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SCIENZE COGNITIVE TECNOLOGICHEPROF.SSA LUCIA MARTINIELLO

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““SSCCIIEENNZZEE CCOOGGNNIITTIIVVEE TTEECCNNOOLLOOGGIICCHHEE””

PPRROOFF..SSSSAA LLUUCCIIAA MMAARRTTIINNIIEELLLLOO

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 L’APPORTO DELLE SCIENZE COGNITIVE ------------------------------------------------------------------------- 3

2 I COMPUTER E LA TEORIA DELL’APPRENDIMENTO: LA TEORIA «ACT» DI ANDERSON ------- 11

3 IL NEOCONNESSIONISMO ----------------------------------------------------------------------------------------------- 15

4 NUOVE PROSPETTIVE DI RICERCA: I NEURONI SPECCHIO ----------------------------------------------- 18

BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 21

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1 L’apporto delle scienze cognitive

All’interno del quadro della dinamica dello sviluppo del soggetto e del suo apprendimento,

che abbiamo velocemente presentato, trova un ruolo importante anche la psicologia all’interno delle

scienze dell’educazione. Anzi «l’impianto complessivo dell’intersezione tra processi educativi e

processi psichici ci fornisce un modello prevalentemente psicologico per la forma della pedagogia

generale sagomata sui soggetti»1.

Il modello psicologico è diventato fulcro all’interno del discorso pedagogico sulla scorta del

nuovo rapporto tra soggetto e sapere. Un rapporto centrato da un lato sulla scuola su misura e

dall’altro sulla centralità del soggetto educando con il suo autosviluppo e la sua autorealizzazione

cognitiva e sociale per giungere ad una maturazione complessiva.

La ricerca psicologica trova grande interesse nella corrente denominata Gestalt, che si

sviluppa a partire dal 1912 e ascrive tra i suoi studiosi maggiori Wertheimer (1880-1943), Köhler

(1886-1943), Koffka (1887- 1967) e Lewin (1890-1947). Nasce in contrapposizione alla teoria

associazionistica di Wundt e Titchener e alla comportamentista di Pavlov, Watson e Skinner.

Wundt, fondatore della psicologia scientifica, istituì il primo laboratorio di psicologia

sperimentale presso l’Università di Lipsia, nel 1879.

Lo studioso osservò che i processi mentali, essendo effetti del sistema nervoso, non sono

immediati ma hanno bisogno di un certo tempo e dedicò molti studi a comprendere e a valutare la

velocità di tali processi. Sosteneva, inoltre, che i processi più elementari, considerati “atomi della

mente” fossero i più veloci. Wundt ritiene che i processi mentali complessi sono un iter di sequenze

di processi più semplici e questi possono essere determinati attribuendo come credito il tempo di

reazione.

1 Acone G. (a cura di), Aspetti e problemi della pedagogia contemporanea, Edizioni Seam Roma, 2001, p. 41.

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Edward Titchener portò negli Stati Uniti le teorie di Wundt. Anche lui sosteneva che la

struttura della mente era il complesso di tante unità elementari che dovevano condurre ad

un’esperienza sensoriale. Il suo metodo di indagine fu l’introspezione cioè scrutare il proprio

interno. Era sicuro che il soggetto potesse essere educato a fare l’autoesame in modo imparziale e

rigoroso.

In contrapposizione a questi due autori, dicevamo prima, si sviluppa la teoria della Gestalt2,

questo movimento si occupò soprattutto della percezione, ma poi finì per interessarsi anche

dell’apprendimento che venne trattato in base agli stessi principi adottati nello studio della

percezione. L’attenzione era principalmente rivolta alle strutture globali o “insiemi percettivi” del

pensiero che si manifestano al soggetto come unità coerenti. Wertheimer diede a queste totalità il

nome di Gestalt che si può tradurre approssimativamente con «forma», «struttura» o

«configurazione». Queste ultime si organizzano naturalmente nel campo dell’esperienza del

soggetto quando i principi di un insieme mostrano definite caratteristiche, individuate dai ricercatori

della Gestalt come leggi dell’organizzazione della forma3. Un esempio di Gestalt è costituito dalle

melodie ; una melodia, in effetti, è il risultato dell’interazione tra le varie note più che delle note in

quanto tali.

La propensione ad ordinare elementi semplici in parti affini o prossime, viene pensata dagli

psicologi della Gestalt come un attributo innato, con coerente ridimensionamento dell’importanza

dell’apprendimento e dell’esperienza personale.

Una “forma” (gestalt) viene vista come una pianificazione che non può essere riportata al

totale degli elementi che la fondano e all’interno di essa il variare di uno solo di questi elementi può

2 Le teorie della Gestalt, sviluppate in Germania nel primo trentennio del ‘900, considerano il comportamento come

frutto della percezione della realtà, non della realtà intesa per ciò che realmente è. 3 Legge della vicinanza; legge della similarità; legge del destino comune; legge della direzione e legge della forma

chiusa.

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cambiare l’intera “forma” . Questa relazione tra le parti è alla base di un concetto espresso di

frequente dagli psicologi della Gestalt: «Il tutto è ben più della somma delle singole parti».

In conclusione la conoscenza che abbiamo degli oggetti è descritta da insiemi di elementi

che si mostrano alla nostra percezione già come strutture ordinate, appunto delle “forme”. Tutto ciò

è possibile nel momento in cui la mente ordina il materiale percettivo naturalmente attraverso

associazioni.

Il gruppo che si formò intorno a Wertheimer e Köhler divenne noto come «Scuola di

Berlino». I componenti di questo gruppo continuarono ad occuparsi principalmente della

percezione, ma non trascurarono il tema dell’apprendimento. In tutti i loro studi continuarono a

focalizzare l’attenzione sulle totalità strutturate, ognuna separata dalle altre totalità, ma intendendo

ciascuna di queste entità come un tutto le cui varie parti sono dinamicamente legate l’una all’altra in

modo tale da creare una configurazione intrinsecamente unitaria.

L’innovazione fu che gli psicologia della Gestalt, invece di chiedersi: «Che cosa ha imparato

a fare questa persona?», si domanda: «Come ha imparato questa persona a percepire la situazione?».

A loro giudizio, quindi, apprendere non significa aggiungere tracce mnestiche nuove ed eliminare le

vecchie, ma significa soprattutto trasformare una gestalt in un’altra.

Gli psicologici della Gestalt misero in risalto anche il valore dell’intuizione4 (insight), il

sistema con cui i molteplici pezzi di un problema, che si presentano a prima vista discordanti tra

loro, possono unificarsi improvvisamente per modellare una struttura logica e rilevante; quindi, una

ridefinizione della struttura da parte del soggetto, che consente di risolvere il “problema” proposto.

Quest’idea è molto interessante e fondamentale poiché rappresenta una nuova visione del

processo di apprendimento, non per “prove ed errori” come per il comportamentismo ma per

riorganizzazione dello spazio della difficoltà e successivo avvio della sua soluzione.

4 Ai teorici della Gestalt si deve la definizione dell’apprendimento per insight, profondamente differente

dall’apprendimento “per prove ed errori” di natura comportamentista.

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L’osservazione della realtà nasce dalla scelta del metodo fenomenologico che descrive i dati

dell’esperienza così come si presentano, nella loro totalità senza interpretazioni o scomposizioni.

Essa, quindi, esamina il fenomeno nel modo più vero, senza l’intercessione di quelle teorie che

separano i soggetti dalla comprensione immediata del fenomeno5.

In contrapposizione al comportamentismo si sviluppò la psicologia cognitiva che pur

mantenendo con interesse i metodi scientifici d’indagine dei processi mentali si occupò di tutti quei

fattori che i behavioristi consideravano conseguenza dell’apprendimento e, quindi, non necessari di

indagini (la percezione, l’attenzione, la memoria, il linguaggio, il pensiero, la creatività). A questi

processi i cognitivisti hanno riconosciuto sia un’indipendenza di funzioni sia una complicità

reciproca per lo sviluppo del soggetto.

La psicologia cognitiva ritiene che tutti i processi mentali sono computazioni, calcoli, di dati

non necessariamente aritmetici anzi spesso di informazioni generali le cui regole per la

comprensione il più delle volte sono inconsce; da questa considerazione scaturisce la natura

computazionale della mente e dei suoi processi.

I processi conoscitivi umani, secondo questa teoria, sono sistemazioni d’informazioni, cioè

calcoli nel senso più ampio e generico del termine che avvengono nel nostro cervello e quindi

intrinsecamente strategie di acquisizione di competenze.

Una periodicizzazione della scienza cognitiva fu essere fissata intorno agli anni cinquanta

del secolo scorso quando al convegno sulla teoria dell’informazione6 presero parte psicologi,

informatici e linguisti. Lo psicologo George Miller presentò un famosissimo contributo sulle

potenzialità della memoria umana a breve termine7, Newell e Simon un primo prototipo di

5 Husserl E., La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Saggiatore, Milano 1954.

6 Simposio sulla teoria dell’informazione svoltosi al Massachusetts Institute of Technology dal 10 al 12 settembre 1956.

7 Nel 1956 Miller evidenziò che la memoria a breve termine ha una ridotta capacità di conservazione dei dati. È

l’attenzione che consente di selezionare alcuni tra gli innumerevoli stimoli offerti dall’ambiente circostante. Gli input

selezionati superano la soglia percettiva per poi essere codificati a livello corticale. Quando in fase iniziale le

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computer capace di illustrare teoremi matematici o di progettare sistemi complessi8 e Chomsky

spiegò la sua prospettiva linguistica “la grammatica generativo-trasformazionale”9 in cui

evidenziava la creatività e l’innatismo del linguaggio.

In questo simposio, per la prima volta, i componenti intuirono che alla base delle loro

ricerche, condotte separatamente, vi era una convergenza di obiettivi10

. Il focus della ricerca era,

dunque, finalizzato ai processi cognitivi umani visti come processi computazionali della mente.

Tutto ciò per contrastare il paradigma comportamentista che riteneva che per essere scienza

la psicologia dovesse procedere con metodologie scientifiche ed osservabili oggettivamente come

accade tra il binomio stimolo/risposta.

Implicare processi mentali non oggettivamente osservabili e parlare di rappresentazioni

interne e di regole per la loro elaborazione è per i seguaci del comportamentismo infondato e

incomprensibile; questo del resto è evidente poiché essi non riconoscono neanche la nozione di

mente se non come dato oggettivo osservabile del processo di stimolo/risposta.

Probabilmente il fattore che più ha favorito la rivoluzione cognitiva è stato la comparsa dei

computer. Il computer, come strumento tecnico, è un sistema di tipo comportamentista, composto di

informazioni sono in quantità eccessiva, si rischia che vengano eliminati o trascurati automaticamente dei dati che

potrebbero rivelarsi utili in una fase successiva. Cfr Miller G. A., The magical number seven, plus or minus two: Some

limits on our capacity for processing information, Psichological Review, 1956, n. 63, pp. 81 - 97. 8 Verso il 1955 A. Newell e H. Simon della Carnegie Mellon University iniziarono la progettazione del programma CP-

1 (Chess Player 1). Il loro scopo era quello di costruire una macchina “intelligente”, capace di dimostrare teoremi

matematici o di progettare sistemi complessi. Newell e Simon decisero che gli scacchi fornivano un buon terreno di

prova per progettare una “macchina intelligente”. 9 La teoria della grammatica generativa si caratterizza per la ricerca delle strutture innate del linguaggio naturale,

elemento distintivo dell’uomo come specie animale, superando la concezione della linguistica tradizionale incentrata

sullo studio delle peculiarità dei linguaggi parlati. L’influenza del pensiero di Chomsky va ben al di là della stessa

linguistica, fornendo interessanti e fecondi spunti di riflessione anche nell’ambito della filosofia, della psicologia, delle

teorie evoluzionistiche, della neurologia e della scienza dell’informazione. Cfr Chomsky N., Syntactic Structures, The

Hague Mouton 1957. 10

Afferma Miller alla fine dei lavori “Lasciai il simposio con la forte convinzione, più intuitiva che razionale, che la

psicologia sperimentale umana, la linguistica teorica e la simulazione informatica dei processi cognitivi fossero parti di

un tutto, e che il futuro avrebbe visto il progressivo svolgimento e coordinamento degli interessi che esse

condividevano” Cfr. Miller G.A., Linguaggio e comunicazione, La Nuova Italia, Firenze 1999.

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elementi che lasciano passare corrente oppure no. Ciò nonostante, molte delle operazioni che i

computer sono stati programmati a svolgere appaiono decisamente di tipo cognitivo.

Implicazione dei processi linguistici penalizza ancora ulteriormente il comportamentismo ed

è ciò che accade con Chomsky dimostrando che nessun bambino potrebbe conoscere la sua lingua

se l’acquisizione del linguaggio avvenisse per associazione di stimolo e risposta, ma bisogna

necessariamente pensare che la mente sia fornita di competenze innate, di meccanismi che

determinano aprioristicamente le possibili strutture grammaticali.

Questa posizione del linguista affossò totalmente il comportamentismo non più in grado di

dare risposte ai processi umani più complessi.

È il caso di ricordare, velocemente, che nelle ricerche sulla percezione, sulla comunicazione,

e la costruzione dei concetti, gli psicologi cognitivi11

avevano già abbandonato la metodologia

comportamentista, presupponendo configurazioni e processi interni, quindi non rilevabili, per

comprendere il modo di agire complesso degli esseri umani; ripercorrendo, così altre scienze, come

la fisica e la biologia, che inserivano enti astratti, dall’elettrone al gene, per interpretare i fatti che

accadevano.

In questi nuovi studi cognitivi si manifesta gradualmente il modello dell’elaborazione di

informazioni.

All’interno dell’interesse per i processi computazionali della mente si avvia un discorso su

quella che oggi concordemente definiamo intelligenza artificiale12

, ossia un programma di ricerca

tecnologica finalizzato alla costruzione di software capace di svolgere funzioni intelligenti come

giocare a scacchi attraverso procedure umanoidi ossia simili a quelle che il soggetto utilizza per

conoscere le situazioni o risolvere quesiti.

11

Si ricordano tra gli altri Donald Broadbent e Jerome Bruner, oltre al già citato Miller. 12

Data di nascita convenzionale è quella del lungo simposio svoltosi nell’estate del 1956 a Dartmouth College, a cui

parteciparono, tra gli altri, John McCarthy, Marvin Minsky e ancora Newell e Simon.

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È da queste considerazioni che intorno agli anni ’70 ha origine la scienza cognitiva in una

prima fase come interscambio tra psicologia e informatica13

ma immediatamente dopo come spazio

di confluenza anche dei linguisti, dei filosofi, dei neuroscienziati.

Che cosa hanno significato e significano i computer per la psicologia? In primo luogo,

naturalmente, hanno dato la possibilità di svolgere con maggiore facilità i vecchi tipi di ricerca e per

la prima volta hanno reso possibile condurne di nuovi. In secondo luogo hanno fornito un modo per

indagare le implicazioni di una teoria, consentendo di formulare, sulla base di una serie di postulati,

previsoni più complesse di quanto non fosse possibile in precedenza. In terzo uogo hanno fornito

una metafora per descrivere il pensiero umano e per parlare dei modi in cui pensano gli esseri

umani, che ha influenzato l’elaborazione teorica nell’ambito della psicologia cognitiva.

Con il progressivo perfezionamento dei computer sono cresciuti anche i tentativi di far

eseguire al computer attività più complesse, in particolare si è tentato di formulare un’analogia tra il

modo di funzionare dei computer e il modo di funzionare dell’intelligenza umana. Esiste una

disciplina, definita «intelligenza artificiale», che è nata per verificare se è realmente possibile

riprodurre su computer, mediante programmi creati appositamente, almeno parte dei processi

cognitivi propri degli esseri umani.

Un notevole modello di simulazione dell’attività cognitiva è il Logistic Theorist sviluppato

da Newell, Shaw e Simon14

nel 1957. Il modo di procedere seguito dal Logic Theorist ha a che fare

per la prima volta con strutture cognitive anziché con connessioni stimolo-risposta, ha un modo di

ragionare attraverso postulati e teoremi e assolutamente creativo di risolvere i problemi. Ma questo

è solo l’inizio.

13

Nel 1960 Bruner e Miller fondano il Centro di studi cognitivi di Harvard; vari volumi collettanei presentano il lavoro

di ricerca svolto nei centri più attivi, come l’Università Carnegie-Mellon di Pittsburgh (Computers and Thought,

Feigenbaum e Feldman 1963) e il M.I.T. (Semantic Information Processing, Minsky 1968); compaiono testi di sintesi in

psicologia cognitiva (Cognitive Psychology, Neisser 1967) e vengono formulati programmi di ricerca basati

sull’analogia tra mente umana e computer, considerati entrambi come elaboratori di informazioni (The Sciences of the

Artificial, Simon 1969). 14

A. Newell, J.C. Shaw, H.A. Simon, Empirical exploration whit the logic theory machine, 1957

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Cerchiamo di contestualizzare le ricerche e le evoluzioni sull’intelligenza artificiale.

Le prime macchine erano in grado di risolvere problemi logico-matematici abbastanza

semplici e ben circoscritti, la cui spiegazione da parte degli esseri umani ricercava abilità di

ragionamento ma poche competenze.

Successivamente si iniziò a ricercare e ad approfondire lo studio di sistemi che potevano

definire e risolvere problematiche specifiche soprattutto in campo medico, chimico, geologico

partendo dalle basi di conoscenze. Essi furono definiti sistemi esperti perché simulavano la capacità

di una figura umana esperta in quel settore.

Ogni quesito poteva essere risolto utilizzando il binomio conoscenze più ragionamento e su

questa tecnica furono costruiti molti sistemi esperti in diversi settori. Essi, ovviamente, davano

importanti risultati quasi come gli esperti umani ma non fu difficile intuire come erano comunque

lontani dalla ecletticità che distingue l’intelligenza umana; la peculiarità delle loro funzioni era

condizionata ad un dominio estremamente limitato, oltre il quale non erano in grado di dare risposte

neanche le più elementari.

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2 I computer e la teoria dell’apprendimento: la teoria «ACT» di Anderson

Ma cosa ci dicono i programmi per computer sugli effettivi processi dell’apprendimento e

del pensiero propri dell’uomo? Nulla, almeno direttamente.

Il ruolo che svolgono i programmi per computer è molto simile a quello svolto dall’analisi

matematica: anziché modificare la logica della costruzione delle teorie, cioè, i programmi per

computer applicano tale logica più a fondo e con maggiore precisione.

Uno dei modi in cui i computer hanno influenzato la teoria dell’apprendimento è stato quello

di fornire un’analogia generale utilizzabile nell’elaborazione di teorie. Allo stesso modo in cui vari

studiosi del passato vedevano da un lato gli esseri umani come animali e dall’altro sia gli esseri

umani che gli animali come meccanismi semplici funzionanti in base allo schema stimolo-risposta,

più di recente altri studiosi hanno cominciato ad analizzare gli esseri umani, e a volte anche gli

animali, come «computer dotati del cervello di un organismo vivente» (wet computers), che fanno

per mezzo dei neuroni quello che i computer fanno per mezzo dei microcircuiti integrati. Dal

momento che alcune operazioni eseguite dai computer assomigliano molto ad attività di tipo

cognitivo, i modelli teorici che si ispirano ai computer sono più vicine alle teorie cognitive che

hanno tentato di dimostrare in che modo i processi cognitivi e le conoscenze diano origine a

comportamenti concreti. Pertanto, alcuni di questi modelli teorici sono chiamati sistemi di regole di

produzione o sistemi di produzione, che si assumono il compito di dimostrare come i processi

cognitivi diano luogo ad azioni concrete.

Una delle teorie di questo tipo, chiamata teoria «ACT», è stata elaborata da John R.

Anderson negli anni che vanno dal 1982 al 1993. ACT sta per Adaptive Character of Thought e si

riferisce al carattere adattivo del pensiero, è un modello sull’acquisizione della conoscenza che tiene

conto in modo globale del sistema cognitivo

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L’ACT è un’architettura cognitiva (che ha lo scopo di catturare i principi base delle

operazioni che sono incorporate nel sistema cognitivo) che vuole spiegare come l’individuo passi

dall’avere “poca conoscenza” relativa ad un dato dominio, ad una “conoscenza più vasta”. Si tratta

in sostanza di una teoria relativa alla “proceduralizzazione”.

La situazione di apprendista, che ha poca conoscenza relativa ad un dato dominio, porta ad

un processamento controllato delle informazioni che richiede:

1 consapevolezza

2 uno sforzo attentivo

3 un filtraggio delle informazioni da parte del soggetto

Una conoscenza più vasta permette di processare le informazioni in modo automatico che

richiede:

1. Poco tempo

2. Pochissimo sforzo da parte del soggetto

3. Nessuna limitazione o Span di Memoria

Fondamentale nella teoria ACT, è la distinzione tra due tipi di conoscenze: dichiarative e

procedurali. Le conoscenze dichiarative sono quelle che siamo soliti chiamare conoscenze: le

proposizioni o asserzioni che sono vere. Possiamo vederle come descrizioni della realtà o come

risposte alle domande o come il «sapere che cosa è». Le conoscenze procedurali sono le capacità di

mettere in pratica delle procedure in modo corretto. Possiamo considerarle delle competenze, il

«sapere come si fa»

Anderson vede il processo di acquisizione delle abilità come un passaggio dall’uso della

conoscenza dichiarativa a procedure che possono essere applicate velocemente ed in modo

automatico in situazioni specifiche.

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L’ACT di Anderson ha tre componenti principali per l’elaborazione dell’informazione: la

MEMORIA DICHIARATIVA, una rete semantica di concetti interconnessi che hanno una diversa

forza di attivazione; la MEMORIA PROCEDURALE, un sistema di produzioni costituito da regole

SE…….ALLORA (cioè da una condizione e da un’azione) e la MEMORIA DI LAVORO che

contiene le informazioni attivate in un dato momento.

Inoltre l’ACT prevede tre differenti processi:

1. Processi di Codifica che hanno il compito di collocare le informazioni nella

memoria di lavoro (working memory - WM);

2. Processi Esecutivi che trasformano i comandi della WM in comportamenti.

3. Processi di applicazione che consistono in nuove regole di produzione che

possono venir apprese esaminando produzioni già esistenti

Gli eventi del mondo esterno vengono codificati e collocati nella WM (memoria di lavoro).

Le informazioni rilevanti che sono in relazione con questi eventi vengono recuperate dalla

memoria dichiarativa e collocate nella WM (anche l’informazione contenuta nella WM può essere

collocata nella memoria dichiarativa).

Le regole di produzione vengono attivate con un confronto tra pattern, se l’informazione

contenuta nella memoria di lavoro è coerente con la condizione della regola di produzione, la regola

di produzione viene eseguita.

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3 Il Neoconnessionismo Le analisi dell’attività di risoluzione dei problemi illustrate nel paragrafo precedente

trattavano tale attività come una successione di azioni compiute seguendo determinate regole. Tali

regole, in qualunque modo venissero formulate e indipendentemente del fatto che venissero

utilizzate da una persona o da un computer, erano regole razionali, finalizzate, dirette a uno scopo.

Fu soprattutto questo concetto di regola, più di qualsiasi altro argomento teorico, l’elemento

qualificante dell’orientamento cognitivo, ciò che gli conferì forza e prestigio nell’ambito della

teoria dell’apprendimento.

Questo modo di operare però è contrassegnata da una forte assenza di versatilità crea molti

aspetti negativi:

incapacità di acquisire le informazioni di volta in volta pertinenti ai compiti

da svolgere;

limitazione a problemi ben definiti;

esigenza che tutte le conoscenze siano rappresentate esplicitamente;

mancanza di “senso comune”.

Essa in tutti i suoi aspetti è presente nel problema del frame15

ossia della cornice entro la

quale accadono le cose e che si aggiorna continuamente richiedendo un continuo aggiornamento e

aggiustamento in virtù dei cambiamento accaduti.

Le persone hanno la capacità di riconoscere i dati utili, acquisendoli per via inferenziale o

mediante la relazione conoscitiva con l’ambiente che non richiede e non rende possibile una

schematizzazione di essi, mentre i sistemi artificiali, non essendo possibile utilizzare schemi, non

sono in grado di dare risposte. Tale limite rende evidente la lontananza di questi dispositivi dalla

15

McCarthy J., Hayes P., Some Philosophical problem from the standpoint of artificial intelligence, Machine

Intelligence 4, 1969.

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Università Telematica Pegaso Scienze cognitive tecnologiche

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

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mente umana ma diventa focus di ricerca per le scienze cognitive approdando al

neoconnessionismo16

che ispirandosi alle reti neurali del cervello cerca di capire il funzionamento

della mente.

Il neoconnessionismo è un sistema per l’ assetto delle informazioni così come nel sistema

computazionale “classico”, ma l’elaborazione avviene in altro modo.

Innanzitutto nel sistema classico il processo di elaborazione delle informazioni è sequenziale

in una rete neurale, al contrario, è parallela poiché numerose unità svolgono simultaneamente le

loro elaborazioni e poi nel sistema classico ciascun dato è riprodotto da un simbolo che rappresenta

il tutto, al contrario, in una rete neurale l’informazione è distribuita e non rappresentata da semplici

simboli17

.

Nel gioco dei pesi (ossia delle connessioni) che si creano tra pattern di input e di output si

evidenzia che il sistema apprende cioè corregge i processi per arrivare ai risultati richiesti: in questo

sono più affini ai sistemi cognitivi umani che avvengono in un continuo scambio

(neurotrasmissione) tra neuroni e sinapsi.

Una visione connessionista plasma un singolo processo cognitivo non “il cervello”ma è

importante che queste osservazioni abbiano avvicinato l’elaborazione delle informazioni a

particolari prestazioni cognitive. Le ricerche sulle reti neurali, oggi stanno evolvendo velocemente

16

Un sistema connessionista si compone, tipicamente, di un insieme di unità di input connesse alle unità di output

attraverso un insieme di unità nascoste. Tutte le unità sono caratterizzate da uno stato di attivazione, che varia nel

tempo (in modo discreto o continuo). Lo stato di attivazione di un’unità, se non è determinato dall’esterno del sistema,

dipende dalla propagazione degli stati di attivazione delle unità con cui essa è connessa; l’entità della propagazione, a

sua volta, dipende dalla forza delle connessioni, detta peso. I pesi associati alle varie connessioni possono variare nel

tempo in base all’ “esperienza” del sistema, cioè come effetto del suo funzionamento. Si vedano in proposito le

pubblicazioni di Rumelhart e McClelland 1986. 17

Una rete neurale (del tipo forward sopra descritto) funziona così: lo stato di attivazione delle unità di input si propaga,

attraverso le connessioni, alle unità nascoste e di qui alle unità di output; la propagazione è modulata dai pesi associati

alle connessioni. Il pattern di attivazione delle unità di output è il risultato dell’elaborazione. Quindi, al contrario di

quanto avviene in un sistema computazionale classico, in una rete neurale non c’è distinzione tra unità di calcolo e unità

di memoria: il “calcolo” è eseguito dall’intera rete, e l’informazione che essa possiede è anch’essa rappresentata dallo

stato dell’intera rete. Ora, è evidente che, affinché le elaborazioni di una rete siano quelle “giuste”, cioè diano i risultati

voluti, occorre che la rete abbia l’architettura opportuna e che i pesi sulle connessioni siano a loro volta “giusti”.

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cercando di dare risposte laddove l’intelligenza artificiale e le scienze cognitive sembrano essere in

pausa.

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4 Nuove prospettive di ricerca: i neuroni specchio

A tal proposito è utile accennare alle ricerche di matrice italiana che si stanno sviluppando

sui “neuroni specchio18

” Mirror Neurons da parte di un gruppo di ricercatori dell’Università di

Parma coordinato da Giacomo Rizzolatti19

.

Lo studio era finalizzato alla corteccia premotoria ma nei diversi esperimenti con le scimmie

si accorsero che vi era una reazione da parte di alcuni neuroni quando essa osservava lo

sperimentatore prendere la banana dal cesto. Fu questa una grande sorpresa perché si è sempre

pensato che solo attraverso le funzioni motorie si attivassero quei neuroni.

L’esperimento è stato ripetuto più volte e il risultato è stato confermato. Tali neuroni hanno

una doppia caratteristica. Certamente si mettono in funzione quando l’animale compie un’azione, ad

esempio afferra un oggetto ma si attivano in modo similare quando l’animale vede un altro animale,

o un individuo fare la stessa azione. Si può dire che un gesto fatto da qualcuno fa “risuonare” in chi

guarda con attenzione l’azione, i neuroni che si sarebbero attivati solo se lui stesso avesse svolto

quell’azione. Nel 1995, i ricercatori documentano che anche nell’uomo esiste un sistema simile a

quello trovato nella scimmia.

Questa scoperta dimostra anche che le neuroscienze che si sono in qualche modo poste

sempre con uno spirito empirista rispetto alla conoscenza, ampliano il focus delle ricerche,

attraverso tecniche nuovissime, verso problematiche che convenzionalmente sembrano essere più

18

Le ricerche relative ai neuroni specchio hanno fatto emergere che una delle aree del cervello in cui si attivano questi

neuroni è l’area di Broca, notoriamente deputata alla elaborazione e comprensione del linguaggio. Per questo motivo

molti neuro scienziati credono che il linguaggio umano sia l’elaborazione e la decodificazione da parte del sistema

specchio delle informazioni trasmesse con le prestazioni gestuali. 19

Negli anni ’80 e ’90 il gruppo di ricercatori dell’Università di Parma coordinato da Giacomo Rizzolatti e composto da

Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Vittorio Gallese e Giuseppe di Pellegrino.

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vicine alla filosofia ad esempio come posso capire altre persone? Come sono in grado di percepire

le loro intenzioni e il perché del fare un’azione?

La scoperta dei neuroni a specchio sembra interessare molte aree cerebrali, quindi, anche il

linguaggio nella possibilità di imitare delle azioni.

Queste ricerche aprono necessariamente una serie di riflessioni. «Primo, per comprendere gli

altri dobbiamo prima creare delle conoscenze interne, degli “a priori” legati, come voleva già

Helmoltz, al sistema motorio, il sistema che “verifica” le nostre conoscenze. Secondo, tra noi e gli

altri c’è un legame empatico. Gli altri entrano continuamente in noi con il loro agire. Ciò sia in caso

di azioni “fredde”, prive di valenza emotiva, ma anche (gli esperimenti su questo punto sono però

scarsi) anche per azioni emotivamente “calde”. Terzo, ogni analogia tra cervello e computer, come

spesso si sostiene, cade non solo per le differenze di funzionamento, ma per la logica intrinseca del

cervello che è strettamente legato al mondo esterno ed agli altri. Infine il sorprendente legame tra il

nostro agire e quello degli altri potrebbe essere alla base del comportamento altruistico, come

recentemente suggerito da Changeux, e rappresentare la base naturale, biologica del comportamento

etico»20

.

In conclusione la ricerca sui “neuroni specchio” consente sia di approfondire le nostre

conoscenze sul funzionamento del cervello, sia di comprendere i processi che ci portano ad avere

rapporti fra e con le persone. La possibilità di indagare questi due settori permetterà anche alla

didattica e alla pedagogia di ampliare le attuali cornici interpretative della conoscenza prospettando

nuovi paradigmi di conoscenza.

Il discorso che ci ha portato fino alle reti neurali è finalizzato ad evidenziare che il soggetto

costruisce le proprie conoscenze nei contesti culturali e sociali nei quali vive utilizzando tutti gli

20

Rizzolatti G., Neuroni specchio: un meccanismo per capire e interagire con altri individui, Scientiae Munus 24 ottobre 2000:

http://scientiaemunus.provincia.parma.it/; Cfr. Rizzolatti G., Sinigaglia C., So quel che fai. Il cervello che agisce e i

neuroni specchio, Cortina Raffaello, Milano 2006.

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apporti che possono giungere dalle cosiddette scienze dell’educazione e non solo visto il rapporto

evidenziato con la biologia, con le neuroscienze, con le tecnologie. Tutti questi rami del sapere

confluiscono in quelli che possono essere definiti paradigmi di conoscenza.

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Bibliografia

Acone G. (a cura di), Aspetti e problemi della pedagogia contemporanea, Edizioni Seam

Roma, 2001.

Chomsky N., Syntactic Structures, The Hague Mouton 1957.

Husserl E., La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Saggiatore,

Milano 1954.

Miller G.A., Linguaggio e comunicazione, La Nuova Italia, Firenze 1999.

Miller G. A., The magical number seven, plus or minus two: Some limits on our capacity for

processing information, Psichological Review, 1956, n. 63.

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