioè dal sequestro di per-sona subito dall'ingegner Luciano Cassina,il quale era stato rapito a Palermo il 16 ago-sto 1972 ed era stato rilasciato dopo circasei mesi, la sera del 7 febbraio 1973 (parti-colare curioso, il rilascio del Cassina a Pa-lermo era avvenuto contemporaneamente alrilascio del Torielli alle porte di Milano).

« Ed ecco il senso della narrazione fatta daGiovanni Aiello.

« Già all'inizio di settembre 1972 egli erastato contattato dai rapitori dell'ingegnerCassina, i quali, essendo lui consigliere spi-rituale della famiglia, lo avevano presceltocome tramite per le trattative, indirizzando-gli una lettera scritta dal sequestrato. Latrattativa era poi proseguita per telefono,con un ignoto interlocutore che si qualificava« padre Giroil'amO' » e con appuntamenti te-lefonici a Casa Professa fra costui ed il pa-dre del sequestrato: alla richiesta di tre mi-liardi avanzata dai rapitori la famiglia Cas-sina contrapponeva un'offerta di trecentomilioni. Nel dicembre 1972 i rapitori aveva-no lasciato intravedere la possibilità checon quei trecento milioni si potesse risol-vere il caso, ragion per cui, dopo un paiodi incontri avventurosi con « padre Giro-lamo » e compagni, padre Aiello aveva con-segnato la somma suddetta davanti alla chie-sa di RoicceHa, nei pressi di Palermo: si erasentito dire però che quei soldi bastavanosolo per le sigarette. A quel punto, dispe-rati, padre Aiello ed i familiari del Cassina,

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intorno al Natale 1972, avevano pensato chefosse il caso di rivolgersi a don Agostino Cop-pola, che già all'inizio della vicenda essi ave-vano invano cercato di contattare.

« Su come e perché sia nato il contattocon Agostino Coppola, padre Aiello non èstato molto preciso tanto che il Giudiceistruttore di Palermo (investito dall'inchie-sta sul caso Cassina) si è visto costretto adarrestarlo come teste reticente a norma del-l'articolo 359 del codice di procedura penale.In ogni caso, sia che ciò sia avvenuto perscienza diretta della famiglia Cassina, oscienza diretta di padre Aiello, o per l'auto-revole consiglio di qualche altro personag-gio, sta di fatto che don Agostino Coppolavenne ritenuto l'uomo più adatto per risol-vere il caso Cassina, in quanto notoriamentecollegato ad ambiente mafioso, ed egli stes-so parente di pregiudicati mafiosi (i due fra-telli Giacomo e Domenico, nonché lo zio,più famoso, Frank Coppola detto « tre di-ta »). Per altro va osservato che l'Aiello e ilCoppola certamente si conoscevano o sa-pevano dell'esistenza l'uno dell'altro: infat-ti il Coppola era sacerdote nell'ambito delladiocesi di Monreale, e l'Aiello, nativo di Ba-lestrate, era molto conosciuto in quella dio-cesi.

« Riferisce comunque padre Aiella che donAgostino Coppola, nel gennaio 1973, avevaaccettato di interessarsi al caso « a condi-zione che il Cassina non sapesse di lui »,e aveva aggiunto che sperava di trovare lastrada e che sperava di riuscire ad aggiu-stare la cosa con un miliardo. Nei giornisuccessivi gli aveva confermato di aver tro-vato « la strada » e l'aveva invitato a pre-parare il miliardo. Il 5 o il 6 febbraio 1973,infine, padre Coppola si era recato a CasaProfessa a ritirare la somma costituita dabanconote di tagli misti (colpisce di nuovola corrispondenza di data col caso Torielli,il cui riscatto era stato pagato, a Milano,poche ore prima; n.d.r.).

« Fin qui per quanto si riferisce al casoCassina, dopo la cui conclusione padre Aiellonon aveva avuto più modo di incontrare nésentire Coppola, quanto meno per diversimesi.

« Relativamente al caso Rossi di Montelera,padre AielJo riferisce che padre Coppola siera rifatto inaspettatamente vivo con lui ver-so la fine del dicembre 1973 o nei primi gior-ni di gennaio 1974, comunque oltre un meseprima che padre Costa arrivasse a Palermo.

« Era andato a trovarlo a Casa professa edaveva esordito con le parole « Lei ha salva-to Cassina, ora deve salvare Rossi », dopodi che aveva chiesto al l'Aiello se egli cono-scesse qualcuno a Torino; Aiello aveva ri-sposto negativamente, aggiungendo peròche c'erano pur sempre i padri gesuiti diTorino.

« Dopo questo primo abboccamento, Ago-stino Coppola era tornato a Casa Professa dilì a qualche giorno, dicendo a padre Aielloqueste testuali parole: « Questa cosa di To-rino si deve trasferire a Palermo, altrimen-ti il giovane non rientra. Noi ci siamo rivoltia padre Costa, che deve venire in Palermo;qualora arrivasse, qua! è la vostra regola? ».Al che Aiello aveva risposto che per regolaquando un gesuita va in un'altra città si ri-volge alla « Casa », e il superiore fa il pos-sibile per aiutarlo.

« A distanza di altri giorni, il 7 febbraio1974, era arrivato a Palermo il padre Costadi Torino.

« Tre giorni dopo il viaggio di padre Costaa Palermo, Agostino Coppola torna a farvisita a padre Aiello, e gli chiede notizie; Aiel-lo lo mette al corrente. Ecco come il gesuitapalermitano riferisce i successivi rapportifra lui e Coppola:

« Lo informai che ero stato delegato alletrattative e lo pregai di adoperarsi per con-tenere la cifra del riscatto; egli mi disseche da quel momento, telefonandomi, avreb-be detto di essere "Pasquale". Da allora, sem-pre previo appuntamento telefonico, vennea trovarmi due o tre volte, soprattutto perdefinire l'importo. A tale proposito io glifeci presente, come da istruzioni ricevute dapadre Costa, che oltre i tre miliardi nonc'era alcuna possibilità di accordo... PadreCoppola si riservò di precisarmi la cifra,e in altra visita mi specificò che accettavanoi tre miliardi... Coppola mi disse che sarebbe

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ritornato giovedì (14 marzo 1974) alle ore12... .

« In data 10 marzo 1974 padre Aiello co-munica telefonicamente a padre Costa cheil pagamento del riscatto (tre miliardi) èfissato a Palermo per giovedì 14 marzo. Se-nonchè la famiglia Rossi, e per essa il padreCosta, spediscono un espresso a padre Aiel-lo nel quale chiedono un rinvio di pochigiorni; e ciò è provvidenziale, perché pro-prio nel primo pomeriggio del 14 marzo1974 verrà rintracciato e liberato a Trevi-glio Luigi Rossi di Montelera. Dal canto suoAgostino Coppola, alle ore 12 di quel 14marzo, si reca a Casa Professa convinto dipoter ritirare il denaro del riscatto, e sisente dire dall'Aiello che non è arrivato nul-la: "Padre Coppola rimase freddo e piutto-sto perplesso o contrariato, e andò via limi-tandosi a dire "aspettiamo" oppure "ci ri-sentiremo ".

« Alla luce di quanto esposto nel paragrafoprecedente, la posizione di Agostino Coppolanella vicenda Rossi di Montelera si commen-ta da sé. È estremamente sintomatico, fral'altro, come i primi approcci di don Ago-stino con padre Aiello siano contemporaneialle prime manovre di « Trasporti » per in-durre padre Costa a scendere a Palermo. Lamanovra avvolgente e diabolica avrebbe cer-tamente fornito al prete una sicura coper-tura (come era avvenuto nel precedente ca-so Cassina), se gli esiti di questa inchiestanon avessero fatto precipitare la situazione.

« In data 25 maggio 1974 questo Giudiceistnittorc emette mandato di cattura a ca-rico di Agostino Coppola per il reato di as-sociazione a delinquere e per il concorso nelsequestro di persona in danno di Luigi Rossidi Montelera. Peraltro già da un paio di gior-ni il Coppola si trova ristretto nel carceredell'Ucciardone, su provvedimento restritti-vo emesso dalla Magistratura palermitana:crollato il sipario di omertà che l'ha pro-tetto per oltre un anno, il prete è stato in-fatti incriminato anche per il sequestro diCassina.

« II giorno stesso dell'arresto di padre Cop-pola vengono eseguite diverse perquisizionidomiciliari: fra l'altro vengono perquisite

le due abitazioni di don Agostino, a Parti-nico (via Enna) e a Palermo (via Giaquinto47). Il materiale sequestrato è molto copioso,e fra le altre cose viene sequestrata svariatacorrispondenza del sacerdote (anche con al-cuni esponenti del mondo politico siciliano),suoi appunti, sue agende, un biglietto aereoPalermo-Milano del 9 gennaio 1974 a nomeAlterno Salvatore, ed una carta d'ingresso(9 gennaio 1974) al Casinò di St. Vincent anome Coppola Agostino.

« L'esito più inatteso è quello della perqui-sizione in via Giaquinto 47. Qui, non soloviene rintracciato Coppola Domenico, fratel-lo del prete, ricercato da qualche anno perla notifica di un provvedimento di soggior-no obbligato inflittogli nel 1970, ma vienepure trovato un pacco di banconote che, dalcontrollo dei numeri di serie, risultano pro-venienti dal riscatto pagato nel marzo 1974per la liberazione di un altro sequestrato:il lodigiano Emilio Baroni. Ma non basta:nel portafogli del Coppola Domenico vengo-no trovate altre due banconote, pure prove-nienti dal medesimo riscatto. Domenico Cop-pola viene arrestato.

« Si viene poi a sapere che l'appartamentodi via Giaquinto 47 è stato preso in affittonell'estate 1973 da Agostino Coppola per es-sere occupato da lui e dal fratello Dome-nico; e che allo scopo di fuorviare lericerche di Domenico da parte delle autorità,l'utenza telefonica installata in tale appar-tamento è stata intestata a Alterno Salva-tore.

« Tornando al riscatto Baroni, le bancono-te da esso provenienti rinvenute nell'appar-tamento di via Giaquinto, abitazione dei dueCoppola, sono 33 biglietti da lire centomila,compresi i due rinvenuti nel portafogli diDomenico.

« È singolare come quest'indagine, partitadall'ormai lontano sequestro Torielli e sfo-ciata clamorosamente in pieno sequestroRossi di Montelera, dopo essere procedutaai margini del sequestro Cassina incontro orasul suo cammino un quarto sequestro di per-sona. Emilio Baroni, industriale caseario diLodi, è stato sequestrato davanti alla sua abi-tazione la sera del 1° marzo 1974, ed è stato

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rilasciato dai suoi rapitori a S. Donato Mila-nese il 13 marzo 1974, dietro pagamento di unriscatto di 850.000.000 di lire. Sembra eviden-te, dopo il ritrovamento di via Giaquinto,che anche il sequestro Baroni è stato perpe-trato nell'ambito dell'agguerrita organizza-zione mafiosa che è oggetto della presente in-chiesta ».

Abbiamo voluto riportare per esteso laintera parte della sentenza istruttoria rela-tiva alla identificazione di padre AgostinoCoppola quale intermediario principale tral'« anonima sequestri » capeggiata da Lucia-no Leggio, perché consente di valutare finoin fondo la tranquillità e la sicurezza conla quale i componenti dell'organizzazione ma-fiosa dimostravano di agire. Una sicurezza euna tranquillità che lasciano perplessi, speciese confrontati alle strane vicende che, nellostesso periodo di tempo, avevano per pro-tagonisti alti funzionar! di Polizia e noti ma-gistrati, e che abbiamo illustrato nei capito-li precedenti.

Sui rapporti esistenti tra don Coppola,Leggio e Giuseppe Pullarà gli inquirenti fu-rono poi in grado di raccogliere una pode-rosa documentazione, composta soprattuttoda assegni passati da l'uno all'altro. Peresempio:

a) assegno da L. 10.000.000 a firma Ago-stino Coppola e all'ordine del Pullarà, giratoper l'incasso da Giuseppe Pullarà e versatoil 10 gennaio 1974 sul suo conto corrente;

&) assegno da L. 3.000.000 a firma Ago-stino Coppola, datato pure 10 gennaio 1974,pure girato per l'incasso da Giuseppe Pul-larà e versato sul suo conto corrente;

e) assegno da L. 10.000.000 a firma Ago-stino Coppola e all'ordine di Pullarà, giratoper l'incasso da Giuseppe Pullarà e versatoil 14 gennaio 1974 sul suo conto corrente;

d) assegno da L. 8.000.000 a firma Giu-seppe Pullarà datato 14 gennaio 1974, inte-stato a tale Cannavo, ma versato il 14 gen-naio 1974 sul conto corrente di padre Cop-pola presso la Banca Popolare di Palermo;

e) assegno da L. 1.750.000 a firma Ago-stino Coppola, datato 3 aprile 1973, giratoper l'incasso da Giuseppe Pullarà e versatosul suo conto corrente.

Ma c'è dell'altro: 114 milioni in assegni cir-colari, richiesti da Giuseppe Pullarà e incas-sati a Palermo da diverse persone, Giusep-pe Mandalari, Vincenzo Di Giorgio, Gaspa-re Di Trapani, eccetera, che sono risultatetutte strettamente collegate a don Coppola,in un groviglio di società più o meno fittizie.

A questo punto sarebbe necessario rico-struire, attraverso la sentenza di Milano, lavasta attività speculativa ed edilizia creatada Leggio e dai suoi compiici nel periododella sua latitanza, che coincide con quellodella creazione e dello sviluppo dell'« anoni-ma sequestri », ma l'argomento ci portereb-be ad esulare dal tema di questa relazione.Basti dire che l'istruttoria ha accertato spe-culazioni immobiliari ed edilizie per miliar-di di lire, attuate attraverso una rete fittis-sima di complicità e di prestanome che, perquanto si è potuto accertare, coinvolgereb-be decine e decine di parenti e di amici delLeggio e dei suoi principali luogotenenti.

Ma quello che più sbalordisce, occorreripeterlo, sta nella facilità, nella sicurezza,nella tranquillità con la quale Leggio e socihanno agito tra il 1970 e il 1974.

Ora sappiamo, infatti, che Luciano Leg-gio ha trascorso la sua latitanza a Milano,senza nemmeno ricorrere a speciali precau-zioni, viaggiando ogni qualvolta l'ha ritenutonecessario, come è documentato dai numero-si viaggi che, in quel periodo, ha compiutoin Sicilia.

22) La singolare latitanza di Luciano Leggìo.

La sentenza di Milano ha definito la lati-tanza di Leggio « singolare e allarmante »:il che è dir poco, se si considerano gli ele-menti emersi in proposito nel corso dellaindagine e che sono stati così esposti dalgiudice Turone:

« Fin dal giorno dell'arresto di Leggio Lu-ciano è iniziata da parte della polizia giu-diziaria un'attività investigativa volta a ri-costruire i movimenti di costui e ad identifi-care eventuali altre persone da lui frequen-tate: a tale scopo la polizia giudiziaria hautilizzato gli album di foto segnaletiche,

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che sono stati acquisiti agli atti e costitui-scono il fascicolo 86. I risultati di questa in-dagine vengono in considerazione solo inparte, in questa sede, e dovranno formareoggetto, per la parte rimanente, dell'istrut-toria stralcio tuttora in corso.

« Viene accertato che il Leggio, prima delsuo arresto, frequentava assiduamente talu-ni pubblici esercizi nei pressi della bottiglie-ria Pullarà, fra cui la trattoria emiliana diviale Umbria 50.

« Dalle deposizioni dei testi Nannini e Ri-dolfi, esercenti della trattoria emiliana, sidesume come tale locale, nel periodo prece-dente l'arresto di Leggio, si fosse trasfor-mato in un luogo di riunione di pregiudicatidi varia estrazione.

« II Leggio aveva cominciato a frequentarela trattoria nell'estate 1972, introdottovi datale Arena Vincenzo detto "Ignazio", purepregiudicato; in seguito era diventato uncliente abituale e vi si recava sempre incompagnia del suddetto e di numerosi altriamici, per i quali pagava le consumazioni:"il conto, a volte salatino, veniva sempre pa-gato dal Leggio, o sor Antonio, come noi loconoscevamo". Che il Leggio avesse una po-sizione di preminenza e di superiorità neiconfronti dei suoi commensali è dimostrato,oltre che dal fatto che egli pagava semprei conti, anche dall'atteggiamento tenuto da-gli amici nei suoi confronti: "Le persone fa-centi parte del gruppo capeggiato dal Leg-gio e dall'Arena non mancavano di baciarsie abbracciarsi nel giungere nell'esercizio,se arrivavano intervallati fra loro; appari-vano decisi ma nello stesso tempo riservati,tutti deferenti verso il Leggio".

« Orbene, è interessante osservare comefra i vari personaggi facenti parte del "grup-po capeggiato dal Leggio e dall'Arena", itesti Nannini e Ridolfi abbiano riconosciu-to i seguenti:

Contorno Giuseppe, che essi però han-no conosciuto sotto il nome di "Pullarà Giu-seppe", lavorante presso la vicina bottiglie-ria Pullarà;

Quartararo Antonino, accompagnatoreabituale di Leggio, di cui si parlerà diffusa-

menfe nel corso del presente paragrafo e nelprosieguo della trattazione;

Ugone Giuseppe, visto nella trattoria in-sieme con il Quartararo;

Guzzardi Francesco, visto talvolta veni-re alla trattoria per parlare con qualcunodegli avventori, fra cui il Quartararo e forseanche il Leggio;

Giulla Giuseppe, visto pure pranzare nel-la trattoria unitamente ad altre persone;

Coppola Agostino, visto due o tre volteinsieme con il Leggio fra la fine del 1972e i primi del 1973;

Coppola Domenico, visto pure all'incir-ca nello stesso periodo;

Taormina Giuseppe, riconosciuto peral-tro solo in via di probabilità;

Taormina Giovanni, visto tre o quattrovolte nell'inverno 1973.

« Si deve pertanto ritenere che la trattoriaadiacente alla bottiglieria Pullarà fosse unpunto di incontro degli aderenti all'associa-zione per delinquere di cui al presente pro-cedimento. E le circostanze che si sono so-pra riferite fanno inoltre ritenere che caporiconosciuto del gruppo fosse Leggio Lucianodetto Liggio.

« Va inoltre osservato che il surriferitoArena Vincenzo, indiziato di reato nell'istrut-toria in proseguimento, ha dichiarato di co-noscere Michele e Francesco Guzzardi, ilCiulla ed il Pullarà Ignazio ».

E va aggiunto (pagina 109 della citata sen-tenza istruttoria) che Luciano Leggio, comehanno testimoniato concordemente i tre la-voranti di una barberia situata in viale Um-bria, 44, si recava giornalmente a farsi ra-dere in quel negozio, sempre scortato daun paio di guardie del corpo, pagando inoltreil servizio a tutti i suoi amici.

Tutto alla luce del sole, in piena Milano,mentre le « bobine » ballavano, Scaglioneveniva assassinato, Mangano preso a revol-verate e la Polizia si affannava a cercare ilbandito di Corleone all'estero, tramite laInterpol.

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Altro che « disfunzioni » e « scarsa cau-tela »!

La « singolare ed allarmante » latitanzadi Luciano Leggio, come la definisce il giu-dice Turone, è di per sé molto eloquente.

23) Da Leggio a Salvatore Lima.

E lo diventa ancora di più quando si ten-gono presenti gli elementi di prova che,sempre nel corso della istruttoria milanese,sono venuti a collegare Leggio e la sua ban-da con il mondo della politica e i pubblicipoteri.

Si legge infatti (pagina 173 della citatasentenza) :

« Nel quadro dell'associazione per delin-quere don Agostino Coppola è un personag-gio di primo piano, che non a caso risultatenere personalmente i contatti con la cen-trale di Milano (Leggio e i suoi luogotenentiPullarà e Pernice). È lui, fra l'altro, chetiene relazioni di « partito » con ambientidella politica e del sottogoverno. In casasua è stata infatti sequestrata della docu-mentazione che testimonia di questa funzio-ne svolta dal prete: vi è fra l'altro del car-teggio fra lui ed alcuni sottosegretari e se-gretari di questo o quel Ministro, che mo-stra come il Coppola, galoppino elettoraledi un notissimo e autorevole esponente delpotere politico siciliano, sia stato al centrodi manovre clientelari ».

E ancora (pagina 175):

« I risultati fra l'altro hanno confermatoche la mafia riesce a trovare alleanze e com-piacenze sia a livello politico, sia ad altrilivelli ».

Ebbene, il « notissimo e autorevole espo-nente del potere politico siciliano », comerisulta dagli allegati alla sentenza istrutto-ria, è Salvatore Lima, nato a Palermo il 23gennaio 1928, dirìgente democristiano findal 1952, già segretario provinciale della De-mocrazia cristiana di Palermo dal 1962 al1963, già sindaco di Palermo per sette anni,eletto deputato nel 1968 nella circoscrizione

di Palermo con 80.387 voti di preferenza,rieletto nel 1972 con 84.775 preferenze, Sot-tosegretario di Stato alle Finanze con il se-condo Governo Andreotti, Sottosegretario diStato al Bilancio e programmazione econo-mica nel Governo Moro attualmente dimis-sionario.

II nome di Salvatore Lima è, unitamentea quello di Gioia e di Ciancimino, uno diquelli che più emerge ogni qualvolta ven-gono alla luce contatti e collegamenti trafatti di mafia e potere politico.

Di Salvatore Lima, per esempio, così siparlava in una sentenza istruttoria su delit-ti di mafia depositata il 23 giugno 1964 dalGiudice istruttore Cesare Terranova, dive-nuto poi deputato e componente della Com-missione antimafia nel 1972:

« Restando nell'argomento delle relazio-ni, è certo che Angelo e Salvatore La Bar-bera, nonostante il primo l'abbia negato, co-noscevano l'ex sindaco Salvatore Lima ederano con lui in rapporti tali da chiederglifavori.

« Basti considerare che Vincenzo D'Accar-di, il mafioso del « Capo » ucciso nell'apriledel 1963, non si sarebbe certo rivolto ad An-gelo La Barbera per una raccomandazione alsindaco Lima, se non fosse stato sicuro cheAngelo o Salvatore La Barbera potevano inqualche modo influire sul Salvatore Lima.

« Del resto, quest'ultimo ha ammesso diavere conosciuto Salvatore La Barbera, purattribuendo a tale conoscenza carattere pu-ramente superficiale e casuale.

« Gli innegabili contatti dei mafiosi LaBarbera con colui che era il primo citta-dino di Palermo come pure con persone so-cialmente qualificate, o che almeno preten-dono di esserlo, costituiscono una confer-ma di quanto si è già brevemente detto sul-le infiltrazioni della mafia nei vari settoridella vita pubblica ».

Ma se don Agostino Coppola, braccio de-stro di Leggio, porta a Salvatore Lima, ilbandito di Corleone, a sua volta, porta di-rettamente e personalmente ad altri espo-nenti del mondo politico ed economico, con-sentendo così di sollevare il sipario su tut-

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ta una catena di collegamenti politici e diepisodi che arrivano fino alla scomparsa diMauro De Mauro e alla tragica fine di Enri-co Mattei, presidente dell'ENI.

Tra le carte sequestrate a Leggio al mo-mento del suo arresto, infatti, è stato tro-vato un taccuino sul quale risultano nomi,indirizzi e numero di telefono particolar-mente significativi.

Il nome e il numero telefonico dell'avvo-cato Dino Canzoneri, per esempio, ex de-putato democristiano all'Assemblea regiona-le siciliana, il quale, come abbiamo già rac-contato all'inizio di questa relazione, nellaseduta del 23 agosto 1963, nel corso di unacceso dibattito circa l'accusa che gli veni-va lanciata di avere avuto a Corleone nume-rosissimi voti di preferenza grazie a unapresunta attività elettorale spiegata da Leg-gio a suo favore, pubblicamente aveva presole difese del bandito mafioso, dipingendolocome un perseguitato politico. Ma ben altrescoperte doveva riservare il taccuino di Lu-ciano Leggio. Gli inquirenti vi trovaronoinfatti segnati i numeri di telefono dellaBanca Loria di Milano e quello, riservato,del suo direttore, Ugo De Luca.

Richiesto di una spiegazione, Leggio sitrincerò in una negativa assoluta, dicendo(pagina 89 della sentenza istruttoria):

« Tutto quello che figura scritto su taleagendina, come anche tutto quello che figurasulla rubrichetta che mi è stata già mostra-ta, è scritto in un mio codice particolare.Infatti poiché io ero latitante, quando dove-va segnare il nome e il numero telefonicodi una persona che conoscevo, segnavo tut-t'altro nome e tutt'altro numero telefonico,in base al codice mio personale di cui hoparlato. Pertanto, l'appunto in cui si leggela menzione della Banca Loria e del dottorDe Luca ha un significato tutt'affatto di-verso, che non intendo rivelare... Sono an-dato a consultare l'elenco telefonico per ri-levare i numeri della Banca Loira, ma sem-pre con riferimento al mio codice personale.La Banca Loria aveva diversi numeri tele-fonici, ma io ne annotai solo due, perchésolo quei due avevano rilevanza in base almio codice ». Quando gli viene fatto nota-

re che uno dei due numeri della Banca Loriada lui segnati sull'agendina è un numero ri-servato, che non compare sull'elenco, il Leg-gio si limita a dire: « L'avrei aggiunto perchémi serviva per completare il mio riferimen-to »; in altri termini, si tratterebbe di un'altracoincidenza.

« Non sembra il caso di soffermarsi ulte-riormente su tale singolarissima tesi, la cuiassurdità è di per sé evidente. Rimane an-cora un mistero, sia detto fra parentesi,quali rapporti Leggio abbia intrattenuto conil banchiere Ugo De Luca del Banco di Mi-lano ex Banca Loria, il cui numero telefo-nico, fra l'altro, si trova annotato anche frale carte sequestrate a casa di Giuseppe Pul-larà ».

24) Da Leggio a Graziano Verzotto.

Ma in attesa che la Magistratura appro-fondisca i rapporti esistiti tra Leggio, laBanca Loria (divenuta nel 1972 Banco diMilano) e Ugo De Luca (le indagini stannoproseguendo, infatti, in questa direzione),una prima spiegazione possiamo fornirla inquesta relazione.

La Banca Loria, già del gruppo Sindona(il banchiere accusato, tra l'altro, nel 1967,dall'Interpol statunitense, come probabileintermediario del traffico di droga tra l'Ita-lia e gli Stati Uniti) passò nel febbraio 1972sotto il controllo di una finanziaria, la CEFI,che ne acquistò il pacchetto di maggioranza.

Del consiglio di amministrazione dellaCEFI faceva parte, già prima dell'acquistodel pacchetto di maggioranza della BancaLoria, l'avvocato Vito Guarrasi. Due mesidopo l'operazione, il 28 aprile 1972, del con-siglio di amministrazione entrò a fare par-te anche il senatore Graziano Verzotto.

Vito Guarrasi, 62 anni, appare sulla sce-na della Sicilia fin dai giorni dello sbarcoalleato, avendo fatto parte della Commissio-ne italiana d'armistizio. Da allora, Guarrasicomincia a penetrare nei meccanismi dellapolitica e dell'economia isolana, allacciandorapporti con tutte le forze in gioco e di-ventando rapidamente la vera « eminenza

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grigia » di ogni attività siciliana. Lo si ri-trova, via via, presidente o consigliere diamministrazione di oltre trenta società trale più importanti della Sicilia. La sua in-fluenza è determinante dove vi sia odore dizolfo, di petrolio, di arbitraggi vari. Il suonome è ripetutamente accostato ai più no-ti capimafia. La sua scheda personale pres-so la Commissione antimafia è una dellepiù ricche di citazioni e di riferimenti.

Graziano Verzotto, nato a Santa Giustinain Colle (Padova) nel 1923, comandante par-tigiano, viene inviato in Sicilia nel 1947 dal-la direzione centrale della Democrazia cri-stiana per riorganizzarvi il partito. La suacarriera è folgorante. Segretario provincia-le della DC a Siracusa, capo delle pubblicherelazioni dell'ENI in Sicilia, segretario re-gionale DC, capo dell'ufficio regionale pro-grammazione economica, viene messo daGuarrasi, nel 1967, a presiedere l'Ente mi-nerario siciliano (EMS), il più importantedell'Isola, e diventa senatore nel 1968.

Oggi è latitante perché coinvolto nelloscandalo Sindona e, in maniera particolare,per la vicenda dei « fondi neri » dell'EMSdepositati presso la Banca Loria, diretta daUgo De Luca. Quella Banca Loria e quel dot-tor Ugo De Luca, i cui indirizzi e numeri tele-fonici riservati figuravano sui taccuini di Lu-ciano Leggio e del Pullarà, e che manteneva-no col Verzotto legami strettissimi, non soloper via dei « fondi neri » dell'EMS loro affi-dati, ma anche perché il presidente dell'Enteminerario siciliano faceva parte del consigliodi amministrazione della banca stessa.

Da Luciano Leggio, quindi, alla BancaLoria, e dalla Banca Loria a Guarrasi eVerzotto: due nomi che tornano spessoquando si parla della scomparsa del gior-nalista Mauro De Mauro, prelevato davantialla sua abitazione in via delle Magnolie, aPalermo, la sera del 16 settembre 1970 emai più ritrovato.

Mauro De Mauro venne rapito, e certa-mente ucciso, mentre stava conducendo unaindagine, per conto del regista Rosi, sullamorte del presidente dell'ENI, Enrico Mat-tei, tragicamente morto nell'esplosione del

suo aereo la notte del 27 ottobre 1962 altermine di un viaggio in Sicilia e dopo es-sere decollato dall'aeroporto di Catania.

Nel corso di queste indagini, De Maurodoveva avere scoperto qualche importanteparticolare che sovvertiva completamente laversione ufficiale fornita sulla morte di Mat-tei, secondo la quale il presidente dell'ENIera rimasto vittima di un incidente mecca-nico al velivolo (un bimotore a reazione) edella conseguente esplosione dell'aereo alsuolo.

In realtà, l'aereo di Mattei non era esplosoa terra, ma in volo. Lo documentano senzapossibilità di equivoco tutte le fotografiescattate sul luogo della tragedia. I rottamipiù grossi del velivolo (fusoliera, motori,parte delle ali) vennero infatti rinvenuti inuna buca melmosa, ai piedi di un filare dialberi dal fusto alto e sottile. Ebbene, que-sti alberi si presentavano, dopo l'incidente,assolutamente integri, anche nei rami e nel-le foglie, che non si erano staccate. Il cheprova che l'aereo non si schiantò al suolo,perché, in questo caso, la violenta esplo-sione del velivolo (che pesava alcune ton-nellate e portava nei serbatoi, al momentodell'incidente, quattro quintali di carburan-te) li avrebbe spazzati via, aprendo nel ter-reno un'ampia voragine.

Da notare che, nei giorni successivi allatragedia, il filare di alberi venne tagliato ei pochi testimoni che, sul momento, avevanoraccontato di avere visto l'aereo esploderein aria, mutarono la primitiva versione, delresto già riportata dai giornali.

Questi dati di fatto portano quindi a con-cludere che il velivolo di Enrico Matteiesplose in aria: ed esattamente nel puntoin cui, di solito, gli aerei che si apprestanoad atterrare all'aeroporto di Milano-Linateestraggono il carrello.

È quindi senz'altro attendibile la tesi cheEnrico Mattei sia rimasto vittima di unattentato, e che l'aereo sia esploso perchésabotato durante l'ultima sosta all'aeropor-to di Catania.

Inutile, in questa sede, dilungarci sui pos-sibili moventi dell'attentato. Mattei, con la

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sua politica, si era creato nemici feroci siain campo nazionale che internazionale.

Quello che conta è che, se il velivolo fusabotato, e tutto porta a crederlo, il sabo-taggio avvenne all'aeroporto di Catania.

Che cosa aveva scoperto, in proposito,Mauro De Mauro?

Di sicuro qualche particolare di estremaimportanza.

La moglie del giornalista scomparso, si-gnora Elda De Mauro, ricorda molto beneche suo marito, nei giorni precedenti al ra-pimento, si interessava solamente del « ca-so Mattei » e le aveva anche accennato aprecise responsabilità in ordine alla mortedel presidente dell'ENI, senza però scende-re in particolari.

E sta di fatto che tra le persone avvici-nate dal giornalista nel corso delle sue in-dagini ci furono Vito Guarrasi e GrazianoVerzotto.

Questi, inoltre, fu uno degli ultimi a par-lare con De Mauro e, dopo la scomparsadel giornalista, si agitò moltissimo, con di-chiarazioni e interviste, per avvalorare latesi che De Mauro fosse stato rapito e sop-presso perché stava indagando sul trafficodella droga. Tesi inattendibile, non soloperché smentita dalle indagini condotte suc-cessivamente al rapimento del giornalista,ma anche perché De Mauro si era interessa-to di questo argomento anni prima, senzamai subire conseguenze di sorta.

Particolare interessante: nel periodo incui era segretario regionale della Democra-zia cristiana, Graziano Verzotto era statotestimone di nozze di un noto mafioso, Giu-seppe Di Cristina, da lui poi assunto alla« Sochimisi » alla vigilia delle elezioni del1968 che lo portarono al Senato. Altro te-stimone del Di Cristina, in quella occasio-ne, fu, unitamente a Graziano Verzotto, unaltro noto mafioso, Giuseppe Calderoni.Alla cerimonia era presente anche uno deinomi più famosi dell'« onorata società »,Genco Russo.

Ebbene, dopo la scomparsa di De Mauro,con rapporto n. 551/230 - I/R.G. del 21 feb-braio 1970, il Nucleo investigativo dei Cara-binieri di Palermo denunciò Giuseppe Cal-

derone, in relazione al rapimento del gior-nalista, sotto l'accusa di associazione a de-linquere di tipo mafioso, sequestro di per-sona, omicidio e soppressione di cadavere.Con il Calderone vennero denunciati altrimafiosi, tra i quali quel Natale Rimi chediventerà poi protagonista del clamoroso« caso » da noi illustrato nelle pagine prece-denti, e che provocherà l'intervento dellaCommissione antimafia, portando alla « sco-perta » della « ballata delle bobine » e deisuoi legami con Italo Jalongo, a suo voltauomo di fiducia di Frank Coppola, zio didon Agostino Coppola, il quale, come abbia-mo documentato, faceva da « esattore » al-l'« anonima sequestri » di Luciano Leggio.

Per cui il cerchio si chiude: e da Leggiosi torna a Leggio attraverso la Banca Lo-ria, Graziano Verzotto, Giuseppe Calderone,Natale Rimi, Italo Jalongo, Frank Coppolae don Agostino Coppola, passando sui cada-veri di Enrico Mattei e Mauro De Mauro.

25) Da Leggio a Vito Guarrasi.

Tutte coincidenze?Può darsi. Ma sta di fatto che da Leggio

si torna a Leggio, passando sempre sui ca-daveri di Mattei e di De Mauro, anche at-traverso Vito Guarrasi.

Sorvoliamo sui rapporti tra Mattei e Guar-rasi, divenuti tesissimi alla vigilia della mor-te del presidente dell'ENI, e soffermiamociinvece sui rapporti di stretta amicizia esi-stenti tra l'avvocato Guarrasi e un noto

! commercialista di Palermo, Antonino Butta-fuoco, detto « Nino ».

Legami di assoluta, reciproca fiducia. Tan-to è vero che, per esempio, nel 1964, allor-ché una congiunta del Guarrasi, la signoraUgoni, si diede alla latitanza perché ricer-cata dai Carabinieri avendo pugnalato lanurse svizzera, fu Nino Buttafuoco aospitarla e nasconderla. La signora Ugoni,per inciso, era figlia del barone Ciuppa, diSant'Agata di Militello, luogo d'origine delCapo della polizia, Vicari (vedi, per quest'ul-timo particolare, la citata testimonianza del

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colonnello Milillo alla Commissione antima-fia in data 26 giugno 1969).

Nino Buttafuoco balza alla cronaca dopola scomparsa di De Mauro. I due si cono-scevano, dato che De Mauro aveva aiutatoil genero del commercialista ad iniziare laprofessione di giornalista.

Sta di fatto che, pochi giorni dopo la scom-parsa del marito, il Buttafuoco si mise incontatto con la signora Elda De Mauro, fa-cendole capire di essere in grado di aiutarlanella ricerca del marito e specificando: « Leporterò notizie, non idee ».

Elda De Mauro comunicò agli inquirentiil contenuto di quel primo incontro con NinoButtafuoco: venne così munita dalla Poliziadi una piccola trasmittente, da tenere celatasotto gli abiti, collegata ad una ricevente si-stemata su una vettura parcheggiata nel rag-gio di alcune centinaia di metri.

Esistono così negli archivi dell'Antimafia(documento 810) le trascrizioni dei colloquisvoltisi tra la signora De Mauro e il Butta-fuoco in tre incontri successivi nella casadel commercialista il 4, 6 e 7 ottobre 1970.All'ultimo incontro partecipò anche il fratel-lo del giornalista, professor Tullio De Mauro.

Si tratta di 52 pagine di trascrizioni chenon è possibile qui riportare, ma la cui so-stanza è facilmente riassumibile.

Durante quei colloqui, infatti, Nino But-tafuoco, anziché « portare notizie », fece ditutto, sia pure ricorrendo a mille astuziedialettiche, per sapere dalla signora De Mau-ro che cosa fosse a sua conoscenza sulle in-dagini che il marito aveva compiuto sullamorte di Mattei. Non solo: tentò anche diconvincere la signora De Mauro a recarsi ri-petutamente in Questura per informarsi cir-ca l'andamento delle ricerche in corso e rife-rire poi a lui, Buttafuoco, gli elementi inpossesso degli inquirenti.

Tanto è vero che l'ultimo incontro ter-minò con un violento alterco tra il Butta-fuoco e il professor Tullio De Mauro. Questi,infatti, essendosi reso conto dello stranocomportamento del commercialista, lo af-frontò risolutamente chiedendogli una spie-gazione che però non gli venne data.

Nino Buttafuoco venne poi arrestato e te-nuto in carcere alcuni mesi, ma nessuno riu-scì a tirargli fuori una sola parola e fu, allafine, rilasciato.

Ma restano valide alcune domande:

1) per quali motivi e per conto di chi,Nino Buttafuoco cercò di sapere se la signo-ra De Mauro era a conoscenza, nei particola-ri, dei risultati delle ricerche compiute dasuo marito sulla morie di Mattei?

2) per quali motivi e per conto di chi,Nino Buttafuoco cercò di strumentalizzarela signora De Mauro per informarsi sullostato delle indagini riguardo la scomparsadel giornalista?

Davvero una figura enigmatica, questo Ni-no Buttafuoco, così strettamente legato aVito Guarrasi: specie se si tiene presenteche, durante la permanenza di Luciano Leg-gio nella clinica romana « Villa Margherita »,si recò ripetutamele a fare visita al ban-dito ivi ricoverato: una quindicina di volte,documentate da precise testimonianze resedal personale della clinica.

Così il cerchio si chiude una seconda vol-ta: e da Leggio si torna a Leggio attraversola Banca Loria, Vito Guarrasi e Nino But-tafuoco, passando ancora sui cadaveri diEnrico Mattei e Mauro De Mauro.

Conclusioni

Termina così questa relazione su mafia,politica e poteri pubblici attraverso le vi-cende collegate a Luciano Leggio: una rela-zione che non può certo portare a conclu-sioni ottimistiche.

Luciano Leggio, attualmente in carceresotto pesanti imputazioni relative all'« ano-nima sequestri » e già colpito da una con-danna all'ergastolo passata in giudicato, re-sta tuttavia un pericolo pubblico che, da ungiorno all'altro, può tornare a far parlare disé.

Nessuno si stupisca, infatti, se prima opoi tornerà libero.

La galera non gli ha tolto né la fredda al-terigia, né la sprezzante sicurezza. I com-

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ponenti della Commissione antimafia che sirecarono nelle carceri di Parma per interro-garlo ricordano bene la sua breve appari-zione: « Io non dico niente. Non risponderòalle vostre domande. Voi vi fate gli affarivostri e io mi faccio i miei ». E se ne tornòin cella.

La verità è che Luciano Leggio sa troppecose, e sa che troppi personaggi di primo pia-no della politica e dei poteri pubblici hannotutto l'interesse a intervenire in suo aiuto.Sa anche di non correre alcun pericolo. Nonmorirà come Pisciotta. Da qualche parte, disicuro, esiste un suo memoriale che lo met-te al riparo da qualunque brutta sorpresa.

L'unica conclusione che si può trarre ri-guarda la lotta contro la mafia.

La criminalità organizzata di tipo mafiosoè un fenomeno che dilaga e impone la suavolontà solo e in quanto trova complicità eprotezione a livello politico e negli organidello Stato. Complicità e protezione che ri-paga trasformandosi, quando le venga richie-sto, in « braccio secolare » di questo o diquel gruppo politico.

Ciò che si vede, che si intravede e si intui-sce attraverso le vicende collegate a LucianoLeggio ne offre la clamorosa conferma.

Si illude, quindi, chi pensa che la mafiapossa essere affrontata, o colpita e distruttacon leggi eccezionali o con Corpi speciali.

La lotta alla criminalità organizzata distampo mafioso è, prima di tutto, un fattodi volontà politica, di serietà, di indipenden-za da ogni pressione di qualunque genere daparte dei poteri pubblici. Discorso difficilein un'Italia come quella attuale, dove i con-fini tra mafia e politica non sembrano piùesistere.

Scendendo al particolare, sarà bene peròaggiungere che la lotta alla mafia è ancheuna questione di tempestiva e intelligenteapplicazione delle leggi, di organizzazione, dicollaborazione tra i poteri dello Stato.

Ci riferiamo alle misure di prevenzione,assolutamente inadeguate e superate; alleleggi fiscali che possono tagliare le gambe al-l'organizzazione mafiosa, colpendo rapida-mente e inesorabilmente i patrimoni fruttodi attività criminali; alla collaborazione tra

i corpi di Polizia, che non esiste, e che deveessere ottenuta a qualunque costo, perchél'esistenza di compartimenti stagni tra Cara-binieri, Polizia e Guardia di finanza servesolo ad aggravare la situazione.

È anche indispensabile, a nostro avviso,che le istruttorie e i giudizi sui fatti di mafiavengano sottratti alle competenze territoria-li e affidati a poche sezioni speciali, questesì, della Magistratura.

La lotta alla mafia è anche un fatto dispecializzazione, di conoscenza dei legami,delle complicità, dei retroterra organizzativi,degli intricati rapporti familiari ed econo-mici tra mafioso e mafioso. Specie adessoche la mafia è dilagata in tutto il territoriodello Stato, trasformandosi e modificandosicon ritmo sempre più accelerato e dandovita a nuove forme di criminalità organiz-zata, è assurdo continuare a rispettare ilmeccanismo delle competenze territoriali: laistruttoria e la trattazione dei fatti di mafiacaso per caso non può che limitare l'azionedella giustizia e favorire le cosche criminali.

L'ultima conclusione che ci sentiamo indovere di esporre consiste nella necessitàdi dare vita al più presto ad una « Commis-sione parlamentare permanente contro la cri-minalità organizzata ».

L'esperienza che deriva dall'attività dellaCommissione antimafia, che ha testé chiuso isuoi lavori, non è infatti del tutto negativa.Benché limitata dalla legge istitutiva del 20dicembre 1962 ad indagare esclusivamentesul « fenomeno della mafia in Sicilia », an-che quando il fenomeno mafioso aveva ormaitravalicato i confini isolani per estendersiall'intero Paese, l'Antimafia ha svolto un la-voro imponente, raccogliendo una documen-tazione certamente unica e sviscerando lacomplessa materia in ogni direzione: anchese è mancata poi la volontà politica dellamaggioranza di utilizzare il materiale raccol-to per incidere il più profondamente possi-bile nel fenomeno criminale.

È anche certo che l'Antimafia (sia pure,ripetiamo, con tutte le carenze e le limita-zioni imposte dalla legge istitutiva) ha svol-to una funzione di deterrente, di cui l'opinio-ne pubblica non ha avvertito il peso, ma che

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Senato della Repubblica — 1057 — Camera dei Deputati

LEGISLATURA VI — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI

si è certamente tradotta in una maggiorecautela da parte di tutti coloro che si trova-no più o meno implicati in ogni ambiente, alutti i livelli, nell'organizzazione mafiosa.

Sotto questo aspetto, la sparizione dellaCommissione antimafia segna un grosso pun-to a vantaggio della criminalità mafiosa e ditutte le forze, comprese quelle politiche, chele sono compiici.

E quindi necessaria la sostituzione di unanuova Commissione parlamentare, in gradodi affrontare il fenomeno estendendo i suoicompiti istituzionali nel quadro di una lottapermanente ad una criminalità organizzata,di stampo mafioso o meno, che non accennaad affievolire la sua virulenza ma che, alcontrario, è destinata, stante il continuo am-modernamento dei metodi e dei settori diattività, ad assumere forme sempre più pe-ricolose per l'intera collettività nazionale.

Questa « Commissione parlamentare per-manente contro la criminalità organizzata »dovrebbe:

1) indagare tempestivamente su tutti ifenomeni di criminalità organizzata sull'in-tero territorio nazionale;

2) disporre dell'eccezionale archivio rac-colto in tredici anni di attività dalla discioltaCommissione antimafia, anche per fornirealle forze dell'ordine e alla Magistratura tut-ta la documentazione necessaria nella lottacontro una delinquenza organizzata che hai suoi punti di forza in legami e complicitàestesi a tutto il Paese;

3 i contribuire ad un più efficace coor-dinamento delle iniziative atte a individuaree colpire il fenomeno, stante la persistenteesistenza di compartimenti stagni tra i di-versi coipi di Polizia e le diverse giurisdi-zioni in cui opera la Magistratura;

4) proporre tempestivamente al Parla-mento le leggi e i provvedimenti che si rive-lassero necessari nella lotta contro la crimi-nalità organizzata.

L'attività della Commissione dovrebbe es-sere pubblica: la mafia la si combatte anchesollevando davanti agli occhi di tutti i citta-dini i veli che coprono i volti e i nomi deisuoi affiliati e dei suoi compiici.

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