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Università Telematica Pegaso I cicli economici del capitalismo industriale
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 OBIETTIVI FORMATIVI --------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 I CICLI ECONOMICI DEL CAPITALISMO INDUSTRIALE ------------------------------------------------------ 4
3 I CICLI DELLA PRIMA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: 1780-1890 ------------------------------------------- 8
4 LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: 1890-1945 ------------------------------------------------------- 11
5 IL CICLO DELL’ETÀ DELL’ORO: 1945-1989 ------------------------------------------------------------------------ 13
6 IL CICLO DELLA “TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE” -------------------------------------------------- 15
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 17
Università Telematica Pegaso I cicli economici del capitalismo industriale
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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1 Obiettivi formativi
Per comprendere le caratteristiche generali e le ragioni di fondo alla base dell’evoluzione del
capitalismo industriale e delle sue diverse articolazioni e trasformazioni tra il XVIII e il XX secolo
è necessario applicare il concetto di «ciclo economico» allo studio della realtà fattuale e della
fenomenologia.
La consapevolezza dell’articolazione dei processi socio-economici e la capacità di lettura dei
mutamenti strutturali di medio-lungo periodo sono le precondizioni indispensabili – anche se non
esaustive – per comprendere e analizzare i comportamenti delle diverse aree geo-economiche o dei
vari Paesi e riuscire a collegare i singoli contesti storici all’interno di una lettura complessiva dei
processi che consenta di acquisire una più completa formazione e conoscenza dei fenomeni.
In queste pagine è quindi applicata la teoria dei cicli economici allo studio delle diverse fasi di
sviluppo conosciute dal capitalismo industriale tra la prima rivoluzione inglese della fine del
Settecento e la nuova innovazione delle information technologies degli anni Duemila,
evidenziandone per ogni fase le principali caratteristiche: paesi leader, settori trainanti, tecnologie,
paradigmi energetici, periodizzazioni della crescita.
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2 I cicli economici del capitalismo industriale
Il concetto di «ciclo economico» permette allo storico di individuare, in una chiave di lungo
periodo, le ragioni, le cause e le caratteristiche che stanno alla base delle variazioni quantitative di
una data economia e dei mutamenti presenti all’interno di un sistema o tra diversi sistemi
economici. Per passare dalla fotografia dei numeri (ad esempio, quale sia la variazione del Pil
italiano in un dato intervallo di tempo) alle interpretazioni dei numeri (perché Pil italiano conosce
quella variazione in quel periodo di tempo).
In prima battuta, il «ciclo economico» può essere quindi definito come l’espressione nel
tempo dell'alternanza di fasi di fluttuazioni delle variazioni della crescita (o dello sviluppo) di un
determinato sistema. La «scoperta» da parte degli studiosi del concetto di ciclo coincide con la
nascita e, soprattutto, con l’espansione del capitalismo industriale nell’Europa della metà
dell’Ottocento. La diffusione dell’esperienza di industrializzazione dalla Gran Bretagna al
continente porta gli studiosi a cercare di comprendere le trasformazioni che si compiono
nell’organizzazione dell’economia loro contemporanea; la consapevolezza della “rottura” storica
determinata dalla prima rivoluzione industriale della fine del Settecento rispetto al passato e della
sua diffusione sul continente europeo nei primi decenni dell’Ottocento, spinge economisti, storici,
sociologi a cercare di comprendere come avvengano le fasi di espansione o di caduta del
capitalismo industriale, in definitiva come si stia modificando la società loro contemporanea.
Nascono così le prime interpretazioni dei cicli economici che troveranno nel corso dei decenni
successivi nuovi filoni di studio e di approfondimento sempre più articolati e raffinati per cercare di
interpretare la crescente complessità delle società industriali del XIX e XX secolo.
In questo contesto, uno dei più importanti economisti del Novecento, Joseph Schumpeter, ha
prodotto quella che può essere definita come una vera e propria teoria organica dei cicli economici
di lungo periodo. Schumpeter individua alla base della ripartenza del ciclo due elementi
fondamentali: l’innesto di nuove risorse finanziarie e, soprattutto, le innovazioni tecnologiche che
consentono incrementi di produttività. Sono i cosiddetti “imprenditori-innovatori” gli uomini che,
investendo sull’applicazione delle invenzioni scientifiche al processo di produzione industriale
(l’innovazione tecnologica), consentono la ripresa del ciclo e l’avvio della fase di sviluppo. Siamo
dunque, in una concezione pienamente dinamica dell’economia. Grazie al sostegno fornito dai
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capitali bancari che finanziano la nascita di nuovi modelli produttivi, l’imprenditore introduce nuovi
prodotti che sfruttano le innovazioni tecnologiche, conquista nuovi mercati e acquisisce un
vantaggio competitivo sugli altri concorrenti. La conseguenza sono incrementi di produttività e di
profitto che permettono l’avvio della fase di sviluppo. La teoria delle innovazioni consente, dunque,
di spiegare l’alternarsi di fasi espansive e recessive che seguono la capacità di introdurre, espandere
e replicare il processo innovativo. Allo stesso modo, la crisi può essere, molto schematicamente,
interpretata come la conseguenza della progressiva estensione a tutto il sistema delle innovazioni e
della conseguente riduzione del saggio di profitto dell’imprenditore-innovatore dovuta alla perdita
dell’originario vantaggio competitivo. In questo modo, dunque, Schumpeter, riprendendo
l’impostazione di Kondrat’ev, è in grado di definire un’immagine dei cicli economici di lungo
periodo che coniuga la periodizzazione dell’autore russo con la sua analisi dell’innovazione quale
causa principale dell’alternanza di crescita e sviluppo.
A partire dunque dalle considerazioni sopra espresse è possibile presentare lo schema
riassuntivo dei cicli economici di lungo periodo del capitalismo industriale tra il XVIII e il XX
secolo.
A differenza dei modelli ciclici dell’età preindustriale, dalla rivoluzione inglese della fine del
Settecento i cicli economici portano a conseguire livelli di crescita complessivi straordinariamente
sostenuti. La conclusione di ciascun ciclo economico del capitalismo, seppure caratterizzata da
momenti di caduta relativa della crescita, tende ad assestare il sistema su livelli di ricchezza
dell’economia tendenzialmente superiori rispetto a quelli iniziali. Ad esempio, il punto di partenza
del secondo ciclo economico (quello compreso tra il 1850 e il 1896) è certamente superiore rispetto
a quello di avvio del ciclo economico a esso precedente. Si tratta di un elemento di novità rispetto al
passato, soprattutto considerando che nelle economie preindustriali, la crescita di lungo periodo
determinata dalle varie alternanze cicliche era attestata su livelli complessivi tendenzialmente più
bassi.
Il secondo elemento che differenzia i cicli economici di carattere pre-industriali con quelli del
periodo successivo alla rivoluzione inglese, è dato dalla presenza fino alla fine del Settecento di
crisi di tendenziale sotto-produzione, basata cioè su una incapacità dell’offerta di assecondare il
ritmo di crescita della domanda. Al contrario, nell’età industriale – per lo meno fino agli anni
Settanta del Novecento – le crisi economiche sono tendenzialmente dovute alla sovrapproduzione,
ovvero l’incapacità della domanda di sostenere il livello dell’offerta produttiva.
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Lo schema dei cicli economici delle età industriali qui riassunto (figura 1) evidenzia
l’importanza delle innovazioni per garantire il processo di sviluppo. A ogni fase di espansione del
ciclo corrisponde, infatti, innanzitutto un incremento delle risorse e l’affermazione di un nuovo
paradigma tecnologico, spesso accompagnato da innovazioni anche nel modello energetico di
sostegno.
Figura 1: Schema dei cicli economici del capitalismo industriale
Il primo ciclo economico, fenomeno prettamente inglese, è contraddistinto dalla prima
rivoluzione industriale della fine del Settecento, sostenuta dal binomio carbone-macchina a vapore e
conosce la propria inversione di tendenza nel 1815 per concludersi alla metà del secolo. Il secondo
ciclo si inaugura invece alla metà del XIX secolo, grazie alla cosiddetta “rivoluzione dei trasporti”
fondata sull’uso mobile della macchina a vapore (ferrovie e battelli a vapore). In questo frangente,
mentre l’Inghilterra prosegue la sua corsa e mantiene saldamente la sua leadership mondiale, il
processo di industrializzazione comincia a diffondersi sul continente ponendo le condizioni per lo
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sviluppo dei futuri concorrenti al primato britannico come la Germania e gli Stati Uniti. Questo
ciclo inverte la propria curva a partire dai primi anni Settanta in seguito di alcune crisi finanziarie e
dei prezzi dei beni primari.
Alla fine del secolo, la nuova fase di espansione del ciclo economico è sostanziata dalle
scoperte di miniere in Alaska e dall’invenzione di nuovi settori come il motore a scoppio, la
chimica, l’elettricità. Sono gli anni nei quali Germania e Italia conseguono tassi medi di crescita
superiori a tutti gli altri paesi e possono così aggredire il primato britannico; non a caso il ciclo
termina di fatto con la prima guerra mondiale che segna la sconfitta tedesca nella lotta per la
leadership e l’ascesa degli Stati Uniti sullo scenario economico mondiale.
Gli stessi settori che prendono piede alla fine dell’Ottocento saranno decisivi, seppure con
innovazioni produttive e di processo molto significative e in un contesto economico totalmente
differente, quando nella seconda metà del Novecento comincerà la cosiddetta “età dell’oro del
capitalismo industriale”, destinata a concludersi alla metà degli anni Settanta. Anni nei quali, anche
a fronte di una leadership incontrastata degli Stati Uniti, grazie alle scelte compiute per ricostruire
l’economia internazionale dopo il 1945, importanti paesi europei, seppure usciti sconfitti dalla
seconda guerra mondiale, conosceranno comunque il proprio miracolo economico (è il caso, ad
esempio, dell’Italia e della Germania).
In ultimo, dopo un ventennio di difficoltà e riorganizzazioni produttive e internazionali, il
nuovo ciclo economico avviato alla fine del XX secolo, è sostanziato dall’apertura dei mercati
mondiali (a seguito della nuova globalizzazione e della caduta del muro di Berlino), dall’ingresso di
nuove potenze industriali e commerciali come Cina, India, Brasile, Russia, che inseguono la
leadership americana, e dall’avvio della nuova rivoluzione industriale fornita dalla rivoluzione delle
information technologies per molti aspetti ancora in atto.
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3 I cicli della prima rivoluzione industriale: 1780-1890
La periodizzazione delle diverse fasi dei cicli economici deve ovviamente essere utilizzata
come un’indicazione orientativa, necessaria non tanto per definire la data di inizio o di fine dei
processi economici, esercizio pressoché impossibile, ma per attuare una schematizzazione utile e
una comprendere l’evoluzione dei fenomeni e a poterli interpretare nello spazio geografico e nel
tempo storico1.
Utilizzare, ad esempio, su un grafico o in una tabella il “1780” come anno di avvio della
prima rivoluzione industriale è utile per sistematizzare i concetti e, nel caso specifico, equivale
sostanzialmente a dire che il processo di affermazione della prima rivoluzione industriale può essere
collocato in Inghilterra tra la seconda metà e la fine de Settecento. Allo stesso modo, anche
l’utilizzo di datazioni più specifiche (ad esempio la crisi del 1929 o le date delle guerre mondiali),
laddove coincidano con l’evoluzione dei cicli economici, sono utili a definire una periodizzazione e
a interpretare i processi evolutivi di medio-lungo periodo e come tali devono essere utilizzate in una
chiave di lettura storico-economica.
Tradizionalmente, le fasi dello sviluppo del capitalismo dalla fine del Settecento a oggi
possono essere catalogate a partire dal concetto di “rivoluzione industriale”; un termine adatto più
che per riassumere la complessità dei fenomeni sottostanti ai percorsi di sviluppo, per individuare i
momenti di passaggio della storia economica più recente caratterizzati da fase di accelerazione della
crescita e, soprattutto, di modificazioni di carattere qualitativo nella tecnica e nell’organizzazione
dei sistemi economici (il modo di produrre, la distribuzione, il livello degli scambi, ecc…).
Così, ad esempio, è possibile distinguere tra la “prima rivoluzione industriale”, determinatasi
in Inghilterra tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento e la “seconda rivoluzione
industriale” avviatasi nell’Europa continentale e negli Stati Uniti nella seconda metà del XIX
secolo. Allo stesso modo, sotto diversi punti di vista è possibile affermare che le trasformazioni
dell’economia attuale, legate ai nuovi settori della information technologies e alla
finanziarizzazione del capitalismo, possano essere lette come una “terza rivoluzione industriale”.
1 Su questi aspetti si veda G. Di Taranto, La Globalizzazione diacronica, Luiss, 2012.
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I cicli economici si inseriscono e si sovrappongono con queste fasi di trasformazione; in
alcuni casi essi coincidono direttamente con l’avvio della “rivoluzione” (è il caso del primo ciclo
economico della fine del Settecento o di quello ultimo delle information technologies), in altri casi
sono il frutto di un’estensione e di un miglioramento dei precedenti modelli produttivi (ad esempio,
la cosiddetta “rivoluzione dei trasporti” della metà del XIX secolo, basata su l’uso mobile del
binomio carbone-vapore, ovvero su una diversa applicazione della stessa tecnologia e paradigma
energetico che aveva sostenuto lo sviluppo del ciclo precedente).
La cosiddetta “prima rivoluzione industriale”, che attraversa sostanzialmente tutto il corso
dell’Ottocento, si nutre dunque di diverse fasi e di due diversi cicli economici, ciascuno legato da
un origine comune (l’applicazione delle innovazioni definite con l’inizio dell’industrializzazione)
ma caratterizzati da diverse modalità e applicazioni. Cambiano, infatti, i Paesi coinvolti nelle
diverse fasi di sviluppo dei cicli, cambiano le modalità con cui si manifestano i processi di
innovazione, cambia l’intensità dei fenomeni che interessano magari contemporaneamente un
numero diverso di Stati.
Il primo ciclo economico del capitalismo industriale si afferma dunque in Inghilterra durante
la prima rivoluzione industriale. La Fase “A” del primo ciclo si avvia alla fine del Settecento per
terminare con le guerre napoleoniche ed è strutturata sul binomio carbone-vapore e sulle
innovazioni tecnologiche realizzate principalmente nei settori tessile e siderurgico2. L’espansione è
possibile anche grazie all’utilizzo dei capitali accumulati nei secoli precedenti (in particolare in
virtù dei traffici mercantili e della rivoluzione agraria del Cinque e Seicento), all’arrivo di materie
prime a basso costo dalle colonie e dalle Americhe utili al processo produttivo, al commercio
triangolare atlantico garantito dal sistema coloniale britannico. La Fase “B” del ciclo prende piede
invece dalle guerre napoleoniche e dalla crisi dei prezzi del grano che si registra in Gran Bretagna
all’inizio del decennio.
Il secondo ciclo economico della prima rivoluzione industriale è collocato tra il 1850 e il
1890. La fase di espansione si apre con la fine delle guerre europee del 1848 e il contemporaneo
processo di diffusione del capitalismo industriale sul continente. Sebbene la Gran Bretagna rimanga
il leader incontrastato del processo di sviluppo del capitalismo (e la stessa Sterlina assuma, insieme
all’oro, la funzione di moneta degli scambi mondiali), l’industrializzazione comincia a superare i
2 D. Landes, Prometeo liberato, Einaudi, 2000; S. Pollard, La conquista pacifica, il Mulino, 1989.
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confini inglesi per affermarsi in diverse aree del continente. Sostiene la crescita del ciclo la scoperta
di nuovi giacimenti di oro e argento in California, l’uso mobile del binomio carbone-vapore
attraverso la cosiddetta “rivoluzione dei trasporti” garantita dai settori navali e ferroviari che
comportano, oltre a un’accelerazione degli scambi (si riducono tempi e distanze dei commerci), una
crescita dei processi produttivi ad alta intensità di capitale e dei settori industriali come la
meccanica e la siderurgia. Il processo di espansione si conclude nei primi anni Settanta, in
contemporanea con lo scoppio delle guerre di indipendenza nazionali (Italia e Germania) e,
soprattutto con la fine della guerra franco-prussiana. Nei successivi due decenni, mentre si pongono
le condizioni per la crescita della futura industria italiana e tedesca, il ciclo economico
internazionale conosce un arretramento a causa soprattutto del crollo dei prezzi dei prodotti agricoli
e dell’avio di una complessa instabilità finanziaria.
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4 La seconda rivoluzione industriale: 1890-1945
La “seconda rivoluzione industriale” si avvia dalla seconda metà del XIX secolo ed è basata
su paradigmi energetici, tecnologie, modelli di diffusione, strategie nazionali e localizzazioni
geografiche molto differenti rispetto al passato. Il processo di industrializzazione è diventato
patrimonio comune dei principali paesi del continente europeo e del nord America. Se la Gran
Bretagna rimane ancora almeno fino alla prima guerra mondiale il principale protagonista degli
scenari economici internazionali, contemporaneamente si afferma il graduale ma sostenuto processo
di aggancio (o di catching up) dei paesi concorrenti3. Germania, Italia, Francia, Stati Uniti sono i
principali avversai che realizzano, con fortune e risultati anche molto differenti un processo di
rincorsa al paese leader.
A partire tuttavia dalle differenze storiche e sociali presenti nei diversi Paesi, questo processo
di rincorsa (che si esaurirà in un primo momento con lo scoppio della Grande Guerra del 1914-1918
per riprendere negli anni Trenta e poi durante la seconda guerra mondiale) viene realizzato in
maniera anche molto differente dai diversi Paesi. Queste differenziazioni nazionali sono comunque
accomunate all’essere tutte parte dello stesso percorso di “industrializzazione” legato al modello del
capitalismo industriale; ciò che può variare, in misura maggiore e minore a seconda dei diversi casi
specifici, è il modo in cui quel modello viene adoperato e interpretato dalle diverse nazioni (quale il
ruolo dello Stato? Quale funzione assume il sistema bancario? In quali settori ciascun Paese prova a
individuare percorsi di specializzazione? Quale il modello di espansione coloniale adoperato nella
seconda metà dell’Ottocento da ogni competitor?).
La fase di espansione del nuovo ciclo si registra dunque dalla fine dell’Ottocento ed è basata
su una pluralità di fattori come la nuova espansione coloniale europea in Africa; l’apertura
internazionale dei commerci; la scoperta di nuovi giacimenti di materie prime e di oro in Alaska e
in Transvaal; lo sviluppo dell’industria pesante e di nuovi settori come la meccanica specializzata,
la chimica e i trasporti (automobili e aviazione su tutti); l’utilizzo dell’elettricità e del petrolio non
soltanto come possibili settori di investimento ma anche, nel medio-periodo, quali possibili
paradigmi energetici che nel volgere di alcuni decenni andranno a sostituire l’impiego del carbone
3 Sul concetto di catching up si veda A. Gerschenkron, Il problema storico dell’arretratezza economica, Einaudi,
1965.
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come materia prima di riferimento. Centrale, in questi anni, è il nuovo rapporto tra scienza e
sviluppo economico basato su alti investimenti in tecnologia e ricerca scientifica funzionale alla
crescita di settori come chimica, meccanica ed elettricità.
La crisi si avvia, invece, con lo scoppio e le conseguenze della prima guerra mondiale.
Contribuiscono a definire una progressiva fase di caduta del ciclo il blocco degli scambi
commerciali tra i paesi belligeranti, l’instabilità politico-finanziaria dovuta agli effetti
dell’inflazione e agli accordi di pace siglati nel 1918, la crisi industriale che segue la fine del
conflitto dovuta ai problemi di riconversione industriale e del reducismo, le difficoltà delle
economie europee negli anni Venti di individuare percorsi sostenuti di crescita4. Proprio questa
difficoltà, accompagnata dalla crescente instabilità tedesca degli anni Venti, sarà alla base di quel
disequilibrio presente nell’economia internazionale tra la crescita sostenuta dell’economia
americana e le difficoltà europee che contribuiranno a spiegare le cause della crisi del 1929 e i suoi
effetti così significativi sulle economie mondiali.
4 Sugli effetti della prima guerra mondiale e sulla crisi degli anni Venti si veda G. Toniolo, C.H. Feinstein, L’economia
europea tra le due guerre, Laterza, 2004.
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5 Il ciclo dell’età dell’oro: 1945-1989
Il ciclo economico dell’«età dell’oro», compreso tra il 1945 e la fine degli anni Ottanta, segna
la fase di massima espansione delle economie occidentali o, quanto meno, il periodo nel quale si
registrano i maggiori tassi di crescita medi annui della ricchezza e del Pil. Siamo nel pieno del
secolo americano; dopo la seconda guerra mondiale, l’Europa perde la sua centralità politico-
economica cedendo la leadership agli Stati Uniti a occidente e all’Unione Sovietica a oriente. La
necessità di contrastare l’espansione del socialismo e la volontà di non ripetere gli errori del primo
dopoguerra portano gli Stati Uniti a favorire la ricostruzione dell’economia internazionale, definire
un piano di aiuti ai paesi europei, siano essi usciti vincitori o sconfitti dalla guerra, sostenere la
nascita di accordi politici, economici e militari nel blocco occidentale5.
La fase di espansione del ciclo è strutturata sull’implementazione delle innovazioni avviate
durante la seconda rivoluzione industriale (elettricità, petrolio, industria chimica, meccanica,
siderurgica, ecc…) ma si nutre di un contesto internazionale profondamente modificato. A partire,
infatti, dalle esperienze maturate tra la fine della prima guerra mondiale e la crisi del 1929, nel
secondo dopoguerra si evidenzia la capacità delle economie capitalistiche occidentali di ridefinire
un’organizzazione degli scambi monetari, finanziari e commerciali in grado di sostenere la crescita
di tutti i protagonisti. Sono gli anni dei grandi accordi globali in termini di:
a) moneta (il dollar standard come strumento per acquisire una relativa stabilità dei
cambi internazionali, collegando il valore di ciascuna moneta a quello del dollaro e
quest’ultimo al valore dell’oro);
b) scambi commerciali (il Gatt come strumento per ampliare progressivamente il
volume degli scambi e diminuire le tariffe protezionistiche);
c) primo processo costituente europeo (la nascita della CECA nel 1951 e della CEE nel
1957).
Accordi e prospettive possibili grazie a un rinnovato ruolo degli Stati Uniti che, a differenza
del primo dopoguerra, assumono la piena leadership politico ed economica del mondo occidentale.
Una scelta dovuta anche alla volontà di contrastare la contemporanea espansione, economica,
5 Su questi argomenti si veda G. Formigoni, La politica internazionale del Novecento, il Mulino, 2007.
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industriale e politica del principale competitor del secondo Novecento: l’esperienza del socialismo
realizzato in Unione Sovietica e nell’Europa occidentale.
Sono anche gli anni dell’affermazione in molti paesi del ruolo dello Stato per sostenere lo
sviluppo economico sulla base dell’applicazione delle teorie di stampo keynesiano6.
L’espansione del periodo post bellico, nella quale trovano spazio ad esempio il miracolo
economico italiano o la sostenuta crescita tedesca e giapponese, si interrompe a partire dai primi
anni Settanta. L’inversione del ciclo è causata da:
a) l’aumento dei prezzi delle materie prime registrato alla fine degli anni Sessanta;
b) la fine del sistema di Bretton Woods e del dollar standard, decretato dagli Stati Uniti
unilateralmente nell’agosto del 1971;
c) l’aumento dei prezzi del petrolio registrato a partire dal 1973, in occasione della
scelta dei paesi dell’OPEC di aumentare unilateralmente prezzi petroliferi in
ritorsione all’appoggio accorato dagli occidentali allo Stato di Israele nella guerra
dello Yom Kippur.
La caduta del ciclo è contraddistinta dalla cosiddetta crisi di stag-flazione, ovvero dalla
contemporanea presenza di stagnazione produttiva e aumento dell’inflazione. La pressione sui costi
di produzione dovuta all’incremento dei prezzi delle materie prime e del petrolio determina la prima
sostenuta crisi di sotto produzione del capitalismo industriale. Per queste ragioni, gli anni compresi
tra il 1973 e la fine degli anni Ottanta sono contraddistinti da una caduta degli indici della
produzione industriale, dall’aumento della disoccupazione, dalla fine del sistema valutario
internazionale nato dopo la seconda guerra mondiale, dalla crisi delle politiche keynesiane di
sostegno alla domanda e dai mutamenti nelle strategie di politica economica sempre più rivolti a
sostenere l’offerta produttiva e le ristrutturazioni industriali in corso.
6 Si veda J.P. Thomas, Le politiche economiche nel Novecento, Mulino, 1993.
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6 Il ciclo della “terza rivoluzione industriale”
Il ciclo economico dell’“età dell’oro” si conclude nel corso degli anni Ottanta. La nuova fase
che si apre tra la fine del decennio e la prima metà degli anni Novanta consente una ripresa del ciclo
economico di carattere espansivo seppure con alcune importanti differenze rispetto al passato:
a) la nuova rivoluzione industriale che sostiene la fase espansiva si basa sull’innovazione
delle information technologies e sulle ricadute a grappolo o a sciami che esse comportano
in tutti i settori dell’economia;
b) la fine del sistema comunista, con il crollo del muro di Berlino nel 1989 e la fine
dell’Unione Sovietica, porta alla vittoria del modello del capitalismo industriale rispetto
al suo concorrente socialista e a una inedita apertura dei mercati dell’est europeo che
vengono progressivamente riconnessi al sistema internazionale;
c) gli Stati Uniti e la Gran Bretagna diventano protagonisti del processo di crescita
economica attraverso una piena adesione al modello delle information technologies e alla
finanziarizzazione del capitalismo; questa fase di crescita è preparata, in entrambi i paesi,
dalle politiche neo-liberiste e di privatizzazione dei servizi e delle imprese attuate negli
Stati Uniti durante la presidenza di Ronald Reagan e in Gran Bretagna sotto la guida del
primo ministro Margareth Thatcher;
d) tra la metà degli anni settanta e gli anni Ottanta si diffondono in occidente le politiche
monetariste o neo-liberiste, legate al modello del cosiddetto Washington Consensus, che
superano lo schema neokeynesiano di rapporto tra Stato ed economia, favorendo una
progressiva emancipazione dei processi di sviluppo economico rispetto all’intervento
pubblico;
e) la geografia della crescita muta sensibilmente, soprattutto quando, a partire dagli anni
Duemila, grandi Paesi prima più emarginati dal centro del sistema industriale come la
Cina, l’India, la Russia o il Brasile diventano protagonisti della fase di sviluppo,
superando non solo i tassi di crescita annuali dei competitori tradizionali, ma, in alcuni
casi, gli stessi livelli complessivi di ricchezza o di produzione industriale;
f) la nuova globalizzazione, basata sul progressivo abbattimento delle barriere doganali e
sull’ingresso di nuovi paesi prima nel GATT e poi nell’Organizzazione Mondiale del
Università Telematica Pegaso I cicli economici del capitalismo industriale
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Commercio nata nel 1995, diventa così una delle chiavi per comprendere i processi di
produzione e di distribuzione del sistema capitalistico internazionale;
g) l’Unione europea cambia radicalmente volto con la nascita del nuovo sistema di
Maastricht che modifica strutturalmente le politiche comunitarie e la capacità dei singoli
stati nazionali aderenti all’Euro di adoperare le tradizionali forme di intervento pubblico
nell’economia (ruolo dello stato, svalutazioni monetarie, politiche fiscali, ecc..).
Questo insieme di modificazioni consente di registrare a partire dagli anni Novanta una nuova
fase di espansione del ciclo che coinvolge in misura differente i paesi tradizionalmente leader dello
sviluppo industriale mentre evidenzia l’ascesa di nuovi protagonisti sulla scena economica
internazionale.
Una riorganizzazione portatrice di opportunità ma anche di nuovi rischi, criticità e
diseguaglianze, destinate, in ultima analisi, a esplodere pienamente con la crisi economica
internazionale avviata nel biennio 2007-2008.
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