Gli orientamenti pastorali nella PG Partiamo dallidea generativa di discepolato, lessere cristiani e...

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gli orientamenti pastorali nella PG Partiamo dall’idea generativa di discepolato, l’essere cristiani e quindi discepoli è una relazione personale di fede in Gesù, da cui tutto si genera.

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gli orientamenti pastorali nella PG

Partiamo dall’idea generativa di discepolato, l’essere cristiani e quindi discepoli è una relazione personale di

fede in Gesù, da cui tutto si genera.

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Dobbiamo passare ( ecco il salto di qualità), dall’appartenenza religiosa sociologica e culturale alla relazione personale ( autentica), e quindi alla sequela di Gesù, oserei dire, quasi un processo di purificazione ( che viene definito, come un processo di liberazione e quindi sotto questa luce ciò che prima appariva pesante, ora appare leggero e vero, nella sua verità e autenticità che è la relazione personale con Gesù, questo rapporto nuovo, ridà respiro e soprattutto speranza alla nostra vita, che ritrova così un nuovo senso “ tutto io posso in Cristo” dice San Paolo).

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Passiamo così da un desiderio di apprendere che si concretizza in un apprendistato vero e proprio, che parte dall’ ascoltare, osservare una vita, condividere una esperienza: notiamo un parallelismo e una concomitanza con il tema dell’agorà dei giovani, siamo partiti il primo anno con il tema dell’ascolto, il secondo con quello dell’evangelizzazione a tu per tu, e questo anno dell’annuncio che diventa cultura, i tre anni esprimono questo apprendistato , questo camminare con il maestro, che diventa condivisione di una esperienza di vita, ed in questo cammino ci conduce per mano l’apostolo, Paolo nell’anno paolino.

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Ecco perché il tema dell’anno:

“ Noi e Paolo discepoli senza confini”.

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Allora recepire gli orientamenti pastorali significa guardare alla PG con occhi nuovi, con gli occhi dell’apostolo Paolo.

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La storia di Paolo, come la storia di ogni giovane è una storia di vocazione.

In particolare nella vita di Paolo si compie la “ vendetta” dell’amore, della contrapposizione e del contrasto, perché lui passa nella sua vita dal rifiuto dell’amore di Cristo alla sua accettazione.

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Cosa allora prendere dall’esperienza di Paolo.

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È Dio che prende l’iniziativa, così come per ogni giovane, ed il luogo in cui prende questa iniziativa è per Paolo il viaggio, il cammino, quindi il dove, è l’esperienza di un viaggio, ed è lungo questo viaggio che Paolo incontra la via, la vera via, ed è in questa esperienza di cammino, di strada che dobbiamo aiutare i giovani ad incontrare Gesù, e quindi la vera via, ( dalla strada la via).

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L’incontro con Dio inizia con una esplosione di luce, che provoca la novità, e perché diventi esperienza, cammino e crescita concreta ha bisogno della voce che si esplicita nella Parola.

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Ma senza l’accettazione, senza l’umile accogliente prostrazione non c’è possibilità di ascolto.

Solo cadendo a terra Paolo ode la voce.

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Allora perché si possa udire la voce del Signore, occorre che il cuore sia avvolto nel silenzio, nella serenità, nella pace.

È solo così che avvertiamo di essere interpellati personalmente.

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È questa una ricerca interiore, che ognuno di noi fa nella propria vita, ( ed anche il giovane), che porta poi a tre movimenti:

alzati, entra,

ti sarà detto;

questa è l’esortazione che Gesù fa ad ognuno di noi.

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alzati: Risuscita;

ti sarà detto: Lasciati educare, reinserire in un rapporto diverso con il Signore.

Ecco la novità del discepolo il guardare con occhi nuovi.

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Ecco perché dobbiamo perdere la vista, dobbiamo rimanere ciechi, ma questa cecità non è una cecità punitiva, ma dobbiamo rimanere ciechi perché niente possa distrarci, perché l’ultima cosa che dobbiamo tenere a mente è la fotografia di un incontro, la registrazione di una voce, il ricordo di una parola.

Non una cecità punitiva, ma una teofania, nella cecità vi è la manifestazione di Dio.

Nessuno può vedere veramente il sole senza rimanerne accecato.

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Allora essere discepolo alla maniera di Paolo significa essere totalmente afferrati dal Signore e totalmente presi dalla parola, così ci si lascia condurre per mano dagli altri, ci si affida. Il discepolo si affida perché si fida.

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Paolo rimane a Damasco tre giorni senza vedere per conservare l’immagine di Gesù e senza mangiare e bere, perché il suo corpo e la sua anima erano sazi, il tempo dei tre giorni indica la passione di Gesù, lo accomuna e lo rende come lui, segnando il passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo.

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Dobbiamo essere sazi e creare nei giovani quel desiderio di fame e di sete che solo in Dio possono colmare.

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È importante sottolineare l’incontro con Anania, che è il mediatore del vangelo della grazia il suo scopo è quello di fare aprire gli occhi ed il cuore a Paolo.

Un po’ come il compito della PG, Paolo dall’incontro con Gesù si trasforma da persecutore in discepolo, dall’incontro con Anania da nemico in fratello,nasce così l’umile consapevolezza che tutto possiamo solo in Cristo.

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Quindi la missione e il servizio.

Inteso come cambiamento di stile nelle relazioni, la vita di Paolo cambia con un incontro, tutto prende avvio da un incontro che diventa relazione, relazione personale con Lui, ed è da questa relazione intima, non intimistica (bisogna evitare di correre il rischio di creare uno spiritualismo vagamente mistico ed evanescente) , e personale con Gesù che è possibile vivere in comunione con la chiesa ed è possibile rendere agli altri testimonianza di questo incontro.

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È solo nella fede che viviamo una relazione autentica con Lui, Paolo diventa la nostra guida nel cammino di questo anno.

È colui che ci insegna un nuovo stile di vita, ed il fatto che non ha conosciuto Gesù personalmente, secondo la carne, ma in spirito ce lo rende ancora più umano e credibile.

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E’ quindi necessario un tempo di formazione e in questo percorso Paolo viene accompagnato da Anania e Barnaba, noi vogliamo come PG, insieme a Paolo accompagnare i giovani.

Allora la nostra paternità spirituale nasce dall’essere discepoli, dobbiamo rinnovare la scelta di esserlo ed esserlo veramente.

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Il discepolo è icona di Gesù.

Il vero accompagnatore dei giovani è colui che sa sostare accanto a loro con la fatica del verificare, capire, esprimere, e la meta è la crescita dell’altro, e cioè educare al discernimento della presenza di Dio.

I discepoli non ascoltano un messaggio ma assimilano uno stile di vita ed imparano ad accogliere nell’imitazione la persona del maestro.( pag 15).

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Nel discepolato non dobbiamo dimenticare due condizioni:

la libertà: intesa come superamento dei legami, dei condizionamenti per recuperare la propria identità personale e pastorale.

E quindi riscoprire la dimensione consacratoria.Il coraggio: presuppone l’impegno di una scelta

radicale e seria, altrimenti si snatura il senso stesso di una iniziativa che è divina, e di conseguenza il senso della nostra esistenza personale e pastorale, seguire Gesù comporta serietà, e la sequela è un dono di salvezza. Gesù chiama e manda a due a due ed è qui che appare la dimensione ecclesiale del discepolato, quindi della comunione da cui scaturisce la missione e quindi il servizio ( da qui il motivo principale, perché la nostra PG si chiama servizio e non ufficio, qui trova qui la sua ragione d’essere).

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Non si può immaginare allora un servizio di pastorale giovanile che non presupponga un cambiamento di stile nelle relazioni, senza essere profetica testimonianza della signoria di Dio.

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Ma è possibile tutto questo, e quindi essere discepoli di Gesù solo con lo spirito del risorto, che è speranza della chiesa e del mondo come abbiamo sentito a Verona.

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Allora la via concreta per riscoprire Gesù ed essere discepoli è questa:

1) accostamento orante della scrittura: si auspica che i gruppi giovanili programmino lungo questo anno delle lectio divine, sulla lettera o sulle lettere di Paolo, Galati, Filippesi.

2) una esperienza spirituale alimentata nella preghiera e nell’eucaristia; difatti come PG abbiamo pensato a due ritiri nei tempi forti, fermo restando i ritiri parrocchiali e vicariali, che si ispireranno a questo nuovo stile di discepolato;

3) l’umile confronto con i testimoni della fede, maturato all’interno delle riunioni dei singoli gruppi, e con il confronto all’interno della comunità che è madre e padre dei giovani in questo cammino di discepolato. La PG non è una pastorale a se, non è la pastorale di pochi, ma è la pastorale dell’intera comunità diocesana, vicariale, parrocchiale, è tutta la comunità che deve avere cura dei suoi giovani.

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Allora il nostro compito come PG:

sull’esempio di Paolo accompagnare i giovani nella loro personale storia di vocazione, la vita di ogni giovane è una storia di vocazione.

È aiutare a far nascere l’incontro con Gesù, farlo vivere, farlo crescere, e seguire questa relazione personale che ciascuno ha iniziato, come uno stato di grazia, perché tale è.

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E’ importante passare, da una vita fondata sull’autogiustificazione, che ti fa dimenticare di essere bisognoso del perdono di Dio e ti fa fraintendere la verità delle cose, ad una vita di sequela.

Dobbiamo chiedere di essere graziati dall’amore misericordioso del Padre, l’incontro con Cristo ci deve cambiare la vita.

Dobbiamo lasciarci vedere, vedere dentro. E’ difficile tutto questo. Ma i giovani chiedono di lasciarsi vedere, però sono i lupi rapaci che approfittano di questa loro disponibilità, non possiamo allora rimanere impassibili, di fronte al bisogno e alla richiesta continua di aiuto.

 

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Allora cosa possiamo fare: è insito nel mistero della chiamata, un tempo di formazione, per crescere e assimilare le condizioni del discepolato ( vedi il corso di formazione).

La nostra paternità spirituale nasce dall’essere discepoli prima noi stessi, solo così possiamo generare figli nella fede.

Dalla formazione nasce poi l’avventura missionaria che ci rende apostoli di Gesù.

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Per noi il vangelo deve diventare non un messaggio, e forse neanche solo uno stile di vita bensì è la persona stessa di Gesù che si deve sentire vivere dentro noi stessi.

È la nostra vita che deve lasciare spazio alla inabitazione divina. E quindi assimilazione alla passione di Gesù: chi vuol venire dietro me prenda la sua croce …

Questo “ dietro me” ha valenza di totale affidamento al Signore che lascia intravedere la nostra fragilità umana: (ecco uno degli ambiti di Verona): è nell’accettazione della nostra fragilità, dei nostri limiti, che riscopriamo la nostra forza, è quando siamo deboli che siamo veramente forti.

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Altro ambito è l’affettività: vi è un analfabetismo affettivo: i rapporti usa e getta, ma vi è allo stesso tempo un profondo desiderio di autenticità, mancano spesso modelli di riferimento;ci sono temi da individuare e attenzionare quali quelli della castità, e dell’omosessualità.

Questi temi saranno oggetto di studio al convegno di SR all’interno dei laboratori di studio dai quali verrà fuori un orientamento a livello regionale.

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Per l’educazione alla affettività sono auspicabili percorsi particolari nei singoli gruppi sia di adolescenti che di giovani, partendo dall’accoglienza, facendo un accompagnamento, umano e spirituale, e prediligendo la formazione degli educatori.

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Nell’ambito della Festa e del lavoro.

Come dobbiamo fare festa ( la gdg è un esempio), il concetto di festa è in crisi, fare festa significa per la maggior parte sballarsi.

Bisogna recuperare la domenica e quindi il senso del tempo libero, che è un tempo per avere attenzione e cura alle relazioni amicali, parentali e affettive.

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Lavoro:

la precarietà del lavoro rende il giovane deluso, privo di prospettive, di futuro.

ed allora un es. è dato dal progetto Policoro.

Dalla cooperazione sociale.

Recuperare il valore del lavoro, inteso come dovere morale e di redenzione, con il lavoro partecipiamo all’opera redentrice di Dio.

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Creare interesse per il bene comune, (es. la giornata per la salvaguardia del creato il 1 sett.).

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L’ immigrazione, è un modo per educare il giovane a superare l’individualismo per una maggiore solidarietà.

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Riprendiamo l’ambito della fragilità: ( ricorda Vittorino Andreoli, atti del convegno nazionale di PG di Lignano sabbia d’Oro, ) e vedi San Paolo: nel momento della debolezza è più forte ( Paolo imprigionato).

La fragilità sociale che crea dipendenze, dall’alcol, dalle droghe leggere e pesanti, rifugio nel mondo virtuale, bullismo e delinquenza minorile, l’abbandono scolastico.

Allora incentivare il volontariato nei giovani, come cura per l’altro e attenzione ai bisogni dell’altro che è fragile.

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Cittadinanza.Costruire la città del mondo, dobbiamo farlo ma

come da stranieri, ( come Ruth) abitanti del paradiso, che è già su questa terra.

Creare e fare il bene comune, sull’editoriale di mercoledi di avvenire si legge: “ la visione religiosa della società, intesa nella sua autenticità di impegno e di rispetto di una etica superiore oltre a sostenere chi si trova in difficoltà eccezionali, è una delle più sicure garanzie contro il futuro di ripetersi di crisi micidiali come quella attuale, se si crede veramente, l’etica e la religione servono a fare e a fare bene”.

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A pag 97 degli orientamenti pastorali si legge che il richiamo della coscienza e le esigenze del bene comune spingono la persona verso la socializzazione e ciò comporta una cittadinanza piena e responsabile, nel rispetto del bene comune che comporta principalmente: il rispetto dei diritti fondamentali e inalienabili della persona, il benessere sociale e lo sviluppo della comunità, e quindi di conseguenza la giustizia sociale,( tema fondamentale, cui i giovani sono particolarmente sensibili).un canto del gen rosso dice: “ la tua pace sarà una casa per tutti”, questa è la vera giustizia sociale, e noi dobbiamo lavorare per questo, accogliendo la sensibilità particolare che i giovani hanno verso questi problemi universali.

Trovare forme di discernimento comunitario all’interno dei gruppi.

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E poi l’impegno socio politico, che non si deve ridurre ad uno schierarsi, o un appoggiare l’uno o l’altro candidato ma creare coscienze e intelligenze credenti.

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Altro aspetto importante è l’identificazione del peccato sociale: presa di coscienza di una responsabilità comune, l’illegalità comune è il maggiore peccato sociale ( perché ciò che prima era considerato abominevole, che faceva scandalo, che intristiva il cuore, oggi è considerato normale e lecito, ciò è dovuto anche al potere dei mass media che ci bombardano di notizie di cronaca e si corre il rischio che i giovani si assuefacciano a tutto questo).

Valorizzare le esperienze ecclesiali missionarie.

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Tradizione, lascia in eredità alle generazioni cristiane la testimonianza viva e scritta di maestri, come un sacro deposito da custodire.

Abbiamo questo compito: trasmettere l’insegnamento del Papa, dei vescovi, dei santi, la fede della chiesa. Dobbiamo essere i custodi gelosi di questa tradizione cristiana di queste radici profonde cristiane, ( vedi G.P. II sull’unità dei valori cristiani che stanno alla base dell’Europa e che non possono essere calpestati, tema poi ripreso da B XI) .

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La fede è una decisione personale, nessuno se la può dare da solo, la riceviamo da altri, e la trasmettiamo ad altri.

Gli orientamenti parlano di nuova catechesi, differenziata per età, di un catecumenato per i giovani in collaborazione con l’ufficio catechistico e il centro diocesano vocazioni.

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Per la trasmissione della fede è importante l’inserimento nei luoghi della cultura, scuole e università, il contributo fondamentale a tal proposito è dato dal progetto culturale, questo è l’anno della cultura per l’agorà.

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Bisogna attenzionare particolarmente i giovani universitari perché sono i destinatari attuali e i portatori futuri di una cultura che non può essere frammentata,( mons. Cataldo Naro che si assiste ad una frammentazione della cultura ed è dato questo dal proliferare di tutte queste facoltà a discapito della cultura per eccellenza).

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Vedi progetto culturale, promosso dal servizio nazionale per il progetto culturale all’interno della segreteria della CEI.

La dimensione culturale dell’evangelizzazione ( terzo anno dell’agorà), comprende ed evidenzia le logiche del progetto dell’agorà, ed è il metodo pastorale cui la chiesa ci invita.

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L’assemblea dei vescovi lo scorso maggio ha dato precise indicazioni al riguardo:

“vi è l’intento esplicito di una rinnovata attenzione al mondo dei giovani, tratto che caratterizza il percorso dell’agorà,sta nel trasmettere a tutte le comunità l’impegno a farsi compagni di viaggio dei giovani, non solo in occasione di eventi eccezionali, ma anche nella semplice vita quotidiana.

Abitare i luoghi dei giovani e colmare i vuoti educativi, educare alla responsabilità, ( evitando l’autolegittimazione e la deriva delle norme) valorizzare il potenziale di bene di cui ciascuna persona è dotata.

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Educare ad accettare il limite non come menomazione, ma come soglia che introduce la persona in una percezione realistica del proprio io, senza rincorrere l’illusione del “ tutto e subito”, spesso mascherato da devianze e da droghe.

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In una società complessa e plurale, non sia più possibile procedere isolatamente, ma si richiede una sinergia tra le diverse agenzie educative ( famiglia, parrocchia, scuola, gruppi e movimenti), consolidando ove necessario alleanze nei luoghi strategici. La scuola e l’università, il mondo del lavoro, la vita sociale e politica, e primariamente l’ambiente ecclesiale”.

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Allora diventare discepoli di Paolo diventa l’obiettivo di una vita intera.

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Ho cercato di individuare mezzi e di dare percorsi presenti negli orientamenti pastorali, che hanno preso forma nelle attività di questo anno, ( don Maurizio illustrerà).

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Ovviamente diventare discepoli è il frutto di un cammino personale e comunitario che noi vogliamo intraprendere con voi, le attività servono ad accompagnare, a guidare e sostenere, e questo accompagnamento. Questa guida e sostegno deve essere reciproca.

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Un potente sovrano viaggiava nel deserto seguito da una lunga carovana che trasportava il suo favoloso tesoro di oro e pietre preziose.

A metà del cammino, sfinito dall’infuocato sole, un cammello della carovana crollò boccheggiante e non si rialzò più. Il forziere che trasportava rotolò per i fianchi della duna, si sfasciò e sparse tutto il suo contenuto, perle e pietre preziose, nella sabbia.

Il principe non voleva rallentare la marcia, anche perché non aveva altri forzieri e i cammelli erano già sovraccarichi. Con un gesto tra il dispiaciuto e il generoso invitò i suoi paggi e i suoi scudieri a tenersi le pietre preziose che riuscivano a raccogliere e portare con sé.

Mentre i giovani si buttavano avidamente sul ricco bottino e frugavano affannosamente nella sabbia, il principe continuò il suo viaggio nel deserto.

Si accorse però che qualcuno continuava a camminare dietro di lui. Si voltò e vide che era uno dei suoi paggi, che lo seguiva ansimante e sudato. “ E tu “ , gli chiese il principe, “ non ti sei fermato a raccogliere niente? “ . Il giovane diede una risposta piena di dignità e di fierezza:

“ io seguo il mio RE “ .