Parte II: Alessandro Volta, nel bicentenario dell'invenzione della pila, 1799-1999.

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Libro edito dal Centro di Cultura Scientifica "Alessandro Volta" di Como, in occasione delle celebrazioni per il bicentenario dell'invenzione della pila. Parte II

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P ARTE II

GIANNI BONERA

 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

 P. 74

L’UOMO

 P. 101L’  ATTIVITÀ DI RICERCA PRIMA DELLA PILA

P. 129D  AL DIBATTITO CON G  ALVANI ALL’INVENZIONE DELLA PILA

P. 148

L’  ATTIVITÀ SCIENTIFICA DOPO LA PILA

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74 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

  LI ANNI DELLA GIOVINEZZA. Alessandro Volta nacque aComo, settimo di nove fratelli1, il 18 febbraio 1745, dadon Filippo e donna Maddalena dei Conti Inzaghi , in

Contrada Nuova, ora via Volta, n. 62. Una lapide ricorda l’even-to con queste parole: FU QUESTA L’ AVITA CASA DI ALESSANDRO VOLTA

- IL MUNICIPIO POSE.

Com’era usanza presso la nobiltà del tempo, Alessandro fumesso a balia per quasi tre anni in quel di Brunate, ridente paesi-no tra colle e lago, presso una donna il cui marito era un abilecostruttore di barometri e termometri. Più tardi, un eccentricoabitante del luogo ornò quella casa con la seguente lapide (orascomparsa): VISSE A BALIA IN FANCIULLEZZA ALESSANDRO VOLTA PRES-SO ELISABETTA PEDRAGLIO, IL CUI MARITO LODOVICO MONTI, FABBRI-CATORE DI TERMOMETRI, GLI INFUSE I PRIMI AMORI PER LA SCIENZA

CHE GLI DIEDE LA PILA.2

Si racconta che Alessandro fu tardo a parlare e fino a sette annimolto incerto nel discorrere, ma subito dopo rivelò particolaricapacità e interessi nello studio, così da far esclamare al padreFilippo: «Avevo in casa un diamante e non me n’ero avveduto».

 Alla prematura morte di Filippo3 (1752) – che aveva sperpera-to un patrimonio, come scrisse Z. Volta4, «trascurando le norme diuna savia economia, incontrò la taccia di prodigo», o come ebbe adire lo stesso Alessandro, «mi ha lasciato meno che povero. Miopadre possedeva soltanto una casetta nel borgo dell’ospedale, chevenne stimata 14.000 lire; ma i suoi debiti, quando morì, ammon-tavano a 17.000 lire» –, la famiglia fu costretta a dividersi.

G

L’UOMO*

 Erat vir ille simplex et rectuset timens Deum (Job. 1,1)**

* Questo primo capitolo si rifàampiamente a quanto appare nelvolume G. Bonera e P. Vanzan,  Alessandro Volta: l’uomo, lo scien- ziato, il credente, Pavia, CdG, 1999.

** Esergo alla cantica “AlessandroVolta” di Silvio Pellico. Cantiche e  Poesie di S. Pellico, Firenze, LeMonnier, 1860, p.393

1 I fratelli di Alessandro, in successio-ne cronologica, furono: Giovanni, poiCanonico della Cattedrale; Cecilia,morta in tenera età; Marianna, poimonaca benedettina; Giuseppe, poieloquente oratore Domenicano,anche alla corte di Vienna; Luigi, poi Arcidiacono della Cattedrale, per duevolte in procinto d’essere fattoVescovo; Nicolao, morto in teneraetà; Maria, morta in tenera età;Chiara, la bellissima, poi moglie delConte Lodovico Reina.2 Michelangelo, parlando col Vasaridella sua balia, moglie di uno scalpel-lino, amava dire: «Giorgio, s’io honulla di buono nell’ingegno, egli èvenuto dal nascere nella salubrità del-l’aria del vostro paese d’Arezzo, cosìcome anch’io tirai dal latte della miabalia gli scarpegli e il mazzuolo conche io fo le figure».3 Merita sapere – anche per le ricadu-te che il fatto avrà più tardi sul figlio  Alessandro – che don Filippo Volta

era stato nella Compagnia di Gesù per11 anni (ottobre 1710 - ottobre1721). Nell’Archivio romano deigesuiti le valutazioni non sono esal-tanti. Nel 1714 leggiamo: «Ingeniummodicum– Iudicium mediocre–Prudentia mediocris – Experientiarerum iuxta aetatem – Complexio[naturalis] aerea – Aptitudo: est inexperimento et speratur parum». Nel1717 si conferma «Ingenium suffi-ciens – Iudicium mediocre –Prudentia mediocris – Experientiarerum modica – Complexio tempera-ta – Aptitudo: ad docendum gramma-ticam [il livello più basso degli “studi

inferiori” di lettere]». Nel 1720, pros-simo ormai alle dimissioni, i giudiziappaiono più benevoli (ma il rettore,che li ha formulati, dimostra la stessabenevolenza verso tutti i membri dellacomunità): «Ingenii boni et laudabilisprudentiae specimen praebet. Indolesilli suavis. Complexio delicatior. Aptus ad plura futurus, si ingeniumexcolat, praecipue ad dicendum e sug-gestu; etiam ad negotia gerenda».Non risponde quindi a verità quantopiù volte scritto da molti biografi, cheil giovane Filippo abbia chiesto ladispensa dall’ordine per potersi spo-sare e continuare il nome dei Volta.Sembra infatti che le sue dimissioni

siano state fortemente sollecitate dallaCompagnia. Del resto la sua successi-va vita spensierata e dissipata confer-ma questa ipotesi..4 Zanino Volta, A. Volta, Milano,Civelli, 1875.

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 Alessandro, con la madre e le sorelle Marianna e Chiara, andòpresso lo zio Alessandro, canonico, mentre gli altri tre fratelli –Luigi, Giuseppe e Giovanni – si trasferirono presso un altro zio,l’Arcidiacono Antonio e, secondo l’uso del tempo, abbraccerannopresto la vocazione degli zii.

Nel 1757 Alessandro iniziò gli studi umanistici, retorici e filo-sofici presso il Collegio dei Gesuiti a Como e risulta che, nono-stante la vivacità del carattere, fu sempre il primo della classe, sbri-gando in un’ora quello che per gli altri richiedeva molto piùtempo e dedicando tutte le ore risparmiate allo studio dei feno-meni naturali: tanto che a soli 12 anni compose sull’argomento untrattatello di notevole interesse. Spicca anche nel latino e italiano– gli autori preferiti sono Virgilio e il Tasso – e da solo, a 13 anni,impara il francese. In pieno Enciclopedismo colpisce la grinta delVolta nello studiare quei testi anticattolici, per confutarne gli erro-ri. Trapela fin d’allora la notevole sua vena apologetica, che ritro-

veremo in molti momenti della sua vita. Merita ricordare che Alessandro – oltre all’italiano, latino e francese – parlava bene iltedesco e l’inglese, conosceva l’olandese, il russo, lo spagnolo e ilgreco antico, mentre, grazie a una costituzione fisica robusta, pra-ticò da giovane il canottaggio, la pesca, la caccia e l’alpinismo.

Non meraviglia quindi che un simile ragazzo – di ottima fami-glia, spiritualmente pio e intellettualmente dotato – attirasse lecure speciali del gesuita Padre G. Bonesi, insegnante di retorica epoi di filosofia nel Collegio di Como ma, insieme, attento pesca-tore vocazionale. Di fatto, all’epoca il Volta manifestava evidenti

segni vocazionali, confermati anche dalle oltre 30 lettere scambia-te col Bonesi [Ep. I5, lettere 3-29 e 31-38] e nelle memorie del fra-terno amico C. Gattoni [Ep. I, p. 2], ma i biografi restano orien-tati più verso un’esaltazione momentanea, forse un po’ artificiosa,dell’innata, forte sua religiosità, o anche verso un riflesso dell’am-biente familiare – ricordiamo che tre zii paterni e altrettanti fra-telli maggiori (per tacere della sorella monaca) facevano parte delclero regolare e diocesano –; il tutto ovviamente amplificato dallascuola gesuitica.6

Come ebbe a dire Giovanni Polvani nella sua bellissima mono-grafia su Alessandro Volta7 «quella religiosità, che in Volta ragaz-

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 Atto di nascita di AlessandroVolta conservato nella parrocchia di S. Donnino aComo.

5   Epistolario di A. Volta, EdizioneNazionale, voll. 5, Bologna 1949-1955, Zanichelli, Vol. I6 Nel Grandi leggiamo che il Volta«fu aiutato negli studi dai gesuiti,con libri e macchine e ricolmato dimille carezze onde, com’è naturale,inclinò per quella religione», mentrepiù caustica è una lettera del fratello

Giuseppe che ritiene infondata lavocazione di Alessandro e insinuache «l’aver voi ricevuto ora dellacioccolata coi biscottini, ora delcaffè» ha finito per conquistare «chinon è troppo accorto […] e ben dirado soleva bagnare la bocca in simi-li liquori». E conclude meraviglian-dosi «che da un poco di cioccolata silasciasse così facilmente persuadereil vostro perspicace intelletto e muo-vere la vostra così stabile volontà».[Ep. I, p. 7]7 Giovanni Polvani, Alessandro Volta,Pisa, Domus Galileiana, 1942.

 L’autore del saggio pubblicato inqueste pagine, Gianni Bonera, Presidente del Comitato Promotore Pavese, Università di Pavia.

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zo non era riuscita a fiorire del tutto perché sopraffatta dal fasci-no del mondo fisico, si sviluppò poi completamente nell’uomo,cui già la scienza aveva procurato fama, onori, gloria, ma non gliaveva potuto dare la calma dello spirito».

In ogni caso, le attenzioni del padre Bonesi insospettirono lafamiglia Volta, e specialmente lo zio e tutore, il canonico Alessandro, per cui alla fine dell’anno scolastico 1761 il ragazzofu allontanato dai Gesuiti e iscritto al Seminario Benzi. I motivi ditanta ostilità nei confronti della possibile vocazione gesuitica di Alessandro sembrano essere: la probabile antipatia dello zio cano-nico per quell’Ordine – del quale tra l’altro si ventilava il possibi-le scioglimento (avvenuto nel 1773) – e il negativo ricordo dellamancata vocazione di Filippo (vedi nota 3).

Ma, nonostante la vigilanza dello zio canonico, il Padre Bonesiriuscì, anche durante quelle vacanze estive, a far giungere varie let-tere al Volta, proprio servendosi del Gattoni che, nella sua inge-

nuità e buona fede, si prestò a questo segreto commercio episto-lare come a un’opera di bene, pensando che nell’amico fosse sicu-ra la vocazione religiosa. Nelle lettere del Bonesi, infatti, si molti-plicavano gli incitamenti a entrare nella Compagnia di Gesù, insie-me spingendo Alessandro a esaminare col Gattoni la questione delloro avvenire. Non sappiamo quali confidenze intercorsero traVolta e Gattoni, ma sta il fatto che quest’ultimo – peraltro già benorientato al sacerdozio – si persuase «che non eravi più la meno-ma idea di vocazione nel Volta per la Società [la Compagnia diGesù]». Ma quando spiattellò chiaro e tondo la verità al Bonesi,

questi – vista persa la causa – molto stizzito dichiarò che Volta era«l’anima più tenebrosa che esistesse nell’inferno», e «pronosticò dilui che avrebbe tenuta una condotta la più iniqua, immerso nell’o-zio e ne’ vizj con sommo disonore della famiglia, e della patria». 8

Comunque sia, dopo quel periodo abbastanza critico, Alessandro – tra il 1761 e il ’65, anni in cui frequentò le scuole delSeminario – s’impegnò da solo a una intensa preparazione scienti-fica9, dedicandosi in particolare allo studio dei fenomeni elettrici.È un periodo nel quale Alessandro scrive molto, componendopoesie in latino, italiano e francese – di questi versi giovanili ilGrandi10 scriverà che «farebbero onore a distinti professori» –mentre, a conferma degli interessi anche biblico-teologici, ricor-diamo che nel 1762, a 17 anni, durante la villeggiatura aGravedona, scrisse ben 11 quaderni, senza l’ausilio di nessuntesto, nei quali sostenne (contro l’amico Gattoni) che pure neglianimali c’è un qualche principio di spiritualità.

  A GRANDE PASSIONE PER LA SCIENZA. Al contempo Voltasostenne – in un latino di tutto rispetto – che la poesia e lafisica (nel senso greco di physis), ossia il bello e il vero,

sono perfettamente conciliabili tra loro. E, ispirandosi al Tasso –che nella Gerusalemme Liberata (c. I, v. 3) scrive: «Là corre ilmondo ove più versi/ Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso,/ E che‘l vero condito in molli versi/ I più schivi allettando ha persuaso»– protesta indignato:

 L

8 Nei ricordi del Gattoni leggiamoanche che «allo scroscio strepitoso disì spaventosi fulmini inorridij, m’ab-bandonò la parola, me n’andai sba-lordito a casa, e per quel poco tempoche rimase in Como Bonesi nol vidi[I superiori lo mandarono nelCollegio di Bergamo]. Mille ringra-ziamenti feci al Cielo che falsi siano

stati ed il Profeta e le profezie, e chela morale religiosa condotta delVolta, e l’indefessa sua applicazione,fecero conoscere il nome suo a tutt’ilmondo» [Ep. I, p. 3].9  A conferma di quanto Volta fosseistintivamente rivolto oltre che allostudio, anche all’osservazione di tuttii fenomeni naturali, riportiamo que-sto episodio singolare. Quando icontadini di Monteverde gli disseroche nell’acqua della fonte vi eranopagliuzze d’oro, Volta raggiunse illuogo e a tal punto si sporse dallariva per osservare, che cadde inacqua, rischiando l’annegamento se

non fossero accorsi in aiuto dei pas-santi. Le pagliuzze d’oro erano sol-tanto i riflessi della mica gialla.10 Callisto Grandi, A. Volta, Milano,Bertarelli, 1899

 Probabile ritratto del giovane Alessandro Volta con il gesuita

Gerolamo Bonesi (olio attribuito a Martin Knoller,

1725-1804).

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«Coloro che troppo amanti del vero oltraggiano la possibilitàdella sacra poesia, temo che ritengano pronunciato per tutti ciòche è stato detto da Ausonio: Poeti ingannatori: essi che macchia-no la verità con la poesia. Perciò malvolentieri sopportano chevengano trattati in versi le questioni filosofiche, come se a talpunto indistintamente vengano macchiate dal contatto delle favo-

le, che a fatica si possano distinguere le cose vere da quelle false.  Al contrario la maggior parte, datasi interamente con eccessivatemerarietà alla medesima Poesia, va predicando che la sua dignitàed eccellenza minimamente può essere rapportata con le spiega-zioni fisiche, com’è naturale in quanto essa [la poesia], disprez-zando le realtà umili e aride, gode di aggirarsi libera in un campopiù elevato e più fecondo».

Tra questi due estremi il Volta – rivelando anche qui quell’e-quilibrismo che meglio vedremo più avanti – continua: «Seguendola via di mezzo tra le due parti, la più sicura, abbiamo deciso di

stabilire la possibilità di accordo, cosicché eliminate generiche eipotetiche composizioni lontano dalla Poesia, appaia chiaramenteche non venga contaminata la serietà e la verità delle trattazionifisiche, né venga lesa o diminuita la dignità e l’eleganza dellafacondia Poetica, se viene rivolta, come dicono, a studi [argomen-ti] più sterili; anzi siamo del parere che la Fisica e la Poesia sianoin sintonia così debitamente e convenientemente che a vicenda eda reciproco aiuto traggano ornamento».

Nel 1764 compose due poemetti: uno (andato perduto) di 800versi latini, riguardanti le stagioni, e l’altro – ispirandosi al De

rerum natura di Lucrezio – di 492 esametri latini, riguardantel’oro esplosivo, la polvere pirica e i fuochi fatui. Anche se le diffi-coltà letterarie non erano poche, come lui stesso riconosce – « Némi nascondo quanto difficile sia/ Esporre in versi latini ardue sco-perte,/ specialmente dovendo usare molte nuove parole/ Per lapovertà della lingua e la novità delle cose» –, l’entusiasmo per queifenomeni naturali – come per tutto quanto c’è nel libro «dove ilsenno eterno/Scrisse i propri concetti» – era più forte, addiritturatravolgente.

Riportiamo qui, tradotta in prosa, la parte riguardante i fuochifatui.

«Dal momento che luoghi squallidi circondano i sepolcri equasi alla medesima ora ogni giorno fuochi fatui sogliono esserevisti, il volgo, spaventato, ritiene che cadaveri ritornati in vita,divinità orribili e schiere immonde di spiriti cattivi, o realtà checon nome vano chiama Fantasmi, infestino la notte con il lorovagare, e incutano terrore, e portino minacce ai tristi mortali; cre-dono ancor di più a questo perché se, talvolta, qualche viandante,aborrendo la vista della sgradita luce, si affretti ad evitarla confuga rapidissima e con veloce corsa, essa [la luce] avanzando conugual passo, insegue da dietro il cammino ormai abbandonato,

continua, e incalza alle spalle i fuggiaschi, e seguendo individua lemedesime tracce. Oh cieca superstizione! Forse che non siamo ingrado di comprendere il motivo per cui queste cose accadanospontaneamente senza il volere degli dei? Osserva: le piume solle-

L’UOMO

11 Cartella Voltiana B.I. Il testo, inlatino, è riportato in Polvani, op.cit,p. 9

 Autografo di Volta: introduzione al poemetto del 1764 sulla polvere pirica, l’oro tonante e i fuochi fatui (Cart. Volt. B. I., Istituto Lombardo).

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vate rimangono sospese nell’aria: se le insegui fuggono: se tufuggi, ecco ti seguono: perché ciò? Senza dubbio quando qualcu-no avanza, l’aria percossa viene divisa, e lascia un piccolo spazioalle spalle di quello, e, quando lo occupa la nuova aria, le piumevengono trascinate nello stesso vortice, scorrendo all’indietro e,smossa l’aria, entrano in solchi stabiliti. Esse precedono volando,

sono incalzate dalla spinta di colui che cammina, e sono costrettea cedere dal progressivo movimento. Così il leggero vapore delfuoco fatuo acceso gira di qua e di là librandosi nell’aria, come sefosse una parte della stessa aria, talvolta insegue, e viceversafugge».12

Fu osservato che, al tempo in cui Volta scriveva questi versi,erano di moda i poemetti didascalici. Ma quanti furono scritti dagiovani di 18 anni, con la forza e lo slancio di Alessandro? Né èmancata la critica d’essere «imparaticci o rifritture scolastiche».Ma se ciò può valere per alcuni sonetti posteriori, scritti in occa-

sione di vestizioni monacali o altre poesiole, che risentono dellaforzata preziosità dell’Arcadia, noi pensiamo col Polvani che i duepoemetti didascalici appena ricordati – e quello che scrisse 23 annidopo, in occasione dell’ascensione del Saussure sul Monte Bianco– abbiano origine, ispirazione e consistenza ben più elevata: quel-le di un animo esuberante, «innamorato di quella bellezza arcanache nella fisica si congiunge alla verità, anzi che la verità medesi-ma impersona».

12 Il testo latino è riportato inPolvani, op.cit., p. 10

 Alessandro Volta, durante lavecchiaia (olio di ignoto;

Camnago, Famiglia Volta).

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Non meraviglia allora che, finito il ginnasio nel SeminarioBenzi, nonostante le pressioni dello zio canonico perché intra-prendesse gli studi forensi, Volta abbandonasse ogni curriculumregolare e procedesse da autodidatta nello studio dei fenomenielettrici, studiando i testi del Musschenbroek, del Nollet e delBeccaria, tre dei maggiori scienziati che si occupavano in quel

periodo di elettricità.Già a partire dal 1763 intraprese una corrispondenza con il

Nollet, che lo stimolava ad approfondire i propri studi teorici, econ il Beccaria che lo invitava invece a fare esperimenti. Scrivendoa quest’ultimo, confessava senza reticenze d’avere «il genio per l’e-lettricità», ossia di sentire per lo studio dell’elettricità una passio-ne incontenibile. Tant’è che nel 1769 (a soli 24 anni) editò il suoprimo lavoro in latino dedicato al Beccaria.

Nel 1771 scrisse un secondo lavoro, pur’esso in latino, dedica-to questa volta allo Spallanzani, professore di Scienze Naturali

presso l’Università di Pavia, col quale da poco era in contatto epi-stolare, trattando di fisica e biologia. Nel 1774, pressato da esi-genze finanziarie, fece domanda per un incarico d’insegnamentopresso le Scuole di Como, allegando i suddetti due lavori, che affa-scinarono il conte C. Firmian, ministro plenipotenziario dell’im-pero asburgico per la Lombardia, il quale lo nominòSoprintendente e Reggente delle R. Scuole di Como13. Nonostante

L’UOMO

13   Anche in questo ufficio Voltarivelò la sua genialità proponendoun’interessante riforma scolastica,tratta dalla Ratio studiorum deiCollegi gesuitici, soppressi l’annoprecedente, con dettagliatissime pro-poste non solo intorno a un nuovoordinamento didattico-educativo,ma anche circa le nuove metodiche

d’insegnamento (Ep. I, App. II e III).Notevole anche il suo ruolo nellafusione dell’ex biblioteca gesuiticacon quella pubblica. Volta sollecitòl’interessamento del conte Firmian(agosto 1776), invitandolo a non dif-ferire oltre la fusione e avanzando larichiesta di una congrua somma perl’acquisto di libri scientifici moderni. Alla fine, il 16 novembre, Firmian glidiede l'autorizzazione per unire ledue biblioteche.

Volta nel suo studio (olio di Nicolò Barabino, 1832-1891,Genova, Palazzo OrsiniSpalletti-D’Albertis).

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il nuovo lavoro, Volta continuò a impegnarsi nei suoi studi sull’e-lettricità, arrivando nel 1775 a costruire un nuovo apparecchio ingrado di fornire elettricità senza bisogno di un continuo strofinio,come nelle macchine elettrostatiche in uso. Questo nuovo stru-mento, l’elettroforo, venne in poco tempo apprezzato e utilizzatoin tutti i laboratori europei.

Nell’ottobre dello stesso anno, il conte Firmian gli attribuì lacattedra di Fisica Sperimentale presso il R. Ginnasio di Como,esonerandolo dal concorso, al quale probabilmente non avrebbepotuto partecipare, in quanto privo di alcun titolo accademico.

La fama raggiunta negli anni successivi grazie alle nuove ricer-che e scoperte nel campo della chimica dei gas, le cosiddette arie, gli permise di ottenere, direttamente dall’Imperatore, un con-gruo contributo per intraprendere un viaggio di studio in Svizzera,che realizzò nell’autunno del 1777. In tale viaggio ebbe modo diincontrare molti illustri scienziati, tra cui H. B. de Saussure e J.

Senebier, visitarne i laboratori e mostrare loro le sue macchine.L’anno successivo il conte Firmian, ormai convinto del valore

scientifico dello scienziato comasco, lo nominò Professore diFisica Sperimentale all’Università di Pavia.

Presso l’Ateneo pavese erano già stati chiamati, grazie alla lun-gimiranza dell’Imperatrice Maria Teresa, altri grandi scienziati,quali Lazzaro Spallanzani e Antonio Scopoli ed altri ancora ver-ranno chiamati tra cui Antonio Scarpa e Luigi Brugnatelli.

 Appena arrivato a Pavia, Volta si dedicò, oltre che all’insegna-mento, a ristrutturare il Laboratorio di Fisica, arricchendolo dimolti strumenti sia di ricerca che didattici, progettati direttamen-te o comprati durante i suoi viaggi in Europa. In questo periodoinfatti, dal 1780 al 1784, egli compì numerosi viaggi di studio inSavoia, Svizzera, Germania, Olanda, Francia, Inghilterra e Austria.In particolare a Parigi, dove si fermerà per quasi quattro mesi,ebbe modo di lavorare con Lavoisier e Laplace.

Nel 1785, venne eletto dagli studenti, secondo la pratica inuso, Rettore dell’Università. Le lezioni di Volta erano talmenteaffollate che venne appositamente costruito nell’Ateneo pavese unnuovo e più ampio Teatro Fisico, oggi Aula Volta. (p. 23)

Per quanto riguarda la ricerca, sono da ricordare in questoperiodo gli studi sul condensatore che lo portarono alla realizza-zione dell’elettroscopio condensatore, uno strumento di misuraestremamente sensibile in grado di rivelare stati elettrici estrema-mente deboli.

Fra il 1786 e il 1792 si dedicò in particolare allo studio dellameteorologia elettrica e delle proprietà fisiche degli aeriformi,arrivando a determinare, dieci anni prima di Gay-Lussac, la leggedi dilatazione uniforme dell’aria.

Nella primavera del ’92, venuto a conoscenza degli esperimen-ti di Galvani sulla possibile elettricità animale, iniziò una serie diesperimenti che lo portarono, verso la fine del 1799, alla realizza-zione della Pila (Cap. III).

 Alessandro Volta in un’incisionedi R. Focosi e L. Rados, 1828.

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In questo periodo ebbe modo di interessarsi anche della fisicadei vapori saturi, anticipando di alcuni anni le leggi che oggivanno sotto il nome di Dalton.

Negli anni successivi l’impegno scientifico andò lentamenteaffievolendosi (Cap. IV), sia per l’età avanzata, sia per i numerosiimpegni che il successo della Pila gli aveva, suo malgrado, procu-rato. Nel 1804, in particolare, chiese e ottenne di essere sostitui-to nell’insegnamento, ma l’anno successivo, aderendo a un invitocordiale quanto fermo dello stesso Imperatore, riassunse l’inse-gnamento, limitatamente a poche lezioni all’anno.14

Il distacco finale dall’insegnamento avvenne nel 1813, ma ilgoverno imperiale prima e quello austriaco poi, per non privarel’Ateneo dei preziosi servigi del grande fisico, lo nomineràDirettore della Facoltà di Filosofia, carica che Volta tenne, alme-no ufficialmente15, fino alla morte.

Nel 1823 rischiò un attacco apoplettico, rimanendo balbu-ziente. Ritiratosi definitivamente a Como, sua patria, dopo unabreve malattia, si spegnerà il 3 marzo 1827, all’età di 82 anni.

 RATTI FISICI E MORALI . Circa il ritratto fisico del Volta, eccoquanto scrive il Bianchi16: «Era di persona alta, ben confi-gurata, di portamento grave e pieno di quella maestosa

negligenza, che è propria di un’attenzione, che consacrata a gran-di meditazioni non vede altro a sé d’intorno. […] I lineamentierano ben pronunciati, ma né aspri, né duri, né fieri: e se il suo

sguardo non lampeggiava del foco di un genio altero, brillava dellapunta penetrante della più viva riflessione. La sua faccia, anzi cheessere austera per severo cipiglio, o superba per disdegnoso lab-bro, era umana per maestosa dolcezza, e veneranda per dolce mae-stà»17. Per quanto riguarda il bel tratto e le alte qualità d’animo,citiamo ancora il Bianchi: «I suoi modi erano pieni di dignitosa enon affettata modestia, ed erano di quella cortesia aggraziati, chepiù gradita riesce nei grandi personaggi. […] Indole dolce, man-sueta, era congiunta a sapienza e glorie da levare in orgoglio il piùsprezzante dei cinici; ed al genio vivace e creatore era accoppiatocandido costume; e tante e sì belle virtù erano coronate dalla più

sincera e più meravigliosa umiltà. […] Buon padre, ottimo marito,fu l’idolo della famiglia; liberale, cortese, fu carissimo agli amici;pietoso dell’infelice, fu benedetto dal poverello. […] Era di umoreallegro, amicissimo dell’innocente scherzo; e nelle colte e sollaz-zevoli brigate colto ed allegro ad un tempo. […] La sua vita mode-rata dalla più temperante parsimonia».

Per il Cantù18 la mitezza d’animo – che respinge tanto l’ambi-zione quanto lo spirito di rivalità – era la qualità principale delVolta. Basterebbe a confermarlo la seguente osservazione: «Nellasua lunga carriera, trascorsa fra quella che chiamano irascibile

genia di letterati [da intendersi come scienziati], in 148 autografie 72 atti suoi diversi che noi raccogliemmo nell’Archivio di Stato,e nella preziosa collezione all’Istituto Lombardo, non incontram-mo mai una parola offensiva, un sentimento di rancore, né tam-

L’UOMO

14 Si racconta infatti che alla richiestadi giubilazione (l’equivalente oggidel pensionamento) avanzata dalVolta, lo stesso Napoleone rispon-desse che un vero generale devemorire sul campo e lo pregasse dicontinuare a rimanere all’Universitàanche per una sola lezione all’anno,per non privare l’Ateneo del presti-

gio che gli derivava dal suo nome.15 Nella lettera ufficiale dellaCongregazione Municipale diComo, con la quale si comunicava lamorte dello scienziato, si legge infat-ti: «professore emerito dell’I.R.Università di Pavia, ed ivi Direttoreattuale della Facoltà Filosofica» (vedinota 56).Tuttavia l’ultimo atto uffi-ciale redatto a Pavia in qualità diDirettore, del quale si ha conoscen-za, risale al 13 ottobre 1822. [Ep. V,p. 451] Inoltre negli ultimi anni eracoadiuvato nella carica da un prodi-rettore.16 Tommaso Bianchi, Della vita di

  Alessandro Volta patrizio, Como,Ostinelli, 182917 Utile complemento offrono i datiche C. Lombroso desunse dalle spo-glie voltiane quando, nel 1875, furo-no esumate per la definitiva sistema-zione nel Tempio Voltiano. Enormerisultò la capacità cranica (più di1.865 cm., ossia superiore di unquarto alla media dei crani italianimaschili). Anche la circonferenzacranica (570 mm.) risultò superiorealle proporzioni normali, pure deigrandi italiani (escluso Donizetti).18 Cesare Cantù, Storia degli italiani,voll.6, Torino, UTET (IV ediz. rive-

duta), 1893-96 [sul Volta: Vol. 5, p.743 e Vol. 6, p.107 e p. 338].

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poco livide allusioni». E ricorda specialmente: «Con quale puli-tezza confutò il Galvani, e accolse l’Aldini che volle dalla boccasua stessa esser convinto della indipendenza della forza elettro-motrice!».

Dopo l’invenzione della Pila, da lui e da altri scienziati ritenu-ta la prova schiacciante della sua vittoria nella disputa conGalvani, anziché dolersi troppo del fatto che il più delle volte siutilizzavano, anche nella letteratura scientifica, termini del tipofenomeni galvanici, corrente galvanica, pila galvanica, scriveva:«del che non mi lagno, e sono anzi ben contento che si ritenga unnome, il quale richiama l’egregio autore, che intraprese per ilprimo esperienze di questo genere, ed aprì questo nuovo campo sifertile di belle scoperte ed utili ritrovati». Proseguendo però conun poco di sarcasmo «quantunque andasse errato nelle sue spie-gazioni, abbandonandosi a belle ed ingegnose, ma immaginarieipotesi fisiologiche» [Op. II, p. 365].19

E al giovane Silvio Pellico, autore della Francesca da Rimini,non ancora delle Mie Prigioni, diceva: «La poesia arrabbiata nonmigliora nessuno; se v’accade di sentirvi irato e spinto a sfogar labile, temete divenire maligno; vorrei anzi che allora cercaste rad-dolcirvi, scrivendo sopra qualche nobile esempio di carità e d’in-

19 Opere di Alessandro Volta, voll. 7,Edizione Nazionale, Milano, Hoepli,1918-29, Vol. II, pag. 365.

 Monumento a Volta (1878) di Antonio Tantardini (1829-1879)nell’omonimo cortile

dell’Università degli Studi di Pavia, dopo il restauro

(si veda a p. 295).

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dulgenza».20 Da parte sua l’amico Gattoni osservava: «Caratteresingolarissimo del Volta fu sempre quello di non esaltarsi mai innulla; di non guatar d’alto in basso alcuno, com’è costume di certisaggi; d’essere familiare, affabile con tutti, adattandosi alla capa-cità d’ognuno senza disprezzo; e d’essere desiderato in ogni cetocome l’anima vivificante della società. So chi li fece d’amico, e

tradì il suo segreto, ma di lui verun poté dolersi». [Ep. I, p. 5]Infine, merita ricordare il notevole autocontrollo, che gli per-

metteva di restare calmo anche nei frangenti più rischiosi. Così aPavia, nel 1796, quando fu oggetto di violente gazzarre per ilsospetto che avesse favorito il trasferimento dell’Università aMilano, non solo affrontò impavido gli energumeni che lo ingiu-riavano, ma anche, come riferisce il Polvani, «benché avvertito cheera veduto di mal occhio e che avrebbe fatto bene a ritirarsi di colà[dal Collegio Borromeo] e da Pavia, egli andò anche al Bottegone[poi Caffè Demetrio]. La sera poi si recò anche a teatro, sfidando

le bollenti ire degli avversari. Anche là vi fu chi l’avvisò di ritirar-si, ma egli nol fece».

Tra i cento aneddoti ad hoc ne scegliamo un paio, riferiti dalfiglio Luigi, che mettono insieme forza d’animo e umorismo: «Unavolta, assalito per istrada da vari masnadieri ben armati, parlò loro

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 Monumeno a Volta (1838) di Pompeo Marchesi (1789-1858)nell’omonima piazza a Como,dopo il restauro(si veda a p. 294).

20 Frase riportata dalla stesso Pellico.Si veda Ep. V, p. 292, Nota Comm.

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con molta franchezza, senza punto sgomentarsi, talché un magi-strato ebbe a dirgli, scherzando, ch’egli aveva arringati i malan-drini. […] L’altra volta, sbalzato con violenza da un legno, appenarialzatosi da terra, stette alcun tempo tranquillamente pensandocome mai potesse essersi impolverato dalla parte opposta a quelladella caduta».

 A proposito dell’umorismo e gusto per le facezie, i biografi vol-tiani, e in particolare il Mochetti, sono concordi nel descriverlo«amante delle facezie nelle quali non era certo l’ultimo21. E comenella sua giovinezza aveva diligentemente studiati i Classici antichie moderni, ed era egli stesso non ignobil cultore delle lettere edella poesia, così traeva frequentemente dai tesori della suamemoria di che rallegrare le conversazioni, mostrando col fattod’essersi persuaso di quell’antica sentenza, che a nessuno è lecitodi trascurare affatto le grazie, sotto pretesto di consacrarsi allasapienza; ché senza le grazie niuna disciplina è bella e perfetta.»

 Anche Zanino Volta conferma che il suo grande avo partecipa-va volentieri alle «conversazioni serali», nelle quali egli «fu desi-deratissimo anche in età avanzata, perché sapeva nel tempo stessodilettare ed istruire, lesto al motto arguto e al faceto bisticcio,come compiacente a discorrere di studî o raccontare un viaggio».Sul particolare delle tendenze enigmofile e fredduristiche,Maurizio Monti dà maggiori dettagli: «[Era] tenace di memoria,facondo, aggraziato nelle conversazioni, lepido valentissimo agliindovinelli, ai giuochi di parole, ai contrapposti, e in quell’analisie sintesi delle lettere di un vocabolo, onde si producono i logogri-

fici. Smascellandosi gli altri dalle risa, ed egli immobile in tutta lasua filosofica gravità».22

Insomma Alessandro era di umore allegro e lo si potrebbe direun fine umorista. Amava scherzare anche trattando di argomentiscientifici. Lo mostrò nella famosa dissertazione sull’identità delfluido elettrico23 con quello galvanico, da lui stessa stesa nei pri-missimi anni dell’ottocento e presentata dal Baronio al concorsobandito dalla Società per le Scienze di Modena. In essa egli ado-però «l’arma dei frizzi piccanti contro l’Aldini ed i suo seguaci» èciò fu uno dei motivi per cui da parte di uno dei censori quellamemoria fu giudicata immeritevole del premio, Scrivendo in pro-posito al canonico A. Bellani nel 1807 diceva: «Riguardo ai frizzipiccanti, non li ho risparmiati, perché ho voluto divertirmi, e ride-re; e adesso ho riso di nuovo».[Ep. V, p. 86]

Z. Volta asserisce che «gli allegri convitti fra persone a modoandarono sempre a sangue» al suo avo. Tale predilezione è con-fermata da cenni più o meno brevi che si riscontrano nelle sue let-tere. Nel 1781, in una lettera alla madre, la informa di tre sontuosipranzi a cui aveva partecipato a Colonia, ospite del nunzio apo-stolico C. Bellisomi. Da Parigi, nel 1782, scrive al fratello Luigi:«Tutte però queste mie occupazioni letterarie, non mi tolgono di

godere delle belle passeggiate e dei buoni pranzi in diverse casenobili, massime di quelle ove sono degli amatori delle scienzenaturali». E ancora da Parigi, nel 1801 : «Siamo invitati a pranzodal famoso chimico Berthollet»; «Il ministro Marescalchi ci aspet-

21 Francesco Mocchetti, Elogio delConte Alessandro Volta patriziocomasco, Como, Ostinelli, 1833.22 Maurizio Monti, Storia di Como,Como, 182923 Riportiamo a titolo di esempio iseguenti aneddoti. Passando un gior-no per una via di Milano, un amico,che gli era compagno di viaggio,disse: «Sente professore che caldoche fa?». Sorridendo Volta rispose:«Che vuole? Semm davanti a casaScotta!». Erano infatti davanti apalazzo Scotti. Un’altra volta rispon-dendo ad un amico che, non resi-stendo più alle facezie dell’oratore,esclamò : « Ah, caro Volta, non resi-sto», ribatté pronto: «Ma che reSisto! Dite papa Sisto».24 Si veda avanti la nota 108.

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ta domani a pranzo»; «Siamo stati tre giorni sono ad un pranzo dalministro dell’interno Chaptal»; «Noi continuiamo così ad occu-parci di oggetti scientifici […] ed a conversare coi vari letterati,che ci danno anche dei buoni pranzi». Secondo il Volpati25, gliinviti a pranzo che il Volta ebbe durante il suo soggiorno a Parigidel 1801 furono ben 37.26

Il carattere spesso conviviale degli incontri che Volta ebbedurante i suoi viaggi all’estero con i più eminenti scienziati dell’e-poca è ben documentato da quanto scrisse nel 1785 il fisico tede-sco G. C. Lichtenberg: «A proposito del Volta, mi viene in menteun indovinello, che io gli diedi da risolvere quando pranzò da me,ché eravamo molto allegri e di cose simili ne capitarono parec-chie. Io gli domandai se conosceva il modo più facile di fare ilvuoto in un bicchiere da vino, senza macchina pneumatica.Quando egli ebbe risposto “No”, io presi il bicchiere da vino, cheera pieno d’aria come tutti i bicchieri vuoti e lo riempii di vino.

Egli ammise a questo punto che era vuoto d’aria e allora io glimostrai il migliore procedimento per far entrare l’aria senza vio-lenza e lo bevvi fino all’ultima goccia. L’esperienza raramente nonriesce, se ben preparata; essa lo rallegrò non poco e fu ripetuta datutti noi più volte». [Ep. II, p. 287, in tedesco]

Come già detto all’inizio di questo paragrafo, qualità premi-nente nel Volta fu la modestia. È giudizio concorde di tutti i suoibiografi. «Questo celebre uomo – scrive il Mochetti – portò finoalla tomba l’umiltà dello scolaro. Però [perciò] non isdegnava iconsigli de’ suoi amici in quelle stesse materie, nelle quali egli era

sovrano maestro; e sedette perfino confuso tra’ giovani uditori,dov’io già suo scolaro tentava il difficile esperimento della conge-lazione del mercurio; e vedutolo riuscire a buon fine, ne mostròquella gioia sincera e cordiale con cui l’uomo dabbene riabbraccial’amico non veduto da gran tempo. Nessuno […] ebbe mai adolersi di lui, come vantatore importuno delle sue scoperte, anzinemmeno come desideroso di volgere i consueti discorsi a quellematerie, nelle quali avrebbe potuto esser primo, e far pompa delsuo ingegno e delle sue cognizioni».

Né i tanti onori e riconoscimenti che lo investirono, special-mente nel 1801 a Parigi, risvegliarono nel Volta qualche motod’orgoglio.27

Emblematico quanto scrisse al fratello Luigi, il 17 novembre1801, allorquando più clamorosi erano gli echi della Pila, illustra-ta al mondo scientifico, presente lo stesso Napoleone: «L’allargarsidi qualche linea o lo stringersi delle mie pagliette nell’ampolla, e imiei giocolini hanno interessata l’attenzione non solamente dialcuni fisici, ossia dilettanti di simili inezie, ma dei ministri e delprimo console, e han fatto parlare tutto Parigi, non che i fogli pub-blici. Guardate, dirà, dove vanno a perdersi tante teste! Io stesso,lasciando le burle, mi stupisco come le mie scoperte vecchie e

nuove sul così detto galvanismo, le quali dimostrano altro nonessere, che pura e semplice elettricità mossa dal contatto di metal-li fra loro diversi, abbiano prodotto tanto entusiasmo.Valutandone disappassionatamente le trovo ancor io di qualche

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25 Carlo Volpati, A. Volta nella gloriae nell’intimità, Milano, Treves,1927.26 Questa sua passione per la buonacucina diede adito a vari pettegolez-zi. In particolare lo Spallazzani, nellasua famosa polemica con lo Scopoli,di cui fu vittima lo stesso Volta (vedinota 34), ebbe a scrivere di lui:

«Possibile che invece di spenderel’intera giornata a far visite, a fiutareintorno qual sia la casa onde escaodore di più lauta e abbondanteimbandigione, non si metta a studia-re seriamente un corso di Fisica?». Ilrisentimento del Volta fu tale che treanni dopo, nel 1791, ebbe a dire:«Una tal ferita m’andò sì al cuore chenon potei aver buon sangue con chida traditore me la lanciò».D’altronde il mite carattere voltianoebbe la meglio anche questa volta, egià nel 1792 in varie lettere egliesprimeva la sua stima per il collega.27 Come scrive M. Friedländer a C.

E. Pfaff, il 15 dicembre 1801, ricor-dando le trionfali accoglienze parigi-ne: «Ella non crede con quantamodestia il Volta parla delle sue sco-perte, e questo in un momento in cuigodeva una distinzione così rara, checerto sarebbe stata in grado di ren-dere ebbro ogni altro». [Ep. IV,p.130] E confessa «un tal modo diconsiderare se stesso deve nobilitareai nostri occhi un uomo tanto bene-merito e che questo spirito, così feli-cemente preparato per le indaginifisiche, può ben osare di misurarsicon quello di Franklin». Modestia eumiltà tanto più ammirevoli se ricor-diamo che alla fine della seduta pres-

so l’Institut de France lo stessoNapoleone, nella bibliotecadell’Istituto, raschiò le ultime tre let-tere della scritta «Al grande Voltaire»e restò «Al grande Volta» (VenostoLucati, Iconografia ed Epigrafia vol-tiana, Como, 1982).

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importanza: portano dei nuovi lumi sulla teoria elettrica; apronoun nuovo campo di ricerche chimiche per alcuni singolari effetti,che cotesti miei apparati elettromotori producono, di decompor-re cioè l’acqua, ossidare, ossia calcinare i metalli, ecc., ed offronoanche delle applicazioni alla medicina, che potranno forse diven-tare utili. Ma finalmente non è la mia una scoperta capitale: non

ho trovato un nuovo agente sconosciuto; era nota l’esistenza delfluido elettrico, varii modi di eccitarlo, ossia sbilanciarlo, e i suoipotenti effetti […]. Quanto al nuovo apparato, a cui sono statocondotto mano a mano dalle sovraccennate scoperte, ho ben cre-duto che avrebbe fatto dello strepito (e ve lo dissi, se ve ne ricor-date, appena l’ebbi costrutto, son quasi due anni); ma non mi sareimai immaginato che dovesse farne tanto. Da un anno e più tutti igiornali di Germania, di Francia, d’Inghilterra ne sono pieni. Quipoi a Parigi vi è, si può dir, furore, perché, come per altre cose, vis’aggiunge quel ch’è furore di moda». [Ep. IV, p. 93]

Ma tutta quell’umiltà e modestia – al punto di ironizzare suitrionfi parigini– non lo rese insensibile a onori e riconoscimenti,specialmente quando corredati da vantaggi economici; né le nomi-ne presso le varie Accademie furono esclusiva iniziativa altrui.Sicché, memori che a grandi virtù fanno spesso corona umanissi-mi difetti, non ci meravigliamo se, anche quando indagava le piùardue verità e frugava nei riposti segreti della natura, il Volta maiperdesse di vista le necessità pratiche della vita, esercitando unaparticolare cura degli interessi economici. Sorprende in particola-re vederlo tanto oculato nel trattare degli emolumenti professio-nali, come quando (il 1° agosto 1795) scriveva all’abate G. Bovaraperché interponesse i suoi buoni uffici presso il conte J. J. Wilzeck,successore del conte Firmian, «che mi fece concepir lusinga l’annoscorso di conseguir, continuando il mio servizio all’Università,qualche aumento d’appuntamenti, e mi assicurò del suo impegnoa giovarmi in ogni occasione, vorrei avanzare nuove preghiere almedesimo or che sento sia per portarsi in breve a Vienna e augu-rargli col buon viaggio que’ maggiori ingrandimenti e onori, chepuò mai desiderare, ma temo d’importunarlo con mie lettere» [Ep.

Gilet indossato da Volta inoccasione della presentazione

della Pila a Napoleone e spadadi senatore del Regno d’Italia

(Famiglia Volta).

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III, p. 265]. Poco tempo dopo, si rivolgeva per lo stesso scopo aM. Landriani, il quale si trovava a Vienna mentre appunto vi eraanche il Wilzeck. Nella lettera, scrittagli il 16 novembre 1795,dopo una lunga esposizione delle sue esperienze riguardo all’elet-tricità metallica, scriveva: «Ora che sono maritato, e già padre (diun erede, che non sarà ricco) non posso più mantenermi in Pavia

con lo stipendio che ho, che non arriva a 300 zecchini» [Ep. III, p.276]. Il 25 novembre tornava a chiedere al Governo austriacol’aumento di stipendio, insistendo sulla maggiore prestazione diservizio che le lezioni e il gabinetto di fisica gli imponevano.28

Singolare, al riguardo, la vicenda della pensione (un vitalizio dilire 4.000) che Napoleone, a riprova della sua benevolenza, gliassegnò nel 1805, attingendola dalla mensa vescovile di Adria.Secondo il Cantù, prima di accettare «egli – da quell’uomo reli-giosissimo che era – volle il nulla osta della Santa Sede». In realtà,fu solo nel 1807 che il Volta domandò a Roma una sanatoria, cioè

un breve che lo autorizzasse a riscuotere quell’assegno: ma il passofu ancora una volta ispirato dalla sua istintiva circospezione. Erisultò vincente, come si vide alla caduta di Napoleone, quando ilVescovo di Adria gli fece sapere di non volergli più corrisponderequella pensione. Al Volta bastò metter fuori il breve papale perconservare il non trascurabile cespite.29 Insomma, come riconosceZ. Volta, l’avo suo «delle ricchezze non fu punto smanioso, maneanche affettò di esserne sprezzatore», forse per effetto dei trau-mi che, adolescente, subì dall’irresponsabile, prodigale ammini-strazione economica paterna. Il risultato di tanta oculatezza eco-nomica fu che il Volta, nell’età del pensionamento, totalizzavaun’entrata annua di oltre 40.000 lire, così suddivise: 24.000 perla carica di Senatore, 10.000 come professore universitario emeri-to, 4.000 per l’assegno sul Vescovado di Adria, e altri proventi chegli venivano dalla Legion d’Onore, dalla Corona di Ferro,dall’Accademia del Cimento e via numerando, A onor del vero,però, tali rendite favorivano l’abbondante sua elemosina (peraltromai interrotta, neanche in tempi di ristrettezze economiche).

Nella stessa linea riteniamo vada pure annoverata l’estrema

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28 Di fatto, nel gennaio 1797, il Voltaotteneva l’aumento di stipendio dalnuovo Governo, e certo furono deci-sive le dimissioni che minacciò dipresentare: lo stipendio passò da lire4.500 a 5000 lire, compreso l’allog-gio. Ma già nel 1798 tornerà allacarica, domandando nuovi aumential ministro dell’interno Guicciardini.29 È significativo che quando mons.F. M. Molin, vescovo di Adria, gliscrisse di inviargli il breve pontificiocol quale gli era stata accordata lapensione, prudentemente il Volta glimandò non l’originale ma una sem-plice copia.

 Particolare dell’Aula Volta all’Università degli Studi di Pavia con uno dei tre esemplariconosciuti del busto di Voltaeseguito da G.B. Comolli, 1775-1831(si veda a p. 294).

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88 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

cura voltiana nell’informare gli scienziati di mezza Europa, quan-do giungeva a risultati importanti, onde garantirsi il merito dellapriorità.30 E tuttavia, per quanto sensibile alle questioni di priorità(e lo dimostrò anche con le idee esposte nella lettera del 1° feb-braio 1807 al canonico Bellani), mai il Volta aprì procedimentigiuridici, accontentandosi di rivendicare i suoi diritti nelle lettere

private o al massimo nei discorsi accademici. L’indole mite e l’i-stintiva prudenza lo rendevano incapace d’intavolar questioni, chesapeva avrebbero eccitato gli animi, sollevando inevitabilmenterisentimento e livore. Di nuovo spicca l’innata prudenza del Volta:quella già manifestatasi nell’abile suo destreggiarsi tra austriaci efrancesi (compresa la questione del giuramento: vedi paragrafosuccessivo).

 A VITA PUBBLICA. Sui rapporti del Volta con gli amici, i colle-ghi e le autorità pubbliche molto hanno scritto i biografi:

qui ci limitiamo a due testi più significativi.Il primo riguarda quella semplicità di costumi riferita dal

Monti: «A Campora, volentierissimo si mescolava ai contadini sul-l’aja, nelle tinaie, e sulle panche della rustica cucina. Contava lorole più strane cose del mondo, mostrava qualche sperimento di fisi-ca, o proponeva enigmi. Adagiatosi ai tempi della vendemmia alleloro mense un po’ più liete del solito, mangiava con loro i mac-cheroni, la polenta, i risi. Ei servivasi delle mani, come gli eroid’Omero […] e a canna beveva dal fiasco». Il secondo riguardaquell’innato pudore che gli faceva evitare temi nei quali poteva

emergere tutto il suo valore e, perciò stesso, mettere a disagio l’in-terlocutore. Un pudore che non solo ama il tratto e dire semplici– magari trincerandosi dietro le facezie –, ma anche detesta i paro-loni o le astruserie.

Sul primo aspetto, osserva il Cantù: «A sentirlo discorrere conla domestica o spassarsi fra contadini e con operai, appena l’avre-sti creduto quel sommo ch’egli era, sì gli sovrabbondavano quellearguzie, che spesso scaturiscono da un animo o scipito o maligno,ma che dal suo labbro piovevano senza offendere persona, e quasiricreamento d’uno spirito negli studi affaticato».31

Come docente il Volta, scrupoloso e impegnato, mostrò sem-pre il suo carattere semplice e pratico. «Chi è stato suo discepolo»,attesta il Gattoni, «fa testimonianza dello zelo, dell’interesse cheprendeva ad istruire la gioventù. Non fu mai di quelli che stessecoll’orecchio teso per udire batter l’ora e coll’occhio sul calenda-rio a spiar l’ultimo del mese. E dopo l’ora teneva in circolo gli sco-lari fin a tanto che li fosse piaciuto d’udirlo, e siccome non vierano stromenti fisici al Ginnasio, li conduceva al Gabinetto [illaboratorio che lo stesso Gattoni gli aveva messo a disposizione] ese ne stava delle ore intere a dimostrare colle sperienze ciò chenella scuola avevano udito della teoria». Sulle lezioni pavesi ilBianchi riferisce che «erano frequentate dagli indigeni e dagli stra-nieri, e si udivano come altrettanto oracoli di scienza. Il metododa esso tenuto nell’insegnamento era quello che aveva seguitonelle sue scoperte. […] Cominciava dall’additare i fenomeni che

 L

30 Per questo motivo interruppe l’a-micizia con Felice Fontana, famosofisico e naturalista di Firenze. Nellalettera del Volta a Landriani (3 mag-gio 1778), riguardante l’eudiometroad aria infiammabile e la produzionedell’ossigeno per mezzo di acididiversi dal nitroso, dopo aver espres-so il dubbio che Fontana fosse venu-

to a conoscenza di quell’apparecchioper mezzo del barone Dietrich o del-l’abate Venini, scriveva risoluto: «Lamia lettera a Priestley fin dal princi-pio di settembre [1777], la quale èpubblicata, farà vedere chi sia stato ilprimo». Anche circa le esperienze diC. H. Pflaff, sopra la potenza con-duttrice delle piriti e dei minerali, ilVolta affermava la sua precedenza.Nella lettera al dottor F. Mocchetti(a Vienna) il 5 giugno 1795, egli scri-veva di aver in tutto «prevenuto» loscienziato tedesco, sia nel riconosci-mento della conduttività o no dicerti corpi, sia «per ciò che riguardal’ordine o scala, in cui van posticotesti eccitatori, rapporto al pro-durre maggiore o minore effetto».Tre volte egli ripeteva d’aver fattoquegli esperimenti due anni prima ecompiaciuto affermava: «La scopertaè mia».31 Aggiunge il Bianchi: «La conversa-zione con questo grande uomo erautilissima per le peregrine dottrine alui domestiche; non grave ned auste-ra per la mirabile limpidezza, con cuile esponeva: amena in ogni modo diquelle veneri che sono ingenue e nonaffettate; lieta per la festività dimotti lepidissimi, e di vivissimi sali,che spontanei e frequentissimi a lui

venivano sulle labbra. Era perciò diumore allegro, amicissimo dell’inno-cente scherzo e nelle colte e sollazze-voli brigate colto e allegro a untempo».

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avevano dato motivo alle sue nuove osservazioni, e a’ suoi sapien-ti sospetti: e come da queste e da analoghi esperimenti discendes-se alle conseguenze, di modo che non asseriva mai la scoperta perposcia provarla, ma a rovescio partendo dalle cause, che l’aveva-no fatta prevedere, e passando pei mezzi, coi quali l’aveva rag-giunta. […] In tutto poi conservava un ordine accuratissimo nel-

l’esposizione dei principj, da cui partiva, nella narrazione de’ pro-cedimenti, nella descrizione degli sperimenti, e nella produzionedelle prove; aborriva da ogni sviluppo di idee intralciate fra sestesse, e da ogni disgressione, che divertisse dal fine che si era pro-posto: usava di uno stile semplice, ma gioviale e animato; così cheeccitava l’attenzione, non la stancava; istruiva l’intelletto, non lotormentava; dilettava la mente, non l’annoiava».

Il medico A. Bozzi Granville, ormai ottantenne, così ricordanella sua autobiografia32 una lezione del Volta a cui ebbe la fortu-na di assistere nel 1800, subito dopo l’invenzione della Pila: «Ma

come descriverò i sentimenti che io, insieme ai miei compagni delcorso di filosofia sperimentale a Pavia, provammo il giorno in cuil’immortale Volta, alla nostra presenza, chiamò in vita questaenergica potenza! Egli dapprima mise (spiegandone, mentre pro-cedeva, l’ordine e la ragione) in contatto due pezzi metallici diver-si, e su di essi una carta inumidita con acqua salata; poi, dopo averripetutamente collocato l’uno sull’altro questi accoppiamenti fradue metalli (fissati fra sottili sbarre di vetro) fino al numero dicento coppie, ci mostrò istantaneamente, e ci fece provare, la scin-tilla elettrica! Noi eravamo affascinati. […] Tali scene furono trop-po sensazionali per non aver lasciato nella memoria una tale sortadi impressione che mi consente, alla distanza di quasi settantaanni, di ricordarle come una cosa di ieri.»

Molti altri spunti troviamo nelle relazioni tra Volta e i colleghi,prima al Ginnasio di Como – quattro anni idilliaci – e poiall’Università Ticinense, negli oltre 40 anni di permanenza. Grazieal suo felice carattere, il Volta ebbe molti amici: tanto a Como (ilGattoni, il conte Giovio ecc.) quanto a Pavia – dal Frank alFoscolo (che era tra gli uditori delle sue lezioni e gli donò la pro-lusione Dell’ufficio della letteratura, con dedica autografa), dalloScarpa al Tamburini ecc. – e anche in mezza Europa (G. C.

Lichtenberg a Gottinga, A. L. Lavoisier a Parigi, J. H. Magellan inInghilterra, H. B. Saussure a Ginevra, ecc.).

Ma ebbe pure, come avviene soprattutto tra intellettuali e rela-tive fazioni accademiche, vari incidenti come, per es., col Gattoni– prolungata e non chiara interruzione di un’amicizia trentennale,forse legata alle divergenze sul giuramento e l’antigiansenismo,come vedremo, ma pure a qualche segreta gelosia del canonico peri successi voltiani –, con il Barletti33 e con lo Spallanzani. La vicen-da risale al 1785-86, quando Volta era Rettore dell’Università.Mentre lo Spallanzani era lontano, a Costantinopoli, tre professo-

ri – G. Fontana, Scarpa e Scopoli – e il custode del museo, cano-nico Serafino Volta, lo accusarono di aver sottratto campioni diminerali al Museo dell’Università per arricchire la sua raccolta pri-vata. Tornato lo Spallanzani, fu istituito un processo; l’accusato

L’UOMO

32  Autobiografhy of A. B. Granville,London, H. S. King & Co, 187433 Grande amico del Volta fin dal1774 – con vasto carteggio –, nel1778, quando la sua cattedra diFisica Sperimentale passò alComasco, gli si voltò contro. Le osti-lità diventarono acute nel 1793quando il Barletti lo accusò di non

svolgere l’intero programma diFisica e, in particolare, di trascurarele esperienze di ottica. Nella suadifesa al Conte Wilzeck, Voltadichiarava che lo sviluppo dellaFisica non concedeva tempo suffi-ciente per le esperienze di ottica –che, peraltro, erano un bello spetta-colo, ma concludevano poco! – ericordava il proprio impegno (500 o600 esperienze per anno) a fronte diquello del Barletti (al massimo unaventina). Affermava inoltre che nonera nelle sue abitudini fare il censo-re, poiché amava la pace e, premuro-so di adempiere i suoi doveri, «ripo-sava sul sentimento della suacoscienza», ed esprimeva infine ilrammarico per la gran perdita ditempo che questo episodio gli avevacausato.

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presentò al Conte Wilzeck le sue difese e ottenne l’assoluzione. Gliaccusati vennero ammoniti, il custode allontanato. Quel che segueha del grottesco34, ma ben rivela quanto altezzoso e vendicativofosse lo Spallanzani, mentre il Volta tentava di appianare la con-troversia e togliere l’amico Scopoli dalla marea del ridicolo. LoSpallanzani accusò il Volta d’essere non solo un Rettore ombra –

in quanto non intervenne a suo tempo per bloccare i colpevoli –,ma anche «inutile agli scolari. Non avendo egli toccato i principidella Geometria, dell’Algebra e della Meccanica e delle altreFacoltà affini, è condannato a dover sempre parlare di arie, dicalore, di elettricità senza mai dare un compiuto corso di Fisica». 35

Un discorso a parte merita la controversia, tuttora non esau-rientemente risolta, sulle ambiguità politiche del Volta in generee, in particolare, sull’aver egli giurato (o meno) fedeltà allaRepubblica Cisalpina. In realtà, la successiva ammirazione perNapoleone – che oltre a conferirgli la medaglia d’oro nel 1801,

lo nominerà Senatore nel neocostituito Regno d’Italia (1809) elo insignirà del titolo di Conte (1810) – non deve far obliare ilrisentimento dei giacobini che lo accusavano d’essere austria-cante, mentre il ritorno austriaco gli portò la taccia di semigia-cobino. «Dicerie calunniose entrambe», secondo il Rota36, anchericordando quali danni gli portò l’invasione francese: un assaltoalla casa pavese, requisizioni, imposizione di contributi, lasospensione di un pagamento del Banco di S. Teresa e di quellodei Monti di Roma, colpiti da fallimento e presso i quali aveva ipropri capitali, alloggiamenti militari nella casa di Como, il peri-colo che i due fratelli, Luigi e Giovanni, perdessero le prebende

sacerdotali. E se ciò non bastasse, a ben guardare, sia l’educa-zione familiare sia l’ambiente borghese comasco lo inclinavanonaturalmente verso l’Austria, di cui fu suddito ossequioso per 50anni. Ma non per questo sotto i francesi – come prudenza sug-geriva – fu meno devoto (pur definendo saggi quelli che nonparteggiavano per loro, come scriveva al Frank nel 1798).Significativamente egli definiva la politica un mare tempestosoe, col senso pratico di un anima contadina, riteneva che «devia-re quando la strada devia è necessità di cammini». In fondo eglivoleva procedere nelle sue ricerche e perciò fu docile con tutti i

governi: ottenendo da tutti gli aiuti necessari per continuare glistudi, ma incappando nella taccia di opportunista (destreggian-dosi tra Impero Austriaco, Repubblica Cisalpina, Napoleone eritorno dell’Austria). Molto più coerente – anche pagando caroil rifiuto di giurare fedeltà alla Repubblica Cisalpina – l’atteg-giamento del Galvani a Bologna, o dell’Oriani a Milano.

 Ambiguo, invece, quello dello Scarpa, peraltro lodato come sag-gio dal Volta.37

Ma veniamo al giuramento del Volta. La Costituzione dellaRepubblica Cisalpina fu promulgata a Milano il 9 luglio 1797,compilata – secondo il Gattoni – dai cinque atei, membri delDirettorio Cisalpino, nominati dal Bonaparte. Mezzo di notevolepressione e discriminazione, fu imposto dapprima ai membri deiCorpi legislativi e poi, nel 1798, fu reso obbligatorio a tutti i fun-zionari statali (quindi anche ai docenti universitari). La formula

34 Lo Spallanzani manipolò una tra-chea di pollo, così da farla apparireun verme. Lo Scopoli la classificòcome verme, inviando una relazioneal Presidente della Royal Society diLondra, già avverti to dalloSpallanzani. La burla valicò i confinid’Europa, mentre lo Spallanzani nefece ulteriore pubblicità editando,

nel 1788, con uno pseudonimo, duelettere dirette allo Scopoli, nellequali, oltre a demolire il suo valorecome fisiologo, aggrediva pure ilVolta, reo di essere amico delloScopoli e degli altri congiurati.35 Si veda anche quanto riportatonella nota 2636 Ettore Rota, L’Austria in Lombardia, Milano, 191137 Osserva il Corradi: «Lo Scarpaperplesso nell’assumere uffici sotto ilnuovo Governo, a cui per indole piùche per devozione al cadutoSovrano, era avverso, attendeva in sìgrande instabilità di cose, l’esito

della guerra per decidersi: intanto siregolava in guisa da poter profittaredegli eventi, da qualunque parte lafortuna si volgesse. Lo Scarpa, chepur sapeva di valer molto, non avevafede nel proprio valore e perché nonaveva robusto l’animo come lamente, ricorreva per tenersi ritto,alle arti de’ mediocri e de’ meschi-ni». [Armando Corradi, Memorie e  Documenti per la storiadell’Università di Pavia, Pavia,1870]. Come poteva il Volta trovaresaggio quello che ad altri, giudican-do spassionatamente appariva inluce così sfavorevole? La rispostanon può che essere che questa: il

contegno del Volta coincideva conquello dello Scarpa. Vale a dire cheegli, pur avversando di tutto cuore ildominio dei Francesi e l’indirizzo daloro dato alla cosa pubblica, sapevadissimulare abilmente e anzi fingereatteggiamenti collaborazionisti. Dinuovo un test della furbizia insitanell’anima semplice del Volta?

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era : «Io N.N. giuro inviolabile osservanza alla Costituzione, odioeterno al Governo dei Re, degli Aristocratici e Oligarchici e pro-metto di non soffrire giammai alcun giogo straniero e di combat-tere con tutte le mie forze al sostegno della Libertà e dellaEguaglianza ed alla conservazione e prosperità della Repubblica».Tale giuramento sollevò gran clamore e molte dispute, perché la

decisione, nell’un senso o nell’altro, dipendeva solo fino a uncerto punto dal sentimento religioso e dalle convinzioni politiche.Tant’è che moltissimi ecclesiastici, pure antigiansenisti, giuraronoe ne sostennero la legittimità. L’Arcivescovo di Milano, sul parered’una congregazione di teologi, lasciò giurare, spiegando la frase:odio eterno al Governo dei Re, nel senso del testo evangelico:«Chi non odia il padre suo, non è degno di me», in quanto, doven-do ogni buon cittadino rispettare e coadiuvare il Governo domi-nante, ne veniva per conseguenza un certo odio per quello prece-dente.38

In qualche modo la pensava così anche il Volta, come risultada alcune sue lettere, dove ritroviamo la sua abilità nel barca-menarsi per salvare l’essenziale [Ep. III, pp. 131, 133]. Non cosìla pensava, ovviamente, il Gattoni, avversario implacabile deigiacobini e instancabile polemista contro quanti sostenevanolecito il giuramento. Di qui i suoi reiterati attacchi al Volta, reodi aver giurato «tra i primi» e di essere «assertore risoluto dellalegittimità di quell’atto». In data 14 febbraio 1798, registrandonel suo Giornale il giuramento prestato da tutti i docenti delGinnasio di Como, egli aggiungva: «Don Alessandro Volta, cheha giurato egualmente a Pavia e che è in molta stima in Como,

sostiene con molta eloquenza essere stato deciso lecito da tutti ilegisti, canonisti e teologi il giuramento nostro. Ho avuto con luiuna lunga questione, ma inutile».39 E più avanti: «Non mi haconvinto di più di quello che mi convincesse il primo anno dellaRivoluzione francese quando venne da Pavia a sostenere conTamburini e l’ex-Vescovo Ricci di Pistoia che l’illustre corpo epi-scopale francese era affatto condannabile per non aver obbeditoalle Autorità che esigevano il giuramento costituzionale e pernon essere rimasto fermo e costante nella sua Chiesa malgradole persecuzioni».

Tuttavia Volta, in una lettera scritta verso la fine del 1799,probabilmente a un funzionario del nuovo Governo austriaco, silamentò del trattamento ricevuto, ricordando il suo comporta-mento durante l’invasione francese e precisava: «Quando poi sitrattò del giuramento concordato dal Governo Cisalpino a tuttigli impiegati, e ch’io pure doveva prestarlo come professore aPavia, fui ancora ritroso, e solo m’indussi ad intervenire coglialtri nella Sala dell’Università ove dovea esser dato, coll’intelli-genza presa con altri Prof.ri di correggere la mal espressa for-mula con una dichiarazione. Ma poi trovando sul luogo, che imiei Socj non pensavano più di fare tale dichiarazione o prote-sta, o si accontentavano di prestare il giuramento prescrittopuramente e semplicemente, io mi sottrassi bel bello, come feceanche il P.re Fontana Barnabita, e schivai il giuramento» [Ep. III,p. 465].

L’UOMO

 Medaglione (recto e verso) con ilmonogramma dei coniugi Volta,realizzato con i capelli di Alessandro Volta (FamigliaVolta).

38 Come ricorda il Volpati, anchemons. L. Tosi, allora canonico di S.  Ambrogio in Milano e futuroVescovo di Pavia, che doveva eserci-tare tanto ascendente sul Manzoni,fu di quelli che accettarono senzadifficoltà il giuramento. Egli dichia-rava: «Quanto alla religione, questasi adatta ad ogni forma di Governo,

 A chi vive in una Monarchia, essaprescrive obbedienza al Re: a chivive in Democrazia, prescrive l’attac-camento alle Leggi della Patria; e sel’indole di questo Governo esige chesi allontani il pericolo di mutazionein altre forme, la religione non vietache gli animi e le forze si uniscanoalla causa comune per sostenere lapropria Costituzione».39 Tra l’altro il Volta si appoggiavasull’autorità di un suo collega, ilPerondoli, docente a Pavia di DirittoCanonico, e condannava mons.Mattei, Vescovo di Ferrara, cheaveva diretto una lettera pastorale al

suo gregge, nella quale drasticamen-te proibiva il giuramento e l’obbe-dienza. Scriveva ancora il Gattoni:«Compiango il Fisico e desidero cheper bene dell’anima sua non esca da’limiti delle elettriche atmosfere».

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 N AMORE IMPOSSIBILE. Qualche parola è doveroso spender-la anche sugli affetti del Volta, generalmente pacati, mache, in almeno un caso, furono burrascosi. Una vicenda

che, lungi dallo scandalizzare, rende il Comasco più umano o,quanto meno, non troppo disincarnato.40 In realtà, anche ricor-dando quanto già detto sull’indole gioviale di Alessandro, amante

del vivere socievole, dei lieti banchetti e delle spiritose conversa-zioni, né dimenticando il suo bel fisico e la prestanza del suo trat-to, è più che lecito ritenere il Volta ben proclive ai giochi d’amo-re. Le passioni, afferma il Cantù, «lo sviarono qualche istante». Sene può vedere una manifestazione in quel capitolo bernesco con-tro i cicisbei che il Volta compose quando era tra i 20 e i 30 anni,dove mostra buona conoscenza del gentil sesso:

E credi pur, se avessi ben cent’occhiDa vegliar sempre, io non ti son garanteChe alcuna delle tue non te l’accocchi:Chi fu mai quella che d’un sol galanteFosse contenta? E tu lusinga avraiDi poter solo bastar per tante?Chi sian le donne dunque ancor non sai;Non sai che sempre fu sano consiglioDi donna alcuna non fidarsi mai.

Importante poi è la chiusa del capitolo: dopo aver passato inrassegna le varie specie di cicisbei, il Volta si classifica in quella dei“cavalieri erranti”, che così definisce:

Erranti, io dico quei che fan corteggio A questa e a quella e ne han sempre una nuova.

Possiamo quindi ben ammettere che il Volta giovanotto abbiacorteggiato le graziose fanciulle, né sbaglierebbe troppo chi loimmaginasse, tra i 20 e 30 anni, nell’atto di intrecciare rimemadrigalesche per questa o quella damigella. Il frasario poeticoclassico gli era perfettamente familiare e ne troviamo conferma inquesto sonetto, composto a 22 anni, per la monacazione di unagentildonna:

Ben hai di doppio acciar recinto il cuore,Nobil donzella, se gli strali ardentiDi quell’invitto nume ancor non sentiCh’è de’ mortali e degli Iddii signore.Se di tua verde età nel più bel fioreI dolci affetti troppo ad arder lentiDormonti in cuor sepolti, o son già spenti,Quando fia mai ch’in te s’avvivi amore?Sì parla il mondo forsennato e rio,Cui soltanto l’amor profano, e noto

Sol de’ poeti è il favoloso dio;Ma hai folle ardir! Non è d’amor già vuoto,Vergine, il tuo bel cor, sì lo ferìoQuel dio Arcier ch’è al mondo cieco ignoto.

U 40 Circa la tematica sessuale-affettiva,il Volpati respinge la tesi ottocente-sca, che riteneva il Volta casto fino almatrimonio, e scrive: «Per quanto glistudi lo assorbissero, anche in lui fer-veva quella parte di umanità, fatta diistinti […] proclivi ai ludi d’amore».Da parte sua il Gattoni scrive:«Dolce, ed assai sensibile e prima e

dopo allontanato dalla patria[Como] ebbe le sue peripezie dicuore dall’umana natura inseparabi-li». Ancor più esplicito il Lichtenberg(lettera del 22 novembre 1784 alWolf), dove così si esprime neiriguardi del Volta: «È un bellissimouomo […] e in alcune ore, in casamia, nella quale facemmo baldoria,[…] ho notato che s’intende moltodell’elettricità delle ragazze». Inun’altra lettera al Wolf (10 febbraio1785) il medesimo lo definisce «unbell’uomo, simpatico, estremamenteallegro […], un vero cuscinetto stro-finatore per le signore».

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Ma dopo gli amoretti giovanili e gli innocui flirt romantici –poeticamente stilizzati nei suoi versi –, l’anima e il corpo, giuntiormai nella piena virilità, sentirono l’ansia di un amore intero e diuna donna con la quale stringere un legame di vita.

Ma non fu Teresa Peregrini – che sposò nel 1794 – quella cheper prima il Volta amò e avrebbe voluta per moglie. Un’altra laprecedette, Marianna Paris, romana, cantante di teatro, alla qualesi legò con un lungo e tribolato amore (1788-1792)41. Difatti, ilVolta, frequentandola, sentì che questa donna andava insinuando-si sempre più nel suo cuore, fino a scatenare un’intensa passione.  Alla fine, dopo vari conflitti interiori e scontri con i pregiudizidella borghesia provinciale e della tradizione puritana, scrisse alfratello maggiore Luigi, confidandogli d’aver tentato invano distaccarsi da lei e pregandolo di non opporsi al matrimonio, ma dibadare alla sua pace fisica e spirituale. Infatti egli confessava:«Trascorsi un periodo di sregolatezze e, libero e sciolto, corsi die-

tro ad amoretti vaghi; ma ora che mi diedi ad un amore fisso,sento che sarò regolatissimo e dabbene con un attaccamento legit-timo». Né il seguito fu meno nobile, osservando che l’amore perMarianna era « fondato principalmente sulla stima, non un fuocopasseggeramente acceso ai sensi: nato e cresciuto gradatamentecol lungo conversare, e col conoscersi intimamente l’un l’altro». Econcludeva: «O rinunciare per sempre allo stato coniugale o unir-mi a quella che il mio cuore ha scelto per sposa».[Ep. III, p. 42]

Significativamente fu la stessa Marianna a volere che la fami-glia venisse informata. Alessandro pensava invece di tenere nasco-

sta la relazione e di affrontare il tema matrimonio solo quandofosse rimosso l’ostacolo dovuto alla professione della compagna.Quell’atto di lealtà scatenò il finimondo: non solo insorse rabbio-sa la famiglia Volta al completo, ma anche il conte Wilzeck; solol’amico e collega Tamburini lo appoggiò perché, da buon gianse-nista, riteneva che a quel punto l’onesta coerenza dovesse preva-lere (col matrimonio) su ogni altra convenienza o ipocrisia. In unalettera dell’ottobre 1789 il Volta chiese tempo: passarono tre anniin suppliche, da una parte, e in opposizioni dall’altra(nell’Epistolario sono riportate oltre 50 lettere). Volta temeva cheMarianna, abbandonandola, discendesse la china e si perdesse:

non restava quindi che sposarla e tenerla segretamente a Milano.Il pregiudizio verso la professione di cantante non era solo

materia di pettegolezzo che si sprecava in cittadine di provincia(Como e Pavia), ma anche una minaccia per la permanenza delVolta all’Università. Perciò egli inviò una supplica all’ImperatoreLeopoldo II: «Alessandro Volta Patrizio Comasco, suddito fedelis-simo di S.M. Vostra e che ha l’onore di essere impiegato al Suoservizio in qualità di professore di Fisica Sperimentale […]nell’Università di Pavia […] chiede alla M. S. la grazia di esseretrasferito coll’eguale impiego e attual soldo a Milano mosso dai

seguenti motivi. Giunto egli ad una età ben matura senza essersimai potuto risolvere, quantunque sia egli di tre fratelli il soloSecolare, a collocarsi in Matrimonio, perché nessuna donna giun-se a fissarlo; fu due anni sono preso e legato da una savia ed one-

L’UOMO

41 La Paris coltivava il genere operet-tistico (repertorio di Paisiello,Cimarosa ecc.) e l’incontro col Voltaavvenne tramite una raccomandazio-ne della contessina Porta, amica dellacantante e sollecita perché nellatournée a Pavia trovasse in Volta unamico sincero. Nella raccomandazio-ne la dice “ben fornita di qualità,

cosa molto rara in simili persone; ladi lei saviezza ed il tratto civile, edinfine la savia educazione fornisconoin la medesima assai meriti, abben-chè non la sia molto bella, anzi ardi-sco dire meno che mediocre”.

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94 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

sta fanciulla, ma per disgrazia di umile e vil condizione, non tantoper nascita, quanto per la professione poco onorata del teatro, chemal suo malgrado, e per fatali circostanze ed infortunj domestici,esercita quella povera giovane, di nome Marianna Paris, e di patriaRomana, Or dunque questa sola, ch’ei conobbe e trattò onesta-mente, poté fissarlo, sicché desiderò fin d’allora il Supplicante di

sposarla; e l’avrebbe fatto, se molti inconvenienti e pregiudizj […]non l’avessero ritenuto. […] Ciò avvenne un anno e mezzo fa; ecredè in allora il Ricorrente di poter superare la passione, e riac-quistar la sua pace. Ma invano lo sperò; poiché il tempo e la lon-tananza, che dovean essere medicina, non valsero punto a sanar-lo; […] ricrebbe anzi col desiderio di possedere l’oggetto amato. Edegno della sua tenerezza, l’inquietudine e la quasi disperazione ditrovarsene privo». Spiegò quindi il motivo della sua richiesta nelfatto che «il Governo non potea vedere con indifferenza unProfessore dell’Università condursi in Moglie una cantante di tea-

tro; la qual cosa […] riuscita sarebbe di poco buon esempio, e dipregiudizio alla disciplina, e costumatezza degli Studenti, a’ qualisi raccomanda di non praticare le Virtuose»; mentre non avrebbedato scandalo in una città grande come Milano, e per un profes-sore di Ginnasio. [Ep. III, p. 109]

Dopo sei mesi la supplica venne respinta, sembra anche per unintervento del fratello, l’Arcidiacono Luigi. A questo punto èMarianna stessa a rinunciare, mentre Alessandro, travolto daifatti, ricercò conforto e lumi negli Autori spirituali.Contemporaneamente però, da galantuomo, ritenne doveroso unrisarcimento finanziario e ottenne che il fratello Luigi facesse per-venire a Marianna 1.000 scudi, impegnandosi lui stesso ad aiutar-la in caso di ulteriori necessità.

Finiva così, mestamente, un sogno forse troppo bello. Ma Alessandro sentì che ormai, verso la cinquantina, quando l’amorenasce da vera corrispondenza di sentimenti, bisognava trovare unadonna per la vita. Né mancavano le dame pronte a espugnare il suocuore: la nobile Giulietta Rovelli e donna Antonietta Giovio; ma saràTeresa Peregrini a spuntarla, il 22 settembre 1794, nella chiesa di SanProvino in Como: «Diva pur essa – scrive il Rota –, ma del focolare».42

  L FOCOLARE DOMESTICO. Dal matrimonio con Teresa Peregrini,Volta ebbe tre figli maschi: Zanino (3 luglio 1795), Flaminio (29maggio 1796) e Luigi (2 maggio 1798). I biografi lo dicono

padre attento e amorevole, unendo, data la sua età, alla responsabilitàdel padre l’affetto del nonno. Negli anni del grande successo (1800-1801), la loro lontananza gli fu particolarmente gravosa. Scrivendo alfratello Luigi da Parigi, concludeva teneramente: «Un bacio per me aciascuno dei cari figli; a cui direte, che non si scordino di recitare l’a-vemaria per me, come io non mi scordo di recitarla per loro». E anco-ra in una lettera di poco successiva: «Spero fra un mese […] di acca-

rezzare i dolci figli, e trastullarmi con loro».Dopo l’invenzione della Pila, quando il suo impegno scientifi-

co e accademico andò via via attenuandosi, si dedicò sempre piùall’educazione dei figli. In una lettera del 1806 scriveva: «Vivo

 I 

42 Donna Teresa non era bella, ma  Alessandro scorgeva in lei dotiprofonde; nota i suoi occhi castani,ascolta i suoi discorsi di scienza, diletteratura, di geografia, di argomen-ti domestici con una sensazione diconfortevole ristoro. Egli che crede-va di amare Teresa come un padre,sentiva salire alle labbra parole di

tenerezza, che le scriveva in francese,come a celare l’impaccio delle primeconfidenze. Ovviamente, anche inquesta circostanza fu quell’intrigantedi Arcidiacono Luigi a prendere inmano le trattative, pretendendo30.000 lire di dote. La famigliaPeregrini intendeva darne 20.000 …  Alessandro finalmente si ribellò el’Arcidiacono dovette cedere.

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tranquillo e in riposo nella mia patria [Como], e in seno alla miafamiglia , dove occupandomi principalmente in dar l’educazionea’ miei figli, non lascio per altro di attendere a’ miei studi»[Ep. V,p. 5]. E alcuni anni dopo, nel 1809, «poco ormai mi applico inquesta mia avanzata età [64 anni] alle ricerche sperimentali, occu-pato ora in patria agli affari domestici, ed alla educazione di tre

figli maschi, de’ quali fo’ io stesso da maestro nella scuola diumane lettere.» [Ep. V, p. 157].

Sempre fedele al principio di «non affidare a nessuno altri chea se stesso l’educazione dei figli», alla fine del 1809, approfittan-do della nomina a Senatore del Regno, si stabilì a Milano, per farfrequentare ai figli le scuole di Brera e nel 1815 accettò la caricadi direttore della Facoltà di Filosofia a Pavia anche per essereancora vicino ai due figli43 durante gli studi universitari in legge.Come bene puntualizzò il Bianchi «li levò dalla culla e li condusseper mano egli stesso fino alla laurea».

Purtroppo i figli non furono all’altezza del padre. Zanino inparticolare, spinto dal desiderio di realizzare nel nome del padrequalche cosa di duraturo, si lasciò invischiare in un grandioso,quanto assurdo, progetto di costruire una linea ferroviaria traMilano e Como. Il progetto fallì, ma se le conseguenze finanziarienon furono alla fine disastrose, pesante fu il giudizio dei concit-tadini. Il giorno dell’inaugurazione a Como della statua di Volta(1838), qualcuno suggerì una diversa epigrafe per il monumento:«Se d’arrestar il fulmine/Tu fosti in parte autore/Zanin fe’ equalprodigio/Ed arrestò il vapore».

  A FEDE CRISTIANA. Nonostante le spiacevoli, ma peraltroumanissime, vicende tanto politiche quanto affettive fino aqui riferite, le belle qualità dell’anima voltiana, lungi dal-

l’incrinarsi, ne uscirono consolidate anche nella dimensione reli-giosa più vera, che in Alessandro registrò varie fasi. Anzitutto lagià ricordata vocazione gesuitica che, seppur in nuce, fu ricca dipreghiere, mortificazioni e intensa vita spirituale, come risultadall’Epistolario ( lettere 5, 13, 22, 27, 32, 35). Una vita spiritualeintensa, minimamente attenuatasi nel corso degli anni e sempre

nutrita con gli studi biblico-teologici e apologetici. Felice questasintesi del Cantù: «Affezionato alla sua religione, non solo per abi-tudine, ma per effetto di lunghe meditazioni, non trascurò la deli-zia del pregare e le forme esterne del culto, neppure quando lamoda imponeva che ogni uomo non vulgare dovesse o nutrire oaffettare dispregio per quel ch’era stato sacro ai padri».Interessante anche sapere che negli anni d’insegnamento alGinnasio di Como non trovava disdicevole insegnare la dottrinacristiana ai fanciulli nella chiesa parrocchiale di San Donnino,dove tuttora una lapide ricorda enfaticamente Volta «CHE QUI INSE-GNANDO IL CATECHISMO SI PREPARÒ AL MIRACOLO DELLA PILA».

Interessante poi quanto leggiamo nell’opera citata del Grandi:«Quasi tutte le domeniche […] egli, in un angolo della chiesa diSan Donnino, è circondato da una moltitudine di giovani e giova-netti tutti intenti ad apprendere dal di lui labbro il Catechismo,

L’UOMO

 L

43 Flaminio infatti, che mostrava unaspiccata inclinazione per la matema-tica e si pronosticava che avrebbeemulato il padre, nel 1814, appenadiciottenne, muorì di encefalite. NelVolta cominciò la parabola discen-dente, mentre s’intensificava laprofonda religiosità di sempre, finoa toccare punte quasi mistiche.

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96 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

che esso magistralmente loro insegna. Non c’è nel Volta né sussie-go, né severità, è tutto bontà e dolce persuasione, più che un mae-stro espertissimo, appare un padre in mezzo ai propri figli e conmille maniere se ne accattiva l’amore, la docilità, l’attenzione […].Egli spiegava il Catechismo da maestro, adattandosi con paragoni,con esempi i più facili alla mente dei suoi giovani ascoltatori, si

faceva fanciullo tra i fanciulli. Aggraziato nel parlare, per allietarela sua brigatella aveva facezie innocenti, bei racconti che rallegra-vano l’istruzione e ridestavano l’attenzione. I giovani vi accorre-vano numerosi. Volta non era solo un sapiente, ma aveva un cuoregrandissimo e sapeva bene che l’amore è il primo segreto dell’in-segnamento. La classe di dottrina del Volta era la più affollata espesso molti non vi trovavano posto!». L’Autore ricorda che glistessi preti avrebbero voluto sedersi tra quei giovani per ascoltarele spiegazioni del Volta, ma per chissà quale deformazione clerica-le, s’accontentavano di passare vicino a quella classe fortunata, per

ascoltare pur essi almeno qualche cosa dell’insegnamento delGrande Fisico.

Quando, poi, nel 1778, fu chiamato all’Università di Pavia e glifu impossibile continuare quell’insegnamento, non per questolasciò di frequentare – a Pavia e nelle chiese delle varie città in cuipassava o aveva dimora – la spiegazione della dottrina cristiana,solitamente attraverso l’omelia della Messa festiva e, soprattutto,durante i vesperi44, proprio perché sentiva il bisogno di nutrirecontinuamente la sua fede, anche per rispondere meglio alle cre-scenti sfide del razionalismo scientista.

I biografi voltiani sono concordi: la passione per i problemi direligione, unitamente al sentimento religioso persistettero attra-verso tutta la vita del Comasco. Al Mochetti dobbiamo questabella testimonianza: «Egli non appartiene a que’ filosofi, che stra-namente abusarono del proprio ingegno per ribellarsi a Dio, amisura che seppero levare alcun poco il velo, onde sono celate legrandi leggi che governano l’universo. Ma parve per lo contrario,che da’ suoi studi e dalle stupende sue invenzioni trasse semprenuovo argomento per ammirare ed amare l’Onnipotente […]. Néin mezzo alle lodi del mondo, in mezzo agli onori, che lo subli-marono a gradi eminenti, […] mai credette che la scientifica sua

eccellenza potesse dispensarlo dai più minuti doveri, che laReligione comanda all’universale degli uomini». Più oltre, riferen-dosi al Volta in età senile: «Ogni memoria delle passate grandezzepareva che in lui fosse estinta per cedere tutto intero il campodella mente e del cuore all’amore della virtù, al sentimento dellareligione. Noi tutti lo abbiamo veduto frammentarsi pubblica-mente all’umile plebe, dovunque le pratiche della religione lochiamassero […]. Sì, il celebre Volta si umiliava dinanzi a Dio,dator degli ingegni e fonte d’ogni umana grandezza».

Una bella pagina del Rota osserva il Volta che, «mentre tende a

unificare le forze naturali, volge lo sguardo oltre le frontiere dellapsiche, e allora è sospinto all’equivalenza della natura con Dionella relazione di Creato e Creatore; e dalla sua stessa indole ècondotto a vedere in tutte le cose le vibrazioni di una stessa corda

44 Nelle varie lettere al Fratello Luigiritornano frequenti i cenni alle prati-che religiose che mai trascurava.Così, nella lettera da Ginevra del 13aprile 1802, lo informava di appre-starsi a soddisfare il precetto pasqua-le.

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e di uno stesso suono fondamentale, purché la materia non siadisgiunta dalla spirito che l’ha unificata. È perciò che l’anima delVolta sta ancora più vicina a Galileo, [...] che legge i segni delladivinità impressi in una legge universale di impeccabile armonia.Il problema del divino occupa un posto eminente, come il proble-ma dell’anima, nel pensiero voltiano». E ricorda il giovane

 Alessandro che, poeta e scienziato, disvela la serena «maestà dellanatura, non più pauroso regno di volontà sconosciute, ma fucinadi leggi semplici e buone, [e] s’inebria nei trionfi della scienza [...]che gli dà l’ardore delle sante battaglie [...] per espellere dal crea-to i fantasmi [come quelli dei fuochi fatui]».

Merita a questo riguardo un breve cenno alla sua Relazione delviaggio in Svizzera (1777) che, tra l’altro, con forti suggestioni poe-tiche, ci rappresenta al vivo la grandiosa bellezza del San Gottardo.45

In questa Relazione il Volta – obliando il diluvio noetico e i6.000 anni della Bibbia – seguì l’ispirazione del genio e, anticipan-

do le odierne acquisizioni degli esegeti biblici sui generi letterari ela storia delle forme, parla – contrariamente ai letteralismi (e rigidecronologie mosaiche) del tempo – della «estrema vetustà di questonostro globo», della «decrepitezza» di «quelle alte cime», della«serie lunghissima e al nostro pensiero inarrivabile di secoli», attra-verso cui gli elementi «operano sopra quelle masse enormi».46

Non si può parlare della religiosità del Volta senza affrontare ilproblema della sua adesione, sia pure temporanea, al movimentogiansenistico.47 L’incontro del Volta col giansenismo avvennenell’Università Ticinense, dove insegnavano due convinti sosteni-

tori di quel movimento: il Tamburini e lo Zola.48

I biografi con-cordano sul fascino (anche oratorio) del Tamburini, mentre ilGattoni nel suo Giornale, aggiunge (un po’ malignamente) che:«assai massime [bevve il Volta] all’ingrosso e ne’ suoi viaggi e nel-l’amicizia di Tamburini (23 gennaio 1799)»; «Conversando a Paviacol Tamburini ed altri suoi settari senza conoscerne il veleno, avevaadottato dei princìpi erronei in tutt’altro che fisica [...]. Le massi-me poi di Pavia, senz’essere in nulla teologo, certamente le bevvefino a certa misura senza conoscerle bene» (1° maggio 1800).

I biografi disputano sulle cause (e il grado di adesione) che

orientarono giansenisticamente il Volta. Una circostanza favore-vole può essere trovata nel fatto che le posizioni estremiste delmovimento facilmente toccavano sentimento e idealismo dei gio-vani (il Volta, all’epoca, ha 35 anni). Si può anche ritenere che ilVolta, mosso dal proprio rigore logico, abbia visto nel giansenismoun perfezionamento o un’intensificazione della religiosità cattoli-ca tradizionale. Infine, se vediamo nel giansenismo un movimen-to di purificazione della Chiesa – sulla linea, per esempio, di sanCarlo Borromeo, anziché «un moto di ostilità verso la Compagniadi Gesù» (E. Rota) –, allora non pare strano, considerando anchel’intensa spiritualità e cultura teologica del Volta, ch’egli abbia

simpatizzato con quel movimento. Un particolare da non trascu-rare, infine, è che il Volta fu amico e ammiratore del Tamburini,al quale la rettitudine e generosità d’animo, l’amor del vero e delprogresso civile, l’attività instancabile, la vivacità e l’eloquenza

L’UOMO

45 Ricordiamo qui, anche per varieaffinità, quanto egli scriverà poi, nel1786, in onore dello scienziato O. B.Saussure, che nell’agosto di quell’an-no raggiunse l’inviolata vetta del M,Bianco. Si tratta di un’ode di 199versi francesi (tradotta successiva-mente in endecasillabi riuniti in ter-zine), che G. Carducci giudicò di

pregevole fattura, scrivendo – in Voldi Castello 1835 (Bologna 1907) –«L’A. ha una vera cultura letteraria epratica del verseggiatore».46 Come riferisce il Volpati, questeardite frasi non furono scontate dalVolta bensì da M. Monti, il quale –avendole riportate nella sua Storia diComo – dovette in seguito, nellaritrattazione impostagli delle auto-rità ecclesiastiche del 1835, dichiara-re (punto VI): «Nell’ultima nota allaVita del Volta, dove cito alcune frasidi lui che contraddicono alla crono-logia di Mosè, era obbligo mio otacerle o almeno confutarle. Il nonaverlo fatto mi torna a biasimo».47 Sorto in Francia, questo movimen-to religioso – che, nella secondametà del ‘700, si diffuse da Port-Royal a tutta l’Europa – invocava ilritorno alle linee originali dellaChiesa primitiva, sintetizzabili inqueste tesi: più dei riti contano lafede e lo spirito di carità; l’uomo,emancipandosi dalla mediazionepretesca e dalle forme devozionali(non solo popolari, ma anche eccle-siastiche obbligatorie), deve comuni-care direttamente con Dio; unamorale austera (e non il lassismogesuitico) deve guidare la vita prati-ca; la Chiesa va organizzata secondo

princìpi democratici, ponendo fineal centralismo assolutista delVaticano; gli ordini monastici devo-no essere soppressi, perché appar-tengono all’inerte vita contemplati-va; lo Stato deve emanciparsi dallaChiesa e questa rinunciare al suopotere temporale.48 Il primo docente di Filosofia mora-le e Diritto naturale, il secondo diStoria eclesiatica.

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98 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

della parola accattivavano la simpatia e l’affetto dei più. Nel belmezzo della fucina giansenistica, in quotidiano contatto col capoaffascinante di essa, il Volta non poté sottrarsi all’azione di quellae di questo, come non lo poterono molti altri professori.49

Nonostante tutto, però, il grado di adesione voltiano al gianse-nismo risultò forse ingigantito dalla suscettibilità ortodossa delGattoni, che vide di grandi proporzioni ciò che invece era assaimodesto. E così, appena le autorità civili e religiose presero unatteggiamento di risoluta opposizione verso questo movimento,50

egli sentì affievolirsi l'entusiasmo e, come risulta anche dalGattoni, Volta «tornò genuinamente cristiano».51

 A nostro parere il Volta seppe comunque ricavare, pure dall’e-sperienza giansenista, il meglio: ossia l’accennata spinta purificatri-ce evangelica – contro un’innegabile degenerazione romana o,come si preferisce dire oggi, l’anomala dialettica tra istituzione eprofezia –, senza peraltro rompere con l’istituzione gerarchica nella

quale – di nuovo con fine intuito – Alessandro vedeva «l’altra fac-cia delle medaglia». Guadagno non da poco, a ben guardare.

  IUTARE QUANTI SONO IN CRISI DI FEDE. Ci limiteremo a dueepisodi, accaduti nel 1815; due episodi che ben illustranonon solo la coniugazione di fede e scienza nel Volta, ma

anche il suo zelo nell’aiutare quanti si trovavano in crisi di fede.

 Anzitutto c’è l’incontro con Silvio Pellico nella dimora estivadei conti Porro – Silvio era istitutore dei loro figli –, come testi-moniato nella lettera del Pellico al Porro (22 settembre 1815), eforse ne seguirono altri (però non documentabili). Dalla successi-va lirica del Pellico sappiamo che egli allora era praticamente ateoe che il Volta rispose con tali argomentazioni da mettergli in cuorequel germe di fede che poi maturerà nel carcere dello Spielberg.La composizione,52 probabilmente del 1834, è intitolata “A. Volta”e fregiata dal motto: «Erat vir ille simplex et rectus et timens Deum (Job. 1,1)». In questa lirica il Pellico rievoca la sua crisi difede e le toccanti parole del Volta. L’ode è molto lunga; qui nestralciamo alcuni passi più significativi:

«O tu, gli dissi, che vedesti avante

Più di molti mortali entro a’ secreti,Fra cui traluce il sempiterno Amante.Dimmi in qual foggia in mezzo a tante retiDi volgari credenze e d’incertezza,Circa la fede il tuo pensiero acqueti.»Il buon vegliardo a me con pia dolcezza:«Figlio, anch’io lungo tempo esaminando,Tenni la mente a dubitanze avvezza;E a giovani anni mi turbava, quandoMi parea che del secolo i primaiDi Fé il giogo scotesser venerando,E s’infrangesser di scienza a’ raiScoperto aver ch’Ara, Vangelo, e Dio,Fuor ch’esca a plebe, altro non fosser mai.Temea non forse alfin dovessi anch’ioDa’ miei studi esser tratto a dir: – La scuola,

 A

49 In particolare F .Alpruni, barnabita;V. Palmieri, chierico regolaredell’Oratorio; S. Perondoli, olivetano.50 Nel 1792 il Tamburini e lo Zola,per decisione di Francesco II, cheaveva ceduto alle istanze di Roma,dovettero, collocati a riposo, lasciarel’insegnamento universitario. Nel1794 (28 agosto) fu promulgata la

bolla Auctorem fidei condannante gliatti del Sinodo giansenista di Pistoia,e l’insegnamento universitario dellateologia riceveva il controllo dell’au-torità ecclesiastica.51 Scriveva infatti il Gattoni, dopo lafase critica – quando Volta difendevaTamburini e compagni «senza com-prender bene lo stato della questio-ne» e per questo egli «più non miguarda[va] da sette o otto anni inqua, perché [avevo] dovuto a luioppormi ne’ discorsi diverse volte econ troppo calore» – «l’amiciziarivisse fra noi in questi ultimi tempi[1799] perché [il Volta] mi pare pie-

namente rientrato in se stesso, e lapensa a mio modo in ciò che piùimporta».52 Cantiche e Poesie di S. Pellico,Firenze, Le Monnier, 1860, p.393

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Che mi parlò d’un Creator, mentio.Ma benché ardito e avverso ad ogni fola,E benché in secol tristo in ch’ebbe regnoQuella filosofia che più sconsola,E benché procacciassi alzar lo ingegno,Sì che a Natura io lacerassi il velo,

Sempre d’Iddio vidi innegabil segno.……………………………………..Sento che puote ingegno essere adornoDi ricco intendimento e di scienzaDella Croce adorando il sacro scorno,E mi umilio con gioia e reverenzaCol cattolico volgo a questa Croce,E in lei sola di scampo ho confidenza.»……………………………………..Vedendoti di rado, il mio coraggio Appo la Croce non durò abbastanza,E a follie tributai novello omaggio.

 Ahi! Dié l’Onnipotente a mia incostanzaCastigo di sventura e di catenaE lurid’antro a me divenne stanza!

 A noi pare inoltre molto significativo quell’esergo del Pellico,attinto da Giobbe, «l’uomo dei dolori». Forse Silvio intendeva dire– anche così – quanto il Volta, pur nella stretta del dolore,53 fosseun credente per davvero: «Timens Deum» o, come prosegue poi illibro di Giobbe, capace di lodare e ringraziare Dio nella buona enella cattiva sorte. Volta infatti avrebbe detto, a riguardo sia diFlaminio, sia dei fratelli e dell’amico scomparso: «Dio ha dato,

Dio ha tolto; sia il Suo nome benedetto».L’altro episodio riguarda la “professione di fede”, inviata alcanonico G. Ciceri di Como,54 in cui testualmente scrive: «Homancato è vero nelle buone opere di Cristiano Cattolico e mi sonfatto reo di molte colpe ma per grazia speciale di Dio non mi pared’aver mancato gravemente di fede, e certo sono di non averla maiabbandonata. Se quelle colpe e disordini miei han dato luogo ataluno di sospettare in me anche l’incredulità, dichiaro apertamen-te a lui, e ad ogni altra persona, e son pronto a dichiarare in ogniincontro, ed a qualunque costo, che ho sempre tenuta e tengo perunica, vera ed infallibile questa Santa Religione, ringraziando senza

fine il buon Dio d’avermi infusa tal fede in cui mi propongo divivere e morire con ferma speranza di conseguire la vita eterna».

Riconosciuto poi che tale fede è «un dono di Dio», una «fedesoprannaturale» – non quindi frutto d’umane industrie –, ribadi-sce però di «non aver tralasciato i mezzi umani per vieppiù con-fermar[si] in essa», così da «sgombrare qualunque dubbio potessesorgere a tentar[lo], studiandola attentamente ne’ suoi fondamen-ti, rintracciando colla lettura di molti libri sì apologetici che con-trarj le ragioni pro e contra, onde emergono gli argomenti piùvalidi, che la rendono anche alla ragione naturale credibilissima, e

tale, che ogni animo non pervertito da vizj e da passioni, ognianimo ben fatto non [possa] non abbracciarla, ed amarla». Né lafinale potrebbe essere più nobile, col versetto paolino non erube- sco evangelium [non mi vergogno del Vangelo]: «Possa questa pro-testa, che mi viene ricercata, e ch’io di buon grado rilascio, scritta

L’UOMO

53 Come abbiamo visto il secondoge-nito Flaminio era morto nel 1814,ma già nel 1810 il dolore visitòpesantemente Alessandro: in quel-l’anno morirono infatti l’Arcidia-cono Luigi, l’altro fratello, ilCanonico Giovanni, e il pur sempreamico Gattoni.54 Interessante sapere che il Cicerigliela aveva richiesta esplicitamenteper aiutare un amico, gravementeammalato, a ricevere i conforti dellafede, da quello vivacemente rifiutatiperché li considerava disdicevoli aun vero scienziato. Interessante purel’ouverture della professione di fedevoltiana «Non so chi mai possa dubi-tare della mia sincerità e costanza inquella Religione che professo, che èla Cattolica, Apostolica, Romana,nella quale sono nato ed allevato, eda cui mi sono attenuto sempre sìinteriormente che esteriormente».

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100 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

e sottoscritta di mia mano, ostensibile come si vuole, ed a chiun-que, giacché non erubesco evangelium, produrre qualche buonfrutto!». [Ep. 5, p. 290]

Di nuovo troviamo il Volta che ben mostra di credere nel Diorivelato, giudeocristiano, e non in quello deista, allora in voga,senza indietreggiare – magari con argomenti filosofici – di fronteallo scandalum crucis o, manzonianamente, «disonor del Golgota».

 LI ULTIMI GIORNI . Durante gli ultimi anni di vita Volta pas-sava la maggior parte dell'anno a Como; in primavera sitrasferiva a Campora e a metà dell'autunno a Lazzate,

senza però mai trascurare i suoi doveri di buon cristiano. A Comoascoltava la Messa nella sua parrocchia di San Donnino, maquando il passo malfermo gli impediva di salire le scale che por-tavano alla chiesa, scendeva fino al Duomo dove i fedeli lasciava-no sempre libero un banco per lui. Il passo strascicato, noto ai

comaschi, avvertiva del suo arrivo: la gente sostava e mormorava«Ecco il Volta», toccava il cappello e cedeva il passo.55

La casa di campagna di Campora distava un poco dalla chiesa diCamnago, per cui la moglie, premurosa verso lo sposo amato, feceerigere a metà del cammino un piccolo chiosco con alberi di carpinoe sedili, in modo che egli potesse trovare riposo nel tragitto. Durantele uscite sul calar del giorno si dice che si soffermasse presso i suoicontadini e talvolta si trattenesse con essi a recitare il Rosario.

 Alla fine di febbraio del 1827, una febbre reumatica lo con-dusse in pochi giorni all'agonia. Il 4 Marzo, essendosi aggravate le

condizioni fu chiamato il Prevosto Pizzi di San Donnino per ilViatico. Purtroppo il Pizzi, contro la volontà dei parenti e fidan-dosi della robusta costituzione del Volta, rimandò al giorno suc-cessivo la somministrazione del Viatico. Il prevosto voleva, infat-ti, che, risaputasi la notizia, molta gente accorresse per il Viaticoal grande cittadino. Ma durante la notte, Alessandro si aggravò eil Pizzi, di nuovo accorso, fece in tempo a dargli l’EstremaUnzione. Volta stringeva al petto un crocefisso, era sereno e san-tamente compì l'ultimo passo. Come disse il Bianchi: «La mortenon era per lui che il mezzo per entrare nell'immortalità».56

 Al termine di questa panoramica voltiana concludiamo con leparole di Giovanni Polvani, che nella sua monografia su Voltaseppe penetrare profondamente nella mente e nell’animo non solodello scienziato, ma anche dell’uomo e del credente: «Egli volle eseppe meditare non solo sul gran libro [della natura], ma anche suquello della rivelazione cristiana; e studiò teologia, e ne discussecon profonda competenza. La ricerca delle leggi naturali non legòla mente di lui alla materia; ma anzi gli rese più facile il sentire lavoce dell’Esser primo, immutabile, necessario, che potentementelo chiamava a sé. E quella religiosità, che in Volta ragazzo non erariuscita a fiorire del tutto perché sopraffatta dal fascino del mondo

fisico, si sviluppò poi completamente nell’uomo, cui già la scienzaaveva procurato fama, onori, gloria, ma non gli aveva potuto darela calma dello spirito. Adagio, adagio egli si ritrasse allora dallascena del mondo, per dedicarsi alla preghiera e alla pratica reli-giosa».

G

55 In occasione delle celebrazioni vol-tiane, nel Duomo di Como sul pavi-mento, dove era posto il banco soli-tamente occupato dal Volta è statadepositata una targa commemorati-va (cfr. p. 290).56 La Congregazione Municipale diComo annunciava al conte Giulio diStrassoldo, Presidente dell’I.R.

Governo, la morte del Volta, nelgiorno stesso in cui era avvenuta,con la seguente lettera: “Oggi alleore 3. del Mattino ha qui cessato divivere nell’età d’intorno ad ottantaanni per esaurimento delle forzevitali, Don ALESSANDRO VOLTA,già Senatore dell’ex Regno d’Italia,profess. emerito dell’I.R. Universitàdi Pavia, ed ivi Dirett. attuale dellaFacoltà Filosofica, Membro dell’Isti-tuto delle Scienze, Lettere ed Arti inMilano, Socio di più AccademieLetterarie d’Europa, Decorato dellaLegion d’Onore e della CoronaFerrea. La Congregazione Muni-cipale, i professori del Liceo, e delGinnasio s’avvisano di condecorarecolla loro presenza le esequie d’unconcittadino, e maestro, il di cuinome, celebrato in ogni Paese, vivràimmortale nella riverente gratitudinede’ Cultori d’ogni maniera di studj,singolarmente di quelli che apparte-nendo alle Scienze naturali illustraegli colla famosa Pila denominataVoltiana. 5 marzo 1827.” [Ep. V, p.489].

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 ELETTROSTATICA AI TEMPI DI  V OLTA. L’elettrostatica comin-ciò ad assumere una, sia pur rozza, sistemazione teoricaintorno al 1660 con l’invenzione da parte di Otto von

Guericke (1602-86) della prima macchina elettrostatica a strofi-nio. Essa era costituita da una semplice sfera di zolfo, «magnitudi-ne ut caput infantis», che veniva fatta girare intorno ad un’asta diferro passante per il suo centro ed elettrizzata dal semplice strofi-nio di una « palma satis sicca».

Nel 1729 Stephen Gray (1666?-1736), osservando come lavirtù elettrica, eccitata in un corpo per strofinio, poteva in alcunicasi comunicarsi anche ad altri corpi, introdusse il concetto disostanze isolanti e conduttrici; mostrò che anche queste ultimepotevano essere elettrizzate se isolate dal terreno e da altri corpi,e nel 1730 realizzò per la prima volta l’elettrizzazione di una per-sona, tenuta sospesa e isolata dal suolo mediante fili di seta. Taleesperienza divenne successivamente di moda e fece il giro di tutti

i salotti aristocratici dell’epoca, rendendo l’elettricità di dominiopubblico. Tutta l’Europa bene si elettrizzò e si stupì dinanzi allesempre nuove maraviglie.

Le macchine elettrostatiche andarono sempre più perfezionan-dosi. Alla mano fu sostituito un cuscinetto strofinatore57 e si comin-

L A RICERCA PRIMA DELLA PILA

* Prima parte dell’epigrafe del bustodi Volta nell’aula Volta dell’Uni-versità di Pavia.

57 La modifica non ebbe però appli-cazione immediata da parte di tutti ifisici elettrizzanti. Come disse Volta,molti anni dopo, i più si attenneroall’antica usanza; «infatti vi hannodelle mani eccellenti per elettrizzareil vetro.»

L’  ATTIVITÀ DI RICERCA

PRIMA DELLA PILA

 Alexander Volta

in res electrica princeps*

 L’

 Prima macchina elettrostatica,di Otto von Guericke (L. Figuier, Les grandes inventionsanciennes et modernes , Parigi,1861).

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102 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

ciò a raccogliere l’elettricità in un grosso cilindro metallico (primoconduttore o catena) mediante una catena metallica che sfiorava oaddirittura toccava il cilindro di vetro elettrizzato. L’uso di undisco di vetro al posto del globo fu introdotto molti anni dopo.

 Anche gli strumenti per rivelare i segni elettrici subirono moltimiglioramenti e si andò sempre più diffondendo l’uso di un elet-troscopio costituito da due palline di sughero appese mediantedue fili di canapa ad una sfera metallica isolata (pomolo) e rac-chiuse in una boccetta di vetro.

Il 1745 fu un anno fondamentale per la storia dell’elettricità.58

Vari ricercatori, nel tentativo di elettrizzare l’acqua, in manieranon convenzionale,59 si imbatterono in un fenomeno straordina-rio, quanto inaspettato. Così racconta nelle sue Mémoires (1746)Pieter van Musschenbroek (1692-1761) dopo aver realizzato l’e-sperimento nel suo laboratorio di Leida: «Avevo sospeso a due filidi seta blu una canna di ferro AB la quale riceveva per comunica-

zione elettricità da un globo di vetro ruotante velocemente sulproprio asse mentre era strofinato applicandovi le mani; all’altraestremità B pendeva liberamente un filo d’ottone la cui cima eraimmersa in un vaso rotondo di vetro D, parzialmente pieno d’ac-qua, che io tenevo nella mia mano destra. Mentre con l’altra manoE tentavo di trarre scintille dalla canna di ferro elettrizzata. All’improvviso la mia mano destra F fu colpita con tanta violenzache il mio corpo fu scosso come da un fulmine».60

Inoltre il fenomeno si verificava solo se la bottiglia era tenutain mano o sopra un buon conduttore, mentre se essa era posta

sopra un isolante, la virtù elettrica acquistata era appena percetti-bile. E questo fatto apparve subito inspiegabile sulla base delleconoscenze fino ad allora acquisite.

Era stato realizzato un primo condensatore di elettricità (comu-nemente chiamato bottiglia o caraffa di Leida). Il vetro della bot-

 Macchina elettrostaticadell’abate Nollet (L. Figuier, Lesgrandes inventions anciennes et

modernes , Parigi, 1861).

58 Il 1745 è anche l’anno della nasci-ta di Volta. Polvani nella sua mono-grafia su Volta, celiando un pocoafferma: “La sua venuta evidentibusprodigiis denuntiata est, come lamorte di Cesare; prodigi elettricinaturalmente!”.59 Era uso comune elettrizzare l’ac-qua, sia per applicazioni terapeuti-

che, sia per ottenere appariscentifenomeni elettrici. Tuttavia si proce-deva sempre seguendo quella che erachiamata la regola di DuFay, cioèimmergendo nell’acqua, contenutain una bottiglia di vetro, un filometallico in contatto con il primoconduttore di una macchina elettro-statica e tenendo isolata la bottigliain modo che «l’elettricità non si sca-ricasse a terra.»60 Roberto Allamand, in una lettera alNollet degli stessi giorni, precisava:«La prima volta che ne feci l’espe-rienza ne fui stordito al punto taleche perdetti per qualche momento la

respirazione: due giorni dopo, aven-dola tentata Musschenbroek ne fucosì intensamente colpito che, venu-to da noi alcune ore dopo, ne eraancora commosso e mi disse cheniente al mondo l’avrebbe convintoa rifare [l’esperienza] di nuovo». Lostesso esperimento era stato realizza-to alcuni mesi prima anche dall’ec-clesiastico E. J. Von Kleist in Polonia.

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tiglia costituiva il dielettrico e le due armature erano formate dallamano F e dall’acqua.61 Nell’esperienza di Leida il circuito si chiu-deva sul corpo tramite il filo di ottone, la canna di ferro e l’altramano.

Ben presto i fisici si accorsero che l’acqua e la mano avevanosolo la funzione di conduttori, e che l’efficacia della scarica dipen-deva dalla superficie di vetro bagnata. L’acqua e la mano furonocosì sostituiti da leggeri fogli metallici aderenti alle pareti. Anchela forma del vetro era inessenziale: in molti esperimenti alla botti-glia si sostituiva una lastra di vetro ricoperta con due sottili foglimetallici in generale di stagnola (quadro di Franklin). Tuttavia laforma a bottiglia, per la sua praticità e trasportabilità, fu utilizza-ta fino alla metà dell’Ottocento.

Si deve a Benjamin Franklin (1706-90) la teoria, detta dell’uni-cità del fluido elettrico, in grado di spiegare ciò che accadeva nellabottiglia di Leida. Secondo Franklin, infatti, esiste un unico fluido

elettrico distribuito in tutti i corpi; le particelle costituenti il fluidoelettrico si respingono tra loro, mentre sono attratte dalle particel-le della materia e a loro volta le attirano. In ogni corpo allo statonaturale è presente tanta quantità di fluido elettrico, quanto esso nepuò contenere grazie all’intensità della propria forza attrattiva, chedifferisce da sostanza a sostanza. Se un corpo contiene più fluidoelettrico del normale esso è elettrizzato più o positivamente (è que-sto il caso del vetro), se contiene meno fluido del normale è elet-trizzato meno o negativamente (è questo il caso della resina).Strofinando tra loro due corpi, parte del fluido elettrico passa da un

corpo all’altro; uno si carica positivamente e l’altro negativamentee i segni elettrici su entrambi i corpi hanno la stessa intensità. Il flui-do elettrico che viene aggiunto a un corpo non si trova all’internodel corpo ma si distribuisce al di fuori di esso, seguendo i contornidella sua superficie e costituendo una sorta di atmosfera elettrica

L A RICERCA PRIMA DELLA PILA

 Esperienza di Musschenbroek (L. Figuier, Les grandes inventionsanciennes et modernes , Parigi,1861).

61 L’alta differenza di potenziale rea-lizzata dalle macchine elettrostatichefaceva sì che una parte non affattotrascurabile di carica elettrica pene-trasse nel dielettrico stesso. In uncerto senso, il condensatore che sirealizza con la bottiglia di Leidacostituito dal solo dielettrico (nonperfetto) caricato su entrambe le

facce. Le armature non sono altroche strati conduttori che permettonouna distribuzione della carica sututte e due le superfici del dielettri-co.

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104 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

materiale che si espande tutto intorno al corpo. La repulsione tracorpi carichi positivamente (eccesso di fluido) è dovuta all’impene-trabilità di tali atmosfere. L’attrazione tra corpi diversamente elet-trizzati è dovuta all’attrazione della materia del corpo in difetto difluido verso l’atmosfera elettrica che circonda quello in eccesso. Sitratta quindi in tutti i casi di una interazione per contatto. Nel caso

di corpi caricati negativamente (difetto di fluido) Franklin si limitaad affermare che, come risulta dall’esperienza, essi «si respingonol’un l’altro, come quelli caricati positivamente», senza riuscire a for-nire del fenomeno una giustificazione teorica.

Per quanto riguarda la bottiglia di Leida, Franklin ritiene che laquantità di fluido elettrico acquistata da una superficie del vetro èpari a quella persa dalla superficie opposta. Infatti, come si è visto,per caricare una bottiglia di Leida, oltre il contatto tra l’armaturainterna e il primo conduttore della macchina elettrostatica, è neces-sario che l’armatura esterna e i cuscinetti strofinatori siano a con-

tatto tra di loro, ad esempio tramite la terra. La macchina elettro-statica funziona, quindi, come una pompa trasferendo fluido elettri-co dalla terra al primo conduttore, da questo all’armatura interna equindi al vetro della bottiglia. L’armatura esterna restituisce allaterra una quantità di fluido elettrico pari a quella fornita all’arma-tura interna. La scarica della bottiglia può avvenire solo mettendo acontatto le due armature. In questo senso la bottiglia di Leida non èda ritenersi elettricamente carica, ma piuttosto simile a una mollatesa, in cui è stata immagazzinata una notevole quantità di energia.

La teoria dell’unicità del fluido elettrico fu in breve tempo

accettata da quasi tutti i fisici elettrizzanti. Tra questi ricordiamoin particolare Franz Aepinus (1724-1802) e Giambattista Beccaria(1716-81), il più insigne fisico elettrizzante italiano dell’epoca,docente presso l’Università di Torino.

 Esperimenti di Symmer su calzebianche e nere (da Lettres sur

l’Electricité ... par l’AbbéNollet , Parte II, 1770).

 Benjamin Franklin (L. Figuier,Les grandes inventions

anciennes et modernes , Parigi,1861).

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Ma nel 1758 nuovi esperimenti, dovuti a Robert Symmer(1707–1763), riportarono alla ribalta una vecchia teoria di StephanGray (? –1736) che ipotizzava la presenza di due distinti fluidi elettrici.

La scoperta di Symmer non avvenne in laboratorio, ma nell’in-timità della sua casa. Egli era solito portare d’inverno due paia dicalze di seta, un paio nero sopra a un altro bianco. Una sera,togliendosi entrambe le paia di calze, e avendole separate una dal-l’altra, notò che esse, elettrizzate per strofinio,62 mostravano unostrano comportamento. «Entrambe le calze [bianche e nere] quan-do sono tenute a distanza l’una dall’altra appaiono gonfie a talpunto che formano l’intera figura della gamba […]. Quando ledue bianche o le due nere sono tenute insieme alle estremità, sirespingono tra loro e formano un angolo di 30 o 35 gradi.Quando una calza nera e una bianca vengono avvicinate esse siattraggono. […] Alla distanza di tre piedi si piegano di solito unaverso l’altra; alla distanza di due piedi e mezzo si afferrano; a

distanze minori si avvinghiano con forza sorprendente.Nell’avvicinarsi, il loro rigonfiamento si abbassa gradualmente,mentre l’attrazione verso corpi esterni diminuisce; quando siincontrano, si appiattiscono e si stringono insieme. A questopunto le palline dell’elettroscopio non sono più sensibili. Ma lacosa che appare più straordinaria è che quando le calze vengonodi nuovo separate e portate a distanza sufficiente [esse si rigonfia-no] e la loro elettricità non sembra essersi minimamente indeboli-ta dalla scarica che hanno avuto nell’incontrarsi».

La simmetria dell’esperimento faceva facilmente pensare all’e-

sistenza di due distinti fluidi elettrici, che si attirano vicendevol-mente e si respingono tra loro. A differenza del Gray che ritenevache un corpo possedesse solo o una o l’altra delle due elettricità,Symmer affermava che entrambe erano simultaneamente presenti

L A RICERCA PRIMA DELLA PILA

 Esperimenti sull’“elettricità

vindice” ( da Experimenta...electricitas... vindex ... diGiovanni Battista Beccaria,1769).

62 Le sostanze usate per colorare laseta influiscono fortemente sullostato di elettrizzazione della seta perstrofinio. La seta bianca, cioè senzacoloranti, si elettrizza per strofiniopositivamente, mentre quella neranegativamente.

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106 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

in ogni corpo, in quantità uguali nei corpi neutri, in quantitàdiverse nei corpi carchi. La teoria a due fluidi sarà portata avantidalla scuola francese, in particolare da Charles Augustin Coulomb(1736-1806), che eseguendo esperienze con la bilancia di torsionesarà in grado nel 1785 di ricavare la nota legge di attrazione erepulsione tra corpi elettrizzati.

Ma, come evidenziato dallo stesso Symmer, l’aspetto che crea-va maggior difficoltà in questa esperienza era l’apparire di unanuova elettrizzazione dopo che il fluido elettrico era ritornato allostato naturale nei due corpi in seguito al loro contatto.

Nel 1767 Beccaria elaborò una teoria ad hoc per spiegare que-sti fenomeni. Secondo il fisico torinese, convinto seguace dellateoria ad un solo fluido, le calze di diverso colore si trovavano indue stati elettrici contrari, rispettivamente di eccesso di carica,quella bianca e di difetto quella nera, che si neutralizzavano traloro quando venivano portate a contatto. Questa neutralizzazione

spiegava il fatto che le calze, una volta a contatto, non mostrava-no segni elettrici. A questo punto Beccaria ipotizzava che, nuova-mente separate, le calze “rivendicassero” le elettricità prima pos-sedute, cioè ritornassero rispettivamente positiva quella bianca enegativa quella nera. Questo strano processo di rivendicazionenon fu mai giustificato da Beccaria, che lo elevò semplicemente alrango di un nuovo principio elettrico, a cui diede il nome di elet-tricità vindice, nel significato appunto di elettricità che i corpirivendicano a sé, uguale a quella posseduta prima della scompar-sa dei segni elettrici. «L’isolante dopo essersi unito coll’isolante [o

con il conduttore] e dopo annullate le elettricità loro contrarie, inquanto che eguali, nell’atto che si disgiunge dall’altro corpo ripi-glia l’elettricità, cui aveva avanti di congiungersi».

Beccaria applicò il principio dell’elettricità vindice a un impor-tante caso: se un quadro di Franklin carico viene scaricato, crean-do un circuito esterno tra le armature, tutti i segni elettrici cessa-no. Se ora si solleva, tenendola isolata, l’armatura giacente su unadelle due superficie del vetro, su quest’ultima si osserva un’elettri-cità positiva, mentre l’armatura viene trovata negativa. SecondoBeccaria, ciò è avvenuto perché la superficie del vetro ha rivendi-cato l’elettricità positiva inizialmente posseduta, sottraendolaall’armatura, sulla quale si ritrova infatti un’elettricità negativa.

Questo era lo stato dell’arte quando il giovane Volta entrò diprepotenza nel dibattito scientifico fra i fisici elettrizzanti.63

 PRIMI STUDI SULL’ ELETTRICITÀ E L’ INVENZIONE DELL’ ELETTROFORO.«In piena libertà, […], nè avendo voluto aderire al Zio, chel’incalzava co’ rimbrotti ad attendere alle leggi; si diede nel-

l’anno diciassettesimo di sua età a meditar profondamente leopere del P.e Beccaria sulla elettricità naturale, ed artificiale, l’o-

pera di Nollet, ed altre: e senza stromento di alcuna sorte. Nastridi seta, zolfo, resine, assicelli e bastoncini di legno friti nell’oliofurono l’occupazione continua de’ primi suoi studi. Dalla fonda-zione della nostra città comasca nessun degli abitanti vide mai una

 I 

63 Così venivano chiamati gli scien-ziati che si occupavano di fenomenielettrici.

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scintilla elettrica artificiale se non quella prima, che VOLTA trasseda un bastoncino frito. […]. Proponeva de’ dubbi e viste sublimiagli elettrizzanti, e nel diciottesimo anno di sua età era già in cor-rispondenza col P.e Beccaria, con Noleto, con Franklino in America, con il P.e Barletti, con Priestley, ed altri celebri fisici.» [G.Gattoni Ep. I, p. 2]

Così cominciò la carriera scientifica di Alessandro Volta.

Come fisico elettrizzante Volta si mantenne sempre fedele allateoria frankliniana64 dell’unicità del fluido elettrico, immaginan-dolo come un fluido elastico capace di espandersi alla maniera del-l’aria. A questa virtù elastica egli attribuiva, in particolare, la vio-lenza della scarica della bottiglia di Leida o del quadro di Franklin. Alla fine del processo di carica, sulla faccia interna c’è un eccessodi fluido elettrico che preme violentemente per espandersi, comefarebbe dell’aria fortemente compressa, mentre sulla faccia ester-na c’è un difetto di fluido elettrico simile ad un vuoto pneumati-

co. Nella scarica il fluido in eccesso si espande con forza attraver-so il circuito esterno, allo stesso modo di un gas che, da un reci-piente in cui si trova fortemente compresso, si espande in un reci-piente dove è stato fatto il vuoto.

Dopo i primi studi di carattere teorico (1763-64), spinto daiconsigli di Beccaria «di tener dietro in ogni […] ricerca all’espe-rienza, anzicché abbandonarsi a capriccio alle […] idee ed a’ […]ripensamenti», iniziò nel 1765 la sua attività sperimentale nel pic-colo laboratorio che l’amico Gattoni gli aveva messo a disposizio-ne a Como. Gli esperimenti sulla diversa elettrizzazione della seta,

a seconda del corpo utilizzato per strofinarla, lo portarono allacostruzione di una macchina elettrostatica il cui corpo ruotanteera costituito da un tamburo di seta.

Nel suo primo lavoro del 1769, il De vi attractiva ignis elet-trici ac phaenomenis inde pendentibus, il giovane Volta - avevaallora solo 24 anni – tracciava un programma di ricerca tenden-te ad unificare le forze elettriche, ipotizzando tra corpi elettrica-mente carichi solo forze di tipo attrattivo, sul modello di quellegravitazionali («vires omnes ex uno eodemque principio consur-

 gere»). Inoltre contestava la teoria relativa all’elettricità vindice

del Beccaria, al quale il lavoro era dedicato. Ripetendo, infatti,l’esperimento del quadro di Franklin, osservò che le caratteristi-che della luce emessa, durante la separazione dell’armatura dalvetro, indicavano piuttosto una dispersione di elettricità dallasuperficie del vetro verso l’armatura e non, viceversa, un flussodi elettricità dall’armatura verso il vetro. Pertanto le elettricità disegno contrario che si manifestavano sulla superficie del vetro esulla corrispondente armatura, quando quest’ultima veniva solle-vata, non venivano generate ex novo, attraverso un oscuro pro-cesso di rivendicazione dello stato elettrico primitivo, ma preesi-stevano, o meglio erano ancora presenti nonostante il processo

di scarica.65

Successivamente lo studio delle proprietà isolanti dei legniabbrustoliti al forno o fritti nell’olio lo spinsero a realizzare una

L A RICERCA PRIMA DELLA PILA

64  Ancora alla fine della sua carrierascientifica Volta si definiva frankli-niano convinto, esprimendo fortiriserve nei riguardi della teoria sym-meriana, anche se, prudentementenon la condannava. «[…] la teoria diSymmer dei due fluidi elettrici diver-si, [fu] messa in miglior lume daWilche, e da molti fisici tedeschi, e

dai francesi Coulomb e da Haüy:giusta la qual teoria, separandosi talifluidi, che nello stato naturale si neu-tralizzano, ove sovrabbonda l’unosorge l’elettricità vitrea, che secondoFranklin è la positiva, o di eccesso; edove sovrabbonda l’altro l’elettricitàresinosa, detta dai Frankliniani nega-tiva, o di difetto; le quali elettricitàpoi tendono a distruggersi collo sca-gliarsi l’un fluido incontro all’altro ericongiungersi. […] Tale teoria elet-trica dei due fluidi non mi è maiandata a verso, parendomi che sipossono spiegare tutti i fenomeni colsolo più e meno dello stesso fluido, osia colla condensazione e rarefazionedel l’unico fluido elettricoFrankliniano; e che il ricorrere aidue fluidi Symmeriani sia un molti-plicar gli enti senza necessità; ed hopreteso anzi che varie sperienze,alcune da me ideate, mostrino diret-tamente, e ad evidenza nelle scaricheelettriche l’unica corrente nella dire-zione appunto che da noiFrankliniani si pretende. Ad ognimodo dando anche in oggi la prefe-renza a cotesta teoria nostra, sonolontano dal riguardar l’altra dei dua-listi per impossibile, e mi guarderòbene dal dichiararla assurda; la diròsolo molto improbabile, troppo

complicata e che abbisogna d’ipotesisopra ipotesi; e confesserò infine,che se si verifica [durante l’elettroli-si] il doppio trasporto delle sostanzesaline dall’uno all’altro braccio di untubo pieno d’acqua, riguardardovrassi un tal fenomeno comemolto favorevole alla teoria dei duefluidi elettrici, e delle due correnti. Echi sa che non finiscano per adottar-la anche i più renitenti, ed io stesso.»(Lettera al Bellani 1804) Op. IV, p.269. In realtà nella conduzionemetallica e negli effetti triboelettricisi ha un flusso di elettroni (carichenegative). Solo nella conduzioneelettrolitica siamo in presenza di un

flusso di cariche (ioni) sia positive sianegative nei due sensi. L’influssodella teoria frankliniana sullo svilup-po dell’elettromagnetismo ha fatto siche ancora oggi si assume comeverso di percorrenza della correntenei metalli quello che va dal poten-ziale positivo a quello negativo (inverso contrario quindi all’effettivomoto degli elettroni).65 «Ecco il punto capitale in chediscordo dal padre Beccaria. Io hoavanzato in quella operetta [il Devi...] che la faccia d’un isolante elet-trizzata, e addotta alla scaricamediante il toccarne l’armatura che

la veste, non dimette e non smarriscein quest’atto l’elettricità sua; ma neritiene una parte assai notabile, dicui pena a disfarsi a cagione delmoto sommamente difficile e impe-dito, che il fuoco elettrico ottienenelle sostanze isolanti: che per quel-

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108 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

seconda macchina elettrostatica che, al posto del disco di vetro, neutilizzava uno di legno fritto o di cartone, pur esso fritto.

Un primo esemplare di macchina elettrostatica con strutture inlegno abbrustolito venne inviato, nel luglio del 1771, a LazzaroSpallanzani, a cui era stato dedicato il secondo lavoro, Novus ac

 simplicissimus electricorum tentaminum apparatus. Tuttavia, quel-la che Volta riteneva una scoperta era già stata pubblicata alcunianni prima. Di questo lavoro, però, Volta non era a conoscenza,avendone avuto notizia solo nel 1772 dalla lettura della History of 

 Electricity di Joseph Priestley (1733-1804), come egli stessodichiarò in una lettera allo Spallanzani dell’8 dicembre 1772. «[…]essendomi capitata tralle mani l’istoria dell’elettricità di Mr.Priestley […] obbligato mi vedo a rinunciare, se non in tutto, abuona parte delle mie pretese scoperte; giacchè per quanto spettaall’elettricità originaria del legno fritto in olio, o semplicementeabbrustolito, egli fu il P.re Ammersino, che fece il primo tale sco-

perta, e pubblicolla anche già molt’anni sono. Io però non credodovermi molto adoperare per liberarmi appresso il Pubblico d’ognisospicione di plagiato. Quanto a Lei mi lusingo non solo di nonesser di tal delitto sospettato, ma di trovare anzi un difensore dellamia buona fede: essendo sicuro ch’Ella vorrà ben credermi quantoasserisco, che nulla cioè mi era noto delle sperienze fatte sul legno,se non quello appunto che rapporta il Nollet, nel luogo da me cita-to delle sue Lezioni.»[Op. III, p. 78]

Negli anni successivi, nonostante il lavoro in qualità diSoprintendente e Reggente alle Regie Scuole di Como, continuò a

impegnarsi nei suoi studi sull’elettricità, e in particolare sull’elet-tricità vindice. Approfondendo la teoria, già sviluppata nel De vi attractiva, arrivò nel 1775 a costruire un nuovo apparato in gradodi fornire elettricità senza bisogno di un continuo strofinio, comenelle macchine elettrostatiche allora in uso.

Dopo quanto era accaduto relativamente alle sue scoperte sul-l’elettricità dei legni abbrustoliti, egli volle assicurarsi che anchequesta invenzione non fosse già stata realizzata da altri, scrivendoin data 10 giugno 1775 una lunga lettera a Priestley.

«Io non so se tanto prometter mi debba dalle mie osservazioni,

che esse anzichè importune, gradite vi riescano e interessanti.  Avanzandole siccome miei nuovi ritrovamenti, avvenir potrebbeun’altra volta che deluso rimanessi non altrimenti che accadde diquelle sopra il legno abbrustolito, cui la vostra eccellente Storiadell’Elettricità avveder mi fece, ma troppo tardi, essere state inparte da altri preoccupate. Or chi sa che la continuazione da voidisegnata della medesima Storia non venga per egual modo a rapir-mi la gioconda illusione di queste nuove mie pretese scoperte?Comunque la cosa sia per riuscire, io dovrò non men d’allora sapergrado alla lezione della vostra Storia del disinganno e de’ lumi chemi verrà porgendo; ma grado mille volte maggiore vi saprò, se fin

d’ora mi significherete candidamente qual luogo, e parte io mipossa sicuramente attribuire nell’invenzione de’ fatti, che a mesembran nuovi; e il valore che voi medesimo loro date.[…].

«Ecco in breve il capitale dell’invenzione, che ha sorpreso me e

la forza con cui tende all’equilibrio(per questa io intendea l’attrazione enull’altro) la faccia isolante nel ten-tar la scarica, aggrava, dirò così, l’ar-matura di cui è vestita, e v’induce l’e-lettricità contraria; in virtù di checessano i segni al di fuori, ma cherealmente e assolutamente l’elettri-cità della faccia isolante non si è

annullata, ma persevera tuttavia con-trappesata dalla contraria indottanell’armatura; di che anche ci famanifesto segno la forte adesionedell’armatura o veste alla faccia stes-sa: finalmente che disgiunta l’arma-tura e l’isolante, e tolto il contrappe-so, ciascuna manifesta la sua propriae assoluta elettricità.» Op. III, p. 83.

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quanti finora furono a parte di un tale spettacolo. Io vi presentoun corpo che una volta sola elettrizzato per brevissim’ora, né for-temente, non perde mai più l’elettricità sua, conservando ostina-tamente la forza vivace de’ segni a dispetto di toccamenti replica-ti senza fine. Voi tosto indovinate che sì fatto corpo vuol essereuna lastra isolante vestita e snudata a vicenda della sua armatura.

[…] Ma non che indovinare, durerete forse fatica a credere lacostante vivacità de’ segni, e più la straordinaria loro durevolezza,che è veramente quale ve la propongo, senza termine o limiti,mentre osservato avrete, che troppo lungi ne sono que’ che s’ot-tengono dalle lastre di vetro tenute in conto delle più eccellenti, eguernite della consueta armatura d'una foglia metallica reputataessa pure la più acconcia a tal uopo.» [Op. III, p. 95]

Questo nuovo strumento era costituito da un piatto metallicocavo (armatura inferiore) contenente uno strato di resina (isolan-te) a cui veniva sovrapposto un secondo piatto metallico (armatu-

ra superiore) a forma di scudo, che poteva essere facilmente solle-vato mediante un manico isolante (cfr. figura a p. 110). Il sistemaveniva caricato, in modo convenzionale, ponendo il piatto e loscudo a contatto con una macchina elettrostatica, e quindi scari-cato ponendo a contatto tra di loro le due armature. Si sollevavaquindi lo scudo, che risultava elettricamente carico (di segno con-trario alla carica avuta dalla macchina) e con esso era possibile, adesempio, caricare per contatto una bottiglia di Leida.

Se lo scudo, una volta scaricato, veniva di nuovo posato sulmastice, toccato dallo sperimentatore e sollevato, sempre tramite

il manico isolante, su di esso si trovava di nuovo una carica elet-trica. Ripetendo le stesse operazioni, lo scudo poteva continuare afornire elettricità per tempi lunghissimi, talvolta per mesi interi.Inoltre quando la carica elettrica sull’isolante si era molto affievo-lita, essa poteva essere di nuovo integrata caricando con lo stessoelettroforo una bottiglia di Leida e con questa riversare nuovacarica sull’isolante. Perciò Volta, nella stessa lettera, suggerì per ilproprio apparecchio il nome di elettroforo perpetuo. «Che se avoi non dispiacesse, ardirei pure imporre un nome al mio piccio-lo apparecchio, e sarebbe quello di Elettroforo perpetuo».

Le prestazioni del nuovo dispositivo erano veramente eccezio-nali. «Con [un elettroforo] che fu il primo da me costrutto dipoll[ici] 8. e tre quarti ottengo [scintille] all’intervallo di più di trediti; e da uno di pollici 17 vengono sì scuotenti e fragorose, cheson quasi insoffribili. Io m’aspetto da uno che sto facendo costrui-re di più di due piedi di diametro, effetti sovragrandi e strepitosi,superiori a quelli della miglior macchina ch’io mi abbia visto: giac-chè mi s’ingrandiscono smodatamente i segni in ragione che cre-sce la superficie[…] poi sono gli effetti dell’Elettroforo sì vivianche ne’ tempi men propizj, che vuolsi bene spesso preferire unsimile apparato che sia grande, per l’oggetto pure di caricare qua-

dri e batterie, alla macchina di vetro ordinaria, da cui le moltevolte si pena a cavar partito» [Op. III, p. 95]

E ancora, dando libero sfogo alla fantasia, in una lettera alCanonico Fromond del 14 novembre del 1775, scriveva:

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110 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

«Immaginatevi un tavolo grande come quello per il giuoco delBigliardo, ma rotondo, foderato convenientemente di latta o dirame con sopra steso bene in piano un mastice nero e lucente sic-come specchio: vedetevi indosso posato un bel coperchio a plat- fond  inargentato o dorato, pendente da quattro capi di corda diseta che terminano poi uniti in un solo a un congegno di carruco-

le e guidato nel salire e scendere da due altre corde di seta fisseverticalmente, che giuocano in altre due girelle annesse a due partiestreme ed opposte di esso coperchio, o scudo: ecco l’uomo aqualche passi dal tavolo, che col tirar una fune pendente, quasi inatto di suonar le campane, fa che suonino invece scintille fragoro-sissime, e fischino fiammelle e getti di luce a tutti i lati a distanzadi più palmi contro i varj conduttori ad arte, o a caso d’intornodisposti: dite, non è quel coperchio l’idea d’una nuvola fulminan-te? Non vi fa terrore l’accostarvi?» [Op. III, p.121]

Il successo dell’elettroforo fu enorme ed esso venne in poco

tempo apprezzato e utilizzato in tutti i laboratori europei.66

«Alcuni fisici dietro alle mie idee hanno costrutto degli elettroforidi enorme grandezza, e ne hanno ottenuto effetti prodigiosi. Traquesti è il principe di Kowper il quale mi scrive di averne fattofabbricare uno di sette piedi di diametro, gli effetti di cui sorpas-sano ogni espettazione.» [ Op. III, p. 183]

Come lo stesso Volta riconobbe, anche se la realizzazione del-l’elettroforo non poteva essere considerata una vera e propriainvenzione, spettava a lui il merito di aver realizzato uno stru-mento di facile uso che permetteva, come abbiamo visto, di aver a

disposizione in ogni momento una grande quantità di cariche elet-

66 Oggi l’elettroforo di Volta ha solouna funzione didattica ed è costitui-to semplicemente da un disco isolan-te (plexiglas o teflon) e uno scudometallico. L’elettrizzazione del discoviene fatta per strofinio. Se, ad esem-pio, esso viene caricato positivamen-te, nello scudo si induce una caricanegativa sulla superficie a contatto

con il piatto e positiva su quellaopposta. Ponendo a terra lo scudo, lacarica positiva si scarica e lo scudorimane caricato negativamente.L’energia elettrica prodotta ognivolta che si alza lo scudo e lo si sca-rica è dovuta al lavoro meccanicoeseguito per vincere le forze attratti-ve tra scudo e disco.

 In alto: L’elettroforo di Volta(Tempio Voltiano, Como).

 In basso: L’elettroforo (dal Vol. III dell’Edizione Nazionale,

Tav. XLVI). A fronte: Frontespizio e incipitdelle prime tre Lettere sull’aria

infiammabile delle paludi , Milano 1777).

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triche. Il fisico tedesco Lichtenberg in una lettera del 1785 al col-lega Wolff così si esprimeva al proposito: «Egli [Volta] non è pro-priamente l'inventore dell'elettroforo, ciò io l'ho già detto nel mioTrattato in latino; questo fatto gli ha, come mi disse, recato moltofastidio. Il vero scopritore di tutte le proprietà dell'elettroforo èWilcke, che già nel 1762 aveva descritto tutto, solo che Wilcke

considerava il suo strumento fatto di vetro, e che stava verticale,con due rivestimenti mobili, semplicemente come un apparato perun singolo esperimento; Volta ne fece una macchina elettrica, edusò la resina, il che invero è meglio. Egli venne dell'idea in occa-sione di una polemica con Beccaria, al quale voleva con ciò dimo-strare che la sua Electricitas Vindex era una chimera.» [Ep. II p.290 (in tedesco)]

Oltre alla sostituzione della lastra di vetro con una di resina,sostanza in grado di mantenere la carica elettrica per un tempomolto più lungo, Volta aveva sostituito, come abbiamo visto,

all’armatura mobile, costituita da una sottile lastra di rame, unoscudo arrotondato, in modo da eliminare quasi totalmente i feno-meni di dispersione elettrica dovuti a spigoli e punte. Alla basedella realizzazione dell’elettroforo vi era dunque una correttainterpretazione del fenomeno (induzione elettrostatica).

 A SCOPERTA DEL METANO E GLI STUDI DI AEROLOGIA.67 Durantele vacanze estive del 1776 sul Lago Maggiore, mentre inbarca costeggiava i canneti presso Angera, frugando con un

bastone il fondo melmoso dell’acqua, Volta vide salire a galla e poi

svanire nell’aria bollicine gassose in gran copia.

L A RICERCA PRIMA DELLA PILA

 L

67 «Io però non vorrei cambiare il ter-mine Aerologia con quello diPneumatologia. Perchè amar tanto l’a-struso ed imponente? Mi spaventò untitolo d’un libro che mi venne allemani tempo fa: ArchontologiaCosmica. Mi piacciono i termini tec-nici, i vocaboli scientifici, ma vorreiqualche volta che avesser men del

magico, per non dir diabolico. Aerologia è termine giusto, scientificoquanto basta, ed è più chiaro e pianoche Pneumatologia; ecco perchè hopreferito quello.» [Op. VI, p. 12].

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112 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

Raccolto tale gas, ne scoprì il carattere infiammabile.«Quest’aria arde assai lentamente con una bella vampa azzurrina».Si trattava di un nuovo gas diverso dall’aria infiammabile metalli-ca (idrogeno) già nota: «[…] questo, infatti, giugne a scoppiettarecol massimo strepitio e rumore ove venga frammischiata con unvolume di aria comune doppio del suo; quella all’incontro s’in-

fiamma e scoppia col massimo vantaggio se ad una misura aggiun-gasi le otto di comune.»[Op. VI, p. 30]

 A questa nuova aria Volta diede il nome di aria infiammabilenativa delle paludi.68 Si tratta di quello che oggi noi chiamiamometano, la cui scoperta deve quindi essere attribuita al Volta. Avendo poi verificato la presenza di tale gas in tutte le paludi, neattribuì l’origine a fenomeni di decomposizione. Volta pensò subi-to a un utilizzo pratico della sua aria infiammabile in considera-zione del fatto che essa era presente in grande quantità in moltiluoghi.

«Dirò, […] che ho talvolta ruminato, se vi fosser mezzi onde farun uso economico dell’aria infiammabile, sostituendola es. gr.all’olio ec.: che ho pensato a inzuppare di quest’aria dei corpimolto porosi, della terra, e farne una specie di torba artificiale ec. A tutto ciò, e ad altre cose ho, dico, pensato, ma non le ho peran-co a dovere sperimentate: chè a tali sperienze ho veduto richie-dersi molto tempo e molte disposizioni, e ingegni e macchine, cheor non ho. Mi propongo bene a miglior agio di dirigere varj ten-tativi a tal oggetto. L’andar questi a voto non sarà una perdita perme; mentre anche le inutili sperienze, ed i riconosciuti errori gio-

vano al Fisico, e al Filosofo.» [Op. VI, p. 101]

  A PISTOLA ELETTRICO-  FLOGOPNEUMATICA ED ALTRI SIMILI GIO-CHETTI . Nel gennaio del 1777, essendo riuscito ad accen-dere l’aria infiammabile con la scintilla provocata da una

pietra focaia, pensò di costruire «una piccola bombarda od archi- L

68 Nella reazione ossigeno-idrogenouna molecola di idrogeno reagiscecon mezza molecole di ossigeno (H2+1/2O2 = H2O), mentre nel casodel metano una molecola di metanoreagisce con due di ossigeno (CH4 +2O2 = 2H2O +CO2), quindi conun volume di aria comune pari aquattro volte quello necessario per

l’idrogeno.

 In alto: Incipit della Quarta eQuinta delle Lettere del Signor

 Alessandro Volta... sull’ariainfiammabile nativa delle

paludi , Milano 1777). In basso: Pistola di Volta ed 

elettroforo (Tempio Voltiano,Como). A fianco: Lettera a

 padre Barletti. Schizzodell’accensione di una pistola

con la scintilla tratta da unelettroforo, 15 aprile 1777

(Cart. Volt. E1, Istituto Lombardo).

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buso di nuova foggia, il quale caricato in luogo di polvere, di ariainfiammabile mescolata in giusta dose colla deflogisticata [ossige-no] potrebbe cacciare una palla con impeto e rimbombo, e accen-dersi per mezzo d’un acciarino, proprio come un archibuso comu-ne. Voi ridete eh? Eppure chi sa che al primo abboccarci, io nonsia in istato di mostrarvi un tal ingegno? […] Io voglio, Amico,

[padre Campi] che […] voi andiate frattanto studiando un nomeda darsi a quest’arme, più preciso ed elegante che non è quello dischioppo o pistola d’aria infiammabile. Si potrebbe chiamareSchioppo flogo-pneumatico, ma questo termine pure non finiscedi piacermi. E di simili inezie non più.» [Op. VI, p. 62]

Il progetto gli riuscì ancora meglio quando scoprì che la misce-la tonante poteva essere infiammata direttamente da una scintillaelettrica prodotta all’interno del recipiente che la conteneva e nonsolo alla bocca della caraffa, come precedentemente osservato.69 Ilprimo esperimento fu in parte disastroso: «confesserò che il colpo

io non me l’aspettava quando la prima volta nacque strepitosissi-mo, e mi spezzò la picciola boccetta di cristallo chiusa fortementecon turacciolo di sughero traforato da un fil di ferro, che discen-deva fin verso il fondo della boccetta. Questa non essendo arma-ta nè di dentro nè di fuori, ma sol impugnata colla mano, la scin-tilla spiccata dalla punta di ferro nell’aria rinchiusa non potè esserche debolissima. Quest’esito adunque cominciò ad avvertirmi, e imolti tentativi fatti in conseguenza mi assicuraron tosto, che laminima scintilla elettrica basta ad allumar l’aria infiammabile rin-chiusa, sol che sia in giusta dose allungata colla comune. Ciò fuche mi suggerì di avanzar due punte metalliche una contro l’altraentro alla mia pistola di vetro, onde averne immancabile l’esplo-sione ad ogni scintilluzza elettrica.

«Basta gettar l’occhio sulla figura [ p. 115] per vederne tutta lacostruzione e il giuoco. B A C è la boccetta di vetro, ossia la pisto-la, che ha una sola bocca C. Verso il fondo della pancia s’avanzanodue cannelli c c, per cui entrano due mediocri fili d’ottone b b sal-

L A RICERCA PRIMA DELLA PILA

68 È questo il principio di funziona-mento del moderno motore a scop-pio, dove il gas acceso dalla scintillaelettrica è composto da una misceledi aria e vapori di benzina.

 In alto: Incipit della Sesta eSettima delle Lettere sull’ariainfiammabile delle paludi. In basso: Pistola di Volta(Tempio Voltiano, Como) e Progetto dell’accensione,comandata a Como, di una pistola posta a Milano,mediante una scarica elettricacondotta per un filo metallico, sostenuto da pali isolanti e per un canale d’acqua (Autografo diVolta, Cart. Volt. E1, Istituto Lombardo).

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114 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

dati con turaccioli di sughero e cemento, e vanno ad incontrarsicolle lor punte alquanto ottuse in d alla distanza sol di una linea, odanche meno. Uno o l’altro di questi fìli d’ottone, od ambedue por-tano all’estremità esteriore una picciola palla destinata a ricevere lascintilla elettrica; ed è comodo che sian ripiegati in maniera dapoter quando si voglia sospendere la pistola orizzontalmente, o ver-

ticalmente. Caricata che questa sia si può in cento maniere darlefuoco con una qualunque siasi scintilla elettrica. Vi piace d’impu-gnarla? Fatelo in modo, che la mano tocchi in qualche punto l’unde’ fili metallici, e date la scintilla all’altro filo opposto. Essendopertanto le due punte distanti una dall’altra d’un brevissimo tratto,una scintilla tuttochè esilissima produce l’effetto. Questo è cherende un tal apparato estremamente comodo e curioso. Io mi portoin tasca la pistola di vetro e un picciolissimo elettroforo del diame-tro di quattro pollici circa: così col dare la scintilletta dello scudoalla palletta d’ottone, come nella fig. si rappresenta, fo dovunque lo

sparo della mia pistola; anzi provveduto di un fiasco pieno d’ariainfiammabile per ricaricarla, e di alcune misure di miglio replicomolti tiri, e tutti assai speditamente. Queste esperienze in un collasorpresa degli spettatori portano a me pure una lusinghevole sod-disfazione, qualora avendo fatta raccolta d’aria infiammabile nativadelle paludi, posso dire tutto è mio, tutto trovato da me: l’appara-to elettrico; l’aria infiammabile originaria delle paludi; la costru-zione della pistola.» [Op. VI p. 133]

Nacque così la pistola elettrico-flogopneumatica. Le primepistole erano fatte di legno, le successive di vetro o di metallo eavevano forme diverse. Esse divennero presto un oggetto di gran-de interesse e curiosità. Lo stesso Volta scriveva: «Non è possibiledirvi quante sperienze curiosissime io abbia fatte, e quante più farsi possono […]. Figuratevi qual fu lo stordimento di molti spetta-tori, in presenza dei quali diedi fuoco alla pistola colla punta delmio dito (essendo io elettrizzato sullo sgabello) […]. Ma ciò chesopra tutto li fece trasecolare si fu l’eccitare lo sbaro della pistolain distanza dalla macchina che si facea giocare [trasportando l’e-lettricità mediante due fili conduttori]. […] Io non so a quantimiglia un fil di ferro tirato sul suolo dei campi e delle strade […]condurrebbe giusta il sentier segnato la scintilla commovente. Ma

se il fil di ferro fosse sostenuto alto da terra da pali di legno qua elà pintati es. gr. da Como a Milano e quivi interrotto solamentedalla mia pistola, continuasse e venisse in fine a pescare nel cana-le del naviglio, continuo col mio lago di Como, non credo impos-sibile di far lo sbaro della pistola a Milano con un boccia diLeyden da me scaricata a Como.» [Op. III, p. 195, cfr. figura a p. 113]

Non è difficile vedere in questo progetto l’idea della trasmis-sione di un segnale a distanza, ovvero una anticipazione del tele-grafo.

Volta fu sempre sensibile alle possibili applicazioni pratiche

delle sue ricerche. Oltre all’utilizzo per lo studio della salubritàdell’aria (eudiometro), di cui parleremo diffusamente alla fine diquesto paragrafo, vale la pena soffermarci su alcuni altri progettio intuizioni.

 Disegno autografo di Volta, chedescrive il dispositivo cosiddetto«avvisatore di temporali» (Cart.

volt., Istituto Lombardo). In alto, insieme;

in basso, particolare.

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VVISATORE DI TEMPORALI . Nella terza lettera al MarcheseFrancesco Castelli, ipotizzava un particolare utilizzo dellapistola. «Sì, senza taccia di presunzione posso dire, che

molte di quelle che ne offre la mia pistola, ed altre analoghe apro-no in oggi un nuovo campo di belle e interessanti ricerche. Avantiperò di passare a queste, mi resta a raccontar il buon esito d’un

altro stupendo esperimento in genere dei dilettevoli; […] la provadella pistola adattata al filo della spranga Frankliniana, ha avutoil suo effetto al primo temporale, e più volte in questi ultimi gior-ni. E non ha invero del maraviglioso una pistola, che s’accende diper sè, o a dir più giusto pel fuoco che trae giù dalle nubi; il cuiscoppio precede sovente quello de’ tuoni, onde sembra (mi si per-metta questa fantasia) a lor medesimi dar il segno ? […] sarà unbello spettacolo il vedermi una qualche volta regger in mano unagran pertica alzata con in cima la mia pistola; e collo scoppiospontaneo, ossia provocato colla stessa elettricità, atmosferica,

minacciar le nubi? Sì, ma è anche una bella temerità, l’esporsicosì. Or via, eleveremo, se più le piace, il cervo volante allamaniera di Romas, e ce ne staremo noi sicuri in disparte.» [Op. VIp. 145]

OMBE AD ARIA INFIAMMABILE. In una lettera a lord Cowperdel 21 Luglio 1778, Volta presentava una dettagliatadescrizione di una bomba ad aria infiammabile.

«La costruzione della bomba di vetro, a cui fo fare l’esplo-sione in fondo di un pozzo, non è sostanzialmente diversa da

quella della pistola di vetro, che ho descritta negli opuscoli;solamente quella è di pancia più grossa, e in luogo di canna haun collo corto, a cui è attaccata una lastra di piombo grossa,acciò possa affondare nell’acqua. Io ne pongo qui la figuragrossolana e bruttissima, (vedi figura a fianco), giacchè non sofar meglio, la quale però basterà a facilitar l’intelligenza di tuttol’apparecchio.

«A dunque è la bomba, che ha la gola aperta B, per cui si cari-ca alla maniera consueta della sua misura d’aria infiammabile, eche indi si tura con forte turacciolo di sughero, o altrimenti; ed

altre due piccole gole laterali c, c, ove sono saldati due fili di otto-ne, che vanno ad incontrarsi entro la bomba in o alla distanza diuna mezza linea circa. È necessaria una così piccola distanza, acciòsia determinata a saltar ivi la scintilla elettrica, innanzi che girareda c a c per entro all’acqua allorchè la bomba vi è immersa. […]. Attorno alla gola B è avvolta una lastra di piombo, per tirar tuttoil vetro, come abbiam detto, abbasso nell’acqua. Avendo la bombacosì preparata, altro più non rimane che di attaccare due lunghi epieghevoli fili di rame agli uncini c e c, tanto che calata giù nelpozzo la bomba, ne sopravvanzin fuori i due capi di tai fili perpoter sopra essi scaricare una boccia, la quale porti la scintilla a

scoccare entro la bomba in o.«Un mio amico70 qui in Como ha sospese qua e là nelle stanze,

e per le scale, e alla porta delle bombe, a cui vanno dei fili di ferro,un paio per ciascuna, di maniera che standosi egli nel laboratorio

L A RICERCA PRIMA DELLA PILA

 A

 B

70 Dovrebbe trattarsi di Giulio CesareGattoni.

Cannoni e pistole di Volta (daScelta di opuscoli interessantitradotti da varie lingue... , Milano). In basso: particolaredella Bomba ad ariainfiammabile.

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116 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

può far l’esplosione di quelle, che vuole. Ha anche costrutto unastatua, e postala al ripiano di una scala, di cui la testa di rame èuna bomba e che porta in mano una pistola ec.» [Op. VI, p. 223]

 AGGIATORE.71 «Ella [la pistola] può valere di provino a misu-

rare esattamente la forza d’esplosione di diverse fatte emiscele d’aria infiammabile. A ciò non altro richiedesi, cheadattare un cuscinetto alla bocca con una coda, che incontri conuna ruota a denti serpentini e premuta da una molla: il numero de’denti che verrà cacciata la rota dal cuscino che dà addietro, faràvedere la forza ne’ diversi sperimenti. Avrete veduto un simil giocone’ provini usitati per la polvere da fuoco.» [Op. III, p. 195]

UCERNA AD ARIA INFIAMMABILE. L’ultima applicazione praticariguarda la realizzazione di una lampada funzionante a gas

infiammabile, e dotata di una accensione elettrica, median-te la scintilla prodotta da un piccolo elettroforo. «Non si tratteràpiù no di scoppj ed esplosioni violente: all’opposto anzi mi rivol-gerò tutto all’arder cheto della mia aria infiammabile nativa dellepaludi. Comincio dunque a prevenirla, che penso a costruire unalucerna ad aria infiammabile, che dilettevole senza meno, ma forseanche utile in qualche modo riuscir debba: questa sarà, all’istessotempo una Clepsidra, ossia specie d’orologio a acqua. Son debito-

S

 L

71 Saggiatori e provini si chiamavanogli apparecchi in grado di misurare(saggiare, provare) la forza esplosivadella polvere pirica.

Schizzo di una lucerna ad ariainfiammabile metallica(Autografo di Volta, Cart. volt.

G.10, Istituto Lombardo) e Lucerna ad aria infiammabile

(Liceo Volta, Como).

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re di parte dell’idea di questa lucerna, anzi dei primi lumi al nostroPadre Campi; i primi saggi pure gli abbiam fatti in compagnia. Eglipotrà mostrarle un disegno, che ne ho già abbozzato, e che orvado migliorando.» [Op. VI, p. 149]

Tuttavia l’autonomia anche delle migliori lampade costruite eramolto limitata. « J’ai perfectionné la lampe à air infl.: dans celle pour la nuit avec l’air des marais, un bocal suffit pour une heure.»[Ep. I,p. 234] Pertanto, come egli stesso ebbe a dichiarare: «avendo trova-to, che vi volevano molti boccali di quest’aria, e de’ recipienti pro-porzionati, per mantenere una languida fiammella sol poche ore,[decisi] a fare della lucerna medesima un accendi-lume, che è unamacchinetta assai comoda, ed elegante». [Op. VI, p. 409]72

 EUDIOMETRO. Fin dal 1775, Volta si era occupato dello studiodella salubrità dell’aria, utilizzando l’eudiometro ad aria nitro-sa inventato dal Priestly e perfezionato dal Landriani,73 entran-

do subito in polemica con quest’ultimo, in particolare sul fatto che lostrumento, misurando solo la componente vitale dell’aria (ossigeno),non ne misurava la salubrità, bensì la sua respirabilità .

In un lavoro pubblicato nel 1790 sugli Annali di Chimica e StoriaNaturale edito da L. Brugnatelli in Pavia dal titolo: Descrizione del-l’eudiometro ad aria infiammabile …, nel presentare le varie tappedella realizzazione del suo strumento, così cominciava (figura sotto).

L A RICERCA PRIMA DELLA PILA

 L’

72 Ma c’è ancora dell’altro! Durante ilsuo viaggio in Svizzera del 1777,Volta osservò con grande stupore cheil tubero della patata veniva comune-mente mangiato e ne riportò in Italiaalcuni esemplari che fece coltivarecon successo nelle campagne milane-si dell’amica e confidente TeresaCiceri. A Volta quindi dobbiamo

anche (e non è poco!) l’introduzionee la diffusione in Lombardia dellacoltivazione e dell’uso commestibiledella patata. I comaschi così ricorda-no il loro grande concittadino, conquesta lapide sulla casa di campagnadi Volta a Lazzate: ALESSANDROVOLTA IN QUESTA MODESTA EDILETTA SUA CASA TENTÒ E COMPÌIL MIRACOLO DELLA PILA RINNOVA-TRICE DI SCIENZE E INDUSTRIE,ONDE I TERRIERI STUPITI E GRATIINSIEME DEL TUBERO AMERICANODA LUI QUI RECATO PEL PRIMO,MAGO BENEFICO LO APPELLARONO.73 Tale strumento si basa sul fatto chel’aria nitrosa (ossido d’azoto) reagi-sce con l’ossigeno dando luogo aossidi superiori solubili in acqua. Ilprimo strumento realizzato daPriestley consisteva essenzialmenteda un tubo di vetro graduato, chiusoda un lato. Riempito completamentedi acqua veniva immerso con il latoaperto in una vasca anch’essa pienadi acqua. L’aria comune e l’arianitrosa venivano fatti gorgogliare inquantità note nel tubo attraverso

Schemi di eudiometri voltiani(da Scelta di opuscoliinteressanti tradotti da varielingue... , Milano) ed eudiometroconservato al Tempio Voltiano.

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118 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

«Quando primamente scopersi, che l’aria infiammabile poteaaccendersi per mezzo d’una mediocre, ed anche picciola scintillaelettrica, non solo sulla bocca aperta de’ vasi, il che era già noto,ma ben anche entro ai medesimi perfettamente chiusi, sol che vi sitrovasse mescolata con sufficiente dose d’aria respirabile; la qualcosa mi fece tosto nascer l’idea, e mi portò alla costruzione tanto

della pistola ad aria infiammabile, che si chiama ancora dal mionome, quanto della lucerna, che altri ha creduto arrogarsi;74 pen-sai bene fino d’allora, che non dovea arrestarmi a tali sempliciapplicazioni ed esperienze più di divertimento che altro, ma pro-fittare della mia scoperta per portare più innanzi le ricerche sullanatura e costituzione d’ambedue le arie richieste all’infiammazio-ne, e sull’infiammazione medesima.75 […]

«A B è un recipiente cilindrico di cristallo grosso, del diametro d’in-torno a un pollice, e lungo 14 o 15. d d sono due palle annesse a duefili d’ottone che attraversano il turacciolo di sughero, il quale spalma-

to di mastice chiude esattamente l’apertura superiore del recipiente«S’empie d’acqua il recipiente, si capovolge, e se ne attuffa la

bocca in un vaso pien d’acqua C, si introducono per l’apertura Efatta a imbuto quelle misure che si vogliono d’aria infiammabile,e comune. Ciò fatto, e tenendo con una mano uno de’ due filimetallici d, si fa scoccare, in quel modo che più torna comodo,una scintilla elettrica contro la palla dell’altro filo. Questa scintil-la scoppiando in c, cioè nel picciolo spazio d’interrompimento frai due fili, dentro al recipiente, dà fuoco all’aria contenutavi, laquale si dilata tosto, e fa nascere una scossa nell’acqua, finito la

quale scossa, l’acqua rimonta, e accenna la diminuzione seguitanel volume dell’aria.» [ Op. VII, p.175]

Durante il viaggio in Svizzera Volta ebbe modo di utilizzarel’eudiometro ad aria nitrosa di Landriani e il suo. In una letteraallo stesso Landriani al ritorno da tale viaggio (18 novembre1777) così si esprimerà. «Vi dirò la verità, abbiam fatto molte spe-rienze col vostro Eudiometro io e l’ab. Venini nel viaggio, oh chepena ! E poi le sperienze abbiam veduto che variano nei risultatisul medesimo luogo. Non avremo usato forse tutte le attenzioni,tutta l’accuratezza; ma dunque è ben difficile far l’esperienza adovere. Io temo perciò che tal vostro stromento non farà moltafortuna. […] Voi poi troppo duramente pronunciate del mioEudiometro ad aria infiammabile, che non sia nè comodo nè esat-to, e che convenga rinunziarvi. Noi forse non sapremo maneggiarbene che il nostro ciascuno; ma vi assicuro che ho provato e vedu-to, e che l’esperienza mi riesce assai meglio col mio. Non pensopertanto ancora di rinunciarvi; ma penso di migliorarlo, e ne fogià costruire i modelli in tre fogge». [Op. VI, p. 167]

L’eudiometro ad aria infiammabile, successivamente chiamatoeudiometro di Volta, divenne ben presto di uso universale nellostudio chimico della composizione dei gas. Gay-Lussac nel 1805,

cinque anni dopo l’invenzione della Pila, scriverà a questo propo-sito: «Così l’illustre fisico Volta che ha arricchito la fisica delle piùbelle scoperte, avrà anche la gloria d’aver donato alla Chimica lostrumento il più esatto e il più preciso per le sue analisi».

l’acqua, che giocava il duplice ruolodi confinare le arie e di misurarnecon il suo livello finale la variazionedi volume a causa della loro reazionedi effervescenza.74   Ancora una volta qualcuno avevacercato di appropriarsi della inven-zione. Ma, come Volta stesso ebbe aprecisare in più occasioni, «nel 1779

poi epoca anteriore ancora d’unanno alla pubblicazione dell’operettadel Sig. Ehrmann, ebbi occasione dimandare una di queste lucerne oaccendi-lume a Firenze che fecicostrurre dall’abile Macchinistadell’Università di Pavia Ab. Re perMylord principe di Cowper, a cuil’aveva già da un pezzo promessa.»[Op.VII, p. 175]75 In effetti l’idea di realizzare unEudiometro utilizzando l’ariainfiammabile invece di quella nitrosavenne a Volta durante le sue espe-rienze con la pistola elettroflogo-pneumatica, e ne diede notizia in

una lettera diretta a Priestley del 2settembre 1777.

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  A SINTESI DELL’ ACQUA: UNA SCOPERTA MANCATA? Durante lesue esperienze sulla combustione dell’idrogeno con l’ossi-geno Volta aveva più volte osservato l’apparizione sul

vetro del contenitore di una forma di rugiada. Tuttavia nonsospettò mai che potesse trattarsi di acqua prodottasi dalla sinte-si dell’acqua,76 in quanto questa idea era abbastanza lontana da

quelle che erano in quegli anni le sue conoscenze chimiche,77

come risulta chiaramente da questa lettera al Landriani dell’11ottobre del 1783.

«Ho veduto quello che avete scritto all’Ab. Amoretti intornoalla sperienza del Signor Lavoisier, che ha ottenuto quattro dram-me e mezza d’acqua pura da 15. pinte d’aria deflogisticata e 30.d’aria infiammabile, cioè presso a poco il totale del peso di questearie. Vi prego, amico a darmi contezza in dettaglio di questa, edaltre sperienze analoghe che ha fatte, se le sapete; giacchè il Sig.Senebier scrive dippiù, che il prefato Accademico ha dimostrato

esser l’acqua un composto di aria pura e di aria infiammabile col-l’analisi, e colla sintesi.

«Quanto alla sintesi comprendo che ha ottenuto cotest’acquainfiammando il miscuglio di tali arie; lo comprendo, dico, perchèio ci sono andato molto vicino avendo scoperto che l’aria infiam-mabile metallica allorchè scompare per l’infiammazione non con-verte alcuna porzione di aria deflogisticata in aria fissa, comefanno tutte le altre arie infiammabili, e gl’altri processi flogistici;ma porta una distruzione d’un volume di aria deflogisticata metàdel suo; la qual distruzione però è accompagnata dalla comparsa

di un fumo o vapor nebuloso che umetta. […] È vero che ho dubi-tato che non fosse un vapore puramente acqueo, perchè è alquan-to restìo a condensarsi in goccie: ho però escluso e acido e saled’ogni sorte. Del resto già da gran tempo mi proponeva di esami-narlo; e fino dal 1777 avea detto di voler infiammare gran copiad’aria infiammabile assieme a molta respirabile confinandola nelmercurio ad oggetto di raccorvi ciò che vi si fosse precipitato. Mail male è, che non ebbi mai tanto mercurio che basta in mio pote-re. Se l’avessi avuto non v’è dubbio che avrei tosto trovato quelch’ora ha trovato il Sig. Lavoisier, servendosi, m’immagino, d’unapparato simile a quello ch’io ho mostrato e a lui, e a tutta

l’Accademia, per accender l’aria al chiuso, apparato che non siconosceva ancora in Francia.

«Coll’istesso Signor Lavoisier ho pur parlato sovente di questamaravigliosa scomparsa del miscuglio d’aria buona ed infiamma-bile per l’accensione, e comparsa del vapore. E quante volte e aParigi e a Pavia non ho fatto vedere l’alito rugiadoso che coprel’interne pria asciutte pareti del vaso in cui si accende l’aria, e ilfumo o vapor nebuloso che ne sorte visibilmente all’aprirlo? Hodunque ragione di dire che sono io andato molto vicino all’espe-rienza e scoperta del Signor Lavoisier; e che mi mancava sol di

provare, com’egli ha fatto, che cotesto vapore è acqua pura, e checorrisponde press’a poco al peso di tutta l’aria consunta nell’in-fiammazione.

«Quanto alla conseguenza teorica che l’acqua sia dunque un

L A RICERCA PRIMA DELLA PILA

76 2H2 + O2 = 2H2O77 Fino agli anni ’80 Volta fu un tena-ce seguace della teoria del flogistoche difese strenuamente contro lenascenti idee di Lavoiser. La nuovateoria lavoiseriana infatti «porta ameno che ad escludere e sbandire datutta la Chimica il flogisto, l’esisten-za e le funzioni del quale sono da

tanti altri fenomeni stabilite.» [Op.7, p. 105] Volta si convertirà succes-sivamente alla nuova chimica, anchese con alcune riserve e compromessi.

 L

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120 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

composto delle due arie infiammabile e deflogisticata, io pensoancora diversamente; penso che l’acqua sia un elemento sempliceo almen più semplice di ciascuna delle due arie; che sia l’acquacontenuta in queste, non queste nell’acqua”. [ Op. VI, p. 411]

Infatti, in vari scritti risalenti a quel periodo risulta chiaro chesecondo Volta l’aria infiammabile (idrogeno) era costituita da unmiscuglio di acqua e flogisto, mentre l’aria deflogisticata (ossige-no) da un miscuglio di acqua e calore libero. Assumendo quindiche l’incontro tra il flogisto e il calore libero producesse la fiam-ma, la reazione esplosiva tra i due gas poteva essere descritta nelseguente modo:

 Aria infiammabile (acqua + flogisto) + aria deflogisticata (acqua ++ calore libero) = acqua + fiamma (flogisto + calore libero)

  LI STUDI DI ELETTROMETRIA E L’  ELETTROSCOPIO CONDENSA-

TORE. Intorno agli anni ’80, Volta cominciò ad interes-sarsi in modo sistematico di elettrometria, «cette partiede la Science, qui ayant été trop negligée», soprattutto in occasio-ne dei suoi studi sulla meteorologia elettrica.

Dapprima cominciò ad apportare varie modifiche agli elettro-scopi allora in uso, in modo da aumentarne la sensibilità e renderliconfrontabili. In particolare sostituì ai pendolini con palline disambuco dell’elettroscopio di Cavallo due pagliuzze «lunghe circadue pollici, le quali sospese per mezzo di anelletti mobilissimi pen-dano contigue o quasimente contigue secondo tutta la lunghezza.[Questi] riusciranno più leggieri dei fili metallici comunque esili, emolto più poi dei fili terminanti nelle solite pallottole: altrondeoffrendo maggior superficie si ripelleranno viemmeglio, e diver-

G

 Dall’alto: Elettroforo

condensatore ed elettrometri(Tempio Voltiano, Como) ediversi esemplari di Elettrofori

ed Elettrometri condensatori ed  Eudiometro (Fotografia, 1899).

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geranno, per eguali gradi di elettricità, assai più. [Inoltre] il mini-mo loro scostamento, la minima divergenza si rende[rà] più facil-mente osservabile, mercecchè tutta la linea del loro contatto, oquasi contatto, cade sott’occhio[…]: laddove coi fili metalliciaventi in fondo le palline, restando quelli un dall’altro discostiquanto porta la grossezza di coteste palline.» [Op. V, p. 35]

Infine la linearità della risposta del sistema gli permise di tra-sformare l’elettroscopio in un elettrometro, sostituendo alla tradi-zionale boccettina cilindrica una boccettina di sezione quadrata eapplicando «al di fuori d’una delle faccie piane, all’altezza, checorrisponde alla punta delle paglie una scala di divisione fatta adarco dello stesso raggio delle pagliuzze, con i gradi di mezzelinee.» [Op. V, p. 72]

Successivamente fu in grado di aumentare di un fattore mag-giore di cento la sensibilità dei suoi strumenti associando agli elet-trometri un dispositivo da lui appositamente realizzato: il conden-

 satore.78

«Un apparecchio, che portando a uno straordinario ingrandi-mento i segni elettrici fa sì, che osservabile divenga e cospicuaquella virtù, che altrimenti per l’estrema sua debolezza sfuggireb-be i nostri sensi, ognun comprende di quale e quanto vantaggio siaper riuscire nelle ricerche sull’elettricità, […]. Or un tale apparec-chio, […], ecco io ve lo presento nel mio elettroforo: in quellasemplice macchina, che è ormai nelle mani di tutti. […]. Ma venia-mo senza più al modo di far servire all’intento cotal apparecchio,a cui in questo caso meglio che il nome che altronde porta di elet-

troforo, l’altro già indicato di elettroscopio, anzi pure quello dimicroelettroscopio potrebbe convenire. Ma io amo meglio dichiamarlo condensatore dell’elettricità, per usare un termine sem-

L A RICERCA PRIMA DELLA PILA

 Esemplare di elettrometro

(Tempio Voltiano) e diversi Elettrometri, Spinterometro e Bilancia elettrostatica(Fotografia, 1899).

78   Anche se nella versione finale ildispositivo realizzato da Volta altronon è che un moderno condensatorepiano, esso non venne mai utilizzatoper condensare la carica elettrica nelsenso moderno del termine. Infattilo strato isolante tra le due armaturenon era in grado di sopportare le dif-ferenze di potenziale normalmente

ottenibili con le macchine elettrosta-tiche. Come ‘condensatore’ venivainvece utilizzata la bottiglia di Leidao il quadro di Franklin, il cui dielet-trico era costituito da una lastra divetro il cui spessore era dell’ordinedel millimetro.

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122 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

plice e piano, e che esprime a un tempo la ragione e il modo de’fenomeni di cui si tratta. Tutto dunque si riduce a queste pocheoperazioni. A) Convien prendere un piatto d’elettroforo, cheabbia l’incrostatura di resina assai sottile, e a cui o non sia statadianzi impressa alcuna elettricità, o se mai vi è stata, vi si sia spen-ta affatto. B) A questa faccia resinosa immune da ogni elettricità

si soprapponga convenientemente il suo scudo.[…] C) Così con-giunti essendo [si tocchi lo scudo con il conduttore carico], […]egli solo lo scudo, e in niun modo il piatto. […] D) Da ultimo sot-traggasi al contatto e influsso del conduttore lo scudo tuttaviaunito al suo piatto; indi si disgiunga anche da questo, levandolo inalto al consueto modo per il suo manico isolante: e allora sarà chese ne otterranno gli aspettati segni cospicui di attrazione, di ripul-sione, e di qualche scintilla eziandio, di pennoncelli ec. nel tempoche il conduttore di per sè non giugna a mostrar nulla, o appenaun’ombra di elettricità.» [Op. III, p.273]

Per evitare che l’operazione precedentemente descritta potesseportare a caricare elettricamente lo strato isolante, come nel nor-male elettroforo, pensò di «surrogare al piatto incrostato di resi-na, un piano che non fosse vero e perfetto isolante, ma tale sola-mente che opponesse una discreta resistenza al suo passaggio,come una lastra di marmo asciutta e politissima […]. Quindi è cheun tal apparecchio inatto alle funzioni d’elettroforo non ce ne

 Elettrometro di de Saussure (daVoyage dans les Alpes , Tome II,1786) ed Elettrometri a paglia

di Volta, resi comparabili (daBiblioteca fisica d’Europa... ,

 Pavia).

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darà i fenomeni; ma per questo appunto meglio servirà all’altr'u-so di condensatore.[Op. III, p.276]

«Al piatto di marmo va di paro un piano qualunque coperto dibuona tela incerata secca e monda, di taffetà cerato, di raso o d’al-tro drappo di seta il quale più che è sottile è meglio.[…] Si puòbenissimo, invece della lastra di marmo, [utilizzare] una lamina dimetallo eguale all’altra lamina o sia scudo [ma ricoperta di verni-ce].[…]. Ma con ciò, mi si dirà, noi siam ricondotti ad un veropiatto d’elettroforo, giacchè l’intonaco di vernice tien qui luogodel sottile strato di resina. Io non voglio negarlo […]. Il vantaggiodel piatto verniciato sopra l’un ordinario d’elettroforo è 1.° che lavernice sarà sempre più sottile79 di qualunque incrostatura resino-sa; 2.° che quella meglio che questa può lasciare la superficie delpiatto di metallo, piana e liscia in modo, che lo scudo vi s’adattiancora quasi a coesione.» [Op. III, p. 281].

In un primo tempo, Volta utilizzò il suo condensatore per lo

studio dell’elettricità atmosferica, e successivamente per quellodell’elettricità che si genera dall’evaporazione di un liquido.

Negli anni novanta, durante la controversia sulla presunta elet-tricità animale, Volta fu in grado di scoprire e misurare la tensio-ne di contatto tra due metalli (il così detto effetto Volta) utiliz-zando di preferenza un condensatore costituito da due dischi

L A RICERCA PRIMA DELLA PILA

 Bilancia elettrostatica (TempioVoltiano, Como).

79 Volta aveva in più occasionimostrato come la capacità di dueconduttori piani affacciati era inver-samente proporzionale alla lorodistanza.

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metallici, le cui facce adiacenti venivano entrambe isolate con unsottile strato di vernice. In alcuni casi l’elettrometro, con il qualeveniva misurata la tensione acquistata dal disco mobile, venivaunito al condensatore stesso, di cui costituiva l’armatura fissa, rea-lizzando quello che oggi viene comunemente indicato come l’elet-troscopio condensatore di Volta (cfr. figura a p. 120).

L’ultimo punto del programma voltiano sull’elettrometriariguardava la definizione di un’unità di misura per la tensione inmodo da rendere comparabili tra loro le misure. A tale scopoVolta propose nella prima Lettera sulla meteorologia Elettrica unamisura della tensione attraverso la valutazione della forza repulsi-va tra due piattelli carichi posti a una distanza prefissata. «Sia dun-que un piattello d’ottone di cinque pollici e. g. di diametro, e treo quattro linee di grossezza negli orli, sospeso con lunghi cordon-cini di seta ad un braccio di bilancia (tenendo così luogo d’unadelle coppe), e riducasi all’equilibrio: ciò fatto, senza movere la

bilancia dal giudice, venga tal piattello a posare sopra un altrosimile in tutto a lui, e sorretto da una colonnetta isolante. In que-sto stato, se una boccia di Leyden, o in altra maniera, s’infonda ne’due piattelli qualche elettricità, tosto il superiore verrà spinto insu, e allontanato dall’inferiore, onde vedrassi la bilancia trabocca-re dall’altra parte (figura a p. 121 in basso, e p. 123).

«Or si carichi quel piattello del peso di un danaro, di due, di treec., è chiaro che ci andrà maggior forza elettrica per cacciarlo in alto,secondo che troverassi aggravato da maggior peso; siccome è chiaroed evidente, che caricandolo sempre dell’istesso peso, richiederassi

pur sempre l’istessa forza elettrica a sollevarlo un tantino, sicché labilancia ne dia cenno. Se pertanto determinisi con precisione sì lasuperficie, che si vuol dare ai due piattelli, che il peso il quale deevenir superato dalla ripulsione elettrica di quelle date superficie pianeposte al contatto, si avrà una forza di elettricità parimenti determina-ta, cioè quel grado che fisso, cerchiamo.» [Op. V, p. 55]

In un successivo lavoro, Volta modificò la bilancia utilizzandoinvece della repulsione tra i due piattelli egualmente carichi la forzadi attrazione tra un solo piattello e una lastra di marmo sottostante.

Le varie esperienze eseguite per tarare la nuova bilancia porta-

rono Volta a determinare interessanti leggi sull’attrazione elettri-ca. In particolare trovò che la forza di attrazione era direttamenteproporzionale al quadrato della tensione e inversamente propor-zionale al quadrato della distanza. «Nell’istessa ragione duplicataho poi anche trovato, che diminuisce l’attrazione crescendo ledistanze, cosicchè a doppia, tripla, quadrupla distanza l’attrazionediventa quattro, nove, sedici volte più picciola. […] Lo che hopure confermato con molteplici sperienze» [ Op. V, p. 78].

 A FISICA DEI GAS E DEI VAPORI : ALCUNE LEGGI DIMENTICATE. A LEGGE DI DILATAZIONE ISOBARA DEI GAS. Nei primi mesi del179180 Volta si occupò delle proprietà fisiche degli aerifor-mi, arrivando a determinare, dieci anni prima di Gay-

Lussac,81 la legge della dilatazione uniforme dell’aria. L’interesse perqueste ricerche era più che motivato sul piano scientifico. Infatti

124 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

 L

80 Il lavoro venne pubblicato nel1793 negli Annali di Chimica eStoria naturale, del Brugnatelli (Br. Ann. 1793, T. IV, pg. 227) e succes-sivamente nel 1816 nella Collezionedell’Antinori (Ant. Coll. 1816, T. III,pg. 329) con il titolo Della uniformedilatazione dell’aria per ogni grado dicalore, cominciando sotto la tempe-

ratura del ghiaccio fin sopra quelladell’ebollizione dell’acqua: e di ciò,che sovente fa parer non equabile taldilatazione, entrando ad accrescer adismisura il volume dell’aria.Tuttavia da un manoscritto ( Cart.Volt. H 18. Op. VII, p. 331), checostituisce il testo di una letterainviata il 16 giugno 1791 al Sig. D.Scasso a Londra, risulta che a taledata i risultati più significativi dellaricerca erano già stati conseguiti.Inoltre questi risultati vennero anchecomunicati a Martin Van Marum inuna lettera del 28 marzo 1792 (Op.VII, p. 340). La scarsa notorietàdella rivista del Brugnatelli e la situa-zione politica del tempo sonosenz’altro alla base della mancatadiffusione dei risultati di Volta.81 L. J. Gay-Lussac, Recherches sur ladilatation des gaz et des vapeurs,  Annales de Chimie, T. XLIII, 30messidoro, anno X, (19 luglio1802).

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«veggendo, che differiscono tanto gli Autori fra di loro De Luc, LeRoy, Saussure, Priestley, Trembley, Vandermonde, Morveau ec. sullaquantità di dilatazione,82 che soffre l’aria per ciascun grado di calo-re,83 e che chi vuole o suppone almeno ch’essa si dilati uniforme-mente, cioè dell’istessa quantità per un grado dippiù, tanto nelletemperature basse, quanto nelle alte; chi all’incontro che un grado

la dilati molto dippiù, giunta che già sia ad una temperatura alta;veggendo, dico, tanta discrepanza di opinioni, e di risultati dellerispettive sperienze, ho voluto anch’io richiamar ad esame un talsoggetto, con una lunga serie di sperienze fatte col seguente sem-plice apparato.» [Op. VII, p. 331]

«Mi sono servito di un termometro Drebbelliano84 ABC (figura a p. 127) […], ben calibrato contenente aria naturale in tutto il bulbo A, e una piccola parte del tubo fino ad un punto segnato 100, esotto tale punto per tutto il resto del tubo […] ripieno or d’acqua,or d’olio, or di mercurio, lo seppelliva in una campana di vetro DC

piena di acqua fin sopra detto bulbo, nella qual acqua pesava unaltro delicato termometro a mercurio ab. […]. Sendo dunque latemperatura [iniziale] quella del ghiaccio [0 °C] […] mi faceva adosservare quanto crescesse [l’aria racchiusa] da tal volume a misurach’io innalzava a riprese il calore [leggi: temperatura] del bagnomediante l’estrarre con un sifone dalla campana, or poca, or moltaquantità di acqua fredda, e rimetterne, versandovela con unamestola, della calda […]. Per ogni grado di calore del termometroacquista l’aria confinata un aumento di circa 1/216 del volume cheha alla temperatura zero:85 acquista […] un tal aumento di volume,egualmente a principio cioè poco sopra la temperatura del ghiaccio,come avanzandosi verso il termine dell’acqua bollente.

«È dunque uniforme ed equabile prossimamente la dilatazionedell’aria pel calore, cioè proporzionale agli aumenti del medesimoper tutta l’estensione, che v’è tra la temperatura del ghiaccio, equella dell’ebollizione dell’acqua: e abbiam fondamento di crede-re, che lo sia ben anche per molti altri gradi sopra e sotto tali ter-mini.» (figure a p. 126) [Op. VII, p. 373]

Il Congresso internazionale di Fisica, svoltosi nel mese di set-tembre 1927, per commemorare il centenario della morte di A.Volta, prima di chiudere i suoi lavori, nella solenne adunanza del17 settembre, tenuta a Pavia nell’Aula Volta dell’Università, aderi-va unanime alle seguenti conclusioni: «Ne viene che sulla dilata-zione dei gas si dovrebbero enunciare le seguenti leggi: 1° Leggedi Volta: Il coefficiente di dilatazione isobara dell’aria è costante.2° Legge di Gay-Lussac: Tutti i gas hanno lo stesso coefficiente didilatazione» (  Atti del Congresso internazionale dei Fisici, 1928,Bologna, Vol. II, p. 617).

 LI STUDI SULLA TENSIONE DI VAPORE. Dopo le ricerche sulladilatazione termica dell’aria e del vapore acqueo nonsaturo, Volta si dedicò negli anni che vanno dal 1792 al

‘9686 a ricerche sulla densità e tensione dei vapori saturi e sullaloro dipendenza dalla temperatura. Anche questi risultati, ottenu-ti quando lo scienziato era particolarmente impegnato nel dibatti-

L A RICERCA PRIMA DELLA PILA

82 I valori riportati in letteraturavariavano infatti da 1/235 (Saussure)a 1/171 (Roy) per ogni grado ditemperatura della scala Reamur (0-80)83 Da intendersi come gradi di tem-peratura.84 Il termometro ad aria introdottodall’olandese Cornelius van Drebbelera costituito originalmente «da unaboccia grossa come una noce, ocome un uovo di piccione[…]; daquesta boccia sortiva un tubo, dellospessore di una piuma da scrittura edi un piede di lunghezza circa […].Si riempie il tubo con un poco diacqua comune in modo che essavenga a riempirlo per metà della sualunghezza, l’altra metà e la bocciaessendo piene di aria comune. Sicapovolge quindi il tubo in un vasopieno della stessa acqua» (Traittezdes baromètres, thermomètres, ouhygromètres. Par Mr. D***, Amsterdam, 1688).85

Questo valore di 1/216 per gradoRéaumur , equivalente a 1/270 =0,003704 per grado centigrado, rap-presenta la dilatazione apparentedell’aria, in quanto Volta non tenevaconto della dilatazione del conteni-tore di vetro. Assumendo un coeffi-ciente di dilatazione del vetro pari a0,000025 si ottiene il valore0,003729, poco diverso da quellooggi accettato di 0,0036724. Gay-Lussac nelle sue misure del 1802ottenne per il volume dell’aria tra idue punti fissi una variazione da 100a 137.5, che corrisponde a un coeffi-ciente di dilatazione, suppostouniforme, di 0,003750. Anche nellemisure di Gay-Lussac non si tenevaconto della dilatazione del recipien-te.86 Nel Discorso del giugno 1795 inoccasione della promozione di alcu-ni ingegneri precisava infatti alriguardo di queste nuove esperienze:«Ecco dunque ciò che ho io compitocolle moltissime sperienze, che da treanni sono andato facendo sopra talsoggetto non men curioso che inte-ressante: coll’esperienze dell’ebulli-zione nella Macchina pneumatica,che vi ho già in parte descritte, e conun maggior numero di altre nelvuoto Torricelliano» (Op. VII, p.

414).

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126 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

to con Galvani sulla presunta elettricità animale (vedi il cap. IV)non furono sufficientemente pubblicizzati, e di alcuni importantirisultati, successivamente ottenuti da altri scienziati, non gli vennericonosciuto il merito.

Nel postscriptum di una lettera al Vassalli del 27 ottobre1795,87 pubblicata in Br. Ann., T. XI, 1796, pg. 127, e in Ant.Coll., T. III, pg. 381 vennero sommariamente presentati i risultatifino allora ottenuti. «Io ho continuato ad occuparmi molto intor-no ai vapori elastici, e sono stato condotto ad alcuni bei ritrovaticonsentanei molto alla teoria di De Luc: p. e. che la quantità delvapore è la stessa in uno spazio vuoto o pieno d’aria, rara o densa,e dipende unicamente dal grado di calore; onde cade affatto lateoria della dissoluzione de’ vapori nell’aria; che la forza del vapo-re, ossia la pressione che esso equilibra, cresce in una progressio-ne geometrica crescendo il calore in una progressione aritmetica:che tal progressione geometrica è come 1, 2, 4 ecc. crescendo il

 Minuta degli appunti sulle

tensioni di vapori saturi allediverse temperature (Autografodi Volta, Cart. volt. H33_,

 Istituto Lombardo) e relativo apparecchio (Tempio Voltiano,

Como).

87 Lettera terza sull’elettricità anima-le. Op. I, p. 287. Le stesse notiziesono riportate in una lettera aLandriani del 16 novembre 1795.Op. VII, p. 437

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127

calore di 16 in 16 gradi circa; cosicché essendo la pressione delvapor acqueo eguale a 13 pollici di mercurio alla temperatura di64 gradi Reaumur, divenendo eguale a 28 pollici a gr. 80, cioè cre-scendo di 15 poll., cresce poi di 30 poll. e arriva a 58 alla tempe-ratura di 96 gradi ecc. : che questa stessa progressione in ragiondupla di 16 in 16 gradi ha luogo come pel vapor acqueo, così per

ogni altro vapore elastico, dello sp. di vino, dell’etere ecc. la dif-ferenza stando solo nel grado di calore richiesto a produrre ilvapore di tal densità e forza elastica, che equilibri una data pres-sione, p. e. quella di 28 poll. di mercurio (giugnendo al qual ter-mine circa bolle il liquido ne’ vasi aperti, come si sa. […]. Per talisperienze sopra i vapori ho immaginati e costrutti varj apparati,che meritano d’essere descritti; e lo farò pubblicando alcuneMemorie su questa materia bellissima e importantissima, che hogià abbozzato. ma che non so quando potrò terminare.»88

Questi stessi risultati furono ottenuti da Dalton nel 1801 e ven-

L A RICERCA PRIMA DELLA PILA

Termometro per lo studio della

dilatazione dell’aria (TempioVoltiano, Como) e relativodisegno (A. Volta, Memoria sull’uniforme dilatazionedell’aria, dalla Collezione Antinori , Tomo III).

88 Op. I, p. 301. Queste memorienon furono però pubblicate e neppu-re scritte. Tuttavia possediamo unaserie di manoscritti inediti e i testi,pure inediti, di tre discorsi ufficialitenuti nel maggio e nel giugno 1795e nel 1804 in occasione di sedute dilaurea, nei quali sono ampiamentepresentati e discussi i risultati via via

ottenuti. Op. VII, da p. 393 a p. 536.

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128 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

gono ora riportati nei testi con il suo nome. Nella tabella sottoriportata le leggi di Dalton e quelle di Volta sono confrontate tradi loro:

VOLTA D ALTON

La quantità del vapore è la stessa The force of the steam [...] is thein uno spazio vuoto o pieno same under any pressure of and’aria, rara o densa, e dipende other elastic fluid as it is in vacuo.unicamente dal grado di calore.

La pressione che [il vapore] equilibra, Upon examination of the number cresce in una progressione geometrica in the table [...] there appearscrescendo il calore in una progressione something like a geometricalaritmetica. progression in force of vapour.

Come si vede esse sono identiche; di più, riguardo alla secon-da legge osserviamo, come è stato ben evidenziato da Polvani «che

mentre la legge di Volta riguarda sia la tensione di vapore sia ladensità, quella di Dalton riguarda solo la tensione: inoltre mentrela prima proviene da un’interpretazione teoretica dell’aumentodella tensione, e porta a scindere l’effetto dovuto all’aumento didensità da quello dovuto all’aumento dello sforzo elastico, la leggedi Dalton consiste puramente in una constatazione di fatti speri-mentali».

E ancora il Configliacchi nel suo elogio scientifico al Volta,letto all'Università di Pavia nel novembre 1831: «Distinto e sot-tratto con fino accorgimento l’effetto termometrico da quello

dipendente dall' aumentata elasticità e per temperatura insiemeper quantità di vapore, il che altri prima di lui trascurò, e dopo dilui praticò imperfettamente non appoggiandosi alle esperienze;seppe quello del pari determinare in una progressione geometricacrescente al crescere uniforme della temperatura. Fu allora ch’egliprima di ogni altro fisico, cioè nel 1793, scoprì l’altra bella leggeche al fisico scozzese le tante volte nominato d’ordinario si attri-buisce, della mirabile relazione cioè che vi ha fra le pressioni cheesercitano i vapori di diversi fluidi a temperature diverse col gradoa cui ciascuno di essi rapidamente sotto la pressione dell’atmosfe-ra si trasforma in vapore.»

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 PRIMI ESPERIMENTI DI G ALVANI . La realizzazione della pila costi-tuì l’epilogo di un lungo ed acceso dibattito che interessò eappassionò l’intera comunità scientifica dell’epoca. Un dibat-

tito che ebbe come protagonista, oltre ad Alessandro Volta, ilmedico bolognese Luigi Galvani89 e come attore principale unumile e innocuo animale: una rana.

Iniziato nel 1792 con la pubblicazione del Commentarius,90 ildibatto si concluse soltanto nel 1799. «Questo è il gran passo, fatto

D AL DIBATTITO CON G ALVANI ALL’INVENZIONE DELLA PILA

D AL DIBATTITO CON G ALVANI

 ALL’INVENZIONE DELLA PILA

Vim raiae torpedinis meditatus

naturae interpres et aemulus*

 I 

* Seconda parte dell’epigrafe delbusto di Volta nell’aula Voltadell’Università di Pavia.89 Luigi Galvani nacque a Bolognanel 1737. Dopo i primi studi digrammatica e retorica, attese allostudio della filosofia sotto la direzio-ne del Canonico Cassini. Segui glistudi universitari di medicina semprea Bologna e nel 1759 si laureò inmedicina e chirurgia e subito dopoin filosofia. Nel 1766 diventò pro-fessore di anatomia nell'Accademiadelle Scienze dell'Istituto di Bolognae nel 1768 Aggiunto alla cattedra di  Anatomia pratica tenuta dal prof.Gusmano Galeazzi (suo suocero), acui succedette nel 1775. Nel 1782passò dalla cattedra di Anatomia aquella di Ostetricia. Nell’aprile 1798venne privato della Cattedra per nonaver voluto giurare fedeltà alla

Repubblica Cisalpina, poi reintegra-to come professore emerito. Morì il4 dicembre 1798, a sessantun anni.90 Aloysii Galvani De viribus elettrici-tatis in motu musculari commenta-rius, Bononiae 1791, riportato in L.Galvani, Opere scelte, (OG) a cura diG. Barbieri, Utet, Torino 1967.

 In basso: Luigi Galvani. A fianco: Rana bove e Rospo

 pipa (da Encyclopédie ouDictionnaire raisonné..., Tavoledi Histoire Naturelle).

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130 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

sulla fine dell’anno 1799, passo che mi ha condotto ben tosto allacostruzione del nuovo apparato scuotente; il quale ha cagionato tantostupore a tutti i Fisici; a me grande soddisfazione». [Op. II, p. 59]

Con queste parole Alessandro Volta ricordava nel 1801 ilmomento in cui realizzò quel nuovo e rivoluzionario strumentoche noi oggi chiamiamo Pila.

Nuovo in quanto si trattava del primo generatore di una cor-rente elettrica continua, «La base fondamentale di tutte le inven-zioni moderne» come ebbe a definirla A. Einstein; «Da potersiparagonare forse solo, in età remota, alla scoperta del fuoco» ( A.Righi, Commemorazione del I centenario della morte di Volta).

Rivoluzionario in quanto diede inizio alla moderna era dell’e-lettricità.

Ma torniamo al dibattito scientifico tra Galvani e Volta. Neiprimi mesi del 1792 Galvani rese pubbliche alcune sue sorpren-

denti esperienze condotte in più di dieci anni d’intenso lavoro. Ilcosiddetto primo esperimento risale infatti al 1780. Convintoassertore dell’esistenza di una elettricità animale, Galvani stavaeseguendo una serie di esperienze sugli effetti dell’elettricità suanimali morti.

Nella figura in basso, che riproduce la prima tavola delCommentarius, possiamo infatti osservare i classici strumenti presen-ti in ogni laboratorio scientifico dove ci si occupava di elettricità, inparticolare (1) una macchina elettrostatica e (3) una bottiglia diLeida. Nella parte sinistra della tavola è inoltre riportato il disegno diuna rana preparata per gli esperimenti nel seguente modo: «tagliata[…] trasversalmente al di sotto degli arti superiori, sventrate […],lasciati li soli arti inferiori uniti tra loro, con i loro lunghi nervi cru-rali inseriti, e questi, o sciolti, e liberi od appesi alla spinal midollalasciata intatta nel suo canal vertebrale[…].» [OG, p. 127]

Mentre stava eseguendo tali esperimenti con alcuni suoi colla-boratori: «non appena uno dei miei aiutanti, per caso, toccò colla

 Luigi Galvani, De viribuselectricitatis in motu musculari

commentarius... , 1792.Tavola I.

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punta di una lancetta,91 pur lievemente, i nervi cruriali (DD) dellarana [preparata e messa sul tavolo a distanza dalla macchina elet-trostatica] subito si videro tutti i muscoli degli arti contrarsi in talmodo, da sembrare caduti in convulsioni toniche violente. Unaltro di coloro che ci assistevano ebbe l’impressione che il feno-meno avvenisse nel momento in cui dal conduttore della macchi-

na scoccava la scintilla. Colpito dalla novità dell’osservazione,subito egli mi avvertì […]. Allora fui preso da un’incredibile curio-sità e desiderio di ritentare io stesso l’esperimento e di spiegare ilmistero del fenomeno. […] Il fenomeno si ripeté proprio nellostesso modo.» [OG, p. 89]

Come annotava subito, le contrazioni erano identiche a quelle chesi osservavano quando si faceva scaricare tra il nervo e il muscolodella rana il fluido elettrico del conduttore carico di una macchinaelettrostatica o di una bottiglia di Leida. Egli pensò quindi che il feno-meno fosse dovuto in questo caso a una elettricità animale, stimolata

dalla scintilla elettrica prodotta dalla macchina,92

che si scaricava aterra tramite la lancetta e il corpo dello sperimentatore.

Ripetendo questi esperimenti in condizioni sempre diverse e inparticolare sul terrazzo della propria casa in presenza di scaricheelettriche naturali (i fulmini durante un temporale), gli capitò diosservare un fenomeno ancora più strano (secondo esperimento):«Collocammo […] sopra il parapetto orizzontalmente le rane pre-parate nella consueta maniera, con il midollo spinale perforatocon un uncino di rame. L’uncino toccava la lamina di ferro, edecco manifestarsi nella rana dei moti spontanei non eguali e fre-

quenti. Se con il dito l’uncino era premuto contro la superficie diferro, le rane si eccitavano ed altrettante volte, quante si facesse lasuddetta pressione» [OG, p.33] (cfr. figura in basso).

Ormai, sembrava non esserci più alcun dubbio; si era in pre-senza di una elettricità insita nell’animale che si manifestava cor-tocircuitando, con un arco conduttore metallico, il nervo e ilmuscolo della rana. Tuttavia, siccome «è facile ingannarsi nel fare

D AL DIBATTITO CON G ALVANI ALL’INVENZIONE DELLA PILA

 Luigi Galvani, De viribuselectricitatis in motu muscularicommentarius... , 1792, Tavola II. Esperimento sulle rane in presenza di elettricità atmosferica.

91 Si tratta di un piccolo bisturimetallico92 Galvani aveva osservato un feno-meno simile nelle bottiglie di Leidacariche.

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132 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

esperimenti e credere di aver visto e di aver trovato ciò che si desi-dera vedere e trovare”, Galvani ripeté più volte l’esperimento inlaboratorio, utilizzando prevalentemente degli archi bimetalliciper mettere in contatto tra di loro il nervo crurale e il muscolodella gamba, in quanto con un arco costituito da un solo metallole contrazioni erano molto più deboli e in generale presenti solo

in animali preparati di fresco.Egli, però, non fece molta attenzione a questo particolare, che,

come vedremo, avrà invece un ruolo fondamentale nella disputasuccessiva, e si convinse che i suoi esperimenti dimostrassero inmodo incontrastabile la presenza nella rana di un disequilibrioelettrico. La rana si comportava quindi contemporaneamentecome un sensibilissimo elettroscopio e un generatore di elettricità,una sorta di bottiglia di Leida animale, costituita dalle superficiinterne ed esterne che delimitano ogni fibra muscolare, e di cui inervi costituivano il conduttore interno.

 LI ESPERIMENTI DI V OLTA. Alcune copie del Commentariusgiunsero a Pavia nel marzo del 1792, inviate dalla stessoGalvani, desideroso di conoscere le reazione dei colleghi

di una così rinomata Università, all’amico medico don BassanoCarminati. Volta, stimolato dal collega a ripetere gli esperimenti,si mise a lavorare con molto pessimismo, ma, davanti all’evidenzadei fatti, passò di lì a pochi giorni, come lui stesso ebbe a dichia-rare, «dall’incredulità al fanatismo». E il 5 Maggio dello stessoanno, nel Discorso93 recitato nell’Aula magna dell’Università di

Pavia in occasione della Promozione di tre ingegneri, dopo averapplaudito alla grande scoperta,94 affermava: «l’arco conduttorenon può indurre elettricità alcuna, ma bene aver per proprio edunico ufficio di togliere quella che già esista, di rimettere in equi-librio il fluido elettrico già sbilanciato […]. Dobbiamo quindi pre-sumere […], che dico presumere? […] aver la cosa per certa, cioèche il fluido elettrico che produce codesti moti muscolari si trovisbilanciato tra parte e parte dell’animale.» [Op. I, p. 15]

Nella seconda parte di tale dissertazione Volta riportava unaserie di misure sull’intensità della scarica elettrica artificiale in

grado di produrre convulsioni nella rana, arrivando alla conclu-sione che la rana si presentava come il più sensibile di tutti gli elet-troscopi. «Verificate le capitali sperienze sull’elettricità vera ani-male, nativa e propria degli organi, in guisa di non poter più diessa dubitare, mi son rivolto a ricercarne la quantità, qualità, emodo. E prima riguardo alla quantità, o forza di elettricità, una talricerca mi parve quella, che dovesse andar innanzi alle altre. E chemai può farsi di buono, se le cose non si riducono a gradi e misu-re, in fisica particolarmente? Come si valuteranno le cause, se nonsi determina la qualità non solo, ma la quantità, e l’intensionedegli effetti.[…]. Con questa preparazione [simile a quella utiliz-

zata da Galvani] un’elettricità, che non giunge a dare la minimascintilla, e che non è sensibile neppur d’un grado all’elettrometrodelicatissimo di Bennet, cagiona fortissime convulsioni e sbalzi didette gambe.»[ Op. I, p. 29]

G93 Il Discorso venne pubblicato sulGiornale di Brugnatelli dello stessoanno (Br. Giorn. T. II. pg. 146) conil titolo: Memoria prima sull’ellettri-cità animale.94 «Una scoperta di questa fatta nonpoteva che eccitare grande entusia-smo dappertutto, ove ne pervenne lanotizia, e massime tra noi, essendo diun nostro Italiano. Ed ecco, chemolti si fecero a gara a ripetere lesperienze. Io fui il primo qui inPavia, eccitato da varj miei Colleghi,[…]; e il primo fui anche a Milanonon molti giorni dopo, cioè verso ilfine di Quaresima.» [Op. I, p. 26]

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Inoltre fu in grado di avanzare una possibile spiegazione dellanatura del primo esperimento, rifacendosi alla sua teoria delleatmosfere elettriche. «Un conduttore elettrizzato dispiega d’attor-no un’azione per cui smuove o tenta di smuovere il fluido elettri-co proprio di tutti i corpi immersi nella sua sfera d’attività […]cacciandolo dalle parti più immerse de’ conduttori alle parti più

lontane[…] . Quando poi provocando la scintilla si scarica l’elet-tricità del conduttore, e la di lui atmosfera si toglie, ritorna il flui-do elettrico smosso nei corpi che quell’atmosfera dominava, ritor-na a’ luoghi suoi; e se istantanea è la scarica, istantaneo richie-dendosi pure tal riflusso.» [Op. I, p. 36]

Ma proseguendo negli esperimenti cominciò, di lì a pochi gior-ni, ad avere qualche dubbio sul ruolo dell’arco conduttore. Infattiin molti esperimenti era riuscito a ottenere contrazioni anche inrane non preparate e in altri animali; in questo caso, però, eranecessario che l’arco conduttore fosse costituito da due metalli

diversi. «Quello, che non lo è, e di cui non ho potuto ancora tro-vare una ragione, che mi soddisfi neppur mezzanamente, si è lanecessità delle armature dissimili.[…] Or riflettendo a tutto que-sto mi nasce talvolta dubbio, se veramente i conduttori metallici,diversi, od applicati in differente maniera a due luoghi dell’ani-male altro non facciano dal canto loro, allorché si viene a stabili-re tra essi una comunicazione, che prestar la via al fluido elettri-co, che naturalmente tende a trasportarsi dall’uno all’altro luogo,come pare che si debba credere; se in una parola siano meramen-te passivi, o non anzi agenti positivi, che movano cioè di lor posta,il fluido elettrico dell’animale, e da quieto che era ed equilibrato,lo determinino, rompendo essi tal equilibrio, ad entrar quinci peruna armatura di tal foggia, ed a sortire per l’altra di tal altra fog-gia.» [Op. I, p. 40]

Il 14 Maggio pubblicava una Seconda Memoria sull’elettricità animale nella quale riferiva di nuove e più accurate misure sullaeccezionale sensibilità della rana preparata alla maniera diGalvani, giustificando così il fatto che l’elettricità animale nonfosse rivelabile con nessun strumento elettrico.

Ma a questo punto diventava difficilmente spiegabile come unacausa così debole potesse produrre effetti meccanicamente cosìmarcati. L’unica analogia possibile era quella dell’effetto della lucesul nervo ottico. «Un simile fenomeno, che può servir d’esempiolo abbiamo nella luce, la quale avvegnaché non abbia un momen-to meccanico bastevole a produrre la minima impulsione sensibi-le, a movere es. gr. una piuma od altro corpo leggerissimo da leiinvestito, pur eccita vivamente il nervo ottico, fino ad offenderloper troppo gagliarda sensazione, e sì lo eccita non debolmenteanche una luce debole e rara. Or dunque non fia maraviglia, cheuna picciola e debol corrente di quest’altro fluido etereo, sottilis-simo, analogo si può dire, alla luce, qual è il fluido elettrico, inve-

stendo altri nervi, forse del pari delicati, o poco meno, dirò megliodel pari sensibili relativamente a lui, li stimoli ed ecciti, che daquesto eccitamento de’ nervi ne provengano poi le contrazioni emoti de’ muscoli da quelli dipendenti.» [ Op. I. p. 56]

D AL DIBATTITO CON G ALVANI ALL’INVENZIONE DELLA PILA

Sopra e a fronte: Luigi Galvani,De viribus electricitatis in motumusculari commentarius... ,1792. Esperimenti sulle rane.(part.)

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134 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

Questa anologia suggerì a Volta, vicino alla teoria fisiologicadell’irritabilità di Haller,95 che le convulsioni dei muscoli fosseroun effetto secondario dovuto all’irritazione elettrica dei nervi. Egli esperimenti gli dettero ragione; infatti fu in grado di ottenerele convulsioni della rana applicando in due punti vicini dello stes-so nervo gli elettrodi di una bottiglia di Leida debolissimamente

carica, e successivamente due armature metalliche diverse, colle-gate tra loro con un arco conduttore.

Ma se le cose stavano così, eccitando nervi diversi da quellimotori si sarebbero dovuti ottenere altri effetti, pur essi vistosi.Infatti, «con non altro artifizio che questo di applicare alla puntadella lingua una lamina di stagno o di piombo, lucida e netta, eposare sul mezzo della lingua medesima una moneta d’oro o d’ar-gento, una spatola d’argento od un cucchiajo, e far quindi toccareil manico di questo cucchiaio o spatola, oppure la moneta alla lami-na di stagno o piombo, contro cui preme la punta della vostra lin-

gua, con non altra operazione, dico, che questa, gusterete l’istessosapore acidetto, che vi si fa sentire sulla lingua quando l’opponeteal tenue fiocco e venticello di un conduttore elettrizzato artificial-mente a tale distanza che non iscocchino scintille.» [Op. I, p. 62]

Era ormai chiaro che per produrre le convulsioni era necessarioe sufficiente agire sui nervi, sia stimolandoli con scariche elettricheesterne sia con la semplice applicazione di un arco conduttore. Mala grande novità, già osservata dallo stesso Galvani,96 ma non suffi-cientemente approfondita, era che nella maggioranza dei casi l’ar-co doveva essere costituito da armature dissimili, o per diversità di

metalli, o almeno per differente foggia di applicazione.Durante l’estate Volta cominciò a formulare una prima ipotesisul ruolo elettromotore del contatto bimetalico: «[…] se accade untrasporto di esso [fluido elettrico] colla semplice applicazione didue metalli di diversa qualità, essi sono che lo tolgono dall’oziosoequilibrio, in cui si truova, che lo smuovono da’ luoghi cui sonoapplicati, e trasportanlo dall’una all’altra parte. […], e. g. l’argen-to, attraendolo e succhiandolo in certo modo, l’altra, e. g. lo sta-gno, versandolo, e di metterlo così in un perenne giro, quando efinchè abbiavi tra esse una comunicazione parimenti metallica o dialtri buoni deferenti […]. Son dunque i metalli non solo condut-tori perfetti, ma motori dell’elettricità. Ella è questa una nuovavirtù de’ metalli,97 da nessuno ancora sospettata, che le mie spe-rienze mi hanno condotto ad iscoprire. Nè però io penso, che siaessa propria soltanto de’ metalli; ma bene di tutti i conduttori; etengo debba stabilirsi per legge generale, che il semplice contattoo combaciamento di conduttori di diversa superficie, e di qualitàsopratutto diversa basta a turbare in qualche modo l’equilibrio delfluido elettrico, e a smuoverlo, senza cioè che siavi bisogno distropicciamento alcuno.» [Op. I, p.118]98

Questa ipotesi venne ripresa e approfondita in due lettere a

Van Marum del 30 agosto e 11 ottobre, nelle quali viene tra l’al-tro presentata una scala dei diversi metalli ordinati a seconda dellaloro maggior o minor tendenza a cedere fluido elettrico al con-duttore umido.

95 Secondo questa teoria, introdottadal fisiologo svizzero Albrecht vonHaller nel 1753, il muscolo si con-trae in risposta a uno stimolo esternoqualsiasi (meccanico, elettrico, chi-mico) in virtù di una forza interna,(vis insita o irritabilità). FeliceFontana, uno dei più illustri halleria-ni italiani, paragonava il processo

all’accensione della polvere da sparoda parte di una miccia. «L’energiacontrattile del muscolo intero puòoltrepassare l’energia dello stimolo,così come una piccola scintilla dàfuoco a una grande massa di polvereesplosiva, l’energia della quale è pro-digiosa. […] La scintilla non è lacausa di questo enorme sforzo, chesupera grandemente la sua forza, essaè solo la causa eccitante che liberal’energia di un agente che è rinchiusoin essa [polvere da sparo]» (Fontana,

  Dissertation epistulaire, 1760).96 «Il Sig. Galvani notò ancora egli,che la diversità de’ metalli influiscemolto, talché succedono e più facil-mente e più veementi le convulsioni,se essendo ferro od ottone quello chetocca i muscoli, sia stagno od argentol’altro, che tocca i nervi della ranapreparata alla sua maniera.» Notadello stesso Volta .[ Op. I, p. 65]97 Descrivendo questi risultati in unlavoro delmaggio 1801 precisava: «que-sto nuovo e generale principio in elettri-cità, il quale ha dovuto sulle prime sem-brar paradosso.» [Op. II, p. 23]98 Si tratta di un manoscritto senzadata, riguardante la risposta di Voltaa una lettera dell’Abate Tomma-selli,scritto probabilmente nell’estate.Tuttavia dal diario di uno studenteGiuseppe Mangili, che in quei giornifu attento osservatore, e in alcunicasi anche protagonista dei primilavori del Volta leggiamo: «1 Giugno1792. g. a piovosa di mattina e sere-na nel dopo pranzo. Dopo la lez. epassai alla casa del P. Volta dove miripeté altre due sperienze sopra larana a bagni di mercurio, e tutte con-fermarono la sua teoria delle arma-ture. 6 Giugno 1792. giornata sere-na di mattina, nuvolosa al dopopranzo e piovosa verso sera.Terminata la lez.e passai alla suacasa. Istituì una nuova sperienza.prese un pezzo di una carta bagnata,

una parte della quale fù (sic) armatacon lamina, il resto con monete d’ar-gento; indi con due archi conduttorifece il contatto de’ due punti diversidella lingua e trovò che succedeva ilmedesimo che succeduto sarebbearmando in due diversi luoghi la lin-gua indi facendo arco conduttoreecc. Laonde si vede che l’elettricitàanimale scoperta nell’estrema super-ficie dei muscoli debbasi chiamareartificiale, e non già natturale; e laragione é che la cera Spagna strofi-nata coll’argento acquista elett.àpositiva laddove strofinata con lostagno si carica negativamente adun-que l’argento é caricato in più, lo sta-

gno in meno, e per conseguenzafacendo un arco conduttore da que-sti due metalli, l’elett.à in più che stanell’ag. passerà di continuo nellostagno e dallo stagno nuovamamentenell’argento; talché il corso di code-

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Finalmente nel novembre dello stesso anno, ormai sicuro dellavalidità delle proprie ipotesi e dell’importanza della sua scoperta,pubblicò una breve nota sul Giornale Fisico-medico di Brugnatelli(Br. Giorn. 1792. T. IV. pg. 192) nella quale, tra l’altro, riferiva diun’ulteriore curiosa esperienza eseguita stimolando i nervi dellavista.99

 Alla fine del 1792, le interpretazioni di Volta erano ormai lepiù accreditate. Lo scienziato comasco ricevette per queste ricer-che la medaglia d’oro Copley dalla Royal Society di Londra.

«The PRESIDENT and COUNCIL of the ROYAL SOCIETY   adjudged, for the year 1794, the Medal on Sir GODFREY COPLEY'S Donation, to Sig. ALESSANDRO VOLTA, Professor of  Experimental Philosophy in the University of Pavia, for his severalcommunications explanatory of certain Experiments published by Professor Galvani».

Per tutto il successivo anno, Volta continuò a svolgere esperi-menti nei quali la rana svolgeva prevalentemente il ruolo di rive-latore del passaggio di corrente. Inoltre si convinse sempre più cheanche nei casi in cui le convulsioni della rane erano prodotte daun arco monometallico, le due estremità dell’arco non erano chi-micamente o fisicamente identiche e quindi l’effetto era sempredovuto al diverso comportamento dei metalli al contatto con ilconduttore umido.

Ma quale era il meccanismo attraverso il quale due metalli dif-ferenti a contatto tra di loro potevano mettere in circolo il fluidoelettrico, cioè generare una corrente elettrica attraverso la rana?

Volta propose una prima ipotesi, diversa da quella che avanzeràpiù avanti e che lo porterà alla costruzione della Pila. Per avere unflusso elettrico è necessario un circuito costituito da almeno dueconduttori metallici e una sostanza umida (la rana, la lingua).

Un metallo attira fluido elettrico dal conduttore umido, men-tre l’altro lo cede. Si determina quindi uno squilibrio tra la densitàdel fluido elettrico nei due metalli e in virtù del loro potere con-duttore, si ristabilisce l’equilibrio con il passaggio del fluidosovrabbondante dal primo al secondo (cfr. figura sotto, a sinistra).In alternativa è possibile che entrambi i metalli attirino o cedano

fluido elettrico al liquido, ma in misura diversa (cfr. figura sotto, adestra).

D AL DIBATTITO CON G ALVANI ALL’INVENZIONE DELLA PILA

sto fluido sarà perenne.” Miscellanea Mangili. In Bergomun,Bollettino della Biblioteca Civica diBergamo, Dicembre 1927, p. 16-25.99 «Sono giunto ad eccitare anche lasensazione della luce coll’istesso arti-ficio delle armature metalliche dissi-mili, con cui si eccita il sapore. Eccocome procedo: applico al bulbo del-

l’occhio l’estremità di una listerella difoglia di stagno (ottima é la carta sta-gnata, detta impropriamente cartad’argento); e pongo in bocca unamoneta od un cucchiaio d’argento;indi adduco al contatto i due capimetallici; ciò basta perchè nell’istantemedesimo, e ad ognivolta che rinno-vo un tal contatto, io abbia la sensa-zione di un chiarore, o lampo passeg-giero, più o men vivo, secondo chestan meglio applicate le due armaturemetalliche, e secondo che chiudo adovere le palpebre, o mi truovo piùall’oscuro.» [Op. I, p. 145]

 Possibili meccanismi motori generati dal contatto di duediversi metalli con unconduttore umido.

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136 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

 A RISPOSTA DEI GALVANIANI E LA PRONTA REPLICA DI  V OLTA. Nelcorso del 1794 Galvani e i sostenitori delle sue ipotesi pub-blicarono nuove esperienze che sembravano capovolgere la

situazione.100 Essi non solo furono in grado di ottenere in diversecircostanze le contrazioni della rana con un arco costituito da unsolo conduttore omogeneo, ma semplicemente mettendo diretta-

mente a contatto il nervo crurale con il muscolo della gamba.In particolare Aldini per ottenere nel modo migliore un arco

omogeneo utilizzò un bagno di mercurio purissimo nel qualeimmergeva i nervi e le zampe della rana. Galvani, dopo aver pre-parato una rana nel solito modo e fatto in modo che i nervi cru-rali fossero completamente liberi, portava «a toccare le parti late-rali della coscia o alzandoli con un corpo coibente, e poscialasciandoli cadere sopra la coscia, oppure col detto corpo spin-gendoli ad un blando contatto, ed in un punto solo, se fia possibi-le, del muscolo; sul momento del contatto vedrannosi comparire

le contrazioni in ambo le gambe.» [OG. II, p. 211].  Anche Eusebio Valli presentò delle esperienze analoghe:

«Collocata sopra un piano la rana [preparata] appoggio il pollicedella sinistra in alto sulle cosce dell’animale, e ripiego intantocon la mano destra una delle sue gambe sulla spina, formandoneuna specie di arco. Ad ogni tocco la rana scatta, salta […].Umettati i nervi e i muscoli con la saliva, ho spesso osservato chei moti inavanti deboli si facevano più risentiti o si ridestavano seerano interrotti e sospesi. […] Nel mio caso l’acqua non potevaessere sostituita con successo alla saliva.» [E. Valli, Lettera XI,

pag. VI.]Queste nuove esperienze sembravano, in effetti, non lasciare

più alcun dubbio, e molti scienziati passarono dalla parte diGalvani, come ebbe a dichiarare lo stesso Volta:

 L100 Si tratta sostanzialmente di trepubblicazioni apparse quasi contem-poraneamente: 1) Dell’uso e dell’at-tività dell’arco conduttore nelle con-trazioni dei muscoli. Dissertazioneanonima, ma universalmente attri-buibita a Galvani (aprile); 2) De ani-mali electricitate dissertazionee duaedell’Aldini (estate); 3) Lettera XI di

Eusebio Valli (ottobre).

 Lamine simili e dissimili per dimostrare le contrazioni

violente o deboli, o l’inerziadella rana preparata e posta in

contatto con esse, mentre un

 filo metallico compie il circuitoelettrico (dall’Edizione Nazionale delle Opere di Volta,

Volume I, Memoria secondasull’elettricità animale ,

14 maggio 1792).

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«[…] dopo che dalla maggior parte de’ Fisici, massime oltra-montani, erasi adottata la mia opinione, […] che riconosce bensìnelle sperienze di cui si tratta, una vera elettricità, ma elettricitàmeramente artificiale ed estrinseca, mossa cioè da conduttoriacconciamente applicati; risvegliossi di nuovo qui in Italia, e creb-be più che mai il fermento delle contrarie opinioni in occasione

che si pubblicarono nell’autunno scorso con un opuscolo del Dr.Eusebio Valli delle nuove interessanti sperienze in soccorso delprimo ormai abbandonato sistema […]; non solo, dico, parverotali sperienze favorire grandemente siffatta ipotesi, altronde bellae seducente, proposta dal prefato illustre Professor Bologneseadottata e difesa contro le forti mie obbiezioni da Aldini suo nipo-te e collega, e da altri seguaci non pochi; ma sembrarono dimo-strarla evidentemente, e porla fuori d’ogni dubbio; e sì ne impo-sero a molti, e tiraronli di nuovo agli stendardi Galvaniani quan-do già soscritto aveano, o stavano per soscrivere alla mia sentenza

affatto diversa.» [Op. I, p. 288]Ma non fu così! La creatività dello scienziato comasco e soprat-tutto la sua ferma convinzione di essere nel giusto, lo portaronoad utilizzare quelle stesse esperienze per avvalorare e generalizza-re le proprie ipotesi. «Così ho conchiuso sono già tre anni circa, ecosì sostengo ancora, torno a ripetere, a fronte delle nuove men-tovate sperienze del Dr. Valli, ed altre di simil fatta; le quali contutta l’apparenza favorevole alla teoria di Galvani, per cui furonoavidamente abbracciate da’ suoi partigiani, che ne menarono granrumore; vedremo che esaminate in tutte le loro circostanze eaggiunte, moltiplicate e variate come si conviene, comprovanoanzi evidentemente l’opinione mia, e non lasciano a quell’altra piùalcun appiglio o risorsa». [Op. I, p. 290]

Infatti, in particolare negli esperimenti del Valli era fondamen-tale la presenza di un conduttore liquido, sangue o saliva, tra ilnervo e il muscolo. Era quindi possibile che si creasse un flusso difluido elettrico anche per il contatto di due conduttori umididiversi (o di seconda specie, come li chiamerà successivamente lostesso Volta), con un conduttore liquido, in questo caso il nervo,il muscolo e la saliva o il sangue.

«Ma che? saranno anche i conduttori non metallici, i condut-tori liquidi, o contenenti in qualsisia modo umore, che chiamoconduttori di 2a classe, saranno anch'essi combinati fra loro soli,eccitatori, come lo sono i metalli conduttori di 1a classe combina-ti assieme a quelli di 2a? Godranno anche tali conduttori di 2aclasse dell’istessa virtù? Sì certo; ma in grado molto inferiore,cedendo per tal riguardo ai conduttori metallici, come cedonoloro anche rispetto a tal facoltà conduttrice. […] Esse (esperienze)mostrano soltanto, che sono io andato troppo innanzi asserendo,che non si potrebbe mai coll’applicazione di soli conduttori umidi,ossia di 2a classe, senza l’intervento cioè di alcun metallo o con-

duttore di 1a classe, eccitare le convulsioni nelle rane». [Op. I, p.297]

È la diversità de’ conduttori che è necessaria, indipendente-mente se siano essi metalli o conduttori umidi. «Ed ecco così gene-

D AL DIBATTITO CON G ALVANI ALL’INVENZIONE DELLA PILA

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138 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

ralizzato il principio, che in ogni combaciamento di conduttoridiversi nasce un’azione, che dà mossa più o meno al fluido elettri-co, tantochè ove compiasi il circolo da tre appunto quali essisieno, purchè diversi, una qualche corrente, o mediocre, o debo-le, o debolissima di esso fluido viene sempre incitata. Inerendo alquale principio, o legge generale da me scoperta, e che tutto con-

corre a stabilire, invece di restringerci a dire, come per lo passato,che il fluido elettrico è messo in corrente ogniqualvolta due con-duttori metallici diversi comunicando fra loro o immediatamenteo per altri metalli, combaciano e prendon di mezzo uno o più con-duttori umidi, ossia della 2a classe, continui; diremo semplice-mente e in generale: ogniqualvolta uno o più conduttori continuidi questa 2a classe s’interpongono a due diversi e tra loro, e colcorpo che combaciano; lasciando fuori il termine metallici, chepone una certa limitazione non troppo giusta, oppure cambiandole parole conduttori metallici diversi in conduttori diversi, massi-

me metallici, o di 1a classe; col quale massime e si conserva la pre-rogativa, che fin nelle prime Memorie ho attribuita a tali condut-tori di 1a classe, di essere cioè eccitatori, o motori che dir sivoglia, per eccellenza.» [Op. I, p. 300].

Con questa nuova ipotesi veniva spiegata anche l’esistenza dicontrazioni in presenza di un solo metallo, purché nel punto dicontatto con la rana fosse presente un altro conduttore di secon-da classe, come molte esperienze avevano mostrato.101

Fin qui però Volta, pur essendo riuscito a reinterpretare in suofavore tutte le esperienze dei Galvaniani, non aveva prodotto

nuovi elementi, né si era potuto staccare dalla necessità di assu-mere un corpo organico (rana, lingua) come rilevatore delle pic-colissime correnti elettriche messe in gioco dall'ipotizzato contat-to eterogeneo tra conduttori. La situazione era quindi di indecidi-bilità tra le due ipotesi. Come dichiarò chiaramente lo stessoGalvani: «Egli [Volta] vuole questa elettricità la stessa che quellacomune a tutti i corpi; io, particolare e propria dell’animale: eglipone la causa dello sbilancio negli artifizi che si adoprano, e segna-tamente nella differenza dei metalli; io, nella macchina animale:egli stabilisce tal causa accidentale ed estrinseca; io, naturale edinterna: egli in somma tutto attribuisce ai metalli, nulla all’anima-

le; io, tutto a questo, nulla a quelli, ove si consideri il solo sbilan-cio.» [OG. p. 429]

 A TENSIONE DI CONTATTO. Nel 1796 Volta riuscì a superarein gran parte le varie difficoltà, modificando la propria teo-ria sull’origine della forza elettromotrice prodotta dall’ar-

co bimetallico102 e dimostrando, con mezzi fisici, la presenza diuna tensione elettrica direttamente al contatto dei due metalli ete-rogenei tra di loro. «Egli nasce dunque dal contatto mutuo del-l’argento per esempio collo stagno una forza per cui il primo dà

del fluido elettrico, il secondo lo riceve, l’argento tende a versar-ne, e ne versa nello stagno, ecc. Questa forza o tendenza produce,se il circolo è altronde compìto per mezzo di conduttori umidi,una corrente che va giusta la direzione sopra indicata dall’argento

 L

101 In uno scritto del 1796 Voltariporterà a questo riguarda una espe-rienza senz’altro curiosa. «Riempiteuna tazza di stagno con acqua disapone, con latte di calce, o megliocon una lisciva discretamente forte,indi avendo impugnata codesta tazzacon una od ambedue le mani umet-tate d’acqua semplice, intingete l’a-

pice della lingua nel liquore: vi faràsorpresa l’inaspettata sensazione,che proverà la vostra lingua di unsapore acido al contatto del liquorealcalino». [Op. I, p. 395]102 È difficile dire quando Volta abbiamodificato la propria interpretazio-ne sull’origine della forza motrice. Inuna lettera del 1801 a uno scienziatofrancese (Monge?) nella quale vieneriportata parte della lettera a Banksdel marzo 1800, in una lunga intro-duzione storica in nota, si legge:«Egli fu verso la metà dell’anno1796, che giunsi ad ottenere codestisegni [sensibili all’elettrometro],mercé il semplice mutuo contattoprimieramente di metalli diversi traloro.» [Op. II, p. 32n ]. Volta neparlò la prima volta nella secondalettera a Green scritta nell’Agosto (ilgiorno non è specificato), mentrenella prima lettera, sempre a Green,del 1 Agosto presentava ancora leclassiche esperienze, ignorando ilruolo del contatto metallo-metallo.Inoltre è probabile che fosse venutoin possesso del Duplicatore diNicholson solo verso la metà di Agosto. Infatti da una lettera del suotecnico, l’Abate Re, del 14 luglio siapprende: «Secondo l’intelligenzaella è stata servita d’entro un mese

circa della nuova macchinetta delDuplicatore Elettrico a molinello;ella è costrutta, e credo sarà a suopiacimento, ma non ho mai in questitempi ritrovata occasione di farcelaavere.» [Ep. III, p. 293]. E Volta, chesi trovava a Como, in quantol’Università era stata chiusa alla finedi aprile per gli eventi bellici, fece unviaggio a Pavia solo: «avanti la metàdi Agosto […] per vedere come equanto fossero stati danneggiati imobili, panni, libri ec., lasciati nelsuo appartamento». [Ep. III, p. 321]

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allo stagno, e da questa per la via del conduttore o conduttoriumidi ritorna all’argento per ripassare nello stagno ecc.:b se il cir-colo non è compìto, se i metalli trovansi isolati, una accumulazio-ne di detto fluido elettrico nello stagno a spese dell’argento; unaelettricità cioè positiva, ossia in più nel primo, ed una negativa,ossia in meno nel secondo; una elettricità picciola è vero, e al di

sotto di quel grado che richiederebbesi per dare segno ai comunielettrometri; ma che pure sono giunto finalmente a rendere, piùche non avrei sperato, sensibile.» [Op. I, p. 419]

Il problema non era quindi solo dinamico, per cui erano neces-sari strumenti in grado di rivelare una corrente elettrica (che ilquel momento erano solo di tipo organico) ma anche statico. Latensione che si genera al contatto dei due metalli può essere allo-ra messa in evidenza mediante un tradizionale elettroscopio, pur-ché estremamente sensibile. E Volta possedeva questo strumento,il suo elettroscopio condensatore. In questo modo egli poté met-

tere in evidenza la debole tensione statica che si genera al contat-to di due metalli eterogenei.

L’ultima versione di questi esperimenti, è la seguente. «Presidue piattelli metallici103 di materiale diverso e dotati di manico iso-lante, si pongono in contatto tra di loro. Separatili, si porta uno diessi in contatto con il disco inferiore dell’elettroscopio condensa-tore, mentre quello superiore rimane appoggiato sopra, ed èmesso a terra mediante un filo metallico. Distaccato il piattello ealzato il piatto del condensatore, le foglioline dell’elettroscopiodivergono rivelando l’esistenza di una carica elettrica, di cui è pos-

sibile anche stabilirne il segno». [Op., Vol. I, p.561]Volta poté così concludere: «Ecco in che consiste tutto il secre-to, tutta la magia del Galvanismo. Ella è semplicemente un’elettri-cità artificiale, che vi giuoca mossa dai contatti di conduttoridiversi.[…] Né tale virtù compete ai soli metalli, o conduttori diprima classe, come avrebbe forse potuto credersi, ma a tutti gene-ralmente, più o meno secondo la varia lor natura e bontà. Attenetevi a questi principi e voi spiegherete chiaramente tutte leesperienze fatte fin qui; senza dover ricorrere ad alcun altro prin-cipio immaginario d’una elettricità animale propria e attiva degliorgani.» [Op. I, p. 413]

Lo studio della tensione di contatto tra due o più metalli tra lorocollegati in circolo condusse Volta a scoprire quella che oggi noichiamiamo seconda legge dell’effetto Volta. Questa legge fu enun-

D AL DIBATTITO CON G ALVANI ALL’INVENZIONE DELLA PILA

b «Conformi intieramente a ciò sonoi seguenti versi di un mio collega eamico (a cui io avea mostrate e spie-gate le allora novissime sperienze delGalvanismo) in un elegantissimo suoPoemetto. Chiude egli dunque cosìla bella e vivace pittura che ne fa: “Equindi in preda a lo stupor ti parve /Chiaro veder quella virtù, che cieca /

Passa per interposti umidi tratti /Dalvile stagno al ricco argento, e torna /Da questo a quello con perennegiro” (Mascheroni. Invito a LesbiaCidonia, Milano, 1793).» Nota dellostesso Volta. Mascheroni, comerisulta dal già citato diario Mangili,partecipava spesso agli esperimentidi Volta, ma è curioso il fatto chequesti versi furono scritti quandoancora Volta pensava che la correnteelettrica si generasse nel contatto deisingoli metalli con il conduttoreumido, cioè la rana (cfr. la relazionedi A. Gigli Berzolari a p. 19 di questovolume).103 Volta utilizzò per la prima voltadei piattelli metallici, invece delleusuali verghe con le quali realizzavail contatto bimetallico, nella stessalettera al Green nella quale presenta-va la sua nuova teoria della tensionedi contatto: «Abbiansi delle lastre opiattelli di diversi metalli d’argento,d’ottone, di ferro, di piombo, di sta-gno, di zinco, ec. del diametro di 3pollici circa. Non è di gran vantaggioche sieno più grandi; ma sarebbetroppo svantaggioso se fosseromolto più piccioli. Questi piattellidebbono potersi montare sopra piedio colonnette isolanti.» [Op. I, p.423].

Tensione di contatto tra duemetalli: a) circuito chiuso; b)circuito aperto.

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140 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

ciata per la prima volta nel novembre 1801, in occasione della pre-sentazione della Pila all’Institut de France. Essa è presentata comeuna necessaria conseguenza della proprietà che hanno i metalli dipoter essere ordinati secondo la loro virtù di spingere o tirare il flui-do elettrico. «[…] Posto a immediato contatto qualsivoglia metallocon qualunque altro, la forza, con cui viene spinto il fluido elettri-

co, agguaglia esattamente la somma delle forze dei metalli inter-medj ossia compresi nell’indicata serie, o scala graduata fra quelloe questo, cosicché sianvi o non sianvi tali metalli intermedj nell’ap-parato da noi composto, si frappongano tutti ai due che ne forma-no gl’estremi, o alcuno solamente vi entri di mezzo, e in qualsisiaordine o serie, gli è come non se ne frapponesse nessuno, e la forzaelettrica, che risulta, è sempre la medesima, né minore cioè, némaggiore di quella che si dispiega, ove vengano a contatto imme-diato il primo e l’ultimo.» [Op. II, p. 61]

  LI ULTIMI ESPERIMENTI DI  G ALVANI . Ancora una voltaGalvani non si dette per vinto. In quello stesso anno scris-se cinque Memorie sull’elettricità animale indirizzate allo

Spallanzani, da sempre sostenitore delle sue teorie e, negli ultimianni critico severo, e spesso anche maldicente, di Volta. In queste Memorie, dopo aver cercato un possibile compromesso, avanzan-do l’ipotesi della presenza di due distinte elettricità una animale euna comune, che si potevano manifestare congiuntamente o sepa-ratamente nei vari esperimenti, presentò nuovi esperimenti con iquali riuscì a ottenere contrazioni nelle due gambe completamen-

te separate di una rana facendo toccare tra di loro i relativi nervi(cfr. figure a p. 132 e p. 133).104

104 Un particolare di questo esperi-mento, non sufficientemente eviden-ziato, consisteva nel fatto che le con-trazioni, non sempre presenti, si pre-sentavano invece sempre e con par-ticolare forza quando uno dei con-tatti avveniva con l’estremo recisodel nervo. Ritorneremo su questoparticolare, quando parleremo, sia

pure brevemente, degli esperimentidi Matteucci del 1839 (§ 4.1), chediedero inizio all’elettrofisiologia,anche se Du Bois-Reymond (1848)vide in quest’ultimo esperimento diGalvani l’esperimento capitale del-l’elettrofisiologia.

G In questa pagina: Parte dellaMemoria seconda sull’elettricità

animale , 14 maggio 1792.Schizzi di strumenti utilizzati

nelle esperienze con le rane(Cart. volt. K 13_, Istituto

 Lombardo). A fronte: Descrizione della “solita

maniera” con cui Galvani

 preparava le rane (Autografo di Luigi Galvani).

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«Or quale eterogeneità potrà qui richiamarsi in aiuto delleinsorte contrazioni allorché i soli nervi vengono a contatto? Siricorrerà forse allo stimolo che soffrono i nervi nella caduta del-l’uno sull’altro. Ma perché percuotendo uno de’ medesimi nervisopra un arco assai più duro e aspro fatto di materia coibente, nonsi ottengono le contrazioni? […]. Sembrami pertanto che si possa

stabilire, che avvi una serie di contrazioni che si ottengono senzastimolo, senza metallo, e senza il minimo sospetto di eterogeneità,e prodotte dunque da un circolo di elettricità intrinseca all’anima-le e naturalmente sbilanciata». [OG, p. 439]105

Saranno questi gli ultimi scritti di Galvani, giacché egli moriràl'anno successivo.106 Ma anche per Volta la situazione non si pre-senterà tranquilla. All’inizio del 1799, con il ritorno degli austria-ci in Lombardia, l’Università verrà chiusa e tutti i docenti dimes-si; Volta si rifugerà a Como, dove con i pochi mezzi a sua disposi-zione,107 verso la fine dello stesso anno, realizzerà la Pila.

 A REALIZZAZIONE DELLA PILA. Mentre dagli scritti e dalle let-tere anteriori al 1797, è stato possibile ricostruire, comeabbiamo visto, tutto lo sviluppo del pensiero scientifico di

Volta dal 1792 al ‘97, ci mancano invece informazioni precise sucome egli sia arrivato tra il ’78 e il ’79 a rendere «più cospicui glieffetti elettrometrici» delle singole coppie di metalli eterogenei,riuscendo a sommarli tra di loro. Tutti i richiami alla realizzazio-ne della Pila sono sempre vaghi e sfuggevoli.

Un primo accenno si trova nell’introduzione storica dello scrit-

to del maggio 1801, già citato; dopo aver a lungo richiamato e

D AL DIBATTITO CON G ALVANI ALL’INVENZIONE DELLA PILA

105 La reazione di Volta fu particolar-mente pesante. Senza entrare nelmerito scientifico dell’esperimento,accusò Galvani di non aver letto isuoi ultimi lavori: «Son persuaso,che Galvani ignorava tali sperienzeaffatto decisive, quando pubblicò lasua ultima Opera poco dopo la metà,dello stesso anno 1797: né io voglio

fargli carico di questo. Ma ignoravaegli ancora ciò che il Volta avevaesposto, e lungamente ragionatonella sua 3.a Lettera all’Ab. Vassalli,pubblicata nell’istesso GiornalePavese al principio del 1796. Pareveramente, che lo ignorasse,[…]» Econfessava che lo aveva molto sor-preso «e quasi scandalizzato la sicu-rezza con cui Galvani, a fronte ditutto ciò, sostiene ancora la suaprima opinione affatto inconciliabi-le, […] Or, questo negare ai metalliqualsisia virtù o potere di sbilanciareil fluido elettrico, è ciò che mi haferito, contraddicendo, non solo atanti argomenti e prove moltiplicatesul soggetto del Galvanismo, ma afatti ben anche, e sperienze dirette,indipendentemente dal Galva-nismo.» [Op. I.p.530]106 «Scosso da penosi travagli moralie fisici, sopraggiunti negli ultimi annidi vita, il 4 dicembre 1798 si spegne-va [Luigi Galvani], lacrimato e rim-pianto da tutti; da tutti lodato per lasua dottrina, per la sua integritàmorale; da tutti ammirato per la fedecristiana che lo aveva sorretto finoalla morte.» G. Polvani, op. cit.,p.339107 Non deve meravigliare il fatto cheVolta abbia potuto realizzare la Pila

 L

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142 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

descritto le misure effettuate a partire dal 1796 con l’elettroscopiocondensatore sulla tensione di contatto tra metalli diversi, conclu-deva: «Due anni dopo, cioè nel 1798, ritornai ancora sopra que-ste sperienze, ch’io avea mostrato in quell’intervallo di tempo a ungran numero di persone curiose di tali cose. […] il successo di que-ste sperienze era già più che soddisfacente e in certo modo com-

pito; pure io sperava sempre di andare più lungi moltiplicandole,e variandole in molte maniere; come infatti pervenni verso la finedel 1799 a dei risultati se non più decisivi, che già lo erano abba-stanza i primi, più sorprendenti, certo, e molto più istruttivi, sottovari rapporti; e a quelli fra gli altri, che fanno il soggetto del pre-sente scritto [relativo alla costruzione e al funzionamento dellaPila].» [Op II, p. 32n]

Qualche particolare in più si trova in una Memoria, pubblicatanel 1814 da Piero Configliacchi, suo successore sulla cattedra diFisica, ma probabilmente scritta dallo stesso Volta in terza perso-

na tra il 1803 e il 1806:108

«Ma non contento [egli] pensò ai mezzidi accrescere realmente la forza od intensità della sua elettricitàmetallica […] in guisa di poter far dare all’elettrometro de’ segniben marcati a dirittura, senza punto aver bisogno di Condensatore[…], e se fosse possibile, di ottenere anche la scintilla, delle com-mozioni nella braccia, ec.; e rinvenne alfine sul cadere dell’anno1799 quell’artifizio, il quale non che appagare, superò di molto lasua aspettazione. Ognuno già comprende essere questo il nuovosuo apparato Galvanico, o a dir più giusto, elettrico, che ha fattotanto rumore in tutta l’Europa ed occupa anche in oggi un grannumero di Fisici di Chimici, e di Medici.

«Era evidente, che nulla avrebbe potuto ottenere costruendo talapparato di soli metalli, sovrapponendo es. gr. ad una lamina diargento una di zinco, a questa una seconda d’argento poi unaseconda di zinco e così di seguito; attesoché le forze con cui l’ar-gento spinge il fluido elettrico nello zinco, si controbilancerebbe-ro, l’argento inferiore spingendo di giù in su verso lo zinco, ed ilsuperiore di su in giù verso il medesimo, ed egualmente. […] Erapertanto la cosa in certo modo disperata, e passò qualche annoprima ch’ei trovasse alcuno espediente. Quando alla fine gli sug-gerì quello, che è forse l’unico, d’interpolare cioè le coppie di

metalli ben assortiti e farle comunicare l’una all’altra, per mezzodi uno strato umido, ossia conduttore di seconda classe ponendov. gr. argento, zinco, e strato umido; poi di nuovo argento, zinco,e strato umido; e così di seguito per quella serie che piacesse; a ciòlo determinò il riflettere, che l’azione de’ conduttori umidi coimetalli, che combaciano, essendo comunemente piccolissima,come avea trovato, sarebbe stata ben lungi dal poter controbilan-ciare quella de’ detti metalli tra loro; e poco o nulla l’avrebbe alte-rata, sia rinforzandola, sia indebolendola.» [Op. II, p. 225]

È possibile che l’idea di sovrapporre le singole coppie di dischi

metallici, in particolare di rame e di zinco, intervallandole conuno strato di cartone inumidito con acqua salata o acidulata, glisia stata suggerita dalla lettura di alcuni studi sulla struttura ana-tomica dell’organo elettrico della torpedine.109

nella propria abitazione di Como. Anche a Pavia, Volta aveva svolta lamassima parte delle ricerche sull’e-lettricità animale nella sua abitazio-ne. Inoltre la costruzione di una pilaè tecnicamente molto semplice. Valea questo proposito quanto scrisseBozzi Granville nella già citata auto-biografia, riferendosi a quello che

successe non appena Volta presentòa lezione la sua Pila.«Immediatamente, il primo giorno divacanza, gli studenti che avevano piùdisponibilità degli altri si diedero dafare a procurarsi da casa un certonumero di soldi, che furono accura-tamente lavati, ed un ugual numerodi lire. Successivamente essi tagliaro-no dalle loro tele di lino dei pezzirotondi, della dimensione dellemonete, che vennero imbevuti disale ed acqua, e così vennero costrui-te delle pile voltaiche, per produrre estudiare i fenomeni visti, imitando intale contesto l’esempio del nostroprofessore.»108 La storia di questo lavoro è singo-lare: «Il Volta infatti stese questovoluminoso fascicolo per un concor-so di 90 zecchini bandito il 1° luglio1805 dalla Società italiana delleScienze che allor fioriva a Modena econtava 40 membri: il quesito pro-posto era: Esporre con chiarezza,con dignità e senza offesa di alcuno,la questione sul Galvanismo fra gliegregi nostri soci sig. Giovanni  Aldini e sig. Alessandro Volta. Lememorie presentate furono tre:quella segnata col n. II coll’epigrafe:non plures admittendae sunt caussaequam quae verae sunt, et phaenome-

nis explicandis sufficiunt. Newton: èla nostra in discorso: fu consegnatadal Volta al dott. Baronio suo scola-ro e amico: perchè questi siccomeopera sua la inoltrasse pel concorso.Il Baronio inoltrò la copia col pro-prio nome nella busta chiusa allaSocietà di Modena […]. Ritornata lamemoria al Baronio passò nelle manidel Configliachi, che la pubblicò.[…]alla morte del Baronio facendosibello, se non della memoria, certodelle note che esse pure sono in granparte del Volta stesso.» (AlessandroVolta jr., La Storia e la TeoriaVoltiana nelle odierne pubblicazioni.Milano, 1892).109 Come lo stesso Volta precisava inun successivo lavoro in terza perso-na: «Giova qui richiamare che gliorgani elettrici della Torpedine con-sistono in un aggregato di molti pri-smetti, o canali membranosi, in cia-scuno de’ quali trovasi una serienumerosa di piccoli diaframmi, opellicole applicate, e sovrapposte leune alle altre; come appunto le lami-nette, o dischi metallici negli appara-ti a colonna del nostro VOLTA. Ladifferenza è in ciò solo che quellelaminette non sono metalliche comequeste. Ma se anche i conduttoriumidi, o di 2. classe, sono motori di

elettricità, come esso VOLTA haprovato, sebben debolissimi in gene-rale; e se poi fralle sostanze animalive ne possono essere di abbastanzaattivi, come egli presume, una taldifferenza non distruggerà il paralle-lo.» [Op. II, p. 226n]

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143

Questa tesi, avvalorata dalle parole stesse di Volta, che nell’au-tunno del 1800, in una lettera a Brugnatelli, ribadendo quanto giàaffermato nella comunicazione del 20 marzo alla Royal Society diLondra, scriveva «[il] mio nuovo apparato, che chiamo Organoelettrico artificiale per essere fondato sopra i medesimi principj, esimile anche nella forma, secondo la sua prima costruzione,

all’Organo naturale della torpedine» [Op. II, p. 2], trova un ulte-riore conferma nella epigrafe apparsa nella già citata opera diVolta, edita a cura di Pietro Configliacchi nel 1814, ancora viven-te Volta, e successivamente riportata sotto il busto dello scienzia-to, posto nell’aula Volta dell’Università di Pavia

 ALEXANDER VOLTA, IN RE ELECTRICA PRINCEPSVIM RAIAE TORPEDINIS MEDITATUS NATURAE INTERPRES ET AEMULUS

La realizzazione della Pila avvenne, come abbiamo già visto,verso la fine del 1799 e Volta ne diede notizia mediante una lette-

ra inviata, sempre da Como, il 20 marzo 1800 a Sir Joseph Bank,Presidente della Royal Society.110

Questa lettera non è, senza dubbio, uno degli scritti miglioridello scienziato. Come egli stesso ebbe a scrivere, si trattava di“uno scritto […] composto di varj frammenti accozzati senz’ordi-ne, e che lasciava delle lacune, tolti da un “Mémoire beaucoup plusétendu” che non avevo ancora potuto finire» [Op, I, p. 587],«scritto come ho potuto in una lingua, che non è la mia, cioè laFrancese, per essere questa meglio intesa dagli esteri chel’Italiana.» [Op. II, p. 15] .

D AL DIBATTITO CON G ALVANI ALL’INVENZIONE DELLA PILA

 Razza comune e marmorizzata,torpedine o pesce elettrico (da R. Lydekker, The Royal NaturalHistory , Londra 1896, Vol. V).Sotto: Organo elettrico dellatorpedine (da una tavola di John Hunter) e un esempio di pilabiologica (da Claude Bernard).

110 On the electricity excited by themere contact of conducting substan-ces of different kinds in a letter frommr. Alexander Volta f. r. s. professor of natural philosophy in theUniversity of Pavia, to the rt. hon. sir  Joseph Banks bart. k. b. p. r. s. La let-tera, scritta in francese, venne letta il26 giugno del 1800 e pubblicata

nella versione originale con il solotitolo in inglese in Phil. Trans. 1800,part I, p. 403. (Op. I, p. 562-582).Una traduzione inglese venne succes-sivamente pubblicata nel Phil. Mag.Vol 7, 1880, p.289. La traduzioneitaliana che si utilizza in questo arti-colo è tratta dal volume A. Volta: Onthe electricity excited by the merecontact of conducting substances of different kind  (Hoepli ed., 1999, p.79), dove, oltre al testo originale ealla traduzione italiana è riportataanche la traduzione inglese del 1880e una traduzione in tedesco del 1899(cfr. più avanti).

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144 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

Probabilmente la necessità di rendere pubblica la nuova inven-zione il più presto possibile, lo convinse a inviare un primo scrit-to, ripromettendosi una successiva memoria organica che perònon apparve mai.

Lo scritto, dopo un breve cenno all’elettricità generata dal con-tatto di metalli eterogenei, presenta una prima sommaria descri-zione del nuovo apparato, che per gli effetti da esso prodotti, puòessere paragonato ad una bottiglia di Leida debolmente carica.

«[…] l'apparecchio di cui vi parlo, e che vi meraviglierà senzadubbio, non è che l'accozzamento di un numero di buoni condut-tori di differente specie, disposti in un certo modo; 30, 40, 60pezzi, o più, di rame, o meglio d'argento, applicati ciascuno ad unpezzo di stagno, o, il che è molto meglio, di zinco, e un numerouguale di strati d'acqua, o di qualche altro umore che sia migliorconduttore dell'acqua semplice, come l'acqua salata, la lisciva,ecc., o dei pezzi di cartone, di pelle ecc., bene imbevuti di questi

umori: questi strati interposti a ogni coppia o combinazione deidue metalli differenti, una tale successione alternata, e sempre nelmedesimo ordine, di queste tre specie di conduttori, ecco tutto ciòche costituisce il mio nuovo strumento; che imita, come ho detto,gli effetti delle bottiglie di Leida, o delle batterie elettriche, pro-curando le medesime commozioni di queste; esso in verità, rima-ne molto al di sotto delle attività delle dette batterie caricate ad unalto livello, quanto alla forza e rumore delle esplosioni, alla scin-

 Esemplari di Pila (SalaCasartelli, o “dei Nobel”,

 Istituto Carducci, Como). Sotto:

minuta della lettera di Volta a Joseph Banks (Istituto Lombardo) e due esemplari di

 Pile ottocentesche, di cui la seconda con custodia da viaggio

(Tempio Voltiano, Como).

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tilla, alla distanza alla quale può effettuarsi la scarica, ecc., egua-gliando solamente gli effetti di una batteria caricata a un gradoassai debole, una batteria che tuttavia ha una capacità immensa;ma d'altronde sorpassa infinitamente la virtù e il potere di questemedesime batterie, nel fatto che non ha bisogno, come quelle,[405] di essere caricato prima, per mezzo di una elettricità estra-

nea, e nel fatto che è capace di dare la commozione tutte le volteche lo si tocchi convenientemente, qualunque sia la frequenza diquesti toccamenti.» [p. 565]111

È questa la grande novità e potenzialità del nuovo apparato: lapossibilità, cioè, di erogare con continuità una corrente elettrica.Infatti gli apparecchi esistenti erano in grado di fornire scaricheelettriche, anche molto più intense, ma dovevano essere ogni voltaricaricati. E prosegue dando al suo dispositivo un primo nome.

«Quest’apparecchio, simile nella sostanza, come farò vedere, eproprio come l’ho costruito, pure nella forma, all’organo elettrico

naturale della torpedine, dell’anguilla tremante, ecc. assai più chealla bottiglia di Leida e alle batterie elettriche conosciute, questoapparecchio, dico, vorrei chiamarlo Organo elettrico artificiale. Ein verità non è esso, come quello, composto unicamente da corpiconduttori? non è esso, del resto, attivo di per se stesso, senza alcu-na carica precedente? Senza il soccorso d'una qualunque elettricitàeccitata da alcuno dei mezzi conosciuti finora; in azione incessan-te e senza tregua; capace infine di dare ad ogni momento commo-

D AL DIBATTITO CON G ALVANI ALL’INVENZIONE DELLA PILA

Schizzo schematico della Pila acorona di tazze nella lettera a

 Marsilio Landriani, post marzo1801 (Autografo di Volta, Cart.volt. J78 verso, Istituto Lombardo) ed esemplare di Pila a corona di tazze (TempioVoltiano, Como).

111 Le citazioni si riferiscono al testooriginale in francese, riportato nelvolume Op. I

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146 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

zioni più o meno forti, secondo le circostanze, commozioni cheraddoppiano a ogni contatto, e che, ripetute così con frequenza, ocontinuate per un certo tempo, producono lo stesso intirizzimentodelle membra che fa provare la torpedine, ecc.?» [p. 566]

Segue una descrizione più dettagliata e particolareggiata sulmodo di procedere per costruire il nuovo apparato e si passaquindi a parlare degli effetti che si possono ottenere da un appa-recchio così costruito, «ancora troppo piccolo per dei grandi effet-ti.» Si tratta prevalentemente di effetti di tipo fisiologico, qualipizzicore o commozione nelle articolazione, anche se mediante uncondensatore è possibile «ottenere una scintilla o dei segni ad unelettrometro.» In tutti i casi sono necessarie molte precauzioneaffinché i contatti siano i migliori possibili. Tuttavia se invece diun solo apparato se ne utilizzano due o tre, tra loro collegati inserie, gli effetti ottenibili possono «eguagliare e sorpassare ancoraquelli della torpedine e dell’anguilla tremante.»

Si ritorna brevemente sulla costruzione dell’apparato, propo-nendo questa volta di chiamarlo, sulla base della sua forma, appa-recchio a colonna (appareil à colonne). Viene quindi descritta unaseconda possibile disposizione, che viene chiamata a corona ditazze (couronne de tasses).112

La descrizione di una serie di esperimenti, non meno istrutti-vi che divertenti, condotti con quest’ultima disposizione permisea Volta di spiegare come potrebbero operare, nell’acqua, i pescielettrici. In un bacino pieno di acqua, nel quale sono immersi duefascette metalliche in contatto con i poli della Pila, si introduco-

no due dita, una per ciascuna mano in contatto o molto vicino aipoli della pila. «Ora si potrà essere sorpresi, che in questo cer-chio la corrente elettrica, avendo il suo passaggio libero attra-verso una massa d’acqua non interrotta, in quest’acqua che riem-pie il catino, abbandoni questo buon conduttore per gettarsi, eproseguire il suo corso, attraverso il corpo della persona chetiene le sue mani immerse in questa stessa acqua, facendo così unpiù lungo tragitto. Ma la sorpresa cesserà, se si riflette, che lesostanze animali vive e calde, e soprattutto i loro umori, sono ingenerale conduttori migliori dell’acqua. Dunque il corpo dellapersona che tuffa le mani nell'acqua, offrendo un passaggio più

facile che non quest’acqua al torrente elettrico, questi deve pre-ferirlo, per quanto un po’ più lungo. Del resto siccome il fluidoelettrico, allorché deve attraversare in massa dei conduttori chenon sono perfetti, e segnatamente dei conduttori umidi, preferi-sce estendersi in un canale più largo, o ripartirsi in molteplici, eprendere addirittura delle vie traverse, trovandovi meno resi-stenza che a seguire un solo canale, benché più corto, fa al casonostro che una parte del torrente elettrico la quale, discostando-si dall’acqua, prende questa nuova via della persona, e la per-corre da un braccio all’altro: un’altra parte più o meno grande

passa attraverso l'acqua del catino. Ecco la ragione per cui lascossa che si prova è molto più debole di quando la corrente nonè ripartita, quando la persona fa da sola la comunicazione da unarco all'altro, ecc.» [p. 573]113

112 In uno scritto successivo riferirà diaver ideato anche un terzo tipo diapparato: «Vi farò dunque solamentecenno di una terza forma che imma-ginai ed eseguij dopo l’apparato aColonna e prima di quello a bicchie-ri; ed è di molte picciole coppe dirame stagnate di dentro con stagna-tura di rame e zinco a dosi presso a

poco eguali. [Op. II, p. 22] E ancora Alcuni Inglesi invece dell’apparato acorona di tazze ne usano un altronon molto diverso, che chiamanoTrog-Apparat, e che consiste in unavaschetta quadrilunga di legno into-nicato di mastice divisa in una seriedi celle da lamine metalliche doppie,aventi cioè l’una faccia d’argento, orame, l’altra di zinco, riempiendopoi tali celle d’acqua salata, ec.Questa costruzione imita anch’essaassai bene gli organi elettrici dellaTorpedine, se, come possiamo crede-re, la serie numerosa di pellicoletenute in que’ canaletti membranosi,che compongono tali organi, non sitoccano fra loro, ma lasciando qual-che interstizio fra l’una e l’altra for-mano altrettante cellette ripieneall’uopo di umore qualsiasi.» [Op. II,p. 227]113 E’ interessante notare come Volta,avendo realizzato per la prima voltaun circuito elettrico con due condut-tori in parallelo, abbia intuito leleggi della corrente elettrica.

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Si passa quindi a presentare gli effetti fisiologici che l’apparato,che adesso viene chiamato apparecchio elettro-motore («bisognadare dei nuovi nomi agli apparecchi nuovi, non solo per la forma,ma anche per gli effetti o per il principio da cui essi dipendono»),provoca sugli organi del gusto, della vista, dell’udito e del tatto. Inquesta parte della lettera, fin troppo dettagliata e in alcuni casi

anche prolissa, si deve notare l’insistenza con cui Volta parla delcarattere continuo della corrente elettrica prodotta dalla Pila.«Questa circolazione senza fine del fluido elettrico (questo moto perpetuo)114 può parere un paradosso, può essere inesplicabile: maessa non è peraltro meno vera e reale, e si tocca per così dire conmano.» [p. 576]

La lettera finisce con la presentazione dell’ipotetica strutturaanatomica e funzionale dell’organo elettrico della torpedine. Inquesta trattazione Volta richiama i lavori di William Nicholson(1753-1816) sull’origine dell’elettricità delle torpedine, le cui ipo-

tesi ritiene ormai sorpassate, alla luce delle nuove scoperte. «Così,dunque, questo organo formato unicamente da sostanze condut-trici, non può essere paragonato né all'elettroforo o condensatore,né alla bottiglia di Leida, né a una qualunque macchina eccitabile,sia per sfregamento, sia per qualche altro mezzo capace di elet-trizzare dei corpi isolanti, che si sono sempre creduti, prima dellemie scoperte, i soli originariamente elettrici.» [p. 582]

Nessun richiamo quindi in tutta la lettera al funzionamentofisico dell’apparato. Sembra che Volta abbia voluto limitarsi a pre-sentare il suo apparato, in grado di produrre una corrente conti-

nua e perpetua, e servirsene subito per negare l’esistenza di ognipossibile corrente elettrica di origine animale; infatti, anche quel-la generata dai pesci elettrici è prodotta da una pila biologica,interna all’animale, costruita attraverso il contatto di conduttoriorganici di seconda specie, separati da un umore liquido. «A qualelettricità dunque, a quale strumento deve essere paragonato que-sto organo della torpedine, dell'anguilla tremante ecc.? A quelloche io ho costruito, secondo il nuovo principio di elettricità cheho scoperto qualche anno fa, e che le mie esperienze successive,soprattutto quelle che mi occupano presentemente, hanno cosìbene confermato, ossia che i conduttori sono, in certi casi, anche

motori di elettricità, nel caso di mutuo contatto tra essi, di diffe-rente specie ecc.; a questo apparecchio, che io ho chiamatoOrgano elettrico artificiale e che, essendo in fondo la stessa cosadell'organo naturale della torpedine, gli rassomiglia anche per laforma, come ho già esposto.»

D AL DIBATTITO CON G ALVANI ALL’INVENZIONE DELLA PILA

114 Se l’origine della corrente elettricaè dovuta alla differenza di potenzialeche si genera al contatto dei duemetalli, come Volta credeva e conti-nuerà a credere, essa dovrebbe conti-nuare a circolare, anche se ciò porte-rebbe all’assurdo di un moto perpe-tuo. In una lettera della primaverasuccessiva ribadirà: «codesto mio

  Apparato, che dimostra con effetticotanto manifesti di scosse ripetutesenza fine e quanto si voglia frequen-ti, di pungimento e bruciore sullapelle, ecc., l’elettricità eccitata dalsemplice mutuo contatto di condut-tori diversi, specialmente metallici, emossa incessantemente, ove continui-no tali contatti.» [Op. II, p. 15]

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148 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

 NTRODUZIONE. Il successo del nuovo strumento fu ovviamen-te strepitoso. Napoleone, membro dell’Institut de France,dopo aver assistito personalmente, nel 1801, alla presenta-

zione da parte di Volta delle sue esperienze, volle solennementepremiarlo con la medaglia d’oro dell’Istituto, nonostante qualcheperplessità degli scienziati francesi sull’interpretazione voltianadel funzionamento della Pila.

Già nel maggio 1800, ancor prima che la lettera del 20 marzovenisse letta e data alle stampe (26 giugno), in InghilterraNicholson115 scopriva l’elettrolisi dell’acqua con una pila costruitautilizzando, per la fretta, mezze corone d’argento. È l’inizio dellamoderna elettrochimica; in pochi anni, grazie all’elettrolisi, ven-nero scoperti un gran numero di nuovi elementi.

Nel 1819 Hans Christian Oersted (1777-1851), osservandoche la corrente elettrica fornita dalla pila è in grado di produrreazioni magnetiche, gettò le basi per la nascita dell’elettrodinamicae dodici anni dopo Michael Faraday (1791-1867), con la scoper-ta dell’induzione elettromagnetica, realizzò l’unificazione di elet-tricità e magnetismo nella nuova branca dell’elettromagnetismo,che troverà successivamente la sua completa formalizzazione adopera di James Clerk Maxwell (1831-1879).

L’ ATTIVITÀ SCIENTIFICA DOPO LA PILA

 Non plures admittendae sunt causae quam quae verae sunt,et phaenomenis explicandis sufficiunt. (Newton)*

 I 

 Minuta di un articolo sull’elettrolisi dell’acqua con

 schizzo del dispositivo utilizzato(Autografo di Volta, Cart. volt.

 J85, Istituto Lombardo).

* Si tratta anche del motto utilizzatodal Volta per individuare la già citatamemoria presentata nel 1805all’Accademia delle Scienze diModena tramite il Baronio (vedinota 108)

115 In effetti Nicholson era statoinformato della realizzazione dellaPila da Banks su richiesta dello stes-so Volta. Alla fine della lettera spedi-ta a Banks infatti Volta lo pregava «difarla particolarmente conoscere aicolleghi Cavallo, Bennet eNicholson, e invitarli a ripeterecodeste [sue] sperienze, a moltipli-carle, e variarle».[Op. II, p. 7]

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Le applicazioni tecnologiche non tardarono a venire. Nel 1865 Antonio Pacinotti (1841-1912) realizzò la dinamo, generatore dicorrente elettrica a spese di energia meccanica, e nello stessotempo motore, in grado cioè di compiere la trasformazione inver-sa, l’energia elettrica in energia meccanica. Da questo momentol’energia elettrica comincia a imporsi rispetto alle altre fonti di

energia e diventa il modo migliore per trasportare l’energia a livel-lo mondiale.

Ha inizio la rivoluzione tecnologica e la pila a combustibile, laversione moderna della Pila di Volta, costituirà la fonte di energiapulita del futuro. Essa opera con l’idrogeno e con l’ossigeno del-l’aria, producendo solo vapore acqueo; la sua efficienza energeti-ca è molto più alta dei normali motori a scoppio, non ha partimobili, non produce inquinamento e rumore.

Con l’invenzione della Pila non si parlò quasi più di elettricitàanimale, non tanto perché la Pila ne dimostrasse l’inesistenza, ma

per la grande fama e notorietà acquistata dal suo più acerrimonemico. Si ricomincerà a parlare di elettricità animale solo dopotrent’anni con i lavori di altri due grandi scienziati italiani,Leopoldo Nobili (1784-1835) e Carlo Matteucci (1811-1868),quando la teoria voltiana del contatto aveva lasciato ormai il passoall’interpretazione chimica del funzionamento della Pila. Nel1828, Nobili, per provare la sensibilità del proprio galvanometroastatico,116 realizzò un circuito elettrico con una rana in serie algalvanometro. I due terminali dello strumento, come nei classiciesperimenti di Galvani, toccavano rispettivamente il muscolo e il

nervo della rana. Tuttavia egli interpretò il passaggio di correntecome dovuto a un effetto termoelettrico tra i terminali dello stru-mento stesso, prodotto dalla diversa temperatura che si veniva acreare per una diversa velocità di evaporazione dei due tessuti.Nel 1839 Matteucci, ripetendo gli esperimenti di Nobili, riuscì a

L’ ATTIVITÀ SCIENTIFICA DOPO LA PILA

 A lato: Esperienza di HansChristian Oersted sul rapporto

tra correnti elettriche e campimagnetici. Sopra: Batteria di pile voltaiche realizzata daOersted nel 1813 all’École Polytechnique di Parigi per ordine di Napoleone.

116 Si tratta di un galvanometro sensi-bilissimo che, grazie a una particola-re disposizione delle bobine elettri-che, elimina gli effetti dovuti alcampo magnetico terrestre.

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150 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

evidenziare con sicurezza e misurare una corrente di origine ani-male. Egli notò che per ottenere una corrente elettrica era neces-sario e sufficiente toccare con i terminali due punti del muscolo,purché uno dei due corrispondesse a una parte lesa della fibramuscolare.117 Per esaltare l’effetto, mostrando che l’origine dellacorrente elettrica non era di tipo fisico, Matteucci ricorse all’inge-

gnoso espediente di mettere in serie un certo numero di semico-sce di rana, in modo che la parte tagliata di una coscia fosse a con-tatto con la parte sana della successiva. Aumentando il numero disemicosce di questa pila biologica, Matteucci fu in grado dimostrare che aumentava in proporzione l’intensità di correntemisurata dal galvanometro, segno evidente che l’origine della cor-rente elettrica non poteva essere dovuta al contatto metallico deiterminali dello strumento con gli estremi della ‘pila’ ( fig. a fronte).

Ma quale fu nei primi anni dell’Ottocento il ruolo di Voltanella ricerca scientifica legata alle applicazioni della corrente elet-

trica prodotta dalla Pila? Nonostante alcuni problemi di salute e inumerosi impegni politici e istituzionali,118 l’attività di ricerca,almeno fino al 1806,119 fu ancora rilevante. Tre furono i problemiche maggiormente lo interessarono, o forse meglio, lo preoccupa-rono: la validità dell’interpretazione fisica del funzionamentodella Pila, basata sulla tensione che si genera al contatto tra i duemetalli diversi; l’identità del così detto fluido galvanico, messo incircolo dalla Pila, con il fluido elettrico prodotto dalle macchineelettrostatiche; la natura dei fenomeni elettrochimici generatidalla corrente elettrica prodotta dalla Pila.

  A TEORIA FISICA DEL FUNZIONAMENTO DELLA PILA. Contro ilparere di molti fisici e chimici che attribuivano alle reazionechimiche, che si generano nel contatto dei due metalli con il

conduttore umido, la base del funzionamento della Pila, in una let-tera del 21 ottobre 1801 a J. C. De La Métherie Volta affermavacon forza che: «les effets de mes nouveaux appareils (qu’on peut appeler électro-moteurs) soit à pile, soit à couronne de tasses, quiont tant excité l’attention des physiciens, des chimistes et des méde-cins, ces effets si puissans et merveilleux, ne sont absolument que la  somme additionnelle des effets d’une série de plusieurs couplesmétalliques pareils, et que les phénomènes chimiques eux-mêmesqu’on en obtient de décomposition de l’eau et d’autres liquides,d’oxidation des métaux, etc., sont des effets secondaires: des effets, je veux dire, de cette électricité, de ce courant continuel de fluideélectrique, qui, par la dite action des métaux accouplés, s’établit sitôt qu’on fait communiquer par un arc conducteur les deux extré-mités de l’appareil, et une fois établi, se soutient et dure tant que lecercle n’est point interrompu.» [Op. II, p. 37]

Il fatto che, variando la concentrazione di sale nel conduttoreumido, non variava la tensione della Pila ma solo l’intensità della

corrente messa in circolo, o che la Pila potesse funzionare ancheutilizzando acqua, ritenuta pura, era per Volta una valida confer-ma che l’origine della forza elettromotrice della Pila era da ricer-carsi solo nel contatto tra i due metalli diversi.

 L

117 Ciò è dovuto al fatto che la super-ficie lesionata rappresenta una zonadi bassa resistenza verso l’internodella cellula, rendendo così accessi-bile la differenza di potenziale esi-stente tra l’interno e l’esterno dellacellula (potenziale d’azione).118 Dal 1801 al 1812 Volta rivestì iseguenti incarichi pubblici: membro

della Consulta di Lione; presidentedel consiglio generale del diparti-mento del Lario; presidente delmagistrato d'Acque; revisore dellestampe e membro dell'ufficio centra-le della libertà di stampa; presidentedel consiglio elettorale del diparti-mento del Lario. Inoltre nel 1805venne nominato cavaliere dellaLegione d'Onore; nel 1806Cavaliere dell'Ordine Reale Italianodella Corona di Ferro; nel 1809senatore del Regno d'Italia, e infine,nel 1810, Conte del Regno d'Italia.Risulta anche che nell’anno 1823 fueletto Primo Deputato per ilComune di Lazzate.119 Negli anni successivi il suo impe-gno si andò afflievolandosi semprepiù. Riportiamo a questo propositoquanto già riferito nel § 1.6: «Vivotranquillo e in riposo nella miapatria [Como], e in seno alla miafamiglia, dove occupandomi princi-palmente in dar l’educazione a’ mieifigli, non lascio per altro di attende-re a’ miei studi.» (1806); «Pocoormai mi applico in questa mia avan-zata età [64 anni] alle ricerche speri-mentali, occupato ora in patria agliaffari domestici, e alla educazione ditre figli maschi, de’ quali fo’ io stes-so da maestro nella scuola di umane

lettere. Nelle poche ore di ozio amoperò ancora vedere i progressi altruinelle scienze naturali che ho sempreprediletto.» (1809)

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Rimaneva pur sempre da giustificare il ruolo del conduttore diseconda classe interposto tra le coppie di metalli. Infatti se essodoveva semplicemente trasferire la tensione prodotta dal contattotra i due metalli della prima coppia alla seconda e così via, biso-gnava ammettere che la legge dei rapporti valevole per i condutto-ri di prima classe (cioè la seconda legge dell’effetto Volta) non vales-

se tra conduttori di classi diverse; inoltre per giustificare la succes-siva analogia tra la Pila e l’organo elettrico della torpedine eranecessario ammettere che tale legge non valesse neppure tra i con-duttori della seconda classe. Volta ne era consapevole e nellamemoria del 1801, relativa alle conferenze tenute all’Institut deFrance, cercherà di darne una spiegazione, ma più che una spiega-zione essa è una semplice presa d’atto che le cose vanno così, per-ché così devono andare. «Che se avesse luogo così fatto rapporto, èchiaro che a nulla servirebbe l’interporre ad ogni coppia di metallidiversi un conduttore umido, qual egli si fosse, come a nulla servel’interporre un terzo metallo qualunque e che giunto non sarei mai,moltiplicando, tali coppie e strati umidi, ad avere maggior forza dielettricità di quella avea ottenuto da una coppia sola. Se vi son giun-to pertanto, se ho potuto costrurre degli apparati che danno segnielettrici tanto più forti, delle scosse gagliarde, scintille ec., è dunquein grazia di questo cambiamento di tenore nel passaggio dalla primaalla seconda classe de’ motori elettrici. Può domandarsi qui (e laquestione è d’importanza), se il rapporto, ossia quella regolata giu-sta gradazione, che si osserva tra i conduttori di prima classe,riguardo alle rispettive loro forze in qualità di motori del fluidoelettrico e che manca poi nel passaggio da quella prima alla secon-

da classe abbia luogo di nuovo per i conduttori di questa secondaclasse tra loro, cioè non sortendo da tal classe. Supposto che aves-se luogo, diverrebbe impossibile il costrurre un apparato con questisoli, che dispiegasse una forza elettrica di qualche polso, atta a scuo-tere le braccia, ec. Eppure, se non l’arte, la natura ha trovato ilmodo di riuscirvi negli organi elettrici della Torpedine,dell’Anguilla tremante costrutti di soli conduttori di questa secondaclasse ossia umidi, […]. Convien dunque dire che l’indicato rap-porto e regolata gradazione rispetto alle forze motrici del fluidoelettrico non si osservi dai conduttori di seconda classe neppure fraloro[…]; oppure che debbasi per avventura la seconda classe suddi-videre, e riconoscerne una terza.» [Op. II, p. 62]

  IDENTITÀ DEL FLUIDO GALVANICO CON IL FLUIDO ELETTRICO. Ilproblema che molti fisici e chimici francesi e tedeschi si eranoposti fin dall’inizio, con sempre maggior insistenza, era «se

quello, che si è voluto già chiamare, e continua puranco a chiamarsida taluni fluido galvanico120 o più generalmente agente Galvanico sialo stesso che l’agente elettrico, cioè sia il vero e proprio fluido elettri-co comune a tutti i corpi, oppure altro fluido od agente non ben cono-sciuto, come si è preteso da molti.» [OV. Vol. II, p. 27]

In realtà non era facile accettare che un fluido elettrico di ten-sione così bassa, da non essere in grado di produrre che insignifi-canti scintille, potesse produrre effetti chimici di gran lunga piùvistosi di quelli ottenibili con le grandi macchine elettrostatiche.

151L’ ATTIVITÀ SCIENTIFICA DOPO LA PILA

 L’

 La pila biologica di Matteucci,costituita da semicosce di rana.

120   Anche quando la polemica sarà

cessata, la corrente prodotta dallaPila verrà ancora e per lungo tempoindicata come galvanica. Inoltre nelnome di Galvani sono indicati tutto-ra moltri strumenti e processi fisico-chimici: galvanometro, galvanopla-stica, ecc.

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152 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

Su questo argomento Volta scrisse due appassionate memo-rie,121 nelle quali, dopo aver fatto il punto della situazione, mostracome una corrente a bassa tensione ma continua possa produrreeffetti più rilevanti di una corrente ad alta tensione ma impulsiva.«Riguardo all’opinione de’ Fisici molti sicuramente debbonoessersi alla fine disingannati del preteso fluido galvanico diverso

dall’elettrico, e avere ormai riconosciuto esser questo solo, cheviene messo in giuoco nelle sperienze di cui si tratta e che produ-ce tutti gli effetti, che dianzi attribuivano a quell’altro fluido odagente immaginario: pur ve ne sono ancora non pochi, che persi-stono tuttavia in tale strana opinione, malgrado le tante provedirette, e fatti palpabili, che stanno e attestano per il fluido elet-trico. Trovansi fra questi non anco convertiti oltre alcuni Fisici eChimici tedeschi, i celebri Chimici Francesi Fourcroy e Vauquelin,i quali in una recente Memoria sostengono essere il fluidoGalvanico un fluido particolare diverso dall’elettrico. […]. Non

mancano però di quelli, che […] formalmente hanno deciso edichiarato francamente esser questo, e non altro il fluido in que-stione. Fra questi, che chiamar potremmo elettricisti ortodossi,merita d’essere distinto il cel. Fisico e Chimico Inglese Nicholson,il quale ha pubblicato il primo al mese di Luglio 1800 l’estratto diuna mia Memoria diretta alcuni mesi avanti alla Società R. diLondra, aggiugnendovi egli del suo molte nuove sperienze[…].Egli dunque conchiude non poter più dubitarsi, che tutti talieffetti del nuovo mio apparato, e quelli analoghi del Galvanismo,non sieno dovuti all’agente elettrico: “ Il ne reste donc plus de dou-tes que le Galvanisme ne doit être mis au nombre des phénomenès

électriques”». [Op. II, p. 28]Merita particolare attenzione a questo proposito quanto Volta

scriveva a Van Marum nel giugno 1802, pregandolo di eseguireuna serie di esperienze con la sua grande macchina elettrostaticaper verificare l’identità dei due fluidi elettrici. In questa letteraVolta anticipa la prima legge di Faraday della stechiometria chi-mica e propone di misurare l’intensità di corrente prodotta da duediversi generatori attraverso la misura degli effetti chimici pro-dotti.122 «Oui, la même quantité et de la même manière, et avec lesmêmes apparences, si veritablement votre grande et prodigieuse

machine électrique est capable de fournir et faire passer dans deconducteurs sans fin autant de fluide électrique à chaque instant oudans un temps donné, qu’en fournit et fait passer la pile. Pour les autres machines, qui ne sont pas si grandes et excellentes que lavotre, il est déja decidé qu’elles fournissent beaucoup moins qu’u-ne pile même petite.» [Op. II, p. 229]

Inoltre, sempre in questa lettera, mostrava di aver chiaramentecompreso il ruolo della resistenza interna di una Pila per quantoriguarda la corrente elettrica prodotta nel circuito, riuscendo cosìa spiegare il fatto che la commozione prodotta da una Pila è moltominore di quella prodotta da una batteria di bottiglie di Leida cari-cata mediante la Pila stessa123 […] Infine per quanto riguarda lacorrente messa in circolo da un pila affermava «que la rapidité ducourant électrique et consequemment la force de la commotionqu’on éprouve, est en raison composée de la tension électrique et

121   Memoria del prof. AlessandroVolta sull’identità del fluido elettricocol fluido galvanico - Novembre1801. [Op. II, p. 67-105] (Si trattadelle conferenze tenute all’Institutde France) e L’identità del fluido elet-trico col così detto fluido galvanicovittoriosamente dimostrata connuove esperienze ed osservazioni,

Op. II, p. 205-318. (Si tratta dellamemoria, già più volte citata, pre-sentata al concorso della Accademiadelle Scienze di Modena)122 La lettera di Volta a van Marum,fu resa pubblica solo nel 1905.Faraday non poteva quindi esserne aconoscenza. Meraviglia comunquecome lo scienziato francese abbiaproposto nel 1833 di chiamare il suostrumento per lo studio degli effettichimici della corrente Volta-electro-meter  e successivmente nel 1838Voltameter . Che Volta ne avesse par-lato nel 1813 nel suo incontro aMilano con Davy e Faraday?123

«Cependant si on reflechit quedans la pile le courant souffretoujours du retard, ou de la difficulté à son passage par les couches humi-des, qui ne sont pas d’assez bons con-ducteurs et que ni cet obstacle ni aucune autre genre n’a lieu dans ladécharge d’une batterie bien con- struite; on pourra comprendre com-ment la decharge de celle-ci peutoccasionner, par cette plus grandeliberté du courant, une commotion plus violente, que celle de la pile, àtension égale; pourvu seulement quela capacité de cette batterie soit assez  grande pour que sa décharge conti-nue le temps qu’il faut à produire sur 

nos organes un plein effet.» [Op. IV,p. 224]

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de la liberté ou facilité du passage dans toutes les parties de la chai-ne, ou cercle.» [Op. II, p. 231] Secondo Polvani (op. cit. p. 370)è questa una chiara anticipazione della legge di Ohm.

 FENOMENI ELETTROCHIMICI . Volta venne a conoscenza dei det-

tagli124

dell’esperimento di Nicholson da una lettera inviata-gli da Vienna dal Landriani in data 17 agosto 1800.Rispondendo in data 22 settembre, così commentava la notizia:«Vi dirò ancora, che […] le mie proprie sperienze mi aveano giàpresentato qualche cosa d’analogo, per non dire lo stesso risulta-to, e già non era io molto lontano da tale scoperta di Nicholson,o almeno avrei potuto esservi facilmente condotto. Avea dunqueosservato fin dalle prime prove fatte con detto apparato di miainvenzione, […] che la corrente elettrica mossa da cotal apparatodeterminava, e promoveva in singolar maniera la calcinazionedelle lastre metalliche diverse in tutta quella parte ch’esse passa-

vano nell’acqua, sia pura, sia carica di sali, e massime delle lastredi zinco […].Una così pronta e rapida calcinazione de’ metalli nel-l’acqua semplice e fredda, torno a dire, è ben mirabile […]. Qualnuovo prodigioso agente chimico, e quanto efficace gli è mai ilfluido elettrico, che scorrendo senza grand’impeto, anzi pur dol-cemente, attraverso dei fili d’oro, d’argento, o d’altri metalli, e perun piccolo strato d’acqua ad essi frapposto, come accade nelle spe-rienze di cui si tratta, decompone quest’acqua, svolgendone ilradicale infiammabile in forma di gas, ossia di gas infiammabile, etirando il termossigeno sopra di essi metalli, e combinandovelo,

che è quanto dire calcinandoli?«[…] È dunque il fluido elettrico, che scorre pe’ detti metalli, epassa invisibilmente, placidamente, e continuatamente dall’unoall’altro attraverso un piccolo strato di acqua, più attivo ed efficacein determinare e promovere la decomposizione di questa, e la ter-mossidazione di quelli, che non è il fuoco, ossia un calore intensis-simo, e portato fino all’incandescenza di essi metalli?» [Op. II, p.9]

Consapevole che quanto appena affermato poteva essere un’ar-ma in mano a coloro che non credevano all’identità dei due fluidielettrici, in un successivo lavoro, riferendosi in particolare alla

commozione prodotta dalla Pila, affermava «che le scosse prodot-te [dalle pile] sono simili, dell’istessa natura e polso di quelle dellegrandi batterie elettriche debolissimamente cariche, supplendo,come in queste, così e meglio ancora in quell[e], alla poca inten-sità, onde è spinto il fluido elettrico, la grandissima quantità delmedesimo, che passa in una corrente continua per molti istantisuccessivi.» [Op. II, p. 74]

Dopo aver mostrato che il tempo di scarica di una bottiglia diLeida è proporzionale alla sua capacità, gli fu facile mostrare che«si può, paragonando la scarica della grande giara o batteria collascarica della boccetta 100 volte meno capace, considerare la primacome la ripetizione di 100 scariche eguali a quella della boccetta,scariche le quali si succedono e colpiscono la persona 100 volte diseguito: e siccome tutti questi colpi replicati si succedono cotantorapidamente, cioè nello spazio di 1/50, di 1/200 di secondo o

L’ ATTIVITÀ SCIENTIFICA DOPO LA PILA

 I 

124 «Del resto non fu propriamente lavostra lettera, che mi recò la primanotizia della scoperta elettrico-chi-mica di Nicholson, la quale ha sor-preso voi e me, e sorprender deveogni intelligente. Pochi giorni primach’io ricevessi tale lettera, cioè agliultimi di agosto, avea trovato annun-ziata questa medesima scoperta, e

attribuita al prefato autor inglese, inun foglio periodico di Parigi intitola-to le Moniteur num. 329, con unapassabile descrizione del mio appa-rato a colonna, del modo di tentarloper riceverne la scossa elettrica più omen forte, e infine della sperienza, dicui si tratta (della succennata calci-nazione cioè dei fili metallicimediante tal apparato), come erastata ripetuta a Parigi in una pubbli-ca Lezione sulla decomposizione del-l’acqua da non so quale di que’Professori. Ne fui già allora viva-mente colpito; ma molto più lo fui inappresso dalla vostra descrizione piùestesa ed esatta di tali sperienze,ripetute e variate da cotestoProfessore di Vienna Jacquin, a cuiavete voi medesimo assistito.» [Op.II, p. 3]

 Modello voltiano (sopra) ed elettrochimico (sotto) del funzionamento della Pila.

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Elet.

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154 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

meno, si può riguardargli, sendo così prossimi gli uni agli altri,come riuniti e confusi in un sol colpo, che si fa sentire per tal guisa100 volte più forte […] Egli è facile al presente di fare l’applica-zione di ciò che abbiamo fin qui considerato, al mio apparecchio.[…] Che non dobbiamo aspettarci da questi apparecchi, conside-rando, che il torrente elettrico eccitato da essi, in luogo di durare

soltanto per qualche frazione picciolissima di minuto secondo, ècontinuo, e indeficiente? […] Deve anzi far meraviglia, che non lodiano ancora più forti e più violente di molto, che alcuna delle piùgrandi batterie caricate al medesimo grado di tensione; giacché,riguardo alla durata del torrente elettrico, debbono paragonarsiquesti apparecchj, che sono elettro-motori perpetui, alle batteriedi una grandezza immensa, o la di cui capacità sarebbe infinita.»[Op. II, p. 79].

Lo studio dei fenomeni elettrochimici interesserà Volta ancoraper parecchi anni, dapprima direttamente, realizzando nuove

apparecchiature, e successivamente facendosi aiutare, o semplice-mente suggerendo nuovi esperimenti. «Ma fors’anche sono anda-to io più innanzi, quantunque entrato più tardi in questa lizza, edho veduto più addentro, o infine qualche fenomeno si è offerto ame, che ad altri è per avventura sfuggito. […] I congegni ch’ioadopero per eseguire coteste nuove sperienze, sono alquantodiversi da quello che mi avete voi delineato colla figura annessaal vostro scritto; e che questi oltre al riuscire più comodi servononel medesimo tempo ad un maggior numero e varietà di prove».[Op. II, p. 139]

Un problema, strettamente legato alla composizione dell’acqua

Coppia di Pile per l’esperienzadell’elettrolisi dell’acqua

(Tempio Voltiano, Como).

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e alla sua dissociazione, lo interesserà in modo particolare. Neriferisce in uno degli ultimi lavori realizzati nel 1806. «Niuno hasaputo spiegare ancora come dall’acqua, entro cui il filo metallicoprocedente dal polo positivo fa passare la corrente elettrica, sisvolga gas ossigeno, e solo gas ossigeno; e dall’acqua confinatanell’altro tubo, e che tramanda la stessa corrente all’altro filo sten-

dentesi al polo negativo, si svolga gas idrogeno, e solo gas idroge-no. Se l’acqua è composta, come si vuole da’ fisici e chimicimoderni, di ossigeno e d’idrogeno in dose di circa 85 in peso delprimo, e 15 del secondo, dove va, o cosa diviene l’idrogeno delprimo tubo, quella porzione, dico, d’idrogeno, che corrispondeall’ossigeno, che ivi compare?

«Dove va, o cosa diviene l’ossigeno dell’altro tubo, ossia diquelle mollecole d’acqua, che quivi decomponendosi, dan fuoril’idrogeno in forma di gas? Queste sperienze pare che non si con-ciglino troppo bene colla teoria della composizione, e decomposi-

zione dell’acqua; i sostenitori della quale han dovuto ricorrere perispiegarle in qualche modo a delle ipotesi più o meno forzate.[…]Queste ed altre sono le questioni, a cui fin da principio ho con-fessato, che non sono peranco in grado di rispondere, e sulle qualivo meditando nuove sperienze, e tentativi per risolvere.» [Op. II,p. 323]

Una possibile esperienza a tale riguardo, che pensava di esegui-re con l’aiuto del Brugnatelli, è presentata in una lettera al Bellanidel 30 aprile 1807. «Il primo punto e più importante si è di accer-tare se i gas ossigeno, e idrogeno, che si svolgono separatamente,

l’uno cioè attorno al metallo che viene elettrizzato positivamente,

L’ ATTIVITÀ SCIENTIFICA DOPO LA PILA

 Minuta di una parte dellalettera a Marsilio Landriani,dove Volta descrive gli effettichimici della Pila (Cart. volt.

 E46, Istituto Lombardo).

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156 ALESSANDRO VOLTA: L’UOMO E LO SCIENZIATO

l’altro attorno a quello, che lo è negativamente, provengano dauna decomposizione dell’acqua operata in ambedue i luoghi;oppure se una sola delle due acque, quella che involge il metallopositivo fornisca della sua sostanza il gaz ossigeno, e si lasci rapi-re l’altro suo ingrediente, l’idrogeno, dal fluido elettrico, che secolo porti, e lo deponga poi sul metallo negativo.[…] Il miglior

mezzo che suggerii, ma che non ebbimo tempo di praticare, si è difar terminare i due tubi abbastanza lunghi, e chiusi in fondo adovere con buona vescica doppia, sicché ritengano l’acqua, senzapunto perderne, di farli, dico, terminare in cima con un lungo, estretto collo quasi capillare, tanto che vi possa passare il filo metal-lico, e l’acqua arrivando a un certo punto, osservar vi si possanominutamente le perdite che andrà facendo. […] Ma di tutto ciò,torno a dire, discorreremo a lungo, se, come non ne dubito, ellamantiene la parola, di venir cioè a passare a Pavia qualche setti-mana dell’entrante maggio. Io spero di vederla anche prima qui a

Milano; e pieno di tale speranza, di stima ed amicizia mi confer-mo. Suo obbl. servitore ed amico, A. Volta» [Ep. V, p. 85]

 N CONCLUSIONE: Alessandro Volta fu forse il primo filosofonaturale che può essere considerato uno scienziato nell’acce-zione moderna del termine. Con lui si inaugura quella figu-

ra, ormai a noi così familiare, dello specialista, ossia dell’uomo discienza che, affrancato da pregiudizi di natura metafisica, affron-ta lo studio dei fenomeni naturali inquadrandoli in una prospetti-va in cui a contare e a essere decisivi sono essenzialmente due

cose: una buona teoria esplicativa e una valida e inoppugnabileverifica sperimentale. Tanto nel successo quanto nell’insuccesso (sipensi alla mancata scoperta della sintesi e dell’elettrolisi dell’ac-qua) Volta ha incarnato e inaugurato questa importante e nuovafigura di scienziato.

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