Parlare con i bambini con difficili storie al bambino slides CAM.pdf · Lo va a prendere a scuola e...
-
Upload
nguyenkien -
Category
Documents
-
view
213 -
download
0
Transcript of Parlare con i bambini con difficili storie al bambino slides CAM.pdf · Lo va a prendere a scuola e...
Centro Ausiliario per i problemi Minorili
Parlare con i bambini
con difficili storie
familiariMILANO 7/8 MARZO 2018
MARCO CHISTOLINI
marco
.chisto
lini@
gm
ail.com
Perché è importante parlare con i
bambini.
Perché è difficile parlare con i bambini.
Come ci sentiamo.
Chi può parlare.
Cosa dire.
Come dirlo.
Nel dialogo ascolto e comunicazione
sono complementari: ascoltare ci
permette di comprendere l’altro
orientandoci nel suo mondo; parlare ci
permette di farci comprendere
orientando l’altro nel (nostro, suo, altrui)
mondo.
Carlo è un bambino di 6 anni. figlio unico, cresce sereno nella sua famiglia. I suoi genitori
Andrea e Laura, si vogliono bene e hanno un bel rapporto.
Una sera, però, le cose cambiano improvvisamente: sente i suoi genitori discutere
animatamente, la mamma piange e grida, accusando il papà di essere uno str…., bast…,
mentre lui le dice di non gridare che le spiegherà tutto…. Poi il papà se ne va sbattendo
la porta. Carlo è spaventato, si avvicina alla mamma che piange seduta sul divano ed ha
una faccia sconvolta, non osa chiedere cosa sia successo, si limita a domandare dove sia
andato il papà e la mamma risponde che aveva un impegno…. Poi lo guarda seria e gli
dice di non preoccuparsi, che lei e papà hanno litigato come può accadere a tutti, come a
lui capita di fare con i suoi amici, ma che non è successo niente di grave, che tutto si
aggiusterà, ma il suo viso è pieno di dolore e non sembra per niente serena.
Il papà non torna quella sera a dormire, nemmeno quella dopo e quella dopo ancora….
Lo va a prendere a scuola e passa un po’ di tempo con lui, ma è teso e triste. Anche la
mamma è tesa e triste, ma nessuno dice nulla e Carlo preferisce non fare domande….
Forse voi avrete capito che Laura ha scoperto che Andrea ha avuto una relazione con una
sua collega. È molto ferita, non avrebbe mai immaginato che suo marito potesse fare una
cosa del genere, le è crollato il mondo addosso e non sa se potrà tornare a stare con
lui…. Andrea è andato a stare dai suoi genitori, loro e i suoi fratelli (ha una sorella ed un
fratello) lo esortano a chiedere scusa e a ricucire con Laura. Anche nella famiglia di lei, i
genitori e le 2 sorelle, sono molto preoccupati suo padre e sua madre la incitano a
perdonare,, mentre le sorelle le dicono che non deve più fidarsi.
Ma secondo voi al piccolo Carlo bisogna dire qualcosa e cosa gli andrebbe detto?
È prassi comune che quando accadono
dei fatti particolarmente dolorosi e difficili,
si preferisce non raccontarli ai bambini,
omettendoli, se possibile, o fornendo
informazioni vaghe e lacunose o dicendo
delle bugie.
In genere, si pensa che vi siano realtà
troppo dure e dolorose per un bambino e
che sia giusto evitargli di venirne in
contatto
È opinione condivisa all’interno di diversi
approcci teorici che la storia personale e
le esperienze in essa contenute,
influenzino significativamente lo sviluppo
psicologico e cognitivo della persona.
Minore attenzione ed importanza è
riposta sulla conoscenza della propria
storia personale.
Perché si deve parlare
con i bambini?
1. La regolazione delle emozioni.
2. La mentalizzazione:
conoscere e capire se stessi e
gli altri.
3. La fiducia negli altri e nel
proprio valore (componente
“etica”).
L’organizzazione del cervello
Struttura “verticale:
Cervello rettiliano.
Cervello emotivo.
Cervello razionale.
Struttura orizzontale:
Emisfero sinistro.
Emisfero destro.
Nati per connettersi
Gli esseri umani sono
”programmati” per connettersi
con gli altri esseri umani, anche
attraverso queste connessioni si
sviluppa e si organizza il cervello.
Emozioni e razionalità (Hill, 2015)
Regolazione degli affetti
Attenzione
Percezione
RappresentazioneMemoria
Riflessività
Due tipi di affetti
Affetto primario: rappresentazione
somatica dello stato dell’organismo
(sensomotorio, fisiologico…).
Due dimensioni: livello di arousal e livello
di piacevolezza.
Affetti “categoriali”: rabbia, disgusto
paura, tristezza, gioia, sorpresa (Ekman,
1975).
Il sistema limbico
Il sistema limbico non processa parole, il
“limbichese” è non verbale.
Integra informazioni ascendenti dal corpo con
informazioni discendenti dall’attività mentale e
informazioni di carattere socio-emozionale ricevuta
dall’interazione con altri.
La corteccia orbito-frontale è la struttura centrale
di organizzazione dell’organismo. Integra la mente
con il corpo e il nostro mente corpo-mente con il
corpo-mente dell’altro. È responsabile della
valutazione degli stati affettivi nostri e dell’altro e
della regolazione del nostro affetto…. (Hill, 2015)
I due emisferi cerebrali
Il cervello destro processa
l’informazione affettiva. Prima di aver
pensato e sentito qualcosa in maniera
cosciente, abbiamo già sentito e
“pensato” questo qualcosa e ce ne
siamo fatti un’opinione implicita. Il
compito di razionalizzarlo e di
attribuirgli un significato o di ripensare
la prima reazione è attribuito
all’attività mentale esplicita del
cervello sinistro (Hill, 2015).
La doppia via della regolazione emotiva (Hill, 2015)
EMISFERO SX
LINGUAGGIO
EMISFERO DX
IMMAGINI
SISTEMA LIMBICO
TRONCO CEREBRALE
Input
Controllo primario
Relazioni tra bambino e care-givers
che attraverso la sintonizzazione
emotiva e la comunicazione
instaurano nel bambino circuiti
neurali di attivazione bilanciata del
simpatico e del parasimpatico del
SNA (Hill, 2015).
Video.
Connessioni tra informazioni
”razionali” e informazioni emotive.
Gli stimoli (percettivi, informativi)
suscitano reazioni somatiche ed emotive.
Le informazioni “razionali” permettono di
dare senso a tali reazioni,
denominandole e significandole.
Se le informazioni razionali mancano o
sono distorte la comprensione dei propri
stati emotivi interni è ostacolata, parti di
sé non potranno essere efficacemente
integrate.
Mentalizzazione (Fonagy & Target, 2006)
La capacità di leggere i propri
ed altrui stati mentali.
Capacità di rappresentare
verbalmente stati intenzionali.
Funzione gestita dall’emisfero
sinistro.
Mentalizzare…
L’essere umano è un animale sociale, per
vivere bene ha bisogno di sapere entrare
in relazione, mediante:
Sintonizzazione con l’altro.
Decodifica dello stato mentale dell’altro.
Comunicazione/condivisione dei propri
stati interni.
Reciproco orientamento nel proprio e
nell’altrui mondo, condivisione di
significati ed emozioni (video).
Conoscenza di Sé…
Metaforicamente possiamo
paragonare l’essere umano ad un
libro, l’identità di un libro è definita da
ciò che è scritto nelle sue pagine,
dalla storia che racconta, allo stesso
modo l’identità di una persona è il
frutto di ciò che ha vissuto.
Quindi, possiamo dire che la nostra
storia è la nostra identità.
Il senso di vuoto
Jamie, 24 anni: “mi sento come una
scatola di cereali senza l’etichetta degli
ingredienti, persino i mobili della mia
cucina hanno una targhetta che dice di
cosa sono fatti e su cui è scritto: non
rimuovere”
(da Brodzinsky, Being adopted, 1992).
Lo smemorato di Codogno.
Conoscenza degli altri…
Capacità di riconoscere e capire
gli stati mentali (intenzioni,
emozioni, pensieri, ecc.) altrui
attribuendogli un significato.
Essere empatici, accogliere,
capire, essere compassionevoli….
Sintonizzarsi,
Capire sé stessi per capire
gli altri
Se non abbiamo una
sufficiente conoscenza e
comprensione dei nostri stati
mentali, difficilmente potremo
riconoscere e capire quelli
degli altri.
Teoria dell’attaccamento e
conoscenza della propria storia
Nella teoria dell’attaccamento
particolare rilevanza viene
attribuita alla conoscenza e
accessibilità della propria storia
personale.
La competenza autobiografica
(Holmes, 1994).
La A.A.I. (Adult Attachment
Interview).
ma
rco
.ch
isto
lini@
gm
ail.c
om
marco
.chisto
lini@
gm
ail.com
Bessel Van Der Kolk, Il corpo accusa il
colpo (2015).
Per sapere chi siamo – per avere un’identità – dobbiamo
sapere (o almeno sentire di sapere) che cosa è e che
cosa era ”reale”. Dobbiamo osservare ciò che vediamo
intorno a noi e identificarlo correttamente; dobbiamo
anche essere in grado di avere fiducia nei nostri ricordi e
di distinguerli dalla nostra immaginazione. Perdere la
capacità di fare queste distinzioni è un segno di ciò che lo
psicoanalista William Niederland chiamò “assassinio
dell’anima”. La cancellazione della consapevolezza e la
coltivazione della negazione sono, spesso, essenziali per
la sopravvivenza, ma il prezzo è che si perda la traccia di
chi si è, di ciò che si sente e di coloro in cui si può avere
fiducia.
Alcuni studiosi hanno postol’attenzione sull’importanza che, findalle prime settimane di vita,rivestono per il bambino le relazionicon l’adulto. Questi studi hanno datovita al concetto di intersoggettività,definito come: “quel processo per cuisi giunge a capire cosa hanno inmente gli altri e ci si adatta diconseguenza” (Bruner, 1997).
La competenza a stabilire una relazione di
scambio comunicativo con un adulto disponibile ed
empatico consente al bambino di condividere la
propria esperienza soggettiva (affetti, intenzioni,
attenzione sul mondo esterno) e, attraverso questo
processo, imparare ad esplorare e comprendere la
mente dell’altro e la propria, dando senso ai propri
stati affettivi.
Per dirla con Fonagy: “gli stati interni devono
avere un significato per poter essere comunicati
agli altri e interpretati negli altri, per orientare la
collaborazione nel lavoro, nell’amore e nel gioco”.
«Ciò sembra implicare la necessità, nella prima
infanzia, di un’operazione mentale che permetta
di derivare lo stato del sé dalla percezione dello
stato mentale dell’altro. L’esplorazione del
significato delle azioni altrui è un precursore
dell’abilità del bambino di catalogare ed
attribuire significato alle proprie esperienze
psicologiche. Possiamo ritenere questa funzione
alla base delle capacità di regolazione affettiva,
di controllo degli impulsi, automonitoraggio e
dell’esperienza del sé come agente (Fonagy,
Target, 2001)[email protected]
38
Watzlawick & Alt. Pragmatica della
comunicazione umana (1967)
Quando questi bambini percepivano
la rabbia e l’ostilità di un genitore…. Il
genitore negava di essere
arrabbiato... così il bambino si trovava
di fronte al dilemma se credere al
genitore o ai propri sensi. Se credeva
ai propri sensi manteneva una salda
presa sulla realtà, se credeva al padre
manteneva la relazione di cui aveva
bisogno, ma distorceva la propria
percezione della realtà.
Esploratori di menti
Omettendo o mistificando la realtà
mettiamo il bambino in una
condizione di non sapere se potersi
fidare delle proprie percezioni o
delle comunicazioni degli adulti. In
questo modo invalideremo la
possibilità che egli diventi un buon
“decodificatore di menti altrui”,
capace di sintonizzarsi e capire
l’altro.
Gli esseri umani, come altre specie, hanno
tra i loro compiti essenziali quelli di
sopravvivere e di riprodursi.
Per sopravvivere è molto importante saper
decodificare correttamente ciò che
succede intorno a noi, quali sono le
intenzioni delle altre persone/animali che si
circondano, dare senso adeguato alle
informazioni che ci pervengono.
Cosa succede quando abbiamo fatto
esperienze di cui «non siamo a
conoscenza» (che sono fuori dalla nostra
coscienza)?
I casi di Lara e di Michele.
Sentirsi appartenenti
Essere informati degli eventi
importanti che riguardano noi
e gli altri, a noi vicini,
costituisce un criterio di
valutazione di quanto gli altri
abbiano considerazione di noi.
Per conoscenza della propria storia
intendiamo, quindi, una sufficiente
consapevolezza di ciò che è accaduto
associata all’attribuzione di significati
e stati mentali (nelle persone
coinvolte) realistici e coerenti con i
fatti.
Parlare al bambino di avvenimenti dolorosi chelo riguardano pone il problema di quanto glioperatori possano/debbano essere incisivi nelparlare al bambino.
È diffusa l’opinione che sia corretto affrontarecon il minore solo quei temi che lui si sente ditrattare, l’idea sottostante è che interventi che“forzassero” le difese del soggetto avrebberol’effetto di rinforzarle o di destabilizzarnel’equilibrio.
Naturalmente essere attivi non significa essere aggressivi.
Quindi la comunicazione e l’accompagnamento verranno condotti con:
GarboEmpatiaGradualità
La ri-attivazione
traumatica
• Quando i fatti di cui si intende
parlare hanno avuto una
portata traumatica per il
bambino, si dovrà fare
particolare attenzione a trattarli
in un contesto adeguato e
all’interno di una relazione
protettiva e rassicurante.
marco
.chisto
lini@
gm
ail.com
• Le esperienze vissute rimangono “scritte”nella memoria senso-motoria del bambino.
• I fatti sostengono le spiegazioni e lerinforzano.
• Non si comunica solo a parole.
• Informazioni omesse possono esserescoperte nel futuro.
• Attendere può comportare gravicontroindicazioni (Citazioni).
I modelli organizzativi e la cultura dell’emergenza.
I bambini non capiscono.
A chi compete?
L’alleanza con i genitori.
Le caratteristiche psicologiche dell’adulto.
Ipotizziamo che la difficoltà ad informare e
accompagnare i bambini sia connessa anche ad
aspetti riconducibili all’operatore come persona.
Tra questi fattori vi sono: La difesa dal dolore.
Lo stile di attaccamento.
Le esperienze personali.
La cultura di riferimento.
Parlare con un minore significa
(anche) avventurarsi su un terreno
non completamente prevedibile,
dove si devono sapere gestire le
emozioni del bambino e le proprie.
<< Il trauma è contagioso. Nel ruolo di
testimone di un disastro o di un’atrocità il
terapeuta alle volte è emotivamente
schiacciato: egli stesso sperimenta, in
grado minore, lo stesso terrore, la stessa
rabbia e lo stesso sconforto del paziente.
Questo fenomeno è conosciuto come
controtransfert traumatico>> (Herman,
2005, p.184)
I vissuti dolorosi e/o traumatici dei
bambini possono ripercuotersi
sull’operatore, che può attivare
meccanismi difensivi a sua protezione
(rimozione, distanziamento emotivo,
negazione, scissione, ecc.)
Cosa succede quando si danno informazioni esignificati dolorosi ad un bambino?
Si provoca in lui un vissuto di sofferenza, paura,rabbia, vulnerabilità, ecc., che lo porta adattivare il sistema dell’attaccamento attivandocomportamenti diversi in base al suo stile diattaccamento. Comportamenti che potrannoandare dall’indifferenza (stile evitante), allaprotesta disperata (stile ambivalente), passandoper la tristezza e lo sconforto (stile sicuro).
Ai segnali del bambino l’operatore risponderà in base alsuo stile di attaccamento.
Se è autonomo vedrà attivarsi il suo sistemadell’accudimento, provando il desiderio di fornire albambino rassicurazione e protezione. In questo modo sitroverà a dover gestire un paradosso affettivo-comportamentale, in quanto assume,contemporaneamente, il ruolo di colui che infliggesofferenza e che vuole dare sicurezza!
Questo spiega il frequente verificarsi di comunicazioniambigue, volte ad “indorare la pillola”, che danno uncolpo al cerchio ed uno alla botte.
Se l’operatore è invischiato percepirà i segnalidel bambino come un grave rischio alla tenutadella loro relazione, si sentirà fortemente inansia, preoccupato, e quindi in difficoltà a dareinformazioni e significati dolorosi.
È probabile, inoltre, che vi sia, nei soggettiinvischiati, un forte meccanismo anticipatorio chefaccia percepire come estremamente dolorosa erischiosa la comunicazione prima ancora dieffettuarla.
Se l’operatore è distanziante affronterà il temadell’informazione minimizzandone l’importanza,adottando un approccio pragmatico (a cosaserve dargli queste informazioni?) e/o ottimistico,distorcendo in senso positivo avvenimenti esignificati della storia del bambino (ad esempioconnotando positivamente i genitori).
Inoltre, cercherà di evitare la comunicazione perevitarsi il disagio di trovarsi in una situazione adalta intensità emotiva.
Esperienze vissute dall’operatore possono
influire nel determinare l’atteggiamento
dell’operatore relativamente alla
comunicazione con il minore.
È sempre, possibile, infatti, che le
situazioni di cui ci occupiamo facilitino
proiezioni ed identificazioni.
Si deve considerare che:
il significato degli avvenimenti e delle
condizioni esistenziali;
la «dicibilità» di un tema;
sono fortemente influenzati dalla cultura di
appartenenza.
Centro Ausiliario per i problemi Minorili
Parlare con i bambini
con difficili storie
familiariMILANO 7/8 MARZO 2018
MARCO CHISTOLINI
marco
.chisto
lini@
gm
ail.com
Prima di iniziare un percorso di comunicazione
è importante stabilire quali obiettivi ci
prefiggiamo. In altre parole cosa vogliamo che
il bambino sappia e capisca.
Ciò significa avere una progettualità che
richiede TEMPO (ma non sempre è possibile
avere il tempo che servirebbe…).
Però, se lavoriamo bene, il tempo lavora per
noi.
Solitamente sono i genitori ad aiutare i
bambini a mantenere un equilibrato senso
di continuità interna.
A volte i genitori non hanno, per le loro
difficoltà personali, la capacità di svolgere
questa funzione oppure si trovano in
conflitto d’interessi con il bambino.
Quando i genitori non sanno o non vogliono
parlare in modo corretto ai figli il compito di
informare ed accompagnare i bambini spetta
agli operatori che assumono un ruolo molto
importante.
Tale significatività discende da due aspetti:
L’assenza di adulti di riferimento competenti.
La complessità che caratterizza le storie dei minori
in difficoltà.
È chiaro che in primo luogo si deve cercare di
avere la collaborazione delle figure significative
per il bambino.
Si deve quindi lavorare con impegno in questa
direzione cercando di ottenete la massima
condivisione possibile dei messaggi da dare al
bambino, senza però snaturarne la sostanza.
L’atteggiamento dei familiari condiziona ciò che
possiamo fare e come possiamo farlo.
A volte, dovremo spiegare le diverse posizioni
degli adulti.
Per parlare al bambino non è necessario
essere psicologi o psicoterapeuti, si deve
piuttosto avere:• Capacità relazionali;
• Disponibilità emotiva;
• Una relazione significativa con il bambino;
• La convinzione che informare e significare è
necessario.
Laddove sia possibile il coinvolgimento di
altre figure affettivamente significative nel
percorso di informazione e significazione è
particolarmente importante.
Ciò al fine di:
Dare maggiore credibilità alle informazioni
Rafforzare le significazioni
Incrementare il sostegno emotivo
Chiarità l’importanza di conoscere
la propria storia, si potrebbe
chiedere se sia proprio necessario
raccontare tutti i fatti salienti o se
non sia preferibile omettere quelli
più dolorosi.
Il criterio di attinenza o coinvolgimento.
Il criterio di rilevanza
Il criterio di impatto.
Il criterio di congruenza.
Il criterio di sostenibilità.
In assenza di informazioni sulla
storia del bambino o su parte di
essa, si dovrà utilizzare lo
strumento della: «ipotizzazione
verosimile».
La conoscenza è importante, ma
ancora di più lo è la comprensione.
Ciò di cui abbiamo bisogno è dare un
senso a quello che ci succede.
Dopo aver conosciuto i fatti la
domanda che ci guida è relativa al
perché.
80
Le inadeguatezze dei genitori devonoessere spiegate come qualcosa di«negativo» dovuto a carenza o assenza dirisorse psicologiche e relazionali prodotteda una storia personale non positiva.
Quindi, non sono capaci di prendersi curadi te perché non hanno imparato ad esserebravi genitori (tanto è vero che…).
Questa interpretazione si basa su di unavisione compassionevole dell’altro chesbaglia.
I genitori vengono proposti al bambino
come persone fragili, che non erano
sufficientemente attrezzate a crescerlo a
causa di una storia personale difficile.
Gli vogliono bene (forse), ma un bene non
sufficiente a rispondere ai suoi bisogni.
Quando si vivono o sono state vissute
esperienze importanti, non basta
conoscerle e comprenderle, abbiamo
bisogno di capire ed esprimente ciò che ci
suscitano.
Facilitare l’espressione di ciò che provoca
sapere (o non sapere) o immaginare è
molto importante.
Cosa pensi di…? Come ti senti
quando…?
È comprensibile sentirsi in questo modo.
Anche a me succede di pensare/sentirmi
quando…
Se fossi al tuo posto mi sentirei…
penserei… avrei voglia di… anche tu?
85
1. Chiarire contesto e ruoli.
2. Costruire una relazione (autorevolezza di
ruolo).
3. Partire dall’esperienza del bambino (ciò che sa
e ha vissuto).
4. Collocazione delle informazioni all’interno di
una trama narrativa complessiva.
5. Attenzione e rispetto dei sentimenti del
bambino (rispecchiamento, anche della fatica).
6. Il concetto di «verità sostanziale».
7. Usare esempi concreti e le parole «giuste».
Consiste nel dire la «sostanza» di ciò che si
conosce, utilizzando parole ed esempi chiari,
chiamando le cose con il loro nome o con altri
termini sostitutivi ma realistici ed omettendo
dettagli eccessivamente crudi e non necessari.
Prevede successivi approfondimenti e
precisazioni da calibrarsi sulla progressiva
metabolizzazione delle informazioni date, sulla
crescita del bambino e sul suo soggettivo
bisogno di saperne di più.
Si deve fare attenzione ad utilizzare
termini semplici e vicini all’esperienza
del bambino.
Sforzandosi di spiegare cosa voglia dire
una certa cosa piuttosto che
preoccuparsi di come chiamarla
(esempio droga, carcere, ecc.)
Attenzione alla comunicazione non
verbale.
Il riepilogo
I disegni.
L’album.
Le fiabe.
Il diario.
Usare personaggi del mondo animale.
Includere i protagonisti del mondo reale.
Includere gli avvenimenti realmente
accaduti.
Dare significato agli avvenimenti.
Dare voce ai sentimenti e alle intenzioni dei
protagonisti (in particolare del bambino).
Decidere quali informazioni è opportuno trasmettere al
bambino secondo i criteri enunciati.
Chiedersi cosa il bambino sa o potrebbe sapere.
Decidere in che modo trasmettere le informazioni.
Chiedersi come il bambino potrebbe sentirsi.
Sintonizzarsi con pensieri ed emozioni del bambino.
Chiedersi quali risonanze emotive hanno per noi quelle
informazioni.
Valutare se ed in che modo è possibile coinvolgere i familiari
(dando conto al bambino della loro posizione).
Valutare se possibile coinvolgere altre figure affettivamente
significative o altri colleghi.
Garantire la processualità della comunicazione.