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65 Biblioteche oggi gennaio-febbraio 2007 Osservatorio internazionale a cura di Carlo Revelli più ampio rispetto alle loro funzioni, “dovrebbero tro- vare un equilibrio tra il ruo- lo tradizionale e quelli nuo- vi” e devono pertanto adat- tare le proprie capacità a un ambiente che sta cambian- do. Pur essendone del tutto coscienti, non vi sono tutta- via ben preparati e “sovente vengono considerati lenti nell’adeguarsi alla nuova tecnologia”, che è ritenuta da alcuni un’“occasione pre- ziosa”, mentre per altri co- stituisce una minaccia che può giungere al timore del- l’estinzione. John Berry in un editoriale del “Library Journal” (The librarian’s new role, Oct. 1, 2005, p. 10) considera il bibliotecario co- me “costruttore di un pon- science, “Library Trends”, Spring 2004, p. 671-682), “non siamo niente senza un passato… Non solo come pensiamo ma quello che pensiamo e quando siamo capaci di pensarlo dipende in certa misura da una cir- costanza storica”. Il rapporto tra la tradizione e l’impatto tecnologico è considerato da molti sotto aspetti differenti, ma con la tendenza comune alla ricer- ca dell’equilibrio. Così Ina Fourie (Librarians and the claiming of new roles: how can we try to make a differ- ence?, “Aslib Proceedings”, 2004, 1, p. 62-74) nel soste- nere che i bibliotecari, coin- volti in situazioni di respiro “Che le nostre mani e i no- stri cuori si avvicinino, per- ché, legati al passato, que- sto ci proietti verso l’avveni- re.” Questo brano di una preghiera rituale africana potrebbe confortare il bi- bliotecario che vede affie- volirsi l’esperienza, le pro- cedure, le conoscenze del passato sotto il rullo com- pressore di quella particola- re cultura informativa nata con la tecnologia elettroni- ca. Certamente non sarebbe invece bene accetto a chi, piuttosto che l’evoluzione, il mutare costante nel trapas- so dal vecchio al nuovo, ne consideri l’aspetto rivoluzio- nario, di rottura. Una ten- denza quest’ultima più volte confermata, ad esempio da un’inchiesta tra 180 studenti israeliani di biblioteconomia e scienza dell’informazione sulla trasformazione dei ruoli tradizionali nel passag- gio dalla stampa al digitale, tanto sul ruolo delle biblio- teche quanto sulle previsio- ni di impiego, sul prestigio della professione e sulle preferenze di lavoro, inchie- sta dalla quale è risultata una superiorità della scien- za dell’informazione sulla biblioteca (Shifra Baruchson- Arbib e Sherry Mendelovitz, A study of Israeli library and information science students’ perceptions of their profes- sion, “Libri”, June 2004, p. 82-97). Risultati non diversi troviamo in un’inchiesta sui laureati in biblioteconomia e scienza dell’informazione all’Università del Nuovo Galles del Sud tra il 1997 e il 2001, dove alcune delle funzioni tradizionali risulta- no meno rappresentate, mentre altre legate alla tec- nologia dell’informazione sono in aumento e sono an- che meglio pagate (Patricia Willard, Concepciòn S. Wil- son e Fletcher Cole, Chang- ing employment patterns: an Australian experience, “Education for Information”, Dec. 2003, p. 209-228). Per contro, nota W. Boyd Ray- word nell’articolo introdutti- vo a una raccolta da lui stes- so curata (When and why is a pioneer: history and heri- tage in library and informa- tion science, in Pioneers in library and information Il mestiere del bibliotecario

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Osservatorio internazionale a cura di Carlo Revelli

più ampio rispetto alle lorofunzioni, “dovrebbero tro-vare un equilibrio tra il ruo-lo tradizionale e quelli nuo-vi” e devono pertanto adat-tare le proprie capacità a unambiente che sta cambian-do. Pur essendone del tuttocoscienti, non vi sono tutta-via ben preparati e “soventevengono considerati lentinell’adeguarsi alla nuovatecnologia”, che è ritenutada alcuni un’“occasione pre-ziosa”, mentre per altri co-stituisce una minaccia chepuò giungere al timore del-l’estinzione. John Berry inun editoriale del “LibraryJournal” (The librarian’s newrole, Oct. 1, 2005, p. 10)considera il bibliotecario co-me “costruttore di un pon-

science, “Library Trends”,Spring 2004, p. 671-682),“non siamo niente senza unpassato… Non solo comepensiamo ma quello chepensiamo e quando siamocapaci di pensarlo dipendein certa misura da una cir-costanza storica”.

Il rapporto tra la tradizionee l’impatto tecnologico èconsiderato da molti sottoaspetti differenti, ma con latendenza comune alla ricer-ca dell’equilibrio. Così InaFourie (Librarians and theclaiming of new roles: howcan we try to make a differ-ence?, “Aslib Proceedings”,2004, 1, p. 62-74) nel soste-nere che i bibliotecari, coin-volti in situazioni di respiro

“Che le nostre mani e i no-stri cuori si avvicinino, per-ché, legati al passato, que-sto ci proietti verso l’avveni-re.” Questo brano di unapreghiera rituale africanapotrebbe confortare il bi-bliotecario che vede affie-volirsi l’esperienza, le pro-cedure, le conoscenze delpassato sotto il rullo com-pressore di quella particola-re cultura informativa natacon la tecnologia elettroni-ca. Certamente non sarebbeinvece bene accetto a chi,piuttosto che l’evoluzione, ilmutare costante nel trapas-so dal vecchio al nuovo, neconsideri l’aspetto rivoluzio-nario, di rottura. Una ten-denza quest’ultima più volteconfermata, ad esempio daun’inchiesta tra 180 studentiisraeliani di biblioteconomiae scienza dell’informazionesulla trasformazione deiruoli tradizionali nel passag-gio dalla stampa al digitale,tanto sul ruolo delle biblio-teche quanto sulle previsio-ni di impiego, sul prestigiodella professione e sullepreferenze di lavoro, inchie-sta dalla quale è risultatauna superiorità della scien-za dell’informazione sullabiblioteca (Shifra Baruchson-Arbib e Sherry Mendelovitz,A study of Israeli library andinformation science students’perceptions of their profes-sion, “Libri”, June 2004, p.82-97). Risultati non diversitroviamo in un’inchiesta suilaureati in biblioteconomiae scienza dell’informazioneall’Università del NuovoGalles del Sud tra il 1997 eil 2001, dove alcune dellefunzioni tradizionali risulta-no meno rappresentate,mentre altre legate alla tec-

nologia dell’informazionesono in aumento e sono an-che meglio pagate (PatriciaWillard, Concepciòn S. Wil-son e Fletcher Cole, Chang-ing employment patterns:an Australian experience,“Education for Information”,Dec. 2003, p. 209-228). Percontro, nota W. Boyd Ray-word nell’articolo introdutti-vo a una raccolta da lui stes-so curata (When and why isa pioneer: history and heri-tage in library and informa-tion science, in Pioneers inlibrary and information

Il mestiere del bibliotecario

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te” tra le due culture che stavivendo, mentre al tempostesso conserva la sua carat-teristica di sempre, di “avvo-cato della libertà, fautoredella pace e, cosa più im-portante, di persona deditaa cercare e a diffondere laverità in un mondo di setta-ri e di mentitori”. Un filo diretorica non manca di cer-to... D’altronde la neutralitàasettica non si addice al bi-bliotecario, come già avver-tiva Robert G. Wengert (Someethical aspects of being aninformation professional,“Library Trends”, Winter2001, p. 486-509) nel soste-nere che il bibliotecario nonpuò comportarsi come uncomputer, senza prendereposizione, poiché la biblio-teca non è una “cassa dicompensazione neutrale”,ma deve favorire il deside-rio di conoscere, cercando“un equilibrio tra la mentali-tà che ci si attende da un’i-stituzione pubblica e l’a-spettativa che un’istituzionepubblica dia un contributopositivo alla comunità cheserve”, fino al punto disconsigliare certe ricerche(senza tuttavia impedirle,aggiungerei). Vediamo dun-que una ricerca continuadell’equilibrio: quello disempre, a livello morale, equello contingente che ri-guarda l’evoluzione tecno-logica – non una novità nep-pure questa, ma certamentemoltiplicata nei suoi effettiattuali. C’è infatti secondoElspeth Hyams (Updatingthe eternal, “Update”, June2005, p. 18-19) una conti-nuità nell’opera dei bibliote-cari, pur se cambiano lemodalità del loro lavoro.Anche Laurence Tarin (L’ave-nir des bibliothécaires est-ilderrière eux?, “Bulletin desbibliothèques de France”,2004, 4, p. 111-112), a pro-posito di un dibattito orga-nizzato dalla stessa rivista al

Salon du livre di Parigi, nelconsiderare l’attività del bi-bliotecario sotto i vari aspet-ti della mediazione sociale,del consumo culturale, del-l’informazione e della tec-nologia, riconosce l’immuta-bilità del coeur du métier adispetto della diminuzionequantitativa del supportocartaceo. Una posizione a-naloga è quella di AndyBarnett, il quale chiama séstesso neo-traditionalist esostiene che la biblioteca sitrasforma in continuazionenei dettagli per rimanere so-stanzialmente con le mede-sime funzioni. Egli nota ildoppio aspetto consideratoin precedenza, esaltato ulte-riormente dallo stesso con-fronto con l’elaboratore: ri-spetto al cumulo non cata-logato delle risorse in rete,“la selezione e il suo gemel-lo trascurato, lo scarto, sonocompiti essenziali per i bi-bliotecari”, dai quali emergecon maggiore risalto la fun-zione di educazione civica(Libraries, community, andtechnology, Jefferson, N.C.and London, McFarland, 2002,p. 9). Non diversa la posi-zione di Michel Melot nelsuo aureo libretto La sagessedu bibliothécaire (Paris,L’oeil neuf, 2004; trad. it. Lasaggezza del bibliotecario,Milano, Sylvestre Bonnard,2005): il bibliotecario si èsalvato dalle due forze con-trapposte che lo minaccia-vano giocando proprio sulloro contrasto, in quanto“all’inondazione editorialeoppone l’informatica, all’in-formatica oppone la concre-tezza necessaria delle suerappresentazioni in uno spa-zio chiuso” (p. 26-27). Lostesso Melot (Archivistes,documentalistes, bibliothé-caires. Compétences, missions,intérêts communs, “Bulletindes bibliothèques de France”,2005, 5, p. 9-12) avvertequanto sia irreale l’idea che

il materiale a stampa esi-stente possa essere sostitui-to integralmente dalla digi-tazione:

mi colpisce il fatto che,quando si affronta l’ar-gomento della virtualitàe dell’immediatezza deimezzi di comunicazioneattuali, non sia ormai piùpreso in considerazionel’enorme stock di libri edi archivi cartacei. Ora, èdel tutto illusorio pensa-re che un giorno essoverrà digitato; inoltrenon cessa di crescere, adispetto dell’elettronica,con una progressionegeometrica se si vuolecredere ai dati sul con-sumo di carta.Nessuno dunque puònegare che avremo sem-pre bisogno di bibliote-cari, di documentalisti edi archivisti, con la for-mazione più tradizionaleche ci consenta l’accessoa questa memoria carta-cea. Ma perché quest’im-passe sullo stock, questacecità volontaria sull’av-venire della documenta-zione di cui ci si presen-ta la versione digitale co-me se fosse l’unica adavere un futuro?

La tecnologia dell’informa-zione ha influito come con-seguenza diretta o indirettasulla definizione delle fun-zioni del bibliotecario, a-prendo un ventaglio di atti-vità che al tempo stessoschiude la strada a specializ-zazioni, in un complessodove i limiti professionali delbibliotecario sfumano versola figura complessa e indi-stinta dell’operatore nel cam-po dell’informazione. Non èun caso che le stesse scuoleper bibliotecari e la stessabiblioteconomia vedano in-tegrare il proprio nome conl’aggiunta di “scienza del-

l’informazione”, che non sisa bene se comprenda lascienza delle biblioteche one costituisca una pari gra-do, con una parte in comu-ne e quindi con una so-vrapposizione più o menoampia, a seconda dei puntidi vista. A volte è addiritturalo stesso nome di “bibliote-ca” a scomparire. Ora, all’in-terno di questo ventaglioappare necessario conside-rare e confermare la defini-zione della biblioteca e delbibliotecario, sia pure nel-l’ambito di un’attività com-plessa, poiché aumentandoi compiti, allargando i termi-ni della definizione, i “fines”tenderanno a scomparire deltutto. Alain Gleyze (Quellescompétences pour les biblio-thécaires? Diversité des fonc-tions et référentiels, “Docu-mentariste”, fév. 2005, p. 22-25) avverte per l’appunto ilrischio di una rappresenta-zione estensiva delle com-petenze, che “ha di necessi-tà la conseguenza di diluirela loro stessa professionali-tà”. Si riscontra la presenzadi competenze proprie dialtre professioni, rendendoproblematica la definizionedelle specificità, tanto cheprima di elaborare un man-sionario occorrerà un ap-profondito lavoro di rifles-sione. Ina Fourie nell’artico-lo sopra ricordato conferma“un’abbondanza di ruoliprofessionali per il bibliote-cario. Assumere questi ruolirichiederà una preparazioneattenta e tempestiva”. Si puògiungere a ipotizzare conHilda Kruger, oltre al timoredelle biblioteche virtuali,quella dei bibliotecari vir-tuali: “I bibliotecari hannoormai perduto sempre dipiù la concretezza, in quan-to il loro ruolo li immergenell’ambiente virtuale”. An-che se le previsioni hannosempre il sapore di narrati-va, qualche volta ci azzecca-

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no. Non manca chi sostieneche “le personalità virtualicostituiranno un fenomenosempre più consueto in unprossimo futuro”, magaricon aspetto e voce umani,programmate per dare in-formazioni a vari livelli (I, li-brarian, “Information Tech-nology and Libraries”, Sept.2005, p. 123-129). Anchesotto questo aspetto occorrericonoscere la modificazio-ne di una figura tradiziona-le, dove la professionalità siadegua a esigenze nuove.Kerry M. Wilson e Eddie Hal-pin nel considerare la bi-blioteca ibrida universitaria(ma l’osservazione si può e-stendere a tutti i tipi di bi-blioteca) avvertono come sicreino condizioni per unaserie di “capacità trasferibili”che tendono a una profes-sionalità più generale, menospecifica, che coinvolge an-che le figure paraprofessio-nali (Convergence and pro-fessional identity in the aca-demic library, “Journal ofLibrarianship and Informa-tion Science”, June 2006, p.79-91). Allargamento di in-teressi che si configura an-che nell’ambito della co-operazione con attività col-laterali, come nota LaurenceSantantonios nell’auspicareuna maggiore autonomiaper i gruppi dei bibliotecariregionali nell’apertura dicontatti con i professionistidell’informazione, “dimenti-cando un po’ il corporativi-smo”. L’autrice cita a questoproposito una frase di GillesEboli, allora neopresidentedell’Associazione dei biblio-tecari francesi, al Convegnodi Aubagne nel giugno 2003:“Noi dobbiamo sedurre dipiù” (L’ABF se mobilise,“Livres hebdo”, 590, 25.2.2005,p. 78-79). Gary P. Radford(Trapped in our own discur-sive formations: toward anarchaeology of library andinformation science, “The

Library Quarterly”, Jan. 2003,p. 1-18) nel riferirsi a un ar-ticolo di Wayne Wiegandsulla stessa rivista (Tunnelvision and blind spots. Whatthe past tells us about thepresent, Jan. 1999, p. 1-32)nota come i bibliotecari par-lino tra di loro con un voca-bolario proprio, chiuso ver-so l’esterno. Nel medesimonumero del gennaio 2003Wiegand conferma i limiti einvita i colleghi ad allargareil discorso (Broadening ourperspectives, p. V-X). Un li-mite del resto ben diffusoanche in altri tempi e in al-tri luoghi, come confermaKarl Klaus Walther (JuliusPetzholdt. Gründervater ein-er neuen Disziplin, “Biblio-thek und Wissenschaft”, 1999,p. 133-146) a proposito del-la scienza bibliotecaria tede-sca nel XIX secolo.

Convergenza e distinzionetra professioni vicine, distin-te tra loro soltanto in tempirecenti, come osserva Melotnell’articolo Archivistes, do-cumentalistes, bibliothécairesgià ricordato, i cui interessie le cui specificità sono dadifendere tutti assieme.L’articolo di Melot fa partedel dossier Un métier, dixmétiers (“Bulletin des biblio-thèques de France”, 2005,5), dove si considera anchela distinzione tipologica trale biblioteche, troppo ac-centuata secondo Anne-Marie Bertrand (L’unité dumétier, p. 5-7) dallo sman-tellamento della Directiondes bibliothèques et de lalecture publique (1975), cheaveva “messo in causa l’uni-tà del mestiere” e che ren-deva necessaria una leggesulle biblioteche a fungereda ponte interministeriale.Bertrand riconosce il ritardorelativo di una politica fran-cese sulla lettura pubblica“che privilegiasse l’aiuto allettore (e non più l’aiuto al-

la costruzione…)”. E Ray-mond Bérard (Bibliothécaired’Etat, bibliothécaire territo-rial. Deux référentiels, unmétier?, p. 22-29) osservache la diversità funzionalepuò corrispondere a diversi-tà tipologiche, non certo amestieri distinti. Ma, per tor-nare alla distinzione tra bi-bliotecari e documentalisti,cara in particolare alla tradi-zione francese, Caroline

Wiegandt nel medesimodossier vede sempre più vi-cini quei due mestieri (Bi-bliothécaires et documenta-listes. Deux métiers qui serapprochent, p. 16-18).

La diversità e la convergen-za tra attività affini è statatrattata in particolare allaBibliothèque nationale deFrance in due giornate distudio (“Un métier, des mé-

G. Chi

ostri

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meno adesso la mia discesaè stata un grande passo nel-la direzione giusta” (Julie C.Blake, The (d)evolution of adirector, “American Librar-ies”, Oct. 2002, p. 62-63). Aun risultato analogo, anchese le motivazioni sono diffe-renti, giunge John Berry inuno dei suoi editoriali del“Library Journal” (I’m gladI’m not a director, June 1,2006, p. 10): il direttore è at-taccato da tutte le parti, èimpossibilitato ad acconten-tare tutte le richieste ed ècriticato per le sue scelte.C’è addirittura, sempre se-guendo Berry, l’eventualitàdi un voto no confidence daparte del personale nei ri-guardi di un direttore chenon abbia colloquio con ilmedesimo. È un provvedi-mento che ha dato buoni ri-sultati, ma è da intendersicome ultima risorsa, per evi-tare eccessi che dannegge-rebbero senza motivo unareputazione e porterebberoincertezza al servizio (The“no confidence” vote, “LibraryJournal”, Sept. 1, 2006, p. 8).

Le difficoltà gestionali dellabiblioteca sono tali da farconsiderare inadeguata laprofessionalità del bibliote-cario, tanto che già MichaelHaager riteneva che la com-plessità dei problemi giuri-dici non poteva essere af-frontata senza una consu-lenza legale alla quale prov-vedere anticipatamente: con-tratti, affidamenti esterni,Internet, diritto di stampa,amministrazione, e così via.Occorreva anche trovare lastrada giusta per ottenereconsigli legali gratuiti (Meistgratis, nie umsonst. Rechts-beratung für Bibliotheken,“BuB”, Feb. 1999, p. 128-131).Lynne Brindley in un inter-vento in “Update” (Leader-ship, May 2002, p. 23) si do-manda se le doti richieste aun direttore nel campo bi-

bliotecario siano diverse daquelle richieste a un diri-gente generico e ritiene chesiano entrambe necessarie,a pari livello: le doti e le co-gnizioni tradizionali non so-no sufficienti all’organizza-zione delle “biblioteche delfuturo”. Anche trascurandola responsabilità più elevata,il compito del bibliotecarioè un’attività difficile checomporta una preparazionetecnica e intellettuale nonbreve, come avverte Domi-nique Peignet, tanto più og-gi con l’aumento di “respon-sabilità nei confronti degliutenti che si aspettano danoi un lavoro di cernita, se-lezione, verifica della perti-nenza e della validità delleinformazioni” (La bibliothèqueentre mutation de l’offre etmutation de la demande,“Bulletin des bibliothèquesde France”, 2001, 4, p. 10-17). Ma allora, che cosa de-ve essere un bibliotecario?Un sapiente forse? È la do-manda che si poneva giàCharles Sustrac cent’anni fa,in un articolo ripresentatoda “Bibliothèque(s)” (Le bi-bliothécaire doit-il être unsavant?, déc. 2005, p. 86-87)e che accanto a nozioni co-muni per tutte le bibliotecheconsiderava quelle specifi-che per la tipologia e per ilsingolo istituto, con “la ne-cessità rigorosa di adattarsialla diversità versatile ed ef-fettiva dei bisogni dei letto-ri”. Sapiente dovrà poi esse-re a seconda della specializ-zazione della biblioteca,non al di là tuttavia di unaconoscenza generale, inquanto non ha una funzio-ne scientifica, “pertanto ilsuo compito rimane distintoda quello dello scienziato”.Non è male considerare pa-reri lontani nel tempo perritrovare conferme e diffe-renze. L’Associazione fran-cese dei professionisti del-l’informazione e della docu-

tiers. Convergences et spé-cificités des métiers des ar-chives, des bibliothèques etde la documentation”, 28-29gennaio 2005). Il redattorecapo di “Documentariste”,Jean-Michel Rauzier, ne dànotizia anticipata nell’edito-riale dell’ottobre 2004 e de-dica all’avvenimento il nu-mero successivo (fév. 2005),il cui editoriale (Convergencedes métiers) nota come purnella loro affinità i tre me-stieri “conservino una partedella propria specificità” e sidomanda se l’estensionedelle responsabilità possaallontanare l’idea della spe-cificità. Anche sotto questoaspetto ritorna il motivo do-minante del conflitto tra duecondizioni, la cui soluzionesta nella ricerca di un equi-librio conveniente. Le pagi-ne 48-57 del fascicolo sonodedicate espressamente alledue giornate parigine, chehanno visto la presenza dioltre trecento persone, dovel’essenza del mestiere delbibliotecario si confermanella “costituzione di unaraccolta” e nella missionedel servizio al pubblico, conla conseguenza del rilievodato alla richiesta sociale.Ma l’affinità tra le professio-ni rende necessario agire as-sieme, tanto da ravvisarel’opportunità che le quattroassociazioni organizzatricidel convegno diano vita aun progetto comune. Sullegiornate alla Bibliothèquenationale de France ritornanell’introduzione al numerodi maggio 2005 di “Biblio-thèque(s)” (p. 65-68) MichelMelot, il quale nel confer-mare la distinzione recentedei mestieri ammette che “laricerca sul loro avvenirenon può che essere comu-ne”. L’evoluzione continuafa sì che “nulla sia più mu-tevole della definizione deinostri mestieri”, dove una“porosità” li avvicina fino a

farli confondere. Di frontealla richiesta del risultatoimmediato, all’ideologia del-la comunicazione breve, oc-corre considerare la “memo-ria lenta”, il materiale carta-ceo che continua a cresceree che non potrà mai esseredigitato. Sono concetti, co-me si vede, già espressi inprecedenza da Melot checonfermano la persuasionedi un mestiere evolutivo,come sempre è stato, con laconvinzione “che noi dob-biamo consolidare la tramache attraversa i nostri me-stieri differenti. Se perdiamola trama, perderemo la tela”.Diversità e convergenza an-che qui, aggiungo, domina-te dal fantasma onnipresen-te della necessità della co-operazione.

Nel prendere atto che la bi-blioteca fa parte dei servizi,ad esempio dell’università odella municipalità, Jean-LucGautier-Gentès nota l’inop-portunità di un linguaggioprofessionale in un ambien-te non professionale (Pro-fessionalisme et corporatisme,“Bulletin des bibliothèquesde France”, 2005, 1, p. 24-29).Si è poi osservato da piùparti come la specificità delmestiere tenda ad affievolir-si con la responsabilità ge-stionale, propria dei gradipiù elevati. Un trafiletto cheil “Library Journal” (Apr. 1,2004, p. 22) ha dedicato al-la morte di Daniel Boorstin,direttore della Library ofCongress dal 1975 al 1987,ricorda che l’Associazionedei bibliotecari americani siera opposta alla sua nominaperché non era biblioteca-rio. Boorstin era un noto au-tore di numerosi libri e pro-fessore di storia all’Universi-tà di Chicago. Si è giunti pe-raltro al caso di una carrieraal contrario, di un direttoreche ha preferito discenderela scala gerarchica: “per lo

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mentazione (L’ADBS lancece printemps une nouvelleenquête sur le métier, “Do-cumentariste”, avr. 2005, p.93) svolge dal 1964 inchie-ste nazionali sulle caratteri-stiche professionali; a seianni di distanza dall’ultimane ha intrapreso una analo-ga e a tale scopo ha messoin linea un questionario conrisposte anonime; si puòconsultare in proposito il si-to dell’Associazione (www.adbs.fr).

L’incertezza sulla professio-ne si riflette sul mondo dellavoro, o meglio ne è con-fermata. Rachel Holt e A-drienne L. Strock (The entry-level gap, “Library Journal”,May 1, 2005, p. 37-38) av-vertono molta preoccupa-zione per i posti in pericolo,eliminati o “deprofessiona-lizzati”. Molte offerte di la-voro sono a tempo parzialeo a livello paraprofessiona-le, mentre al contrario altrepretendono credenziali al-tissime. Si valuta che neiprossimi anni i 5.600 nuovibibliotecari americani avran-no a disposizione solo 4.100posti, sicché “la minacciaper la biblioteconomia èchiara: molte persone quali-ficate abbandoneranno laprofessione se la situazionenon migliora”. Nelle biblio-teche universitarie aumenta-no i tecnici al posto dei bi-bliotecari, mentre in quellepubbliche si sta cancellandoil confine tra i bibliotecari ei paraprofessionali. Si notanel complesso confusionesulle qualificazioni occor-renti. È anche colpa dei bi-bliotecari, secondo le paroleun po’ scherzose ma nonprive di un certo realismo,di Herbert S. White (Rumi-nations after retirement, “Li-brary Journal”, March 15,2006, p. 53), secondo il qua-le i bibliotecari, a differenzadelle altre attività – cita in

particolare gli idraulici e imeccanici – non fanno di-pendere gli utenti dalle pro-prie conoscenze, ma contattica suicida le sciorinano.Mentre altrove si rispondeai tagli finanziari riducendole prestazioni, i bibliotecaripromettono di lavorare piùduramente per mantenere ilmedesimo servizio. È un’o-pinione certo non accoltada chi, come Gautier-Gentèsnell’articolo sopra ricordato,ritiene necessario un lin-guaggio chiaro nei confron-ti delle altre professionalità

Il rapporto con attività diver-se nel campo dell’informa-zione e con la popolazioneha anche l’effetto di far co-noscere il lavoro del bibliote-cario e la sua stessa esisten-za. L’ignoranza a questo pro-posito è piuttosto diffusa,tanto che l’Ohio LibraryCouncil ha prodotto due vi-deo per il reclutamento deibibliotecari e per farne cono-scere le attività, troppo so-vente ignorate: “Come sipossono reclutare biblioteca-ri per le biblioteche medicheo per i servizi penitenziari sepochi conoscono l’esistenzadi questi lavori?” (Carol Ver-ny, Ohio goes recuiting forminority librarians, “Amer-ican Libraries”, Aug. 2002, p.52-55). Anche l’adesione deibibliotecari alle associazioniprofessionali non rispondesempre alle aspettative, co-me si afferma da più parti.Gilles Eboli confermava nel2003 la scarsità degli iscritti eancor più delle presenze alrecente congresso nazionale,facendo un raffronto con iventimila iscritti all’associa-zione bibliotecaria del RegnoUnito. Anche qui troviamo lasua frase di successo: “Noidobbiamo sedurre di più”(“Livres hebdo”, 519, 20.6.2003,p. 5). Da parte americana, se-condo Rachel Singer Gordon(Is association membership

worth it?, “Library Journal”,Apr. 15, 2004, p. 56) molti sidomandano se con le diffi-coltà finanziarie e con l’au-mento delle attività collatera-li valga ancora la pena diaderire ad associazioni pro-fessionali. Conviene renderleattrattive ai giovani, ammet-tere l’adesione limitata a divi-sioni separate, chiedere aigiovani che cosa desidera-no, “far ruotare i congressitra più città”, espandere laprofessionalità: “Le nostreassociazioni e la nostra pro-fessione sono come noi lefacciamo”.

Nel 2002 la rivista dell’Asso-ciazione dei bibliotecari a-mericani, “American Librar-ies”, si è interessata in piùoccasioni degli stipenditroppo modesti assegnati aibibliotecari. Il primo nume-

ro contiene più articoli sultema degli stipendi bassi, trai quali Abby Kalan (There isno honor in being under-paid, Jan. 2002, p. 52-54)nota come l’Associazionedei bibliotecari americani siinteressi al riconoscimentodelle biblioteche come isti-tuzioni, ma non ai bibliote-cari, i cui stipendi si avvici-nano ai limiti della povertà.Nel numero di dicembre pe-rò il presidente dell’ALA,Maurice J. Freedman, inter-viene sostenendo che “è ar-rivato il momento per sti-pendi migliori”. L’ignoranzadel lavoro dei bibliotecari èuno dei motivi per cui essisono sottopagati, secondoWill Manley, il quale con-clude un suo intervento so-stenendo con la battuta di-scutibile che lo sono sem-plicemente perché accetta-

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Un autografo di Tommaso d’Aquino In uno deiquattrocento codici medievali della Biblioteca dioce-sana e della cattedrale di Colonia sono state trovateannotazioni autografe di Tommaso d’Aquino, confer-mate dal confronto con autografi già conosciuti. Lanotizia era già stata data a un convegno tenuto nellastessa biblioteca nel novembre 2004, ma si è preferitosottoporre la scoperta a controlli e analisi successivi:ora “non c’è alcun dubbio sull’autenticità!” (“BuB”,2006, 9, p. 603).

In testa dappertutto Harry Potter è il primo non so-lo nelle vendite, ma anche nei prestiti. Dal luglio 2004all’aprile 2006 la Biblioteca pubblica di Houston ha re-gistrato 1.886 prestiti di Harry Potter and the half-blood prince, in testa per tutto quel periodo(“American Libraries”, Aug. 2006, p. 19).

Un ladro specializzato e pentito Un ladro di cartegeografiche rare, rubate in biblioteche americane estraniere, si è pentito e ha collaborato all’identificazio-ne di 97 di esse, delle quali 86 sono state ricuperate,6 sono ancora in mano dei nuovi proprietari e 5 ri-sultano mancanti. Il giudice ha lodato gli investigatoriper il loro lavoro ad ampio raggio, ma ha auspicatoun maggiore controllo da parte delle biblioteche. Il la-dro anche se pentito rischia comunque il carcere finoa dieci anni e una multa fino a 1,6 milioni di dollari(“Library Journal”, Aug. 2006, p. 17-18).

70 Biblioteche oggi – gennaio-febbraio 2007

no di lavorare per salaribassi (Six reasons why weare underpaid, Nov. 2002,p. 92). Nello stesso numero,Helen Lam (Salary hikes forAustralian librarians: can ithappen here?, p. 35) riportacon invidia la frase di un bi-bliotecario australiano: “Conl’aumento di stipendio del26%, quest’anno sarò effetti-vamente in grado di conce-dermi una vacanza”.

A questi inconvenienti si ag-giunge la difficoltà del ri-cambio professionale, inquanto alla diminuzione deinuovi arrivi corrisponde uninvecchiamento nell’età me-dia dei bibliotecari, i quali almomento della pensionenon potranno essere sosti-tuiti in maniera convenien-te, con la conseguente per-dita di esperienza. Nelle bi-blioteche pubbliche inglesientro dieci anni il 29% delpersonale andrà in pensio-ne (a Londra il 39%), sicchéper mantenere il servizio at-tuale entro il 2015 occorre-ranno almeno 10.800 nuoveassunzioni (11.000 recruitssought, “Update”, Oct. 2005,p. 6). Non molto diversa lasituazione delle bibliotecheaustraliane, dove oltre il70% dei bibliotecari ha piùdi quarant’anni ed è alto ilrischio di perdita di espe-rienza (diversamente daquanto avviene in campoindustriale), che dovrebbeessere acquisita dalla nuovagenerazione di bibliotecari(Natalie Blanchard, Provo-cative thoughts of a new gen-eration of libraries, “IFLAJournal”, 2003, 1, p. 15-17).Considerazioni analoghe e-sprime Laurence Santanto-nios (Qui a peur de Brest?,“Livres hebdo”, 525, 12.9.2003,p. 73-74) nel confermare lepreoccupazioni, manifestateanche a livello centrale, perla scarsità di richieste per ladirezione di biblioteche

pubbliche. I posti liberi so-no in aumento e lo sarannoancor più in vista dei pros-simi pensionamenti. Il lavo-ro del bibliotecario è com-plesso anche per gli “enor-mi compiti amministrativi”,mentre gli stipendi non so-no elevati, tanto che si è in-vertito il rapporto con le bi-blioteche universitarie, chehanno migliori retribuzionie vacanze più lunghe conmeno responsabilità. Notia-mo tra l’altro situazioni con-traddittorie, in quanto incondizioni particolari la dif-fusa difficoltà di trovare la-voro si trova contraddettadalla difficoltà di occupareposti vacanti.

Nonostante gli aspetti nega-tivi, la soddisfazione per ilproprio lavoro non manca.Un’ampia inchiesta tra oltre13.000 bibliotecari e altriprofessionisti dell’informa-zione ha considerato i rap-porti tra la personalità (allaquale è stato dato rilievoparticolare, tanto da coin-volgere gli amministratori inordine alla valutazione) e lasoddisfazione per il propriolavoro; sono risultati impor-tanti in particolare il con-trollo emotivo, lo spirito diiniziativa e l’ottimismo (Jea-nine M. Williamson, Anne E.Pemberton e John W. Loun-sbury, An investigation ofcareer and job satisfactionin relation to personalitytraits of information profes-sionals, “Library Quarterly”,Apr. 2005, p. 122-141). Unmiglioramento è dato anchedalla rotazione nelle attività,che serve ad ampliare laprofessionalità e facilita lamigliore comprensione dellavoro altrui, favorendo diconseguenza lo spirito dicooperazione. Può non es-sere bene accolta da chitenda ad accontentarsi diuna conoscenza circoscrittae di un’attività ripetitiva, ma

è altamente positiva. JanellPierce (Job rotation: beyondyour own branches, “LibraryJournal”, July 2001, p. 48-50) avverte che il distaccotemporaneo a un nuovo la-voro non è molto frequentenelle biblioteche, al contra-rio di quanto avviene per al-tre attività. Un ottimo risul-tato si è riscontrato da unesperimento nelle bibliote-che pubbliche di Phoenix.Richard M. Malinski consi-dera i pro e i contro di unmetodo che non definireb-be semplicemente come ro-tazione, ma come un pro-cesso complessivo che com-porta “benefici addizionali”oltre che soddisfazione per-sonale (Job rotation in anacademic library: damnedif you do and damned ifyou don’t!, “Library Trends”,Spring 2002, p. 673-680). Larotazione però diviene im-possibile dove il biblioteca-rio è solo. Il suo isolamento,lo consola Humeyra Ceylan,può essere attenuato dalrapporto in rete con altri bi-bliotecari, che può risultareutile anche per il contattocon gli utenti (Learning inspite of being solo, “Update”,Jan./Feb. 2006, p. 33). Masu questo tema il riferimen-to d’obbligo va al manualedi Nerio Agostini (Gestireuna piccola biblioteca. Ma-nuale della One Person Li-brary, Milano, Editrice Bi-bliografica, 2005).

Quanto è conosciuta la pro-fessione del bibliotecario?Da uno studio dei necrologidi bibliotecari pubblicati sul“New York Times” dal 1977al 2002 risultano dati chenon corrispondono alla si-tuazione reale, come la pre-senza del 63,4% di uominiin una professione a preva-lenza femminile, o il predo-minio degli universitari chein realtà sono numerica-mente molto inferiori ai bi-

bliotecari delle bibliotechepubbliche e scolastiche. Dainecrologi si ricava un’enfasisu una glamorous profes-sion, ben lontana dall’opi-nione corrente, mentre l’ac-cento dato ai risultati dellacarriera oscura il senso del-l’attività quotidiana (JurisDilevko e Lisa Gottlieb, Theportrayal of librarians inobituaries at the end of theTwentieth century, “LibraryQuarterly”, Apr. 2004, p. 152-180). Raramente comunquela notorietà del bibliotecariosupera i confini della suaprofessione, mentre i rico-noscimenti per le sue pre-stazioni hanno un valore li-mitato al presente. Così labreve premessa di FriedhildeKrause e Wolfgang Schmitzagli atti del convegno in ri-cordo di Paul Schwenke(1853-1921), che fu direttoredella Biblioteca reale di Ber-lino (Paul Schwenke, Biblio-thekar und Buchwissens-chaftler. Beiträge des Sympo-siums in der Herzog AugustBibliothek am 29. und 30.November 2004, “Bibliothekund Wissenschaft”, 2005). Eper concludere riprendiamoLa sagesse du bibliothécairedi Michel Melot, che confer-ma la “saggezza funzionale”del bibliotecario, il quale“non parla per sé stesso maper la comunità che serve”in qualità di “agente anoni-mo”: “Gli uomini famosi chefurono bibliotecari non so-no diventati famosi perchéerano stati bibliotecari e, re-ciprocamente, i grandi bi-bliotecari non sono mai di-ventati famosi”.

Osservatorio internazionale

– Ancora sulla censura– Copyright e depositolegale– Bibliografie nazionali

Nei prossimi numeri,tra l’altro: