Paranoie - francoangeli.it · Il desiderio di conoscere incontra degli ostacoli. È per incarnare...

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Fabrizio Gambini Paranoie Tra psichiatria e psicoanalisi: saperci fare con la psicosi FrancoAngeli Clinica psicoanalitica dei legami sociali

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La paranoia una nozione quasi scomparsa come tale dai testi di psi-chiatria. La si ritrova, un po schiacciata e deformata dalla mancanza di spazio,tra le schizofrenie paranoidi e i disturbi paranoidi di personalit. Questo tipo diinquadramento nosologico non casuale e rispecchia la difficolt della psichia-tria a mantenere operativa una nozione che Freud considerava in rapporto conlo sviluppo dei grandi sistemi filosofici e della quale Lacan semplicemente diceessere la personalit, spingendosi fino a sostenere che la conoscenza in sstrutturalmente paranoica. In sostanza questo significa che la paranoia, pi chela schizofrenia o i disturbi di personalit, difficile da situare come pura cate-goria patologica: riguarda troppo da vicino la nostra essenza di parlanti. Di quila soluzione gordiana della psichiatria del terzo millennio: far scomparire la no-zione di paranoia.

Con questo testo lautore tenta, in controtendenza, di mantenere viva la no-zione e di dimostrarne la pertinenza sostenendo la capacit della nozione stes-sa di determinare concrete pratiche di cura come quelle riportate nella quartaparte del libro. A partire dallinteresse appassionato per la psichiatria, la psi-chiatria stessa a essere in stato daccusa, ormai incapace di pensare le suepratiche e di confrontarle con la complessit delloggetto con il quale si trova adavere a che fare.

Fabrizio Gambini, psichiatra e psicoanalista, membro dellAssociazione la-caniana internazionale. Vive e lavora a Torino dove dirige il Servizio Psichiatri-co di Diagnosi e Cura dellOspedale Mauriziano Umberto I. Autore di numero-si saggi e articoli in ambito psicoanalitico e psichiatrico, ha pubblicato: Freud eLacan in psichiatria (Cortina, 2006) e Lora del falso sentire. Psicoanalisi e di-sturbi dellumore (Angeli, 2011).

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Fabrizio Gambini

ParanoieTra psichiatria e psicoanalisi:saperci fare con la psicosi

FrancoAngeli

Clinica psicoanaliticadei legami sociali

FrancoAngeliLa passione per le conoscenze

225.12 3-02-2015 14:28 Pagina 1

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Clinica psicoanalitica dei legami sociali, coordinata da Maria Teresa Maiocchi

La scoperta di Freud mette in gioco laltra scena del soggetto: teatro nascosto, esclusivo,ad intra, mondo interno e mentale, mentre il conscio sarebbe ad extra lesterno, il socia-le. Figlio scettico della scienza, il soggetto moderno ottiene un recupero di intimit soloallungandosi sul divano dellanalista, luogo specialistico del privato e del segreto, divisotra pubbliche virt del sapere e vizi privati del desiderio. Tutto qui quel che la clinicafreudiana ha messo in gioco? Infelicit delle masse e disagio della civilt sono solouna solitaria incursione extraclinica del Freud maturo e pessimista? Uno schema lineare,inconscio-interno-mentale/conscio-esterno-sociale adeguato alla post-modernit?La collana intende mostrare la pertinenza della clinica psicoanalitica a trattare il sogget-to solo se viene preso nella complessit dei suoi legami. Clinica del soggetto prima ditutto clinica dei suoi legami: con la sua nozione di discorso inteso come legame socia-le J. Lacan mostra una causalit complessa fin nel cuore privato della cura. Nella sualettura di Freud, Lacan mostra gli snodi cruciali per andare al di l di una clinica localiz-zata nellintra-psichico, e decifrare scenari attuali di godimento mortifero, anche o spe-cialmente fuori setting : la psicoanalisi una inedita forma di legame, cio discorso apartire da cui leggerne e modificarne altri.Ai paesaggi di catastrofe quotidiana del villaggio globale occorrono cliniche adeguate.Sapr il discorso analitico trattare una domanda anonima, svuotata di desiderio? La cli-nica e la formazione come vengono toccate dalla necessit di far contrasto alla omo-logazione segregante della soggettivit, per elaborare forme di legame pi vivibili? E lascommessa dei testi che la collana propone, articolazioni di una clinica del campo laca-niano.

Comitato scientifico: Francesca Bonicalzi, Silvana Borutti, Italo Carta, Vittorio Cigoli,Elena Croce, Gianfranco Dalmasso, Silvano Facioni, Marisa Fiuman, Pier FrancescoGalli, Costanza Marzotto, Enrico Molinari, Sergio Piro, Angelo Righetti, Eugenia Scabi-ni, Giancarlo Tamanza

Consigli FPL e ICLeS: Mario Binasco, Moreno Blascovich, Franco Bruni, Annalisa Da-vanzo, Renato Gerbaudo, Paolo Gomarasca, Maria Teresa Maiocchi, Fulvio Marone,Marina Severini, Francesco Stoppa

Coll. Reprs. Internationale Forums du Champ Lacanien: Jean Lombardi, Josep Mon-seny, Fernando Palacio, Antonio Quinet, Leonardo Rodriguez, Colette Soler

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Fabrizio Gambini

ParanoieTra psichiatria e psicoanalisi:saperci fare con la psicosi

FrancoAngeli

Grafica della copertina: Elena Pellegrini

Immagine di copertina: William Congdon, Tenement Facades (part.), 1948. The William G. Congdon Foundation, Milano, www.congdonfoundation.com

Copyright 2015 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy.

Lopera, comprese tutte le sue parti, tutelata dalla legge sul diritto dautore. LUtente nel momento in cui effettua il download dellopera accetta tutte le condizioni della licenza duso dellopera previste e

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A mia fi glia Anna che con le sue domande e le sue risposte, seppur geografi camente molto lontana, mi sempre stata e mi sempre molto vicina,e a mia moglie Rosellina, che mi regala quotidianamente il calore della sua vicinanza di affetto e di pensiero.

Il desiderio di conoscere incontra degli ostacoli. per incarnare questa diffi colt che ho inventato il nodo.

J. Lacan

Laver portato a termine questo libro ha necessitato di una serie di contributi che vanno molto al di l di quelli di cui posso qui testimoniare facendone oggetto di esplicito e sentito ringraziamento. Prima di tutto i miei pazienti, molti dei quali hanno letto la parte di testo che li riguardava, seppur trattata in modo da non renderne possibile il riconoscimento, e che mi hanno fatto dono della loro autorizzazione a scriverne. Ringrazio inol-tre tutto il personale del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dellO-spedale Mauriziano Umberto I di Torino, col quale ho lungamente e talvolta animatamente discusso dei casi che si sono presentati alla nostra cura in condizioni talvolta molto diffi cili per tutti. Infi ne, ma con partico-lare affetto, ringrazio la D.ssa Barbara Piazza, la D.ssa Elena Garritano, la D.ssa Francesca Casulin, la D.ssa Giuliana Giordano e la D.ssa Rosaria Mirisola che hanno frequentato in qualit di psicologhe tirocinanti il re-parto che dirigo. Il loro contributo di interesse, di dedizione, di attenzione e di disponibilit, ha costituito un clima e una possibilit di elaborazione dei singoli casi senza il quale la parte di questo libro dedicata allanalisi dei casi clinici, sarebbe stata diversa e infi nitamente peggiore.

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Indice

Preambolo

1. Sapere1. Il dramma di Tiresia, ovvero il mito fondatore della cono-

scenza2. E la luce splende nelle tenebre3. Io so

2. Credere1. Tre padri2. Lateismo militante3. Si pu credere a La Vera Religione?

3. Le Paranoie1. Dalla Paranoia alla Schizofrenia: specifi cit della funzione

del Nome-del-Padre in rapporto al tipo di psicosi2. Loggetto3. La voce4. Lo sguardo6. Il fallo7. I Nomi del Padre8. Schema ottico

4. Casi clinici1. Due sorelle2. Stalker3. Il Vangelo secondo Sabatino

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4. La Coppia Reale5. Una diffi colt di coppia6. Non curatemi ma abbiate cura del mio corpo7. Quale triangolo?8. Unallucinazione metaforica9. Lo spettacolo continua10. Schreber 2013

A mo di conclusione

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Preambolo

La gente crede solo a quello che sa gi, e questa era la bellezza della Forma Universale del Complotto.

Umberto Eco

C chi crede che Dio abbia fornito un certo Joseph Smith di occhia-li (due pietre in un arco dargento) che hanno reso possibile la lettura di un testo, quello di Mormon, scritto su tavole doro, che narra le vicende della trib perduta dIsraele. Una volta soprannaturalmente tradotto dallo stesso sig. Smith, il testo sarebbe ritornato in possesso del messaggero celeste che aveva fornito le indicazioni per il ritrovamento e per la lettura. La traduzione del Libro di Mormon, pubblicata negli Stati Uniti nel 1830, allorigine della nascita e dello sviluppo della Chiesa detta Mormone (Chiesa di Ges Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni).

C chi crede che, ingerendo del pane non lievitato e opportunamente santifi cato durante una cerimonia ad hoc, ingerisca il corpo di Cristo.

C chi crede che la scienza, spiegando integralmente il meccanismo della sintesi di peptidi allinterno delle cellule nervose in rapporto agli stimoli percettivi che giungono al cervello, possa spiegare non solo la base organica, bens la natura dei sentimenti, dei comportamenti e delle idee.

C chi crede che il proprio percorso, quando attraversato da un gat-to nero, debba necessariamente essere cambiato, pena unimprevedibile quanto certa sciagura.

C chi crede che consumare latticini nello stesso piatto in cui si man-gia della carne, contravvenga ad un preciso dettame del Libro dei libri, ovvero della Bibbia dettata da Dio agli uomini.

C chi crede che gli uomini siano stati creati da Dio pi o meno 10.000 anni fa, esattamente come racconta la Genesi (tanto per capirci, si tratterebbe del 46% della popolazione statunitense, se ci fi diamo della rappresentativit del campione intervistato).

C chi crede che la posizione di Plutone in rapporto ai segni dello zodiaco infl uenzi gli accadimenti della propria quotidianit spicciola, o,

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mettiamoli nella stessa categoria, c chi crede che nelle linee della mano sia prefi gurato il proprio destino.

C chi crede che gli extraterrestri, debitamente muniti di dischi volan-ti dordinanza, visitino regolarmente il nostro pianeta.

Tralascio, prima di tutto per mancanza di competenza ma, tutto som-mato, anche dinteresse, credenze meno vicine a noi, come Ching, Yin e Yang, energie pi o meno cosmiche, Mantra, etc.

E, infi ne, c chi crede che ogni credenza sia assurda, illogica, oscu-rantista e che per questo un essere umano evoluto dovrebbe astenersi dal credere e rapportarsi freddamente, civilmente e orgogliosamente al solo desiderio di sapere.

Non si tratta di credenze deliranti. Il punto : cosa fa la differenza? Il fatto che siano socialmente condivise? Ma allora, qual la caratte-

ristica dellidea che ne consente la condivisibilit sotto la forma di una credenza comune?

La verosimiglianza del contenuto? Direi di no. Ai miei occhi di psi-chiatra e di psicoanalista occidentale del ventunesimo secolo alcuni dei contenuti indicati, anzi, a volere essere onesto, tutti i contenuti che ho elencato, sembrano francamente bizzarri.

Oppure si tratterebbe della quantit di credenza? Del genere: fare uno scongiuro di fronte ad un gatto nero unabitudine sociale, mentre ob-bligarsi ad un percorso tortuoso o a un complesso rituale scaramantico follia. Anche qui mi pare che si sia fuori strada. Basta pensare per un attimo a tutta la complessa e millenaria storia delle religioni per rendersi immediatamente conto di come non sia leccesso di credenza a qualifi ca-re di folle quella stessa credenza.

C poi un problema aggiuntivo che ha, prima di tutto, a che fare con i diversi aloni semantici che circondano, e non solo in italiano, il verbo credere1. In una frase del tipo: Non so, non ne sono sicuro ma credo

1. Ovviamente la situazione non del tutto sovrapponibile nelle diverse lingue, ma, almeno per le tre che mi capita di frequentare oltre litaliano, la situazione non molto diversa.

In inglese to believe il verbo che pi da vicino ricopre lalone semantico dellitaliano credere e, come questo, ha pi signifi cati: 1. essere convinto della verit o dellaffi dabilit di qualcosa in assenza di prova certa, 2. avere fi ducia o fede nella verit di unasserzione, 3. avere fi ducia nel giudizio o nelle asserzioni di una persona; ma anche 4. essere pi o meno convinto, supporre, come ad esempio: credo che abbia lasciato la cittE, infi ne, to believe in: essere persuaso della verit o dellesistenza di, come nelle frasi: credere nello zoroastrismo o credere nei fantasmi.

In parte lo stesso alone semantico ricoperto dal verbo to trust che : 1. avere fede o fi ducia in, fi darsi di, 2. attendere con fi ducia, sperare, 3.affi dare, consegnare con fi ducia, 4. permettere di restare o di andare da qualche parte o di fare qualcosa senza timore delle conse-guenze e infi ne, 5. fare credito a qualcuno.

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che sia cos, il verbo credere introduce ad una dimensione dubitativa e di mancanza di certezza che totalmente assente dalluso che si fa dello stesso verbo in una frase come: Credo in Dio o nel destino. Per dir-lo in altro modo, sembrerebbe che un uso corrente del verbo credere escluda la dimensione del sapere, come succede appunto nella credenza religiosa. Nella frase: credo in Dio, non ho bisogno di sapere per crede-re; credere e sapere sono due verbi non in contiguit. Nello stesso tempo per, un uso altrettanto corrente dello stesso verbo, introduce con una certa cautela alla dimensione del sapere, come nella frase che abbiamo gi citato: Non so, non sono sicuro, ma credo che. Qui, al contrario, di una vera continuit semantica che si tratta e credere e sapere hanno fondamentalmente lo stesso rapporto con loggetto.

Tenendo conto di tutto questo mi sembrato che ci fosse materia per affrontare una questione che considero centrale per la clinica, ma anche, e forse soprattutto, per fronteggiare alcune tra le sfi de che la psicoanalisi ha oggi di fronte. La questione quella, diciamo cos, di una diagnosi differenziale tra le credenze.

Per la verit con un certo dolore e non senza qualche diffi colt che parlo di sfi de. Eppure di questo che si tratta. Penso sia chiaro a tutti che, complessivamente e per quanto riguarda la cura della follia, il nostro sistema di riferimento culturale premia la medicina basata sulle evidenze (EBM) e uno strumentario cognitivo e psicoeducazionale che si presen-ta come il prodotto di un pensiero scientifi co ormai libero dalle pastoie della religione, dello spiritualismo e dalle varie forme di oscurantismo confusivo ed eventualmente cialtrone. Ora, certamente io sono prima di tutto un medico, non sono religioso e non ho una particolare simpatia per le forme anche eventualmente raffi nate di spiritualismo, ma tutto quel-lo che conosco della pratica e della teoria della psicoanalisi, mi fa dire che la psicoanalisi stessa non ha niente a che vedere con il rifi uto della scientifi cit, anzi. Per quanto mi riguarda, se qualcosa contribuisce a fare della psicoanalisi il centro del mio sistema di riferimento concettuale qualcosa che defi nirei come un pi di materialismo. In particolare si tratta di un materialismo che non tiene conto soltanto del biologico come base del nostro pensiero e del nostro sentire, bens di un materialismo che tiene

Possiamo poi tradurre con credere il verbo to think (pensare) quando usato nel senso di avere qualcosa in mente sotto forma di opinione o di credenza, oppure nel senso di credere che qualcosa sia vero circa qualcuno o qualcosa.

In tedesco il verbo glauben praticamente sovrapponibile allitaliano credere e copre lambito che va dal credere in quanto prestar fede, al supporre, al credere in Dio o al credere tout court come sinonimo di aver fede.

Lo stesso pu dirsi del francese croire.

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prima di tutto conto che noi esseri umani, compresi i ricercatori pi atten-ti e consapevoli, non abbiamo altra rappresentazione del nostro oggetto di studio nel nostro caso, poniamo, il funzionamento del Sistema Nervoso Centrale (SNC) se non quella offerta dalle categorie concettuali con le quali noi pensiamo il reale. La rivoluzione della psicoanalisi consiste nel non considerare questo un inghippo inevitabile o qualcosa che si pu in prospettiva superare attraverso il meccanismo, ben descritto da Pop-per2, delle falsifi cazioni progressive del discorso scientifi co che, nel suo avanzamento, supposto ridurre progressivamente lo scarto tra il reale e le parole per dirlo. La psicoanalisi, a partire dalla sua pratica, che di ascolto di quel che un soggetto ha da dire sulla situazione che lo riguarda, considera lo scarto tra il reale e le parole per dirlo, come qualcosa che in atto e che produce i suoi effetti attraverso quella struttura che Freud ha insegnato a riconoscere operante nominandola come Inconscio. Non si tratta di una rivoluzione antropologica, n di un cambio di paradigma scientifi co in grado di modifi care il percorso generale della scienza. Gli effetti della psicoanalisi sono probabilmente limitati alla portata di un discorso sul dire3, ma si tratta di una concreta pratica e di un modo di con-cepire questa stessa pratica, che, tra laltro, comporta una considerazione del tutto diversa della malattia di mente rispetto al suo essere considerata come puro epifenomeno di un danno cerebrale soggiacente.

Ad esempio, per entrare nel vivo della nostra questione e per dirlo subito e senza mezzi termini, considero insopportabilmente riduzionista e violente-mente semplifi catorio, un atteggiamento che limita la questione della para-noia al solo affi orare del termine in quadri nosografi ci apparentemente ben defi niti come schizofrenia paranoide, disturbo delirante o disturbo paranoi-de di personalit. Apparentemente, per la psichiatria, costruita per analogia come un sapere medico, questo non un problema: si tratta di aspettare che la nosologia psichiatrica, periodicamente rivista, anzi direi incessantemente rivista, si doti, come stato per le altre branche della medicina, di una sua eziologia, di una sua patogenesi, di una sua prognosi e, somma aspirazione di ogni sapere medico, di una sua terapia. per per me che c un problema.

2. Si veda ad esempio K. Popper, Logica della scoperta scientifi ca, tr. it. Einaudi, Torino 1970, e K. Popper, Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifi ca, tr. it. il Mulino, Bologna 2009.

3. Resta aperta la questione di quel che la psicoanalisi ha da dire sul funzionamento socia-le generale degli esseri umani. Gi in Freud la psicologia di massa va a braccetto con la-nalisi dellIo. Lo stesso succede con Lacan e con la sua idea di psicoanalisi in estensione. In questa sede intendo occuparmi della clinica della paranoia e dunque non potr affrontare direttamente questo tema, ma ovvio che non v modo di approcciare la clinica individuale se non tenendo conto dei movimenti che vi si producono in rapporto alle modifi cazioni del legame sociale tra gli esseri umani.

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Per quanto mi riguarda, o la psicoanalisi si dimostra capace di rovesciare un paradigma psichiatrico che fonte di profonda insoddisfazione, o la psicoa-nalisi destinata a spegnersi con lo scomparire della coda del secolo che lha espressa. Penso che una psichiatria totalmente appiattita sul sapere medico sia un vicolo cieco per lattenzione e la cura che lumanit non cessa di de-dicare alla follia che da sempre laccompagna nel suo riprodurre se stessa. Inoltre la psicoanalisi non solo una forma di trattamento della sofferenza psichica, ma produce anche e necessariamente un discorso circa gli esseri parlanti che non pu non interloquire con le forme di legame sociale che costituiscono il nostro vivere civile.

Il punto centrale di ci che intendo trattare ruota attorno alla nozione, tutta psicoanalitica, del rapporto strutturale che lega il sapere umano alla forme cliniche conclamate della paranoia. Senza tener conto di questa pro-fonda continuit, non vi modo di approcciare con un minimo di metodo e di rispetto, i pazienti che defi niamo paranoici. Inoltre, chi come me, ha alle spalle quasi un quarantennio di esercizio della psichiatria, sa anche che la nozione alla quale ho appena fatto riferimento, capace di determinare dei movimenti pratici, concreti, identifi cabili e descrivibili, che migliorano gran-demente la possibilit di impostare e mantenere la direzione della cura in un caso di paranoia.

Si tratta di un tipo di continuit che fa capolino sin dalletimologia del termine paranoia, termine gi presente nella Grecia antica col senso di dis-sennato ( - , da , dappresso, accanto, a lato e , mente, intelligenza, intelletto, ragione, senno, perspicacia, spirito). In un certo sen-so paradossalmente, venendo dal fondatore della psichiatria moderna basata sullo sguardo supposto oggettivo e oggettivante della clinica ottocentesca, la stessa nozione di continuit presente nella defi nizione fornita da Kraepelin che, nel 1899, limita la nozione di Paranoia allo sviluppo insidioso, dipenden-te da cause interne e secondo uno sviluppo continuo, di un sistema delirante durevole e impossibile da scardinare e che si instaura con una conservazione completa della chiarezza e dellordine del pensiero, della volont e della-zione4. Lo stesso concetto ripreso da Kretschmer per il quale si chiamano paranoiche le formazioni deliranti croniche, che hanno una struttura logica e sistematica in assenza di dissociazione della personalit5. Entrambi poi sotto-lineano abbondantemente lidea di una continuit tra conoscenza umana del mondo e Paranoia, attraverso concetti come la personalit premorbosa e le reazioni-tipo della personalit.

4. E. Kraepelin, Psychiatrie, Leipzig 1899.5. E. Kretschmer, Manuel thorique et pratique de Psychologie Mdicale, tr. fr. Paris,

1927.

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A proposito di conoscenza umana del mondo, vale la pena di sottolineare una certa vicinanza che il termine Paranoia ha, dal punto di vista etimologi-co, col termine Filosofi a. Come si sa (termine di origine sconosciuta) in greco sapienza, senno, saggezza, termine non tanto lontano da , che abbiamo gi incontrato; invece caro, diletto, amato, accetto. Filosofi a dunque amore per la saggezza e va a braccetto con la Paranoia che stare dappresso, accanto, a lato dellintelletto. un gioco, ma non tanto un gioco se pensiamo che Freud pone la Paranoia dallo stesso lato, in continuit con i sistemi fi losofi ci e che Lacan, seguendo Freud, ci ricorda che la nostra cono-scenza strutturalmente paranoica.

Si tratta dunque di indagare assieme le diverse forme di conoscenza per differenziarle da un lato dalle diverse forme di credenza e dallaltro da quella particolare forma di sapere che quello proprio della Paranoia, o per essere pi precisi, delle Paranoie, in quanto non ve n una sola.

Anticipiamolo in una frase, poich si tratta del nucleo attorno al quale si muove tutto questo saggio: nella continuit tra sapere e credere, la credenza delirante, pur chiamandosi appunto credenza, si colloca integralmente dal lato del sapere. Non che io ci creda, io so!6. questa la frase che potremmo mettere in ex ergo ad ogni convinzione delirante. Nello stesso tempo questa frase non limitata al suo uso da parte dei paranoici. In una celebre intervista radiofonica rilasciata da Jung nel 19597, ad un certo punto lintervistatore chie-de a Jung se lui creda in Dio (E adesso, crede in Dio?) e la risposta di Jung esattamente la nostra frase: AdessoDiffi cile rispondere. Adesso lo so. Non ho bisogno di credere. Lo so. Non penso che Jung fosse paranoico. Penso, al contrario, che avesse bene in mente cos sapere e cos credere per uno psicoanalista e che proprio da qui si debba partire per interrogare questa rispo-sta. A questo proposito, nella stessa intervista si trova la seguente affermazione:

Vede, la parola credere mi crea sempre diffi colt. Io non credo; devo tro-vare una ragione a sostegno di una certa ipotesi. Oppure so una cosa, e allora la so, e non ho bisogno di crederci. Io non mi premetto, per esempio, di credere in una cosa per il gusto di crederci. Non ci riesco. Ma quando esistono suffi cienti ragioni a favore di una certa ipotesi, allora la accettonaturalmente. come se dicessi: Dobbiamo tener conto della possibilit della tal cosacapisce?8

6. Sekulowski trattenne il respiro. Quando sollev la testa, il volto illuminato dagli oc-chi chiari apparve bello e ispirato. Non che ci creda disse Io so. S. Lem, Lospedale dei dannati, tr. it., Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 148.

7. Sul sito humantrainer.com si trova il link che consente di scaricare il video dellintervi-sta Face to Face fatta a Jung da John Freeman per conto della BBC nel 1959. In W. McGuire e R.F.C. Hull (a cura di) Jung parla, tr. it. Adelphi, Milano 2002, si trova la trascrizione inte-grale dellintervista (p. 524).

8. W. McGuire e R.F.C. Hull (a cura di) Jung parla, cit. p. 536

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Per quanto riguarda Jung, il sapere sembrerebbe dunque presentato in una sorta di contrapposizione ideale al concetto di credenza. Non si tratta di unovviet e neanche forse di unoperazione del tutto legittima. Per quanta mi riguarda, penso piuttosto che gli aloni semantici dei due concetti presentino una zona di sovrapposizione che sfuma gradatamente verso i due estremi dei campi della signifi cazione. Abbiamo cos tre luo-ghi, quello degli estremi, in cui le differenze sono chiare e non sembrano potersi prestare ad alcun equivoco, e quello intermedio in cui credere e sapere sembrano invece confondersi luno con laltro. Tanto per darne una rappresentazione, ma non una rappresentazione casuale, potremmo rappresentare questa articolazione come quella di due insiemi che presen-tano un sottoinsieme in comune.

Da qui vorrei partire per affrontare la questione delle Paranoie.Il libro che da qui prende le mosse diviso in quattro parti e una con-

clusione. La prima parte dedicata a cos sapere, la seconda affronta il tema di cosa sia credere, la terza fa il punto sulle nozioni di ordine ge-nerale che ci consentono di affrontare ad orecchie aperte la clinica delle paranoie, la quarta specialmente dedicata a situazioni cliniche, molte delle quali sono state incontrate e trattate allinterno di un reparto ospe-daliero di psichiatria e, come si diceva, c poi una sorta di conclusione. Questultima scaturita, dopo pi di quarantanni di lavoro nellistituzio-ne psichiatrica, dal Manicomio ai Dipartimenti di Salute Mentale, come una necessit che quella drammatica, o almeno da me drammaticamente sentita, di denunciare la stupidit, il disinteresse per la clinica e lodiosa ripetitivit e inutilit della gran parte delle pratiche di cura. Questo, in fondo, mi ha portato, come in tutte le conclusioni un pointeressanti e non del tutto inutili, a formulare una domanda, che la seguente: pu la psichiatria liberarsi dalla psichiatria?

sapere credenzasapere+

credenza

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1. Sapere

n capit in quei tempi in cui si potesse credere che il cielo fosse appoggiato sulle spalle di uno solo: dopo che era stata rigettata lantica credulit e lumanit era giunta ad un altissimo grado di cultura

Seneca

Lesigenza di abbandonare le illusioni sulla condizione [umana] lesigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni.

K. Marx

1. Il dramma di Tiresia, ovvero il mito fondatore della conoscenza

Un giorno Tiresia, un semplice, giovane pastore, scendeva tranquilla-mente per un sentiero di montagna, quando vide due serpenti intrecciati tra loro. Schiacci la testa a uno dei due per scoprire che, essendo il ser-pente animale sacro ad Apollo, quel giorno il Dio aveva deciso di punire un atto che i pastori hanno da sempre considerato legittimo e perfi no utile. Poich il serpente ucciso era una femmina, Tiresia si trov, per punizio-ne, trasformato in donna. Dopo un po di tempo, per la precisione il mito narra di sette anni, durante il quale Tiresia, che aveva conosciuto lamore come uomo, lo conobbe anche come donna, il nostro giovane, ormai don-na, incontra di nuovo due serpenti intrecciati in amorose spire e, questa volta, uccide il maschio, trovandosi di nuovo trasformato in uomo.

Mentre tutto questo avveniva sulla terra, nellOlimpo, Zeus ed Era erano occupati in una discussione su chi, tra luomo e la donna, godesse maggiormente durante lincontro amoroso. Non riuscendo a venire a capo della questione, decisero di interrogare Tiresia che, come abbiamo visto, aveva conosciuto lamore sia come uomo che come donna.

La risposta di Tiresia assieme misteriosa ed inequivoca: per un de-cimo luomo gode col suo corpo, per le restanti nove parti la donna che gode con la sua anima. Per motivi abbastanza oscuri, ma che cercheremo di capire, Era si indispettisce per questa risposta e punisce Tiresia pri-vandolo della vista. Zeus, che in fondo era un bravuomo, e che non era restio a mostrare un po di solidariet maschile, decide di indennizzare Tiresia della perdita della vista e gli fa dono della capacit di prevedere il futuro assieme ad una lunghissima esistenza.

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Secondo questa versione del mito cos che Tiresia si trova ad essere lindovino cieco dalla lunghissima vita, che attraversa una parte sostan-ziale della mitologia classica.

In unaltra versione del mito, Tiresia fi glio di una ninfa che, tra tutte le ninfe, era quella pi amata da Atena. Un giorno, mentre la dea e la ninfa si bagnavano ad una sorgente sul monte Elicona, il giovane Tiresia, cac-ciando con i suoi cani, giunge trafelato alla stessa sorgente, vedendo cos, senza volere, le cose non concesse, ovvero, per essere chiari, la nudit di Atena. Per questo la dea, irritata, pose le mani su suoi occhi e lo accec. In seguito, commossa dal pianto dellamica Cariclo, la ninfa madre di Tiresia, consacr lo stesso Tiresia come indovino1.

Come si vede siamo di fronte allo stesso luogo narrativo: Tiresia vede ci che non dovrebbe vedere e per questo condannato a perdere la vista. Ma una vista che in realt non si perde, anzi, avendo visto ci che non doveva vedere, Tiresia continua a vedere, e si tratta di continuare a vedere quel che al resto dei mortali precluso. Lindovino Tiresia, che si trova a sapere senza aver voluto sapere, sa ci che gli uomini non possono sapere. Al contrario gli uomini anelano a sapere; primo tra tutti, Ulisse, che pi di ogni altra cosa desidera sapere, che persegue virtute e canoscenza2, e che per interroga invano il canto delle sirene, canto che promette ma non dice. solo quando lo stesso Ulisse incontra nellAde Tiresia, unica tra le ombre a mantenere coscienza di s e saggezza, che apprende da lui del suo futuro. Ugualmente, quando Edipo, anche lui smanioso di sape-re, interroga lindovino, apprende da un recalcitrante Tiresia, quanto per Edipo stesso sarebbe stato meglio continuare ad ignorare. Anche Edipo, per aver visto quel che non avrebbe dovuto, per aver saputo quel che avrebbe dovuto restare ignorato, si procura latroce menomazione che lo rende cieco, ma per lui non c seconda vista. Complice Tiresia, Edipo ha s, visto ma resta accecato dallatrocit della sua visione. Non cos per Tiresia che, come abbiamo visto, continua a vedere, impara a vedere stabilmente, ed , se si preferisce, condannato a continuare a vedere.

1. Entrambe le versioni hanno molte fonti. Per avvicinarsi direttamente al mito si veda: K. Kerny, Gli dei e gli eroi della Grecia, tr. it. Garzanti, Milano 1976; R. Graves, I miti greci, tr. it. Longanesi 1979; N. Leroux, Les expriences de Tirsias, Gallimard 1989; Sofocle, Edipo Re, Edipo a Colono, Antigone, tr. it. Garzanti 1977; Ovidio, Le Metamorfosi, Rizzoli 1994. Interessante anche la trasposizione cinematografi ca del mito: Tiresia, Francia-Canada, 2003, 115 min. colore, regia di B. Bonello.

2. Il riferimento in realt doppio. Da un lato c evidentemente lUlisse dantesco che incita i suoi compagni a superare le Colonne dErcole facendo vela verso lignoto (Dante, Inferno, XXVI), ma gi in Omero il fascino delle sirene per Ulisse la possibilit di accedere al canto che di molto saver la mente abbella. Omero, Odissea, XII, 245-253. La questione, qui appena adombrata, ripresa pi ampiamente in questo stesso capitolo.

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poi sempre Tiresia che viene interrogato dallavvenente Liriope la quale, rimasta incinta ad opera delle spire del fi ume Cefi so, aveva partorito un bellissimo bambino al quale aveva dato il nome di Narciso. Tiresia fornisce una risposta apparentemente strana, ma che, dal nostro punto di vista, risulta interessante in quanto unulteriore articolazione del tema del sapere e della conoscenza. Secondo il responso di Tiresia, Narciso avrebbe avuto una vita lunga e felice fi n quando non avesse conosciuto se stesso. Anche qui troviamo un ulteriore punto di contatto tra il dramma di Narciso e la tragedia di Edipo. Anche Edipo infatti colui che vuol conoscere e che, in effetti, conosce se stesso; si ricorder infatti che la soluzione allenigma posto dalla Sfi nge (qual la creatura che da piccolo cammina a quattro zampe, da adulto con due e da vecchio con tre) appunto luomo. In ogni caso lepilogo della storia di Narciso molto conosciuto: egli cresce come un bellissimo giovane, desiderato da fanciulli e fanciulle, ma cresce anche altero, superbo e non sopporta di essere toccato. Un giorno viene visto da una ninfa, di nome Eco, che si trovava in una strana situazione. Il fatto che era stata punita da Giunone per averla distratta con i suoi racconti e con la sua facilit di parola, mentre Giove, comera suo costume, si dava da fare con le altre ninfe sicuro della distrazione della consorte. La punizione era consistita nel fatto che Eco aveva perso la capacit di parola e poteva ripetere solo lultima parte delle parole che sentiva. Dunque, Eco, che sostanzialmente muta fi n quando qualcuno non le parla, segue di nascosto Narciso sempre pi intrigata dalla sua bellezza. Ad un certo punto Narciso, che durante la caccia si separato dal gruppo dei compagni, si accorge di essere solo e grida Ebbene, qualcuno c?. Eco non aspettava altro, e, dal suo nascondiglio, risponde: C!. Narciso non vede nessuno ed esclama: Vieni! per sentire lo stesso invito ripetuto da Eco. Il gioco continua fi n quando si giunge allepilogo. Allultimo appello incontriamoci (coeamus, nel la-tino di Ovidio, che tradotto incontriamoci ma che in latino ha anche direttamente il senso di accoppiarsi, congiungersi, fondersi, serrarsi in-sieme) fa seguito luscita dal bosco di Eco che getta le braccia al collo di Narciso che la respinge brutalmente dicendo: Toglimi le mani di dosso, meglio morire che darmi a te! frase a cui la sfortunata Eco risponde Darmi a te! sprofondando ancora di pi Narciso nel terrore dellincon-tro carnale con laltro da s, per cui la povera, sfortunata e rifi utata Eco, fugge a nascondersi nel folto del bosco deperendo e consumandosi di dolore fi no a che di lei, come sa ognuno di noi, rimasta soltanto la voce.

Dal canto suo Narciso continuava a comportarsi come dabitudine, irridendo e respingendo chi gli si avvicinava, fi n quando qualcuno tra i

IndicePreambolo1. Sapere1. Il dramma di Tiresia, ovvero il mito fondatore della conoscenza