Parliamo di noi - CAI Firenze · Liceo Machiavelli Capponi con la partecipazione di 27 classi per...

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Parliamo di noiAldo Terreni

Presidente della Sezione di Firenze

Alpi Apuaneil Monte Procinto

(in particolare: lo sviluppo della Ferrata Bianchi)

(foto R. Masoni)

Carissimi,

purtroppo la nostra Sede è frequentata regolarmente dauna minoranza di Soci, così approfitto di questo “parliamo di noi”per aggiornare tutti di quanto è stato fatto in questi ultimi mesi.

Innanzitutto i corsi. In febbraio è terminato il corso diintroduzione all’Alpinismo (A1), nello stesso periodo ci sono stati icorsi di sci alpino e snowboard organizzati dallo Sci Cai; aconclusione c’è stata la festa “Nonni e Nipoti” sulla neve con unanumerosa partecipazione di ragazzi, e, finalmente, in una bellagiornata di sole.

Per iniziativa della SottoSezione di Scandicci, cui si èprontamente aggregata l’intera Sezione, è stato organizzato uncorso di sci di fondo, che ha avuto un lusinghiero successo, tantoda invogliare la prosecuzione di questa iniziativa.

Ancora a proposito di sci, sono terminati da poco i corsi diScialpinismo (SA1 e SA2), anche questi con ottimo esito sia per ilnumero che per la qualità dei partecipanti. Questi corsi sono statipreceduti da un corso propedeutico di sci fuori pista che stadiventando un classico dell’attività della nostra Scuola. Sempre laScuola Tita Piaz ha organizzato, soprattutto per iniziativa di NicolaPesciulli, una serie di corsi di Arrampicata Sportiva all’interno delMandela Forum.

Anche il corso di Escursionismo, che vede una ottimapartecipazione di allievi, è in pieno svolgimento, ed oramai stadiventando un classico delle nostre iniziative. In aprile c’è statoun corso di Roccia (AR1) che è andato benissimo. Da gennaio adaprile, nella palestra di arrampicata all’interno del Mandela Fo-rum, abbiamo tenuto dei corsi di Arrampicata per gli studenti delLiceo Machiavelli Capponi con la partecipazione di 27 classi per untotale di oltre 550 ragazzi.

Per tutto questo lavoro un grandissimo grazie a quanti hannodedicato il loro tempo e la loro competenza per un felice svolgimentodi questi corsi che sono il vero humus del nostro sodalizio.Naturalmente è proseguito il nutritissimo programma di gite sezionaliche sta avendo un seguito di partecipanti veramente lusinghiero.

La Sottosezione di Pontassieve, con il GEO, ha fatto un granlavoro per rendere agibile il “Sentiero della Memoria” che è statoinaugurato lo scorso 25 aprile; questo impegno che segue il“Sentiero delle Burraie”, merita un grande plauso per la gran vogliadi fare di questa Sottosezione.

Voglio segnalare che Paolo Billi e Patrizio Mazzoni hannoconseguito il titolo di Accompagnatori di Escursionismo al terminedi un lungo ed impegnativo Corso. Non me ne vogliano gli altri mavorrei indirizzare un particolare ringraziamento a Paolo Billi,“Paolino”, che con la sua immensa disponibilità è sempre “sulpezzo” sia si tratti di lavorare sui sentieri o in palestra, sia inqualità di accompagnatore o verniciatore. Si può sempre contaresulla sua presenza, grazie Paolino! Spero che tu sia di esempio peri Soci che vorranno dedicare un po’ del loro tempo collaborandonel portare avanti le varie iniziative della Sezione.

Questo numero di “Alpinismo Fiorentino” dovrebbe arrivareall’inizio dell’estate così ne approfitto per augurare a tutti BuonaMontagna. Un abbraccio

Aldo

[email protected]

Quadrimestrale della Sezione di Firenzedel Club Alpino ItalianoVia del Mezzetta, 2M - 50135 FIRENZEtel.: 055 6120467 - fax: 055 6123126

Direttore ResponsabileRoberto MasoniRedazioneAlfio Ciabatti, Marco Bastogi,Sergio Cecchi, Giorgia Contemori,Carlo Marinelli, Cristina Marrani,Pasquale Parcesepe, Giuliano Pierallini,Stefano Saccardi, Roberto Smarrini, Andrea TozziCollaboratoriMarco Gori, Sergio Rinaldi

Spedizione in abbonamento postale45% art.2 comma 20/B Legge 662/96Filiale di FirenzeAutorizzazione del Tribunale di Firenze n.68 del 14/3/49

Gli originali, di regola, non si restituiscono; le diapositivesaranno restituite, se richieste. La Redazione accetta articoliriservandosi, a suo insindacabile giudizio, se pubblicarli eriservandosi ogni decisione sul momento e la forma dellapubblicazione, compatibilmente con lo spazio disponibile.Tutti i diritti sono riservati, la riproduzione anche parziale deitesti e delle immagini senza consenso è vietata salvoautorizzazione del CAI FirenzeStampa:Stabilimento Grafico CommercialeCosto della pubblicazione: Euro 5,00

La Rivista è distribuita ai Soci della Sezione Fiorentinadel CAI, alle Sezioni Tosco-Emiliano Romagnole, ai GruppiRegionali, a Gruppi Escursionistici della Provincia, adAmministrazioni locali ed alle Comunità Montane

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COMMISSIONE ELETTORALE

per il rinnovo delle cariche sociali per il triennio 2010-2012

COMUNICATO

La Commissione elettorale della Sezione di Firenze del Club Alpino Italiano, nominata dall’ Assemblea Ordi-naria dei Soci della Sezione del 14 marzo 2009 (art. 5 del Regolamento per lo svolgimento delle elezioni alle carichesociali) per il rinnovo degli Organi Direttivi della Sezione per il triennio 2010-2012, è composta dai Soci:

Membri effettivi:Baccaro Angela, Berzi Annalisa, Boninsegni Lorenzo, Chielli Massimo, Di Pisa Giuseppe, Parcesepe Pasquale,

Porrati Roberto, Rutigliano Luciano, Saccardi Stefano, Vettori Staderini Maria

Membri supplentiConfalonieri Umberto, Cecchi Sergio

La Commissione, nella prima riunione, svoltasi in data 3 aprile 2009, in ottemperanza a quanto disposto dall’art. 9, comma a), del Regolamento Sezionale, ha nominato

Presidente Annalisa Berzi, e Segretario Massimo Chielli,

dopodiché, ai sensi dell’art. 9, comma a), ha stabilito che il termine ultimo entro il quale le liste elettorali, devonopervenire alla Commissione elettorale, presso la sede della Sezione è il giorno

Lunedì 20 luglio 2009 alle ore 18,00

E’ stato inoltre deciso, in ottemperanza a quanto disposto dall’ art.9, comma b), che le operazioni di voto peril rinnovo delle cariche sociali della Sezione si svolgeranno secondo il seguente calendario:

per i Soci iscritti presso la sede della Sezione nei giorni

Sabato 07 e Domenica 08 novembre 2009, dalle ore 10,00 alle ore 19,00;

presso la sede della Sezione, via del Mezzetta, 2/M,

ed inoltre:

per i soci iscritti presso le sedi delle Sottosezioni di:Pescia, Pontassieve e Stia,

le operazioni di voto si svolgeranno presso le sedi delle rispettive Sottosezioni, il giorno

Domenica 08 novembre 2009 dalle ore 10,00 alle ore 17,00:

per i soci iscritti presso le Sottosezioni:Cassa di Risparmio di Firenze, FLOG e Scandicci,

le operazioni di voto si svolgeranno presso la sede della Sezione, via del Mezzetta, 2/M, il giorno

Domenica 08 novembre 2009 dalle ore 10,00 alle ore 17.00.

Firenze, 9/4/2009 Il Presidente della Commissione ElettoraleAnnalisa Berzi

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GUIDO ROSSA

alpinista, accademico

di Roberto Masoni

“Se veramente nessuna pietra,nessun seracco, nessun crepaccio staattendendomi da qualche parte delmondo per fermare la mia corsa,verrà il giorno in cui, vecchio estanco, saprò trovare la pace tra glianimali e i fiori. Il cerchio si chiuderàe io diventerò il semplice pastore chesognavo di diventare da bambino”

Lionel Terray“Les conquerans de l’inutile”

Guido fu ammazzato dalleBrigate Rosse il 24 gennaio 1979. Aveva44 anni.

Drammatico epilogo di una vitanella quale rivolgere il pensiero allamorte sarà venuto più volte ma mai,certo, immaginato così selvaggio,agghiacciante. Rossa è, e rimane, unsimbolo della lotta all’eversione, unsimbolo contro lo scadere del conflittosociale nella barbarie, nell’inciviltà.Un argomento al quale i media hannorivolto, ultimamente, il loro particolareinteresse.

Ma non è di ciò che voglioparlare, non tocca a me, alla nostraRivista. Parlerò invece del Rossaalpinista, l’aspetto che meno trasparedalle cronache degli ultimi mesi e,tuttavia, un aspetto fondamentaledella Sua esistenza.

Sinteticamente. Guido Rossanasce in provincia di Belluno nel 1934,ha circa due anni quando, per necessitàdi lavoro, la sua famiglia si trasferiscea Torino. Cresce nella tragedia dellaguerra, presta servizio militare neglialpini paracadutisti ed a 14 anni entrain fabbrica, dapprima in officina,quindi alla Fiat dove ha modo diformare il suo carattere, dove, suomalgrado, impara a fare i conti con unarealtà, quella del mondo operaio, che,

a proprie spese, decide di affrontarea muso duro, distinguendosi per ladeterminazione con cui rivendica dirittie valori irrinunciabili dei lavoratori.

Frequenta la Parete dei Militi,in Valle Stretta a Bardonecchia. Inbreve ripete la Gervasutti di destra,in inverno, e si distingue subito per lesue idee. A 17 anni ripete le due vie diComici in Lavaredo, quella alla norddella Grande e lo Spigolo Giallo. Lacresta sud dell’Aiguille Noire e la Ratti-Vitali alla parete ovest. Nel 1956,sempre alla Parete dei Militi,concatena la Gervasutti (… l’altra, nonquella di destra) con la fessura DeAlbertis e lo spigolo Fornelli. Il tuttoin solo tre ore.

Sul finire degli anni Cinquantasposa Silvia, l’amore più forte della suavita, nasce Fabio. Silvia è genovese eper un certo periodo, abitando ancoraa Torino, accetta uno scomodopendolarismo. Nel 1961 trova lavoro aCornigliano, all’Italsider, e può quinditrasferirsi in Liguria. Ma un drammafamiliare è alle porte, il piccolo Fabiomuore soffocato da una fuga di gas,muore sull’ambulanza che lo portaall’ospedale. Avranno una figlia chechiameranno Sabina.

E’un colpo durissimo ma lapassione per l’alpinismo non sembra

esaurirsi: Cassin al Badile, Bonatti alGrand Capucin, Tissi alla Torre Venezia,Carlesso alla Torre di Valgrande,Livanos alla Cima Su Alto, Steger alCatinaccio, Graffer al CampanileBasso, Dibona al Croz dell’Altissimo,Hasse alla Roda di Vael, Vinatzer eSoldà alla Marmolada. Tutte, perquanto ne so, con Piero Villaggio eRenato Avanzini.

Nel 1963, a 29 anni, partecipaalla spedizione del CAI Uget di Torinoal Langtang Lirung, nell’Himalaya delNepal. E’ in quest’occasione chesubisce un nuovo, duro contraccolpocausato dalla perdita di due amici:Giorgio Rossi e Cesare Volante. “Guidoera molto legato a Giorgio e quellemorti lo segnarono in profondità;probabilmente fu l’inizio di unarevisione critica sul modo di intenderee di vivere l’alpinismo” (idem). E’, aquanto mi risulta, in questo periodoche Guido viene accolto nel Club AlpinoAccademico Italiano (CAAI).

Rossa è alpinista di razza, osereidire “classico” nelle sue scelte, eppuremoderno, sicuramente in anticipo suitempi, disinibito nei confronti deivecchi ambienti alpinistici torinesidove la ricerca del risultato toglievamolto spazio alla fantasia. ScriveCamanni: “Dopo la morte di GiustoGervasutti nel 1946, l’alpinismo

nella pagina a fianco:un’immagine di Guido Rossa

(da: Nuovi Mattini - il singolare sessantotto degli alpinistifoto di Armando Biancardi)

sotto:R. Masoni nel diedro d’uscita

della Gervasutti a Rocca Sbarua(foto Gabriele Majonchi)

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subalpino soffriva di una certapesantezza: miti, inibizioni, un climaaustero da caserma. La scuolaintitolata al “Fortissimo”, che facevacapo a Pino Dionisi, insegnava il rigoredelle gerarchle. Più tardi sarebbecomparso il forte gruppo di AndreaMellano, con un’impostazione piùdisinibita ma pur sempre rispettosa deicanoni tradizionali. In questa impasse,Rossa segnò il momento di rottura,rilanciando l’arrampicata torinese alivelli di avanguardia. La sua fu unapiccola rivoluzione silenziosa, in nettoanticipo sui tempi, che con pigliosostanzialmente anarchico diede unoscossone alla retorica del riveritoAlpinismo. Ma pochissimi se ne sonoaccorti” (Enrico Camanni - NuoviMattini, il singolare sessantotto deglialpinisti – pag.169 – Edizioni Vivalda).

Grazie a particolari bulloni, presialla Fiat, realizza primordiali chiodi apressione – anche da questo la suamodernità - con i quali sarà il primo achiodare le vicine palestre. SoprattuttoRocca Sbarua, la palestra dei torinesi,dove, peraltro, sale slegato laGervasutti in giacca e cravatta. Una viaclassica che siamo in molti a ricordareper lo splendido diedro d’uscita.

Come ricorda Gian Piero Mottinella sua “Storia dell’Alpinismo”, moltifurono coloro che, insieme a Rossa,dettero un forte contributo alrinnovamento alpinistico di unambiente, quello torinese, fin troppoubbidiente alla tradizione. Fra costoroCorradino Rabbi, Giorgio Rossi, MarcoMay, Giuseppe Dionisi, Piero Fornelli.Splendida gente che aprì la strada adalcuni giovani torinesi che si sarebberopoi affermati e distinti fra i migliori:negli anni ’60 Andrea Mellano esuccessivamente Giancarlo Grassi, UgoManera, lo stesso Gian Piero Motti che,per quanto milanese, era da molti annitrapiantato a Torino.

Nel pieno della sua formazionealpinistica partecipa “non si sa perché,[…] al corso per Istruttori Nazionali.Sul terreno fu perfetto ma al colloquiofinale, davanti a Riccardo Cassin,dichiarò alla commissione: «A me dellescuole non frega niente.» Era unanticipo del Nuovo Mattino” (E.Camanni – idem).

Effettua, con OttavioBastentra, un tentativo alla parete suddella Punta Welzenbach ed untentativo di prima invernale, con May,

alla cresta sud dell’Aiguille Noire dePeuterey. Nel suo curriculum anche laparete sud del Dente del Gigante (conDino Rabbi) e la Rabbi (sembra un giocodi parole) alla parete nord del CornoStella.

Con sempre maggior vigore sifa, tuttavia, strada in Rossaun’attenzione particolare per i deboli,per i bisognosi. E lo farà con la stessapassione, con la stessa determinazioneche metteva in parete. Ricorda GianPiero Motti: “ … fissandomi con quegliocchi che ti scavano dentro e tibruciano l’anima, con quella sua vocecalma e posata mi dirà che l’errorepiù grande è quello di vedere nella vitasolo l’alpinismo, che bisogna invecenutrire aItri interessi nobili e positivi”.

A conferma di ciò, in una letterascritta a Bastentra nel febbraio 1970formula, un’opinione che non puòpassare inosservata, spiegherò poiperché. Scrive:“Da ormai parecchianni, mi ritrovo sempre più spesso apredicare agli amici che mi sono vicinil’assoluta necessità di trovare unvalido interesse nell’esistenza [...] checi liberi dal vizio di quella droga cheda troppi anni ci fa sognare e crederesemidei o superuomini chiusi nel nostrosolidale egoismo, unici abitanti di unpianeta senza problemi sociali, fattodi lisce e sterili pareti, sulle qualipossiamo misurare il nostro orgogliovirile, il nostro coraggio, per poiraggiungere (meritato premio) unparadiso di vette pulite, perfette escintillanti di netta concezionetolemaica, dove per un attimo o persempre possiamo dimenticare di esseregli abitanti di un mondo colmo disoprusi e di ingiustizie […]. Per questopenso, anche noi dobbiamo finalmentescendere giù in mezzo agli uomini elottare con loro”.

Concetto che richiede un breveapprofondimento. Lionel Terray, unodei più formidabili alpinisti deldopoguerra, morto a 44 anni comeRossa, ha scritto un libroindimenticabile, entrato, a ragione,nell’olimpo della letteratura dimontagna; questo libro si chiama “Iconquistatori dell’inutile”.Leggendolo, non si impiega molto acapire, fra le pagine, quanto l’inutilitàdell’alpinismo sia figlia della solitudinee quanto la solitudine sia la chiave cheapre alla scoperta dei propri limiti, purnella superiorità dei gesti, allascoperta del fragile gusto dellaconquista. E’ un concetto ripreso dataluni alpinisti, molti di questi digrande talento. Persone che

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avvertivano di dover denunciare, nell’anarchia delle loropassioni, una necessità non più irrinunciabile. Persone cheavvertivano la necessità di “scendere” a valle, fra gli uomini,chiudere con un mondo a misura che appaga soltanto per ilsuperamento delle difficoltà oggettive della parete ma chetende, in virtù dell’impegno richiesto, a nascondere iproblemi della vita quotidiana, a limitare la ricerca diconfronto con un mondo esterno dove l’alpinismo non puòessere considerato uno strumento di crescita comune. Unacorrente di pensiero che influenzò molto Gian Piero Motti,ma anche Gary Hemming, indimenticato protagonista dialcune formidabili imprese nel Gruppo del Bianco. “Ognicredo, anche l’alpinismo, deve fare i conti con una nuovascala di valori. Rossa è l’interprete più sensibile di questaradicale trasformazione, anche se - ormai lontano dallascena dell’arrampicata torinese - sarà solo un casualeriferimento per gli smarriti protagonisti del Nuovo Mattino”(E. Camanni – idem).

L’impegno di Rossa nella CGIL e nel P.C.I. non subìsoste. Si impegnò con caparbietà e passione pur mantenendoquell’anarchia di fondo che sempre lo distinse anchenell’alpinismo. Il resto è noto, casualmente scopre uncompagno di fabbrica a distribuire volantini eversivi.Fedele alle filosofie più volte espresse (“Di qua non sipassa”) lo denuncia entrando nel mirino delle BrigateRosse. Non modifica il suo stile di vita, nasconde le suepaure senza mai pentirsi della sua scelta. Nel 1978all’annuale riunione del Club Alpino Accademico, al Montedei Cappuccini, confessa ad un amico il sospetto chequalcosa si stia muovendo, che sia in atto un piano per“farlo fuori”. Non chiese aiuto, andò avanti con il consuetocoraggio e con la medesima severità che poneva inmontagna.

Il 24 gennaio 1979, è mattina presto. Guido esce dicasa, getta la spazzatura nel cassonetto, come fa tutte lemattine, apre lo sportello della macchina, fa appena a tempoad entrare dentro in un disperato tentativo di fuga. Forsealla ricerca di una disperata ricerca di pietà. Tutto saràinutile.

Enrico Camanni, amaramente commenterà:“Forse solo gli alpinisti non si accorsero di nulla, perché datempo Guido non era più uno dei loro”.

nella pagina a fianco: Guido Rossa con lafiglia Sabina (www.aostasera.it)

sotto: l’Aiguille Noire de Peuterey(www.img256.imageshack.us)

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UN RACCONTO DI MONTAGNAAiguille du Moine (mt. 3.412), cresta sud

di Lelia Farini Nigrisoli

Lelia sulla vetta dell’Aiguille du Moine (foto C. Chatillard)

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Io e Lelia ci conosciamo da anni. Non abbiamo mai avuto unafrequentazione alpinistica, è vero, eppure il fatto di incontrarcia Maiano, talvolta in improbabili, afosi pomeriggi primaverili,talvolta in algide mattine invernali, non ci ha impedito dicoltivare un buon rapporto di amicizia e maturare un buonlegame di reciproco rispetto.

La storia di questo racconto nasce da una foto, mostratami daLelia poco tempo fa, che la ritrae sulla cima dell’Aiguille delMoine. Una foto simile al famoso scatto di Claudio Barbier e AnnaLauwaert dei quali ho parlato nella scorsa rivista.

Lelia, ma voglio nominare anche Milena Masini con Lei, sonogiovani ragazze, tradite solo dall’argento dei loro capelli. Fannoambedue parte di quella ristretta cerchia di padri, e madri nobilidell’alpinismo fiorentino che interpretano la Montagna con lapassione dei Bafile, dei Dolfi, dei Melucci, degli Zaccaria e moltialtri. Fanno parte di quella ristretta cerchia di entusiasti daiquali, i più giovani soprattutto, hanno molto da imparare.

Nel tempo delle scontate “performance”, Lelia e tutti coloroche ho appena nominato, hanno mantenuto quel poetico,straordinario profilo che, a mio modo di vedere, rendel’alpinismo: l’alpinismo.

Per questo Vi invito a leggere con attenzione questo contributo,un contributo nel quale affiora anche la profonda devozionereligiosa di Lelia ma soprattutto l’aspetto squisitamentealpinistico. Vi prego di leggerlo con l’attenzione richiesta acoloro che meritano un posto di rilievo nel nostro formidabileretaggio alpinistico.

R. Masoni

Il Rifugio del Couvercle (m. 2687) si trova in Francianel gruppo del Monte Bianco, nel mezzo della più bellacerchia di montagne delle Alpi, una decina delle quali superai 4000 metri e sovrasta i più grandi ghiacciai. Il nome èdovuto al fatto che il vecchio rifugio, che è distante 50metri dal nuovo, fu costruito sotto una grande lastra diroccia che lo copre proprio come un coperchio. Lo siraggiunge da Chamonix, bella cittadina a 1000 metri dialtezza ai piedi del M. Bianco, con cremagliera fino aMontenvers, poi scale di ferro, ghiacciaio, altre scale diferro e sentiero: il tragitto non è ne breve ne semplice, mavale la pena, perché lo spettacolo che si ammira intorno èindescrivibile per grandiosità e bellezza.

L’Aiguille du Moine s’innalza dietro al Couverclecon pareti e creste di magnifico granito; per anni hodesiderato compierne l’ascensione, senza essermi maidecisa, anche perché ero più attirata dalle vette superioria 4000 metri. L’estate scorsa mi sono consigliata conCorrado Chatillard e Allain Kofler, due giovani guide diCervinia, che mi hanno detto non conoscere questa zona;ma io conosco le loro eccellenti capacità in roccia e,ricevuto il loro assenso, partiamo per il Couvercle; è unabella giornata ed è il compleanno della Madonna. Sperodavvero domani di farle il regalo di portarla sulla vettadel Moine per la cresta sud!

Il gestore del rifugio ci mette a dormire con duegiovani inglesi che hanno la nostra stessa intenzione.Colazione alle 3,30 e partenza subito dopo. Percorriamoun sentiero, poi un ghiacciaio ripido, che viene chiamatonevaio del Moine; è già giorno quando siamo all’attaccodella roccia. Gli inglesi sono poco avanti a noi, ma dopo ilprimo tiro di corda capiamo che, forse a causa delle

Una breve premessa

difficoltà, hanno rinunciato alla cresta sud e proseguonosulla via normale. Dico a Corrado che anch’io mi contentereidella via normale; lui invece non si contenta proprio! Mentreaspetto con Allain, lo vedo fare un paio di tentativi, a dirittoe a sinistra, per trovare la strada migliore, infine puntadeciso nuovamente a sinistra in direzione della cresta e,attrezzata la sosta, ci fa cenno di raggiungerlo. Io nonprotesto: in fondo in fondo mi sarebbe dispiaciuto ripiegaresulla via normale, più facile ma meno interessante.

Con una lunga serie di tiri di corda superiamo camini,diedri (sono due pareti che incontrandosi formano unangolo), salti e cenge (sono rampe che tagliano le pareti indiagonale). Nei passaggi troppo alti per me Allain, che misegue da vicino, mi aiuta sollevandomi un piede con lemani. Dopo cinque ore che abbiamo lasciato il rifugio,arriviamo alla cresta, al di sotto di un caratteristico torrionea forma di martello. Ci si apre un bellissimo panorama sulMonte Bianco, ma sulla sua vetta c’è una nube a forma dipesce, che indica cattivo tempo entro poche ore; inoltrec’investe un forte vento che conferma i nostri timori.

Le difficoltà aumentano: si deve arrampicare un po’sul versante ovest e un po’ su quello est, scavalcando spessoil filo di cresta; i passaggi più difficili sono sul lato ovest,che oltre tutto è ancora in ombra, c’è neve nei tratti menoverticali e fa freddo. Ora Allain è capocordata e dimostraun gran senso della montagna: non è facile trovare la viagiusta, ma lui non sbaglia un passo! Corrado mi sta vicino emi aiuta dove non arrivo agli appigli: a volte mi fa mettereun piede sulla sua spalla e si rizza su alzandomi di peso,come se fossi in ascensore. E la vecchia tecnica della“piramide umana”, che torna utile per me che sono piccola

La celebre foto di C. Barbier ed A. Lauwaert

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di statura e non più agile come in gioventù.

Le guide si fermano un momento a consultare unarelazione della via in francese: vi si parla di un “paspenible”, cioè “passo penoso” e commentano la frase conuna risatina ironica, come per smorzarne la drammaticità.In effetti non è facile; però ci sono due chiodi, ad uno deiquali è appeso un cordino ad anello. Corrado mi fa mettereun piede su un suo ginocchio a mo’ di gradino, infilo l’altronel cordino e riesco a passare, per un poco siamo a est alsole; una breve discesa e risaliamo un camino che ci riportaa ovest. Qui le guide mi assicurano con la corda a un massoe mi ordinano di non muovermi finché non mi chiameranno;ne approfitto per riposarmi e pregare chiedendo forzadall’alto, perché comincio ad essere stanca. So che ormainon si può più tornare indietro o a prezzo di manovre com-plicate; vedo la cima ancora lontana, ma bisogna comunquearrivarci.

Passano decine di minuti, forse mezz’ora e tuttotace: chiedo a gran voce se c’è qualche problema e Corradomogio mogio mi risponde: «E duro!». Infine mi chiama e loraggiungo camminando su di una cengia orizzontale sospesasu profondi abissi. Allain è già in alto a metà di un diedrodifficile e solcato da una fessura, dove per sicurezza hapiazzato alcuni “friends” (attrezzi formati da piccole mezzerotelle che, azionate da una molla, s’incastrano nellefessure e a cui si aggancia la corda con un moschettone).Corrado mi fa salire sulle sue spalle, solita “piramideumana”, ma dopo i quasi due metri della sua statura, devocontinuare da sola. Non trovo appigli né per le mani né peri piedi ed i friends con i moschettoni sono altissimi, fuori

della mia portata. Lotto per un po’ senza successo, poisarà la forza della disperazione, saranno gli Angeli che misollevano, riesco non so come ad arrivare fino ad Allain.Ammiro Corrado che invece se la cava elegantemente. Ildietro prosegue meno difficile ma sempre impegnativo. C’èuna grande scaglia di roccia staccata di poco dalla parete edobbiamo salire tra le due, strisciando come serpenti ecercando di non rimanere incastrati. A questo scopo le guidelasciano giù i loro grossi zaini e, quando sono giunti allasosta, li tirano su con la corda. Come sono veloci nelcompiere queste manovre!

Torniamo, e sembra definitivamente, sul lato estdella montagna dove fa meno freddo, anche se ormai ilsole è sparito dietro spesse nubi. Questa partedell’ascensione è più facile, per cui arrampichiamo diconserva senza soste: così il mio respiro si fa ancor piùaffannoso e mi fa soffrire molto; ma Allain all’improvviso,quando meno me lo aspetto, balza veloce avanti e da sopraun masso grida: «Vettaaa!». Sono le 15; il tempo di direuna preghiera, mentre Corrado cerca un posto tra le rocceper l’immagine della Madonna del Rosario di S. Donato edel Roseto Perpetuo fondato da Don Mario, a cui rivolgo unpensiero d’immensa gratitudine. Subito ci affrettiamo giùper la discesa sulla via normale, perché comincia a piovere.Arriviamo al rifugio alle 19, prima dei giovani inglesi, conuna certa soddisfazione delle mie guide. Il gestore ci diceche da 25 anni è lì e non ha mai visto ne sentito di qualcunodella mia età che abbia scalato la cresta sud del Moine.Tutto sia a gloria di Dio Onnipotente e ad onore delle GuideCorrado Chatillard e Allain Kofler.

Lelia Farini Nigrisoli

Al centro della foto l’Aiguille du Moine, a destra in alto il M. Bianco

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HANDICAP E MONTAGNA: LA MIA ESPERIENZA

di Pasquale Parcesepe

T. è cieca dalla nascita.

Sin da piccola si è impegnata a fare ciò che tutti glialtri normalmente fanno.

Mi ha raccontato che giocava a nascondino con ifratelli, che andava in bicicletta per casa. A circa 20 annisi è sposata, ha trovato lavoro, ha avuto un figlio che le dàun sacco di problemi come tutti i figli. Ha anche divorziatoed avuto altre storie. Qualche volta è stata anche al cin-ema e a teatro, tra gli sguardi perplessi e i bisbigli deglialtri spettatori (di cui lei si è sempre resa perfettamenteconto). Un suo desiderio ancora non soddisfatto è guidareun’auto. “Mi hanno detto che all’Osmannoro vi sono deipiazzali enormi che la domenica restano vuoti. E’ vero?”Prima o poi ce la dovrò portare.

Alla montagna non ci aveva mai pensato, né io misarei mai sognato di portarcela, se le sue domande su cosafacciamo la domenica quando andiamo in giro non fosserostate sempre più circostanziate ed interessate.

Un bel giorno, con Elena, le abbiamo messo in spallauno zaino e ai piedi un paio di scarpe pesanti, e siamo

andati. Ogni tanto faceva osservazioni sull’ambientecircostante. “ Ma quanto sono alti questi alberi?” Eravamonella foresta di Vallombrosa e, come si capisce, la domandanon era casuale. “Il rumore del vento è diverso!” Ancorami vengono i brividi a pensarci. I punti che più la divertivanoerano quelli in cui dovevamo viaggiare in fila indiana, conla sua mano appoggiata sul mio zaino. Al di sotto del RifugioSecchiata, dove ci siamo fermati a mangiare il nostropanino, si è accorta che vi erano delle roccette. Seguendolada vicino e dandole dei suggerimenti, si muoveva condisinvoltura dal basso in alto, da destra a sinistra eviceversa.

A questa prima escursione ne sono seguite altre. AMonte Morello ha potuto tuffarsi nella neve per la primavolta da quando era bambina. Alla Secchiata, un’altra volta,ha indossato e camminato sulle ciaspole. Nella montagnapistoiese ha pernottato al Rifugio Portafranca. Nei dintornidel Poggio dell’Incontro ha partecipato ad una escursionedi gruppo dei cui partecipanti ricorda ancora, dopo anni,tutti i nomi.

Che sia vero che a volte l’handicap è solo nelle nostrementi?

Il Gruppo SCI CAI è lieto di invitarvi alla consueta settimana estiva che si svolgerà

dal 22 al 29 agosto 2009 in Alta Val Comelico

L’alta val Comelico (1200 m.), situata nell’estremo lembo settentrionale della provinciadi Belluno al confine con l’Austria, è coperta di prati e boschi che risalgono sulla destra finoalla base della imponente catena rocciosa dell’Aiarnola e sulla sinistra fino alle pendici diCol Quaternà. Verso monte si stagliano il Monte Popera e il Passo della Sentinella.

Dolce e accogliente nei fondovalle e alle basse quote, l’ambiente diviene selvaggioe aspro in altitudine. Poco frequentati dai turisti, alcuni sentieri si arrampicano in ambientirocciosi quasi lunari ma densi di “avventura”. Nella valle si snodano sentieri e stradelliche portano a laghi, casere, rifugi e chiesine o, come a Valgrande, alle terme. Su questi

monti passava il fronte della GrandeGuerra e ancora si incontranofortificazioni, sentieri e grotte scavatenella roccia e residui di ferro arrugginitidal tempo. Non si può non andare colpensiero alla vita che fecero i soldatiitaliani e austriaci in quei tempi.

Le escursioni previste sono adattea tutti i gusti: si passa da facili mainteressanti passeggiate a escursioni susentieri attrezzati e ferrate. Al terminedella settimana sarà organizzataun’esposizione delle migliori fotoscattate dai partecipanti, cui seguiràvalutazione e premiazione.Per informazioni consultate il nostrosito http://www.caifirenze.it/scicai/ oscrivete al nostro indirizzo e-mail:[email protected], oppure telefonateal numero del Cai Firenze 0556120467.

da www.casenuovissime.it

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UNA CORDA PER CONFINE

di Giorgia Contemori

“Non gettiamo la vita che è già breve.Se ognuno di noi saprà depositare ungranello di sabbia, la Montagnanascerà.”

Un piccola citazione da “Al di là dellaMarmolada” scritto da Stefano Melaninel 2007

Stefano sulla cima della Marmolada

Stefano è nato a Firenze il 4ottobre 1964, diplomato all’IstitutoMagistrale G. Capponi dopo quattroattestati e una borsa di studio si è dedicatocon anima e corpo ad una grande passione:la montagna. Amante delle cose naturali,è riuscito ad affermarsi a livello nazionaleper le sue imprese. E’ iscritto al CAI diMaresca – montagna pistoiese – e presso ilgruppo Ambarabà di Scandicci dove svolgeanche il ruolo di consulente tecnico epratico nei percorsi montani.

“Non importa riuscire aconquistare la vetta più alta del mondo,l’importante è essere lassù”. Ogni uomoha i propri limiti, e spesso il silenzio èquel luogo di tormentatoapprofondimento dove è possibile trovareo ritrovare se stessi. Il luogo del silenziopuò rendere più libero ogni uomo”.

Il silenzio e la montagna siincontrano spesso nella ricerca di StefanoMelani sempre attento alle molte attivitàsportive della sua città, Scandicci.Quando ha scritto “Al di là dellaMarmolada” ancora una volta haraccontato, con fotografie e riflessionipersonali, un po’ della montagna ed unpo’ di quanto possa significare per unuomo cercare oltre la visioneconvenzionale della propria fisicità.Perché, come dicono spesso in montagna,quando si prendono certe vie non si puòche continuare ad andare avanti.

L’ultima impresa è del 15 luglio2008, quando ha compiuto la traversatadel Monte Bianco percorrendo in quattroore il tragitto da Aiguille du Midi a 3842

mt sul versante francese, fino a puntaHelbronner sul lato italiano a 3462mt di altitudine. Non si era dato pervinto dopo altri tentativi nellasettimana precedente che eranoandati a vuoto per una bufera di nevea metà percorso con nebbia fitta evento forte. Per la prima provaStefano Melani è andato con la guidaMarco Turchi, mentre martedì 15luglio era accompagnato dalla guidaalpina Max Gianchini di Courmayeur.

“Il primo tratto della salita èstato duro da affrontare perchépercorre una cresta molto sottile;inoltre la difficoltà era data dagli oltresette chilometri da superare a quellequote, dovendo affrontare anche duecrepacci, uno molto impegnativo e dasuperare per la larghezza”.

Stefano Melani ha all’attivoaltre imprese come il primato italianodella Marmolada dalla via normale,fatta in sei ore: anno 2006/ P.ta Penia3342 - anno 2007/ P.ta Rocca in 6oree 30 min. tutte e due insieme allaguida Hubert. Stefano non si era datovinto per la sua passione dellamontagna neanche di fronte alledifficoltà derivanti dalla paraparesispastica da cui è affetto sin dallanascita, che comporta un’invaliditàfisica ed impedisce correttimovimenti degli arti e di conseguenzaimpedisce una corretta postura. PerStefano praticare la montagna èimpegnativo e gli costa molta fatica.Per lui avere scarso controllo deimovimenti e degli arti significa doversviluppare un processo motorio concontinui aggiustamenti e sempre

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13Nel Gruppo del Monte Bianco

rinnovati procedimenti fisico mentali.

“Per affrontare i rischi di unascalata, devo allenarmi molto, macredo nelle mie possibilità. Conl’esperienza maturata in venti annid’alpinismo, ho perfezionato unatecnica personale che mi consente disfruttare al meglio le forze e dieconomizzare le energie. Ogni salitaè come una maratona solitaria, chedevo e voglio portare a termine senzal’aiuto di nessuno”.

Quando Stefano mi ha fattoquesta descrizione mi è sembratastrana e volevo togliere l’aggettivo“solitario” perchè credo sia una dellepersone più socievoli e cordiali che ioconosca: ma lui mi ha spiegato meglioche in montagna “è solitario”, e soloin quella dimensione.

“Pensaci, solo in quelladimensione puoi ritrovare te stesso egli istinti soppressi dalla vitaquotidiana. Solo in quella dimensioneposso provare tutto questo. Stareinsieme alle persone mi piace, micoinvolge lo scambio di idee e diesperienze fatte. Ognuno ha il suocammino e la sua “via” però!”.

Ha salito in cinque ore la ferrataOlivieri alla Punta Anna, nel gruppodelle Tofane, scendendo al RifugioDibona. Un tempo buono anche perescursionisti allenati. La ferrataOlivieri è considerata piuttostoimpegnativa. Gli escursionisti espertila valutano così perché è priva discalette, ed anche i tratti più espostie verticali sono attrezzati quasiesclusivamente con funi metalliche

“Nello svolgimento di quellascalata non ho avuto un attimod’esitazione, neanche quando lapioggia aveva reso scivolosa la partefinale della parete. Un percorso svoltocon decisione e caparbietà, sonorimasto molto concentrato nellosvolgimento delle difficoltà ma non hoperso mai la mia serenità. Ero conAlfredo Pozza (guida alpina) e con miopadre Franco, ma ho cercato la miastrada e non mi sono basato sulchiedere loro aiuto. E così ho vissutoanche la salita della Ferrata BrigataTridentina al Pisciadù, la salita alMonte Averau, la Ferrata Siggioli alPizzo d’Uccello. Mi sono impegnatoanche in escursioni invernali, su vie dighiaccio con pendenze attorno ai 50'.Quando sono stato all’Alpe delle TrePotenze ed in un’altra occasione alloSpigolino del Lago Scaffaiolo sono statomolto contento sia per il percorsosvolto sia per l’ambiente”.

Stefano ha dovuto lottare conl’ignoranza di persone poco sensibili ediffidenti nei confronti di chi faqualcosa fuori dagli schemi. Ma èanche stato più volte protagonista diservizi fotografici su rivistespecializzate come “No Limits” e“Plein air” che hanno raccontato le sueimprese. Ha raccontato la suaesperienza ad incontri e convegni (ultimo della serie Doping Vs SportComunicare valori crescere veri sportivipromosso dalla Regione Toscana e CONInel 2007). Con la sua indole socievolee comunicativa ha collaborato allarealizzazione di alcune serate diincontro con grandi nomi del mondoalpinistico assieme alla sottosezioneCai di Scandicci, l’assessorato allo sportdel Comune di Scandicci e non ultimigli sponsor Salewa e Climb.

Nell’Ottobre 2007 una serataassieme a Maurizio Zanolla detto Manoloed al racconto della sua storiaalpinistica e personale, nel dicembre2008 la serata conferenza dedicataall’avvincente racconto per parole eimmagini delle spettacolari imprese diChristoph Hainz. Durante l’annoStefano si allena costantementeinsieme alla squadra di calcio locale.L’allenamento prosegue anche nel finesettimana sulle montagne. Collaboraalla gestione del Rifugio del Montanaro

(Maresca) assieme agli altri soci edamici. Il programma delle sue attivitàè in sviluppo continuo, seguendo levarie fasi di vita.

“Nella mia vita quotidiana la ricercadell’avventura è uno stimolo, mientusiasmo nella sfida delle difficoltàe nel lottare per un obiettivo. Lamontagna mi ripaga da tutte lefatiche. E’ un’esperienza unica lagratificazione che provodall’infrangere le barriere, materiali,ideali o culturali che siano. I miei limitifisici mi condizionano meno di quellipsicologici. Tutti possiamo otteneredi più, basta volerlo”.

Patrick de Gayardon perse lavita nel 1998, nei cieli delle Hawaiidurante un lancio di prova con la suatuta alare. Il primo paracadute si aprìin maniera errata e lui fu costretto asganciare quello di riserva che siavvinghiò all’altro impedendone ladiscesa. A questa notizia la sera andaia dormire con una grande tristezza nelcuore, lui mi piaceva perchè mistimolava la fantasia. La mattina dopomi risvegliai con una frase in menteche mi sono scritto e che da allora miaccompagna in tante occasioni:“Il nulla è impossibile, l’infinito èpossibile immaginarlo, l’impossibile ètutto da scoprire ed io lo scoprirò”.

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IL SENTIERO

DELLE BURRAIE

di Gabriele Inghirami

Lo scorso 12 ottobre 2008, in una bella giornata disole, è stato inaugurato il Sentiero delle Burraie, un percorsoescursionistico ad anello che collega fra di loro quasi tutte leburraie presenti nell’Area Naturale Protetta di Interesse Lo-cale di Poggio Ripaghera, S.Brigida, Valle dell’Inferno.

L’evento, al quale hanno preso parte quasi 400 persone,è consistito principalmente in una tranquilla passeggiata lungoparte del sentiero, visitando alcune fra le burraie più sugges-tive, seguita da un pranzo ed un intrattenimento musicalepomeridiano. L’inaugurazione, che ha avuto un successo oltrele aspettative, è stata però solo l’epilogo di una lunga serie dilavori che hanno richiesto più di 2500 ore complessive di tempoper essere realizzati.

Tutto ebbe inizio poco più di due anni fa, quando alcuniamici del Gruppo Escursionistico “Il Crinale”, di Olmo,proposero a noi della Sottosezione di Pontassieve e al GruppoEscursionisti Organizzati di Sieci di impegnarci in quest’opera,chiedendo per la sua realizzazione un contributo all’Ente Cassadi Risparmio di Firenze. Furono fatte così un paio di uscite perrendersi meglio conto di che cosa si sarebbe trattato, ma ci fusubito un consenso corale verso questa iniziativa. Si decise

che a presentare la domanda sarebbe stato il CAI a nome ditutti, così fu chiesto al nostro presidente Aldo Terreni seavrebbe approvato questo progetto: Aldo fin da subitomanifestò vivo interesse e in effetti, fino alla fine, non ha maifatto mancare il suo appoggio. Nell’iniziativa fin da subito fucoinvolto il Comune di Pontassieve, che offrì il suo patrocinioe che contattò e si assicurò il consenso ai lavori di tutti iproprietari dei terreni interessati dal sentiero.

Brunero Berti, coordinatore di tutto il progetto, sociosia della Sottosezione che del Crinale, insieme ad altri volontaridelle tre associazioni, iniziò a ricercare preventivi, a faresopralluoghi, fotografie, rilevamenti con gps e vari conti,cosicché nel giugno 2007, grazie anche all’attenta opera direvisione finale di Annalisa Berzi, fu possibile presentare unadomanda organica, ben strutturata e ben motivata, tant’èche lo scorso inverno ci fu comunicato che ci sarebbe stataconcessa quasi tutta la somma richiesta. A quel punto sonopartiti davvero i grandi lavori: è vero che in parte si è sfruttatala rete sentieristica esistente, ma c’erano anche svariati altritratti molto infestati dalla vegetazione da ripulire, aree daspianare, cartelli da piantare, canalette da scavare e tantoaltro ancora. I volontari più volenterosi sono diventati quasi

sopra: esterno della Burraia Bacio

nella pagina a fianco: una cartina semplificata del sentiero

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una piccola tribù selvaggia di interesse antropologico: eranosempre lì, a tagliare, a segare, a scavare, a lottare con ilcaldo e con i tafani, “cum aere et nubilo et sereno et omnetempo”. In alcune burraie sono stati fatti anche alcuniinterventi di recupero, ad esempio sistemando un po’ le vascheed il circolo dell’acqua e rimuovendo dal pavimento lastricatolo spesso strato di terra accumulatosi con gli anni.

Con la preziosissima collaborazione dello storico MarioMantovani, nostro socio, e del grafico Massimo Conti delCrinale, sono state realizzate tabelle e bacheche informative.A coronamento di tutta l’iniziativa, è stata preparata estampata una bella cartoguida in scala 1:10.000 di tutto ilpercorso, ottenendo dal Comune di Pontassieve il permesso diusare la base cartografica CTR, nonché, grazie al SIT, unnotevole aiuto con i primi plottaggi della carta. Dei testi cene siamo occupati Mario Mantovani ed io, della grafica MassimoConti, dei rilevamenti Brunero, SELCA ha provveduto astampare il tutto facendo alcune rifiniture, come la sfumaturadella carta, e dandoci anche alcuni consigli. Grazie a RiccardoBiffoli del GEO è stato possibile tradurre in inglese sia lacartoguida sia le tabelle e le bacheche.

Ormai sul finire dei lavori, dell’iniziativa se ne èinteressata anche l’APT di Firenze, che ha patrocinatoanch’essa l’iniziativa e che distribuirà nel suo circuito buonaparte delle 5.000 copie della cartoguida, di cui 1.000 in inglese;nell’anno in corso dovrebbe essere inoltre realizzato un qualcheevento per pubblicizzare il sentiero. Si ricorda a tutti che lacartoguida è gratuitamente disponibile per chiunque la desiderie che del materiale informativo è reperibile anche su http://www.caipontassieve.it/sb (sezione del sito da completare almomento in cui scrivo). Dopo alcuni imprevisti di vario tipo, il10 ottobre 2008 il sentiero è stato presentato in Comune aPontassieve, con gli interventi del nostro presidente Aldo Terreni,del Prof. Paolo Blasi dell’Ente CRF, dell’Assessore Pasquini delComune di Pontassieve, di Mario Mantovani, che ha fatto unainteressante ricostruzione storica, e con la proiezione dellosplendido audiovisivo di Massimo Conti. E il 12 ottobre, comedetto all’inizio, finalmente il taglio del nastro!

Prima di passare ad altro, trovo giusto ricordare eringraziare quanti fra i nostri soci non sono stati citati finora,ma che hanno contribuito alla realizzazione del progetto:Lorenzo Boninsegni, Paolo Dini, Giuseppe Maccianti, PatriziaMasi, Dario Miniati, Giuliano Giovannini, Adele Loscalzo, PietroMercanti, Pierluigi Ottanelli, Rosalba Ugolini ed i tantissimiamici del Crinale e del GEO, troppo numerosi per essereelencati tutti, capitanati rispettivamente da Paolo Sorbi eGiuliano Marranci. Un doveroso ringraziamento anche a ElisaSpilotros e Gianna Piccardi, del Comune di Pontassieve, ai

proprietari delle burraie che hanno dato il loro benestare,agli amici della Sezione che hanno preparato con perizia icartelli, in particolare Pasquale Parcesepe e Piero Lazzerini,nonché, infine, a Enrico Sani che ha seguito tutta la parteamministrativa e contabile per conto della Sezione. Chiedosentitamente scusa a chi avessi dimenticato!

Le burraie

Dopo tanto parlare su cosa è stato fatto e da chi, parliamoadesso un po’ delle protagoniste del progetto: le burraie. Avreivoluto buttar giù un pezzo io, per non farlo uguale allacartoguida, ma, dato che esperti non ci si improvvisa, piuttostoche esibirmi in una brutta copia preferisco riportarefedelmente quanto lì scritto da Mario Mantovani. Nello sviluppostorico dell’economia pre-industriale, dominatadall’agricoltura, i terreni marginali, e gran parte dei boschi,erano originariamente indivisi, cioè “comuni”, nonappartenendo a singoli proprietari ma ai gruppi di famiglieche risiedevano in questo quel villaggio vicino. Oltre a ciò, lecomunità agrarie del passato potevano contare, soprattuttoin montagna, anche su vari diritti che potevano far valere suiterreni dei privati: da quello di poter raccogliere la “legnamorta” a quello di pascolare ovini e suini nei campi o neicastagneti dopo la raccolta, e altri simili, variabili da zona azona secondo gli usi tramandatisi nei secoli.

Nel 1765 in Toscana, con l’ascesa al titolo di Granducadi Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, inizia il periodo delleriforme ispirate alle teorie illuministe e fisiocratiche, cheportano all’abolizione di tutte queste consuetudini, assiemealle altre che limitavano lo sviluppo di un’agricoltura moderna:i vincoli alle proprietà ecclesiastiche, i vincoli testamentari, ilimiti al commercio dei grani. Grazie a queste riforme, i terrenidi montagna e alto-collinari, come quelli in cui si trova oggil’ANPIL di Poggio Ripaghera, diventano interessanti per i nuoviimprenditori agricolo-forestali, che acquistano i terreni comunimessi all’asta e vi impiantano nuove cascine. La vicinanza delmercato cittadino favorisce, per queste colline, l’abbandonodella millenaria pratica della transumanza degli ovini (chevenivano portati a svernare nei pascoli delle maremme) perpassare al nuovo mercato del bestiame vaccino. E’ soprattuttol’Ottocento il secolo che vedrà questo sviluppo, con laborghesia cittadina che si orienta sempre di più verso le carnibovine, e l’introduzione del burro in una cucina che, fino adallora, lo aveva usato con grande parsimonia, anche per lasua difficoltà di conservazione. Nelle famiglie contadine dellebasse colline, il burro era merce rara, dato che i bovini allevatidal mezzadro avevano quasi esclusivamente il compito dierogare forza motrice per l’aratro e per il carro; inoltre latradizionale organizzazione del podere, incentrata su grano,

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olivo e vite, non lasciava spazio alla produzione di foraggio,limitata anche dal clima troppo arido. Così i nuovi terreni dialta collina, più freschi, potevano coprire una parte delladomanda cittadina di carni e latticini, grazie alle nuove cascine(da cascio, cioè cacio, formaggio) dove, pur continuandol’allevamento degli ovini, si incrementava via via quello deibovini. Per averne un’idea, nel 1930 una cascina di mediedimensioni ospitava da 7 a 15 vacche da latte, producendocirca 240 Kg di burro e 50 Kg di formaggio di pecora. Si allevavaanche qualche suino, nutrito con lo scarto della lavorazionedel burro, il latticello, e con castagne e ghiande.

I prodotti delle cascine venivano portati a dorso di mulo,o con le tregge (traini senza ruote), fino ai mercati difondovalle; i trasporti più agevoli erano quelli dei vitellidestinati al macello, che provvedevano, ignari, a consegnarsicon le loro zampe. La produzione del burro non avvenivadirettamente in cascina, ma in piccole costruzioni non lontane:le burraie. Si trattava di edifici in muratura, a piano unico, incui si cercava in ogni maniera di garantire una temperaturafresca, la più fresca possibile. Perciò la burraia era quasisempre scavata o appoggiata a una scarpata rivolta a Nord, inun luogo ombroso, e soprattutto doveva avere una grandedisponibilità di acqua fresca, proveniente da una vicinasorgente: era indispensabile per la produzione, lavorazione econservazione del burro. Per mantenere una bassa temperaturaall’interno, le burraie non avevano finestre: c’era solo unapiccola, caratteristica presa d’aria sopra la porta di ingresso.Alcune avevano due stanze, ma la maggioranza era compostada un vano unico, coperto da una volta a botte, che “penetra”nel fianco della collina nel tentativo di nascondersi dal caloredel sole. Per ottenere il burro dal latte (4-5 chili da 100 litri dilatte) si utilizzavano utensili in legno, mestoli e secchi, prodottiin proprio o da artigiani locali: Lo strumento più importanteera la zàngola, utilizzata fin dall’antichità: un mastello inlegno, alto e stretto, con un coperchio forato al centro; nelforo passava un’asta munita di uno stantuffo di legno cheveniva mosso su e giù. Se la temperatura è quella giusta(intorno ai 12°) dopo 40-50 minuti di lavorazione il grassocontenuto nel latte inizia ad agglomerarsi, separandosi dallaparte acquosa (il latticello). A questo punto è necessario lavarecon abbondante acqua, impastare e modellare il panetto diburro, il tutto mantenendo la temperatura ben al di sotto delpunto di fusione (tra i 28 e 33 gradi). Per questo, nelle burraiesi trovavano piani di lavoro in pietra, con piccole vaschettescavate e collegate fra loro da canalette dove fluiva l’acquaincaricata di mantenere il burro a temperatura costante. Allafine del processo, il prodotto veniva immagazzinato in vaschedove, sempre grazie all’acqua corrente, si manteneva al fresco.La produzione di burro in questi locali è durata fino al secondodopoguerra poi, a partire dagli anni ’50 del ‘900, le cascinesono state progressivamente abbandonate e così le burraieche, a parte rari casi, hanno subito un inevitabile degrado. Alloro posto si usano ormai ambienti refrigerati e ognuno di noiha ormai un frigorifero in casa.

Il percorso.

Non mi metterò a descrivere il percorso nei dettagli, per quelloc’è la cartoguida, darò solo qualche informazione generale.Il sentiero è lungo circa 16 Km, con 938 metri di dislivello insalita e, ovviamente, trattandosi di un anello, altrettanti indiscesa. Il percorso è per la maggior parte ombreggiato,tuttavia, date le basse quote, si sconsiglia di percorrerlo nelleore estive più calde. Tutte le burraie sono proprietà privata,in generale è quindi vietato entrarvi; la burraia di Rocchettaè chiusa da un cancello, mentre quella di Violana è in prossimitàdi una abitazione ed è tuttora usata come cantina, è quindiassolutamente necessario, una volta arrivati dinanzi alla casa,chiamare la signora Anna o suo fratello e chiedere il permessoper visitarla, solitamente accordato senza problemi se ci simostra gentili e rispettosi.

Le burraie di Peretola e Caprile si trovano in unaazienda faunistico-venatoria, i cui proprietari, prima favorevoli

sopra: taglio del nastro.da sinistra A. Terreni (Presidente CAI Firenze), G. Marranci

(Presidente GEO), A. Sarti (Assessore Comune diPontassieve), P. Sorbi (Presidente Il Crinale)

sotto dall’alto: Burraia di Fontassenzio, Burraia diFonterinalda e la vasca interna

nella pagina a fianco da sinistra: La Sorgente di Castelluccioe la Burraia del Bacio

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al progetto, hanno poi ritirato la loro disponibilità, tant’è cheabbiamo dovuto cambiare collocazione a due aree di sosta enon abbiamo potuto mettere i cartelli; la burraia di Peretolaè tuttavia ben visibile, trovandosi proprio sul bordo del Sentierodelle Burraie, che in quel tratto è su una strada con dirittopubblico di passaggio su cui corre da sempre anche lo 00,mentre per quella di Caprile ci sono più problemi perché pervederla occorre lasciare la strada per qualche decina di metri,con tutti i rischi che questo può comportare in periodo dicaccia. Lungo il percorso ci sono alcuni punti in cui si può farerifornimento d’acqua, ma generalmente non viene controllatae non se ne può pertanto garantire la potabilità. La fitta retedi sentieri presente in zona consente di effettuare passeggiatedi varia lunghezza utilizzando solo in parte il Sentiero delleBurraie, con la possibilità di vari anelli a seconda del tempo adisposizione e dell’impegno che si vuol profondere nelcamminare; nella cartoguida abbiamo inserito alcune proposte,ma se ne possono individuare numerose altre di sicuro inter-esse. Nell’ANPIL, infatti, oltre alle burraie, non mancano leattrattive: c’è il cisto laurino, o fiore della Madonna, presentesolo qui in tutta Italia, i cui candidi e fugaci fiori si possono

ammirare da fine maggio ai primi di giugno, ci sono le rovinedel Castello di Monterotondo, con la sua suggestiva TorreMedioevale, c’è il lastricato settecentesco della Via del Sasso,che da Santa Brigida conduce allo splendido Santuario dellaMadonna delle Grazie al Sasso, ci sono emergenze geologiche,ci sono ampi panorami che spaziano su Firenze, sul Valdarno,sul Mugello e su buona parte della Toscana, c’è, insomma, unpiccolo angolo di paradiso a due passi da Firenze.

La facilità e la rapidità con cui si può raggiungereS.Brigida dalla città, da Pontassieve e da Borgo S.Lorenzo rendeil Sentiero delle Burraie un percorso ideale per le escursionicon i ragazzi delle scuole e per chiunque cerchi un po’ di svagointelligente circondato dalla natura e dalla cultura.

Per chi fosse interessato ad una visita guidata,comunichiamo che domenica 11 ottobre la Sottosezione diPontassieve, insieme agli amici del Crinale e del GEO, organizzauna piacevole escursione lungo il sentiero (la gita su ferrataoriginariamente in programma è stata anticipata al 4 ottobre).

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di Roberto Masoni

Due anni fa, più o meno di questi tempi, presentai una seratache rientrava nell’ambito di una serie di incontri inseriti nel pano-rama, più vasto, del programma del Gruppo Alpinistico Tita Piaz. Scelsi,in quell’occasione, di parlare della storia alpinistica dell’Eiger, unaserata all’insegna de “L’orco di pietra e di ghiaccio”. Ripercorsi letappe fondamentali di quest’affascinante e terribile storia evitandotuttavia di dilungarmi troppo su un fatto che, per l’alpinismo italiano,avrebbe senz’altro avuto notevole importanza qualora il finale fossestato diverso. Mi limitai, infatti, solo a qualche accenno che aveva,ed ebbe più che altro, lo scopo di rivedere certe affermazioni scritteda Heinrich Harrer, nel suo libro “Il ragno bianco” (Die Weisse Spinne)di cui parlerò in seguito. L’episodio al quale mi riferisco è lo sfortunatotentativo di Claudio Corti e Stefano Longhi.

Molto è stato scritto sull’argomento. Eppure, ancora oggi, apiù di 50 anni di distanza dai fatti, non si è esaurito l’interesse perquella che potremmo definire, a posteriori, una tragedia mediatica.Ultimo libro sul tema, in ordine di tempo, è “Il prigioniero dell’Eiger”,uscito dalla fiorente penna di Giorgio Spreafico. Non molto tempo fa,dello stesso Autore, avevo letto “Enigma Cerro Torre”, libro che,francamente, non mi aveva entusiasmato, non tanto per l’invidiabileagilità con cui Spreafico scrive, quanto perché il libro non aggiungevaniente a quanto già sapevamo. Questo nuovo libro sulla sventurataavventura di Corti, aggiunge invece, per più aspetti, nuovi elementi,nuove testimonianze e nuovi termini di discussiE’ l’agosto del 1957,quando Claudio Corti parte da Lecco con la dichiarata intenzione di

portare a termine la prima ripetizione italiana della viaHeckmair alla nord dell’Eiger, la classica aperta nel 1938.Un sogno che accarezza con Stefano Longhi, l’unico cheha accettato di seguirlo in questa sua esaltanteavventura. Parte senza fanfara, Corti, a luci spente, conil massimo riserbo. Attaccano e non ci mettono molto afare la conoscenza dell’Eiger che non tarda a presentareil suo biglietto da visita, sbagliano subito itinerario,bivaccano, si riportano sulla Heckmair dove sono raggiuntida due tedeschi con i quali, tralascio i motivi per questionidi spazio, si legano in un’unica cordata. Seguiranno altriquattro bivacchi, Claudio non si risparmierà, “tira” tuttiguidando i compagni su nevai bombardati dalle pietre,all’interno di budelli bagnati, lungo bordi frantumati dicamini intasati dal ghiaccio. In prossimità delle fessurefinali, quando i metri che li separano dall’uscita dellavia non sono molti, Stefano cade a causa dei congelamentisubiti alle mani, producendosi in un terribile pendoloche si esaurisce sotto incombenti strapiombi. Claudioprova, riprova, stimola Stefano a riprendersi ma itentativi di recupero sono vani. Nella mente di Claudiosi affollano mille pensieri, mille dubbi che fanno a cozzicon un certo tipo di etica alpinistica, come si fa a lasciareun compagno in difficoltà? Non ha scelta, prende l’unicadecisione da prendere, cala Stefano di qualche metro edopo averlo ben assicurato a due corde su una cengiasufficientemente spaziosa, prosegue assicurandogli ognisforzo per soccorrerlo. Ma l’Orco non ha esaurito le suesorprese; poche decine di metri sopra anche il fortealpinista di Olginate è ferito da una scarica di sassi allatesta, vola per una trentina di metri, si rende subitoconto di non poter proseguire, è anch’egli costretto adabbandonare il tentativo. Non ha alternativa, non ce lafa nemmeno a stare in piedi. Ai due tedeschi, uno deiquali sofferente, il compito d’allertare i soccorsi. GünterNothdurft e Franz Mayer, questi i loro nomi, nongiungeranno mai a destinazione, i loro corpi sarannoritrovati nel 1961, morti probabilmente dopo un lungo,disperato bivacco, lungo la via di discesa più comune,quella del versante ovest. La loro salita è,doverosamente, annoverata come la 14ma ascensionedella nord dell’Eiger.

I soccorsi arriveranno comunque. Già da un paio digiorni, notando la lentezza della cordata, alla KleineSheidegg hanno allertato varie squadre di soccorso. Cortisarà tratto in salvo con un’operazione di recupero cheper i tempi fu realmente all’avanguardia, l’utilizzo cioèdi un verricello che dalla cima dell’Eiger calerà unvolontario (Alfred Hellepart) per circa 200 mt. fino al

“Bivacco Corti”, come da quel giorno prenderà nome il luogo. PerLonghi non vi sarà finale altrettanto fortunato, ci vorranno due anniper recuperare il suo corpo morbosamente divenuto, nel frattempo,triste attrazione per i tanti turisti della Kleine Scheidegg ai quali nonsaranno negati potenti cannocchiali a pagamento.

Un tragico tentativo dunque. Per Claudio Corti, tuttavia, chegià aveva perso un compagno sulla nord, il peggio doveva ancoraarrivare. Al suo ritorno a Lecco non gli furono risparmiate criticheferoci, critiche sulla sua capacità di affrontare un’impresa del genere,critiche sul fatto che Longhi, avanti negli anni, fosse ancor menocapace, alpinisticamente parlando, dello stesso Corti. Critiche sullasorte dei tedeschi dei quali Corti fu nemmeno tanto sottilmenteincolpato della morte per propri vantaggi. Insomma … accuse pesantiper un uomo già sopraffatto dagli eventi, corroso nelle propriecertezze, debilitato dai dubbi. Prigioniero dei propri sogni, ecco …questa è la parola giusta, ed ancora prigioniero di una montagna,l’Eiger, che non sembra concedergli tregua.

Fra i critici più spietati trovò spazio Guido Tonella, giornalistadell’Europeo, che non risparmiò a Corti velenosi articoli, e trovò spazioanche un mito dell’alpinismo, Riccardo Cassin allora Presidente dellaSezione di Lecco del CAI e Presidente, al tempo stesso, dellaCommissione Nazionale Scuole di Alpinismo. L’accusa rivolta erachiaramente quella d’incapacità, di mancata preparazione e,soprattutto, quella ancora più atroce per Corti, di aver abbandonato

Il prigioniero dell’EigerUn libro di Giorgio Spreafico apre nuovi scenari sulla vicenda del 1957

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un compagno di cordata incapace ma ancora vivo. Certo ne sapeva qualcosaCassin, di compagni morti, che sul Badile ne aveva dovuti lasciare due, distesisul terreno. (La convinzione di Cassin sull’incapacità di Longhi non è un segretoné taciuta. “Il povero Longhi non valeva niente come alpinista” ebbe, infatti,a dichiarare a Jack Olsen, Autore del bestseller “The climb up to hell” –pubblicato in Italia con il titolo di “Arrampicarsi all’inferno”).

In tale umano sfacelo anche il CAI giocò la sua partita e calò le suecarte. Chiamato a decidere in merito alla richiesta d’espulsione di Corti dalsodalizio chiese al malaugurato alpinista relazioni della via, chiese versioniverosimili dell’accaduto, chiese dati, termini, tempi, dinamiche … Per un uomogenuino, semplice, buono come Corti non fu facile trovarsi di fronte un giocatoreincallito come il CAI e ciononostante affetto da propria congenita lentezza edagli ereditari dubbi della propria aristocrazia. Fu tuttavia una partita giocataalla pari dall’esito fatalmente scontato. Il CAI, sodalizio che più rappresentava,dovrebbe rappresentare, il primato in termini di cultura e di conoscenzadell’alpinismo, non calò l’asso che teneva in mano e si comportò come moltealtre volte si era già comportato e come altre volte avrebbe deciso, in futuro,di comportarsi: decise di non decidere. Tutto sommato, pur entro sottili confinidi condotta, fu la soluzione migliore. Non ci deve meravigliare, pensate che cisono voluti 50 anni, ed una commissione d’inchiesta, per fare chiarezza su ciòche tutti i benpensanti e gli alpinisti con un briciolo d’obiettività avevano giàcolto a proposito delle note vicende accadute nel corso della spedizione al K2del 1954.

Nel libro di Spreafico si fa riferimento a tutti i fatti sin qui scritti, ma sifa riferimento anche ad altri eventi. Uno su tutti, che il comportamento diCassin fosse … come dire … di stizza. Non solo per essere stato tenuto all’oscurodel tentativo di Corti ma anche per avere da tempo programmato con Mauri lasalita della nord a distanza di pochi giorni. Mauri … che in tante altre occasioniaveva accettato la guida sicura di Corti in parete, non solo gli si scagliò contro,ma si scagliò anche, ed inspiegabilmente, contro Nothdurft e Mayer, colpevolidi esserglisi affidati. Spreafico offre, fra le pagine del libro, una chiave dilettura plausibile del fatto, non risparmiando al Lettore ampie testimonianzesul fatto che l’autorevole leadership di Cassin, soprattutto a Lecco, avessecreato invidie e malumori.

Non so se Corti è stato un valido alpinista, presumo tuttavia per il sì.Certo non poteva essere così scarso come qualcuno lo ha dipinto; appartenevaal Gruppo dei Ragni e vi apparteneva molto prima dell’ingresso di Cassin stesso,si era particolarmente distinto su roccia per la sua attività, per le sue vie inGrigna, in Dolomiti, al Resegone ma anche, più in generale, su tutto l’arcoalpino. Aveva aperto una via, al Badile, di elevatissime difficoltà. Partecipòalla spedizione dei Ragni, pilotata da Casimiro Ferrari, che conquistò il CerroTorre nel 1974. Il suo curriculum alpinistico gli valse, complessivamente,l’ingresso nel Club Alpino Accademico Italiano di cui, ancora oggi, è membro.Un ingresso tormentato dalle vicende dell’Eiger, un ingresso che, dopo un timidotentativo del 1969 che si concluse con il ritiro della domanda di ammissione, fuufficializzato solo anni dopo, nel 1974. A promuovere l’ingresso di Corti nelCAAI, come prassi vuole, furono Gino Esposito (già compagno di Cassin allaWalker), Luigi Airoldi e Giulio Bartesaghi, tre lecchesi, tre Ragni. A dare forteimpulso all’ingresso di Corti nell’Accademico fuanche Roberto Osio in prima persona, alloraPresidente dell’Accademico e, manco a dirlo,anch’egli un “maglione rosso” della Grignetta. Osionon si lasciò sfuggire l’occasione di affermare chesi trattava solo di “valutare il complessodell’attività di un normale candidato”, di decidereinsomma “in base alla quantità ed alla qualità”delle scalate realizzate dal Claudio. Ad accoglierlonell’Accademico, manco a farlo apposta, duevecchie conoscenze: Riccardo Cassin e GuidoTonella, due personaggi che tanto lo avevanoavversato.

Si è affermato che Corti affrontò la salitadell’Eiger con troppa leggerezza e pocheinformazioni in merito. C’è chi ha affermato, acausa di banali errori lessicali, che Corti non avessecoscienza di cosa facesse e tantomeno avesse unostraccio di relazione della via. Al di là di ogniragionevole dubbio, ricordo un fatto poco noto aipiù: Corti “saltò” quasi tutto il Ragno (“der Spinne”per chi vuole cercarselo sulle relazioni) grazie aduna variante aperta nel luglio del 1950 dagliaustriaci Leo Forstenlechner ed Erich Wascak.

Variante, affatto conosciuta, di cui varrebbe la penaraccontare essendo un’altra grande, entusiasmante paginadi alpinismo per il fatto di essere considerata la primaripetizione in giornata della nord dell’Eiger. Una variante,quella degli austriaci, che taglia la parete molto sopra lamitica “Traversata degli Dei” (“Gotterquergang”) e che, difatto, conduce diretta alle fessure terminali (“Austiegsrisse”)eliminando, se non altro almeno in parte, il bombardamentodi sassi sempre in agguato in quella grande trappola chiamataRagno. Credo che chiunque affronti la nord sappia che lacosiddetta rampa (“Rampe”), unica soluzione per avereaccesso ad ambedue questi tanto temuti traversi, chiusacom’è da enormi strapiombi, non è una possibile via d’uscita.Come poteva non saperlo Corti? Se proseguì lungo la rampalo fece intenzionalmente, per motivi di sicurezza dellacordata, ben sapendo che aveva un’alternativa possibile incondizioni migliori o almeno, presunte tali. Questi i motivi

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per cui Corti non poteva non avere, o non aver avuto, fra le maniuna relazione su cui leggere queste informazioni. Purtroppo quellavariante, forse decisa per le cattive condizioni di salute diNordfurth, fu il tratto di parete fatale a Longhi.

Mi sono permesso altre ricerche. Nel 1959 Corti rilasciòun’intervista a Gianni Roghi dell’Europeo, nota firma delgiornalismo, che apparirà sul n. 29 dello stesso anno. Ricordiamoci

che nel 1959 i corpi dei duetedeschi non erano ancora statiritrovati. In quell’intervista cheRoghi intitolerà “Non sono uncriminale” (c’è una versioneintegrale dell’articolo anche sulweb) Corti rispose così alledomande del giornalista: “Era l’8agosto: eravamo in paretedall’alba del 3, cinque giorni.Dopo il bivacco, che ho trascorsofrizionando le mani di Longhi perun principio di congelamento.traverso a destra per raggiungerequel nevaio che si chiama Ragno.Sono le sei del mattino. Faccio ve-nire i due tedeschi, uno dei qualiè da tre giorni che sta male,sempre peggio di ora in ora. Ul-

timo deve venire Longhi. Gli ordinodi levare i chiodi prima di muoversi.Parte, dopo tre metri vola e urla:“Tienimi Claudio!”. Mi preparo allostrappo, e solo per miracolo non loseguiamo tutti. Riesco atrattenerlo, lui mi grida di calarloper due metri: sotto c’è unacengia. Lo calo, lo assicuro a duechiodi e due corde. Adesso stia asentire bene. La cengia dove sonoio con i due tedeschi, che stannoa cinque metri da me, piùavanti, è coperta di neveghiacciata, con un pendio di

settanta, ottanta gradi fino all’orlo. Io sonoin cima al pendio, e il Longhi non posso vederlo. Da lì non possotirarlo perché le corde fanno attrito sull’orlo ghiacciato dellacengia. Mi faccio calare dai tedeschi per una quindicina di metrifino all’orlo, guardo giù e vedo Longhi venti metri sotto. Gli chiedose si è fatto male. Mi risponde soltanto che è volato perché lemani congelate non gli hanno tenuto la presa. “Tirami su”, migrida. Gli dico che da dove sono non posso, sono in bilico sullo

strapiombo, e il tedesco che è ancora in gamba non può aiutarmiperché deve già tenere in sicurezza il suo compagno menomato.Longhi non risponde niente. “Sistemati il meglio possibile”, gligrido, “noi corriamo in vetta e chiediamo soccorso”. […] Gli mandogiù il mio sacco da bivacco, e tutti i viveri e i medicinali che misono rimasti. Lui aveva sulle spalle il sacco suo. Vedo che se lotoglie, lo depone sulla cengia. Una cengia larga un metro e lungauna decina: comoda, insomma, e sicura. “Ciao”, gli dico,“coraggio”. Longhi è d’accordo, mi saluta”. Questo è ciò che disseCorti. Alla domanda successiva, se fosse cioè al corrente di qualesorte fosse capitata ai due tedeschi rispose: “La cima distavaduecento metri. Il maltempo, che già incombeva dalla sera del 4,peggiorò. Si mise a nevicare. “Lei non sa nulla, non udì nulla deitedeschi scomparsi?” chiediamo al Corti. “Nulla”, risponde. “io miero ficcato nella tenda da bivacco che mi avevano lasciato tedeschi.Credo che siano alla base della parete, in qualche crepaccio, cometanti altri”. Il ritrovamento dei corpi di Northfurt e Mayer darannoragione alla versione di Corti, furono veramente la chiave di volta.Una chiave, lo possiamo dire, che non sarà certamente piaciuta adHarrer che aveva meschinamente accusato Corti di aver fatto fuori– sì fatto fuori - i due tedeschi per salvarsi. E lo aveva fatto cosìbene, ed a tal punto, da modificare il senso delle relazioni di Cortistesso. Nella riedizione italiana del libro, che sarà intitolato “PareteNord” (Mondadori 2001) si procedette ad una nuova traduzionedove furono trovate molte inesattezze, alcune ritenute volute.Una su tutte “raggiungo i tedeschi” anziché, correttamente,“recupero i tedeschi”. Banale? Mica tanto, come gli alpinisti sanno …

Concludo con un’ultima osservazione rimandando i Lettorialla lettura del libro di Spreafico.

Credo che chiunque ha assistito ad una delle mie serate osi sia interessato storicamente della vicenda si sia fatto un’idea sulprofilo umano di Harrer, uno dei quattro vincitori della nord.Sicuramente, non c’è dubbio a proposito, fu il più feroce e spietatoaccusatore di Corti. Accuse che appaiono pregiudizievoli neiconfronti degli italiani e degli alpinisti italiani in particolare. Ac-cuse, alle quali dedicò un intero capitolo del Ragno Bianco, cheassunsero l’aspetto di vere e proprie calunnie ed infamantiattribuzioni di colpa nei confronti di Corti. Lui … che si erapresentato all’appuntamento con l’Eiger quasi come un dilettante,senza alcuna coscienza - lui davvero - delle difficoltà che l’Eigerpresentava. Non a caso il grande Heckmair ha più volte ripetuto esostenuto, evitando giri di parole e fraintendimenti, che se lo legòalla sua corda per evitargli una morte certa. Harrer èsfacciatamente stato – beato lui - l’uomo giusto, al posto giusto,nel momento giusto. Niente di più, se non un decoroso sciatore edanche se un diario di sette anni, dove evidentemente qualche meritolo avrà pure raccolto, e relativa finzione scenica gli hanno riservatoun alone di credibilità e pubblico successo.

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Per rileggere in versione integrale le accuse di Harrer aCorti (cosa che ovviamente mi è costata molta fatica) ho comprato,per la modica spesa di pochi euri, sia la prima edizione di “DieWiesse Spinne” sia quella di “The White Spider”. Non vorreideludere nessuno, abbattere un mito, ma Harrer non ha mai scrittoalcun libro, tantomeno quello sull’Eiger. Forse avrà conosciuto lepiù abili strategie militari, forse sarà stato un buon militare delleSS, certo è che non sapeva scrivere un libro. A scrivere per lui “DieWiesse Spinne” fu Kurt Maix, giornalista di successo, buonprofessionista. La prima edizione del libro, nella quale si incolpavaesplicitamente Corti della morte di Nothdurft e Mayer, andò instampa prima del ritrovamento dei corpi dei due tedeschi. Inoccasione della ristampa si ritenne opportuno aggiungere un nuovocapitolo che tenesse conto degli ultimi eventi della nord. E’ quiche entra in scena un altro personaggio, Franco Mandelli, anch’egliAccademico ed ex istruttore di alpinismo della Scuola militare diAosta. Mandelli non era un signor nessuno, era personaggio eprofessionista molto apprezzato e conosciuto. Chiese a Maix, chegià aveva mostrato una qualche comprensione per Corti dichiarandoche chi scala la nord “e vi resiste per giornate intere ha fatto esofferto cose che esulano dalla comprensione dello scalatoremedio”, se sarebbe stato possibile introdurre nel nuovo capitolo,visto il ritrovamento dei tedeschi, una nuova versione, più consonaai fatti, della sciagura del 1957.

Harrer non ritenne di doverlo fare. Pubblicò la seguentedichiarazione: “Molti ritenevano che fosse mio dovere pubblicareun poscritto che scagionasse Corti. Resto invece dell’idea che […]le dichiarazioni, i racconti e le relazioni di Corti sono pieni dicontraddizioni e di misteri e tali restano. […] Per quanti sforziinterpretativi si facciano, la descrizione dell’itinerario e degliavvenimenti nella relazione di Corti resta confusa e in più partiincomprensibile […] Ciò non farebbe che confermare l’opinione cheCorti non fosse preparato per quella salita, dal momento che le suefacoltà psichiche e mentali non ressero all’impegno richiesto”.

E’ la stupefacenza di queste dichiarazioni a confermare ilgiudizio che ho, ed ho più volte espresso su Harrer. E’ evidente,contrariamente a quanto egli scrive, che Corti ebbe, eccome seebbe, la capacità psichica e mentale per realizzare l’impresa. Nonpossiamo infatti negare come, in ultima analisi, condusse la cordatafino in prossimità dell’uscita della via e lo fece tirandosi dietrodue, su tre componenti della cordata (“recupero i due tedeschi”ricordate?), in precarie condizioni fisiche, dopo un buon numero dibivacchi. Ora … se in questo contesto ti si abbatte sulla testa ancheuna valanga di sassi … questo è un altro discorso.

Strabiliante anche il richiamo al fatto che Corti non fossepreparato per la nord. Occorre una buona dose di sangue freddoper affermarlo, qualcuno la chiama faccia tosta. Nessuno, mai,deve avergli fatto notare quanto lui stesso si fosse ben preparatoper la nord, preparato a tal punto da non portarsi dietro nemmenoun paio di dignitosi ramponi, da non riuscire a tirare da “primo” dicordata nemmeno un metro lineare della nord …

Mi correggo, qualche metro da primo lo fece. I compagnigli affidarono infatti il comando della cordata in discesa, lungo lavia normale, su terreno facile …

... peccato che si perse. Questo, fino a prova contraria,recita la storia. Fortunatamente dal cilindro uscì Heckmair.

Dino Piazza, nome noto fra i Ragni di Lecco di cui ne èstato per lunghi anni Presidente, ha detto: “Tutti coloro che hannocondannato Claudio, dovrebbero andare da lui a chiedergli scusa.Compreso Cassin”. Mi fermo qui.

nelle due pagine precedenti:immagini tratte dal libro “Morte sull’Eiger”:

fasi del recupero, un’immagine di Corti appena salvato, l’itinerario seguito da Cortinella pagina a fianco:

la parete nord dell’Eiger con relativo “topo”in questa pagina dall’alto:

una foto che ritrae Longhi nel luogo ove poi sarebbe morto, il luogo del bivaccoCorti, una fase del recupero di Corti. Tutte le foto del recupero del corpo di

Longhi sono visibili sul sito della ETH Bibliothek Zùrich (Bild Archiv)

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GENERAZIONI A CONFRONTO

di Giorgia Contemori

Il Club alpino Italiano prosegue edintensifica il suo impegno per favorire ediffondere la conoscenza della montagnatra le giovani generazioni . La natura econ essa, la montagna, sono contestiimportanti grazie ai quali poter educaree formare anche i più piccoli. Questacultura, nella ricerca di svolgere tutto ciòche serve per crescere bene, se potràessere ampiamente recepita dagli adultipotrà avere un’ampia ricaduta per i piùpiccoli ed i più giovani. I genitori primitra tutti trasmettono modelli ecomportamenti, timori e preoccupazionisulla fatica di svolgere attività en pleinair possono indurre anche stili di vitasedentari o poco stimolanti. In altre realtàeuropee sicuramente fin da piccoli esistela possibilità di vivere lo sport ed altreesperienze senza eccessi dipreoccupazione rispetto alla fatica od ilcoinvolgimento che possono richiedere.La nostra cultura è eccessivamentesquilibrata verso certi sport e certi tipid’attività, principalmente per le aspettativee gli investimenti ideali degli adulti. InFrancia per esempio è ampiamente diffusala presenza di pareti di arrampicata nellescuole, non per produrre dai ragazzi deicampioni ma per sviluppare gli aspetti piùampiamente psicomotori che questo tipodi pratica consente.

Tornando alla nostra realtà il CAIsi sta muovendo per risolvere anche ilproblema di ricambio generazionale deipropri associati con l’Alpinismo Giovanileed iniziative come Nonni e Nipoti createper coinvolgere i bambini e le famiglieed accompagnarli a conoscere - o in altricasi riavvicinandoli a frequentare - lamontagna. Tra gli organi tecnici del CAI èpresente la Commissione Centrale diAlpinismo Giovanile e tra le ScuoleCentrali e Nazionali c’è la Scuola Centraledi Alpinismo Giovanile. Nella sezione diFirenze è presente il Gruppo di AlpinismoGiovanile costituito da una Commissione

Sezionale con nove componentidivenuti Accompagnato-ri dopocorsi, esami e continuiaggiornamenti su psicologia ematerie montane basateprincipalmente sulla sicurezza.

Remo Romei,Accompagnatore nazionale emeritodi A.G.:“Ho rivestito cariche diverseall’interno del CAI (organi centrali,regionali e sezionali ndr) mal’alpinismo giovanile è una realtà incui mi sento particolarmentecoinvolto, ne ho seguito la sua nascitaed evoluzione all’interno della sezionefiorentina e a livello centrale. Peròper ingrandire abbiamo bisogno chedei giovani di buona volontà,frequentino i corsi per specializzarsiin questa branchia”.

La Commissione Centrale diAlpinismo Giovanile autorizza i variCorsi di Alpinismo Giovanile ..”intesicome un insieme di obiettivispecifici, con una programmazioneche si sviluppa con organicità nei

contenuti e nella didattica, chegarantisce continuità di rapporti conlo stesso gruppo di giovani e cheprevede momenti di confronto e diverifica degli obiettivi didattici.

Il metodo e la didattica vannocommisurati all’età ed alle capacità edesperienze maturate dal giovane, cosìcome il progetto del Corso ècommisurato alle potenzialitàdell’organico disponibile. Per tuttoquesto il Progetto Educativo resta unasignificativa traccia di riferimento”.

Remo Romei:“I principi fondanti spiegano bene ilsignificato simbolico che assume laprogrammazione di questaCommissione ma occorre tener contodella nostra realtà attuale. Non tutticonoscono la storia di alpinismogiovanile, le sue radici risalgono findalla costituzione del CAI ed allavolontà di Quintino Sella! A quei tempicon grande retorica furono istituite le“Carovane scolastiche” e furono cosìsperimentate attività estive” per labuona salute” e per il rinforzamento

nella foto:

Remo Romei

Accompagnatore Nazionale

Emerito di AG

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dei giovani. Secondo lo stile dei tempiqueste attività si svolgevano perl’interessamento di professori, sociCAI, che magari avevano interessepersonale per l’ambiente naturale ela montagna. A Firenze la radicestorica ha avuto un’origine simile e fuper l’interessamento di alcuniprofessori dei licei più importanti, manon ebbe un particolare risalto.Occorre tener presente anche lapresenza delle giovani studentesse deilicei, e delle difficoltà di far loropraticare la montagna nella cultura deiprimi del novecento! La guerra e levicende storiche hanno cambiatopercorso a tutti quei programmi.Praticamente con il passare del tempoqueste esperienze sono state recuper-ate, con il giusto significato per lanuova realtà storica italiana e localedagli anni sessanta in poi.Personalmente ho contribuito allafondazione della Commissione dialpinismo giovanile per la sede diFirenze. Svolgiamo così dei programmiannuali per favorire l’avvicinamentodei giovani alla montagna rivolti aragazzi tra gli 8 ed i 17 anni compiuti.I nostri programmi sono rivoltiall’apprendimento e la comprensionedei principi che regolano laprogressione nell’ambiente montano,la comprensione del paesaggio e delterritorio, l’etica dell’andare inmontagna. La nostra realtà locale ècambiata molto ed attualmente ipartecipanti sono sempre un numeroristretto. Non possiamo pensare a

questi ragazzi secondo schemi giàpraticati. Non è dato certo che siano iprosecutori delle attività di chi li hapreceduti, ognuno ha tanti stimoli etanti impegni e non sembra che ilricambio generazionale segua ilcriterio di quanto avvenuto finora.Occorre tener conto che le giovanigenerazioni possono scegliere tramoltissime possibilità ed anche igenitori hanno qualche difficoltà adorientarsi rispetto alle molte offerte.Già all’interno delle scuole vengonosviluppati tanti programmi diversilegati all’ambiente ed al tempo libero.Il CAI a livello centrale stapromuovendo varie iniziative rivolteai giovani al fine di offrir loromaggiore autonomia di attività, e persviluppare una promozione in sensoampio si orienta alla collaborazioni diprogrammi assieme ai gruppi scout.Noi porteremo la nostra esperienzadell’andare in sicurezza sui monti eloro il metodo di proporsi e socializzarecon i giovani. Anche a Firenze occorrepensare a delle ipotesi di promozionedella nostra commissione, cercando diportare il nostro contributo e la nostraesperienza magari ad altre realtànumerose ed organizzate”.

Per il metodo applicativo CAIrivolto all’alpinismo giovanile il“gruppo” è il nucleo sociale costituitodai giovani e dai loro accompagnatoried è gestito dalla commissionesezionale e dagli accompagnatoriqualificati. Nella sezione di Firenze i

componenti sono tutti volontari chehanno alle spalle impegni professionalimolto coinvolgenti, ed il cui tempo dadedicare ad alpinismo giovanile è dagestire in mezzo a molte altreresponsabilità. Il Presidente StefanoFocardi deve dividersi tra i molti impegnilavorativi e la passione per la montagna,da lui si capisce che il contributo di ognicomponente è essenziale per portareavanti il programma.

Remo Romei:“Le esperienze in comune ad altrerealtà associative sono importanti,arricchiscono fanno crescere.L’attività con il gruppo di AlpinismoGiovanile ci permette di viveremomenti intensi e gratificanti e poidi esprimere la volontà di portareavanti testardamente un impegno etrovare forme e modalità adeguate aitempi. E’ un impegno rilevante, pernoi è fondamentale il volontariato, maè complesso misurarsi con una realtàfatta di tanti soggetti e con finalitàmolto competitive”.

In questa complessa realtàsiamo consapevoli del contributo intermini di esperienza personale edassociativa che possiamo offrire e peril contributo a favore della “montagnain sicurezza” verso il quale facciamotutti riferimento a strumenti econoscenze di cui disponiamoattraverso la storia personale edattraverso tutti gli investimenti del CAIin questa direzione.

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Sperate sempre in ciò che aspettate, ma nonaspettate mai ciò in cui sperate.

Credete solo in ciò che vi convince, ma lasciateviconvincere solo da ciò in cui credete.

Paul Preuss

Una citazione di Oscar Wilde: “Nulla è pericoloso quantol’essere troppo moderni. Si rischia di diventareimprovvisamente fuori moda”.Oddio … noi del CAI non corriamo certo questo rischio, nonsaremo mai fuori moda.

Detto questo va anche sottolineato che ciò non vuol direessere antichi e, tanto meno, che i valori in cui crediamosiano sorpassati. Basta rileggersi l’art. 1 del nostro Statutoe cioè che il compito del CAI è quello di contribuire allacultura dell’alpinismo “in ogni sua manifestazione”, alla“conoscenza e lo studio delle montagne, […] e la difesa delloro ambiente naturale”. Attuale e … mica poco.

Va da se che, in questo contesto, uno dei compiti,fondamentali, del nostro Sodalizio è quello di trasmetterequesti valori ai giovani. Non a caso, fra i vari Organi TecniciCentrali, è presente una Commissione Centrale di AlpinismoGiovanile che opera attraverso precisi progetti educativiche prevedono piani didattici in linea con quanto previstodal nostro Statuto e cioè la conoscenza dell’alpinismo, del

IL CONTRIBUTO DI ALPINISMO FIORENTINO ALL’ALPINISMO GIOVANILE

movimento, dell’orientamento, della sicurezza edell’ambiente.

Progetti che ricadono, a pioggia, nella sfera di competenzadi ogni Sezione fra le quali, va detto, la nostra èestremamente sensibile a questo tema. Non solo per lagrande esperienza e generosità con cui operano i nostriAccompagnatori di Alpinismo Giovanile ma anche grazie allosforzo esclusivo del nostro Presidente che, da sempre, findal primo giorno del Suo insediamento, ha portato avanti,insieme al contributo di tanti altri Soci, ammirevoli iniziativecome “Nonni e Nipoti” così come la realizzazione di un“muro” itinerante dove stimolare l’apprendistato el’apprendimento dell’arrampicata.

Detto questo, e ci sembrava doveroso, Alpinismo Fiorentinovuole proporre un’iniziativa senza la presunzione disostituirsi a nessuno ma con il preciso scopo di dare unamano allo sviluppo di questa nostra attività formativaavvertendo, anche noi, lo stimolo ed il compito di educarei giovani. Un’iniziativa che abbiamo chiamato:

Siamo fortemente convinti che scrivere sia un passaggiofondamentale di crescita personale, e non solo dellegenerazioni più giovani. Scrivere è un po’ come fermare iltempo, come riporre in uno scrigno le esperienze delle qualilasciare memoria, esperienze del nostro agire, dei nostricomportamenti. Per tutti questi motivi vogliamo stimolare igiovani a raccontarci le loro, prendere in mano una pennanon è così faticoso come può apparire. Raccontateci le vostresensazioni di montagna, le vostre paure, le vostre scoperte,i vostri dubbi e le vostre certezze, le vostre impressionisull’ambiente. Insomma, qualunque argomento vogliate.

Pubblicheremo sull’Annuario di ottobre tutto ciò che ciperverrà; un tema, un pensierino, una poesia, qualunquecosa. L’obiettivo è quello di riuscire a premiare tutti alla

Festa dei Soci 2009 (alla fine qualche premio salterà fuoridalla generosità di qualche sponsor) evitando tuttavia difare classifiche. Quello che proponiamo non è un concorso,una gara a chi scrive meglio. Anzi è un modo per vivereinsieme le nostre sensazioni.

Poi chissà, a partire dal prossimo anno potremmo ancheipotizzare un paio di pagine della nostra Rivista dedicatesistematicamente ai giovani – Spazio Giovani quindi -disposte da componenti di una mini-redazione coordinatada Alpinismo Fiorentino.

Chiudo con una nuova citazione di Wilde: “I vecchi credonotutto; le persone di mezza età sospettano di tutto; i giovanisanno tutto”. Forza allora … carta e penna!

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La Sottosezione di Pescia, nell’ambito delle attivitàdi promozione per il 2009 del Club anche verso altri Comunidel comprensorio, ha proposto all’Amministrazione di Pievea Nievole, che ha poi patrocinato, una serie di incontri sultema “ La montagna come sport e turismo”. In anteprimaagli stessi, in occasione della festa patronale del 25 aprile,è stata montata in una piazzetta cittadina, la parete diarrampicata mobile, portata direttamente dal presidenteTerreni, e la stessa, ha avuto molto successo, con lapartecipazione di decine e decine di ragazzi di ogni età,

SOTTOSEZIONE DI PESCIA

“LA MONTAGNA COME SPORT E TURISMO”

sia maschi che femmine, chi più ardito e chi non, e conqualche genitore disinibito nel provare l’emozione di unapiccola arrampicata in tutta sicurezza ben assistito dainostri soci.

La manifestazione,iniziata nella mattinata, si èconclusa in serata e senza alcuna sosta, con l’interesseper la struttura anche da parte di altre associazioni chene hanno richiesto la presenza come attrattivapubblicitaria.

Informiamo i nostri Soci che, graziealla •collaborazione con i

Responsabili del nostro sito, sonodisponibili, su www.caifirenze.it, le

versioni a colori della nostraRivista, scaricabili in versione PDF.

Un motivo in più per consultare ilnostro sito, per disporre delle

nostre anticipazioni, percollaborare con la nostra Rivista.

Un ringraziamento a tutti.

COMUNICATO AI SOCI

www.caifirenze.it

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Ci sono a mio avviso almeno due livelli di fruizione delpiacere, di qualunque genere esso sia e da qualunque cosa sia statogenerato. Che si tratti di una bella vacanza in qualche luogo alungo tempo sognato, una gita tra monti agognati, una rilassantegiornata in un Hammam turco, una nuova città visitata, un piattodal gusto nuovo, una compagnia desiderata, una complessa teoriaalla fine compresa, il rumore di un mercato arabo, l’odore delcaldo estivo di una brughiera mediterranea...

Il primo livello è quello immediato che ti spinge a faretutto, vedere tutto prima che sparisca, a leggere tutto, a camminaredappertutto, come se l’imminenza della fine fosse la cosa piùdeterminante ed importante. Ti si scatena dentro una sorta divoracità, di istinto alla sazietà che poco lascia al resto. •Il secondolivello è quello che necessariamente sorge dopo, che ti si diffondeaddosso lento, che ti avvolge e ti rilassa e che ti permette di vederele cose ed apprezzare il mondo. Nasce dalla voglia di assaporare lesensazioni, di capire il profondo motivo della loro esistenza, il perchèsiano capaci di scatenare tanta bramosia e del perchè si sia pronti adisperdere così tante energie per inseguirle. Personalmente loassocio a rumori e sapori, a lenti discorsi quasi banali ed indolenti,

al tepore di un sole noto, ad una lenta salita su per un versanteinnevato o una roccia fredda e bagnata. è la calma che può derivaresolo dalla rilassatezza dell’animo, dalla pace con se stessi. Eccoche a quel punto, e solo a quel punto, si capisce il perchè di tantafatica, fisica od intellettuale che sia o spesso entrambi.

Ricordo un simpatico tipo di Roma, conosciuto in Maroccomentre stava girando il sud del paese in viaggio di nozze, fresco dimatrimonio della sua bella moglie marocchina che soleva dire aquesto proposito “è come quando te ne torni a casa e che ‘a gentete sta a dì: Come!! Nu ci sei stato?!!” riferendosi a qualche postoche ti sei perso proprio lì, a due passi da dove sei passato te e chea detta loro era l’unica cosa che assolutamente era da non perdersi.Quasi ti senti sciocco a dirgli che non avevi la Lonely Planet con tee che magari hai preferito vagare per le viuzze strette di unmercato, tanto strette che ad un certo punto hai avuto la sensazione

CALMAdi Andrea Tozzi

di trovarti in qualche angusto corridoio di una qualche casa... edeffettivamente hai scoperto che proprio di questo si trattava.

Oppure il piacere di osservare il lento muoversi della luceche filtra dalle minuscole finestrelle tonde di un Hammam mentresei steso su di un piano di marmo che è lì da oltre mezzo millennioa far da contorno ad una perenne nuvola di vapore che annebbia lamente e rilassa il carpo. La calma di un pomeriggio passato abighellonare per i parchi di Parigi, pregevoli opere di un pregevolecittà, apprezzandone la vita che ferve, le persone che siavvicendano, i cambiamenti stessi del luogo nell’arco delle ore, icolori che cambiano le ombre che si muovono.

Il lento procedere per quelle montagne che tutti gli anniritrovi uguali ma sempre diverse, oppure nelle valli fra paesinipopolati da persone che quasi si stenta a capirne il verbo tanto èforte l’accento quando proprio non si tratta di una lingua diversa.La malga scoperta per caso, il gusto del burro che quasi burro nonti pare, il vecchio che ti parla della montagna, di quanto è dura lavita lassù e del nipote che vorrebbe studiare e della scuola lontana.Degli animali al pascolo fra prati e montagne, “laggiù” ed indica

un bosco che quasi non vedi. Del fornaioche d’inverno chiude e va in città e “menomale che c’è quello del comune”... difornaio e della maestra che abita lassù eche “quando nevica... la sua è la primastrada che spazzano!”, col trattores’intende. La serata passata nella calmasorniona e silenziosa di un rifugio alpino, ilcui gestore racconta storie di gente d’altritempi o forse di tempi in cui esisteva unaltro genere di gente, non lo riesci a capire.Ma se ti fermi, magari ti rimetti in camminoun’ora più tardi del previsto, ci torni, ciparli... ecco che forse cominci ad intuirel’altro livello del piacere che non è soloquello del percorrere con successo latraccia o il sentiero che ti sei studiato pertutta una settimana o un mese intero, delgesto atletico, per quanto piacevole edappagante, lo so! Il mondo attorno puòapparire in modo diverso da quel chesembra se riesci a trovare la calma, quellainteriore, non necessariamente legata amovimenti lenti o a giornate passate abighellonare come poc’anzi detto. Talvoltala calma segue percorsi strani, difficili daindividuare e contraddittori, che possonpassare attraverso frenetiche conversazioni,assurdi dialoghi o spericolati accostamentidi persone: niente è certo se si ricerca laCalma! Il rumore del vento che ti soffiaattorno, la corda che si tendepericolosamente, il fiato che ti vien meno eil cuore che si ferma per un istante, il freddo

che ti si condensa sui baffi, l’appiglio che non trovavi e ti apparesotto le dita, la neve farinosa che piano piano risali, il vuoto attornoa te di una ripida discesa, il colore tenue dell’alba e lo sfrigolare deicristalli di ghiaccio sotto gli sci, il caldo del fiato che respiri e che tiappanna gli occhiali e riempie del suo suono il cappuccio del tuotecnico guscio in GoreTex GTX, talvolta ti portano quella caldasensazione di Calma e ed ecco che allora il salire non ti pare cosìassurdo o perlomeno ti appare meno assurdo di quando qualche amicoti chiede del perchè ti piaccia “andare in montagna” salendo anchequando non ce n’è bisogno. Chi ha provato ad arrampicare, anchequel poco che ho fatto io, sa quanto la Calma interiore sia importanteper trovare gli appigli, gustarli e farli diventare parti di se come sefossero gli scalini di una comoda scala, ognuno nel suo piccolo,scoprendo il proprio VI grado, con Calma lo si trova... alla fine, “thisis the end”, come dice la canzone che ascolto in questo precisomomento...

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Il “Sergente nella neve” è “andato avanti”, all’età di 86 anni. Insilenzio, lievemente senza rumore come il cadere della neve sui boschidella sua Asiago, in modo riservato come da sua volontà. Nella chiesettadel cimitero di Asiago non più di dieci persone, la moglie, i tre figli, i duenipoti ed il fratello; nessuna autorità ne amici. Era nato ad Asiago il 1Novembre 1921; qui trascorse la sua infanzia e giovinezza tra i pastori e lagente di montagna dell’Altipiano di Asiago e del Trentino.

A guerra finita scrisse: “Per i lavori aiutavo in casa o nel negoziodi generi alimentari che avevamo sulla piazza centrale del paese. Mac’era anche da preparare la legna per l’inverno, tagliare il fieno…. Io laterra trentina l’ho amata fin dalle elementari, attraverso una canzoneche ci faceva cantare ogni mattina la maestra. Era la canzone del cieco diguerra sull’Ortigara, che guardava Trento da lontano. Non poteva vederla,ma oltre le cime la indovinava, la sognava”.

Nel 1938 si arruolò volontario negli Alpini; ha combattuto nellaSeconda Guerra mondiale durante la quale è stato insignito della Medagliad’argento al valore militare. Entrò alla Scuola Militare Alpina di Aosta e, piùtardi, combattè nel Battaglione Vestone in Francia, Grecia, Albania, Russiacon il grado di sergente maggiore; qui sperimentò la tragedia della ritirata,dell’abbandono e della morte nel gelo e nella neve. Fatto prigioniero daitedeschi allorchè l’Italia firmò l’armistizio dell’8 Settembre ’43, fu trasferitoin un lager in Prussia orientale. Rientrò a casa a piedi il 5 Maggio ’45. Ritornatodopo la guerra nella sua Asiago, che non ha più lasciato fino alla sua morte,fu impiegato del Catasto comunale fino al 1970 e poi si dedicò interamente al“mestiere” di scrittore, romanziere e giornalista di fama collaborando con “IlGiorno” e “La Stampa”. Socio onorario della Società Alpinisti Trentini, la Sat, siconsiderava da sempre grande amico del Club Alpino Italiano.

Ebbe infatti a dire: “Ricordo che in quei giorni difficili, mi tornòprepotente quella voglia di andare pacificamente per montagne a dispettodi tante amarezze, di tanta disperazione. Così ci rimettemmo insieme aprogettare nuove escursioni grazie alla sezione del C.A.I. e presto ritrovammoil contatto che desideravamo con la natura alpina e con noi stessi. Qualemigliore antidoto dopo tanti veleni? E senza più dovere sparare fucilate controil nemico…”. Rigoni Stern considerava significativamente la Biblioteca dellamontagna nel Palazzo Cesarini-Cresseri, sede della S.A.T., il “rifugio” piùbello e duraturo costruito dai consoci. “Il Sergente nella neve” del 1953segnò l’esordio letterario di Rigoni Stern e divenne immediatamente unclassico vincendo il Premio Viareggio; nel libro raccontò la tragica storiadella ritirata di Russia del 1942/1943 con tutti i suoi strazi e tristezze. Tradottoin diverse lingue e utilizzato in tutte le scuole italiane come testo di lettura:è una storia straordinaria per il lettore ed un grandissimo atto di amore pergli alpini, ma anche per tutte le vittime della guerra, compreso “il nemico”russo rappresentato sempre senza odio e con profonda umanità. Ricordo chesui sussidiari delle scuole elementari e sui libri di italiano delle medie eranopubblicati brani tratti dal suo capolavoro; essi mi facevano immaginare cosaavvenne in Russia e ricordo addirittura una interrogazione volontaria su unodi questi brani. Da allora ho letto tutti i libri di Rigoni Stern. Personalmentel’ho visto la sera del 16 Marzo 2006 al Teatro Puccini di Firenze quandointervenne alla rappresentazione teatrale di Marco Paolini “Il Sergente”tratto dal suo libro più famoso appunto.

Mi apparse stanco, affaticato quasi malinconico, come se non potessepiù sostenere il fardello del peso di quella brutta avventura che senz’altroha segnato il suo cammino umano. Alla fine dello spettacolo volle fare unpiccolo commento di apprezzamento sullo spettacolo di Paolini, e ricordoche ad un certo punto i suoi occhi diventarono lucidi nel ricordare ciò che nelsuo libro aveva raccontato e vissuto personalmente in quella tragedia, ormailontana nel tempo ma immagino sempre vicina dentro di lui. SuccessivamenteRigoni Stern ha pubblicato molti altri libri vincendo i premi Campiello e Baguttacon “Storia di Tonle“ ed il Grinzane Cavour per “Le stagioni di Giacomo”.

Leggendo i suoi libri ed articoli ho sempre avuto l’impressione di unuomo dotato di una straordinaria umanità e bontà; pensate che ha salvato lavita a più di un soldato ma anche di un uomo solitario; viveva con la famigliain una villetta appartata all’orlo di un bosco in località Valgiardini, che spessoha descritto nei racconti, che lui stesso si costruì nei primi anni ’60 grazie almilione di lire ricevuto in premio al concorso letterario Puccini-Sinigagliacon il libro”Il bosco degli urogalli”.

Aveva una carattere buono e mite e non gliinteressavano i convegni. “Domando tante volte alla gente –ha scritto -:avete mai assistito a un’alba sulle montagne?Salire la montagna quando è ancora buio e aspettare il sorgeredel sole. E’ uno spettacolo che nessun altro mezzo creatodall’uomo vi può dare, questo spettacolo della natura”.

In molti dei suoi libri Rigoni Stern descrive lanatura dell’Altipiano di Asiago, dei boschi e degli animaliche ci vivono e trascorrono l’alternarsi delle stagioni daun anno ad un altro, in modo poetico, di chi ama la pro-pria terra e la natura che la animano. Del suo Altipianoebbe a dire in modo a mio parere meraviglioso: “Cosìampio, con questi boschi e queste colline sopra la pianuraveneta, così a picco e così isolato, eppure così aperto ecosì largo, questo paesaggio ce lo portiamo dentro: nonaspro come una montagna incombente, ma dolce emalinconico, denso”. Un amore che viene dal profondodel cuore e dalla profonda umanità. I valori che amavadella sua terra erano la tradizione, la coralità familiare,gli usi e costumi della Reggenza dei Sette Comuni, valoriche ha difeso fortemente quando si è schierato contro ilreferendum consultivo per il passaggio dell’Altipiano dalVeneto al Trentino.

E’ stato anche autore delle parole di un cantoarmonizzato da Bepi De Marzi che potrete ascoltare sulCD dei Crodaioli di Arzignano “I Crodaioli 9” ed intitolato“Volano le bianche”. Il canto è ispirato alla battagliadell’Ortigara del 1917 e dalla follia della guerra. Poi dallepietre, come colombe della Pace, volarono le pernicibianche. Il testo esatto molto breve ma significativo è ilseguente:

Volano le biancheDal silenzio dell’Ortigara.

La montagna è rifiorita!E’ l’alba sull’Ortigara.

Volano le bianche, le bianche,le bianche

Se ne è andato un grande amante delle montagne, dellasua terra e del CAI. Il modo migliore per ricordarlo èleggere i suoi libri.

IL “SERGENTE NELLA NEVE”di Stefano Saccardi

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Anche la nostra Sezione, come è noto, è impegnatain questa attività ed ha in gestione circa un migliaio dichilometri. Molto lavoro è stato fatto negli ultimi anni,spesso partendo da situazioni molto degradate, ma ciò èstato fondamentale per creare una base di riferimento madovremo impegnarci intensamente anche in futuro:

- per garantire il mantenimento della percorribilità deipercorsi rispetto alla trasformazione dell’ambiente e delterritorio (piccole frane, crescita e caduta di alberi arbustie piante, proprietà private ostative, ecc.);- per aumentare i livelli di sicurezza (notizie nellasegnaletica per facilitare le richieste di soccorso,installazione di gradini e supporti in tratti particolarmenteesposti o scivolosi, ecc.);- per arricchire le informazioni sui percorsi (sorgenti, rifugio bivacchi, incroci o deviazioni, punti panoramici, ecc.) dariportare su appositi archivi da rendere disponibili neltempo.

Queste note diventeranno utili per una miglioreconoscenza del territorio e quindi per assicurare gitetranquille a singoli escursionisti o a gruppi più o menonumerosi o esperti.

Ogni anno, in varie occasioni, rinnoviamo l’invito apartecipare a questa attività al maggior numero di personee il Gruppo Escursionistico effettua una speciale uscitadomenicale, dedicata alla manutenzione sentieri, persensibilizzare i nostri soci sull’importanza del servizio dafare, per mostrarne la semplicità e per invogliarli apartecipare.

Da qualche anno il CAI a livellonazionale si sta dedicando con moltaattenzione al ripristino dei sentieriimpraticabili e al mantenimento inefficienza di tutti quelli già presenti,siano gli stessi più o meno frequentatidagli escursionisti.

L’obiettivo è di garantire unservizio a chi transita su questi percorsiper renderli facilmente individuabili epiù sgombri possibile da ostacoli nonchéper rassicurare, attraverso un segno(negli alberi, nelle pietre, ecc.) e condelle indicazioni di direzione e dilocalità, sulla strada che si stapercorrendo.

L’impegno del gruppo di lavoro prevede un’uscitasettimanale (generalmente il mercoledì, tempopermettendo) e, saltuariamente, una o più giornate dedi-cate a preparare la segnaletica (pali,cartelli,tabelle, ecc..) che realizziamo autonomamente.

Siamo soddisfatti, e anche orgogliosi, che questonostro lavoro sia già apprezzato da enti, dai parchi, daassociazioni varie e anche da altre sezioni del CAI che cichiedono di realizzare anche la loro segnaletica. Purtropponon siamo mai abbastanza, rispetto alle attività chesarebbero necessarie e che vorremmo fare.

Rinnoviamo l’appello ai soci ad “adottare” almenoun sentiero, o, a coloro che hanno del tempo da dedicare,a partecipare al nostro gruppo di lavoro assicurando chequalsiasi contributo, anche saltuario, è molto apprezzatoe gradito. Ci rivolgiamo, inoltre, a chi ha già “adottato”dei sentieri richiedendo, di percorrerli sistematicamenteuna volta l’anno in modo tale che sia possibile, anche conil nostro intervento, se ritenuto necessario, mantenerli inefficienza. Le notizie relative allo stato di aggiornamentodella segnaletica, per i sentieri di nostra competenza, sonoconsultabili nel sito della sezione.

Il 2008, per la nostra Sezione, è stato un anno dicrescita del presidio della manutenzione sentieri. Il gruppoha subito l’abbandono, per noi doloroso, da parte di unsocio che ha contribuito molto alle attività in questi anni,ma ha anche avuto nuove disponibilità di collaborazioneda parte di altri soci. Attualmente il gruppo è compostostabilmente da sei persone oltre a qualche altro socio,

IL GRUPPO

MANUTENZIONE

SENTIERI

di Giancarlo Tellini

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graditissimo, che partecipa saltuariamente. Inoltre, anchealcune Sottosezioni hanno consolidato l’abitudine, condiversa modalità e tempistiche, a svolgere la manutenzionenelle loro zone di competenza. E’ molto attiva, inparticolare, la Sottosezione di Pontassieve; diversi socihanno adottato individualmente un sentiero ed è statoistituito un gruppo che opera sistematicamente con moltaefficacia sia sui sentieri “classici” loro assegnati sia suquelli di particolare valenza storica o ambientale, a seguitodi accordi con associazioni locali.

In particolare quest’anno il gruppo di lavoro dellaSezione ha completato la segnatura, e l’installazione dinuova segnaletica, sulla GEA (Grande EscursioneAppenninica), iniziata nel 2007. Il tratto da noitracciato va complessivamente va valico Citerna(al confine della provincia di Prato) a BadiaPrataglia (abbondantemente dentro la provinciad’Arezzo), attraversando quindi anche ilbellissimo Parco delle Foreste Casentinesi. Questaattività è stata la prevalente, anche se si sonorealizzati interventi su altri sentieri, in particolarenei dintorni di Firenze.

Per il 2009 abbiamo fatto un programmad’intervento individuando i sentieri che furonotracciati anni fa, con la logica di sistemareciclicamente tutti quelli di nostra competenza.Si prevedono eccezioni al nostro piano di lavoroche saranno dettate da richieste urgenti da partedi Soci che hanno “adottato un sentiero” e cherichiedono il nostro intervento o da segnalazioni

di problemi, sempre più numerose, da escursionisti, anchenon Soci, che individuano il CAI come “garante” dellasentieristica nel territorio. Quest’ultimo aspetto èun’opportunità per estendere ulteriormente fra gliescursionisti il prestigio e la visibilità del CAI, ma è utileanche per aumentare l’interesse e la partecipazione di nuovisoggetti alla nostra associazione.

Risponderemo a tutti, intervenendo però solo neicasi in cui il sentiero faccia parte della rete escursionisticadel CAI, sia affidata alla nostra sezione, e che la situazionesia ritenuta effettivamente urgente.

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Quando il nostro gruppo aveva programmato leescursioni e le varie iniziative per l’anno 2008 non avevafatto i calcoli con l’inclemenza del tempo, specialmentenei primi mesi dell’anno. Purtroppo le prime tre uscite,quelle di Gennaio, di Febbraio e di Marzo, sono stateannullate per questioni meteorologiche. La nostra attivitàè quindi iniziata il 6 Aprile: siamo andati da Cavriglia aBadia a Coltibuono. Il 20 Aprile ci ha visti sul MonteMaggiore, che fa parte del gruppo della Calvana, l’11 Maggioinvece escursione alle Biancane di Leonina, nella provinciadi Siena.

GRUPPO NAMASTE’

Un anno di attivitàdi Massimiliano Alterini

in questa pagina:La Torre del Palagio

nella pagina a fianco:sopra:Un momento dell’inaugurazione dellamostra “Montemignaio nelle guide di Carlo Beni”sotto:il Sindaco Massimiliano Mugnainicon il Presidente del CAI Firenze, Aldo Terreni

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Sempre a Maggio abbiamo organizzato il primodegli eventi che vedevano coinvolti i bambinidi Montemignaio.

Abbiamo pensato di far piantare daibambini presenti alla manifestazione, nellevarie aiuole sparse per il comune, alcune spe-cie di fiori, allo scopo di coinvolgere anche ipiù piccoli nelle nostre attività, di farlirendere responsabili e allo stesso tempo difar capire loro l’importanza delle piante, delloro mantenimento e crescita e in generaleil rispetto della Natura. L’evento è statochiamato “Piantiamo un fiore” e, pioggia aparte, è stato un discreto successo.

Il 14 e 15 Giugno, per il 140anniversario della Fondazione della sezionedi Firenze due erano le iniziative chevedevano coinvolto il nostro gruppo. Lamattina del 14 abbiamo percorso il sentieroC.A.I. Namaste’, che parte da Montemignaioe arriva al passo di Crocevecchia: ilpomeriggio del 14 e l’intera giornata del 15abbiamo organizzato la mostra fotografica“Montemignaio nelle guide di Carlo Beni”.Carlo Beni era studioso originario delle nostrezone e nel secolo passato ha più voltepubblicato una guida che parlava di tutte lerealtà e di tutti i paesi del Casentino.

La mostra ha avuto un buon successo,ma dobbiamo far notare che, essendo statieventi che avrebbero dovuto coinvolgere ilCAI di Firenze e la sotto sezione di Stia,abbiamo avuto la solitaria presenza del nostropresidente Aldo Terreni, accompagnato dallamoglie, che gentilmente ha percorso con noiil sentiero Namastè ed ha successivamenteinaugurato la mostra, mentre ci saremmoaspettati almeno dai componenti del ConsiglioDirettivo e dagli amici di Firenze una maggiorpartecipazione.

La nostra attività è continuata...Per il lungo ponte di San Giovanni

siamo andati all’isola d’Elba: l’escursioneprincipale era il raggiungimento della cimadel monte Capanne con partenza dalla rivadel mare di Pomonte. Il caldo torrido dellagiornata non ci ha permesso di raggiungerela vetta, ma quattro giornate sull’isola sonostate per tutti i partecipanti una veravacanza.

Altre sono state le escursioni o glieventi che hanno visto una buonapartecipazione di soci, amici e collaboratori,ma due principalmente sono da sottolinearee da elencare. La prima è la fiaccolatanotturna per bambini da noi chiamata “Lanterne nel bosco”, che vede tutti gli anniun numero crescente di piccoli partecipantiche lo scorso mese di Agosto ha superato ilnumero di 70, a cui vanno aggiunti, genitori,nonni, parenti vari e noi del gruppo Namastè.Alla fine della fiaccolata è stato organizzatoun piccolo spettacolo teatrale che ha

coinvolto parte dei soci e degli amici che ci seguono. Tutto come sempreè stato un grande successo!

L’altro evento da sottolineare è stato il concerto del coro dellaMartinella che si è tenuto nella Pieve di Santa Maria Assunta il 20Settembre alle ore 18.00. •Un grande entusiasmo, ci sia concesso dirlo,sia di critica che di pubblico. I Montemignaiesi insieme a tutti i presentisono rimasti veramente estasiati dalla eccezionale performance deicomponenti del coro presenti. Poi tutti insieme siamo andati a mangiareuna pizza e alla fine siamo stati nuovamente allietati dai cantori conaltri brani che non erano stati eseguiti durante il concerto. Un grazie dalprofondo del cuore a tutti i coristi da parte del nostro gruppo, con lasperanza di riaverli presto tra noi. 

Un altro evento da sottolineare e’ l’organizzazione del Concertodi Natale che è stato sponsorizzato sempre dal nostro Gruppo. Il quartettodi archi “Cambini”, della scuola di musica di Fiesole, ha eseguito alcunimeravigliosi brani di musica classica: il concerto ha avuto il patrociniodel Comune di Montemignaio e del C.A.I. di Firenze e si e’ tenuto nellanostra Pieve Romanica il 23 di Dicembre. La stagione escursionistica nelfrattempo e’ continuata regolarmente con il trenotrekking che ci haportato a percorrere il sentiero dei partigiani di Brisighella il 7 Settembre,la visita al parco Eolico del Monte Secchieta  e il pranzo sociale il 13Ottobre e con l’ultima escursione dell’anno 2008 il 9 Novembre dallaConsuma a Raggioli.

Siamo molto orgogliosi della attività che abbiamo svolto nel corsodel 2008 ed anche se non tutte le escursioni o gli eventi da noi organizzatihanno avuto un grande seguito, ci rendiamo conto che il nostro gruppoanno dopo anno acquisisce nuove forze e nuovi collaboratori e che noiGruppo Namaste’ del C.A.I. di Firenze siamo una realtà importante delnostro piccolo comune.

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