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La Chiesa è Comunione (Itinerario diocesano 2013-2014) Consapevoli dell’urgenza delle mete che ci attendono e della gravità degli impegni che coinvolgono tutti i cristiani, persuasi che il mistero della Comunione si situa al centro del pensiero ecclesiologico del Concilio Ecumenico Vaticano II, convinti che l’impegno a viverlo nella fede è premessa indispensabile ad ogni rinnovamento, proponiamo, come già accennato nel I° fascicolo, e a sua integrazione, il Piano Pastorale per l’anno in corso in vista e nella prospettiva di una “missio ad extra” per l’anno pastorale 2014-15 (anno del Convegno Nazionale di Firenze che avrà come tema: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”). Una più profonda comprensione del “dono” della Comunione accrescerà la grazia dell’unità vissuta nella carità e renderà credibile l’annuncio evangelico. Il piano di cui parliamo è conseguente alla presa di coscienza del dovere primario della Chiesa di evangelizzare. La Chiesa è nata per evangelizzare ed è debitrice di tale impegno nei confronti di ogni uomo. Missione e Comunione si richiamano a vicenda e tra esse vige un intimo rapporto; solo una Chiesa che vive e celebra in se stessa il mistero della Comunione traducendolo in una realtà vitale sempre più organica e articolata può essere soggetto di una efficace evangelizzazione (Gio. 17,21). La Comunione rimanda come suprema istanza e come metodo di crescita, alla carità donata da Dio con l’effusione dello Spirito Santo. La carità anima e sublima ogni dono e ogni servizio nella partecipazione alla vita trinitaria

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La Chiesa è Comunione (Itinerario diocesano 2013-2014)

Consapevoli dell’urgenza delle mete che ci attendono e della gravità degli impegni che coinvolgono tutti i cristiani, persuasi che il mistero della Comunione si situa al centro del pensiero ecclesiologico del Concilio Ecumenico Vaticano II, convinti che l’impegno a viverlo nella fede è premessa indispensabile ad ogni rinnovamento, proponiamo, come già accennato nel I° fascicolo, e a sua integrazione, il Piano Pastorale per l’anno in corso in vista e nella prospettiva di una “missio ad extra” per l’anno pastorale 2014-15 (anno del Convegno Nazionale di Firenze che avrà come tema: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”).

Una più profonda comprensione del “dono” della Comunione accrescerà la grazia dell’unità vissuta nella carità e renderà credibile l’annuncio evangelico. Il piano di cui parliamo è conseguente alla presa di coscienza del dovere primario della Chiesa di evangelizzare. La Chiesa è nata per evangelizzare ed è debitrice di tale impegno nei confronti di ogni uomo. Missione e Comunione si richiamano a vicenda e tra esse vige un intimo rapporto; solo una Chiesa che vive e celebra in se stessa il mistero della Comunione traducendolo in una realtà vitale sempre più organica e articolata può essere soggetto di una efficace evangelizzazione (Gio. 17,21). La Comunione rimanda come suprema istanza e come metodo di crescita, alla carità donata da Dio con l’effusione dello Spirito Santo. La carità anima e sublima ogni dono e ogni servizio nella partecipazione alla vita trinitaria

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fonte di ogni Comunione, con la centralità del Cristo, la potenza dello Spirito, il valore del sacramento dell’Eucaristia, il legame fraterno fra i discepoli del Signore, il ruolo ecclesiale dei ministeri, la complementarietà dei membri della Chiesa e l’anelito alla compiutezza della Comunione nell’attesa del giorno del ritorno del Cristo glorioso. Questa Comunione sempre ricercata e mai compiuta tesa ad attuare ciò che è bello, giusto, vero e buono nel rispetto dei doni e dei ministeri sconfessa ogni divisione (vedi Evangelii Gaudium n° 98 e seguenti di Papa Francesco) sul piano della fede, dei sacramenti e della disciplina della vita cristiana; un regno diviso in se stesso va in rovina (Mt. 12,25); bisogna dirlo con chiarezza perché l’esperienza della Comunione ecclesiale non ci impedisce di constatare divisioni e tensioni o anche lacerazioni e dissensi a causa di alcuni soggetti (singoli o gruppi) animati da spirito di antagonismo e contesa oppure da protagonismo e narcisismo con fughe in avanti che procurano qualche preoccupazione nell’ambito dei pastori o con nostalgici ritorni all’indietro che ingenerano qualche confusione nell’ambito dei fedeli. Neppure una volontà di mera aggregazione sociale dovrebbe unirci ma una chiara coscienza di Chiesa nella varietà ricca e significativa di vocazioni, carismi e ministeri.

Verso il Convegno Diocesano (5-7 settembre 2014) Il Convegno si pone come un momento e come esigenza di far uscire il

Piano Pastorale dal parlato all’operativo, dall’ecclesiastico al missionario, dall’idea ad un più concreto servizio di Chiesa.

Possibili tracce e ipotesi di lavoro Il Convegno è testimonianza del popolo di Dio per celebrare questa

verità: il Signore è in Comunione con noi. Il Convegno è un evento della Chiesa diocesana caratterizzato dal con-venire e dalla vista del Risorto che ci porta i suoi doni Pasquali: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me così io mando voi” (Giov. 20,21).

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Le ragioni del Convegno Il Convegno è ecclesiale perché nasce da ed è espressione della Chiesa

diocesana, ha ragioni, finalità e metodi che si richiamano alla natura della Chiesa stessa. La sua ragione è rivelatrice di un modo di porsi nei confronti del mondo, di interrogarsi sulla storia e di rispondere ai problemi dell’umanità. Il convogliare ogni servizio di ministero verso la missione crediamo sia il modo più idoneo per prendere coscienza dell’essere Chiesa oggi e nel servire oggi. La missione ecclesiale infatti in quanto risposta e continuità delle missioni divine racchiude in sé la ragione della Comunione ed è fonte di Comunione. La missione va intesa nel suo significato più pieno come annuncio, testimonianza, attualizzazione del progetto di salvezza di Dio per gli uomini. È questo l’invito ad andare alla radice del problemi umani che sono negli uomini prima che nelle strutture.

I soggetti del Convegno Il popolo di Dio, il Vescovo che ha il carisma del discernimento e

dell’unità, le parrocchie con i consigli pastorali che rappresentano la Chiesa universale nella Chiesa particolare, gli organismi di partecipazione come il Consiglio presbiterale, il Consiglio pastorale, la Consulta delle aggregazioni del laici, associazioni, movimenti, gruppi, i religiosi, i contemplativi, i diaconi, i laici. Rinati da un solo Battesimo tutti esercitano il medesimo ed unico sacerdozio di Cristo e sono chiamati alla ministerialità generale della Chiesa pur nella varietà delle vocazioni e dei compiti. Pertanto non si ammettono divisioni in ragione della diversa chiamata o ministero.

NB: (Segue) L’argomento verrà trattato nella pubblicazione in

prossimità del Convegno

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La struttura del cammino. Anche quest’anno, infatti, questo cammino vuole essere un percorso

comune a tutti, ma al tempo stesso elastico, perché adattabile alle specifiche realtà ecclesiali, in base alle necessità e al carisma di ciascuno. Rispetto allo scorso anno, la struttura del cammino è più semplice e lineare: l’itinerario complessivo si compone di 8 tappe, una per ogni mese (da novembre a giugno). Ad ogni tappa corrisponde un testo biblico, che è il vangelo di una delle celebrazioni eucaristiche domenicali del mese. Attorno ad ogni testo si sviluppano i seguenti moduli biblico-catechetici:

a. lettura esegetica b. filo rosso c. giovani d. famiglia e. carità e testimonianza f. riflessioni sulla sofferenza (“La sofferenza interroga la vita”) g. attività per ragazzi h. contributi celebrativi a sfondo vocazionale

Collegamento con l’anno liturgico. Il testo biblico di ciascuna tappa mensile è un brano del Vangelo tratto

da una delle liturgie domenicali dello stesso mese, come è possibile vedere chiaramente nello schema generale di pagina 9.

Come usare il sussidio. Preferiamo chiamare questi approfondimenti “moduli” perché sono

pensati in modo tale da permettere a ciascun educatore di utilizzarli secondo le sue necessità. Così, ad esempio, qualcuno lo userà solo nella parte che riterrà utile per il suo gruppo tralasciando le altre (potrà tracciare un percorso di lectio divina mensile in parrocchia, utilizzando il modulo della lettura esegetica). Qualcun altro, invece, preferirà usare il testo biblico in più incontri, dedicando un incontro ad ogni modulo. In quest’ultimo caso, l’educatore potrà organizzare, per esempio, quattro incontri in un mese, dei quali: il primo incontro del mese potrà essere dedicato allo studio del testo ricorrendo alla lettura esegetica; il secondo incontro all’approfondimento spirituale personale guidato dal filo rosso e dal contributo per i giovani, il

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terzo incontro potrà consistere nella fattiva realizzazione della proposta di carità offerta dall’omonimo modulo; ed infine il ciclo mensile potrà essere concluso nella quarta settimana con un momento celebrativo comunitario, così come suggerito dal modulo finale di ogni tappa.

L’icona biblica. Il quadro d’insieme di tutto l’anno è affidato all’Icona Biblica di Mt 13,1-

3a.31b-32.

1Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. 2Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. 3aEgli parlò loro di molte cose con parabole.

31b«Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell'orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».

L’approfondimento di questo testo è stato affidato alle relazioni del Convegno Diocesano del 28 e 29 settembre 2013. Sarà possibile trovarne una sintesi nel sito della diocesi.

Recapiti e disponibilità per eventuali necessità. Per qualsiasi genere di dubbio o necessità è possibile contattare i

sacerdoti di seguito indicati: - padre Aldo D’Ottavio (Pastorale Sociale) 335.64.52.537 - don Andrea Di Michele (Pastorale Vocazionale) 329.68.14.898 - padre Andrea Picciau (M.E.G.) 333.11.56.274 - don Cristiano Marcucci (Pastorale Famigliare) 389.27.84.640 - don Domenico Di Pietropaolo (Pastorale Giovanile) 340.67.06.645 - don Maurizio Volante (Pastorale Universitaria) 329.63.43.341 - don Nando Pallini (Pastorale Biblica) 327.88.56.338

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Le 8 tappe

Il cammino complessivo in sintesi

Tema: la Chiesa è comunione Struttura del cammino: 8 tappe complessive per tutto l’anno, costituite ciascuna da un testo bilico; ogni testo è sviluppato in 6 moduli:

a. lettura esegetica b. filo rosso c. giovani d. famiglia e. carità e testimonianza f. riflessioni sulla sofferenza (“La sofferenza interroga la vita”) g. attività per ragazzi h. contributi celebrativi a sfondo vocazionale

Durata: da novembre 2013 a giugno 2014. Frequenza: una tappa al mese, da novembre a giugno. Obiettivo: maturare un comune modo di intendere la Chiesa. Collegamento con l’anno liturgico: il testo biblico di ciascuna tappa è un brano del Vangelo tratto da una delle liturgie domenicali del mese.

I. Novembre 2013.

La verifica della nostra mentalità

Testo biblico: Lc 20,27-38 (la disputa con i sadducei) Tratto dalla liturgia della XXXII domenica del Tempo Ordinario, anno C (10 novembre 2013)

Tema dominante: Come punto di partenza, verifichiamoci: le nostre comunità hanno la mentalità di vita che è propria di Dio o la mentalità di morte che appartiene al mondo?

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II. Dicembre 2013 Coltivare una disposizione personale alla comunione

Testo biblico: Mt 1,18-24 (i turbamenti di Giuseppe) Tratto dalla liturgia della IV domenica del Tempo di Avvento, anno A (22 dicembre 2013)

Tema dominante: Per vivere la comunione è necessario che ciascuno di noi personalmente affronti le difficoltà che incontra in sé e le superi aprendosi alla Grazia di Dio. La prima crescita spirituale è in noi stessi.

III. Gennaio 2014 La chiamata di Dio è chiamata alla fraternità

Testo biblico: Mt 4,12-23 (la chiamata dei primi quattro discepoli) Tratto dalla liturgia della III domenica del Tempo di Ordinario, anno A (26 gennaio 2014)

Tema dominante: Le caratteristiche della chiamata di ciascuno di noi in chiave comunitaria.

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IV. Febbraio 2014 Dalla natura della comunità scaturisce la sua missione

Testo biblico: Mt 5,13-16 (sale della terra e luce del mondo) Tratto dalla liturgia della V domenica del Tempo Ordinario, anno A (09 febbraio 2014)

Tema dominante: Una comunità, in quanto tale, non può non essere sale della terra e luce del mondo per necessità intrinseca. È la sua natura.

V. Marzo 2014 La comunità accresce la relazione personale con Gesù

Testo biblico: Gv 4,5-42 (l’incontro con la samaritana) Tratto dalla liturgia della III domenica del Tempo di Quaresima, anno A (23 marzo 2014)

Tema dominante: La comunità media l’incontro con Cristo, ma non si sostituisce alla dimensione personale: la Chiesa è il luogo dove si fa esperienza personale della salvezza di Cristo (v. 41: … noi stessi abbiamo udito e sappiamo …)

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VI. Aprile 2014 La comunità vera nasce dalle piaghe del Signore sigillo di amore

Testo biblico: Gv 20,19-31 (L’incredulità di San Tommaso) Tratto dalla liturgia della II domenica del Tempo di Pasqua, anno A (27 aprile 2014)

Tema dominante: Come Tommaso, anche noi riconosciamo nel segno dei chiodi, il sigillo dell’amore di Cristo e la possibilità del sigillo del nostro sì!

VII. Maggio 2014 La comunità nella prova scorge la presenza di Cristo

Testo biblico: Gv 14,15-21 (“Ancora un po’ e il mondo non mi vedrà più…”) Tratto dalla liturgia della VI domenica del Tempo di Pasqua, anno A (25 maggio 2014)

Tema dominante: Osservando i comandamenti di Cristo e in forza del dono dello Spirito Santo, sapremo scorgere la presenza di Cristo anche nel momento della prova.

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VIII. Giugno 2014 La comunione non è un ideale, ma una realtà dello Spirito Santo!

Testo biblico: Gv 20,19-23 (dono dello Spirito Santo e mandato missionario) Tratto dalla liturgia della VI domenica del Tempo di Pasqua, anno A (08 giungo 2014, domenica di Pentecoste)

Tema dominante: La comunità sperimenta il compimento della promessa fatta da Cristo: la comunione non è un ideale, né frutto di sentimentalismi, … ma è una realtà pneumatica, dono dello Spirito Santo. Su questa maturità della fede, che è la Pace del Cristo Risorto, la Chiesa riceve il mandato missionario.

In questo secondo opuscolo intendiamo presentare i contributi che vanno dalla quinta all’ottava tappa. Abbiamo così cercato di ascoltare le osservazioni emerse attraverso verifiche effettuate in itinere, sperando di averlo migliorato rispetto al primo.

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Schema generale

TAPPA MESE TESTO DOMENICA DATA

1a Novembre 2013

Lc 20,27-38 XXXII TO anno C

10/11/2013

2 a Dicembre Mt 1,18-24 IV TA anno A

22/12/2013

3 a Gennaio 2014

Mt 4,12-23 III TO anno A

26/01/2014

4 a Febbraio Mt 5,13-16 V TO anno A

09/02/2014

5 a Marzo Gv 4,5-42 III TQ anno A

23/03/2014

6 a Aprile Gv 20,19-31 II TP anno A

27/04/2014

7 a Maggio Gv 14,15-21 VI TP anno A

25/05/2014

8 a Giugno Gv 20,19-23 Pentecoste anno A

08/06/2014

Es: Nella prima TAPPA del MESE di novembre leggiamo il TESTO di Luca

20,27-38, pregato la DOMENICA XXXII del Tempo Ordinario, Anno C che viene celebrata in DATA 10 novembre 2013.

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1. Quinta tappa

Gv 4,5-42.

La comunità accresce

la relazione personale con Gesù.

[1Gesù venne a sapere che i farisei avevano sentito dire: «Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni» - 2sebbene non fosse Gesù in persona a battezzare, ma i suoi discepoli -, 3lasciò allora la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. 4Doveva perciò attraversare la Samaria.]

5Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 13Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna». 15«Signore - gli dice la donna -, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 16Le dice: «Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui». 17Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: «Io non ho marito». 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai

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detto il vero». 19Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 25Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 26Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». 27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». 30Uscirono dalla città e andavano da lui.

31Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». 32Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». 33E i discepoli si domandavano l'un l'altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». 34Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Voi non dite forse: «Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura»? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l'altro miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».

39Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». 40E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

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a. Lettura esegetica Possiamo dividere il lungo brano proposto dalla liturgia per la terza

domenica di Quaresima in quattro parti: il dialogo tra Gesù e la donna di Samaria presso il pozzo (vv. 5-26); l'arrivo dei discepoli e la testimonianza della donna ai Samaritani (vv. 27-30); le parole di Gesù ai discepoli sulla missione (vv. 31-38); l'incontro tra Gesù e i Samaritani (vv. 39-42).

Si potrebbe dire che tutto nasce dalla sete di Cristo. Egli ha sete non solo della fede di Nicodemo, rappresentante del Giudaismo (capitolo precedente), ma anche di quella degli eretici Samaritani. Nei versetti precedenti (vv. 3-4) l'evangelista afferma che Gesù per recarsi in Galilea «doveva attraversare la Samaria». Non è certamente la strada più semplice o quella consueta, ma evidentemente Egli vuole conquistare il cuore dei Samaritani. La sua stanchezza (v. 6) costituisce allora il segno del lungo cammino intrapreso dal Padre nel Figlio per tornare sui passi di ogni fratello perduto.

L'incontro tra Gesù e la donna avviene al pozzo di Giacobbe, a meno di un kilometro dalla città di Sicar (la moderna Askar). «Gesù, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo». L'evangelista ci informa che quando giunge la donna «era circa mezzogiorno» (v. 6). È un dettaglio significativo perché le donne si recavano al pozzo di sera, nelle ore più fresche. Evidentemente la donna vuole evitare di incontrare altre donne e ascoltare i loro pettegolezzi sulla sua condizione.

La richiesta di Gesù («Dammi da bere») provoca la reazione stupita e forse sospettosa della donna. Spiega il narratore che i rapporti tra Giudei e Samaritani erano pessimi: dal punto di vista sociale c'erano tra Gesù e la donna due barriere, la differenza sessuale e l'appartenenza etnica. Non è da escludere però che la donna abbia pensato a un tentativo di seduzione, il racconto ci rivelerà che quella di Gesù è effettivamente una richiesta amorosa. L'amore di Cristo non esita a rischiare l'ambiguità o la sconvenienza pur di ritrovare la propria sposa, già passata per altri uomini.

Occorre che la donna scopra di avere di fronte l'unico che può darle ciò che ha sempre cercato, un'acqua capace di estinguere la sua sete d'amore. Per questo Gesù le chiede di andare a chiamare suo marito; Gesù sa che ha cambiato diversi uomini ma non ha risolto il suo problema. Il linguaggio è volutamente simbolico. Nelle lingue semitiche lo stesso

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termine (baʻal) indica le false divinità e il marito, i cinque mariti, dunque, simboleggiano gli dei importati in Samaria dalle cinque popolazioni non ebraiche (2 Re 17, 24). Occorre ricordare che i profeti (il primo è Osea) hanno usato la metafora del matrimonio per parlare del rapporto tra Dio e Israele; l'adulterio e la prostituzione diventano così il simbolo dell'idolatria. La donna con i suoi cinque mariti e il sesto uomo che non è suo marito, rappresenta i Samaritani adulteri, cioè idolatri, che Gesù vero sposo, vuole riconquistare. Nella storia della donna Gesù è il settimo uomo, e considerando il valore che il numero sette ha nella Bibbia (perfezione, completezza), si può affermare che la donna ha trovato l'uomo che la ama veramente e che la vuole tutta per sé.

Non è un caso che nella seconda parte del dialogo (vv. 19-26) si parla del rapporto tra Giudei e Samaritani e del vero culto a Dio. La donna pone a Gesù una domanda di carattere teologico: dove bisogna adorare, sul monte Garizim, dove i Samaritani esercitano il loro culto, o a Gerusalemme? È come se la donna non volesse affrontare il suo problema, la sua sete d'amore. Gesù, nella sua risposta, non teme di denunciare l'idolatria dei Samaritani e ricorda che la salvezza, cioè Lui, viene dai Giudei, ma annuncia anche che per tutti, Giudei e non, è arrivato il momento di adorare in «Spirito e verità». Se nello Spirito avviene la nuova nascita (Gv 3), nello Spirito si dà il nuovo culto che è offrire a Dio la propria vita, come ha fatto Gesù. È nella verità perché è l'unico che corrisponda alla rivelazione che Dio ne fa mediante Gesù, l'inviato di Dio.

Non è un caso che il dialogo si concluda con l'autorivelazione di Gesù: è Lui il Messia, l'inviato definitivo di Dio, è Lui che dona lo Spirito senza misura (Gv 3). La sua venuta e il dono dello Spirito rendono l'uomo finalmente («l'ora è questa», v. 23) capace di adorare Dio come Lui vuole. Ci sembra utile, a conclusione dell'analisi della prima parte del brano, riportare quanto un grande Padre della Chiesa, san Gregorio Nazianzeno, diceva a proposito della preghiera: «La preghiera è l'incontro della sete di Dio con la nostra sete. Dio ha sete che noi abbiamo sete di Lui» (Oratio 40, 27).

Al v. 27 entrano in scena i discepoli mentre la donna si allontana dal pozzo e si reca in città per invitare la gente a incontrare Gesù. Colpiscono la fretta della donna, che lascia lì la sua anfora, e il contenuto della sua

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testimonianza: quell'uomo le ha detto tutto quello che ha fatto (v. 29); alla donna non interessa più attingere acqua ma annunciare ai suoi connazionali che c'è un uomo che le ha "spiegato" la sua vita. Le sue parole ai Samaritani si concludono con una domanda: «Che sia Lui il Cristo?» (v. 29), che si può intendere come la proposta da parte della donna di avere un incontro personale con Gesù e così sperimentare che Lui è il Messia. I Samaritani rispondono positivamente all'invito e vanno a incontrare Gesù (v. 30).

Dopo l'uscita di scena della donna restano Gesù e i discepoli. L'evangelista al versetto 8 ci aveva informato sul motivo dell'assenza dei discepoli: «erano andati in città a fare provvista di cibo». Quando tornano, ovviamente, gli offrono il cibo che si sono procurati («Rabbì, mangia»), ma Gesù, in maniera un po' misteriosa, dice loro che Lui deve mangiare un altro cibo. Il fraintendimento dei discepoli, che restano al livello materiale delle parole di Gesù (un po' come la donna all'inizio), dà a Gesù la possibilità di pronunciare un breve discorso sulla missione, che si deve interpretare a partire dal contesto letterario. Vediamo come.

La donna è andata dai suoi connazionali perché vuole che incontrino e ascoltino Gesù. Essi, come ci dice la parte conclusiva del racconto, presto arriveranno e crederanno in Lui. Questi sono i primi Samaritani che credono in Gesù salvatore del mondo, e mostrano come ormai «i campi biondeggiano per la mietitura», come ormai, cioè, il popolo dei Samaritani sia pronto ad accogliere il Vangelo. Dagli Atti degli Apostoli sappiamo che dopo la morte di Stefano e la persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme, l'annuncio di Cristo raggiunse anche la Samaria (At 8). Questa è la mietitura, che si deve al fatto che Cristo per primo è andato lì e ha seminato, e un primo gruppo di Samaritani ha creduto in Lui. I missionari in Samaria, tra questi Filippo, uno dei sette diaconi della Chiesa di Gerusalemme, sono «subentrati» nella fatica di Gesù, è Lui che «ha faticato» in Samaria.

Nell'ultima parte del brano possiamo distinguere due fasi della diffusione della fede in Cristo in Samaria. Nella prima molti Samaritani credono per la testimonianza della donna, e l'evangelista riporta nuovamente le sue parole: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto» (v. 39). Costoro si recano da Gesù e lo pregano di fermarsi da loro. Gesù esaudisce la loro richiesta e si ferma a Sicar due giorni (v. 40). Questo fatto dà la

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possibilità agli abitanti della città samaritana di ascoltare direttamente Gesù. È questa la seconda fase in cui un numero maggiore di Samaritani crede in Gesù dopo aver ascoltato la sua parola. Così essi possono dire alla donna che ormai credono perché hanno incontrato personalmente Cristo, e sono sicuri (la donna li aveva invitati a riflettere: «Che sia Lui il Cristo?») che Gesù è «il salvatore del mondo», professione di fede nella quale culmina la narrazione.

b. Il filo rosso

Il dialogo tra Gesù e la samaritana è ricco di risvolti spirituali profondi. Noi intendiamo soffermarci sulla parte finale del testo, ripercorrendo gli ultimi momenti del meraviglioso percorso pedagogico tratteggiato dall’evangelista. In particolar modo sono tre i passaggi che possono interessarci sul tema della comunione.

1. La donna, dopo aver conosciuto Gesù ed essersi lasciata provocare personalmente da Lui, non resta sola con se stessa. Sente il bisogno di annunciare ad altri l’avvenuto incontro con Cristo, invitandoli a fare la stessa esperienza: «Venite a vedere…?». Cosa ha spinto questa donna ad estendere ad altri la sua esperienza di incontro con Gesù? Lei è stupita di aver trovato qualcuno che la conosca così bene («Mi ha detto tutto quello che ho fatto»). Comprende che Colui che le sta davanti è una persona molto speciale e comincia ad intuire che possa essere il Cristo («Che sia lui il Cristo?»). Và dalla gente non in nome di un dovere da compiere, ma al contrario il suo slancio è parte di quella gioia che scaturisce dall’incontro. Dice Papa Francesco che anche tutti i «cristiani hanno il dovere di annunciare (il Vangelo) senza escludere nessuno, … come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma “per attrazione”»1. Questa donna ha vissuto una esperienza “attraente”: Cristo ha attratto lei e attrarrà anche gli altri, attraverso di lei.

2. Le persone che hanno ricevuto l’annuncio dalla donna, uscirono dalla città e andavano da lui. La città può essere compresa non solo come

1 Evangelii Gaudium, 14.

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un luogo geografico, ma più simbolicamente come la mentalità degli uomini, il sistema di vita tutto umano, nel quale si rischia di estromettere Dio. E’ necessario allora uscire da questa città per cominciare a percorrere le vie di Gesù. In questo modo, convergendo tutti verso Cristo, fondiamo la comunità.

3. Ma un ulteriore e imprescindibile passaggio avviene nel momento in cui la gente dice alla donna: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo». Queste è il momento in cui la gente passa dalle parole della donna al loro personale incontro con Cristo. Non conoscono più Gesù per sentito dire, ma per esperienza diretta. Ciascuno di loro in modo unico e personale si è coinvolto nell’incontro con la Persona di Gesù. Questo dà alle loro vite un orizzonte di comprensione nuovo e, con ciò, una direzione decisiva2.

Anche noi sperimentiamo che una comunione matura tra credenti non si può sostituire all’esperienza di fede personale, che ciascuno è chiamato a fare: l’incontro con Gesù è un passaggio intimo e ineludibile! Altrimenti si finisce con lo scimmiottare gli stili e i contenuti della comunità, ma senza averli fatti propri, senza averli elaborati. È necessaria una vera elaborazione personale dell’esperienza di fede. Altrimenti la fede proclamata non penetra davvero nel cuore e diventa un condizionamento (dunque, una non-fede!), anziché una decisione libera e gioiosa per Cristo.

L’incontro con Gesù è una esperienza sempre tanto personale quanto comunitaria: mai solo l’uno o solo l’altro! Da questo comprendiamo che se è vero che la comunione si esprime concretamente nel dare ascolto al fratello, avere cura del malato sofferente, sostenere il vicino bisognoso, è altrettanto vero che si comincia a diventare uomini e donne di comunione da un po’ più lontano: dalla cura del proprio personale rapporto con Dio3.

2 Cf Deus Caritas Est, 1.

3 Evangelii Gaudium, 264: «Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua

grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale. Posti dinanzi a Lui con il cuore aperto, lasciando che Lui ci contempli, riconosciamo questo sguardo d’amore [...] Che dolce è stare davanti a un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai suoi occhi! Quanto bene ci fa lasciare che Egli torni a toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunicare la sua nuova vita! Dunque, ciò che

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c. Giovani Questo vangelo ci parla del cammino di conversione di una donna che,

incontrando Gesù, giunge anche all’incontro con se stessa e con gli altri. Siamo giunti alla terza domenica di Quaresima.

Nella prima, siamo saliti con Gesù sul monte per vivere le tentazioni, che appartengono all’umanità e ad ogni uomo, e per interrogarci sul senso della vita e su quello per cui stiamo vivendo; lì il Signore ci ha indicato a chi dobbiamo riferirci, chi dobbiamo ascoltare per essere uomini autentici e liberi, e per comprendere che la fiducia nel Padre ci fa vivere da figli e da fratelli. Gesù, sul monte e nel deserto della prova, ha vinto le tentazioni del mondo e ci dà la buona notizia che la sua vittoria può essere la nostra vittoria.

Nella seconda domenica, con Gesù e i tre apostoli, siamo saliti su un altro monte, luogo in cui ci è stato donato di contemplare la sua gloria, annuncio della resurrezione; lì abbiamo udito la parola del Padre che ha proclamato Gesù suo Figlio e ci ha invitato ad ascoltarlo.

Questa terza domenica, il Vangelo ci presenta una donna nella quale riscopriamo ognuno di noi, con i nostri sogni, le nostre frustrazioni, i nostri desideri, ma anche la nostra possibilità di diventare creature nuove. Si trova lì, sola, in un’ora in cui sicuramente non c’è nessuno ad attingere acqua, momento che rappresenta un po’ il senso di tutti i nostri bisogni e desideri; è una donna che non deve avere un buon rapporto con i suoi concittadini e ha vissuto una vita burrascosa personale e familiare; è passata per ben cinque mariti e il sesto non è suo marito. Una donna lacerata dai mille problemi, che ha sofferto molto e ha fatto molto soffrire.

Gesù attende al pozzo, solo, stanco e assetato di acqua ma molto di più di lei. Qui avviene un incontro che aiuterà la donna a entrare nel suo

succede è che, in definitiva, «quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo» (1 Gv 1,3). […] Se lo accostiamo in questo modo, la sua bellezza ci stupisce, torna ogni volta ad affascinarci. Perciò è urgente ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri». Vedi anche Evangelii Gaudium, 266.

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cuore, a capire il vero senso della sua vita e ad aprirsi al dono che gli viene offerto.

Gesù la accoglie e intavola con lei un dialogo vero, superando le convenzioni sociali e religiose; le chiede da bere e le offre l’acqua di vita eterna, che è il suo amore; lei, che aveva cercato la felicità nell’amore degli uomini e nel soddisfarli, ora incontra un uomo che la ama e la mette di fronte al vero amore e, da questo incontro, capisce che ha vissuto una vita nell’inganno e nell’illusione, senza raggiungere nulla. Anche quando entra nella discussione religiosa, si trova di fronte all’invito ad uscire dai limiti della storia e delle esperienze e ad accogliere il dono dello Spirito.

La donna vive una progressiva conoscenza di Gesù: dall’uomo che gli chiede acqua e che gli offre l’acqua di vita eterna, al profeta che legge nel suo cuore; dal messia, che compirà le attese di un popolo, fino al salvatore del mondo. Nel cuore della donna, a questa comprensione corrisponde una sempre più approfondita conoscenza di sé stessa e di totale apertura ad accogliere Gesù e i suoi doni, e si sente spinta a correre in città per chiamare i concittadini. Lascia la brocca al pozzo e si fa testimone dell’opera che ha compiuto Gesù nel suo cuore.

Questa donna ha incontrato il vero sposo che ha portato senso e pienezza alla sua vita, e la sua vicenda di aiuta a vivere il nostro cammino quaresimale protesi verso l’incontro pieno con il Signore.

L’esperienza personale di questa donna con Gesù diventa il primo annuncio nella vita dei suoi compaesani e li muove verso il Signore; a loro volta, essi avranno il desiderio di un incontro più profondo e personale con Lui, fino a riconoscerlo come salvatore del mondo.

Con questa esperienza di fede nasce il nuovo popolo di Dio, la Chiesa. Anche gli apostoli, infatti, che hanno dato avvio alla prima comunità cristiana, compiono un vero e proprio cammino di fede: dalla meraviglia, scaturita dal vedere come Gesù si comporta con questa donna, giungono a scoprire che il Figlio di Dio si nutre della volontà del Padre, fino a comprendere che anche loro sono chiamati a fare lo stesso e a vivere la loro specifica vocazione: curare il campo del Signore.

Questo episodio ci mostra come il Signore ci salva in qualunque momento della vita e in qualunque situazione, ma ci dà anche un

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avvertimento a prendere sul serio la nostra vita, fin dall’inizio, per evitare tante sofferenze alla nostra persona e agli altri.

I giovani sono invitati ad andare a fondo nei propri desideri e nei propri progetti di felicità, a vivere in modo corretto la propria esistenza, a scoprire che l’incontro con Gesù non solo sazia la sete, la fame di vita e di felicità dell’uomo, ma dona l’unica vita e la felicità autentica che non avranno mai fine.

Alla luce di questo vangelo, come sei entrato nel cammino quaresimale e con quale coraggio ti incammini verso l’incontro con il Signore, sapendo che la conoscenza di Lui ti porta alla conoscenza di te?

Nel tuo rapporto con gli altri (gruppo, comunità locale, ambiente…) quanta importanza hanno i tuoi problemi? Quanto, invece, è fondamentale l’esperienza di grazia e di amore che avviene nell’incontro con il Signore?

d. Famiglia In Giovanni 4,5-42 troviamo un’icona molto importante: Gesù incontra

al pozzo una donna samaritana. Con uno splendido dialogo, Gesù conquista questa donna. Ognuno di noi è chiamato ad essere come Lui: Gesù è un modello da studiare ed imitare. Nell'avvicinare un'altra persona, dobbiamo rivestirci proprio del tatto, della cortesia e del fascino di Gesù Cristo.

Siamo capaci di agire come Gesù: avere i suoi tratti di cortesia, il suo stile di approccio, la sua carica di umanità, amare come lui ama?

"Doveva attraversare la Samaria": sta accadendo un evento molto importante. L'amore ha sempre una specie di via obbligata, spesso segue le vie più ardue ed impensabili. Doveva passare per un paese dove non passa nessuno. I samaritani, infatti, sono nemici, ma chi ama davvero non ha nemici. Ogni uomo, in qualche modo, deve imboccare un giorno la via difficile e rischiosa dell'amore, perché la vita deve essere donata, anche se ciò comporta rischi.

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Siamo disposti a rischiare per amore, anche per amore di chi ci è “nemico”?

"Stanco del viaggio": quando la vita non viene pervasa dall'amore, l'uomo è stanco e sfiduciato e le sue energie vengono meno. Le persone innamorate solitamente sono vitali e sprizzanti di gioia. Le persone che non riescono ad amare sono stanche, demotivate, soffrono la più terribile frustrazione esistenziale. Ogni individuo deve nutrirsi di amore a vari livelli, quello della famiglia, degli amici, quello sponsale.

Come ci sentiamo noi: pervasi dall’amore oppure stanchi e svuotati?

"Sedeva presso il pozzo", il pozzo di Giacobbe, un luogo di appuntamento per l'amore. Nella Bibbia molte storie nascono intorno ad un pozzo. Noi dobbiamo creare situazioni simili, cioè trovare luoghi e circostanze di incontro. "Gesù sedeva", perché all'amore bisogna dedicare tempo, non si può essere frettolosi, non si può mettere davanti qualcosa di più importante. Il meglio delle proprie energie deve essere convogliato nell'amore.

Anteponiamo davvero l’amore ad ogni cosa o subiamo passivamente l’influenza della cultura e della società intorno che ci fa credere che sono ben altre le cose importanti nella vita? (lo studio, il lavoro, la casa, l’automobile ecc.)

"Era verso mezzogiorno". C'è sempre nella vita di ogni uomo un momento particolare, un tempo opportuno privilegiato, una buona occasione regalata da Dio. Spesso purtroppo le persone non sanno riconoscere i doni di Dio, né sanno cogliere la qualità e la preziosità del tempo.

Sappiamo riconoscere i momenti preziosi donatici come occasione per amare?

“Dammi da bere". Gesù chiede da bere alla donna samaritana. La novità assoluta ed il vero mistero sta proprio nel gesto di Gesù di chiedere dell'acqua. È il paradosso di un Dio che si fa uomo bisognoso, per avere il pretesto di incontrare l'uomo e dargli l'acqua che disseta in eterno, che è se stesso. Gesù, come primo passo, vuole donare se stesso e chiede per dare.

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Ciò implica rispetto per l’altro e per la sua libertà, è un modo di avvicinare l’altro con delicatezza e cortesia.

Siamo in grado di avvicinare l’altro con umiltà e delicatezza? Riusciamo a farci bisognosi per ricevere il bene dall’altro?

"Tu giudeo chiedi a me, una donna samaritana". La samaritana si rivela donna di facili costumi, alquanto spregiudicata. C'è in lei una certa chiusura che la porta a fraintendere di proposito le parole di Gesù. Occorre saper andare oltre la corteccia ruvida delle apparenze e dei pregiudizi, saper infrangere certe convenzioni culturali. Nelle iniziative di Gesù c'è la rottura di ogni barriera, quella del sesso, in quanto un rabbì non parlerebbe mai con una donna fuori di casa, quella della razza, quella della nazionalità e della religione. "Tu giudeo", la prima parola di questa donna è di ostile pregiudizio. Al pozzo di Giacobbe, il più delle volte, non c'è un uomo o una donna, ma un giudeo, una samaritana, cioè stereotipi culturali e religiosi. La donna non vede un uomo che ha sete, ma un giudeo, cioè un nemico. Il nemico nasce in noi quando qualcuno ci è sconosciuto e viene inquadrato nell'ottica del pregiudizio.

Siamo capaci di vincere i nostri pregiudizi ed andare incontro all’altro con atteggiamento di accettazione incondizionata?

"Se tu conoscessi il dono di Dio e colui che ti dice: «dammi da bere»". L'amore deve essere donato nella speranza. "Ti avrebbe donato l'acqua viva". L'acqua viva di cui parla Gesù è la progressiva rivelazione del proprio mistero. Il mistero di ogni essere umano esige una progressione, perché è una realtà amplissima, profonda, sconosciuta spesse volte a se stessi, che deve, in qualche modo, incominciare ad aprirsi.

Siamo capaci di aprirci al mistero della fede?

Il linguaggio di Gesù ora è velato, lascia intuire qualcosa di grande e di nuovo, ma, come spesso accade, la donna lo interpreta in forma molto concreta, terrena: "ma se non hai neppure un secchio per attingere!". La perenne tentazione è sempre quella di chiudersi al dono grande dell'amore, entro le piccole attese, le piccole prospettive.

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Siamo capaci di avere una visione più ampia della vita, meno terrena e più aperta al dono dell’amore?

"Chiunque beve di quest'acqua avrà ancora sete, quella che io darò in lui diventerà sorgente per la vita eterna." Una vita eterna significa una vita in espansione. "Dammi di quest'acqua". Ecco che la persona si apre al dono.

Siamo capaci di aprirci al dono di Dio?

"Va’ a chiamare tuo marito". Gesù introduce la donna alla sorgente del suo mistero di donna infelice, alla radice della sua verità di donna peccatrice, ha messo il dito sulla piaga, sulla miseria di questa donna, sulla sua miseria morale. Ma Gesù non esaspera, non umilia, fa semplicemente verità in lei. Per ritornare alla sincerità occorre fare crollare la maschera del personaggio che ciascuno di noi recita. Va a chiamare tuo marito significa "fa verità in te".

Siamo capaci di fare verità in noi? di toglierci le nostre “maschere”?

"Non ho marito", una specie di reazione. "Hai detto bene", la donna ha detto qualcosa che è sulla strada della verità e Gesù la riconduce proprio verso la verità. Non la umilia, non le dice bugiarda, ma "hai detto bene". Aiuta a creare una piattaforma di verità e di sincerità.

Aiutiamo gli altri, con delicatezza e senza pregiudizi, a far luce in se stessi?

Ormai questa donna è completamente nuda davanti alla verità, non ha più difese, non ha più maschere. Finalmente è nella verità, ossia è umile. Va’ a chiamare tuo marito, fammi vedere il tuo vero volto, quello che il Signore vede nel segreto. È inutile che io faccia la persona per bene, davanti a Lui o davanti a tutti: devo sempre chiamare mio marito, cioè entrare nella verità, essere onesto.

Ci sentiamo pronti ad amare gli altri che incontriamo nella verità e con carità, senza alcun pregiudizio? Ci facciamo carico dei problemi dell’altro soprattutto nel rapporto col proprio coniuge?

"Lascia la brocca." Lasciare la brocca significa abbandonare le prospettive del passato. Questa donna era andata per attingere un secchio

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d'acqua, ma che cos'è adesso un secchio d'acqua di fronte a questo fatto grandissimo che rivoluziona la vita, che la sconvolge. L'avventura dell'amore è proprio così. È un terremoto, sconvolge, ridefinisce tutte le cose.

Siamo pronti a “lasciare le nostre vecchie brocche” per andare ad attingere alla sorgente del “vero Amore”? Oppure siamo ancora troppo legati alle nostre vecchie abitudini di vita senza amore?

e. Carità e testimonianza “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da

bere!».

La carità nasce ed è sorretta dall’incontro personale di ognuno di noi con Cristo

Da questa esperienza fondante, che tocca nel profondo, che guarisce le ferite, noi possiamo riconoscere i nostri fratelli, coloro che hanno bisogno; possiamo uscire da noi stessi e sentirci comunità chiamata alla salvezza

La nostra fame e sete di amore sarà colmata solo dall’esperienza comunitaria di salvezza, dall’incontro di amore con Cristo.

Iniziativa del mese. In questo mese in cui come Chiesa celebriamo la Giornata in memoria dei missionari martiri, offriamo una delle nostre giornate per il digiuno e la preghiera per i missionari e partecipiamo alla Veglia per i missionari martiri che si terrà il 24 marzo.

f. La sofferenza interroga la vita Questo è il momento dell’incontro con il Beato Luigi Novarese e il suo

insegnamento, del modo con il quale ha affrontato la domanda angosciosa e terribile che da duemila anni scuote il cristianesimo: perché la sofferenza?

L’incontro della samaritana con Gesù ha sicuramente scosso il suo modo di vivere e di sentirsi giudicata dalla comunità per la sua condotta. Gesù tocca in profondità l’anima sofferente della donna.

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La gioia scaturita in lei da questo incontro di misericordia e di perdono, la spinge a condividere con gli altri il dono ricevuto. La sofferenza del peccato si tramuta in gioia missionaria! L’incontro con Cristo ci spinge a entrare in relazione con gli altri. Non importa da quale situazione partiamo, quello che conta è uscire da sé stessi e andare incontro ai fratelli.

Ascoltiamo la parola del Beato Luigi Novarese: «Insomma è indispensabile darsi da fare con gioia e carità, i punti

principali dell'essere un buon Cristiano! A voi, amici cari, che sorella sofferenza è entrata a far parte della

vostra famiglia, non isolatevi, ma vivete in comunione con i fratelli, donatevi a loro... ricordatevi che siete "la linfa vitale" della nostra Chiesa... aiutate Gesù a salvare le anime...

A voi, Fratelli e Sorelle degli Ammalati, ricordatevi che il vostro incarico è quello di essere come angeli che non si avvertono quando ci sono...ma ci si accorge di loro quando mancano...

A voi che accompagnate i vostri figli nel duro cammino della sofferenza, rimboccatevi le maniche affinché le persone che vi circondano, imparino a portare la Croce con voi...

A voi, Silenziosi Operai della Croce, il compito di porre sempre davanti a voi la Madonna e l'apostolato del dolore, non dimenticatevi mai di correre verso il cuore di ogni sofferente!».

Il messaggio di salvezza che Gesù ha portato alla Samaritana e attraverso lei al popolo samaritano, è per tutti: peccatori, sani, malati, sofferenti … tutti dobbiamo accogliere l’Acqua Viva che Gesù ci dona per la vita eterna. La risposta è individuale. Solo io posso rispondere con il mio sì a Cristo, ma da questo punto in poi è nella comunione con gli altri (la Chiesa) che sono chiamato a testimoniare la Fede in Gesù Cristo morto e risorto! È nella comunità che dobbiamo portare il nostro contributo di fede e di missione. Una missione testimoniata nella sofferenza e nel limite diventa Luce per gli altri fratelli. “Quando sono debole è allora che sono forte!” (II Cor 12,10).

Quanto è stata importante la comunità (parrocchia, gruppo, ecc.) per la mia crescita nella Fede?

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g. Attività per ragazzi4

Obiettivo (A) Aiutare i ragazzi a comprendere che il cammino che conduce a Dio

passa attraverso l’esperienza di una fede comune, vissuta e celebrata secondo indicazioni chiare, condivise e fondate sulla Tradizione ricevuta e affidata di generazione in generazione, dagli apostoli fino a noi, oggi. Ma in nessun caso questa esperienza comunitaria della fede può fare a meno di un cammino personale, di una relazione personale, che ciascuno di noi è chiamato a maturare con Dio, nella comprensione e nell’accoglienza di sé, e dei propri desideri più profondi. Sarà proprio questa relazione personale con il Signore, che è anche esperienza di sé alla luce della Parola di Dio, a permettere decisivi passi avanti nella vita cristiana.

Attività e Parola (B-C) Si mostra ai ragazzi un qualunque filmato/cartone dell’incontro tra

Gesù e la Samaritana facilmente reperibili su Youtube, oppure si può far leggere, in modo drammatizzato, il brano del vangelo della Samaritana. A visione completata, tramite un brainstorming, lasceremo che i ragazzi esplicitino alcune impressioni raccogliendole su due diversi cartelloni: al centro, sul primo, scriveremo “La NOSTRA esperienza con Gesù”, mentre sul secondo appunteremo “La MIA esperienza con Gesù”. La richiesta-guida del brainstorming potrebbe essere: “Alla luce del racconto della Samaritana e della gente del suo villaggio, trova 3 parole per indicare la tua relazione personale con il Signore (preghiera, amicizia, amore, dono, richiesta, aiuto, ecc) e altre 3 per indicare, invece, l’esperienza che, del Signore, fai nel tuo gruppo o nella tua Parrocchia (gioia, incontro, condivisione, servizio, ecc.)”.

Raccolte le parole, i due cartelloni potranno essere messi l’uno accanto all’altro, invitando i ragazzi a collegare con delle frecce, quegli aspetti dell’esperienza di Dio che si richiamano a vicenda, e motivando la loro scelta.

Al termine, si metterà in evidenza come l’esperienza di chiesa, sia di supporto, respiro e verifica per l’esperienza personale del Signore.

4 In appendice è possibile trovare lo schema dell’incontro settimanale per i ragazzi.

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Preghiera (D) L’incontro sarà concluso da una breve preghiera di ringraziamento per

il dono delle nostre comunità, dentro le quali, a ciascuno, è permesso e sostenuto il cammino personale di ciascuno.

Impegno (E) Un impegno interessante da proporre potrebbe essere quello di

individuare un tempo settimanale di “dialogo con Gesù”, magari fatto nella propria chiesa. Si sottolineerà di questo tempo (anche solo 5 minuti…) il valore di gratuità: nessuna legge lo impone! Siamo noi che scegliamo di offrirlo, fermandoci a pregare un po’ con Lui.

Adeguamento per i più piccoli… Se il brainstorming pare eccessivo per il gruppo dei più piccoli, lo si

può sostituire con l’invito a riprodurre, attraverso immagini, due differenti esperienze: “Io e Gesù” e “Noi e Gesù”. Le immagini vengano sempre raccolte su due cartelloni affiancati, che abbiano però in un unico sfondo, l’immagine, più o meno stilizzata della propria chiesa. In questo modo sarà più semplice per i bambini cogliere il fatto che la chiesa non è soltanto il luogo della celebrazione comunitaria, ma anche il tetto sotto cui convergono le storie personali dell’incontro di ciascuno con Gesù. In basso, si potrebbero raccogliere, per iscritto, anche i “grazie” di ciascuno per il dono di questo “binario” su cui passa il “treno della fede”: la “rotaia” comunitaria e quella personale….

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h. Momento celebrativo a sfondo vocazionale

Per una revisione personale “La samaritana e il vangelo della vocazione”

L’episodio della samaritana ci fa riflettere in due modi, la prima

questione è rivolta verso noi stessi la seconda invece tocca la responsabilità che abbiamo nei confronti degli altri.

Innanzitutto partiamo da noi stessi: chi (persone e/o situazioni) ci ha fatto conoscere Gesù? come lo abbiamo conosciuto? Come la samaritana, forse anche noi eravamo e siamo ancora assetati. Di cosa? Cosa ci ha spinto a ricercare e a trovare in Gesù quell’acqua di cui avevamo bisogno per sopravvivere?

Se questo è stato, ed è, il nostro percorso riusciamo a trasmettere agli altri l’esperienza splendida di conoscere Gesù? Come ha affermato papa Francesco, (nell’omelia per i battesimi da lui amministrati il 12.I.14) siamo anelli della catena nella trasmissione della fede?

Perciò: quali sono gli atteggiamenti da assumere verso gli altri? Della samaritana notiamo l’urgenza, questa donna ha fretta di far conoscere Gesù e quello che le è stato rivelato. Inoltre pone un annuncio vero, personale, capace di indicare la sorgente della propria trasformazione, la persona stessa di Gesù.

Se dovessimo paragonarci alla samaritana domandiamoci: il nostro annuncio è mosso dall’urgenza? è convincente perché vero e personale? Come la samaritana, ci tiriamo indietro al momento giusto per indicare la fonte della nostra salvezza? La nostra esperienza è piuttosto un varco o una cortina nell’incontro con il Signore?

Sono questi gli atteggiamenti che “viviamo” quando annunciamo agli altri la bellezza dell’incontro con il Signore? Come possiamo proporre l’eccezionalità di rispondere alla chiamata del Signore se non siamo noi stessi permeati da questa realtà?

In ultima analisi, domandiamoci: cosa possiamo fare?

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2. Sesta tappa.

Gv 20,19-31. La comunità vera nasce

dalle piaghe del Signore, sigillo di amore

19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse

le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

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a. Lettura esegetica È il terzo brano del capitolo 20, capitolo nel quale troviamo l'annuncio

della risurrezione di Gesù e che, secondo gli studiosi, concludeva il Vangelo di Giovanni prima che venisse aggiunto il capitolo 21. In 20, 30-31 troviamo la prima conclusione del quarto Vangelo, in 21, 24-25 la seconda.

In tutti e quattro i Vangeli le apparizioni del Risorto sono precedute dalla scoperta della tomba vuota. Secondo l'evangelista Giovanni è Maria di Magdala a recarsi per prima al sepolcro e a trovarlo vuoto. Così, corre a riferire l'accaduto a Pietro e al discepolo amato. Essi, dopo aver verificato di persona che la tomba è effettivamente vuota, tornano a casa. L'evangelista riferisce anche che il discepolo che Gesù amava «vide e credette», e che «non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti». Questo è il contenuto del primo brano (vv. 1-10).

Nella seconda scena (vv. 11-18) troviamo l'incontro tra Gesù e Maria di Magdala, che è rimasta al sepolcro e il cui desiderio "invincibile" di vedere il Signore («il mio Signore») viene premiato con l'apparizione del Risorto, che è quindi la prima riferita da Giovanni. L'evangelista conclude questa scena con l'annuncio della Maddalena ai discepoli: «Ho visto il Signore» (v. 18).

Vediamo dunque il brano che la liturgia propone, seppur non integralmente, per la seconda domenica di Pasqua e per il giorno di Pentecoste. Si può dividere in quattro parti: l'apparizione del Risorto ai discepoli senza Tommaso (vv. 19-23); il breve dialogo tra Tommaso e gli altri discepoli (vv. 24-25); l'apparizione del Risorto ai discepoli con Tommaso e la professione di fede di quest'ultimo (vv. 26-29); la prima conclusione del Vangelo di Giovanni (vv. 30-31).

Il brano si apre con un'annotazione di carattere temporale: è la sera del primo giorno della settimana, è la sera di Pasqua. I discepoli si trovano nello stesso luogo; l'evangelista riferisce il loro stato d'animo, la paura, per questo motivo le porte della casa dove sono radunati sono chiuse. In questa situazione appare il Risorto. Il verbo greco tradotto con «stette» indica la posizione di chi sta in piedi, Colui che la morte aveva fatto "cadere" adesso è in piedi, vincitore della morte. La morte su di Lui non ha più potere, il suo corpo è stato trasformato, non è più soggetto alle leggi fisiche, per questo Gesù Risorto, per entrare nel luogo dove si trovano i discepoli, non ha bisogno che gli aprano le porte.

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Le sue prime parole, «Pace a voi» (v. 19), sono accompagnate da un gesto attraverso il quale i discepoli possono verificare che è proprio Lui: Gesù mostra loro le mani e il fianco, i segni della crocifissione che sono rimasti nel suo corpo. La certezza che è Gesù ha come effetto la gioia: «E i discepoli gioirono al vedere il Signore» (v. 20)

I versetti successivi (vv. 21-23) sono fondamentali per comprendere la missione della Chiesa nel mondo. Gesù ripete il saluto «Pace a Voi», poi invia i suoi discepoli; essi devono continuare l'opera di Gesù, il Figlio inviato dal Padre. L'opera di Gesù, secondo la visione giovannea, è introdurre gli uomini nella comunione trinitaria; chi accoglie la parola di Gesù (la rivelazione dell'amore del Padre) ha la vita, riceve la vita divina. I discepoli annunceranno la parola di Gesù, e coloro che crederanno, per dirla con il Prologo, diventeranno figli di Dio, saranno figli nel Figlio. È il Risorto in persona a mandarli e a comunicare loro lo Spirito Santo. Gli studiosi parlano di Pentecoste giovannea, perché secondo il quarto Vangelo lo Spirito Santo viene effuso dal Risorto sugli apostoli il giorno di Pasqua. Il verbo greco tradotto con «soffiò» è lo stesso che l'autore della Genesi usa quando racconta che il Signore «soffiò nelle narici dell'uomo un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente» (Gen 2, 7). In Giovanni la Pentecoste è una nuova creazione, che rende i discepoli partecipi della vita del Risorto, il primogenito della nuova creazione.

Al dono dello Spirito Santo è connesso il perdono dei peccati. I discepoli ricevono con lo Spirito Santo il potere di perdonare i peccati. La frase di Gesù è molto solenne e indica che il potere di perdonare i peccati, e così ammettere gli uomini alla comunione con Dio, è reale. Il Concilio di Trento afferma: «Il Signore istituì il sacramento della penitenza principalmente quando, risorto dai morti, soffiò sui suoi discepoli dicendo: Ricevete lo Spirito Santo; a coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Decreto sul sacramento della penitenza, Sessione XIV).

Nel versetto successivo (v. 24) l'evangelista ci informa che Tommaso, uno dei Dodici, non era con loro quando venne Gesù. Quando essi gli raccontano di aver visto il Signore, egli esige come condizione per credere di fare la stessa esperienza degli altri, e cioè vedere il corpo di Gesù con i segni della crocifissione, anzi, vuole mettere il dito nel segno dei chiodi e la

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mano nel fianco di Gesù. Tommaso chiede un'esperienza che non ammetta dubbi, in questo modo viene preparata l'apparizione successiva, raccontata subito dopo.

«Otto giorni dopo» (v. 26) i discepoli sono di nuovo insieme e Tommaso è con loro. Gesù appare di nuovo e anche questa volta le porte sono chiuse, ma non si dice che è a causa della paura dei Giudei. Con il primo incontro Gesù ha vinto la paura dei discepoli presenti, adesso deve vincere l'incredulità di Tommaso. Gesù esaudisce la sua richiesta e lo rimprovera per la sua mancanza di fede. Da una parte va incontro alla debolezza dell'apostolo, dall'altra lo rimprovera perché il cambiamento degli altri (erano passati dalla paura alla gioia) era la "prova" della risurrezione (v. 27). Adesso che ha "la" prova, Gesù risorto davanti ai suoi occhi, lo riconosce suo Signore e suo Dio, in una altissima professione di fede cristologica (v. 28). Nella frase finale di Gesù troviamo la constatazione che Tommaso ha creduto perché ha veduto, e la beatitudine della fede: gli uomini, dopo gli apostoli, si troveranno nella condizione di non poter vedere Gesù fisicamente, ma se crederanno alla testimonianza degli apostoli contenuta nei Vangeli e trasmessa alla Chiesa, toccheranno con mano il potere salvifico di Gesù vincitore della morte, Dio e Signore (v. 29).

Nei vv. 30-31 abbiamo la prima conclusione del Vangelo di Giovanni. Gesù risorto ha operato molti segni in presenza dei suoi discepoli ma non tutti sono stati registrati nel racconto di Giovanni, ne sono stati conservati alcuni come testimonianza autorevole della messianicità e divinità di Gesù. Coerentemente con il resto del suo Vangelo Giovanni non parla di "miracoli" ma di "segni", perché essi hanno la funzione di suscitare la fede in Gesù Figlio di Dio, il quale è venuto per renderci partecipi della sua vita divina. È questo il fine del Vangelo, ci dice l'autore: che gli uomini credano in Gesù perché solo con la fede in Lui si ha la vita.

Concludiamo il nostro commento esegetico consigliando la visione (e la meditazione) del dipinto di Caravaggio Incredulità di san Tommaso (1601), nel quale il grande pittore lombardo ha rappresentato in maniera mirabile l'incontro tra il Risorto e l'apostolo.

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b. Il filo rosso In questa tappa vogliamo accostarci alla vicenda di Tommaso e alla sua

incredulità. Vogliamo provare anche noi a mettere il nostro dito nel segno dei chiodi e lasciarci risanare dal Risorto, per imparare ad essere persone di comunione.

Sperimentiamo nelle nostre comunità che vivere concretamente la comunione non significa che tutto possa sempre andare bene. Ci sono screzi e ripicche, errori e contraddizioni, gelosie e invidie, ... La comunione all’interno della nostra Chiesa tante volte è così difficile che rischiamo di scoraggiarci e perdere le nostre motivazioni. Sarà per questo che Tommaso ci è tanto simpatico! Ci ritroviamo in lui! Le sue difficoltà sono anche le nostre! Lo ammiriamo, perché ha avuto il coraggio di esprimerle andando fino in fondo, fino a mettere il dito nel segno dei chiodi di Gesù Risorto.

Il segno dei chiodi... Ciò che noi traduciamo con segno in realtà in greco è “sigillo”. Ed, in effetti, è possibile considerare quei segni come dei veri e propri sigilli di autenticità: essi ci dicono che l’uomo presente in mezzo ai discepoli è davvero il Gesù morto in croce. Ma, ancor più, ci dicono che Gesù ci ha amato di amore autentico, fino a dare tutto se stesso senza riserve e senza tentennamenti.

Il male che abbiamo vissuto nella nostra vita può aver lasciato un segno: la diffidenza, la paura di essere delusi o traditi nuovamente, la difficoltà a credere che possiamo essere amati! Sono queste e tante altre le nostre piaghe che ci impediscono di aprirci all’amore di Cristo, di consegnarci ai nostri fratelli, di edificare la comunione. Pensiamo a quante persone sono state ferite da esperienze negative fatte all’interno della Chiesa, a causa di incoerenze e di infedeltà! In definitiva, sperimentiamo che l’amore si associa inevitabilmente a gioie e a dolori, anche se noi vorremmo evitare i dolori! Papa Francesco scrive in Evangelii Gaudium 270:

«A volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri. Aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli

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altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente e viviamo l’intensa esperienza di essere popolo, l’esperienza di appartenere a un popolo»5.

Scopriamo che, contrariamente a quanto pensiamo, non siamo mai stati davvero soli nel nostro dolore. Cristo lo ha ascoltato, lo ha vissuto anche Lui per ciascuno di noi e con ciascuno di noi. Ci ha amato, sorretti e protetti. Questo dolore che tocchiamo nel costato di Cristo ha una sua potenza guaritrice su di noi. Alla luce di questa esperienza salvifica operata da Gesù Cristo, le nostre ferite anziché scoraggiarci diventano “segno”, anzi “sigillo” di un amore autentico, del nostro reale desiderio di bene per il fratello o la sorella.

c. Giovani La Pasqua ci fa vivere la nascita della Chiesa e ne rivela la natura. Essa

è comunità radunata nel Signore, fonte di pace e di gioia. Gesù promette in dono lo Spirito Santo e dà ai suoi apostoli e alla Chiesa il compito di continuare la sua missione nel mondo.

Quel piccolo gruppo di apostoli costituisce la Chiesa, che si estenderà fino ai confini del mondo. Gli apostoli avevano vissuto con il Signore la sua vita pubblica, erano stati radunati da Lui nel cenacolo e avevano ricevuto il mistero del suo corpo e del suo sangue, per fare memoria di Lui, rinnovando attraverso l’eucarestia la sua Pasqua di morte e resurrezione.

L’inizio della Chiesa ci richiama a quello che poi ognuno, nella propria vita di fede, è chiamato a vivere nella sua comunità, e ci suggerisce il valore dei piccoli gruppi di appartenenza, delle comunità dove il Signore vuole donare la nuova umanità, quella fondata sull’amore che viene da Cristo che crea nuove relazioni fra gli uomini, nuove relazioni con Dio e con le cose.

5 Cf Evangelii Gaudium 270. Al riguardo c’è anche Evangelii Gaudium 91: «È necessario

aiutare a riconoscere che l’unica via consiste nell’imparare a incontrarsi con gli altri con l’atteggiamento giusto, apprezzandoli e accettandoli come compagni di strada, senza resistenze interiori. Meglio ancora, si tratta di imparare a scoprire Gesù nel volto degli altri, nella loro voce, nelle loro richieste. È anche imparare a soffrire in un abbraccio con Gesù crocifisso quando subiamo aggressioni ingiuste o ingratitudini, senza stancarci mai di scegliere la fraternità».

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Con la sua Chiesa, il Signore vuole manifestare al mondo la natura e la qualità del suo Regno. Ogni gruppo, ogni comunità rappresenta il segno della realtà della Chiesa in mezzo agli uomini.

Questo vangelo lo ritroveremo a Pentecoste; questo tempo, dalla Pasqua a Pentecoste, è un costante invito a sperimentare Gesù vivo nella comunità dei fratelli e ad accogliere il dono del suo Spirito che accompagna il cammino di ogni uomo.

Gli apostoli, e ogni credente, riconoscono il Signore dalle sue ferite, cioè dai segni del dono della sua vita per noi e a noi. Da questo amore nasce la fede in Dio, la comunione tra i fratelli e la missione della Chiesa.

Tommaso ci mostra le difficoltà del credere, la pazienza del Signore, e anche quella della Chiesa per le difficoltà di ciascuno di noi. L’apostolo aveva abbandonato la comunità, e quando vi ritorna la testimonianza della comunità non lo convince, anzi, lo riempie di pretese. Anche lui, alla fine, riconosce il Signore dalle piaghe e con la sua professione di fede aiuta noi a riconoscere Gesù come nostro Dio e Signore.

È un invito a sperimentare, in questo tempo, che Gesù è presente vivo e vivificante nella sua Chiesa, a toccare con mano che la Chiesa è lì dove i fratelli sono radunati nell’amore e comprendere che la fede è un incontro personale che ha bisogno sempre della Chiesa; le varie crisi, i dubbi, le fughe, i ritorni fanno parte della vita di ognuno, ma al di sopra di tutto, c’è l’amore misericordioso di Gesù. Le sue ferite sono come il tatuaggio di ognuno di noi sul suo corpo glorificato, che testimonia la nostra appartenenza a Lui, che ci ha acquistati nel dono totale di sé.

La vicenda di Tommaso può essere l’immagine dei giovani in ricerca, in discussione, a volte in ribellione; l’importante è non perdere nel cuore la tensione alla ricerca della verità, del senso della vita e del Signore. Per questo anelito può essere fondamentale il seme che viene messo nel cuore attraverso i genitori cristiani e attraverso la catechesi e i sacramenti nel periodo dell’iniziazione cristiana, così come è importante per i giovani, nel problematico periodo adolescenziale e giovanile, mantenere dei contatti con ambienti e persone in cui si vive la fede.

Nella tua esperienza di Chiesa, che cosa significa che Gesù risorto è in mezzo a noi con le sue ferite e che Egli è la nostra pace?

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Come vivi la tua realtà di fede e di Chiesa nel tuo gruppo e nella comunità di appartenenza?

Che cosa ti rivela, nella tua vita, la figura di Tommaso di fronte alla comunità e al mistero di Cristo?

d. Famiglie

e. Carità e testimonianza «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi».

Al centro della comunità degli apostoli, al centro della fede, al centro della nostra vita c’è il Cristo Risorto, che viene in mezzo a noi.

Cristo Risorto manda noi a mostrare il volto di Dio agli uomini, ad incontrare le molteplici situazioni concrete che ci si pongono dinanzi; non possiamo voltarci di fronte ad essi.

Il nostro compito è farci presenti, renderci disponibili, toccare le ferite degli uomini e vedere in esse il Cristo Risorto. I segni dei chiodi di Gesù raccontano a Tommaso l’autenticità della sua apparizione. Le ferite dei nostri fratelli devono essere per noi segno della Sua presenza in ogni uomo.

Iniziativa del mese. In questo mese mettiamo da parte il nostro egoismo e rendiamoci attenti alle ferite degli uomini, malati nel corpo e nello spirito, che sono vicino a noi. Accogliamoli, ascoltiamoli: saranno posto privilegiato dell’incontro con Lui. A Pasqua, in particolare, facciamoci attenti ai bisogni alle persone che ci circondano instaurando un dialogo-ascolto: accogliamo/facciamo visita ad un familiare che vive la malattia.

f. La sofferenza interroga la vita Osservando i vari aspetti della comunità, ci troviamo tutto quello che

ne fa parte: il bello dello stare insieme, il pregare, il condividere … Ci troviamo anche le negatività che fanno parte della nostra umana debolezza. Le comunità si assomigliano un po’ tutte, nel bene e nel male. Immaginiamo la prima comunità, quella dei discepoli di Gesù, che dopo aver vissuto il dolore della perdita del loro Maestro, ha ritrovato la gioia

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della sua presenza da risorto! È bello riconoscerci nel loro stare insieme ma forse, più che in loro, ci riconosciamo in Tommaso e nella sua incredulità. Come Tommaso facciamo fatica a credere. Facciamo fatica a credere che tutto possa avere un senso, che le sofferenze che attanagliano il mondo (fame, guerre, malattie, violenze …) siano ferite curabili. L’incredulità di Tommaso è la nostra incredulità! Ma come lui, anche noi possiamo “toccare” le piaghe di Gesù risorto. A noi è data la possibilità di incontrarlo nella sofferenza nostra e in quella dei fratelli. È lì che si fa incontrare, toccare, curare e amare! È attraversando la sofferenza che possiamo riconoscere la Sua presenza che ci farà esclamare “mio Signore e mio Dio!”

Ascoltiamo la parola del Beato Luigi Novarese:

«Sì, accettare la sofferenza è bello ed è anche necessario che qualcuno soffra; ma, proprio io devo essere scelto a soffrire? Non potrebbe il Signore scegliere un altro al mio posto? Ho figli, a cui pensare; ho i genitori, che aspettano da me il sostentamento; ho la vita, . che mi si schiude dinnanzi col suo avvenire; ho l'apostolato, in cui tanto mi sento necessario... Queste le tanti riflessioni che si ripetono spesso nei nostri cuori di fronte alla sofferenza. Credo che il Signore, dinnanzi a queste riflessioni, debba guardare con occhio di dolce rimprovero e debba dire: “Parlare così, è umano, ma tu, uomo redento da me, hai un fine soprannaturale, che Io ti ho ridato”. Perché ogni sofferente non si senta un essere inutile, posto ai margini della vita, e sappia inoltre sfruttare la sua particolare posizione di infermo, è necessario che sia profondamente consapevole delle grandi possibilità costruttive che egli possiede anche se malato. La consapevolezza delle possibilità costruttive del dolore sfuggono a prima vista, perché il più delle volte, si considera il male come un intralcio allo svolgimento ordinario della vita; da qui hanno origine i lamenti, le proteste, le ribellioni di fronte al dolore. Non si tiene presente che noi siamo un composto d’anima e di corpo, e che, mediante la Redenzione, possiamo essere efficienti anche in un piano

soprannaturale». Guardando il Risorto che mostra le sue ferite, riesco ad accettare le mie mettendole a servizio della comunità?

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g. Attività per ragazzi6

Obiettivo (A): Riflettere sulla difficoltà di credere in ciò che non si vede, in ciò che

non è davanti ai propri occhi. Difficoltà di credere anche quando ciò che vediamo sembra essere il contrario di ciò che vorremmo vedere. Dubbi e ostacoli rappresentano luoghi in cui, se raccogliamo la sfida, il nostro cuore potrà crescere più saldo nel rapporto con Dio e la nostra fede, più forte. Tale riflessione viene fatta attraverso la figura dell’Apostolo Tommaso: ciò anche per mostrare come una figura del Vangelo possa suggerire un modello cui riferirsi.

Attività e Parola (B-C) A più voci, si può leggere con i ragazzi il testo di Gv 20,19-29 e

consegnare loro dei cartoncini colorati sui quali si trova fotocopiata la sagoma di un’impronta. La guida può invitare a scrivere su ogni impronta un interrogativo, un dubbio che riguardi la loro fede. In un tempo di raccoglimento ciascuno leggerà ad alta voce le sue domande e, una dopo l’altra, poserà per terra le sue “orme”, in direzione di un Crocifisso o di un’icona di Gesù. Al termine del giro, le impronte avranno formato come un cammino che conduce fino a Lui. Sempre lungo il cammino disponiamo delle pietre lisce, su cui invitiamo i ragazzi a scrivere il nome di alcuni ostacoli che sperimentano all’interno della comunità: ostacoli che mostrano, apparentemente, il contrario di quello che una comunità dovrebbe essere. La guida, quindi, spiegherà che incertezze, fatiche e dubbi nel cammino della fede possono rappresentare non solo e non tanto una sfida, ma anche un’opportunità, e se accettiamo di affrontarli con la comunità, con le persone che ci accompagnano, possono veramente farci crescere e rafforzare la nostra amicizia con Gesù.

Preghiera e Impegno (D-E) Concludiamo con questa preghiera di Paulo Coelho, su cui i ragazzi

possono fermarsi qualche istante per un momento di risonanza:

6 In appendice è possibile trovare lo schema dell’incontro settimanale per i ragazzi.

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Signore, proteggi i nostri dubbi, perché il Dubbio è una maniera di pregare. Esso ci fa crescere, perché ci obbliga a guardare senza paura le tante risposte a una stessa domanda. E affinché ciò sia possibile,

Signore, proteggi le nostre decisioni, perché la Decisione è una maniera di pregare. Dacci il coraggio, dopo il dubbio, di essere capaci di scegliere tra un cammino e l’altro. Che il nostro sì sia sempre un sì, e il nostro no sia sempre un no. Fa' che una volta scelto il cammino, non guardiamo indietro, né lasciamo che la nostra anima sia tormentata dal rimorso. E affinché ciò sia possibile,

Signore, proteggi le nostre azioni, perché l’Azione è una maniera di pregare. Fa' che il nostro pane quotidiano sia frutto del meglio di quanto abbiamo dentro di noi. Che possiamo, attraverso il lavoro e l’azione, condividere un po’ dell’amore che riceviamo. E affinché ciò sia possibile,

Signore, proteggi i nostri sogni, perché il Sogno, è una maniera di pregare. Fa' che, indipendentemente dalla nostra età o dalla situazione, siamo capaci di mantenere accesa nel cuore la fiamma della speranza e della perseveranza. E affinché ciò sia possibile,

Signore, riempici sempre di entusiasmo, perché l’Entusiasmo è una maniera di pregare. È lui che ci unisce ai Cieli e alla Terra, agli adulti e ai bambini, e ci dice che il desiderio è importante, e merita il nostro impegno. È lui che ci dice che tutto è possibile, purché ci impegniamo totalmente in ciò che facciamo. E affinché ciò sia possibile,

Signore, proteggici, perché la Vita è l’unica maniera che abbiamo per manifestare il Tuo miracolo. Che la terra continui a trasformare la semente in grano, che noi continuiamo a tramutare il grano in pane. E questo è possibile solo se avremo Amore - dunque, non lasciarci mai soli. Dacci sempre la Tua compagnia, e la compagnia di uomini e donne che hanno dubbi, agiscono e sognano, si entusiasmano e vivono come se ogni giorno fosse totalmente dedicato alla Tua gloria. Amen!

Adeguamento per i più piccoli…

I più piccoli, non hanno dei veri e propri dubbi di fede… per cui sarà più importante far conoscere la figura di Tommaso, come un amico di Gesù che

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supera alcune difficoltà.

Attività e Parola (B-C) Al centro dell’attività si pone la figura dell’Apostolo Tommaso, un amico di Gesù, un amico fidato, che per tanto tempo ha vissuto con Lui. Preparandosi prima con cura, si presenti ai bambini la figura di Tommaso, raccontando di lui, in forma narrativa, alcuni fatti presenti nei Vangeli.

1. Chiamato tra i Dodici (Lc 6, 13-16): incontriamo Tommaso tra gli Apostoli, chiamato da Gesù; nulla si sa della sua storia precedente, non si conoscono né luogo di nascita, né mestiere. Il suo nome, in aramaico, significa “gemello”.

2. Obbediente e pessimista (Gv 11, 1-16): Gesù ha lasciato la Giudea, diventata pericolosa: ma all’improvviso decide di ritornarci, andando a Betania, dove è morto il suo amico Lazzaro. I discepoli trovano che è rischioso, ma Gesù ha deciso: si va. E qui si fa sentire la voce di Tommaso, quasi ironico, ma pronto: "Andiamo anche noi a morire con lui". E’ sicuro che la cosa finirà male; tuttavia non abbandona Gesù: preferisce condividere la sua disgrazia, anche brontolando. In effetti, la cosa più importante è non distaccarsi mai da Gesù. Ma credere non gli è facile, e non vuol fingere che lo sia.

3. In ricerca e disorientato, candido e confuso (Gv 14, 1-7): eccolo all’ultima Cena, stavolta come colui che fa domande, un po’ disorientato. Gesù sta per andare al Getsemani e dice che va a preparare per tutti un posto nella casa del Padre, soggiungendo: "E del luogo dove io vado, voi conoscete la via". Obietta subito Tommaso: "Signore, non sappiamo dove vai, e come possiamo conoscere la via?". Scolaro un po’ duro di testa, ma sempre schietto, quando non capisce una cosa lo dice. E Gesù riassume per lui tutto l’insegnamento: "Io sono la via, la verità e la vita".

4. Incredulo ed entusiasta (Gv 20,19-29): Gesù è risorto; è apparso ai discepoli, tra i quali non c’era Tommaso. E lui, sentendo parlare di risurrezione “solo da loro”, crederà solo quando toccherà con mano, quando vedrà. È a loro che parla, non a Gesù: lui vuole vedere Gesù. Aveva detto: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia

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mano nel suo costato, non crederò!" (Gv 20, 25). E Gesù viene, otto giorni dopo, lo invita a “controllare”: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente" (Gv 20, 27). Ed ecco che Tommaso, il pignolo, vola fulmineo ed entusiasta alla conclusione, chiamando Gesù: “Mio Signore e mio Dio!”, come nessuno fino ad allora aveva mai fatto. E quasi gli suggerisce quella promessa per tutti, in tutti i tempi: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno".

5. Ancora con i Dodici (Gv 21, 1-14): Tommaso è ancora presente durante l’apparizione di Gesù al lago di Tiberiade. In At 1,3-14 il suo nome figura ancora insieme con gli altri e con Maria.

Proviamo a far immaginare ai bambini come fosse Tommaso: lasciamo che siano i bambini a rappresentarlo, facendo esprimere loro, a voce, le caratteristiche. Si potrebbero poi far rappresentare con disegni i fatti importanti relativi alla vita di Tommaso (chiamato con i dodici; con Gesù pronto a difenderlo o ad interrogarlo; con Gesù nell’atto di mettere il dito nelle piaghe, sulla barca che pesca con Pietro, ecc), magari attraverso fumetti, puntualizzando così le frasi dette da Tommaso in quelle circostanze o da Gesù che lo spinge a superare le difficoltà.

Preghiera e Impegno (D-E): Nel momento di preghiera, poniamo al centro un cartellone intitolato “Tommaso con Gesù”, su cui i bambini possono incollare disegni e parole. Ogni bambino, nell’atto di presentazione del suo disegno, può formulare una breve preghiera di richiesta a Gesù per chiedere aiuto nel superare, come Tommaso, le sue piccole difficoltà quotidiane. Ognuno può dire con una semplice formula ad alta voce: “Gesù, io credo in te, aiutami a superare le difficoltà”.

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h. Momento celebrativo a sfondo vocazionale

Adorazione Eucaristica “Dal mio limite a Cristo risorto”

(Il testo che segue è una breve riflessione da poter fare durante un’ora di adorazione eucaristica. Si parte dal vangelo corrispondente dell’incontro tra Gesù e Tommaso che può essere letto come testo di riferimento)

L’incontro tra Tommaso e Gesù mi porta a riflettere su due punti: le mie chiusure personali e l’opportunità che il Signore mi offre per compiere un vero e proprio salto di qualità; offrirò al Signore prima i mie limiti poi chiederò la grazia di poterlo contemplare.

Le mie chiusure Il Signore chiama tutti al suo amore tuttavia spesso abbiamo delle

resistenze, delle chiusure dovute al nostro uomo carnale, l’uomo guidato dallo spirito del mondo. L’uomo che persegue questa mentalità pensa di risolvere e affrontare le questioni senza apertura ma ripiegandosi, in modo egoistico e individualistico, sulle proprie cose. Nel cercare la soluzione si invischia in tenebre più fitte, come la preda che incantata dal predatore si getta proprio tra le sue fauci. Affidiamo al Signore queste nostre difficoltà. Come Tommaso di rifiutiamo di vedere.

Quali sono le mie chiusure? Ne conosco l’origine? Come reagisco alle ferite che porto con me?

Riflettiamo su questo brano preso dal salmo 139

8 Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti.

9 Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, 10 anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra.

11 Se dico: «Almeno l’oscurità mi copra e intorno a me sia la notte»;

12 nemmeno le tenebre per te sono oscure,

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e la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre sono come luce.

Vedere oltre. Tommaso è invitato a fidarsi dei condiscepoli e a guardare oltre le

ferite dei chiodi. Le ferite sono ormai le feritoie da dove poter intravvedere quello che sarà, anzi che già è. Gesù non gli si mostra per quello che è stato ma per quello che è ora, Il Signore risorto. Anche le ferite, pur se ancora presenti, sono state trasformate dalla risurrezione. Senza cancellare il passato, cioè la passione e la morte, che nella vita di Gesù non sono un errore di percorso, ora le ferite hanno un altro significato: le difficoltà, a volte, possono essere, nel piano del Signore il mezzo che usa per arrivare a farci contemplare ciò che ha cambiato radicalmente la nostra vita, la sua risurrezione.

Come la fede nella risurrezione tocca la mia vita? In che modo essa mi porta a riconsiderare le mie scelte? In che modo gli altri rientrano in questa storia di risurrezione?

5 Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe: la sua speranza è nel Signore suo Dio,

6 che ha fatto il cielo e la terra, il mare e quanto contiene, che rimane fedele per sempre,

7 rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati. Il Signore libera i prigionieri,

8 il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti,

9 il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l'orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi.

10 Il Signore regna per sempre, il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

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3. Settima tappa

Gv 14,15-21.

La comunità nella prova

scorge la presenza di Cristo 15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il

Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. 21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui».

a. Lettura esegetica La pericope evangelica scelta per la VI domenica di Pasqua appartiene

ai cosiddetti discorsi di addio che troviamo nei capitolo 13-17 del Vangelo di Giovanni, per la precisione da 13, 31 a 17, 26. Come si evince dalla citazione sono preceduti dalla lavanda dei piedi (13, 1-20) e dall'annuncio del tradimento di Giuda (13, 21-30).

Gesù, prima di affrontare la sua "ora", pronuncia un lungo discorso rivolgendosi esclusivamente ai discepoli, che rappresentano i credenti di ogni tempo, e quindi anche ciascuno di noi. Sono pagine di una profondità e ricchezza senza paragoni, anche nello stesso quarto Vangelo, e giustamente sono state definite il "testamento spirituale" di Gesù, imperniato su temi fondamentali: l'amore-agape ricondotto alla sua origine, che è la Trinità; la condizione del cristiano nel mondo, in particolare la persecuzione, ma anche il sostegno e la consolazione di Gesù; il dono e l'opera dello Spirito Santo; la preghiera di Gesù per la glorificazione del Padre, per i discepoli, per la Chiesa.

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L'incipit del nostro brano è un periodo ipotetico della realtà: data una certa premessa, ne scaturisce di necessità una determinata conseguenza. Gesù fa sempre appello alla libertà dell'uomo: Egli per primo gli offre il suo amore, desidera entrare in rapporto con lui in modo unico e personale, gli propone un legame intenso e irripetibile per unirlo a Sé tramite l'amore, ma solo se anche l'uomo lo desidera.

Questa è la premessa. Se si realizza, ne consegue che l'uomo interpellato osserverà i suoi comandamenti. Il termine greco tradotto con "comandamenti" viene usato nell'Antico Testamento greco (la cosiddetta Bibbia dei Settanta) per indicare il Decalogo, i Dieci Comandamenti. Sappiamo che essi sono parole di vita, parole che indicano il cammino della vita. Gesù parla di "suoi comandamenti", in questo caso l'espressione indica gli insegnamenti di Gesù che troviamo nei Vangeli, che hanno portato a compimento l'Antico Testamento e che trovano il loro compendio nel comandamento nuovo dell'amore: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). In sintesi possiamo dire questo: l'osservanza dei comandamenti di Gesù custodisce il nostro rapporto con Lui; la parola di Gesù custodisce noi e ci dona la vita.

Nei versetti successivi troviamo le promesse di Gesù. La prima riguarda il dono dello Spirito Santo che viene definito in due modi: Paraclito e Spirito della verità (vv. 16. 17), e mostra la mediazione di Gesù presso il Padre in favore dei credenti. Sarà Lui, dopo la risurrezione, a garantire la perenne effusione dello Spirito sui discepoli perché continuino la sua opera nel mondo. È la prima volta che nel Vangelo di Giovanni compare il termine di origine greca "Paraclito". Preso dal mondo forense, letteralmente significa "chiamato a" e indica il difensore in un processo, l'avvocato (in latino advocatus, chiamato a). Il mondo si opporrà ai discepoli e alla loro testimonianza, lo Spirito Santo avrà il compito di sostenerli, di fortificarli, di consolarli, ecco perché nella vecchia traduzione c'era il termine "Consolatore". È un «altro» Paraclito perché anche Gesù lo è; l'apostolo Giovanni infatti afferma: «Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto» (1Gv 2, 1).

Gesù lo chiama anche «Spirito della verità», perché grazie allo Spirito Santo avverrà l'interiorizzazione della Parola di Gesù, via, verità e vita.

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Questo è il motivo per cui il mondo, che nel Vangelo di Giovanni indica ciò che si oppone a Dio, non lo può ricevere.

Nella seconda promessa Gesù annuncia ai discepoli che dopo la morte lo rivedranno di nuovo. È un chiaro riferimento alla sua risurrezione, che allo stesso tempo comporterà un cambiamento nei discepoli. Il testo greco infatti dice "voi vivrete" parlando della nuova condizione dei discepoli dopo la Pasqua di Cristo: Egli vivrà in loro e loro vivranno in Lui.

L'ultima promessa riprende il tema iniziale dell'osservanza dei comandamenti di Gesù come conseguenza necessaria dell'amore del discepolo, che porta con sé l'amore del Padre e l'esperienza concreta della salvezza del Figlio.

b. Il filo rosso In questo modulo partendo dalle parole del brano biblico, prendiamo

coscienza della grande ruolo che la comunione può svolgere nella prova. Osservando i comandamenti di Cristo e in forza del dono dello Spirito Santo, nella comunità possiamo scorgere la presenza di Cristo anche nel momento della croce. Ripercorriamo alcuni elementi del testo.

Gesù sta facendo un discorso di addio ai suoi discepoli. Sta cercando di prepararli al momento della croce ormai prossima (Ancora un poco). Sembra che mettendo in guardia loro, intenda mettere in guardia anche noi, che viviamo i nostri momenti di croce. Sono i nostri momenti di scoraggiamento, di apparente non-senso, di fallimento umano, che spesso viviamo laddove dovremmo fare esperienza di comunione. Eppure noi siamo chiamati a non perdere la nostra speranza, a non abbandonare il progetto di comunione al quale abbiamo aderito, a non buttare il bene fatto e da fare.

Gesù sottolinea che passare attraverso la croce è possibile se continuiamo a scorgere la sua presenza accanto a noi (voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete). Questo è fondamentale! La comunità matura non è tanto quella senza turbamenti o contraddizioni, ma piuttosto si distingue perché in essa le difficoltà vengono vissute alla presenza di Cristo secondo il suo Vangelo. «Si tratta di imparare a scoprire Gesù nel volto degli altri, nella loro voce, nelle loro richieste. È anche imparare a

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soffrire in un abbraccio con Gesù crocifisso quando subiamo aggressioni ingiuste o ingratitudini, senza stancarci mai di scegliere la fraternità»7.

Per aiutarci in questo obiettivo, cogliamo due suggerimenti importanti.

1. Amare concretamente e profondamente Gesù e i fratelli. Dice Gesù: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti». Il verbo greco che sta per “osservare” significa sia “mettere in pratica” che “osservare con cura, meditare”.

a. Il primo significato (“mettere in pratica”) ci richiama ad una dimensione concreta e fattiva dell’amore che siamo chiamati a vivere per Cristo e, in Cristo, per gli altri fratelli e le altre sorelle. Del resto la vita comunitaria si basa su questa concretezza: chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede8.

b. Il secondo significato (“osservare con cura, meditare”) ci invita a non trascurare la dimensione profonda e meditativa, nella quale siamo chiamati ad approfondire il nostro rapporto con Dio e con noi stessi. «Giovanni ci invita a meditare su Gesù. A sentirci all’interno del suo spirito e in questo modo a diventare capaci di amare. Chi ama Gesù di questo amore che è dono dello Spirito, vive in modo più consapevole la sua vita; egli segue la luce. Questo si ripercuoterà anche sul suo modo di vivere. Il comportamento nuovo si esprime nel comandamento nuovo, che Giovanni non si stanca di ripetere: Amatevi gli uni gli altri. […] In questo modo entriamo in contatto con il nostro vero centro dal quale sgorga l’amore. La meta del nostro cammino di maturazione è l’amore! Con le sue parole e il suo esempio Gesù ci rende capaci di quest’amore che trasforma sempre più non solo noi, ma anche le nostre comunità»9. Il nostro rapporto con Gesù fonda la comunione dentro le nostre comunità.

2. Permettere che lo Spirito Santo rimanga in noi. Lo Spirito mandato dal Padre rimane (egli rimane presso di voi e sarà

in voi) nei discepoli in modo intimo e stabile10. La stabilità della sua

7 Evangelii Gaudium, 91.

8 1Gv 4,20.

9 GRÜN ANSELM, Il Vangelo di Giovanni. Gesù, porta della vita, Brescia 2004

2, 138.

10 GRÜN ANSELM, Il Vangelo di Giovanni. Gesù, porta della vita, Brescia 2004

2, 140: «La Spirito

è la presenza di Gesù che rimane in mezzo a noi e dentro di noi. Gesù non ci lascia orfani:

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presenza in noi diventa la nostra base sicura, il riparo dove curarci le ferite delle nostre sofferenze, il nido dove sperimentarci amati, la fonte dalla quale dissetarci di sicurezza e di pace. Se portiamo questa base sicura in noi, possiamo andare incontro ai nostri fratelli e sorelle con quella libertà interiore necessaria per essere davvero edificatori di comunione. Infatti solo così troviamo equilibrio dentro di noi e possiamo andare incontro agli altri senza sbilanciamenti fatti di attese e pretese inopportune che rompono la comunione.

c. Giovani Siamo nel cuore della celebrazione pasquale e il Signore dice ai suoi

discepoli e a noi come essere il popolo della Pasqua. L’amore ne è l’essenza. Gesù ci dice che il nostro amore a Lui fa accogliere la sua persona e

vivere del suo amore, e questo è possibile perché il suo amore, donato per primo, è efficace in noi. Di conseguenza, possiamo obbedire alla sua Parola ed essere fedeli al suo progetto di umanità. Questa è la vita della Chiesa, nuova umanità, nuova perché rigenerata dall’amore.

Gesù non ci lascia orfani, soli, senza sostegno, ma ci riempie della presenza dello Spirito che ci fa vedere e gustare la presenza di Gesù risorto e ci fa vivere nella comunità cristiana la comunione piena e profonda con Dio nel suo Figlio Gesù Cristo e tra di noi.

Questa comunione genera un particolare stile di vita e ci dà il coraggio di dare ragione di quello in cui crediamo e di ciò che speriamo. Questa è la Chiesa universale, il popolo di Dio, corpo di Cristo; questa è la Chiesa vissuta nella fede e nell’amore in ogni piccola comunità.

Il gruppo dei suoi discepoli, animato dalla fede, accoglie lo Spirito Santo, mentre il mondo non lo conosce e lo rifiuta.

I giovani oggi stanno sperimentando quanto sia difficile vivere la vita cristiana e avere uno stile di vita cristiano in un mondo che non solo non guarda Dio, ma spesso è contro Dio. Molte volte i giovani si trovano soli come credenti nel gruppo della classe, nel gruppo sportivo e degli amici e

egli sta con noi e in noi in un modo nuovo; egli ci è addirittura più vicino di quanto lo fosse durante la sua vita sulla terra. Ora infatti egli abita nei nostri cuori […]. La dipartita di Gesù ci rende capaci di una più profonda comunione con Lui. Ora non possiamo più essere separati da Lui. È per noi più intimo di quanto lo siamo a noi stessi».

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vivono numerose, e a volte insuperabili, difficoltà nell’essere fedeli al Signore.

La tentazione culturale di fronte a cui si trovano consiste nel pensare che la vita cristiana sia qualcosa fuori dal mondo, che ormai sia questo il mondo di oggi, che siano altri i valori che portano il progresso, che la religione sia un ostacolo allo sviluppo e che al massimo essa si riduca soltanto ad un fatto privato.

Da questa tentazione il Signore vuole difenderli. Dona lo Spirito Paraclito, cioè avvocato, difensore; come è stato Gesù in mezzo ai suoi, lo Spirito Santo lo è nella Chiesa, per continuare l’opera di Gesù come guida e maestro. Lo Spirito ci difende di fronte agli inganni del mondo, ci incoraggia alla testimonianza di amore nella perseveranza e nella fedeltà, in un mondo ostile.

È Spirito di verità perché ci illumina e ci aiuta a far chiarezza dentro di noi, a cogliere il senso degli avvenimenti del mondo con la verità di Gesù e del Vangelo.

Ecco l’importanza della piccola comunità che vive alla luce del Vangelo: accoglie il dono di comunione che viene dall’eucarestia e vive uno stile di vita di amore, di condivisione e di servizio.

Come riesci a vivere nel tuo gruppo, nella tua comunità, nella tua parrocchia, la fedeltà a Gesù e ad uno stile di vita cristiano?

Quali sono le difficoltà più grandi che trovi nel tuo ambiente per vivere la fedeltà alla Chiesa? Dove trovi aiuto e sostegno per essere fedele e testimone?

d. Famiglie

e. Carità e testimonianza «Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anche io lo amerò e mi

manifesterò a lui»

Lo Spirito di verità, che è in noi, ci chiama a vivere in una dimensione comunitaria, con gli uomini e con Dio, in modo da essere compenetrati dal suo amore.

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La carità è alimentata dalla comunione con Dio e dalla comunione orizzontale con i nostri fratelli. Accogliere nella carità significa non vivere da orfani, ma vivere da figli amati e, a nostra volta, amanti.

Chi accoglie i miei comandamenti… ricordiamoci che il primo comandamento è l’amore.

Iniziativa del mese. Facciamo esperienza di questo amore partecipando insieme alla Veglia di preghiera per il lavoro. Assumiamo un atteggiamento responsabile e caritatevole nei nostri luoghi di “lavoro”: casa, scuola, luogo di lavoro.

f. La sofferenza interroga la vita Gesù rassicura i suoi discepoli e anche noi che manderà lo Spirito che

resterà con noi per sempre. La certezza della Sua presenza dà forza alla comunità per superare le difficoltà pastorali, quelle di relazione fra le persone e tutto quello che può dividerci. Sono momenti di prova che chiamiamo croci che ci fanno assaporare i nostri limiti, le nostre fragilità umane e che mettono a dura prova lo stare insieme nel nome di Gesù.

Per superare tutto ciò, ci viene donato lo Spirito che viene in aiuto alla nostra debolezza e che ci fa entrare in noi stessi dove Lui dimora e prega per noi il Padre.

All’inizio della nostra personale storia di salvezza e di fede ci deve essere il silenzio. Il silenzio che ascolta, che accoglie, che si lascia animare.

Procedendo nelle incertezze della Fede, tutti sappiamo quanto sia lento ed impegnativo l’ascolto, quanto sia faticosa e progressiva la piena comprensione della Parola.

Il Beato Luigi Novarese ci indica la via:

«Nulla di più bello e di fecondo del silenzio, come ambiente in cui custodire e stabilire in noi l’unione con Dio:

- il silenzio del chicco di grano che sotto terra muore e nello stesso tempo germoglia alla vita;

- il silenzio della notte in cui il fiore e l’erba raccolgono la rugiada per maggiormente poi riflettere, durante il giorno, la bellezza dei propri colori;

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- il silenzio del pensiero che medita, studia, confronta, proclamando con tale attività l’esistenza ed il lavorio dello spirito;

- il silenzio dell’amore che si dona senza alcuna riserva sull’esempio del Cristo;

- il silenzio della culla di Betlhem e dell’Orto degli Ulivi, interrotto dai vagiti del Divin Redentore, dalle esclamazioni verso il Padre: “Se è possibile, passi da me questo calice”;

- il silenzio della preghiera del Cristo che sale verso il cielo quale grido d’amore e d’intercessione per tutta l’umanità;

- il silenzio del Calvario rotto soltanto dalle sette parole del Cristo morente che dicono il Suo amore e la Sua precisa volontà di salvezza del genere umano.

- Il silenzio di cui è attorniata la tua vita di sofferente che quasi ti rende sconosciuto agli occhi degli uomini e della tua stessa famiglia;

- Il silenzio della tua lunga giornata di dolore che ripete i timori continui intravisti nelle tue interminabili notti insonni;

- Il silenzio del tuo cuore, che non osa più sperare; - Il silenzio della tua vita che ti pare espressione e ripetizione del

ramo reciso dalla pianta, destinato ad intristire ed inaridire; - Il silenzio del tuo cuore che si sente escluso dal grande concerto

della vita; - Il silenzio del tuo corpo che soffre e si disfa mentre vorrebbe

affermare attorno a te la vita e l’amore;

Nulla ci fa trepidare quanto il silenzio; nulla è più fecondo di esso, perché nel silenzio si ode il pulsare dell’universo. Nel silenzio sorgono i propositi di generosità, di dedizione, di amore, di pentimento, di superamento di se stessi. Nel silenzio la consumazione di una vita spesa per il prossimo. Nel silenzio maturano e si attuano i progetti della grandi imprese.

Per te che soffri, nulla di più comune e fecondo del silenzio».

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g. Attività per ragazzi11

Obiettivo (A) Portare i ragazzi a comprendere che l’esperienza di Gesù, vissuta nella

comunità, immette un “valore aggiunto” alla nostra capacità di amare, che ci permetterà di superare le prove della vita.

Attività (B) Ognuno di noi percorre le strade della propria città o nel proprio

paese. E su queste strade, passo dopo passo, scelta dopo scelta, incontri dopo incontri, abbiamo la possibilità di volere bene, di amare proprio come ha amato Gesù.

Consegniamo a ciascun ragazzo una mappa, l’immagine di un insieme di “strade” che si incrociano (se possibile, anche in grande su un foglio A4). Ogni ragazzo ne sceglie una: essa rappresenterà quella che il ragazzo percorre giorno dopo giorno, la sua strada, quella sulla quale Gesù lo chiama ad esercitarsi nell’arte dell’amore. Ognuno ha una sua strada da percorrere e lungo questa strada incontra altre persone, situazioni particolari. E ogni strada è diversa per ciascuno. Ogni ragazzo perciò sarà chiamato a inserire nella propria strada gli elementi che la compongono (la famiglia, gli amici di scuola, qualche situazione di difficoltà, di malattia o di povertà che conoscono…). Viene fatto notare che su quella strada, ci è chiesto di imparare a volere bene, a donare un pezzetto del proprio cuore, come il personaggio del racconto qui sotto:

Il cuore più bello del mondo C'era una volta un giovane in mezzo a una piazza gremita di persone:

diceva di avere il cuore più bello del mondo, o quantomeno della vallata. Tutti quanti gliel'ammiravano: era davvero perfetto, senza alcun minimo difetto. Erano tutti concordi nell'ammettere che quello era proprio il cuore più bello che avessero mai visto in vita loro, e più lo dicevano, più il giovane s'insuperbiva e si vantava di quel suo cuore meraviglioso.

All'improvviso spuntò fuori dal nulla un vecchio, che emergendo dalla folla disse: "Beh, a dire il vero… il tuo cuore è molto meno bello del mio”.

11

In appendice è possibile trovare lo schema dell’incontro settimanale per i ragazzi.

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Quando lo mostrò, aveva puntati addosso gli occhi di tutti: della folla, e del ragazzo. Certo, quel cuore batteva forte, ma era ricoperto di cicatrici. C'erano zone dove dalle quali erano stati asportati dei pezzi e rimpiazzati con altri, ma non combaciavano bene - così il cuore risultava tutto bitorzoluto. Per giunta, era pieno di grossi buchi dove mancavano interi pezzi.

Così tutti quanti osservavano il vecchio, colmi di perplessità, domandandosi come potesse affermare che il suo cuore fosse bello.

Il giovane guardò com'era ridotto quel vecchio e scoppiò a ridere: "Starai scherzando!", disse. "Confronta il tuo cuore col mio: il mio è perfetto, mentre il tuo è un rattoppo di ferite e lacrime”. "Vero", ammise il vecchio. "Il tuo ha un aspetto assolutamente perfetto, ma non farei mai a cambio col mio. Vedi, ciascuna ferita rappresenta una persona alla quale ho donato il mio amore: ho staccato un pezzo del mio cuore e gliel'ho dato, e spesso ne ho ricevuto in cambio un pezzo del loro cuore, a colmare il vuoto lasciato nel mio cuore. Ma, certo, ciò che dai non è mai esattamente uguale a ciò che ricevi - e così ho qualche bitorzolo, a cui sono affezionato, però: ciascuno mi ricorda l'amore che ho condiviso.

Altre volte invece ho dato via pezzi del mio cuore a persone che non mi hanno corrisposto: questo ti spiega le voragini. Amare è rischioso, certo, ma per quanto dolorose siano queste voragini che rimangono aperte nel mio cuore, mi ricordano sempre l'amore che provo anche per queste persone. E chissà? Forse un giorno ritorneranno, e magari colmeranno lo spazio che ho riservato per loro. Comprendi, adesso, che cosa sia la VERA bellezza?" Il giovane era rimasto senza parole, e lacrime copiose gli rigavano il volto. Prese un pezzo del proprio cuore, andò incontro al vecchio, e gliel'offrì con le mani che tremavano. Il vecchio lo accettò, lo mise nel suo cuore, poi prese un pezzo del suo vecchio cuore rattoppato e con esso colmò la ferita rimasta aperta nel cuore del giovane. Ci entrava, ma non combaciava perfettamente, faceva un piccolo bitorzolo.

Il giovane guardò il suo cuore, che non era più "il cuore più bello del mondo", eppure lo trovava più meraviglioso che mai: perché l'amore del vecchio ora scorreva dentro di lui. (Storiella indiana)

Dopo la condivisione della propria strada, ogni ragazzo è chiamato 1) ad individuare le situazioni e le persone in cui scorgono la presenza di Gesù,

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e che lo aiutano nei momenti di prova, e 2) a riflettere sul modo di amare con l’aiuto e l’esempio di Gesù, le persone o le situazioni che ha messo sulla sua strada. Questo modo sarà il “sempre più”: “amore che il Signore mi dona, e che sono chiamato a ri-donare a chi incontro”. Si chiederà ai ragazzi di scrivere il proprio “sempre più” su un foglio di carta velina bianca dello stesso formato di quello delle strade.

Parola e Preghiera (C-D) Si prepari un momento di preghiera durante il quale si leggerà il brano

biblico (Gv 14,15-21) previsto per questo mese. Ogni ragazzo potrà ripetere una frase o un versetto che più lo ha

colpito, e poi insieme, come rispondendo a queste parole di Gesù, si leggerà ad alta voce la seguente preghiera:

«Prendi, Signore, e ricevi tutta la mia libertà, la mia memoria, la mia intelligenza e tutta la mia volontà: tutto ciò che ho e possiedo; tu me lo hai dato, a te, Signore, lo ridono; tutto è tuo, di tutto disponi secondo la tua volontà: dammi solo il tuo amore e la tua grazia; e questo mi basta».

(S. Ignazio di Loyola)

Impegno (E): La guida inviterà a vivere quel “sempre più” in modo concreto. È un

dono e un impegno. Segno concreto di questo desiderio è fissare il foglio trasparente sopra quello delle strade: è sufficiente pinzare un lato, in modo che si apra a libro: scegliere di amare sempre più sarà un impegno che investe e cambia tutta la nostra vita, ma anche quella delle persone che ci incontrano. Amare sempre più ci fa Chiesa!

Adeguamento per i più piccoli... Per i bambini, si può usare la stessa attività delle strade, chiedendo

loro di colorare una strada e di applicare sopra dei biglietti a forma di cuore su cui ognuno precedentemente avrà scritto il nome di una persona che vorrebbe amare di più. Al termine ogni bambino avrà una strada colorata e piena di cuori.

A seguire, sarà possibile anche per loro condividere i percorsi di ciascuno e unire tutte le mappe prodotte in una sola, da offrire poi all’Altare, magari la domenica successiva, durante la Messa dei Giovani.

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h. Momento celebrativo a sfondo vocazionale

Perché scoprire la propria vocazione Scoprire la propria vocazione significa innanzitutto mettere radici e

portare frutto nella propria persona. La vocazione, infatti, ha come una

doppia direzione di sviluppo, verso il vissuto (le radici) e verso quello che

sarà (i frutti), in questo modo essa ha la capacità di dare senso e valore alle

nostre scelte sia passate che future. Verso il passato perché nell’ottica

della vocazione scopriamo che quello che abbiamo vissuto ci ha portato, in

modo misterioso, superiore alla nostra immediata comprensione, a

compiere delle scelte buone per la nostra vita adesso, e verso il futuro

perché la vocazione ormai consolidata ci apre ad un futuro pieno di senso e

le scelte diventano consequenziali.

In questo senso scoprire la vocazione è come il “non rimanere orfani”

del vangelo sul quale stiamo meditando. L’amore infatti è qualcosa da cui si

nasce ed è qualcosa che ci attende. Questo è proprio di Dio, siamo suoi ed è

lui ad attenderci, ci “circonda” con il suo amore. Scoprire la propria

vocazione significa perciò accorgersi di questo amore, avendo perciò, come

risultato, una nuova comprensione di sé, di Dio e del mondo.

Poniamoci alcune domande:

1. Sto vivendo la mia vocazione, oppure sono ancora in ricerca?

2. C’è qualcuno che mi aiuta nella scoperta della mia vocazione?

3. Considero la vocazione come un obbligo di Dio su di me oppure

l’opportunità di amare Dio?

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4. Ottava tappa

Gv 20,19-23.

La comunione non è un ideale,

ma una realtà dello Spirito Santo!

19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse

le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

a. Lettura esegetica La lettura esegetica è già stata inclusa nella sesta tappa, trattandosi di

una parte dello stesso brano.

b. Il filo rosso La nostra tappa conclusiva non poteva che essere la Pentecoste. Non

ci vuole molto nella vita di fede per comprendere che l’unica comunione possibile non è certo cosa umana, ma è frutto dell’azione dello Spirito di Dio. Siamo chiamati allora a riscoprirlo e a lasciarlo agire in noi e nelle nostre comunità. Quest’ultimo brano ci offre degli spunti utili, che poi intendiamo approfondire con le parole di Dietrich Bonhoeffer tratte dal suo libro “Vita Comune”.

Ma partiamo da alcune suggestioni offerte dal testo.

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1. Quando Gesù appare ai discepoli e compie due azioni: stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Troviamo in esse due elementi fondanti la comunità.

Stette in mezzo. La comunità è davvero tale se ha al centro il Cristo risorto. Il suo è uno stare solenne: al modo di chi presiede! È una presenza di rilievo, persino vitale! È il riferimento fondamentale, il criterio che illumina della giusta luce ogni cosa possa esserci attorno. È il faro che illumina le nostre notti buie, che ci orienta nelle tempeste che abbiamo paura di affrontare dentro di noi e dentro le nostre comunità.

«Pace a voi!». Colui che sta al centro ed è fonte di pace è il Cristo risorto! Solo il Risorto può dare davvero la pace piena e definitiva, perché solo Lui ha donato totalmente se stesso rivelando un amore perfetto. E da dove potrebbe giungere la pace vera, se non da un amore perfetto!?!

2. L’effusione della Spirito Santo è tutt’uno con la costituzione della comunità degli apostoli. Senza lo Spirito non esiste comunione e, quindi, non esiste comunità. Non esiste la Chiesa!

Ma come intendiamo la comunione? Molte volte facciamo esperienze fallimentari di comunione perché diverse persone la intendono in modo diverso e tentano di edificarla ciascuno seguendo il proprio ideale, cozzando con gli altri e producendo il caos. Dice Bonhoeffer che la comunione non è un ideale, ma è una realtà “pneumatica”, cioè una realtà dello Spirito Santo (che in greco è detto “pneuma”). Cosa significa questa frase così apparentemente difficile, eppure tanto vera? Così spiega Bonhoeffer:

«Chi vuol aver più di quanto Cristo ha stabilito fra di noi, non vuole fraternità cristiana. Egli cerca qualche sensazionale esperienza di comunione, immettendo nella fraternità cristiana desideri confusi e impuri. È questo il punto in cui la fraternità cristiana, il più delle volte già nell’atto del suo costituirsi, corre il pericolo del più sottile inquinamento, scambiando il devozionismo con la fraternità cristiana.

In moltissimi casi un’intera comunità cristiana si è dissolta, in quanto si fondava su un ideale. E spesso è proprio il cristiano che entra per la prima volta in una comunione di vita cristiana, a portarsi dietro un’idea ben precisa del vivere insieme tra cristiani e a cercare di realizzarla. Ed è poi la grazia di Dio che fa rapidamente svanire simili sogni. Dobbiamo cadere in

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preda a una grande delusione circa gli altri, i cristiani in genere e, se va bene, anche circa noi stessi, e a questo punto Dio ci farà conoscere la forma autentica della comunione cristiana. È la pura grazia di Dio a non permettere che viviamo nell’ideale, nemmeno per poche settimane, che ci abbandoniamo a quelle gratificanti esperienze e a quella fede esaltante che ci sopraggiungono come un’ebbrezza. Dio infatti non è un Dio delle emozioni dell’animo, ma un Dio della verità. La comunità comincia a essere ciò che deve essere davanti a Dio solo quando incorre nella grande delusione […]. È un vantaggio per tutti che questa ora della delusione circa gli individui e la comunità sopraggiunga quanto prima. Ma una comunione incapace di sopportare e di sopravvivere a tale delusione, per il fatto di dipendere dall’ideale, con la perdita di questo perde anche la promessa di una stabile esistenza che è data alla comunione cristiana, e quindi prima o poi per forza va in rovina.

Qualsiasi ideale umano, immesso nella comunione cristiana, ne impedisce l’autentica realizzazione, e deve essere distrutto perché possa vivere la comunione vera. Chi ama il proprio sogno di comunione cristiana più della comunione cristiana effettiva, è destinato a essere un elemento distruttore di ogni comunione cristiana, anche se è personalmente sincero, serio e pieno di abnegazione ... Chi si costruisce un’immagine ideale di comunione, pretende la realizzazione di questa da Dio, dagli altri e da se stesso. Nella comunità cristiana avanza esigenze sue, istituisce una propria legge e giudica in base a essa i fratelli e perfino Dio. Si impone con durezza, quasi un rimprovero vivente nel gruppo dei fratelli. Fa come se spettasse a lui solo creare la comunione cristiana, come se fosse il suo ideale a legare insieme gli uomini. Ciò che non va secondo il suo volere è preso da lui come un fallimento. Quando il suo ideale fallisce, pensa che si tratti della rovina della comunità. E così diventa prima accusatore dei fratelli, poi accusatore di Dio e infine si riduce disperatamente accusatore di se stesso.

È Dio ad aver già posto l’unico fondamento della nostra comunione. È Dio ad averci unito con altri cristiani in un solo corpo, in Gesù Cristo, ben prima che iniziassimo una vita comune con alcuni di loro. Per questo la nostra funzione nel vivere insieme ad altri cristiani non è quella di avanzare esigenze, ma di ringraziare e di ricevere. Ringraziamo Dio, per ciò che egli ha operato in noi. Ringraziamo Dio, perché ci dà dei fratelli che vivono la

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sua chiamata, il suo perdono dei peccati, la sua promessa. Non reclamiamo per quello che da Dio non ci vien dato, ma lo ringraziamo per quello che ci dà quotidianamente: l’eternità12».

Incredibile! Rischiamo di vivere qualcosa di tragicomico: ci disperiamo perché la comunione ideale che sogniamo non si realizza, mentre basterebbe lasciarci guidare dallo Spirito Santo per scoprire di averla già realmente da prima che la cercassimo!

c. Giovani La proposta di questo vangelo ci invita a verificare la nostra fede nel

Risorto presente nella sua Chiesa e nel dono dello Spirito Santo. Ci fa scoprire e vivere la comunità, luogo di amore e di pace, e la missione della Chiesa verso tutti gli uomini, una missione che è nella logica dell’amore gratuito del Padre rivelato in Gesù Cristo, morto e risorto, e nel dono dello Spirito santo, nell’amore che perdona e che ci rende capaci di perdonare.

Fondamento del Cristianesimo è, quindi, l’esperienza della gratuità dell’amore di Dio che, solo, ha il potere di rigenerare l’uomo, di dargli la dignità, la gioia di vivere e la comunione con i fratelli. È importante per ogni comunità cristiana vivere concretamente la fede, che genera relazioni di amore, scelte concrete della vita e l’essere in mezzo al mondo e per il mondo. E dall’amore ricevuto e vissuto, si può guardare al mondo con lo stesso amore di Cristo e farsi carico dell’umanità.

La comunità cristiana non nasce dalla forza della legge, degli ideali o dell’organizzazione, ma dalla legge dell’amore e si presenta quindi al mondo testimoniando un amore che non giudica, che non condanna, ma che tutto dona e tutti accoglie.

Capiamo con quale forza, dal giorno di Pentecoste, gli apostoli iniziano l’annuncio di Cristo e l’esperienza della nuova umanità nella Chiesa.

Nel messaggio per la Quaresima papa Francesco ci ha detto: “Il Vangelo è il vero antidoto contro la miseria spirituale: il cristiano è chiamato a portare in ogni ambiente l’annuncio liberante che esiste il perdono del male commesso, che Dio è più grande del nostro peccato e ci ama gratuitamente, sempre, e che siamo fatti per la comunione e per la

12

BONHOEFFER DIETRICH, Vita comune, Queriniana, Brescia 2003, pp. 21-23.

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vita eterna. Il Signore ci invita ad essere annunciatori gioiosi di questo messaggio di misericordia e di speranza! È bello sperimentare la gioia di diffondere questa buona notizia, di condividere il tesoro a noi affidato, per consolare i cuori affranti e dare speranza a tanti fratelli e sorelle avvolti dal buio. Si tratta di seguire e imitare Gesù, che è andato verso i poveri e i peccatori come il pastore verso la pecora perduta, e ci è andato pieno d’amore. Uniti a Lui possiamo aprire con coraggio nuove strade di evangelizzazione e promozione umana…”.

Ai giovani assetati d’amore e di vita, Gesù vuole donare il suo Spirito e li chiama a essere strumenti di una nuova umanità. Come ci ha suggerito papa Francesco, loro possono aprire nuove vie di evangelizzazione.

Ogni giovane è chiamato a porsi le seguenti domande.

Cerco in Cristo la risposta alle profonde domande e attese che porto nel cuore?

Nel mio progetto di vita è presente l’invito di Gesù a essere responsabile dei miei coetanei e del mondo in cui vivo per essere costruttore di una nuova umanità?

Come mi affido all’entusiasmo che viene dal dono dello Spirito Santo, per giocarmi la vita con quel coraggio che mi viene suggerito dal Papa? Come lo vivi nel tuo gruppo, nella tua comunità?

d. Famiglia Mentre nel precedente modulo Gesù promette ai suoi discepoli di non

lasciarli orfani e di pregare il Padre affinché mandi loro lo Spirito Paraclito (non vi lascerò soli…. E io pregherò il Padre ed Egli vi manderà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre), in quest’altro, tratto dal brano evangelico di Gv 20, 19-23, viene illustrato dettagliatamente, come se fosse tratteggiato in un quadretto dipinto, il compimento di questa promessa.

Ci troviamo a Gerusalemme, la sera dello stesso giorno di Pasqua, quello della resurrezione di Cristo e i discepoli sono radunati insieme in un cenacolo, in un nascondiglio, a porte chiuse, precisa il testo, per timore dei Giudei.

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Sembra proprio un paradosso! Il giorno della resurrezione di Cristo che dovrebbe essere un giorno palese di vittoria della luce sulle tenebre, della morte sulla vita, una comunità di discepoli si raduna furtivamente e sommessamente a porte sprangate, nel chiuso delle loro paure: paura di essere scoperti, di professare liberamente la propria fede, di avere creduto invano a Gesù, di una vita vuota, di aver perduto le cose vecchie senza averne trovato delle altre nuove. In fondo, le paure degli apostoli sono le nostre stesse paure, i loro timori sono i nostri stessi timori. Anche noi, a volte, abbiamo paura di professarci cristiani, di essere scoperti e rinchiudiamo la nostra fede nell’angustia di un luogo chiuso, riducendola a puro individualismo ed intimismo spirituale. Le porte chiuse del cenacolo ci confermano anche che, dietro ai battenti di quella stanza serrata, ciascun apostolo era chiuso nella sua solitudine per cui non c’era comunione, condivisione, comunità, tutto il contrario di quella prima comunità cristiana descritta in At 1,14: erano perseveranti e concordi nella preghiera. A questo punto e il brano evangelico ce lo ricorda: Venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse “Pace a voi ! … Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse “Ricevete lo Spirito Santo”.

E’ proprio vero: solo la venuta di Gesù risorto che trasmette la sua pace attraverso il dono del suo santo Spirito, può abbattere il muro dei nostri timori e liberare la Chiesa da tutte le sue paure! Ricca dello Spirito di Cristo, la Chiesa può vivere ora il tempo della gioia e della libertà, della comunione e dell’unità, del coraggio e della pace, della fiducia e della sicurezza. A tal proposito, ci piace far nostra la preghiera di padre David Maria Turoldo: «Pure per noi sia veramente Pasqua, Signore. Vieni ed entra nei nostri chiusi cenacoli perché abbiamo tutti e di tutto paura: paura di credere, di non credere, di essere liberi e poiché la tentazione di cintarci in antichi steccati è sempre grande, vieni ed abbatti le porte dei cuori, le diffidenze e i molti sospetti soprattutto tra quanti dicono di credere».

Pace a voi! Queste parole risuonano da quel giorno nel cenacolo fino ai tempi nostri, ogni volta che ci sentiamo turbati, sfiduciati ed increduli. Ed il testo continua : «Mostrò loro le mani e il fianco ed essi gioirono nel vedere il Signore». Gesù si rende presente con il suo corpo, mostra le sue ferite, i segni della sua passione e della sua croce. In fondo, il Cristianesimo non è uno sbiadito sentimentalismo ma è adesione di vita a Colui che ha

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donato la sua vita liberamente per noi sino al punto di farsi appendere ad una croce. Le nostre comunità possono definirsi cristiane solo e nella misura in cui compartecipano alla morte e resurrezione di Cristo, solo se prendono familiarità con le sue piaghe.

Nella pace di Cristo che ridona il perdono dei peccati ( a coloro che rimetterete i peccati saranno rimessi e a coloro che non li rimetterete non saranno rimessi) e con l’aiuto dello Spirito Santo, la Chiesa riceve il suo mandato missionario. Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi. La Chiesa è per sua natura missionaria. La dimensione missionaria è una dimensione essenziale della Chiesa e di ogni vocazione al suo interno. Cristo è il missionario del Padre, Colui che è mandato dal Padre a svolgere la sua missione di salvezza agli uomini e noi, in quanto battezzati ed incorporati a Lui, partecipiamo della Sua stessa missione. Ed allora quanto onore dovremmo sentire per questo incarico che ci affida Gesù, quanta riconoscenza e gratitudine dovrebbe sgorgare dai nostri cuori per la grandezza di questa chiamata: essere cooperatori di Dio e portare nel mondo un riflesso del Suo amore, annunciando a tutti il suo vangelo di salvezza.

e. Carità e testimonianza “Stette in mezzo e disse loro:«Pace a voi!»

La carità è saper riconoscere il Signore Risorto che si fa presente a noi e saper riconoscere l’incontro con il Dio vivo accettando di passare per la passione e la morte.

La carità è vivere in atteggiamento di pace, in comunione con Lui che diventa comunione ecclesiale, nell’accettazione dei limiti e dei pregi dell’altro.

La carità è essere pronti alla missione per mostrare, nella straordinarietà o nella quotidianità, il volto misericordioso del Padre, Dio della pace.

Iniziativa del mese. Facciamo esperienza di carità e di pace prestando il nostro tempo a servire i fratelli più bisognosi. Organizziamoci come

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singoli, come gruppo, come parrocchia per prestare un servizio alla Mensa AGAPE presso la Cittadella dell’Accoglienza in via Alento.

f. La sofferenza interroga la vita In questi mesi abbiamo condiviso il tema dell’Anno Pastorale della

diocesi di Pescara-Penne: “La Chiesa è Comunione”. In questo spazio dedicato alla sofferenza che tocca l’umanità nei suoi

vari aspetti, ci siamo serviti dell’insegnamento del Beato Luigi Novarese, chiamato da Giovanni Paolo II “l’Apostolo dei malati”.

I sofferenti sono inseriti nella Comunità dove vivono la loro realtà e per dono dello Spirito Santo testimoniano con la vita che c’è uno sbocco per tutti, che la sofferenza non chiude alla relazione con gli altri, anzi, se accettata e donata apre gli orizzonti più nascosti che lo Spirito suscita per la nostra Fede!

A questo proposito, lasciamo che sia ancora il Beato Luigi Novarese a illuminarci con la sua parola:

«Senza il progresso nella fede non ci può essere il progresso nella speranza e nella carità.

Senza totalmente aderire alla croce di Gesù Cristo che si è inserito nel mondo per alleviare la nostra croce donandole l’unico possibile significato, non si potrà mai apprendere la “grande arte della sofferenza”.

La sofferenza è una vocazione. È un’affermazione bella e sublime che tutti attendevamo. È chiaro che l’uomo non può intrinsecamente avere una vocazione al dolore, essendo il dolore in se stesso “ una disperata inutilità”. Dio non ha creato il dolore e non è stato Lui a introdurlo nella storia dell’umanità, come risulta dal protovangelo (cfr. Gn 3,14-19). Dio è l’Eterna Carità, sempre in cammino, infinitamente geniale nelle sue manifestazioni, le quali, nei nostri riguardi, diventano espressioni della sua infinita misericordia. Egli bussa alla porta del nostro cuore perché si spalanchi al sole della sua infuocata Carità, che brucia, sana, vivifica, valorizza.

La vocazione al dolore consiste nella chiamata ad accettare il dolore, il peso della sofferenza, per trasformarlo in sacrificio di purificazione e di pacificazione offerto al Padre in Cristo e con Cristo, per la propria ed altrui salvezza.

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Non quindi ricerca del dolore per se stesso, ma accettazione del dolore per valorizzarlo in Cristo, nella consapevolezza che, se in conseguenza del peccato l’uomo porta il peso del dolore e della morte, in conseguenza della Redenzione l’uomo acquista invece la possibilità di realizzare la propria partecipazione al sacrificio che purifica, salva e riconcilia con Dio.

Non si equivochi sulla parola “ vocazione ” affermando che se la sofferenza fosse una inequivocabile chiamata, l’uomo dovrebbe poter essere libero di accettarla o meno.

La libertà della risposta per ciascun uomo sta comunque oggi nel volere o meno inserire nel piano redentivo di Cristo la ineluttabile realtà del dolore e della morte.

Capire questa vocazione ad accettare la sofferenza e anche, se da Dio chiamati, ad offrirsi sull’esempio di Gesù alla divina giustizia per bilanciare in sé, con il proprio dolore, i debiti altrui, è vera sapienza cristiana che si apprende e si gusta soltanto alla scuola dello SPIRITO SANTO che è

Amore».

Il risultato allora sarà uno solo: la gioia nel dolore, unita, infatti, prima di tutto, alla nuova prospettiva che in Cristo esso ha acquistato. Da entità negativa e distruttrice il dolore in Cristo acquista possibilità costruttive di conquista.

Gioia quindi per il mezzo che è stato posto dalla Misericordia di Dio a disposizione dell’uomo.

Gioia per le possibilità dischiuse alle visuali soprannaturali di ogni creatura.

Gioia per la Vita che si conquista e che si dona. Gioia per le possibilità sociali e missionarie che il dolore dischiude.

g. Attività per ragazzi13

Obiettivo (A) 1) Aiutare i ragazzi a comprendere che la vera comunione non è

l’ideale che ce ne rappresentiamo, né il risultato di una lotta forsennata, senza se e senza ma, contro tutto ciò che ostacola quell’ideale: non è

13

In appendice è possibile trovare lo schema dell’incontro settimanale per i ragazzi.

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facendo a pugni che si realizza un mondo migliore e più unito. Solo la forza dello Spirito che ci fa dire “grazie”, lo stupore con cui ci ostiniamo a guardare tutte le cose, piccole e grandi, della vita, ci permette di camminare insieme e superare le realtà più complesse e problematiche.

2) Valutare l’anno vissuto insieme.

Attività e Parola (B-C) I ragazzi preparano una serie di post-it colorati, scrivendo in ognuno

un ringraziamento per ciò che ha vissuto durante l’anno. Saranno poi invitati a metterli insieme per formare la vela di una barca che verrà poi applicata ad un cartellone comune in cui ci sarà disegnato lo scafo, con alcuni versetti del Salmo 139:

Ti lodo, Signore: mi hai fatto come un prodigio. Lo riconosco: prodigiose sono le tue opere. Come sono profondi per me i tuoi pensieri! Quanto è grande il loro numero, o Dio! Li conto: sono più della sabbia!

La vela (che accoglie il vento e fa muovere la barca intera) del grazie è segno dell’accoglienza dello Spirito che unisce e muove la Chiesa intera.

Successivamente si leggerà insieme il brano biblico di riferimento (Gv 20, 19-23).

Aiuteremo i ragazzi a vedere come le prime parole del Risorto siano parole di pace e non di rimprovero per i fatti della sua Crocifissione. E si farà notare come è Lui che soffia sulla nostra vela. Soffio di vita e di amore!

Preghiera (D) Nella preghiera finale i ragazzi potranno condividere alcuni dei loro

post-it e, insieme agli altri, ringraziare il Signore per quanto ricevuto.

Impegno (E) Ogni ragazzo sarà aiutato a trovare un impegno concreto per rimanere

unito agli altri, per vivere l’estate senza perdersi di vista. Oppure si potrebbero invitare a redigere un diario dell’estate, in cui potranno continuare a ringraziare per ciò che quotidianamente vivranno. A

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settembre poi si potrebbe ripartire dal grazie detto a conclusione dell’anno e da quelli scritti durante l’estate nel diario.

Adeguamento per i più piccoli. L’immagine della barca e della vela è ottima per tutte le età. I più

piccoli potranno forse sbizzarrirsi maggiormente nel colorare lo scafo, e nell’abbellire tutto il cartellone.

h. Momento celebrativo a sfondo vocazionale

Introduzione Lo Spirito è la vita della Chiesa, la quale nasce “ufficialmente” proprio

nel giorno di Pentecoste. Con il dono dello Spirito si è aperta l’era di una nuova creazione. Lo Spirito mette in relazione e crea unità tra uomini di lingua e cultura diversa, “riempie” il tempo, cioè la storia, i luoghi, ed entra nei discepoli, creando novità e garantendo in modo permanente la presenza rivelatrice e protettrice di Cristo “intercessore” e di Dio, orientando la vita nel segno dell’amore e della speranza. In questa Adorazione Eucaristica facciamoci invadere dal dono dello Spirito per diventare testimoni coerenti e fedeli della salvezza operata da Cristo risorto rinnovando la nostra Chiesa Diocesana secondo la volontà di Dio.

Canto di esposizione per il Santissimo Sacramento.

Davanti a Gesù Eucarestia Durante la preghiera a Gesù Eucaristia ci mettiamo in ginocchio. Stare

inginocchiati ci fa ricordare che siamo davanti al Signore e lo riconosciamo come l’Unico della

nostra vita

Solista Il tuo Spirito, Gesù, non ha la forza distruttrice e tremenda del

terremoto che tutto sgretola e fa cadere, che tutto sbriciola, anche le realtà più solide.

Il tuo Spirito, Gesù, non desta il terrore suscitato dalla folgore improvvisa che afferra e porta alla morte, che colpisce in modo istantaneo e brutale.

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Il tuo Spirito, quello che doni ai tuoi discepoli, è un alito di vita, un soffio che sembra così impari di fronte ai venti e alle tempeste che attraversano e sfasciano il mondo.

Eppure è questo soffio che porta la vita nelle nostre membra disseccate e corrose dall’egoismo, lacerate e ferite dal male.

È questo soffio che guarisce, che dona forza, che consola, che strappa allo scoraggiamento.

È questo soffio che rigenera dal profondo dell’animo la nostra esistenza tramortita dal peccato, intaccata dalla cattiveria.

È questo soffio che riscalda i nostri giorni ghiacciati da tutto ciò che ha mortificato la nostra dignità e la nostra bellezza.

È questo soffio che riporta il calore dell’amore, la gioia della riconciliazione.

È questo soffio che scioglie le nostre durezze e dischiude una nuova possibilità di vita.

Vieni, Spirito Santo! Vieni oggi è sempre! Tutti O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in

ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo, e continua

oggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo. Crea in noi, Signore, il silenzio per ascoltare la tua voce, penetra nei nostri cuori con la spada della tua Parola, perché alla luce della tua sapienza, possiamo valutare le cose terrene

ed eterne, e diventare liberi e poveri per il tuo regno, testimoniando al mondo che tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di

pace. Amen. Silenzio adorante.

IN ASCOLTO DELLA PAROLA

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Dal libro del profeta Ezechiele «Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul

vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme. Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio».

Viene proposto un canto da poter meditare silenziosamente per poi

cantarlo in modo assembleare. Manda il Tuo Spirito,

Manda il Tuo Spirito, Manda il Tuo Spirito, Signore su di noi. Manda il Tuo Spirito, Manda il Tuo Spirito, Manda il Tuo Spirito, Signore su di noi. La Tua presenza noi invochiamo, per esser come Tu ci vuoi. Manda il tuo Spirito, Signore su di noi. Impareremo ad amare, proprio come ami Tu. Un sol corpo e un solo spirito saremo. Un sol corpo e un solo spirito saremo. Manda il Tuo Spirito, Manda il Tuo Spirito, Manda il Tuo Spirito, Signore su di noi.

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Manda il Tuo Spirito, Manda il Tuo Spirito, Manda il Tuo Spirito, Signore su di noi. La Tua sapienza noi invochiamo, sorgente eterna del Tuo amore. Dono radioso che da luce ai figli tuoi. Nel tuo amore confidiamo, la Tua grazia ci farà. Chiesa unita e santa per l’eternità, chiesa unita e santa per l’eternità. Manda il Tuo Spirito, Manda il Tuo Spirito, Manda il Tuo Spirito, Signore su di noi. Manda il Tuo Spirito, Manda il Tuo Spirito, Manda il Tuo Spirito, Signore su di noi.

Preghiera per le vocazioni sacerdotali

Obbedienti alla tua Parola, ti chiediamo, Signore: “manda operai nella messe”. Nella nostra preghiera, però,

riconosci pure l’espressione di un grande bisogno: mentre diminuiscono i ministri del Vangelo,

aumentano gli spazi dov’è urgente il loro lavoro. Dona, perciò, ai nostri giovani, Signore,

un animo docile e coraggioso perché accolgano i tuoi inviti.

Parla col Tuo al loro cuore e chiamali per nome. Siano, per tua grazia, sereni, liberi e forti;

soltanto legati a un amore unico, casto e fedele. Siano apostoli appassionati del tuo Regno,

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ribelli alla mediocrità, umili eroi dello Spirito. Un’altra cosa chiediamo, Signore:

assieme ai “chiamati”non ci manchino i “chiamanti”; coloro, cioè, che, in tuo nome,

invitano, consigliano, accompagnano e guidano. Siano le nostre parrocchie segni accoglienti

della vocazionalità della vita e spazi pedagogici della fede. Per i nostri seminaristi chiediamo perseveranza nella scelta:

crescano di giorno in giorno in santità e sapienza. Quelli, poi, che già vivono la tua chiamata

- il nostro Arcivescovo Tommaso e i nostri Sacerdoti -, confortali nel lavoro apostolico, proteggili nelle ansie, custodiscili nelle solitudini, confermali nella fedeltà.

All’intercessione della tua Santa Madre, affidiamo, o Gesù, la nostra preghiera.

Nascano, Signore, dalle nostre invocazioni le vocazioni di cui abbiamo tanto bisogno.

Amen. Benedizione eucaristica e canto finale.

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Appendice

Schema dell’incontro settimanale per le Attività per Ragazzi dei Paragrafi ‘g’ di ogni Tappa.

Lo schema di incontro settimanale che proponiamo intende stabilire

un orientamento di fondo. Naturalmente il responsabile potrà concentrarsi in ogni riunione solo su alcune parti per tralasciarne altre, oppure sentirà l’esigenza di invertirne l’ordine, o punterà tutto su un’unica dimensione (ad esempio, quella celebrativa)… In ogni caso ci è sembrato opportuno suggerire un “menù” completo che desse la possibilità, a chi conduce gli incontri di catechesi, di avere sempre lo schema da seguire. Riteniamo comunque che non debbano mai mancare i punti: A,B e C (se non assorbito da D).

A. Definizione dell’obiettivo. È fondamentale avere precisato bene l'obiettivo che si desidera raggiungere in ogni incontro settimanale. Questa chiarezza permette all’animatore/catechista di costruire una strategia adatta e finalizzata all'obiettivo stesso.

B. Ascoltare la vita. Partire dall’esperienza quotidiana e concreta del bambino permette di mettere in evidenza che il tema di cui si parla appartiene innanzitutto alla sua esperienza. In un secondo momento si mostrerà il punto di vista particolare del Vangelo su quel tema specifico. In questa fase si ricorrerà a racconti, giochi, dinamiche, disegni…

C. Annuncio del Vangelo. Viene fatto conoscere il Vangelo e cioè il pensiero di Gesù sul tema particolare che si sta affrontando. Ad ogni brano si aggiungerà un commento che servirà ad attualizzare il Vangelo e farne vedere la valenza illuminante per le situazioni di vita di cui si è parlato.

D. Celebrazione/preghiera. In ogni incontro sarebbe importante trovare un tempo (magari conclusivo) per recitare insieme una preghiera, per leggere un salmo, per fermarsi in silenzio davanti a un’icona… Ci saranno poi degli incontri specifici in cui svolgere delle vere e proprie

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celebrazioni più articolate, legate ai tempi liturgici o ai temi che i bambini stanno trattando (per es. una liturgia penitenziale…).

E. Impegno settimanale. Si suggerisce di proporre ai bambini un piccolo impegno “missionario” per la settimana. Questo, oltre a rendere maggiormente concreta la proposta che viene loro fatta, li aiuterà a stabilire una continuità tra fede e vita quotidiana e fra le diverse riunioni di catechesi e offrirà anche lo spunto al catechista per aprire ogni incontro con un breve momento di verifica.

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Indice

Presentazione dell’itinerario diocesano 2013-2014 1 Le 8 tappe 6 1. Quinta tappa.

Gv 4,5-42. La comunità accresce la relazione personale con Gesù 12

2. Sesta tappa. Gv 20,19-31. La comunità vera nasce dalle piaghe del Signore… 30

3. Settima tappa. Gv 14,15-21. La comunità nella prova scorge la presenza di Cristo 45

4. Ottava tappa. La comunione non è un ideale, ma una realtà dello Spirito Santo! 57

Appendice. Schema dell’incontro settimanale (paragrafi ‘g’) 72