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Operatori in Spazi di Hilbert e Struttura Matematica della Meccanica Quantistica: un’Introduzione Valter Moretti Dipartimento di Matematica Facolt`a di Scienze M.F.N Universit` a di Trento 1

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Operatori in Spazi di Hilbert e Struttura Matematica

della Meccanica Quantistica: un’Introduzione

Valter Moretti

Dipartimento di MatematicaFacolta di Scienze M.F.N

Universita di Trento

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Prefazione.

Una parte di questo libro e stata in realta scritta, in forma preiminare, quando ero studente delcorso di laurea in Fisica all’Universita degli Studi di Genova. Il corso obbligatorio di Istituzionidi Fisica Teorica, al terzo anno, era il secondo scoglio insormontabile per molti studenti (il primoera il famigerato corso di Fisica II che includeva la termodinamica insieme all’elettrodinamicaclassica).La Meccanica Quantistica necessita un modo di pensare nuovo e difficile e lo sforzo era davveronotevole per noi volenterosi studenti: ci si muoveva per molti mesi in un contesto nebbiosoed insicuro, senza capire cosa fosse davvero importante nelle nozioni fisiche che cercavamo diimparare – con molta difficolta – insieme ad un formalismo del tutto nuovo: quello della teo-ria spettrale degli operatori lineari su spazi di Hilbert. In realta all’epoca non comprendevamoancora che stavamo lavorando con tale teoria matematica, e per molti dei miei colleghi la cosaera, forse a ragione, del tutto irrilevante; i vettori bra di Dirac erano vettori bra di Dirac e bastae non gli elementi del duale dello spazio di Hilbert. La nozione di spazio di Hilbert e di spa-zio duale non aveva ancora diritto di cittadinanza nella classe degli strumenti matematici dellaquasi totalita dei miei colleghi, anche se sarebbe entrata a breve dal corso di Metodi Matematicidella Fisica. La matematica, la formalizzazione matematica della fisica, era sempre stato il miocavallo di battaglia per superare tutte le difficolta insite nello studio della fisica, tanto che allafine (ma dopo avere preso anche un dottorato in fisica teorica) sono istituzionalmente diventatoun matematico. Armato delle mie nozioni di matematica, imparate in un percorso extracurri-culare che coltivavo parallelamente agli studi di fisica da sempre, cercai di formalizzare anchele interessanti nozioni nelle quale mi stavo imbattendo, con questo nuovo ed interessantissimocorso di fisica. In parallelo portavo avanti una analogo progetto riguardante la formalizzazionematematica della teoria della Relativita Generale, non sapendo ancora che lo sforzo dedicatoalla Meccanica Quantistica sarebbe stato incommensurabilmente superiore.La formulazione del teorema spettrale piu o meno come e presentata nel capitolo 9 di questolibro e la stessa con la quale arrivai a sostenere l’esame del corso di Istituzioni di Fisica Teoricache fu, di conseguenza, un po’ un discorso tra sordi.Successivamente i miei interessi si spostarono verso la teoria quantisica dei campi, argomento dicui, dal punto di vista matematico, mi occupo ancora oggi nel contesto un po’ piu generale dellateoria quantistica dei campi su spaziotempo curvo. Tuttavia il mio interesse per la formulazioneelementare della MQ non e andato scemando negli anni e, di tanto in tanto, ho continuato adaggiungere qualche altro capitolo all’opera iniziata da studente. L’occasione di insegnare queste

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cose in vari corsi per matematici e per fisici, nelle lauree specialistiche e nei dottorati, infliggendoai miei poveri studenti i risultati dei miei sforzi di sintesi, si e rivelata fondamentale per per mi-gliorare l’opera, trascrivendo il testo in LaTeX, ma anche corregendola in vari punti accogliendole numerose osservazioni che mi sono giunte da varie persone. Vorrei a tal proposito ringraziarevari studenti e colleghi, che hanno contribuito a migliorare le diverse versioni preliminari diquesto trattato: P. Armani, G. Bramanti, M. Dalla Brida, L. Di Persio, C. Fontanari, A. Fran-ceschetti, A. Giacomini, V. Marini, G. Tessaro, A. Pugliese, G. Ziglio. Ringrazio in particolareR. Aramini e D. Cadamuro che mi hanno segnalato errori di vario genere. Sono grato ai mieiamici e collaboratori R. Brunetti e N. Pinamonti per varie discussioni su molti degli argomentitrattati e per avermi segnalato importanti riferimenti bibliografici.Saro grato a chiunque voglia scrivermi per segnalarmi le (sicuramente numerose) imprecisioni,mancanze e gli errori che quest’opera possiede ancora. A parte le evidenti limitazioni nel con-tenuto: non sono trattati gli aspetti matematici di importantissimi argomenti di fisica, primofra tutti la teoria della diffusione quantistica. Inoltre – per ironia della sorte, dato che la miaattivita di ricerca concerne le teorie relativistiche – tutta la trattazione si sviluppa ad un li-vello non realtivistico e la trattazione quantistica della simmetria di Poincare rimane del tuttotrascurata. D’altra parte alcuni argomenti chiave per la fisica, quali la nozione di simmetria(anche in relazione al problema della dinamica) oppure le proprieta delle funzioni di operatoriautoaggiunti, sono affrontati con una certa profondita ed ampiezza.

Ottobre 2009 Valter MorettiDipartimento di Matematica

Facolta di Scienze MFNUniversita di Trento

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Indice

1 Introduzione 91.1 Scopi, struttura del libro e prerequisiti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91.2 La MQ come teoria matematica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111.3 La MQ nel panorama della Fisica attuale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131.4 Convenzioni generali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

I Elementi di teoria degli operatori su spazi di Hilbert 16

2 Alcune nozioni e teoremi generali nella teoria degli spazi normati e di Banach. 172.1 Spazi normati, di Banach e algebre. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182.2 Operatori, spazi di operatori, norme di operatori. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 232.3 I teoremi fondamentali negli spazi di Banach e le topologie deboli. . . . . . . . . 30

2.3.1 Il teorema di Hahn-Banach e le sue conseguenze elementari. . . . . . . . . 302.3.2 Il teorema di Banach-Steinhaus e topologie operatoriali. . . . . . . . . . . 342.3.3 Il teorema dell’applicazione aperta e dell’operatore inverso continuo dal

Teorema di Baire. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 392.4 Proiettori. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 432.5 Norme equivalenti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45

3 Spazi di Hilbert ed operatori limitati. 483.1 Nozioni elementari, teorema di Riesz e riflessivita. . . . . . . . . . . . . . . . . . 493.2 Basi hilbertiane. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 573.3 Nozione di aggiunto e applicazioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69

3.3.1 L’operazione di coniugazione hermitiana o aggiunzione. . . . . . . . . . . 693.3.2 ∗-algebre e C∗-algebre. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 723.3.3 Operatori normali, autoaggiunti, isometrici, unitari, operatori positivi. . . 74

3.4 Proiettori ortogonali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 783.5 Radici quadrate di operatori positivi e decomposizione polare di operatori limitati. 813.6 La trasformata di Fourier-Plancherel. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89

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4 Proprieta elementari degli operatori compatti, di Hilbert-Schmidt e di classetraccia. 1014.1 Generalita sugli operatori compatti in spazi normati, di Banach e Hilbert. . . . . 1024.2 Operatori compatti in spazi di Hilbert. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1044.3 Operatori di Hilbert-Schmidt. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1164.4 Operatori di classe traccia (o nucleari). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126

5 Operatori non limitati con domini densi in spazi di Hilbert. 1345.1 Operatori non limitati con dominio non massimale. . . . . . . . . . . . . . . . . . 135

5.1.1 Operatori non limitati con dominio non massimale in spazi normati e diHilbert. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135

5.1.2 La definizione generale di operatore aggiunto in spazi di Hilbert. . . . . . 1375.2 Operatori hermitiani, simmetrici, autoaggiunti ed essenzialmente autoaggiunti. . 1395.3 Alcune importanti applicazioni: operatore posizione e operatore impulso. . . . . . 144

5.3.1 L’operatore posizione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1445.3.2 L’operatore impulso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 146

5.4 Criteri di esistenza ed unicita per le estensioni autoaggiunte. . . . . . . . . . . . . 1515.4.1 La trasformata di Cayley e gli indici di difetto. . . . . . . . . . . . . . . . 1515.4.2 Criteri di Von Neumann e di Nelson. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155

II Il formalismo della Meccanica Quantistica e la Teoria Spettrale 164

6 Brevi cenni di fenomenologia dei sistemi quantistici e di Meccanica Ondula-toria. 1656.1 Generalita sui sistemi quantistici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1656.2 Alcune proprieta particellari delle onde elettromagnetiche. . . . . . . . . . . . . . 167

6.2.1 Effetto Fotoelettrico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1676.2.2 Effetto Compton. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168

6.3 Cenni di Meccanica ondulatoria. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1706.3.1 Onde di de Broglie. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1706.3.2 Funzione d’onda di Schrodinger e interpretazione probabilistica di Born. . 171

6.4 Principio di indeterminazione di Heisenberg. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1736.5 Le grandezze compatibili ed incompatibili. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175

7 Il formalismo matematico di base della MQ: proposizioni, stati quantistici eosservabili. 1777.1 Le idee che stanno alla base dell’interpretazione standard della fenomenologia

quantistica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1787.2 Stati classici come misure di probabilita sulla σ-algebra delle proposizioni elemen-

tari. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1807.2.1 Stati come misure. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180

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7.2.2 Proposizioni e insiemi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1817.2.3 Interpretazione insiemistica dei connettivi logici. . . . . . . . . . . . . . . 1827.2.4 Proposizioni “infinite” e grandezze fisiche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1837.2.5 Il reticolo distributivo, limitato, ortocomplementato e σ-completo delle

proposizioni elementari. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1857.3 Le proposizioni relative a sistemi quantistici come insiemi di proiettori ortogonali. 188

7.3.1 Reticoli di proiettori ortogonali su spazi di Hilbert. . . . . . . . . . . . . . 1897.4 Le proposizioni e gli stati relativi a sistemi quantistici. . . . . . . . . . . . . . . . 197

7.4.1 Proposizioni e stati di sistemi quantistici: il teorema di Gleason. . . . . . 1987.4.2 Stati puri, stati misti, ampiezze di transizione. . . . . . . . . . . . . . . . 2057.4.3 Stati successivi ai processi di misura e preparazione degli stati. . . . . . . 2117.4.4 Regole di superselezione e settori coerenti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 213

7.5 Le osservabili come Misure a Valori di Proiezione (PVM) su R. . . . . . . . . . . 2157.5.1 La nozione di osservabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2157.5.2 Operatori autoaggiunti associati ad osservabili: esempi elementari. . . . . 2187.5.3 Misure di probabilita associate a coppie stato - osservabile. . . . . . . . . 2227.5.4 Un accenno alle osservabili generalizzate in termini di “POVM”. . . . . . 225

8 Teoria Spettrale su spazi di Hilbert I: generalita ed operatori normali limitati.2278.1 Spettro, risolvente, operatore risolvente. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 228

8.1.1 Nozioni fondamentali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2288.1.2 Il raggio spettrale e la formula di Gelfand. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2328.1.3 Spettri di operatori autoaggiunti, unitari e normali in spazi di Hilbert. . . 235

8.2 ∗-omomorfismi continui di C∗-algebre di funzioni indotti da operatori limitatiautoaggiunti in spazi di Hilbert. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 238

8.3 Misure a valori di proiezione e teorema spettrale per operatori limitati normali. . 2478.3.1 Misure a valori di proiezione (PVM) dette anche misure spettrali. . . . . . 2478.3.2 Proprieta degli operatori ottenuti integrando funzioni limitate rispetto a

PVM. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2568.3.3 Teorema di decomposizione spettrale per operatori limitati normali. . . . 262

9 Teoria Spettrale su spazi di Hilbert II: operatori autoaggiunti non limitati edapplicazioni. 2809.1 Teorema spettrale per operatori autoaggiunti non limitati. . . . . . . . . . . . . . 281

9.1.1 Integrazione di funzioni non limitate rispetto a misure spettrali. . . . . . 2819.1.2 Teorema di decomposizione spettrale per operatori autoaggiunti non limitati.2939.1.3 Un esempio a spettro puntuale: l’hamiltoniano dell’oscillatore armonico . 3029.1.4 Un esempio a spettro continuo: gli operatori posizione ed impulso. . . . . 3069.1.5 Teorema di rappresentazione spettrale per operatori autoaggiunti non li-

mitati. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3079.2 Gruppi unitari ad un parametro fortemente continui. . . . . . . . . . . . . . . . . 308

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9.2.1 Gruppi unitari ad un parametro fortemente continui, teorema di vonNeumann. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 308

9.2.2 Gruppi unitari ad un parametro generati da operatori autoaggiunti eTeorema di Stone. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 312

9.2.3 Condizioni per la commutativita di misure spettrali. . . . . . . . . . . . . 3199.3 Prodotto tensoriale hilbertiano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 323

9.3.1 Prodotto tensoriale di spazi di Hilbert. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3239.3.2 Prodotto tensoriale di operatori (generalmente non limitati) e loro pro-

prieta spettrali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3289.3.3 Un esempio: il momento angolare orbitale. . . . . . . . . . . . . . . . . . 331

9.4 Esponenziale di operatori non limitati: vettori analitici. . . . . . . . . . . . . . . 3359.5 Teorema di decomposizione polare per operatori non limitati. . . . . . . . . . . . 339

9.5.1 Proprieta degli operatori A∗A, radici quadrate di operatori autoaggiuntipositivi non limitati. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 339

9.5.2 Teorema di decomposizione polare per operatori chiusi e densamente definiti.3449.6 I teoremi di Kato-Rellich e di Kato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 346

9.6.1 Il teorema di Kato-Rellich. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3469.6.2 Un esempio: l’operatore −∆ + V ed il teorema di Kato. . . . . . . . . . . 348

10 La formulazione matematica della Meccanica Quantistica non relativistica. 35510.1 Sistemi elementari non relativistici: particella a spin 0. . . . . . . . . . . . . . . . 359

10.1.1 le Relazioni di Commutazione Canonica (CCR) e non implementabilita conoperatori limitati. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 361

10.1.2 Il Principio di Indeterminazione di Heisenberg come teorema. . . . . . . . 36310.2 Le relazioni di Weyl, il teorema di Stone-von Neumann ed il teorema di Mackey. 364

10.2.1 Famiglie irriducibili di operatori e lemma di Schur. . . . . . . . . . . . . . 36410.2.2 Le relazioni di Weyl dalle CCR. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36610.2.3 Il teorema di Stone-von Neumann ed il teorema di Mackey. . . . . . . . . 37510.2.4 La ∗-algebra di Weyl. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37710.2.5 Dimostrazione dei teoremi di Stone-von Neumann e di Mackey. . . . . . . 38110.2.6 Commenti finali sul teorema di Stone-von Neumann: il gruppo di Heisenberg.387

10.3 Il principio di corrispondenza di Dirac. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 390

11 Introduzione alle Simmetrie Quantistiche. 39311.1 Nozione e caratterizzazione di simmetrie quantistiche. . . . . . . . . . . . . . . . 393

11.1.1 Qualche esempio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39511.1.2 Simmetrie in presenza di regole di superselezione. . . . . . . . . . . . . . . 39611.1.3 Simmetrie nel senso di Kadison. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39711.1.4 Simmetrie nel senso di Wigner. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40011.1.5 Teoremi di Wigner, di Kadison. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40211.1.6 Azione duale delle simmetrie sulle osservabili. . . . . . . . . . . . . . . . . 414

11.2 Introduzione ai gruppi di simmetria. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 421

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11.2.1 Rappresentazioni proiettive, unitarie proiettive, estensioni centrali. . . . . 42111.2.2 Gruppi di simmetria topologici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43011.2.3 Rappresentazioni unitarie proiettive fortemente continue. . . . . . . . . . 43311.2.4 Il caso notevole del gruppo topologico R. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43611.2.5 Richiami sui gruppi ed algebre di Lie. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44311.2.6 Gruppi di simmetria di Lie, teoremi di Bargmann, Garding, Nelson, FS3. 45311.2.7 Un esempio: il gruppo di simmetria SO(3) e lo spin . . . . . . . . . . . . 46411.2.8 Il gruppo di Galileo e la regola di Bargmann di superselezione della massa 468

12 Alcuni argomenti piu avanzati di Meccanica Quantistica. 47912.1 L’assioma di evoluzione temporale e le simmetrie dinamiche. . . . . . . . . . . . . 480

12.1.1 L’equazione di Schrodinger e gli stati stazionari. . . . . . . . . . . . . . . 48612.1.2 L’azione del gruppo di Galileo in rappresentazione posizione. . . . . . . . 49312.1.3 L’evolutore temporale in assenza di omogeneita temporale e la serie di

Dyson. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49612.1.4 Inversione del tempo antiunitaria. Teorema di Pauli. . . . . . . . . . . . . 500

12.2 Relazione tra simmetrie dinamiche e costanti del moto. . . . . . . . . . . . . . . . 50312.2.1 La rappresentazione di Heinsenberg e le costanti del moto. . . . . . . . . . 50312.2.2 Un accenno al teorema di Ehrenfest ed ai problemi matematici ad esso

connessi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50812.2.3 Costanti del moto associate a gruppi di Lie di simmetria ed il caso del

gruppo di Galileo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51112.3 Sistemi composti: sistemi con struttura interna e sistemi a piu particelle. . . . . 516

12.3.1 Stati entangled ed il cosiddetto “paradosso EPR”. . . . . . . . . . . . . . 51712.3.2 Impossibilita di trasmettere informazione tramite le correlazioni EPR. . . 52112.3.3 Sistemi di particelle identiche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 523

A Relazioni d’ordine, topologia, gruppi. 528A.1 Relazioni d’ordine, insiemi parzialmente ordinati, lemma di Zorn. . . . . . . . . . 528A.2 Richiami di topologia generale elementare. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 529A.3 Richiami di teoria dei gruppi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 532

B Elementi di geometria differenziale. 536B.1 Varieta differenziabili, varieta differenziabili prodotto, funzioni differenziabili. . . 536B.2 Spazio tangente e cotangente. Campi vettoriali covarianti e controvarianti. . . . . 541B.3 Differenziali, curve e vettori tangenti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 544B.4 Pushforward e pullback. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 545

C Teoria della misura, integrale di funzioni a valori spazi di Banach. 546C.1 Richiami di teoria della misura. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 546C.2 Derivazione sotto il segno di integrale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 552C.3 Integrale di funzioni a valori spazi di Banach. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 553

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Capitolo 1

Introduzione

1.1 Scopi, struttura del libro e prerequisiti.

Uno degli scopi principali di questo libro e quello di esporre i fondamenti matematici della Mec-canica Quantistica (MQ) in modo matematicamente rigoroso. Tuttavia si tratta di un testo di(Fisica-)Matematica e non di un manuale di Meccanica Quantistica. Escludendo alcune partidel libro, la fenomenologia fisica sara lasciata sullo sfondo per concentrarci sugli aspetti logico-formali della teoria. In ogni caso daremo delle esemplificazioni fisiche del formalismo per nonperdere il contatto con la realta dei fisici. Il libro puo anche essere considerato come un testointroduttivo di analisi funzionale lineare sugli spazi di Hilbert con particolare enfasi su alcunirisultati di teoria spettrale, – come le varie formulazioni del teorema spettrale per operatorinormali limitati ed autoaggiunti non necessariamente limitati – indipendentemente dalla for-mulazione matematica della Meccanica Quantistica. Questo e – di fatto – il secondo scopo dellibro. La formalizzazione matematica della MQ e “confinata” nei capitoli 6, 7, 10, 11 e 12 da cuii rimanenti capitoli sono logicamente indipendenti, anche se motivazioni per talune definizionimatematiche si possono trovare nei capitoli 7, 10, 11 e 12. Il terzo scopo del libro e quello diraccogliere in un unico testo diversi utili risultati rigorosi, ma piu avanzati di quanto si trovanei manuali di fisica quantistica, sulla struttura matematica della Meccanica Quantistica. Talirisultati sono noti da molto tempo, ma sparsi nella letteratura avanzata. Possiamo menzionareil teorema di Gleason, i teoremi di Stone-von Neumann e di Mackey, il teorema di Kadison, oltreche il piu noto teorema di Wigner; oppure argomenti di teoria degli operatori, come il teoremadi decomposizione polare per operatorori chiusi non limitati (che ha grande rilevanza nella teoriadi Tomita-Takesaki e in meccanica quantistica statistica, in riferimento alla condizione KMS),oppure alcuni risultati, dovuti a Nelson, sulle proprieta di autoaggiunzione di operatori simme-trici come conseguenza all’esistenza di insiemi densi di vettori analitici ed anche, infine, alcunirisultati dovuti a Kato (ma non solo) sull’essenziale autoaggiunzione di certi tipi di operatorie sui loro limiti dal basso dello spettro (risultati in massima parte basati sul teorema di Kato-Rellich).Il contenuto del libro puo coprire una buona parte di un corso avanzato di Metodi Matematici

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della Fisica, in un corso di laurea specialistico/magistrale in Fisica, assumendo che lo studentesia gia familiare con le tecniche elementari della teoria della misura. Alternativamente, il testopuo anche essere adoperato in un corso di Fisica Matematica avanzato, che tratti argomenti diMeccanica Quantistica.Se si guarda il testo con l’occhio del fisico piu che con quello del matematico, ci si accorge cheil libro e diviso in due parti. Nella prima parte, che termina con il capitolo 5 incluso, ci sioccupa di enunciare la teoria generale degli operatori in spazi di Hilbert (dando anche alcunenozioni valide per contesti piu generali quali gli spazi di Banach e provando risultati generalifondamentali, quali il teorema di Baire, di Hahn-Banach e Banach-Steinhaus e le loro conse-guenze elementari). Nella seconda parte viene inizialmente (nel capitolo 9) sviluppata la teoriaspettrale in termini di misure a valori di proiezione, fino ad enunciare e provare i teoremi didecomposizione spettrale per operatori autoaggiunti non limitati in spazi di Hilbert, includendole proprieta delle funzioni di operatori (calcolo funzionale) per funzioni misurabili e non neces-sariamente limitate, studiandone con cura la proprieta spettrali generali e le proprieta dei lorodomini. Con tali strumenti viene quindi sviluppato tutto il formalismo matematico fondazionaledella Meccanica Quantistica.Nei capitoli relativi alla formulazione matematica generale della Meccanica Quantistica, dopouna discussione ed una motivazione di carattere fisico, si assume come punto di partenza ma-tematico il fatto che che le proposizioni sui sistemi fisici quantistici siano descritte dal reticolodei proiettori ortogonali su uno spazio di Hilbert complesso. Insiemi massimali di proposizionifisicamente compatibili (in senso quantistico) sono descritte da reticoli distributivi ortocomple-mentati limitati e σ-completi. In questa ottica, la definizione quantistica di osservabile in terminidi operatore autoaggiunto risulta essere estremamente naturale come, d’altra parte, la formu-lazione del teorema di decomposizione spettrale. Gli stati quantistici vengono introdotti comemisure sull’insieme di tali proiettori. Tramite il teorema di Gleason, si caratterizzano gli staticome operatori positivi di classe traccia con traccia unitaria. Gli stati puri (i raggi dello spaziodi Hilbert del sistema fisico) si ottengono come elementi estremali del corpo convesso degli stati.In questo contesto, e tra diversi altri argomenti, si discute la nozione di simmetria quantistica edi gruppo di simmetria in modo approfondito (riferendosi sia alla nozione dovuta a Wigner, maanche a quella dovuta a Kadison), includendo lo studio delle le simmetrie dinamiche e la versionequantistica del teorema di Nother. Come gruppo di simmetria di riferimento, che useremo nellevarie esemplificazioni della teoria delle rappresentazioni unitarie proiettive, ci riferiremo al grup-po di Galileo ed alle sue estensioni centrali ed ai sottogruppi di tale gruppo. Daremo anche unadimostrazione del teorema di Bargmann sull’esistenza di rappresentazioni unitarie per gruppidi Lie semplicemente connessi la cui algebra di Lie soddisfa una certa condizione coomologica.Discuteremo la regola di superselezione della massa dovuta a Bargamnn. Discuteremo anchealcuni utili risultati sulle rappresentazioni unitarie proiettive di gruppi di Lie di simmetrie do-vuti a Garding e Nelson. Tratteremo anche alcuni argomenti importanti, ma presentati in modopoco approfondito sui manuali, come le formulazioni relative all’unicita delle rappresentazioniunitarie delle relazioni di commutazione canonica (teoremi di Stone-von Neumann e Mackey)oppure la difficolta teorica nel definire operatore tempo come operatore coniugato all’operatoreenergia (l’hamiltoniano). Discuteremo brevemente le difficolta matematiche che si incontrano

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nel voler rtendere rigoroso l’enunciato del teorema di Ehrenfest.Le appendici, in fondo al libro, richiamano le nozioni elementari di topologia generale, geometriadifferenziale (utile nel capitolo 11) e teoria della misura.La scelta dell’autore e stata di non trattare alcuni argomenti, sia pure importanti, come lateoria degli spazi di Hilbert attrezzati (le famose triplette di Gelfand) perche avrebbe richistol’introduzione di ulteriore materiale, specialmente riguardante la teoria delle distribuzioni.Prerequisiti matematici necessari per comprendere il contenuto di questo libro sono essenzial-mente, oltre ai contenuti di un normale corso completo di algebra lineare, che includa elementidi teoria dei gruppi e delle loro rappresentazioni, uno di analisi per funzioni di una e di piu varia-bili, qualche nozione di topologia elementare degli spazi metrici, i fondamenti della teoria dellamisura su σ-algebre [Rud82] (riassunti in appendice a fine libro), qualche nozione elementare diteoria delle funzioni analitiche di una variabile complessa.Dal punto di vista fisico e necessaria la conoscenza di alcuni argomenti dei corsi universitarielementari di argomento Fisico. Piu precisamente le nozioni di Meccanica elementare con al-cuni elementi di Meccanica Analitica (i primi rudimenti della formulazione di Hamilton delladinamica) unitamente ad alcune nozioni di Elettromagnetismo (proprieta elementari delle OndeElettromagnetiche e fenomeni ondulatori principali quali interferenza, diffrazione, diffusione).Le nozioni meno elementari ed altre nozioni utili solo in alcuni punti verranno comunque rias-sunte brevemente nel testo (anche negli esempi), presentando i risultati sufficienti per proseguirenella lettura. In una sezione del capitolo 11 si fara uso della nozione di gruppo di Lie e di alcuneproprieta e risultati fondamentali della teoria corrispondente. Per tali argomenti ci riferiamo aitesti [War75, NaSt84]. Come gia detto, in appendice a fine libro, sono richiamati con un certodettaglio alcuni risultati di geometria differenziale utili in tale contesto.

Nota importante. Gli esempi presentati nei vari capitoli devono considerarsi come parteintegrante del testo e non possono essere omessi quasi mai. Alcuni risultati, ottenuti negliesercizi proposti, verranno successivamente usati nel testo come proposizioni note. Gli eserciziin questione saranno comunque corredati di suggerimenti, traccia di soluzione o, addirittura,soluzione completa.

1.2 La MQ come teoria matematica.

Dal punto di vista matematico la Meccanica Quantistica rappresenta una rara sintesi di eleganzamatematica e profondita descrittiva del contesto fisico. La teoria usa essenzialmente tecniche dianalisi funzionale lineare, ma con diverse intersezioni con la teoria della misura, la teoria dellaprobabilita e la logica matematica.Esistono (almeno) due possibili formulazioni matematiche della Meccanica Quantistica elemen-tare. La piu antica in ordine storico, dovuta essenzialmente a von Neumann (1932), e formulatausando il linguaggio della teoria degli spazi di Hilbert e della teoria spettrale degli operatorinon limitati su tali spazi. La formulazione piu recente ed avanzata, sviluppata dalla scuoladel matematico Gel’fand nel tentativo di risolvere alcuni problemi fisico-matematici della teoria

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quantistica dei campi, e presentata nel linguaggio delle algebre astratte (∗-algebre e C∗-algebre)costruite sul modello delle algebre di operatori definite e studiate dallo stesso von Neumann (ogginote come W ∗algebre o algebre di von Neumann), ma emancipandosi dalla struttura di spaziodi Hilbert (vedi per es. il testo classico sulle algebre di operatori [BrRo02]). Tale formulazioneha il suo centro nel famoso teorema GNS [Haa96, BrRo02]. La seconda formulazione, in unsenso molto specifico che non possiamo chiarire qui, puo considerarsi un’estensione della primaformulazione anche per i nuovi contenuti fisici introdotti. In particolare essa permette di dareun senso matematicamente preciso alla richiesta di localita delle teorie di campo quantisticherelativistiche [Haa96] e permette l’estensione delle teorie quantistiche di campo in spaziotempocurvo.In questo libro ci occuperemo unicamente della prima formulazione che ha comunque una com-plessita matematica notevole accompagnata da una notevole eleganza formale.Uno strumento matematico fondamentale per sviluppare la MQ e il cosiddetto teorema spettraleper operatori autoaggiunti (generalmente non limitati) definiti in varieta lineari dense in unospazio di Hilbert. Tale teorema, che puo essere esteso al caso di operatori normali, fu dimo-strato per la prima volta proprio da von Neumann nel suo libro fondamentale sulla strutturamatematica della MQ [Neu32] che puo considerarsi una pietra miliare della fisica matematicaoltre che della matematica pura del XX secolo1. Il legame tra MQ e teoria spettrale e dovuto alseguente fatto. Nell’interpretazione standard della MQ si vede in modo naturale che le grandezzefisiche misurabili su sistemi quantistici possono essere associate ad operatori autoaggiunti nonlimitati in un opportuno spazio di Hilbert. Lo spettro di ciascuno di questi operatori coincidecon l’insieme dei valori assumibili dalla grandezza associata. La procedura di costruzione del-le grandezze fisiche a partire dalle proprieta o proposizioni elementari del tipo “il valore dellagrandezza cade nell’intervallo (a, b]”, che nello schema matematico adottato corrispondono aproiettori ortogonali, non e altro che una procedura di integrazione su una appropriata misuraspettrale a valori di proiezione. Tale procedura ricorda molto da vicino il metodo per definirel’integrale di Lebesgue di una funzione misurabile. Il teorema spettrale in sostanza altro none che un metodo che permette di costruire operatori piu complessi partendo da proiettori o,viceversa, di decomporre operatori in termini di misure a valori di proiezione.La formulazione moderna della teoria spettrale e sicuramente differente da quella originale divon Neumann che pero conteneva quasi tutti gli elementi fondamentali. Ancora oggi il testo divon Neumann (che e stato scritto nel lontano 1932) rivela una profondita impressionante specienei problemi piu difficili dell’interpretazione fisica del formalismo della MQ di cui, leggendo illibro, si evince che von Neumann era chiaramente conscio a differenza di molti dei suoi colleghi.Sarebbe interessante fare un paragone tra il testo di von Neumann e il, molto piu famoso, testodi Dirac [Dir30] sui fondamenti della MQ, cosa che lasciamo al lettore interessato. In ogni casola profondita dell’impostazione data da von Neumann alla MQ comincia anche ad essere ricono-sciuta da chi si occupa di fisica sperimentale ed in particolare di misure quantistiche [BrKh95].Le cosiddette Logiche Quantistiche nascono dal tentativo di formulare la MQ partendo dal

1La definizione del concetto di spazio di Hilbert infinito dimensionale e gran parte della teoria generale deglispazi di Hilbert cosı come la conosciamo oggi sono anch’essi dovuti a von Neumann e alla sua formulazione dellaMQ.

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punto di vista piu radicale possibile, attribuendo alla stessa logica usata nel trattare i sistemiquantistici, alcune proprieta differenti da quelle della logica classica e modificando la teoria del-l’interpretazione. Per esempio, sono usati piu di due valori di verita e il reticolo booleano delleproposizioni e rimpiazzato da una struttura non distributiva piu complessa. Nella prima formu-lazione della logica quantistica, oggi denominata Logica Quantistica Standard, proposta da VonNeumann e Birkhoff nel 1936, la struttura dell’algebra booleana delle proposizioni era rimpiaz-zata con quella di un reticolo ortomodulare che di fatto ha come modello l’insieme dei proiettoriortogonali su uno spazio di Hilbert ovvero, l’insieme dei sottospazi chiusi su cui proiettano iproiettori [Bon97], unitamente ad alcune regole di composizione. E noto che, a dispetto dellasua eleganza, tale modellizzazione contiene diversi difetti quando si cerca di tradurla in terminioperativi fisici (o piu precisamente operazionali). Accanto alle diverse formulazioni delle Logi-che Quantistiche [Bon97, DCGi02, EGL09], esistono oggi formulazioni fondazionali alternativebasate su altri punti di vista (come la teoria dei topos).

1.3 La MQ nel panorama della Fisica attuale.

La Meccanica Quantistica – genericamente parlando la teoria della fisica del mondo atomico esub atomico – insieme alla Teoria della Relativita Speciale e Generale (RSG) – genericamenteparlando la teoria fisica della gravita, del mondo macroscopico e della cosmologia – costituisconoi due paradigmi attraverso i quali si e sviluppata la fisica del XX secolo e quella dell’inizio delsecolo attuale. I due paradigmi si sono fusi in vari contesti dando luogo a teorie quantisticherelativistiche, in particolare alla Teoria Quantistica Relativistica dei Campi [StWi00, Wei99],che ha avuto uno sviluppo impressionante con straordinari successi esplicativi e predittivi nelcontesto della teoria delle particelle elementari e delle forze fondamentali. A titolo d’esempiotale teoria ha previsto, all’interno del cosiddetto modello standard delle particelle elementari,l’unificazione della forza debole ed elettromagnetica che e poi stata confermata sperimentalmentealla fine degli anni ’80 con un esperimento spettacolare al C.E.R.N. di Ginevra in cui si sonoosservate le particelle Z0 e W± previste dalla teoria dell’unificazione elettrodebole.La previsione del valore di una grandezza fisica che e stata poi confermata con una delle maggioriprecisioni di tutta la storia della Fisica si e avuta nell’elettrodinamica quantistica. Si tratta delvalore del cosiddetto rapporto giromagnetico dell’elettrone g. Tale grandezza fisica e un numeropuro. Il valore previsto dall’elettrodinamica quantistica per a := g/2− 1 e:

0.001159652359± 0.000000000282 ,

quello ottenuto sperimentalmente e risultato essere

0.001159652209± 0.000000000031 .

Molti fisici ritengono che la MQ sia la teoria fondamentale dell’Universo (piu profonda delleteorie relativistiche) anche per il fatto che risulta essere valida per scale lineari di lunghezza chevariano in uno spettro di ampiezza impressionante: da 1m (condensati di Bose-Einstein) almenofino a 10−16m (interno dei nucleoni: quarks). La MQ ha avuto un enorme successo sia teorico

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che sperimentale anche nella scienza che studia la struttura della materia solida, nell’ottica, nel-l’elettronica, con diverse importantissime ricadute tecnologiche: ogni oggetto tecnologico di usocomune che sia moderatamente sofisticato (giocattoli per i bambini, telefonini, telecomandi...)da contenere qualche elemento semiconduttore sfrutta proprieta quantistiche della materia.Tornando ai due paradigmi scientifici del XX secolo – MQ e RSG – rimangono diversi puntioscuri in cui i due paradigmi sembrano venire in conflitto, in particolare il problema della co-siddetta “quantizzazione della gravita” e della struttura dello spaziotempo alle scale di Planck– 10−33cm, 1043s – le scale di lunghezza e di tempo che si ottengono combinando le costantifondamentali delle due teorie: la velocita della luce, la costante di gravitazione universale e lacostante di Planck. La necessita di una struttura discontinua dello spaziotempo a scale ultra-microscopiche e suggerita anche da alcune difficolta matematiche (ma anche concettuali) noncompletamente risolte dalla cosiddetta teoria della Rinormalizzazione quantistica, dovute all’ap-parire di infiniti che si incontrano nei calcoli dei processi dovuti alle interazioni fondamentali trale particelle elementari. Tutti questi problemi hanno dato luogo a recenti ed importanti sviluppiteorici, che hanno avuto influenze nello sviluppo della stessa matematica pura, come la teoriadelle (super) stringhe (e brane) e le varie versioni di Geometria non commutativa, prima fratutte quella di A. Connes. La difficolta nel decidere quale di queste teorie abbia un senso fisico edescriva l’universo alle scale piccolissime e anche di natura tecnologica: la tecnologia attuale none in grado di preparare esperimenti che permettano il discernimento tra le varie teorie proposte.Altri punti di contrasto tra MQ e RSG, su cui la discussione e oggi un po’ piu pacata rispettoal passato, riguardano il rapporto della MQ con concetti di localita di natura relativistica (para-dosso Einstein-Podolsky-Rosen[Bon97]) in relazione ai fenomeni di entanglement della MQ. Cioe dovuto in particolare all’analisi di Bell della fine degli anno ’60 ed ai celebri esperimenti diAspect che hanno dato torto alle aspettative di Einstein, ragione all’interpretazione di Copena-ghen, ed hanno provato che la nonlocalita e una caratteristica della natura, indipendentementedall’accettazione o meno dell’interpretazione standard della MQ. Sembra ormai condivisa dallamaggior parte dei fisici l’idea che l’esistenza di processi fisici non locali, prevista teoricamentedalla MQ, non implichi alcuna reale violazione dei fondamenti della Relativita (l’entanglementquantistico non coinvolge trasmissione superluminare di informazioni e violazione della causalita[Bon97]).

Nell’interpretazione standard della MQ detta di Copenaghen, rimangono punti fisicamentee matematicamente poco chiari, ma di estremo interesse concettuale. In particolare non e pernulla chiaro come la meccanica classica si possa ottenere come sottocaso o caso limite della MQe come si possa fissare un limite (anche provvisorio o impreciso) tra i due mondi. Ulteriormenterimane aperto il problema della descrizione fisica e matematica del cosiddetto processo di misuraquantistica di cui parleremo piu avanti e che e strettamente connesso a quello del limite classicodella MQ. Anche prendendo spunto da questo problema sono nate altre interpretazioni delformalismo della MQ, profondamente differenti dall’interpretazione di Copenaghen. Tra questenuove interpretazioni, una volta considerate eretiche, di grande interesse e in particolare quellaa variabili nascoste di Bohm [Bon97, Des80].

Talvolta vengono sollevate riserve sulla formulazione Meccanica Quantistica e sul fatto chenon sia veramente comprensibile, ma che si tratti semplicemente di un elenco di procedure che

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“materialmente funzionano”, mentre la vera essenza sia qualcosa di inaccessibile. E opinionedell’autore che dietro a questo punto di vista ci sia un pericoloso errore epistemologico. Basatosulla credenza che “spiegare” un fenomeno significhi ridurlo alle categorie dell’esperienza quoti-diana. Come se queste fossero qualcosa di piu profondo della realta stessa. L’opinione dell’autoree che sia il esattamente il contrario: le categorie dell’esperienza quotidiana sono state costruitecon l’esperienza quotidiana senza, conseguentemente, alcuna pretesa di profondita metafisica.Dietro quel semplice “materialmente funziona” ci potrebbe essere un mare filosofico profondoche ci avvicina alla realta invece che allontanarcene. La Meccanica Quantistica ci ha insegnatoa pensare in un modo differente ed e stata (anzi e ), per questo, un opportunita incredibile perl’esperienza umana. Voltarle le spalle dicendo che non l’abbiamo compresa, perche si rifiutadi ricadere nelle nostre categorie usuali, significa chiudere una porta su qualcosa di enorme.Questo e il parere dell’autore, che e fermamente convinto che il principio di indeterminazione diHeisenberg (ridotto a semplice teorema nella formulazione moderna) sia una delle massime vetteraggiunte dall’intelletto umano.

1.4 Convenzioni generali.

Nel seguito, se non sara precisato altrimenti il campo degli scalari di uno spazio di Hilbert sarasempre C. Il complesso coniugato di un numero c sara indicato con c. Lo stesso simbolo e ancheusato per denotare la chiusura di insiemi o di operatori, cio non dovrebbe comunque creare frain-tendimenti e, dove fosse necessario, un commento precisera quale deve essere l’interpretazionedel simbolo.

Il prodotto scalare hermitiano tra due vettori ψ, φ di uno spazio di Hilbert sara indicato con(ψ|φ). Si supporra sempre che l’entrata di sinistra del prodotto scalare sia quella antilineare:(αψ|φ) = α(ψ|φ).

Il termine operatore significa comunque operatore lineare anche se talvolta questa specifica-zione e omessa.

Un operatore lineare U : H → H′, dove H e H′ sono spazi di Hilbert, che sia isometrico esurgettivo sara detto unitario, anche se in altri testi la terminologia e riservata al solo caso incui valga anche H = H′.

La locuzione sottospazio sara riservata ai sottospazi rispetto alla semplice struttura di spaziovettoriale anche nel caso in cui esista un’ulteriore struttura (spazio di Hilbert, Banach o altro)nello spazio ambiente. In altri testi, in riferimento alla teoria degli spazi di Hilbert, sottospaziosignifica quello che noi chiamiamo sottospazio chiuso, mentre un sottospazio rispetto alla solastruttura algebrica e spesso indicato con il nome di varieta lineare.

L’operazione di coniugazione hermitiana sara sempre indicata con ∗ e operatore hermitiano,operatore simmetrico ed operatore autoaggiunto non saranno considerati sinonimi; si vedano ledefinizioni corrispondenti nel seguito.

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Parte I

Elementi di teoria degli operatori suspazi di Hilbert

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Capitolo 2

Alcune nozioni e teoremi generalinella teoria degli spazi normati e diBanach.

In questo capitolo presenteremo alcune nozioni ed alcuni risultati fondamentali della teoria gene-rale degli spazi normati e degli spazi di Banach. Introdurremo anche alcune strutture algebrichemodellizzate su algebre naturali di operatori sugli spazi di Banach. Le algebre di Banach dioperatori svolgono un ruolo di grande importanza nelle formulazioni moderne della MeccanicaQuantistica.Questo capitolo serve essenzialmente ad introdurre il linguaggio e gli strumenti elementari dellateoria degli spazi di operatori lineari.Le nozioni piu importanti di questa sezione sono sicuramente la nozione di operatore limitato e levarie nozioni di topologia (indotta da norme o da seminorme) negli spazi di operatori. L’impor-tanza di questi strumenti matematici deriva dal fatto che il linguaggio degli operatori lineari suspazi lineari e il linguaggio con cui e formulato la Meccanica Quantistica. In questo contesto laclasse degli operatori limitati riveste un ruolo tecnico centrale anche se, per motivi di caratterefisico, in Meccanica Quantistica ci si trova costretti ad introdurre e lavorare anche con operatorinon limitati. Vedremo tutto cio nella seconda parte.Nella prima parte di questo capitolo introdurremo le nozioni elementari di spazio normato e dispazio di Banach e delle loro proprieta elementari.Nella seconda parte passeremo a prentare la nozione di norma operatoriale e delle propreta piu utilidi tale concetto.Nella terza parte enunceremo e dimostreremo i teoremi fondamentali generali degli spazi di Ba-nach, nelle versioni piu elementari. Il teorema di Hahn-Banach, il teorema di Banach-Steinhausteorema dellapplicazione aperta (partendo dal teorema di Baire). Dimostrando anche diverseutili conseguenze (teorema delloperatore inverso continuo e del grafico chiuso). Il teorema diBanach-Steinhaus consentira di discutere brevemente le varie topologie operatoriali che entranoin gioco nella teoria degli operatori, accennando brevente alla nozione di spazio di Frechet.

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La quarta parte sara dedicata alla nozione di proiettore nelgi spazi normati, nozione che specia-lizzeremo nel capito successivo a quella, piu utile per i nostri scopi, di proiettore ortogonale.L’ultima parte, sara dedicata ad un argomento importante, ma spesso tralasciato sui vari manua-li: la nozione di norma equivalente e la dimostrazione del fatto che gli spazi normati di dimensionen finita, sono di Banach ed omeomorfi ad un corrispondente Cn con norma standard.

2.1 Spazi normati, di Banach e algebre.

Diamo di seguito le principali definizioni sugli spazi normati e sulle algebre.

Definizione 2.1. Sia X uno spazio vettoriale sul campo K = C o R. Un’applicazione N : X→ Rsi dice norma su X e (X, N) si dice spazio normato, quando N soddisfa le seguenti proprieta:N0. N(u) ≥ 0 per u ∈ X,N1. N(λu) = |λ|N(u) per λ ∈ K e u ∈ X,N2. N(u+ v) ≤ N(u) +N(v), per u, v ∈ X,N3. N(u) = 0⇒ u = 0, per u ∈ X.Se N0, N1 e N2 sono soddisfatte ma non lo e necessariamente N3, N si dice seminorma.

Nota. E chiaro che da N1 discende che N(0) = 0.

Notazione 2.1. Nel seguito || || e p( ), aggiungendo eventuali indici quando necessari, indiche-ranno sempre rispettivamente norme e seminorme.

E chiaro che ogni spazio normato ammette una topologia metrica naturale indotta dalla di-stanza d(u, v) := ||u − v|| per u, v ∈ X. (d : X × X → [0,+∞) e una metrica in quanto percostruzione e simmetrica, positiva, nulla solo se u = v e vale la disuguaglianza triangolare||x− y|| ≤ ||x− z||+ ||z − y|| per x, y, z ∈ X.)Nel seguito ci riferiremo quasi sempre a tale topologia usando concetti topologici in uno spazionormato.

Definizione 2.2. Se (X, || ||X) e (Y, || ||Y) sono spazi normati sullo stesso campo C o R, un’ap-plicazione lineare L : X→ Y e detta isometria se soddisfa ||L(x)||Y = ||x||X per ogni x ∈ X.Se l’isometria L : X→ Y e anche suriettiva, e detta isomorfismo di spazi normati.Se esiste un isomorfismo di spazi normati (L) dallo spazio normato X allo spazio normato Y,tali spazi si dicono isomorfi (secondo L).

Osservazioni.(1) Frequentemente si trova in letteratura una definizione alternativa e non equivalente di iso-morfismo di spazi normati. Tale definizione richiede che l’isomorfismo sia un’applicazione linearebicontinua (cioe un omeomorfismo lineare). E chiaro che un isomorfismo nel senso della definizio-ne definizione 2.2 lo e anche rispetto a questa seconda definizione, tuttavia non vale il viceversa.

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(2) E chiaro che ogni isometria L : X→ Y e iniettiva per N3, ma puo non essere suriettiva (sevale X = Y la non surgettivita puo esserci solo se la dimensione dello spazio X non e finita).Ogni isometria e ovviamente continua rispetto alle due topologie metriche dei due spazi e, se esuriettiva (cioe se e un isomorfismo), la sua inversa e ancora un’isometria e quindi un isomorfismo.

Definizione 2.3. Uno spazio normato si dice spazio di Banach quando e completo nella suatopologia metrica (cioe ogni successione di Cauchy di elementi dello spazio converge a qualcheelemento dello spazio.)

E chiaro che la proprieta di completezza e invariante per isomorfismi di spazi normati ma nonlo e sotto omeomorfismi. Un controesempio e dato dalla coppia di spazi R e (0, 1) entrambidotati della norma valore assoluto. I due spazi sono omeomorfi ma il primo e completo, mentreil secondo non lo e.E immediato provare che ogni sottospazio chiuso di uno spazio di Banach e a sua volta uno spaziodi Banach rispetto alla restrizione della norma. E un fatto noto che ogni spazio normato puoessere completato producendo uno spazio di Banach in cui lo spazio di partenza e rappresentatoda un sottospazio denso. Vale a tal proposito il:

Teorema del completamento per spazi di Banach. Sia X uno spazio vettoriale sul campoK = C o R dotato di una norma N .(a) Esiste uno spazio di Banach (Y,M) su K, detto completamento di X tale che X si identificaisometricamente con un sottospazio denso di Y tramite un applicazione lineare iniettiva J : X→Y.In altre parole, esiste un applicazione lineare iniettiva J : X→ Y con

J(X) = Y e M(J(x)) = N(x) per ogni x ∈ X.

(b) Se la terna (J1,Y1,M1) con J1 : X→ Y1 lineare isometrica e (Y1,M1) spazio di Banach suK e tale che X si identifica isometricamente con un sottospazio denso di Y1 tramite J1 alloraesiste ed e unico un isomorfismo di spazi normati φ : Y → Y1 tale che J1 = φ J .

Schema della dimostrazione. Diamo solo l’idea generale della dimostrazione. (a) Convieneconsiderare lo spazio C delle successioni di Cauchy di elementi di X e definire la relazione diequivalenza in C:

xn ∼ x′n ⇔ esiste limn→∞

||xn − x′n|| = 0 .

E chiaro che X ⊂ C/ ∼ identificando ogni x di X con la classe di equivalenza della successio-ne costante xn = x. L’applicazione che definisce tale identificazione la indicheremo con J . Siprova facilmente che C/ ∼ e uno spazio vettoriale su K normato rispetto alla struttura indottanaturalmente da quella di X. Si prova infine che C/ ∼ e completo, che J e lineare, isometri-ca (e quindi iniettiva) e che J(X) e denso in Y := C/ ∼. (b) J1 J−1 : J(X) → Y1 e unatrasformazione lineare isometrica continua definita su un insieme denso J(X) ⊂ Y a valori inuno spazio di Banach Y1, e pertanto si estende unicamente ad una trasformazione φ lineare

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continua ed isometrica su Y (vedi esercizi (3) e (4) in esercizi 2.1). Essendo φ isometrica, eanche iniettiva. La stessa cosa si puo dire per l’estensione φ′ di J J−1

1 : J1(X) → Y e percostruzione (J J−1

1 ) (J1 J−1) = idJ(X). Estendendo per continuita su J(X) = Y troviamoche φ′ φ = idY e con un analogo ragionamento troviamo anche che φ φ′ = idY1 . Concludiamoche φ e φ′ sono anche surgettive ed in particolare φ e un isomorfismo di spazi normati e che percostruzione vale J1 = φ J . L’unicita di un isomorfismo φ : Y → Y′ che soddisfa J1 = φ Jsi ha facilmente notando che ogni altro siffatto isomorfismo di spazi normati ψ : Y → Y1, perlinearita deve soddisfare J − J = (φ−ψ) J e quindi (φ−ψ) J(X)= 0. L’unicita dell’estensionedell’applicazione (φ−ψ) J(X), continua con dominio J(X) denso, a J(X) = Y prova che φ = ψ. 2

Come vedremo esiste uno stretto legame tra algebre e spazi normati, tale legame passa per lanozione di operatore lineare su uno spazio normato. Le definizioni principali riguardante lanozione di algebra sono riassunte di seguito.

Definizione 2.4. Un’ algebra A sul campo K = C o R e uno spazio vettoriale su K dotato diun’ulteriore applicazione detta prodotto dell’algebra: : A×A→ A tale che:A1. a (b+ c) = a b+ a c per a, b, c ∈ A,A2. (b+ c) a = b a+ c a per a, b, c ∈ A,A3. α(a b) = (αa) b = a (αb) per α ∈ K e a, b ∈ A.L’algebra A e detta:

commutativa o abeliana seA4. a b = b a per ogni coppia a, b ∈ A;

algebra con unitase contiene un elemento I, detto unita dell’algebra, tale che:A5. I u = u I = u per ogni a ∈ A;

algebra normata ovvero algebra normata con unita se e uno spazio vettoriale normatocon norma || || che soddisfi la relazioneA6. ||a b|| ≤ ||a||||b|| per a, b ∈ A;e, nel caso di algebra normata con unita, valga anche:A7. ||I|| = 1;

algebra di Banach ovvero algebra di Banach con unita se A e spazio di Banach erispettivamente algebra normata, o algebra normata con unita rispetto alla stessa norma.Un omomorfismo di algebre (con unita, normate, di Banach), φ : A → A′ e un omo-morfismo rispetto alla struttura di spazio vettoriale (funzione lineare) che preserva il prodottodelle algebre e l’unita se presente. φ e detto isomorfismo di algebre(con unita, normate,di Banach) se e anche biettivo. Se esiste un isomorfismo φ : A → A′, le algebre A e A′ (conunita, normate, di Banach) sono dette isomorfe.

Osservazioni.(1) Si dimostra immediatamente che l’unita, se esiste e unica.(2) La nozione di norma non viene coinvolta nella definizione di omomorfismo e isomorfismo dialgebre con unita, normate, di Banach.

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Notazione 2.2. Nel seguito, se cio non dara luogo a fraintendimenti, indicheremo il prodottodi due elementi di un’algebra semplicemente con ab invece che con a b.

Esempi 2.1.(1) I campi C e R sono banalmente algebre commutative di Banach. In entrambi i casi la normae l’operazione di estrazione del valore assoluto o modulo.

(2) Se X e un insieme qualsiasi e K = C o R, indichiamo con L(X) l’insieme di tutte le funzionif : X→ K limitate (cioe supx∈X |f(x)| <∞). L(X) ha una struttura naturale di spazio vettorialesu K rispetto alla solita operazione di composizione lineare di funzioni. Possiamo aggiungereun prodotto che rende L(X) un’algebra: se f, g ∈ L(X), fg e definita come, punto per punto,(fg)(x) := f(x)·g(x). Si osservi che l’algebra e commutativa e con unita (data dalla funzione chevale sempre 1). Una norma che rende L(X) algebra di Banach commutativa e quella dell’estremosuperiore: ||f || := supx∈X |f(x)| [Rud82].

(3) Se sull’insieme X di sopra definiamo una σ-algebra, Σ, la sottoalgebra delle funzioni Σ-misurabili, M(X,Σ) ⊂ L(X), e un insieme chiuso in L(X) rispetto alla topologia della normadell’estremo superiore. QuindiM(X,Σ) e a sua volta un algebra di Banach commutativa [Rud82].

(4) Se X e uno spazio topologico, lo spazio vettoriale delle funzioni continue a valori nel cam-po C si indica con C(X). Cb(X) ⊂ C(X) denota il sottospazio delle funzioni continue limitate,Cc(X) ⊂ Cb(X) denota infine il sottospazio delle funzioni continue a supporto compatto. Nelcaso X sia compatto i tre spazi coincidono evidentemente. I tre spazi sono sicuramente algebrecommutative rispetto alle operazioni dette nell’esempio (2). C(X) e Cb(X) sono algebre con unitadata dalla funzione costante di valore 1, mentre non lo e Cc(X) quando X non e compatto. Ri-spetto alla norma dell’estremo superiore definita nell’esempio (2) Cb(X) e algebra di Banach. Eun risultato importante delle teorie delle algebre di Banach [Rud91] che ogni algebra di Banachcon unita e commutativa sul campo C e isomorfa ad un’algebra C(K) con K compatto. Se Xe uno spazio topologico di Hausdorff (cioe per ogni coppia di punti x, y ∈ X con x 6= y esistonodue aperti A,B tali che A 3 x, B 3 y e A ∩ B = ∅) che sia anche localmente compatto (cioeper ogni punto p ∈ X c’e un aperto A ed un compatto K tali che p ∈ A ⊂ K), completando lospazio normato Cc(X) si ottiene un’algebra di Banach (senza unita) commutativa, tale algebra diBanach si chiama l’algebra delle funzioni continue che tendono a zero all’infinito in X [Rud82].Si tratta delle funzioni continue f : X→ C, tali che, per ogni ε > 0 esiste un compatto Kε ⊂ X(dipendente da f in generale) con |f(x)| < ε se x ∈ X \Kε.

(5) Se X e spazio di Hausdorff compatto, consideriamo in C(X) una sottoalgebra A che soddisfi iseguenti requisiti: contenga l’unita (data dalla funzione che vale ovunque 1) e sia chiusa rispettoalla coniugazione complessa – se f ∈ A allora f∗ ∈ A, dove f∗(x) := f(x) per ogni x ∈ X in cuila barra indica la coniugazione complessa –. Diremo che A separa i punti di X, se per ogni coppiax, y ∈ X con x 6= y esiste f ∈ A con f(x) 6= f(y). Il teorema di Stone-Weierstrass [Rud91],

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prova quanto segue.

Teorema (di Stone-Weierstrass). Ogni sottoalgebra A ⊂ C(X), con X di Hausdorff compat-to, che contenga l’unita, sia chiusa rispetto alla coniugazione complessa e separi i punti, e taleche la sua chiusura rispetto alla norma dell’estremo superiore coincide con C(X) stessa.Un esempio tipico e quello in cui X e un compatto di Rn e A e l’algebra dei polinomi complessiad n variabili (le coordinate di Rn) ristretti ad A. Dal teorema di Stone-Weierstrass si ricava checon i polinomi possiamo approssimare uniformemente ogni funzione complessa continua definitasu X. Tale risultato e utile nella teoria degli spazi di Hilbert per costruire basi hilbertiane.

(6) Se (X,Σ, µ) e uno spazio con misura positiva e 1 ≤ p < ∞ valgono le disuguaglianze diHolder e di Minkowski, rispettivamente:∫

X|f(x)g(x)|dµ(x) ≤

∫X|f(x)|pdµ(x)

1/p ∫X|g(x)|qdµ(x)

1/q

, (2.1)∫X|f(x) + g(x)|pdµ(x)

1/p

≤∫

X|f(x)|pdµ(x)

1/p

+∫

X|g(x)|pdµ(x)

1/p

, (2.2)

dove f, g : X → C sono funzioni misurabili e 1/p + 1/q = 1 [Rud82]. Se indichiamo conLp(X, µ) l’insieme contenente tutte le funzioni f : X → C che sono µ-misurabili e tali che∫X |f(x)|pdµ(x) < ∞, si prova facilmente che, in base alle disuguaglianze di sopra, Lp(X, µ) e

uno spazio vettoriale rispetto alle solite composizioni lineari di funzioni e che Pp definita sottoe effettivamente una seminorma:

Pp(f) :=∫

X|f(x)|pdµ(x)

1/p

(2.3)

Per ottenere una vera norma, cioe per avere che sia soddisfatta N3, bisogna fare in modo daidentificare con la funzione nulla ogni funzione che differisce da essa per un insieme di misuranulla. Tali funzioni pur non essendo nulle annullano l’integrale di sopra violando N3 a Pp. Atal fine si puo definire la relazione di equivalenza su Lp(X, µ) data da f ∼ g se e solo se f − ge nulla quasi ovunque rispetto a µ. Si indica con Lp(X, µ) lo spazio quoziente Lp(X, µ)/ ∼.Questo spazio eredita naturalmente una struttura di spazio vettoriale su C da quella di Lp(X, µ)semplicemente definendo [f ] + [g] := [f + g] e α[f ] := [αf ] (si verifica che le definizioni nondipendono nei secondi membri dai rappresentanti scelti nelle classi di equivalenza usate a primomembro).Si riesce a provare ([Rud82], teorema 3.11) che Lp(X, µ) e spazio di Banach rispetto alla norma

||[f ]||p :=∫

X|f(x)|pdµ(x)

1/p

(2.4)

dove f e un rappresentante arbitrario di [f ] ∈ Lp(X, µ). Lo spazio di Banach ottenuto non ealgebra rispetto al prodotto puntuale dato che il prodotto puntuale di funzioni di Lp(X, µ) none, in generale elemento dello stesso spazio.

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N.B. Nella letteratura corrente prevale l’uso del simbolo f per denotare la classe di equivalenza[f ] ∈ L2(X, µ). Noi seguiremo tale uso nelle situazioni in cui cio non produrra confusione.

(7) In riferimento all’esempio (6), consideriamo il caso particolare in cui X e un insieme nonnecessariamente numerabile, Σ e l’insieme delle parti di X e µ e la misura che conta i punti:se S ⊂ X, µ(S) = numero di elementi di S e µ(S) = ∞ se S contiene infiniti punti. In questocaso lo spazio Lp(X, µ) si indica semplicemente con lp(X). I suoi elementi sono le “successioni”zxx∈X di complessi etichettati su X, tali che:∑

x∈X

|zx|p <∞ ,

dove la somma e definita come:

sup

∑x∈X0

|zx|p∣∣∣∣∣∣ X0 ⊂ X, X0 finito

.

Si osservi che, nel caso X sia numerabile, X = N o Z in particolare, la definizione data sopra disomma di un insieme di numeri positivi etichettati su X si riduce a quella solita di somma di unaserie (vedi definizione 3.4 e proposizione 3.2 nel capitolo 3).

(8) Se (X,Σ, µ) e uno spazio con misura positiva e f : X→ C una funzione misurabile definiamoSf := r ∈ R | µ(|f |−1(r,+∞)) = 0. Le funzioni misurabili f : X → C per cui Sf 6= ∅costituiscono un’algebra commutativa con unita con le solite operazioni definite negli esempi disopra per gli spazi di funzioni. E possibile definire una norma su tale algebra rispetto alla quale siabbia un’algebra di Banach (vedi [Rud82], teorema 3.11 per la dimostrazione della completezza):||f || := ess supf dove l’estremo superiore essenziale di f , ess supf , e definito come inf Sf ossia

ess supf := infr ∈ R

∣∣∣ µ(|f |−1(r,+∞)) = 0. (2.5)

L’algebra di Banach che si ottiene si indica con L∞(X, µ) e si chiama l’algebra delle funzioniessenzialmente limitate.

(9) In riferimento all’esempio (8), nel caso particolare in cui Σ e l’insieme delle parti di X eµ e la misura che conta i punti, lo spazio L∞(X, µ) si indica semplicemente con l∞(X). I suoielementi sono le “successioni” di complessi etichettati su X zxx∈X tali che supx∈X |zx| < +∞.(Per cui, in riferimento alla notazione usata nell’esempio (2), l∞(X) = L(X).)

2.2 Operatori, spazi di operatori, norme di operatori.

Definizione 2.5. Siano X e Y spazi vettoriali sullo stesso campo K := R o C.(a) T : X → Y e detto operatore lineare (o semplicemente operatore) da X in Y se e

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lineare. L(X,Y) denota l’insieme degli operatori lineari da X in Y. Quando X e Y sono nor-mati, B(X,Y) ⊂ L(X,Y) denota il sottoinsieme degli operatori lineari continui. In particolareL(X) := L(X,X) e B(X) := B(X,X).(b) T : X→ K e detto funzionale lineare (o semplicemente funzionale) su X se e lineare.(c) Lo spazio X∗ := L(X,K) e detto duale algebrico di X mentre, se K e inteso come unospazio normato rispetto alla norma indotta dal valore assoluto, X′ := B(X,K) e detto dualetopologico (o semplicemente duale) di X.

Al solito se T, T ′ ∈ L(X,Y) e α, β ∈ K, la combinazione lineare αT + βT ′ e definita come l’ap-plicazione (αT + βT ′) : u 7→ α(Tu) + β(T ′u) per ogni u ∈ X ed e quindi ancora un elemento diL(X,Y). Dato che come e facile provare vale anche che ogni combinazione lineare di operatoricontinui e un operatore continuo concludiamo che L(X,Y), L(X) e X∗ e B(X,Y), B(X) e X′, sonotutti spazi vettoriali su K.

Introduciamo il concetto di operatore e funzionale limitato.

Teorema 2.1. Siano (X, || ||X), (Y, || ||Y) spazi normati sullo stesso campo K = C o R. Siconsideri T ∈ L(X,Y).(a) Le seguenti due condizioni sono equivalenti

(i) esiste K ∈ R tale che ||Tu||Y ≤ K||u||X per ogni u ∈ X;(ii) esiste supu∈X\0

||Tu||Y||u||X < +∞.

(b) Se vale la condizione (i) allora

sup¨||Tu||Y||u||X

∣∣∣∣∣ u ∈ X \ 0«

= inf K ∈ R | ||Tu||Y ≤ K||u||X per ogni u ∈ X .

Prova. (a) Se vale (i), per costruzione supu∈X\0||Tu||Y||u||X ≤ K < +∞. Se vale (ii) posto

A := supu∈X\0||Tu||Y||u||X , K := A soddisfa (i).

(b) Detto I l’estremo inferiore dell’insieme dei K che soddisfano (i), valendo supu∈X\0||Tu||Y||u||X ≤

K deve essere supu∈X\0||Tu||Y||u||X ≤ I. Supponiamo per assurdo che valga la disuguaglianza stret-

ta. Sia allora J un punto con supu∈X\0||Tu||Y||u||X < J e J < I. Dalla prima condizione segue che

||Tu||Y < J ||u||X per ogni u 6= 0 e quindi ||Tu||Y ≤ J ||u||X per ogni u ∈ X, ma allora J soddisfala condizione (i) e cio contraddice J < I. 2

Nel seguito ometteremo gli indici nelle norme per denotare gli spazi su cui sono definite se ciosara ovvio dal contesto.

Definizione 2.6. Siano X,Y spazi normati sul medesimo campo C o R. T ∈ L(X,Y) e dettolimitato se vale una delle due condizioni equivalenti dette in (a) nell’enunciato del teorema 2.1.

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In tal caso il numero||T || := sup

||u||6=0

||Tu||||u||

. (2.6)

e detto norma (operatoriale) di T .

Nota.Dalla definizione di ||T || si ha subito che se T : X→ Y e limitato vale l’utile proprieta:

||Tu|| ≤ ||T || ||u|| , per ogni u ∈ X . (2.7)

La norma operatoriale puo essere calcolata anche in altri modi talvolta utili nelle dimostrazioni.Vale la seguente proposizione in proposito.

Proposizione 2.1. Siano X,Y spazi normati sul medesimo campo C o R. T ∈ L(X,Y) e limitatose e solo se esiste ed e finito uno dei secondi membri delle tre identita di sotto ed in tal caso taliidentita sono verificate.

||T || = sup||u||=1

||Tu|| , (2.8)

ovvero

||T || = sup||u||≤1

||Tu|| , (2.9)

ovvero

||T || = inf K ∈ R | ||Tu|| ≤ K||u|| per ogni u ∈ X . (2.10)

Prova. Il fatto che T sia limitato se e solo se il secondo membro di (2.8) esista e sia finito e lastessa identita (2.8) seguono facilmente dalla linearita di T e dalla proprieta N1 delle norme.Il fatto che T sia limitato se e solo se il secondo membro di (2.9) esista e sia finito e la stessaidentita (2.9) seguono facilmente dal seguente ragionamento. Dato che l’insieme degli u con||u|| ≤ 1 include l’insieme degli u con ||u|| = 1, vale sup||u||≤1 ||Tu|| ≥ sup||u||=1 ||Tu||. D’altraparte, se ||u|| ≤ 1, vale ||Tu|| ≤ ||Tv|| per qualche v con ||v|| = 1 (qualunque v suddetto se u = 0e v = u/||u|| altrimenti). Quindi vale anche sup||u||≤1 ||Tu|| ≤ sup||u||=1 ||Tu||, da cui si ottienesup||u||≤1 ||Tu|| = sup||u||=1 ||Tu|| che dimostra quanto volevamo.Il fatto che T sia limitato se e solo se il secondo membro di (2.10) esista e sia finito e la stessaidentita (2.10) seguono facilmente da (b) del teorema 2.1 2

Il legame tra continuita e limitatezza e dato dal seguente teorema che prova, tra l’altro, che glioperatori limitati sono tutti e soli quelli continui.

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Teorema 2.2. Sia T ∈ L(X,Y) con X,Y spazi normati sul medesimo campo. I seguenti fattisono equivalenti:(i) T e continuo in 0;(ii) T e continuo;(iii) T e limitato.

Prova. (i) ⇔ (ii). La continuita implica banalmente la continuita in 0. Mostriamo che la conti-nuita in 0 implica la continuita. Valendo (Tu)− (Tv) = T (u− v) si ha che (limu→v Tu)− Tv =limu→v(Tu− Tv) = lim(u−v)→0 T (u− v) = 0 per la continuita in 0.(i)⇒ (iii). Dalla continuita in 0, esiste δ > 0 tale che, se ||u|| < δ allora ||Tu|| < 1. Scelto δ′ > 0con δ′ < δ, se v ∈ X \ 0, u = δ′v/||v|| ha norma inferiore a δ per cui ||Tu|| < 1, che in terminidi v si scrive ||Tv|| < (1/δ′)||v||. Vale allora la condizione (a) del teorema 2.1 con K = 1/δ′ epertanto, per la definizione 4.2 T e limitato.(iii) ⇒ (i). Si tratta di un fatto ovvio. Se T e limitato allora ||Tu|| ≤ ||T ||||u|| da cui la conti-nuita in 0. 2.

Il nome “norma” per ||T || non e casuale; in effetti la norma di operatori rende a tutti gli effettiB(X,Y), e quindi in particolare B(X) e X′, uno spazio normato come proveremo tra poco. Piuprecisamente, vedremo che B(X,Y) e uno spazio di Banach se Y e di Banach e quindi, in parti-colare, X′ e sempre spazio di Banach.Il teorema che segue riguarda anche un altro importante fatto in relazione alla struttura dialgebra. Cominciamo con l’osservare che la composizione di operatori di L(X), rispettivamenteB(X), produce operatori nello stesso spazio (in particolare perche la composizione di funzionicontinue produce funzioni continue). Ulteriormente, e immediato provare che lo spazio vettorialeL(X), rispettivamente B(X), soddisfa gli assiomi A1, A2 e A3 della definizione di algebra quan-do il prodotto dell’algebra e definito come la composizione di operatori. In questo modo risultachiaro che L(X) e B(X) possiedono una struttura naturale di algebra con unita, quest’ultimadata dalla funzione identita I : X→ X, inoltre B(X) risulta essere una sottoalgebra di L(X).Nell’ultima parte del teorema seguente si rafforza ulteriormente il risultato, provando che B(X) esempre un’algebra normata con unita rispetto alla norma operatoriale ed e ulteriormente algebradi Banach se X e uno spazio di Banach.

Teorema 2.3. Siano X,Y spazi normati sullo stesso campo.(a) L’applicazione || || : T 7→ ||T ||, dove ||T || e definita da (2.6) per T ∈ B(X,Y), e una normasu B(X,Y) e rende B(X,Y) spazio normato.(b) Sull’algebra con unita B(X) valgono le ulteriori relazioni che la rendono algebra normatacon unita:

(i) ||TS|| ≤ ||T ||||S|| e T, S ∈ B(X),(ii) ||I|| = 1.

(c) Se Y e completo B(X,Y) e uno spazio di Banach.In particolare:

(i) se X e uno spazio di Banach, B(X) e un’algebra di Banach;

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(ii) X′ e sempre uno spazio di Banach rispetto alla norma dei funzionali, anche se X non ecompleto.

Prova. (a) e diretta conseguenza della definizione di norma di un operatore: le proprieta de-finitorie della norma N1, N2, N3 per la norma operatoriale possono essere immediatamenteverificate usando le stesse proprieta N1, N2, N3 per la norma dello spazio Y, la formula (2.8)per la norma operatoriale e la definizione di estremo superiore.(b) Il punto (i) e immediata conseguenza della (2.7) e della (2.8). (ii) e di immediata verificausando l’espressione per la norma operatoriale (2.8).Passiamo a provare la parte (c). Proviamo che se Y e completo allora B(X,Y) e uno spazio diBanach. Sia Tn ⊂ B(X,Y) una successione di Cauchy rispetto alla norma operatoriale. Da(2.7) segue che

||Tnu− Tmu|| ≤ ||Tn − Tm||||u|| ,il fatto che Tn sia di Cauchy implica che sia di Cauchy la successione dei vettori Tnu. EssendoY completo, per ogni fissato u ∈ X esistera un vettore di Y:

Tu := limn→∞

Tnu .

X 3 u 7→ Tu e un operatore lineare essendo tali tutti gli operatori Tn. Mostriamo, per concludere,che T ∈ B(X,Y) e che ||T − Tn|| → 0 per n→∞.Essendo Tn una successione di Cauchy, se ε > 0, varra ||Tn−Tm|| ≤ ε per n,m sufficientementegrandi e quindi anche ||Tnu− Tmu|| ≤ ||Tn − Tm||||u|| ≤ ε||u||. Allora:

||Tu− Tmu|| = || limn→+∞

Tnu− Tmu|| = limn→+∞

||Tnu− Tmu|| ≤ ε||u||

se m e grande a sufficienza. Dalla stima ottenuta, essendo ||Tu|| ≤ ||Tu − Tmu|| + ||Tmu|| edusando (2.7), segue ancora che

||Tu|| ≤ (ε+ ||Tm||)||u|| .Cio dimostra che T e limitato e quindi T ∈ B(X,Y) per il teorema 2.2. Valendo, come provatosopra, ||Tu−Tmu|| ≤ ε||u|| si ha anche che ||T−Tm|| ≤ ε dove ε puo essere scelto arbitrariamentepiccolo pur di scegliere m grande a sufficienza. In altre parole ||T − Tn|| → 0 se n→∞.La prova dei sottocasi (i) e (ii) e immediata. (i) segue dal fatto che B(X) = B(X,X) e (ii) se-gue dal fatto che X′ := B(X,K) ed il campo di X, K = C o R e completo come spazio normato. 2

Esempi 2.2(1) Una misura complessa su X [Rud82] e un’applicazione µ : Σ → C, che associa un numerocomplesso ad ogni insieme misurabile di una σ-algebra Σ su X, in modo tale che: (i) µ(∅) = 0 e(ii) µ(∪n∈NEn) =

∑+∞n=0 µ(En) indipendentemente dall’ordine di somma (questo e equivalente a

dire che la convergenza deve valere in valore assoluto), per ogni classe numerabile, Enn∈N, diinsiemi misurabili di Σ disgiunti a due a due. La misura positiva |µ|, detta variazione totale diµ, e definita come segue: se E e insieme di Σ,

|µ|(E) := sup

∑i

|µ(Ei)|∣∣∣∣∣ Ei partizione di E di insiemi di Σ.

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La variazione totale di una misura complessa soddisfa sempre |µ|(X) < +∞ per definizione dimisura complessa ed e quindi, una misura finita. (N.B. Quando µ e una misura positiva, l’ap-plicazione diretta della definizione di sopra produce µ = |µ|, ma in questo caso la finitezza di|µ|(X) non e assicurata e vale se e solo se µ e finita; le misure con segno si intendono qui unsottocaso di quelle complesse). Dal Teorema di Radon-Nikodym segue in particolare il seguenterisultati [Rud82].

Teorema (di caratterizzazione delle misure complesse). Per ogni misura complessa µ sul-lo spazio misurabile X esiste, ed e unica a meno di ridefinizione su insiemi di misura nulla, unafunzione misurabile h : X→ C con |h| = 1 su X, che sia in L1(X, |µ|) e tale che µ(E) =

∫E hd|µ|.

Se f ∈ L1(X, |µ|) si definisce pertanto∫X fdµ :=

∫X fh d|µ|.

Consideriamo X spazio topologico di Hausdorff localmente compatto dotato di una misura com-plessa µ, definita sulla σ-algebra di Borel di X. Sappiamo che l’algebra normata Cc(X) ha comecompletamento nella norma dell’estremo superiore l’algebra di Banach C0(X) delle funzioni chesi annullano all’infinito ((4) in esempi 2.1). Nelle ipotesi fatte definiamo ||µ|| := |µ|(X). E chiaroche, se f ∈ C0(X), ∣∣∣∣∫

Xfdµ

∣∣∣∣ ≤ ||µ||||f ||∞ ,

dove ||f ||∞ = supx∈X |f(x)| . Da tale fatto segue subito che ogni misura complessa di Boreldefinisce un elemento del duale (topologico) di C0(X). Il teorema di Riesz per misure complesse[Rud82] prova che questo e in realta il caso generale, precisando anche qualcosa in piu. Perenunciare il teorema di Riesz, ricordiamo che, se µ e una misura di Borel positiva sullo spaziodi Hausdorff localmente compatto X, µ e detta regolare se, per ogni boreliano E, µ(E) coin-cide con (i) l’estremo superiore dell’insieme dei numeri µ(K) dove K ⊂ E e compatto, e (ii)con l’estremo inferiore dell’insieme dei numeri µ(V ) dove V ⊃ E e aperto. Una misura di Borelcomplessa, µ, e detta regolare se e tale la misura di Borel positiva finita data dalla sua variazionetotale |µ|. Il teorema di Riesz per misure di Borel afferma quanto segue.

Teorema (di Riesz per misure complesse regolari). Sia X uno spazio topologico di Hau-sdorff localmente compatto, se Λ : C0(X) → C e un funzionale lineare continuo, allora esisteun’unica misura di Borel complessa regolare µΛ tale che, per ogni f ∈ C0(X):

Λ(f) =∫XfdµΛ .

Vale inoltre ||Λ|| = ||µΛ||.Si osservi che, dato che Cc(X) e denso in C0(X), un funzionale continuo sul primo spazio ne indi-vidua univocamente uno sul secondo, per cui il teorema caratterizza anche i funzionali continuirispetto alla norma dell’estremo superiore su Cc(X).Si osservi ancora che, se X e tale che ogni aperto sia unione numerabile di compatti, la parola re-golare si puo omettere nell’enunciato del teorema. Risulta infatti che (teorema 2.18 in [Rud82]),se ν e una misura di Borel positiva sullo spazio di Hausdorff localmente compatto X in cui

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ogni aperto e unione numerabile di compatti1 e i compatti hanno misura finita (come nel casoin esame, essendo la misura |µ| finita), allora ν e regolare. In particolare vale il seguente teorema.

Teorema (di Riesz per misure complesse su Rn). Se K ⊂ Rn oppure K ⊂ C e un compatto(rispetto alla topologia standard di Rn oppure C) e Λ : C0(K) → C e un funzionale linearecontinuo, allora esiste un’unica misura di Borel complessa µΛ tale che, per ogni f ∈ C0(K):

Λ(f) =∫XfdµΛ .

(2) In riferimento all’esempio (6) in esempi 2.1, se 1 ≤ p < +∞ e 1/p + 1/q = 1, il dua-le di Lp(X, µ) risulta essere Lq(X, µ) nel senso che l’applicazione Lq(X, µ) 3 [g] 7→ Λg doveΛg(f) :=

∫X fg dµ, e un isomorfismo di spazi normati da Lq(X, µ) a (Lp(X, µ))′. Analogamente

il duale di L1(X, µ) si identifica con L∞(X, µ).

Esercizi 2.1.(1) Provare che ogni seminorma p soddisfa p(x) = p(−x).(2) Si dimostri che in uno spazio normato (X, N) ogni successione convergente e successione diCauchy.

Soluzione. Sia xnn∈N ⊂ X convergente a x nella topologia indotta dalla norma N . ValendoN(xn−xm) = N(xn−x+x−xm) ≤ N(xn−x)+N(x−xm) per la disuguaglianza triangolare, siha che per ogni ε > 0 esiste Mε > 0 per cui se n,m > Mε, N(xn − x) < ε/2 e N(xm − x) < ε/2.Quindi per ogni ε > 0 esiste Mε > 0 per cui se n,m > Nε, N(xn − xm) < ε e la successione e diCauchy.(3) Si consideri una coppia di spazi normati X,Y, con Y spazio di Banach, e un sottospazioS ⊂ X la cui chiusura rispetto alla norma di X coincida con tutto X (in altre parole S e densoin X). Sia poi T : S → Y un operatore lineare limitato su S. Si dimostri che esiste un’unicaestensione limitata di T , T ′ : X→ Y.

Soluzione. Se x ∈ X ci sara una successione xn di elementi di S che converge a x. Vale||Txn − Txm|| ≤ K||xn − xm|| con K < +∞ per ipotesi. Dato che xn → x, la successione deglixn e di Cauchy e quindi lo e anche quella dei vettori Txn. Dato che Y e completo, esiste dunqueT ′x := limn→∞ Txn ∈ Y. Tale limite dipende solo da x e non dalla successione in S usata perapprossimarlo: se S 3 zn → x allora per la continuita delle norme

|| limn→+∞

Txn − limn→+∞

Tzn|| = limn→+∞

||Txn − Tzn|| ≤ limn→+∞

K||xn − zn|| = K||x− x|| = 0 .

Ovviamente T ′ S= T , cioe T ′ e un’estensione di T e questo si prova scegliendo per ogni x ∈ Sla successione costante di termini xn := x che tende a x banalmente. Le proprieta di linearita diT ′ sono di verifica immediata dalla stessa definizione. Infine prendendo il limite a n→ +∞ adambo membri di ||Txn|| ≤ K||xn|| si ricava che ||T ′x|| ≤ K||x|| per cui T ′ e limitato. Veniamoalla prova dell’unicita. Se U e un’altra estensione limitata di T su X allora, per ogni x ∈ X,

1Cio accade in Rn in cui gli aperti sono unione numerabile di palle chiuse di raggio non nullo.

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per continuita T ′x − Ux = limn→+∞(T ′xn − Uxn) dove gli xn appartengono a S (denso in X).Essendo T ′ S= T = U S il limite e banale e fornisce T ′x = Ux per ogni x ∈ X ossia T ′ = U .(4) In riferimento all’esercizio precedente, si provi che l’unica estensione limitata T ′ di T soddisfaanche ||T ′|| = ||T ||.

Soluzione. Se x ∈ X e xn ⊂ S converge a x:

||T ′x|| = limn→+∞

||Txn|| ≤ limn→+∞

||T ||||xn|| = ||T ||||x|| ,

per cui ||T ′|| ≤ ||T ||. Ma essendo anche S ⊂ X e T ′ S= T ,

||T ′|| = sup¨||T ′x||||x||

∣∣∣∣∣ 0 6= x ∈ X

«≥ sup

¨||T ′x||||x||

∣∣∣∣∣ 0 6= x ∈ S«

= sup¨||Tx||||x||

∣∣∣∣∣ 0 6= x ∈ S«.

L’ultimo termine nella catena di identita scritta sopra e ||T ||. Quindi ||T ′|| ≥ ||T ||. Allora||T ′|| = ||T ||.(5)* Se definiamo un isomorfismo di spazi normati come un’applicazione lineare continua coninversa continua, la proprieta di completezza di uno spazio normato e invariante sotto isomorfi-smi?

Suggerimento. Se non si arriva ad una conclusione si legga il paragrafo 2.5 generalizzando laproposizione 2.6 al caso di due spazi normati connessi da un’applicazione lineare continua coninversa continua.

2.3 I teoremi fondamentali negli spazi di Banach e le topologiedeboli.

In questa sezione dimostreremo i teoremi fondamentali della teoria degli spazi normati e diBanach nella versione piu elementare possibile e ne esaminiamo le piu importanti conseguen-ze generali: il teorema di Hahn-Banach, quello di Banach-Steinhaus e quello dell’applicazioneaperta, studiandone anche qualche immediata conseguenza importante.Le applicazioni del secondo teorema, quello di Banach-Steinhaus, forniscono l’occasione perintrodurre diverse topologie negli spazi di operatori. Tali topologie rivestono un ruolo importan-tissimo in Meccanica Quantistica quando lo spazio di Banach di partenza e lo spazio di Hilbertdella teoria, l’algebra di operatori limitati di interesse e costituita da (alcune) osservabili dellateoria, mentre le proprieta elementari del sistema quantistico associate ai processi di misura sonouna sottoclasse della classe degli operatori di proiezione ortogonale. Per passare con continuitadall’algebra delle osservabili a quella dei proiettori sono necessarie topologie piu deboli rispettoa quella standard. Questo genere di problematiche che discuteremo piu oltre hanno portato allanozione di algebra (di operatori) di Von Neumann.

2.3.1 Il teorema di Hahn-Banach e le sue conseguenze elementari.

Il primo teorema e il famosissimo teorema di Hahn-Banach che si occupa del problema dell’esten-sione di un funzionale lineare continuo, da un sottospazio dello spazio ambiente ad un funzionale

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continuo, definito tutto lo spazio e che conservi la norma iniziale. Esistono in realta versioni mol-to piu elaborate e potenti di tale teorema che si possono trovare, per esempio, in [Rud91]. Noici limiteremo qui alla situazione piu elementare possibile.Per enunciare il teorema, notiamo che se X e uno spazio normato e M ⊂ X un suo sottospazio (ri-spetto alla sola struttura di spazio vettoriale di X), la restrizione della norma di X a M definiscesu M una struttura di spazio normato. In questo senso si puo parlare di operatori o funzionalidefiniti su M e continui (ossia limitati rispetto alla struttura di spazio normato indotta da quelladi X).

Teorema di Hahn-Banach (per spazi normati). Sia M un sottospazio (non necessariamentechiuso) di uno spazio normato X con campo K = C o R e sia g : M → K un funzionale linearecontinuo. Esiste un funzionale lineare f : X→ K continuo tale che f M= g e ||f ||X = ||g||M.

Prova. Seguiremo essenzialmente la dimostrazione data nel Cap.5 di [Rud82]. Partiamo dalcaso in cui K = R. Se g = 0, un’estensione che soddisfa la tesi e f = 0. Supponiamo dunqueche g 6= 0 e, senza perdere generalita , assumiamo anche che ||g|| = 1. Costruiamo l’estensionef come segue. Sia x0 ∈ X \M e sia M1 := x+ λx0 | x ∈ M , λ ∈ R, il sottospazio di X generatoda M e x0. Se, per ν ∈ R fissato, definiamo g1 : M1 → R come

g1(x+ λx0) = g(x) + λν ,

abbiamo un’estensione di g a M1. Proviamo che si puo sempre scegliere ν in modo tale che||g1|| = 1. A tal fine e sufficiente che ν sia scelto in modo che valga:

|g(x) + λν| ≤ ||x+ λx0|| , per ogni x ∈ M e λ ∈ R \ 0. (2.11)

Sostituiamo −λx a x e dividiamo i due membri di (2.11) per |λ|, ottenendo la condizioneequivalente alla (2.11):

|g(x)− ν| ≤ ||x− x0|| , per ogni x ∈ M. (2.12)

Poniamo quindi:ax := g(x)− ||x− x0|| , e bx := g(x) + ||x− x0||. (2.13)

La (2.12), e quindi ||g1|| = 1, vale se ν si fissa in modo tale da soddisfare ax ≤ ν ≤ bx per ognix ∈ M. E sufficiente dunque provare che chi intervalli [ax, bx], con x ∈ M, hanno un punto incomune, cosa che e equivalente a dimostrare che per ogni x, y ∈ M, vale

ax ≤ by . (2.14)

D’altra parte:g(x)− g(y) = g(x− y) ≤ ||x− y|| ≤ ||x− x0||+ ||y − x0||

e la (2.14) e conseguenza della (2.13). Abbiamo ottenuto che si puo fissare ν in modo tale che||g1|| = 1 come volevamo.

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Consideriamo ora la famiglia P di tutte le coppie (M′, g′) tali che M′ ⊃ M sia un sottospazio diX e g′ : M′ → R sia lineare, estenda g e valga ||g′|| = 1. Sappiamo che P non e vuoto dato checontiene almeno (M1, g1). Possiamo ordinare parzialmente P (vedi l’Appendice A anche per ilseguito) definendo (M′, g′) ≤ (M′′, g′′) quando M′′ ⊃ M′ e g′′ estende g′ e ||g′|| = ||g′′|| = 1. Sidimostra facilmente che ogni sottoinsieme totalmente ordinato di P ammette un maggiorantein P. Il lemma di Zorn implica allora che esiste un elemento massimale in P che denoteremocon (M1, f1). Si osservi ora che deve essere necessariamente M1 = X, altrimenti esisterebbex0 ∈ X \M1 e, con la procedura vista all’inizio, potremmo costruire un’estensione propria di f1

al sottospazio generato da x0 e M1 che rispetti la richiesta sulla norma, in contraddizione con lamassimalita di (M1, f1). Concludiamo che f := f1 e l’estensione cercata nella tesi.Passiamo infine al caso K = C. Se u : M→ R e la parte reale di g, cioe u(x) = Reg(x) per ognix ∈ M, deve essere g(x) = u(x)−iu(ix) e anche ||g|| = ||u||, come si prova facilmente. Sappiamo,dal caso precedente, che esiste un’estensione lineare U : X→ R di u con ||U || = ||u|| = ||g||. Maallora, se definiamo l’applicazione lineare f : X→ C come:

f(x) := U(x)− iU(ix) , per ogni x ∈ X,

abbiamo che f estende g a tutto X e soddisfa ||f || = ||U || = ||g|| come richiesto nella tesi. 2

Una delle piu utili conseguenze del teorema di Hahn-Banach e il seguente corollario. Ricordiamoche, se X e uno spazio normato, X′ indica il suo duale topologico B(X,C).

Corollario 1. Sia X spazio normato e x0 ∈ X con x0 6= 0. Esiste f ∈ X′ con ||f || = 1 tale chef(x0) = ||x0||.

Prova. Si scelga M := λx0 | λ ∈ K e g : λx0 → λ||x0||. Sia f ∈ X′ il funzionale limitatoche estende g secondo il teorema di Hahn-Banach. Per costruzione f(x0) = g(x0) = ||x0|| e||f ||X = ||g||M = 1.2

Un altro risultato, che ha importanti conseguenze nella teoria delle algebre di Banach, e il se-guente.

Corollario 2. Sia X spazio normato non banale. Gli elementi di X′ sono separanti per X. Cioe,se x1 6= x2 sono punti di X (ed esistono tali punti se X non e lo spazio vettoriale banale 0)allora c’e almeno un funzionale f ∈ X′ per cui f(x1) 6= f(x2).

Prova. Basta scegliere nel corollario 1 x0 := x1 − x2 ottenendo f(x1) − f(x2) = f(x1 − x2) =||x1 − x2|| 6= 0. 2

Se x ∈ X e f ∈ X′ con ||f || = 1, allora |f(x)| ≤ 1||x|| per cui

sup|f(x)| | f ∈ X′ , ||f || = 1 ≤ ||x|| .

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Il corollario 1 consente di rafforzare il risultato provando immediatamente che

sup|f(x)| | f ∈ X′ , ||f || = 1 = max|f(x)| | f ∈ X′ , ||f || = 1 = ||x|| .

Questo fatto apparentemente non molto profondo ha invece una certa rilevanza in una questioneimportante che nasce nella teoria degli spazi normati infinito-dimensionali, quando la si confron-ta con quella nel caso finito dimensionale.E noto, dalla teoria elementare degli spazi vettoriali, che lo spazio (X∗)∗, duale algebrico delduale algebrico di uno spazio vettoriale di dimensione finita, ha la notevole proprieta di esserenaturalmente isomorfo a X stesso. L’isomorfismo e dato dalla applicazione lineare che associaad x ∈ X il funzionale lineare su X∗, I(x), definito da (I(x))(f) := f(x) per ogni f ∈ X∗.Nel caso infinito dimensionale I identifica X con un sottospazio di (X∗)∗, ma non, in generale contutto (X∗)∗. C’e qualche proposizione generale a riguardo che vale lavorando con spazi normatiinfinito dimensionali considerando pero i duali in senso topologico?Si noti che (X′)′ e il duale topologico di uno spazio normato (X′, la cui norma e quella opera-toriale). Di conseguenza (X′)′ e uno spazio normato a sua volta, la norma essendo ancora unavolta quella operatoriale.Consideriamo ancora la trasformazione lineare naturale I : X → (X′)∗ che associa a x ∈ Xl’elemento I(x) ∈ (X′)∗, cioe la funzione lineare I(x) : X′ → K, definita come

(I(x))(f) := f(x) per ogni f ∈ X′ e x ∈ X . (2.15)

(E chiaro per costruzione che I(x) e un funzionale lineare su X′ per cui effettivamente I(x) ∈(X′)∗). Il fatto che

sup|f(x)| | f ∈ X′ , ||f || = 1 = ||x||ha due implicazioni immediate: (1) I(x) e un funzionale limitato, per cui appartiene a (X′)′ e(2) ||I(x)|| = ||x||. Per cui la trasformazione lineare I : X → (X′)′ e un’isometria e quindi inparticolare e iniettiva. In definitiva si ha l’inclusione isometrica X ⊂ (X′)′ data dall’isometriaI : X→ (X′)′. Abbiamo provato il seguente corollario.

Corollario 3. La trasformazione lineare I : X → (X′)′ definita da (I(x))(f) := f(x) per ognix ∈ X e f ∈ X′ e un’isometria. In tal modo X si identifica isometricamente con un sottospaziodi (X′)′.

Si possono trovare esempi, nel caso infinito dimensionale, in cui X non ricopre tutto (X′)′ . Cioporta a dare la seguente definizione.

Definizione 2.7. Uno spazio normato X e detto riflessivo se l’isometria I : X → (X′)′, cheassocia x ∈ X con I(x) secondo la (2.15), e suriettiva (cioe e un isomorfismo di spazi normati).

In altre parole X e riflessivo quando X e (X′)′ sono isometricamente isomorfi tramite la trasforma-zione naturale I. Vedremo nella prossima sezione che se X e uno spazio di Hilbert la riflessivitae assicurata. Gli spazi di Banach Lp(X, µ) introdotti negli esempi 2.1 sono riflessivi se 1 < p <∞.

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2.3.2 Il teorema di Banach-Steinhaus e topologie operatoriali.

Passiamo al teorema di Banach-Steinhaus nella formulazione piu elementare ed alle sue conse-guenze immediate.

Teorema di Banach-Steinhaus. Sia Tαα∈A una famiglia di operatori in B(X,Y) dove X euno spazio di Banach e Y uno spazio normato. Se, per ogni x ∈ X

supα∈A||Tαx|| < +∞ ,

allora esiste K ≥ 0 tale che||Tα|| ≤ K per ogni α ∈ A .

Prova. Per dimostrare il teorema possiamo evidentemente restringerci al caso di una fami-glia numerabile Tnα∈N. La dimostrazione si ottiene dimostrando che esiste una palla apertaBρ(z) ⊂ X, di raggio ρ > 0 e centro z ∈ X, su cui Tnn∈N e uniformemente limitata in x e n,cioe, esiste M ≥ 0 per il quale ||Tn(x)|| ≤ M per ogni n ∈ N e ogni x ∈ Bρ(z). Infatti, in talcaso si avrebbe, per ogni x ∈ Bρ(0):

||Tn(x)|| ≤ ||Tn(x+ z)||+ ||Tn(z)|| ≤ 2M , per ogni n ∈ N ,

dove abbiamo usato la decomposizione x = (x + z) − z. Pertanto avremmo che ||Tn|| ≤ 2M/ρper ogni n ∈ N, dimostrando la tesi.Proviamo, per assurdo, che Bρ(z) suddetta esiste davvero. Assumiamo che non esista alcunaBρ(z) con le proprieta suddette. Allora, per una palla aperta Br0(x0) fissata arbitrariamente,deve esistere x1 ∈ Br0(x0) per cui ||Tn1(x1)|| > 1, per qualche n1 ∈ N. Dato che Tn1 e continuo,possiamo trovare una seconda palla aperta Br1(x1) con Br1(x1) ⊂ Br0(x0) e con 0 < r1 < r0

tale che ||Tn1(x)|| ≥ 1 se x ∈ Bn1(x1). Questa procedura puo essere iterata all’infinito in mododa ottenere una successione di palle aperte in X, Brk(xk)k∈N, che soddisfano:

(i) Brk(xk) ⊃ Brk+1(xk+1),

(ii) rk → 0 per k → +∞,(iii) per ogni k ∈ N c’e un nk ∈ N tale che ||Tnk(x)|| ≥ k se x ∈ Bnk(xk).

Si verifica subito, che (i) e (ii) implicano che la successione xkk∈N deve essere di Cauchy.Per la completezza di X, esiste y ∈ ∩k∈NBnk(xk); d’altra parte, la condizione (iii) impli-ca che ||Tnk(y)|| ≥ k per ogni k ∈ N contraddicendo l’ipotesi che, per ogni x ∈ X, valesupn∈N ||Tnx|| < +∞. Abbiamo ottenuto un assurdo che conclude la dimostrazione. 2

Un immediato ed utile corollario del teorema di Banach-Steinhaus e il seguente.

Corollario 1. Nelle stesse ipotesi del teorema di Banach-Steinhaus la famiglia di operatoriTαα∈A e equicontinua ossia, per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che, per ogni coppia x, x′ ∈ X,se ||x− x′||X < δ allora ||Tαx− Tαx′|| < ε per ogni α ∈ A.

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Prova. Nel seguito Cγ := x ∈ X | ||x||X ≤ γ per ogni γ > 0. Fissiamo ε > 0, dobbiamotrovare il δ > 0 che soddisfa la proprieta scritta nella tesi. Per il teorema di Banach-Steinhaused usando la proposizione 2.1, ||Tαx||Y ≤ K < +∞ per ogni α ∈ A e x ∈ C1. Se K = 0 non c’enulla da provare, assumiamo pertanto K > 0. Scegliamo δ > 0 per cui Cδ ⊂ Cε/K . Con le sceltefatte, se ||x− x′||X < δ, vale K(x− x′)/ε ∈ CKδ/ε ⊂ C1 e quindi

||Tαx− Tαx′||Y = ||Tα(x− x′)||Y =ε

K||Tα

K(x− x′)ε

|| < ε

KK = ε ,

indipendentemente da α ∈ A. 2

Per introdurre altri due corollari del teorema di Banach-Steinhaus abbiamo bisogno di alcunenozioni topologiche.

Notazione 2.3. Se δ > 0 e p e una seminorma sullo spazio vettoriale X, sul campo K = C o R,e x ∈ X, indicheremo con Bp,δ(x) la palla aperta associata a p, centrata sul vettore x e di raggioδ:

Bp,δ(x) := z ∈ X | p(z − x) < δ .

Nel caso in cui x = 0 scriveremo semplicemente Bp,δ in luogo di Bp,δ(0). Se A ⊂ X, x ∈ X eβ ∈ K indicheremo l’insieme x+ βu | u ∈ A con la notazione

x+ βA := x+ βu | u ∈ A .

Si prova subito che le palle Bp,δ con δ > 0 sono insiemi convessi, cioe se x, y ∈ Bp,δ allora(1 − λ)x + λy ∈ Bp,δ per λ ∈ [0, 1], bilanciati (detti anche equilibrati), cioe λx ∈ Bp,δ sex ∈ Bp,δ e 0 ≤ λ ≤ 1, assorbenti, cioe ogni x ∈ X soddisfa λ−1x ∈ Bp,δ per qualche λ > 0.Queste proprieta sono invarianti per intersezione, per cui anche insiemi ottenuti intersecandopalle centrate nell’origine, ma ottenute da seminorme differenti, godono di tali proprieta.Se P := pii∈I e una famiglia di seminorme sullo spazio vettoriale X sul campo K = C o R, latopologia su X generata da P, T(P), e l’unica che ammette come base la classe degli insiemi

x+Bpi1 ,δ1 ∩ · · · ∩Bpin ,δn

per ogni scelta di x ∈ X, di n = 1, 2, . . ., degli indici i1, . . . , in ∈ I e dei numeri δ1 > 0, . . . δn > 0.Si dimostra facilmente che la topologia indotta come sopra da seminorme sullo spazio vettorialeX e compatibile con la struttura di spazio vettoriale, cioe le operazioni di somma e di prodottoper scalare risultano essere continue rispetto alla detta topologia. Ricordiamo che uno spaziovettoriale dotato di topologia compatibile con la struttura di spazio vettoriale e detto spaziovettoriale topologico. Quando la topologia di uno spazio vettoriale topologico e quella indottada una classe di seminorme, si dice che lo spazio vettoriale e uno spazio localmente convesso.E chiaro che nel caso generale la topologia indotta da una seminorma o da una classe di semi-norme P = pii∈I sullo spazio vettoriale X non sara di Hausdorff. Si vede facilmente che la

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proprieta di Hausdorff vale se e solo se ∩i∈Ip−1i (0) = 0, il secondo 0 essendo il vettore nullo di X.

In particolare cio accade se almeno una delle pi e una norma. Infine si prova facilmente che ognispazio vettoriale dotato di una topologia indotta da una classe finita o numerabile di seminormepnn∈I con la proprieta ∩n∈Ip−1

n (0) = 0 e metrizzabile, cioe e la stessa che si ottiene da unaopportuna distanza d : X × X → R+. In particolare, la topologia coincide con quella indottadalla distanza invariante per traslazioni

d(x, y) :=∑n∈I

12n

pn(x− y)1 + pn(x− y)

.

Uno spazio di Frechet e uno spazio X localmente convesso la cui topologia e di Hausdorff, eindotta da una classe finita o numerabile di seminorme, e, come spazio metrico, X e completo2.Questi spazi, di cui non ci occuperemo molto a causa del livello elementare di questo libro so-no di fondamentale importanza nella fisica teorica e matematica per quanto concerne le teoriequantistiche. Ovviamente ogni spazio di Banch e un caso elementare di spazio di Frechet.

Ricordiamo che in uno spazio topologico X, una successione di punti xnn∈N ⊂ X e detta con-vergere a x ∈ X quando: per ogni aperto A 3 x esiste NA ∈ N tale che xn ∈ A se n > NA. Siprova facilmente che:

Proposizione 2.2. Una successione xnn∈N ⊂ X converge a x0 ∈ X nella topologia T(P) se esolo se, per ogni pi ∈ P, pi(xn)→ pi(x0) quando n→ +∞.

E chiaro che se la classe P si riduce ad un unico elemento dato da una norma, la topologiaindotta da P e la solita topologia metrica indotta da una norma.

Con la nozione introdotta sopra di topologia indotta da una classe di seminorme si possonodefinire alcune topologie “standard” su L(X,Y), B(X,Y) e sul duale X′: una di queste topologie(e la corrispondente sul duale) la conosciamo gia perche e quella indotta dalla norma operatoriale.

Definizione 2.8. Siano X,Y spazi normati sullo stesso campo K = C o R.(a) Si definiscono su L(X,Y) e B(X,Y) le seguenti topologie operatoriali.

(i) La topologia indotta su L(X,Y) (ovvero B(X,Y)) dalla classe di tutte le seminorme definitecome, se T ∈ L(X,Y) (rispettivamente B(X,Y),

px,f (T ) := |f(T (x))|

per ogni x ∈ X e f ∈ Y′, che e detta topologia debole su L(X,Y) (rispettivamente B(X,Y));(ii) La topologia indotta su L(X,Y) (ovvero B(X,Y)) dalla classe di tutte le seminorme

definite come, se T ∈ L(X,Y) (rispettivamente B(X,Y)),

px(T ) := ||T (x)||Y2Si prova facilmente che una successione di Cauchy rispetto alla distanza di uno spazio localmente compatto

metrizzabile e tale se e solo se e di Cauchy rispetto ad ogni seminorma della classe generante la topologia, diconseguenza tale nozione non dipende dalla distanza usata (che puo non essere unica) per generare la topologia.

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per ogni x ∈ X, che e detta topologia forte su L(X,Y) (rispettivamente B(X,Y));(iii) La topologia indotta su B(X,Y) dalla norma operatoriale (2.6) e detta topologia uni-

forme su B(X,Y).(b) Se Y = K, la topologia uniforme definita in (iii) prende il nome di topologia (duale) fortee le topologie debole e forte definite in (i) e (ii), che risultano coincidere, prendono il nome ditopologia ∗-debole.

Note.(1) Si prova facilmente che la topologia forte e piu forte di quella debole (cioe gli aperti dellatopologia debole sono aperti anche nella topologia forte). Nello stesso modo si prova facilmenteche la topologia uniforme e piu forte della topologia forte. Per gli spazi duali vale ovviamentel’analoga proprieta: la topologia forte e piu forte della topologia ∗-debole.(2) Data una successione di operatori Tn ⊂ L(X,Y) (o B(X,Y)) e un operatore T ∈ L(X,Y)(o rispettivamente B(X,Y)), si prova facilmente che:Tn → T nella topologia debole, se e solo se

f(Tn(x))→ f(T (x))

per ogni scelta di x ∈ X e f ∈ Y′.Nello stesso modo, si prova facilmente che:Tn → T nella topologia forte se e solo se

||Tn(x)− T (x)||Y → 0

per ogni scelta di x ∈ X.E chiaro che la convergenza di una successione di operatori di B(X,Y) in senso uniforme (cioerispetto alla topologia uniforme) implica la convergenza della stessa successione in senso forte(cioe rispetto alla topologia forte).Similmente, la convergenza di una successione di operatori di L(X, ,Y) o B(X,Y) in senso forteimplica la convergenza della stessa successione in senso debole (cioe rispetto alla topologia de-bole).(3) Data una successione di funzionali fn ⊂ X′ e un funzionale f ∈ X′ , si prova facilmenteche:fn → f nella topologia ∗-debole se e solo se

fn(x)→ f(x)

per ogni scelta di x ∈ X.E chiaro che la convergenza di una successione di funzionali di X′ in senso forte (cioe rispettoalla topologia duale forte) implica la convergenza della stessa successione in senso ∗-debole (cioerispetto alla topologia ∗-debole).

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Notazione 2.4. Per denotare i limiti rispetto alle topologie forti e deboli solitamente si usanole seguenti convenzioni notazionali, che adotteremo anche in questo testo.

T = s- limTn

significa che T e il limite nella topologia forte della successione di operatori Tn. La stessanotazione si usa nel caso in cui gli operatori coinvolti siano funzionali e la topologia e quelladuale forte.

T = w- limTn

significa che T e il limite nella topologia debole della successione di operatori Tn.

f = w∗- lim fn

significa che f e il limite nella topologia ∗-debole della successione fn.

Le nozioni topologiche acquisite permettono di provare altri due rilevanti corollari del teoremadi Banach-Steinhaus.Sappiamo gia che se X e uno spazio normato allora X′ e completo rispetto alla topologia dualeforte come provato in (ii) di (c) del teorema 2.3. Si puo provare che la completezza sussisteanche rispetto alla topologia ∗-debole purche X sia spazio di Banach.

Corollario 2. Se X e uno spazio di Banach sul campo K = C o R, allora X′ e completo ancherispetto alla topologia ∗-debole. In altre parole se fn ⊂ X′ e tale che fn(x) e una successionedi Cauchy per ogni x ∈ X, allora esiste f ∈ X′ tale che f = w∗-limfn.

Prova. Il campo di X e completo per ipotesi, di conseguenza, per ogni x ∈ X esistera f(x) ∈ Kcon fn(x)→ f(x). E immediato verificare che f : X 3 x 7→ f(x) definisce un funzionale lineare.Per concludere la dimostrazione proviamo che f e continuo. Per ogni x ∈ X, fn(x) e limitata(perche di Cauchy) per cui, dal teorema di B-S, |fn(x)| ≤ K < +∞ per ogni x ∈ X con ||x|| ≤ 1.Facendo il limite a n→ +∞ segue che |f(x)| ≤ K se ||x|| ≤ 1 da cui ||f || ≤ K < +∞ e pertanto,dal teorema 2.2, f e continuo. 2

Corollario 3. Sia X uno spazio normato sul campo C o R. Se S ⊂ X e debolmente limitato,cioe per ogni f ∈ X′ esiste c(f) ≥ 0 tale che |f(x)| ≤ c(f) per ogni x ∈ S, allora S e limitatorispetto alla norma di X.

Prova. Consideriamo gli elementi x ∈ S ⊂ X come funzionali del duale di X′, (X′)′ facendouso della trasformazione isometrica I : X → (X′)′ definita nel corollario 3 al teorema di Hahn-Banach. La famiglia di funzionali su X′, S ⊂ (X′)′ e limitata su ogni f ∈ X′ per ipotesi essendo(scriviamo x in luogo di I(x)) |x(f)| = |f(x)| ≤ c(f). Dato che X′ e completo possiamo applicareil teorema di B-S concludendo che sup|x(f)| | ||f || = 1 ≤ K < +∞ per ogni x ∈ S ossia(essendo I un’isometria) ||x|| ≤ K < +∞ per ogni x ∈ S. 2

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2.3.3 Il teorema dell’applicazione aperta e dell’operatore inverso continuodal Teorema di Baire.

Concludiamo la sezione con l’ultimo importante teorema generale, quello dell’applicazione aper-ta, che avra come conseguenza il teorema dell’operatore inverso continuo.Per provare tali teoremi vogliamo introdurre il minimo indispensabile della teoria degli spazidi Baire. Ricordiamo che un sottoinsieme S di uno spazio topologico X si dice ovunque nondenso (nowhere dense), quando la sua chiusura S ha interno vuoto.Un insieme S ⊂ X, con X spazio topologico, e detto insieme di prima categoria o anche in-sieme magro (meager set), se e ottenibile come l’unione di una classe numerabili di insiemiovunque non densi. Un insieme S ⊂ X, con X spazio topologico, e detto insieme di seconda ca-tegoria o anche insieme non magro se non e di prima categoria. Risultano immediatamentei seguenti risultati.(1) L’unione numerabile di insiemi di prima categoria e ancora di prima categoria.(2) Se h : X → X′ e un omeomorfismo di spazi topologici S ⊂ X e di prima (seconda) categoriase e solo se h(S) e di prima (risp. seconda) categoria.(3) Se A ⊂ B ⊂ X e B e di prima categoria nello spazio topologico X, allora A e di primacategoria.(4) Se B ⊂ X e un insieme chiuso dello spazio topologico X e Int(B) = ∅, allora B e di primacategoria in X. Vale infine l’importante teorema di Baire.

Teorema di Baire. Sia X uno spazio metrico completo (in particolare uno spazio di Banach).Se Unn∈N e una collezione numerabile di sottoinsiemi aperti e densi di X, allora ∩n∈NUn edenso in X.Di conseguenza X e di seconda categoria.

Prova. Sia A ⊂ X un insieme aperto e x ∈ A. Se fosse U0 ∩ A = ∅, avremmo che x ammetteun intorno aperto di che non interseca U0 che, di conseguenza, non potrebbe essere denso in X.Quindi U0 ∩A e un aperto (in quanto intersezione di aperti) non vuoto. Esiste allora una pallaaperta Br0(x0) di raggio r0 > 0 e centro x0 ∈ X tale che Br0(x0) ⊂ U0 ∩A. Possiamo ripetere laprocedura usando Br0(x0) al posto di A, U1 al posto di U0, e trovando una nuova palla apertaBr1(x1) con Br1(x1) ⊂ U1 ∩Br0(x0).Iterando la procedura, possiamo costruire una classe numerabile di palle aperte Brn(xn), diraggi rn, con n ∈ N e 0 < rn < 1/n, tali che Brn(xn) ⊂ Un ∩ Brn−1(xn−1). Dato chexn ∈ Brm(xm) quando m ≥ n, la successione xnn∈N deve essere di Cauchy. Essendo Xcompleto, xn → x per qualche x ∈ X se n → +∞. Per costruzione, per ogni n ∈ N,x ∈ Brn−1(xn−1) ⊂ Brn(xn) ⊂ · · · ⊂ U0 ∩ A ⊂ A. Concludiamo che vale x ∈ A e x ∈ Unper ogni n ∈ N e pertanto (∩n∈NUn) ∩ A 6= ∅ per ogni sottoinsieme aperto A ⊂ X. Di conse-guenza ∩n∈NUn e denso in X, dato che interseca ogni intorno aperto di ogni elemento di X.Passiamo al secondo asserto. Supponiamo ora che Ekk∈NX sia una collezione numerabile diinsiemi Ek ⊂ X ovunque non densi. Se Vk e il complemento di Ek, per ogni k ∈ N, Vk deve essereaperto e denso in X. La prima parte del teorema dimostra che ∩k∈NVn 6= ∅ e quindi, prendendo

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il complemento X 6= ∪k∈NEk ed, a maggior ragione, X 6= ∪k∈NEk. Per cui X non e di primacategoria ed e dunque di seconda categoria. 2

Nota. Il teorema di Baire, vale anche nel caso in cui X sia uno spazio topologico di Hausdorfflocalmente compatto. La dimostrazione della prima parte e simile alla della prima parte delcaso dello spazio metrico completo [Rud91], la seconda e identica.

Teorema dell’applicazione aperta (di Banach-Schauder). Siano X e Y due spazi diBanach sullo stesso campo C o R e sia B1(0) ⊂ X la palla aperta di raggio 1 e centrata in 0.Per ogni T ∈ B(X,Y) suriettivo esiste una palla aperta, Bδ(0) ⊂ Y, centrata nell’origine e diraggio δ > 0, tale che:

T (B1(0)) ⊃ Bδ(1) . (2.16)

Nota. Il nome del teorema e dovuto al seguente fatto evidente. (2.16) e la linearita di T im-plicano che l’immagine secondo T di qualunque palla aperta Bε(x) = x + εB1(0) centrata inqualunque punto x ∈ X, contiene la palla aperta di Y centrata in Tx: Bδε(0) := Tx + εBδ(0)(per δ > 0 sufficientemente piccolo). Quindi l’immagine secondo T di un qualsiasi aperto diX, A = ∪x∈ABεx(x) risulta essere un aperto di Y: T (A) = ∪x∈ABδεx (Tx). In altre parole, lafunzione T e aperta.

Prova del Teorema dell’applicazione aperta. Seguiremo essenzialmente la dimostrazione piu generaledi questo teorema data in [Rud91] per spazi localmente convessi, specializzandola al caso in esa-me. Definiamo la palla aperta Bn := B2−n1(0), di raggio 2−n e centrata nell’origine. Proveremoche esiste un intorno aperto W dell’origine di Y tale che:

W ⊂ T (B1) ⊂ T (B0) . (2.17)

Questo risultato implica immediatamente la tesi.Per provare (2.17), notiamo che, come si prova facilmente da B1 ⊃ B2 − B2, dalla linearita econtuinuita di T :

T (B1) ⊃ T (B2)− T (B2) ⊃ T (B2)− T (B2) . (2.18)

La prima inclusione di (2.17) risulta quindi essere vera se T (B2) ha interno non vuoto. Perprovare che Int(T (B2)) 6= ∅, notiamo che, nelle nostre ipotesi:

Y = T (X) =+∞⋃k=1

kT (B2) , (2.19)

dal momento che B2 e un intorno aperto di 0. Dato che Y e di seconda categoria, almeno unodei kT (B2) deve essere di seconda categoria (se fossero tutti di prima categoria, Y sarebbe diprima categoria e questo non puo accadere per il teorema di Baire). Dato che y 7→ ky e unomeomorfismo da Y a Y, T (B2) deve essere di seconda categoria in Y. Concludiamo che lachiusura di T (B2) ha interno non vuoto. Questo prova la prima inclusione in (2.17).

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Per provare la seconda inclusione in (2.17), usiamo una successione di elementi yn ∈ Y costruitainduttivamente come segue. Fissiamo y1 ∈ T (B1). Assumiamo quindi n ≥ 1 e che yn sia statoscelto in T (Bn) e vogliamo definire yn+1. Quello che abbiamo provato per V1 vale nello stessomodo per Vn+1, in modo tale che T (Bn+1) contiene un intorno aperto dell’origine. Allora:

yn − T (Bn+1)∩ T (Bn) 6= ∅ . (2.20)

Questo implica che esiste xn ∈ Bn tale che:

T (xn) ∈ yn − T (Bn+1) . (2.21)

Definiamo allora: yn+1 := yn − Txn. Si noti che yn+1 ∈ T (Bn+1), e la costruzione induttivaprocede in questo modo ad ogni passo.Dato che ||xn|| < 2−n, per n = 1, 2, . . ., la somma x1 + · · ·+xn forma una successione di Cauchyche converge a qualche x ∈ X, per la completezza di X, e vale ||x|| < 1. Quindi x ∈ B0. Dalmomento che:

m∑n=1

Txn =m∑n=1

(yn − yn+1) = y1 − ym+1 , (2.22)

e dato che ym+1 → 0 per m → +∞ (per continuita di T ), concludiamo che y1 = Tx ∈ T (B0).Dato che y1 era un generico elemento di T (B1), questo risultato dimostra la seconda inclusionein (2.17) e conclude la dimostrazione. 2

La conseguenza elementare piu importante del teorema dell’applicazione aperta e sicuramenteil Teorema di Banach dell’operatore inverso nel caso di spazi di Banach (esiste una versione cheusa solo l’ipotesi di spazi vettoriali dotati di metrica e completi).

Corollario 1 (Teorema di Banach dell’operatore inverso). Siano X e Y due spazi diBanach sullo stesso campo C o R. Se T ∈ B(X,Y) e iniettivo e suriettivo, allora valgono iseguenti due fatti.(a) T−1 : Y → X e un operatore limitato cioe T−1 ∈ B(Y,X).(b) Esiste c > 0 tale che:

||Tx|| ≥ c||x|| , per ogni x ∈ X. (2.23)

Prova. (a) Il fatto che T−1 sia lineare e di immediata verifica. Bisogna solo provare che T−1

e continuo. Essendo T aperta, la controimmagine di un aperto di X secondo T−1 e un aperto,quindi T−1 e continua. (b) Dato che T−1 e limitata, esiste K ≥ 0 tale che ||T−1y|| ≤ K||y||per ogni y ∈ Y. Notare che K > 0, altrimenti varrebbe T−1 = 0 e di conseguenza T−1 e T nonsarebbero biettive. Per ogni x ∈ X definiamo y = Tx. Sostituendo in ||T−1y|| ≤ K||y|| troviamola (2.23) ponendo c = 1/K. 2

Per concludere passiamo a dimostrare un utilissimo teorema in teoria degli operatori chiamatoil teorema del grafico chiuso.

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Notazione 2.5. Se ∅ 6= K1, . . . ,Kn ⊂ X, con X spazio vettoriale, < K1, · · · ,Kn > denota ilsottospazio vettoriale di X generato dagli insiemi Ki cioe il sottospazio di X contenente tutte lecombinazioni lineari (finite) di elementi degli insiemi Ki. Se K ⊂ X e ∅ 6= K1, . . . ,Kn ⊂ X sonosottospazi, K = K1⊕ · · · ⊕Kn significa che K e somma diretta degli spazi Ki. In altre parolevale che K =< K1, · · · ,Kn > e Ki ∩Kj = 0 per ogni coppia di indici i, j con i 6= j, ovveroequivalentemente, ogni vettore di K puo essere decomposto in maniera unica come una sommadi vettori degli spazi Ki.

Per dimostrare il teorema abbiamo bisogno di alcuni risultati preliminari. Prima di tutto notiamoche se (X, NX) e (Y, NY) sono spazi normati sullo stesso campo K = C o R, possiamo considerarelo spazio vettoriale S costituito sul prodotto cartesiano X×Y definendo le operazioni di prodottoper scalare e somma di vettori come: α(x, y) = (αx, αy) e (x, y) + (x′, y′) = (x + x′, y + y′). Echiaro che X e Y si identificano naturalmente con due sottospazi di S, che indicheremo ancoracon X e Y rispettivamente, e che vale S = X ⊕ Y. S e dotato naturalmente della topologiaprodotto indotta da quella dei fattori X e Y.(Ricordiamo che la topologia prodotto su uno spazio vettoriale prodotto X = ×α∈AXα e la menoforte topologia per cui tutte le proiezioni canoniche Πα : X→ Xα sono continue. Nel caso di unnumero finito di fattori (come nel caso considerato), tale topologia ammette come base di apertii prodotti cartesiani di tutte le palle aperte negli spazi Xα.)Le operazioni della struttura di spazio vettoriale di S sono continue rispetto alla topologiaprodotto di X e Y.La topologia prodotto di S e normabile: cioe esiste un norma su S la cui topologia metricaassociata e proprio la topologia prodotto di S. Tale norma e definita come

||(x, y)|| := maxNX(x), NY(y) per ogni (x, y) ∈ X⊕ Y . (2.24)

Il fatto che questa norma generi la stessa topologia generata dai prodotti delle palle metriche diX e Y si prova come segue. Consideriamo l’intorno aperto di (x0, y0) dato dal prodotto di duepalle aperte Bδ(x0)×Bµ(y0) rispettivamente in X e Y. La palla aperta di X⊕Y centrata ancorain (x0, y0):

(x, y) ∈ X× Y | ||(x, y)− (x0, y0)|| < minδ, µ

e contenuta in Bδ(x0) × Bµ(y0). Viceversa, il prodotto Bδ(x0) × Bδ(y0) che contiene il punto(x0, y0) e incluso nella palla metrica centrata in (x0, y0)

(x, y) ∈ X× Y | ||(x, y)− (x0, y0)|| < ε ,

se ε > δ. Questo conclude la prova perche ne segue che ogni unione di prodotti di palle metrichedi X e Y e anche unione di palle metriche di X⊕ Y ed ogni unione di palle metriche di X⊕ Y eanche unione di prodotti di palle metriche di X e Y. Quindi le due topologie coincidono.Si prova immediatamente che (X⊕Y, || ||) e uno spazio di Banach se sono tali (X, NX) e (Y, NY).(Questo fatto implica, in base alla proposizione 2.3 della prossima sezione, che qualunque normache generi la topologia prodotto rende X⊕Y spazio di Banach.) Sia infatti (xn, yn) una succes-sione di Cauchy in X⊕Y, allora xn e yn risultano essere di Cauchy in X e Y rispettivamente

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dalla stessa definizione di norma su X ⊕ Y data sopra. Siano x ∈ X e y ∈ Y i limiti di questedue successioni che esistono essendo X e Y spazi di Banach. Quindi, se ε > 0 esistono Nx e Ny

interi positivi tali che, se n > maxNx, Ny allora

||(x, y)− (xn, yn)|| < ε ,

e quindi (xn, yn)→ (x, y) per n→ +∞ nella topologia indotta dalla norma di X⊕Y. Tale spazioe quindi spazio di Banach.

Definizione 2.9. Siano X,Y spazi normati sullo stesso campo C o R. T ∈ L(X,Y) e dettochiuso se il grafico dell’operatore T , cioe il sottospazio G(T ) := (x, Tx) | x ∈ X ⊂ X⊕ Y, echiuso nella topologia prodotto. In altre parole T e chiuso quando per ogni successione xn ⊂ Xtale che xn e Txn convergono in X e Y rispettivamente, limn→∞ T (xn) = T (limn→∞ xn).

Possiamo enunciare e dimostrare il teorema dell’operatore chiuso o grafico chiuso.

Corollario 2 (Teorema dell’operatore chiuso o del grafico chiuso). Siano X,Y spazi diBanach sullo stesso campo K = C o R e sia T : X → Y un operatore lineare. T e limitato se esolo se e chiuso.

Prova. Se T e limitato allora e banalmente chiuso. Si supponga quindi che T sia chiuso e mostria-mo che e limitato. Consideriamo l’applicazione lineare biettiva M : G(T ) 3 (x, Tx) 7→ x ∈ X.G(T ) e per ipotesi un sottospazio chiuso nello spazio di Banach X⊕Y per cui e a sua volta unospazio di Banach rispetto alla restrizione della norma || || (2.24). Dalla definizione di tale normatroviamo che vale banalmente ||M(x, Tx)||X = ||x||X ≤ ||(x, Tx)||G(T ) per cui M e limitato. Peril teorema dell’inverso limitato di Banach M−1 : X → G(T ) ⊂ X ⊕ Y e limitato. Dato che laproiezione canonica di ΠY : X ⊕ Y → Y e continua nella topologia prodotto, concludiamo chel’applicazione lineare ΠY M−1 : x 7→ Tx per ogni x ∈ X e continua ossia limitata. 2

2.4 Proiettori.

Introduciamo, usando il teorema del grafico chiuso, la nozione e le proprieta elementari di al-cuni operatori continui detti proiettori. La nozione di proiettore giochera il ruolo centrale nellaformulazione della Meccanica Quantistica quando lo spazio normato sara uno spazio di Hilbert.

Definizione 2.10 Sia (X, || ||) spazio normato sul campo C o R. P ∈ B(X) e detto proiettorese e idempotente, cioe se

PP = P . (2.25)

M := P (X) e detto spazio di proiezione di P e si dice anche che P proietta su M.

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I proiettori sono naturalmente associati ad una decomposizione diretta dello spazio ambiente Xin una coppia di sottospazi chiusi.

Proposizione 2.4. Sia P ∈ B(X) un proiettore sullo spazio normato (X, || ||). Vale quantosegue.(a) Se Q : X→ X e l’applicazione lineare che soddisfa

Q+ P = I , (2.26)

Q e proiettore ePQ = QP = 0 , (2.27)

dove 0 e l’operatore nullo (quello che trasforma nel vettore 0 ogni vettore di X).(b) Gli spazi di proiezione M := P (X) ed N := Q(X) sono sottospazi chiusi di X e vale

X = M⊕ N . (2.28)

Prova. (a) Q e continuo perche somma di operatori continui, QQ = (I − P )(I − P ) = I − 2P +PP = I − 2P + P = I − P = Q. PQ = P (I − P ) = P − PP = P − P = O, (I − P )P =P − PP = P − P = O.(b) Se P (xn)→ y per n→ +∞ allora, dalla continuita di P : PP (xn)→ P (y). Per (2.25) questosi scrive P (xn) → P (y) da cui y = P (y) per l’unicita del limite (essendo X di Hausdorff). Indefinitiva y ∈ M implica y ∈ M(⊂ M) per cui M = M ed M e dunque un insieme chiuso. Con lostesso ragionamento si prova che N e chiuso. Il fatto che M ed N siano sottospazi e immediataconseguenza della linearita di P e Q rispettivamente. Sia ora x ∈ X, dalla definizione di Q vale

x = P (x) +Q(x) ,

di conseguenza X =< M,N >. Per concludere basta provare che M ∩ N = 0. Se x ∈ M,Nallora x = P (x) e x = Q(x) per (2.25): per es. se x ∈ M allora x = Pz per qualche z ∈ X, maallora Px = PPz = Pz = x. Applicando Q alla identita x = Px e tenendo conto di x = Qx siha: x = Q(x) = QP (x). Ma QP (x) = 0 per (2.27). Abbiamo ottenuto che x ∈ M ∩N implicax = 0 che e quanto volevamo provare. 2

Il teorema del grafico chiuso prova che la proposizione 2.4 puo essere invertita come segue, as-sumendo l’ulteriore ipotesi che lo spazio ambiente sia di Banach.

Proposizione 2.5. Sia (X, || ||) spazio di Banach e M,N ⊂ X due sottospazi chiusi tali cheX = M ⊕ N. Si considerino le applicazioni P : X → M e Q : X → N che associano a x ∈ M irispettivi elementi di M ed N secondo la decomposizione diretta X = M⊕ N. Allora vale quantosegue.(a) P e Q sono proiettori che proiettano rispettivamente su M ed N.

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(b) Valgono le identita (2.26) e (2.27).

Prova. Per ipotesi, se x ∈ X allora vale la decomposizione x = uM + uN con uM ∈ M e un ∈ Ne tale decomposizione e l’unica possibile rispetto a tale coppia di sottospazi. L’unicita ed ilfatto che M ed N sono rispettivamente chiusi per combinazioni lineari implicano che le funzioniP : x 7→ uM e Q : x 7→ uN siano lineari e che valga PP = P e QQ = Q. Si noti anche cheP (X) = M e Q(X) = N per costruzione e che (2.26) vale in quanto X =< M,N >, mentre (2.27)vale perche M ∩ N = 0. Per concludere la dimostrazione bisogna solo provare che P e Qsono continui. Mostriamo che P e chiuso, il teorema dell’operatore chiuso implica allora che Pe continuo. La dimostrazione per Q e analoga. Sia xn ⊂ X una successione che converge ax ∈ X e tale che Pxn converge anch’essa ad un elemento di X. Dobbiamo provare che

Px = limn→+∞

Pxn .

Dato che N e chiuso:

N 3 Qxn = xn − Pxn → x− limn→+∞

Pxn = z ∈ N .

Abbiamo ottenuto chex = lim

n→+∞Pxn + z ,

con z ∈ N ma anche limn→+∞ Pxn ∈ M perche M e chiuso e Pxn ∈ M per ogni n. D’altra partesappiamo che vale anche

x = Px+Qx

Per l’unicita della decomposizione di x come somma di vettori in N ed M deve essere

Px = limn→+∞

Pxn

e z = Qx, quindi l’operatore P e chiuso ed e pertanto continuo. 2

2.5 Norme equivalenti.

Un’interessante applicazione del teorema dell’operatore inverso di Banach e un criterio per sta-bilire quando due norme sullo stesso spazio vettoriale, che risulta essere completo per entrambe,sono associate alla stessa topologia. Introduciamo qualche nozione prima di enunciare il criteriodetto nella proposizione 2.6.Concluderemo il capitolo con la dimostrazione del fatto che tutte le norme sugli spazi vettorialidi dimensione finita sono equivalenti e rendono tali spazi spazi di Banach.

Definizione 2.11. Due norme N1 e N2 sullo stesso spazio vettoriale X (su C o R) si diconoequivalenti se esistono due costanti c, c′ > 0 tali che:

cN2(x) ≤ N1(x) ≤ c′N2(x) , per ogni x ∈ X. (2.29)

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Osservazioni.(1) Si osservi che (2.29) e equivalente all’analoga disuguaglianza che si ottiene scambiando N1

con N2 e sostituendo c, c′ con 1/c′, 1/c rispettivamente.(2) Si prova immediatamente che se uno spazio normato e completo allora e tale ogni altrospazio normato sullo stesso spazio vettoriale dotato di una norma equivalente.(3) Se due norme sullo stesso spazio sono equivalenti allora generano la stessa topologia. Laproposizione di sotto prova che vale anche il viceversa.(4) Nello spazio delle norme su un fissato spazio vettoriale, la nozione di norma equivalentedefinisce una relazione di equivalenza. La prova di cio e immediata dalle definizioni date.

Proposizione 2.6. Sia X uno spazio vettoriale su C o R. Le norme N1 e N2 su X sono equiva-lenti se e solo se l’applicazione identica I : (X, N2) 3 x 7→ x ∈ (X, N1) e un omeomorfismo (cheequivale a dire che le topologie metriche generate dalle due norme coincidono).

Prova. Bisogna solo dimostrare che se I e omeomorfismo allora le norme sono equivalenti. L’al-tra implicazione e ovvia dalla definizione di norme equivalenti. Se I e un omeomorfismo allora econtinuo nell’origine e quindi, in particolare, la palla metrica rispetto alla norma N1 di raggio 1e centrata in 0 deve contenere completamente una palla aperta rispetto alla norma N2 centratain 0 di raggio δ > 0 sufficientemente piccolo. Ossia N2(x) ≤ δ ⇒ N1(x) < 1. In particolare, perx 6= 0, N2(δx/N2(x)) ≤ δ per cui: N1(δx/N2(x)) < 1 ossia δN1(x) ≤ N2(x). Per x = 0 valebanalmente l’uguaglianza. Abbiamo provato che esiste c′ = 1/δ > 0 per cui N1(x) ≤ c′N2(x) perogni x ∈ X. L’altra parte della (2.29) si prova analogamente scambiando il ruolo dei due spazi. 2

Proposizione 2.7. Sia X uno spazio vettoriale su C o R. Si supponga che X sia spazio diBanach rispetto ad entrambe le norme N1, N2. Se esiste c > 0 tale che, per ogni x ∈ X:

cN2(x) ≤ N1(x)

allora le due norme sono equivalenti.

Prova. Si consideri la funzione identita I : x 7→ x. Tale funzione e lineare e continua quan-do la pensiamo come I : (X, N1) → (X, N2) perche N2(x) ≤ (1/c)N1(x) per ogni x ∈ X. Peril punto (b) nella tesi del teorema di Banach della funzione inversa esistera c′ > 0 tale cheN1(x) ≤ c′N2(x) per ogni x ∈ X. N1 e N2 soddisfano allora la (2.29). 2

Come ultima proposizione diamo il seguente importante risultato, che vale anche per spazi realiscambiando C con R usando la stessa dimostrazione.

Proposizione 2.8. Tutte le norme su uno spazio vettoriale X sul campo C di dimensione finitaassegnata sono tra di loro equivalenti ed ognuna di esse definisce una struttura di spazio di Ba-nach su X.

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Prova. E chiaro che possiamo ridurci a studiare il caso dello spazio Cn, visto che ogni spaziovettoriale complesso di dimensione finita n e isomorfo a Cn. Come conseguenza delle osservazioni(2) e (4) di sopra, e sufficiente provare che ogni norma su Cn e equivalente alla norma standard.Si tenga conto del fatto, noto dall’analisi elementare, che Cn con la norma standard e completo.Sia N una norma su Cn e sia e1, · · · , en la base canonica di Cn. Se x =

∑i xiei e y =

∑i yiei

sono elementi generici di Cn, dalla proprieta di positivita (N0), dalla disuguaglianza triangolare(N2) e dalla proprieta di omogeneita (N1) della definizione di norma:

0 ≤ N(x− y) ≤n∑i=1

|xi − yi|N(ei) ≤ Qn∑i=1

|xi − yi| ,

dove Q :=∑iN(ei). D’altra parte vale banalmente, se || · || e la norma standard su Cn

|xj − yj | ≤Max|xi − yi| | i = 1, 2, · · · , n ≤

Ìn∑i=1

|xi − yi|2 = ||x− y|| ,

da cui0 ≤ N(x− y) ≤ nQ||x− y|| .

Questo prova che N e continua rispetto alla topologia della norma standard. Se S := x ∈Cn | ||x|| = 1 e N ′ e una seconda norma su Cn, che quindi sara continua rispetto alla topologiadella norma standard, la funzione

S 3 x 7→ f(x) :=N(x)N ′(x)

sara continua perche rapporto di funzioni continue con denominatore mai nullo. Dato che S ecompatto nella topologia della norma standard, esisteranno il minimo m ed il massimo M di f .In particolare M ≥ m > 0 perche N,N ′ sono strettamente positive su S e i valori m,M sonoassunti da f per opportuni vettori xm, xM in S. Per costruzione:

mN ′(x) ≤ N(x) ≤MN ′(x) , per ogni x ∈ S .

Questa disuguaglianza vale in realta per ogni vettore x ∈ Cn come ora proviamo. Si puosempre scrivere x = λx0 con x0 ∈ S e λ ≥ 0, quindi moltiplicando per λ ≥ 0 i termini delladisuguaglianza di sopra valutata in x0 si ha

mλN ′(x0) ≤ λN(x0) ≤MλN ′(x0) .

Usando infine la proprieta N1 delle norme per λ = |λ| si ottiene mN ′(x) ≤ N(x) ≤MN ′(x) perogni x ∈ Cn. Scegliendo N ′ := || · || si conclude che ogni norma su Cn e equivalente a quellastandard. 2

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Capitolo 3

Spazi di Hilbert ed operatorilimitati.

In questa sezione introdurremo alcune prime nozioni matematiche relative agli spazi di Hilbertche ci serviranno per dare un fondamento matematico alla MQ.Una parte importante del capitolo sara dedicata alla nozione di base hilbertiana (detta anchesistema ortonormale completo), che tratteremo nel modo piu generale possibile non assumendola separabilita dello spazio di Hilbert. Prima di tale nozione enunceremo e proveremo il teoremapiu importante della teoria degli spazio di Hilbert: il teorema della rappresentazione di Riesz,che prova che esiste un anti isomorfismo naturale tra uno spazio di Hilbert ed il suo duale topo-logico. Tale discussione consentira di accennare brevemente alla nozione di spazio riflessimo.La terza parte del capitolo, sara dedicata ad introdurre e studiare la nozione di operatore ag-giunto (nel caso di operatori limitati), introdotto tramite ol teorema di Riesz, e tutte le suefondamentali conseguenze nella teoria degli operatori limitati. Introdurremo in particolare lanozione di C∗ algebra (di operatori ed in senso astratto, e nelle esemplificazioni presenteremola struttura di algebra di von Neumann citando il celebre teorema del doppio commutante). Intale sezione introdurremo le classi degli operatori autoaggiunti, unitari e normali, discutendonele loro proprieta elementari.La quarta sezione sara interamente dedicata alla nozione di proiettore ortogonale e delle pro-prieta piu importanti di tali tipi di operatori. La struttura di reticolo ortocoplementato sara analizzatasuccessivamante.La penultima sezione sara dedicata all’importante teorema di decomposizione polare per opera-tori limitati definiti su tutto lo spazio di Hilbert. Come strumento tecnico, sara introdotta lanozione di radice quadrata positiva di un operatore limitato. I teoremi presentati sono dimostratiindipendentemente dal teorema spettrale che sara provato successivamente.L’ultima sezione riguarda la teoria elementare della trasformata di Fourier e di Fourier-Plancherel,che introdurremo in modo molto rapido e conciso, senza fare riferimento alla teoria delle distri-buzioni di Schwartz. Negli esempi finali sara menzionato il teorema di Paley-Wiener, che sara poiusato per costruire basi Hilbertiane nelgli spazi L2.

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3.1 Nozioni elementari, teorema di Riesz e riflessivita.

Definizione 3.1. Se X e uno spazio vettoriale sul campo complesso, un’applicazione S : X×X→C si dice prodotto scalare (hermitiano) e (X, S) spazio con prodotto scalare quando Ssoddisfa:

H0. S(u, u) ≥ 0 per ogni u ∈ X;H1. S(u, αv + βw) = αS(u, v) + βS(u,w) per ogni α, β ∈ C e u, v, w ∈ X;H2. S(u, v) = S(v, u) per ogni u, v ∈ X;H3. S(u, u) = 0 ⇒ u = 0, per ogni u ∈ X.

Se valgono H0, H1, H2 ma non necessariamente H3, S si dice semi-prodotto scalare.Nello spazio vettoriale X con (semi-)prodotto scalare hermitiano S, vettori u, v ∈ X si diconoortogonali se:

S(u, v) = 0 .

In tal caso si dice anche che u e ortogonale, o equivalentemente normale, a v e v e ortogo-nale, o equivalentemente, normale a u.Se ∅ 6= K ⊂ X, lo spazio ortogonale aK, K⊥, e l’insieme dei vettori di X ortogonali a ciascunelemento di K.

Note.(1) H1 e H2 implicano insieme che S e antilineare nel primo argomento:

S(αv + βw, u) = αS(v, u) + βS(w, u)

per ogni α, β ∈ C e u, v, w ∈ X.(2) Dalla H2 segue che u e ortogonale a v se e solo se v e ortogonale a u, per cui la definizionedi ortogonalita e ben posta.(3) Si verifica immediatamente che K⊥ e un sottospazio vettoriale di X per la proprieta H1,per cui il termine spazio ortogonale e appropriato.

Proposizione 3.1. Sia X uno spazio vettoriale su C dotato di un semi prodotto scalare S.(a) Vale la disuguaglianza di Cauchy-Schwartz: per ogni coppia x, y ∈ X

|S(x, y)|2 ≤ S(x, x)S(y, y) ; (3.1)

in (3.1) vale il segno di uguaglianza se x e y sono linearmente dipendenti e solo in tal caso seS e prodotto scalare.(b) Al variare di x ∈ X,

p(x) :=ÈS(x, x) (3.2)

definisce una seminorma, ovvero una norma se S e un prodotto scalare, che si dice essereindotta da S.(c) p soddisfa l’identita del parallelogramma:

p(x+ y)2 + p(x− y)2 = 2(p(x)2 + p(y)2) , (3.3)

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per ogni x, y ∈ X.

Prova. (a) Se α ∈ C vale, usando le proprieta del semi-prodotto scalare,

0 ≤ S(x− αy, x− αy) = S(x, x)− αS(x, y)− αS(y, x) + |α|2S(y, y) . (3.4)

Supponiamo S(y, y) 6= 0. In tal caso ponendo α := S(x, y)/S(y, y) si ottiene da (3.4)

0 ≤ S(x, x)− |S(x, y)|2/S(y, y) ,

che e la tesi. Se S(y, y) = 0 troviamo invece da (3.4) che deve comunque valere per ogni α ∈ C:

0 ≤ S(x, x)− αS(x, y)− αS(y, x) . (3.5)

Scegliendo α ∈ R sufficientemente grande in valore assoluto, si vede che la disuguaglianza (3.5) eimpossibile a meno che S(x, y) + S(y, x) = 0. Scegliendo poi α = iλ con λ ∈ R sufficientementegrande in valore assoluto, si vede che la disuguaglianza (3.4) puo valere solo se oltre all’identitaS(x, y) = −S(y, x) provata sopra, vale anche S(x, y) − S(y, x) = 0 e quindi S(x, y) = 0. Indefinitiva, se S(y, y) = 0 vale ancora (3.5) perche S(x, y) = 0. Se x e y sono linearmentedipendenti allora vale x = αy oppure y = αx per qualche α ∈ C. Si verifica immediatamenteche in tal caso i due membri di (3.1) sono uguali. Supponiamo ora che S sia un prodottoscalare e che valga |S(x, y)|2 = S(x, x)S(y, y). Se almeno uno dei due vettori x, y e nullo (edin tal caso l’uguaglianza vale) allora e banalmente vero che x e y sono linearmente dipendenti.Mettiamoci nel caso in cui entrambi i vettori siano non nulli e valga l’uguaglianza detta. In talcaso, ridefinendo u = x/

ÈS(x, x) e v = y/

ÈS(y, y), vale |S(u, v)| = 1 e quindi S(u, v) = eiη per

qualche η ∈ R. Per H3 l’equazione in α e β, αu+ βv = 0 equivale a S(αu+ βv, αu+ βv) = 0.Sviluppandola si ottiene che essa equivale a

|α|2 + |β|2 + αβeiη + βαe−iη = 0 .

Scegliendo α = eiµ e β = eiν in modo che −µ + ν + η = π, l’equazione di sopra risulta esseresoddisfatta. Abbiamo trovato che, per opportuni µ, ν ∈ R vale

eiµÈS(y, y)x+ eiν

ÈS(x, x)y = 0

ossia che x e y sono linearmente dipendenti.(b) Tutte le proprieta delle seminorme si verificano immediatamente dalla definizione di p e dalleproprieta del prodotto scalare, eccetto la disuguaglianza triangolare N2 che proviamo ora. Dalleproprieta del prodotto scalare risulta subito che

p(x+ y)2 = p(x)2 + 2ReS(x, y) + p(y)2 ,

dove Rez := (z + z)/2 indica la parte reale del numero complesso z. 2ReS(x, y) ≤ 2|S(x, y)| equindi per (3.1), 2ReS(x, y) ≤ 2p(x)p(y), da cui si ottiene:

p(x+ y)2 ≤ p(x)2 + 2p(x)p(x) + p(y)2 ,

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ossiap(x, y)2 ≤ (p(x) + p(y))2 ,

che implica N2. La proprieta N3 segue immediatamente da H3, nel caso S sia un prodottoscalare.(c) Si verifica immediatamente usando la definizione di p e le proprieta del prodotto scalare. 2

Nota. La disuguaglianza di Cauchy-Schwartz ha come immediata conseguenza il fatto che unprodotto scalare S : X×X→ C e una funzione continua sullo spazio X×X dotato della topologiaprodotto, quando su X si usi la topologia metrica indotta dal prodotto scalare tramite la norma(3.2). In particolare il prodotto scalare e anche continuo nei suoi singoli argomenti separata-mente.

Definizione 3.2. Se (X, SX) e (Y, SY) sono spazi con prodotto scalare (hermitiano), un’appli-cazione lineare L : X → Y e detta isometria se soddisfa SY(L(x), L(y)) = SX(x, y) per ognix, y ∈ X.Se l’isometria L : X → Y e anche surgettiva e detta isomorfismo di spazi con prodottoscalare.Se esiste un isomorfismo (L) di spazi con prodotto scalare dallo spazio X allo spazio Y, tali spazisi dicono isomorfi (secondo L).

E chiaro che ogni isometria L : X→ Y e iniettiva per H3, ma puo non essere surgettiva (anche seX = Y se la dimensione dello spazio X non e finita). Inoltre ogni isometria e ovviamente continuarispetto alle due topologie metriche dei due spazi indotte dalle norme indotte dai prodotti scalarie, se e surgettiva (cioe se e un isomorfismo), la sua inversa e ancora un’isometria (e quindi unisomorfismo).

Esercizi 3.1.(1) Mostrare che se, su uno spazio vettoriale sul campo C, una seminorma (norma) p soddisfa l’i-dentita del parallelogramma, allora esiste, ed e unico, un semi prodotto scalare (rispettivamenteun prodotto scalare) S che induce p tramite (3.2).

Suggerimento. Se S e un semi-prodotto scalare vale

4S(x, y) = S(x+ y, x+ y)− S(x− y, x− y)− iS(x+ iy, x+ iy) + iS(x− iy, x− iy).

(2) Si puo dare la definizione di (semi-)prodotto scalare anche per spazi vettoriali sul camporeale, semplicemente cambiando H2 in S(u, v) = S(v, u) ed usando ovviamente combinazionilineari a coefficienti in R in H1. Mostrare che vale ancora la proposizione 3.1(3) Si consideri uno spazio vettoriale con campo reale. Provare che se una seminorma (norma) psu tale spazio soddisfa l’identita del parallelogramma allora esiste, ed e unico, un semi-prodottoscalare (rispettivamente un prodotto scalare) S che induce p tramite (3.2).

Suggerimento. Se S e un semiprodotto scalare vale

4S(x, y) = S(x+ y, x+ y)− S(x− y, x− y).

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(4) Dimostrare quanto asserito nella nota sotto la proposizione 3.1 per uno spazio con prodottoscalare (X, S).

Suggerimento. Se X×X 3 (xn, yn)→ (x, y) ∈ X×X per n→ +∞, usando la disuguaglianzadi C.-S. provare che se S e il prodotto scalare e p la norma associata, allora vale

|S(x, y)− S(xn, yn)| ≤ p(xn)p(yn − y) + p(xn − x)p(y) ,

e tenere conto che p(xn)→ p(x) e che la proiezione canonica e continua nella topologia prodotto.(5) Siano (X, S) e (X1, S1) spazi con prodotto scalare hermitiano. Sia L : X→ X1 lineare e taleche S1(L(x), L(x)) = S(x, x) per ogni x ∈ X. Provare che L e un’isometria (di spazi con prodottoscalare). Si puo generalizzare il risultato al caso di spazi sul campo reale?

Suggerimento. Usare i suggerimenti agli esercizi (1) e (3).

Notazione 3.1. Nel seguito, se non sara specificato altrimenti, ( |) denotera un prodotto scalaree || || la norma indotta da esso come in proposizione 3.1.

Definizione 3.3. Uno spazio con prodotto scalare (hermitiano) si dice spazio di Hilbert se espazio di Banach rispetto alla norma indotta dal prodotto scalare.Un isomorfismo di spazi con prodotto scalare tra due spazi di Hilbert e detto isomorfismo traspazi di Hilbert o, equivalentemente, trasformazione unitaria o, equivalentemente, ope-ratore unitario.

Deve essere chiaro che se U : H→ H2 e un isomorfismo di spazi con prodotto scalare (hermitia-no), H1 e spazio di Hilbert se e solo se e tale H. In tal caso U e una trasformazione unitaria.Vale un teorema del completamento analogo a quello valido per spazi di Banach.

Teorema del completamento per spazi di Hilbert. Sia X uno spazio vettoriale sul campoC dotato di un prodotto scalare S.(a) Esiste uno spazio di Hilbert (H, ( | )), detto completamento di X, tale che X si identificacon un sottospazio denso (rispetto alla topologia metrica di H indotta dal prodotto scalare ( | ))di H tramite un’applicazione lineare iniettiva J : X→ H che estende il prodotto scalare S in ( | ).In altre parole, esiste un’applicazione lineare iniettiva J : X→ H con

J(X) = H e (J(x)|J(y)) = S(x, y) per ogni x, y ∈ X.

(b) Se la terna (J1,H1, ( | )1) con J1 : X→ H1 lineare isometrica e (H1, ( | )1) spazio di Hilberte tale che X si identifica con un sottospazio denso di H1 tramite J1 estendendo il prodotto scala-re S in ( | )1, allora esiste ed e unico una trasformazione unitaria φ : H→ H1 tale che J1 = φJ .

Schema della dimostrazione. (a) Conviene usare il teorema del completamento per gli spazidi Banach e costruire il completamento di Banach dello spazio normato (X, N) dove N(x) :=ÈS(x, x). Dato che S e continuo e X e denso nel completamento secondo la funzione lineare J ,

S induce un semiprodotto scalare ( | ) sul completamento di Banach H. ( | ) e un prodotto scalare

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su H in quanto, sempre per continuita risulta indurre la stessa norma dello spazio di Banach.Di conseguenza H e spazio di Hilbert e la funzione lineare J che identifica X con un sottospaziodenso di H soddisfa le proprieta prescritte nella tesi. (b) La dimostrazione e essenzialmenteuguale a quella data nel caso di spazi di Banach. 2

Esempi 3.1.(1) Cn dotato del prodotto scalare (u|v) :=

∑ni=1 uivi, dove u = (u1, . . . , un) e v = (v1, . . . , vn),

e uno spazio di Hilbert.(2) Un esempio di spazio di Hilbert estremamente importante in fisica si ricava dall’esempio (6)in esempi 2.1: lo spazio L2(X, µ), dove X e uno spazio con misura positiva µ su una σ-algebraΣ. Sappiamo che L2(X, µ) e uno spazio di Banach rispetto alla norma

||f ||2 :=∫Xf(x)f(x)dµ(x)

essendo f un qualsiasi rappresentante della classe di equivalenza di funzioni uguali quasi ovun-que rispetto a µ, f ∈ L2(X, µ). Usando essenzialmente la stessa dimostrazione per provare ladisuguaglianza di Cauchy-Schwartz e tenendo conto della finitezza delle norme degli elementidello spazio di Banach L2(X, µ), e facile provare che

(f |g) :=∫Xf(x)g(x)dµ(x) (3.6)

e finito se f, g ∈ L2(X, µ) e definisce un prodotto scalare hermitiano su tale spazio di Banach.E ovvio che tale prodotto scalare induce la norma || ||2 per cui L2(X, µ) e uno spazio di Hilbertrispetto al prodotto scalare (3.6).

Passiamo ora a provare che gli spazi di Hilbert sono riflessivi. Per fare cio dobbiamo introdurrealcuni utili strumenti legati al concetto di spazio ortogonale di centrale importanza nello svilup-po del formalismo della MQ.

Notazione 3.2. Se K ⊂ X, con X spazio topologico, X indica la chiusura di X, cioe il piu piccolochiuso (nel senso dell’intersezione) che include K. Cio e equivalente a dire che X e l’unione di Ke di tutti i suoi punti di accumulazione.

Ricordiamo che se ∅ 6= K ⊂ X, con X spazio vettoriale, K e detto convesso se αu + βv ∈ Kquando α, β ≥ 0, α + β = 1 e u, v ∈ K. Chiaramente ogni sottospazio di X e convesso, ma nontutti i sottoinsiemi convessi di X sono sottospazi di X. Per esempio una palla aperta di raggiofinito rispetto alla norma su uno spazio vettoriale e un insieme convesso che non e sottospazio.Ricordiamo che se K ⊂ X, allora < K > denota il sottospazio di X generato da K.

Teorema 3.1. Sia (H, ( | )) spazio di Hilbert e K ⊂ H un sottoinsieme non vuoto.(a) K⊥ e un sottospazio chiuso di H.(b) K⊥ =< K >⊥= < K >⊥ = < K >

⊥.

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(c) Se K e chiuso e convesso, allora per ogni x ∈ H esiste ed e unico PK(x) ∈ K tale che||x− PK(x)|| = min||x− y|| | y ∈ K, dove || || denota la norma indotta da ( | ).(d) Se K e un sottospazio chiuso, allora ogni x ∈ H si decompone in modo unico come zx + yxcon zx ∈ K e yx ∈ K⊥ e quindi vale:

H = K ⊕K⊥ . (3.7)

Infine risulta zx := PK(x) definito in (c).(e) (K⊥)⊥ = < K >.

Nota. In realta (a) e (b) valgono anche se lo spazio non e di Hilbert ma solo spazio vettorialecon prodotto scalare e la topologia e quella indotta dal prodotto scalare.

Prova del teorema 3.1. (a) K⊥ e sottospazio per le proprieta di (anti-)linearita del prodottoscalare. Dalla continuita del prodotto scalare segue subito che se xn ⊂ K⊥ converge a x ∈ Hallora (x|y) = 0 per ogni y ∈ K, per cui x ∈ K⊥. Quindi K⊥ e chiuso contenendo tutti i suoipunti di accumulazione.(b) La dimostrazione della prima identita e ovvia dalla definizione di ortogonale e dalla linea-rita (antilinerarita) del prodotto scalare. La seconda identita segue quindi immediatamenteda (a). Riguardo all’ultima identita notiamo che sicuramente, essendo < K >⊂ < K > vale< K >⊥⊃ < K >

⊥. D’altra parte < K >⊥⊂ < K >⊥ per la continuita del prodotto scalare.

Di conseguenza < K >⊥= < K >⊥, che conclude la catena di uguaglianze avendo gia provato

che < K >⊥= < K >⊥.(c) Sia 0 ≤ d = infy∈K ||x − y||, che esiste perche l’insieme dei numeri ||x − y|| con y ∈ K elimitato inferiormente e non vuoto. Sia yn ⊂ K una successione di punti per cui ||x−yn|| → d.Mostriamo che si tratta di una successione di Cauchy. Dall’identita del parallelogramma (3.3),con x e y in tale formula sostituiti con x− yn e x− ym rispettivamente, segue che

||yn − ym||2 = 2||x− yn||2 + 2||x− ym||2 − ||2x− yn − yn||2 .

Osserviamo ora che ||2x− yn − yn||2 = 4||x− (yn + ym)/2||2 ≥ 4d2, dato che yn/2 + ym/2 ∈ Knell’ipotesi di convessita di K e che d e l’estremo inferiore dei numeri ||x− y|| se y ∈ K. Fissatoε > 0, prendendo n e m grandi a sufficienza avremo: ||x − yn||2 ≤ d2 + ε, ||x − ym||2 ≤ d2 + ε,da cui

||yn − ym||2 ≤ 4(d2 + ε)− 4d2 = 4ε .

Quindi la successione e di Cauchy. Essendo H completo, yn converge a qualche y ∈ K dato cheK e chiuso. Per la continuita della norma d = ||x − y||. Mostriamo che y ∈ K e l’unico puntoche soddisfa d = ||x − y||. Ogni altro y′ ∈ K con la stessa proprieta soddisfa, dall’identita delparallelogramma:

||y − y′||2 = 2||x− y||2 + 2||x− y′||2 − ||2x− y − y′||2 ≤ 2d2 + 2d2 − 4d2 = 0 ,

dove abbiamo ancora usato ||2x− y − y||2 = 4||x− (y + y)/2||2 ≥ 4d2 (dato che y/2 + y′/2 ∈ Knell’ipotesi di convessita di K e che d e l’estremo inferiore dei numeri ||x−z|| se z ∈ K). Valendo

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||y − y′|| = 0 deve essere y = y′. Quindi PK(x) := y soddisfa tutte le richieste.(d) Sia x ∈ H e x1 ∈ K a distanza minima da x. Poniamo x2 := x − x1 e mostriamo chex2 ∈ K⊥. Sia y ∈ K, la funzione R 3 t 7→ f(t) := ||x − x1 + ty||2 ha un minimo per t = 0. Sinoti che tale fatto vale nell’ipotesi che K sia sottospazio, per cui −x1 + ty ∈ K per ogni t ∈ Rse x1, y ∈ K. Quindi la sua derivata si annulla in t = 0:

f ′(0) = limt→0

||x2 + ty||2 − ||x2||2

t= (x2|y) + (y|x2) = 2Re(x2|y) .

Di conseguenza Re(x2|y) = 0. Sostituendo y con iy si ricava che anche la parte immaginaria di(x2|y) vale zero, per cui (x2|y) = 0 e x2 ∈ K⊥. Con questo abbiamo provato che < K,K⊥ >= H.Non resta che mostrare che K ∩ K⊥ = 0. Ma questo e ovvio dal fatto che se x ∈ K ∩ K⊥allora x deve essere ortogonale a x allora ||x||2 = (x|x) = 0 e quindi x = 0.(e) Se y ∈ K, allora y e ortogonale ad ogni elemento di K⊥; per linearita e continuita delprodotto scalare questo vale anche se y ∈ < K >. In altre parole

< K > ⊂ (K⊥)⊥ . (3.8)

Usando (d) e sostituendo al posto di K il sottospazio chiuso < K > otteniamo che H = < K >⊕< K >

⊥. Ossia, tenendo conto di (b)

H = < K >⊕K⊥ . (3.9)

Se u ∈ (K⊥)⊥, in base alla (3.9) c’e una decomposizione fatta di vettori ortogonali ((u0|v) = 0)u = u0 + v con u0 ∈ < K > e v ∈ K⊥ e quindi (u|v) = (v|v). Valendo (u|v) = 0 (percheu ∈ (K⊥)⊥ e v ∈ K⊥) deve essere (v|v) = 0 e dunque (K⊥)⊥ 3 u = u0 ∈ < K >. Concludiamoche < K > ⊃ (K⊥)⊥ da cui la tesi valendo (3.8). 2

Il teorema provato ha il seguente corollario che segue immediatamente da (b) e (d).

Corollario. Se S e un sottoinsieme di uno spazio di Hilbert H, < S > e denso in H se e solose S⊥ = 0.

Possiamo ora enunciare e provare il teorema dovuto a F. Riesz, che e sicuramente il teorema piuimportante della teoria degli spazi di Hilbert.

Teorema 3.2 (Riesz). Sia (H, ( | )) spazio di Hilbert. Ogni funzionale lineare continuo su H,f , e univocamente rappresentabile come

f(x) = (yf |x) , per ogni x ∈ H ,

dove yf ∈ H. Al variare di f ∈ H′, yf assume ogni valore in H.

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Prova. E chiaro che ogni applicazione H 3 x 7→ (y|x) definisce un elemento di H′ per la continuitadel prodotto scalare. D’altra parte si ottengono due diverse applicazioni usando due y differenti:(y|x) = (y′|x) per ogni x ∈ K implica ||y − y′||2 = (y − y′|y − y′) = 0 da cui y = y′. Quindil’applicazione H′ 3 f → yf ∈ H se esiste e iniettiva.Per concludere il teorema e quindi sufficiente provare che per ogni f ∈ H′ esiste yf ∈ H tale chef(x) = (yf |x) per ogni x ∈ H. Il nucleo di f , Kerf := x ∈ H | f(x) = 0, e un sottospaziochiuso dato che f e continuo. Se Kerf = H allora yf = 0, altrimenti H = Kerf⊕(Kerf)⊥ per ilteorema 3.1. Proviamo che (Kerf)⊥ ha dimensione 1. Sia 0 6= y ∈ (Kerf)⊥. In tal caso f(y) 6= 0(y 6∈ Kerf !). Per ogni z ∈ (Kerf)⊥, il vettore z − f(z)

f(y)y cade in (Kerf)⊥ perche combinazione

lineare di elementi di (Kerf)⊥, ma anche z − f(z)f(y)y ∈ Kerf come si verifica immediatamente.

Quindi z − f(z)f(y)y ∈ Kerf ∩ (Kerf)⊥ e dunque z − f(z)

f(y)y = 0. Quindi y e una base per (Kerf)⊥

dato che ogni altro vettore z ∈ (Kerf)⊥ e una combinazione lineare di y: z = f(z)f(y)y. Definiamo

yf :=f(y)(y|y)

y .

Mostriamo che yf rappresenta f nel senso voluto.Se x ∈ H, possiamo decomporre x rispetto alla decomposizione Kerf ⊕ (Kerf)⊥ ottenendo:x = n+ x⊥, dove

x⊥ =f(x⊥)f(y)

y =f(x)f(y)

y

per quanto provato sopra ed avendo tenuto conto del fatto che f(x⊥) = f(x) per linearita essen-do f(n) = 0. Il calcolo diretto di (yf |x) fornisce immediatamente: (yf |x) = f(x) concludendola dimostrazione. 2.

Corollario. Ogni spazio di Hilbert e riflessivo.

Prova. Prima di tutto notiamo che possiamo mettere su H′ un prodotto scalare definito come(f |g)′ := (yg|yf ), dove f(x) = (yf |x) e g(x) = (yg|x) per ogni x ∈ H. Si osservi che la normaindotta da ( | )′ in H′ coincide con la norma naturale di H′,

||f || := sup||x||=1

|f(x)| ,

rispetto alla quale H′ e completo per il teorema 2.3. Infatti questa definizione si puo scrivere,per il teorema 3.2:

||f || = sup||x||=1

|(yf |x)| ;

la disuguaglianza di Cauchy-Schwartz implica subito che ||f || ≤ ||yf ||, inoltre vale |(yf |x)| = ||yf ||se x = yf/||yf ||. Quindi ||f || = ||yf ||, ma quest’ultima e proprio, come volevamo, la norma di findotta dal prodotto scalare ( | )′.

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Quindi (H′, (|)′) e uno spazio di Hilbert e (H′)′ il suo duale. Il teorema 3.2 assicura che gli elementidi (H′)′, F , sono tutti e soli quelli per cui esiste qualche gF ∈ H′ tale che F (f) = (gF |f)′ perogni f ∈ H′. Ma (gF |f)′ = (yf |ygF ) = f(ygF ). Abbiamo cioe che per ogni F ∈ (H′)′ esiste (ede unico per il corollario 3 del teorema di Hahn-Banach) un vettore ygF ∈ H tale che, per ognif ∈ H′:

F (f) = f(ygF ) .

Questa proprieta altro non e che la riflessivita di H. 2

Nota. Dalla dimostrazione del corollario, risulta che lo spazio duale topologico H′ dotato delprodotto scalare ( | )′, definito come (f |g)′ := (yg|yf ), e uno spazio di Hilbert. L’applicazioneH′ 3 f 7→ yf ∈ H risulta essere anti-lineare, iniettiva e suriettiva e preserva il prodotto scalareper costruzione. In questo senso H e H′ sono anti isomorfi.

3.2 Basi hilbertiane.

Passiamo ora ad introdurre tutto l’armamentario matematico relativo al concetto di base hilber-tiana. Abbiamo bisogno di qualche risultato preliminare.Chiameremo insieme indiciato, e lo indicheremo con αii∈I , ogni applicazione I 3 i 7→ αi.L’insieme I e detto insieme degli indici; la coppia (i, αi), e detto elemento i-esimo dell’in-sieme indiciato. Si osservi che puo accadere che αi = αj con i 6= j.

Definizione 3.4. Se A = αii∈I e un insieme non vuoto di numeri reali non negativi indiciatisull’insieme I di cardinalita arbitraria, la somma dell’insieme indiciato A e il numero in[0,+∞) ∪ +∞ definito come:

∑i∈I

αi := sup

∑j∈F

αj

∣∣∣∣∣∣ F ⊂ I , F finito

. (3.10)

Nota. D’ora in poi un insieme si dira numerabile quando puo essere messo in corrispondenzabiunivoca con l’insieme dei numeri naturali N. Quindi il caso numerabile non include il casofinito.

Proposizione 3.2. In riferimento alla definizione 3.4 vale quanto segue.(a) Se I e finito o numerabile, la somma dell’insieme indiciato A coincide con la somma, ovverorispettivamente con la somma della serie αinn∈N (che converge sempre, al piu a +∞, essendoserie di termini non negativi) indipendentemente dall’ordinamento, cioe dalla funzione biettivaN 3 n 7→ in ∈ I.(b) Se la somma dell’insieme A e finita, allora il sottoinsieme di I per cui αi 6= 0 e finito onumerabile. In tal caso, restringendosi al sottoinsieme detto, la somma di A coincide con lasomma su un insieme finito di indici o, rispettivamente, la somma di una serie come precisato

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in (a).(c) Se µ e la misura che conta i punti di I definita sulla σ-algebra dell’insieme della parti di I(se J ⊂ I allora µ(J) ≤ +∞ e il numero di elementi di J per definizione), allora∑

i∈Iαi =

∫Aαi dµ(i) . (3.11)

Prova. (a) Il caso di I finito e ovvio; consideriamo il caso di I infinito numerabile e supponiamo diavere scelto un particolare ordinamento di I, per cui possiamo riscrivere A come A = αinn∈N.Mostriamo che la somma della serie di elementi αinn∈N,

∑∞n=0 αin , coincide con la somma nel

senso (3.10) che, per definizione, non dipende dall’ordinamento scelto. Vale, per (3.10):

N∑n=0

αin ≤∑i∈I

αi .

E quindi, prendendo il limite per N → +∞, che esiste e coincide con l’estremo superioredell’insieme delle ridotte della serie, essendo non decrescente la successione delle ridotte:

+∞∑n=0

αin ≤∑i∈I

αi . (3.12)

D’altra parte, se F ⊂ I e finito, possiamo sempre fissare NF sufficientemente grande in modotale che αii∈F ⊂ αi0 , αi1 , αi2 , . . . , αiNF . In tal modo

∑i∈F

αi ≤NF∑n=0

αin ,

Prendendo l’estremo superiore di entrambi i membri della disuguaglianza precedente al variaredegli insiemi F ⊂ I finiti, e ricordando che l’estremo superiore dell’insieme delle ridotte coincidecon la somma della serie abbiamo: ∑

i∈Iαi ≤

+∞∑n=0

αin . (3.13)

Le (3.12) e (3.13) implicano la tesi.(b) sia S < +∞, S ≥ 0, la somma dell’insieme indiciato A. Se S = 0, tutti gli elementi di Adevono essere nulli e la tesi e verificata banalmente. Si supponga che S > 0. E chiaro che ogni αie contenuto in [0, S] – altrimenti la somma sarebbe maggiore di S – e in particolare, se αi 6= 0,allora αi ∈ (0, S]. Poniamo Sn := S/n per n = 1, 2, . . .. Se Nk e il numero di elementi i ∈ I percui αi cade nell’intervallo (Sk, Sk+1], sicuramente

∑i∈I αi ≥ SkNk, ovvero

∑i∈I αi = +∞ se Nk

e infinito. Quindi Nk deve essere finito per ogni k. Dato che l’unione degli intervalli disgiunti(Sk, Sk+1] e (0, S], ogni αi 6= 0 cade esattamente in uno solo di tali intervalli, che contiene unnumero finito di αi 6= 0 come provato sopra. La cardinalita dell’insieme degli i per cui αi 6= 0 equindi al piu numerabile perche tale insieme e unione finita o numerabile di insiemi finiti.

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(c) Notando che ogni funzione e misurabile rispetto alla misura detta (dato che la σ-algebra el’insieme delle parti) l’identita (3.11) e immediata conseguenza della definizione di integrale diuna funzione positiva [Rud82]. 2

Passiamo a definire in vari passi il concetto di sistema ortonormale completo ovvero base hilber-tiana.

Definizione 3.5. Sia (H, ( | )) spazio con prodotto scalare hermitano e ∅ 6= N ⊂ H.(a) N e detto insieme ortogonale se N 63 0 e se x, y ∈ N sono ortogonali quando x 6= y.(b) N e detto insieme ortonormale se e ortogonale ed ogni suo elemento ha norma (indottada prodotto scalare) unitaria.(c) Se (H, ( | )) e spazio di Hilbert, N e detto sistema ortonormale completo, o equivalen-temente base hilbertiana, se e un insieme ortonormale e soddisfa la proprieta:

N⊥ = 0 . (3.14)

Nota. E chiaro che un insieme di vettori ortogonali N e linearmente indipendente: se F ⊂N e finito e 0 =

∑x∈F αxx, allora 0 = (

∑x∈F αxx|

∑y∈F αyy) =

∑x∈F

∑y∈F αxαy(x|y) =∑

x∈F |αx|2||x||2. Dato che ||x|| > 0 e |αx|2 ≥ 0, deve necessariamente essere |αx| = 0 per ognix ∈ F . Ossia αx = 0 per ogni x ∈ F .

Teorema 3.3 (Disuguaglianza di Bessel). Siano (H, ( | )) spazio con prodotto scalarehermitano e N un insieme ortonormale in H. Per ogni x ∈ H∑

z∈N|(x|z)|2 ≤ ||x||2 . (3.15)

In particolare solo una quantita numerabile di elementi (x|z) sono non nulli.

Prova. E sufficiente provare (3.15) per i sottoinsiemi F ⊂ N finiti. Se (3.15) vale in tali casi, laprova nel caso generale, inclusa la proposizione enunciata sotto (3.15), e immediata conseguenzadella definizione 3.4 e di (b) della proposizione 3.2. Dimostriamo dunque la (3.15) per F ⊂ Nfinito contenente n elementi z1, . . . , zn. Siano x ∈ H e α1, . . . , αn ∈ C. Sviluppando la norma||x−∑n

k=1 αkzk||2 in termini del prodotto scalare di H e tenendo conto dell’ortonormalita deglielementi zp e zq e delle proprieta di (anti-)linearita del prodotto scalare, si trova subito che:∣∣∣∣∣∣

∣∣∣∣∣∣x−n∑k=1

αkzk

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣2

= ||x||2 +n∑k=1

|αk|2 −n∑k=1

αk(x|zk)−n∑k=1

αk(x|zk) .

Il secondo membro puo riscriversi

||x||2 −n∑k=1

|(x|zk)|2 +n∑k=1

|(x|zk)|2 − αk(x|zk)− αk(x|zk) + |αk|2

,

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ossia ∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣x−

n∑k=1

αkzk

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣2

= ||x||2 −n∑k=1

|(x|zk)|2 +n∑k=1

| (zk|x)− αk |2 .

E chiaro che il secondo membro ha un unico minimo assoluto per αk = (zk|x), k = 1, . . . , n. Intal caso si ottiene proprio:

0 ≤

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣x−

n∑k=1

(zk|x)zk

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣2

= ||x||2 −n∑k=1

|(x|zk)|2 ,

da cuin∑k=1

|(x|zk)|2 ≤ ||x||2 .

Cio completa la dimostrazione 2.

Lemma 3.1. Sia xnn∈N un insieme ortogonale numerabile indicizzato su N nello spazio diHilbert (H, ( | )). Sia || || la norma indotta da ( | ). Se

+∞∑n=0

||xn||2 < +∞ , (3.16)

allora:(a) esiste, ed e unico, x ∈ H tale che

+∞∑n=0

xn = x , (3.17)

dove la convergenza della serie e intesa come convergenza della successione delle ridotte nellatopologia metrica di || ||;(b) la serie in (3.18) puo essere riordinata, ossia, per ogni f : N→ N biettiva,

+∞∑n=0

xf(n) = x . (3.18)

Prova.(a) Sia An :=

∑nk=0 xk; dalle proprieta di ortonormalita dei vettori xk e dalla definizione della

norma in termini di prodotto scalare segue subito che, se n > m, allora

||An −Am||2 =n∑

k=m+1

||xk||2 .

Dato che la serie a secondo membro converge per ipotesi,

||An −Am||2 =n∑

k=m+1

||xk||2 ≤+∞∑

k=m+1

||xk||2 → 0 per m→ +∞

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e questo implica immediatamente che la successione delle ridotte An sia di Cauchy. Datoche H e completo, esistera x ∈ H limite di tali successioni e quindi, per definizione, limite dellaserie. Dato che H e spazio normato e quindi metrico, vale la proprieta di Hausdorff che implical’unicita dei limiti e quindi in particolare quella di x.(b) Si fissi f : N→ N biettiva. Poniamo come sopra An :=

∑nk=0 xn e σn :=

∑nk=0 xf(n). La serie

a termini positivi∑+∞k=0 ||xf(k)||2 converge perche la sue ridotte sono maggiorate dalle ridotte

della serie convergente a termini positivi∑+∞k=0 ||xk||2. Come conseguenza di (a), esistera il limite

in H delle ridotte σn, ovvero anche la serie riordinata convergera in H. Mostriamo che la serieriordinata converge sempre a x.Se definiamo rn := maxf(0), f(1), . . . , f(n), vale allora

||Arn − σn||2 ≤∑k∈Jn||xk||2

dove Jn si ottiene eliminando dall’insieme

0, 1, 2, . . . ,maxf(0), f(1), . . . , f(n)

i numeri f(0), f(1), . . . , f(n). E chiaro che, per la biettivita della funzione, i numeri cherimangono corrisponderanno ad alcuni elementi dell’insieme infinito

f(n+ 1), f(n+ 2), . . . .

Di conseguenza

||Arn − σn||2 ≤∑k∈Jn||xk||2 ≤

+∞∑k=n+1

||xf(k)||2 . (3.19)

Dato che∑+∞k=0 ||xf(k)||2 < +∞, (3.19) implica che:

limn→+∞

(Arn − σn) = 0 .

D’altra parte vale anche rn ≥ n (dato che f e iniettiva, se fosse maxf(0), f(1), . . . , f(n) < n,gli f(n) dovrebbero essere n+ 1 numeri interi non negativi strettamente inferiori a n e questo eimpossibile) e quindi limn→+∞ rn = +∞ per cui

x = limn→+∞

An = limn→+∞

Arn = limn→+∞

σn .

Questo conclude la dimostrazione. 2

Possiamo quindi enunciare e dimostrare il teorema fondamentale delle basi hilbertiane. Tale teo-rema prova che le basi hilbertiane soddisfano proprieta che sono dirette generalizzazioni di quelledelle basi ortonormali negli spazi vettoriali di dimensione finita dotati di prodotto scalare. Ladifferenza e che ora sono ammesse, usando la topologia di H, anche combinazioni lineari infinite:ogni elemento dello spazio di Hilbert puo essere scritto in modo univoco come una combinazione

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lineare infinita di elementi di una base hilbertiana.Si deve osservare che, indipendentemente dal fatto che negli spazi di Hilbert esistano tali basihilbertiane, esistono comunque, come conseguenza del lemma di Zorn (o assioma della scelta)anche basi algebriche che non richiedono alcuna nozione topologica. La differenza tra le basi hil-bertiane e quelle algebriche e quindi che le seconde riguardano solo combinazioni lineari finite:ogni elemento dello spazio vettoriale (in questo caso di Hilbert) puo essere scritto in modo uni-voco come una combinazione lineare finita degli elementi della base (che comunque sono infiniti).

Teorema 3.4. Sia (H, ( | )) spazio di Hilbert e N ⊂ H un insieme ortonormale. I seguenti fattisono equivalenti.(a) N e una base hilbertiana (ossia N e insieme ortonormale e N⊥ = 0).(b) Fissato x ∈ H, una quantita al piu numerabile di numeri (z|x) e non nulla per z ∈ N e vale:

x =∑z∈N

(z|x)z , (3.20)

dove la convergenza della serie e intesa come convergenza della successione delle ridotte nellatopologia indotta dal prodotto scalare.(c) Fissati x, y ∈ H, una quantita al piu numerabile di numeri (z|x), (y|z) e non nulla se z ∈ Ne vale:

(x|y) =∑z∈N

(x|z)(z|y) . (3.21)

(d) Se x ∈ H, vale, nel senso della definizione 3.4:

||x||2 =∑z∈N|(z|x)|2 . (3.22)

(e) < N > = H, cioe il sottospazio generato da N e denso in H.Se vale una delle proprieta equivalenti dette sopra, in (3.20), (3.21) non conta l’ordine con cuisi etichettano i coefficienti (x|z), (z|x) = (x|z) e (z|y) non nulli.

Prova.(a) ⇒ (b). Per il teorema 3.3 solo una quantita al piu numerabile di coefficienti (z|x) e nonnullo. Indichiamo con (zn|x) tali coefficienti, n ∈ N, e poniamo SN :=

∑Nn=0(zn|x)zn. L’insieme

(zn|x)znn∈N e per costruzione ortogonale, inoltre essendo ||zn|| = 1 la disuguaglianza di Besselimplica che

∑+∞n=0 ||(zn|x)zn||2 < +∞. Usando (a) del lemma 3.1 segue che la serie (3.20)

converge ad un unico x′ ∈ H con x′ =∑+∞n=0(zn|x)zn. Inoltre la serie puo essere riordinata

pur convergendo allo stesso x′ per (b) di lemma 3.1. Mostriamo che x′ = x. Dalla linearita econtinuita del prodotto scalare si ha che, se z0 ∈ N :

(x− x′|z0) = (x|z0)−∑z∈N

(x|z)(z|z0) = (x|z0)− (x|z0) = 0

dove si e tenuto conto del fatto che l’insieme dei coefficienti z costituisce un insieme ortonormale.Dato che z0 ∈ N e arbitrario, x− x′ ∈ N⊥ e quindi x− x′ = 0 in quanto N⊥ = 0 per ipotesi.

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Questo prova che (3.20) vale indipendentemente dall’ordine con cui si etichettano i coefficienti(z|x) 6= 0.(b) ⇒ (c). Se (b) e valida, (c) e una sua ovvia conseguenza dovuta alla continuita e (anti-)linearita del prodotto scalare e al fatto che N e ortonormale.(c) ⇒ (d). (d) e un caso particolare di (c) quando y = x.(d) ⇒ (a). Se (d) e vera e se x ∈ H e tale che (x|z) = 0 per ogni z ∈ N , allora ||x|| = 0 ossiax = 0. In altre parole N⊥ = 0, cioe vale (a).Abbiamo provato che (a),(b),(c) e (d) sono equivalenti. Per concludere notiamo che (b) implicaimmediatamente (e), mentre (e) implica (a): se x ∈ N⊥ allora, per la linearita del prodottoscalare, x ∈ < N >⊥ ⊂ < N >⊥. Ma per (b) del teorema 3.1 < N >⊥ = < N >

⊥. Essendo< N > = H per ipotesi, x ∈ H⊥ = 0. In altre parole, essendo N⊥ = 0, vale (a).Il fatto che la serie di numeri complessi in (3.21) puo essere riordinata arbitrariamente conser-vandone la somma si ottiene dal seguente ragionamento. Si consideri l’insieme

A := z | (x|z) 6= 0 oppure (y|z) 6= 0 .

Tale insieme e numerabile. La disuguaglianza di Cauchy-Schwartz in l2(A) produce:∑z∈A|(x|z)||(z|y)| ≤ (

∑z∈A|(x|z)|2)1/2(

∑z∈A|(y|z)|2)1/2 < +∞

per (d). Quindi la serie∑z∈N (x|z)(z|y) =

∑z∈A(x|z)(z|y) puo essere riordinata arbitrariamente

perche e assolutamente convergente. 2

Il lemma di Zorn implica immediatamente che ogni spazio di Hilbert ammette una base hilber-tiana.

Teorema 3.5. Ogni spazio di Hilbert ammette una base hilbertiana.

Prova. Sia H uno spazio di Hilbert. Consideriamo la classe A i cui elementi sono gli insiemiortonormali in H. Definiamo in A la relazione d’ordine parziale data dall’inclusione insiemisti-ca. Per costruzione ogni sottoinsieme ordinato E di A e superiormente limitato dall’elementocostituito dall’unione degli elementi di E. Per il lemma di Zorn esiste allora in A un elementomassimale N . Con le definizioni date, la massimalita di N implica che non ci sono in H vettorinormali a tutti gli elementi di N , non nulli e non appartenenti a N stesso. In altre parole, N eun sistema ortonormale completo.2

Prima di passare al caso degli spazi di Hilbert separabili, diamo ancora un importante risultatodella teoria generale.

Teorema 3.6. Sia H uno spazio di Hilbert con base hilbertiana N . Valgono i seguenti fatti.(a) H e isomorfo come spazio di Hilbert a L2(N,µ) dove µ e la misura positiva che conta i punti

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di N (vedi (6) e (7) in esempi 2.1 e (2) in esempi 3.1); la trasformazione unitaria che identificai due spazi e data dall’applicazione

H 3 x 7→ (z|x)z∈N ∈ L2(N,µ) . (3.23)

(b) Tutte le basi hilbertiane di H hanno la stessa cardinalita (pari a quella di N), che si dicedimensione dello spazio di Hilbert.(c) Se H1 e spazio di Hilbert con la stessa dimensione di H, allora i due spazi sono isomorficome spazi di Hilbert.

Prova. (a) L’applicazione U : H 3 x 7→ (z|x)z∈N ∈ L2(N,µ) e ben definita, in quanto, sex ∈ H e N e una base hilbertiana, allora vale la proprieta (d) del teorema 3.4, la quale affermaproprio che (z|x)z∈N ∈ L2(N,µ). Tale applicazione e sicuramente iniettiva: se x, x′ ∈ H pro-ducono gli stessi coefficienti (z|x) = (z|x′) per ogni z ∈ N , allora x = x′ per (b) del teorema 3.4.L’applicazione e anche suriettiva: se αzz∈N ∈ L2(N,µ) e quindi

∑z∈N |αz|2 < +∞, allora

per il lemma 3.1 esiste x :=∑z∈N αzz e (z|x) = αz per la continuita del prodotto scalare e

l’ortonormalita dell’insieme N . Infine (c) del teorema 3.4 implica che U sia isometrica. PertantoU : H → L2(N,µ) e un operatore unitario e quindi H e L2(N,µ) sono isomorfi come spazi diHilbert.(b) Se una delle basi hilbertiane ha cardinalita finita c, allora essa e anche base algebrica diH. Con la geometria elementare si prova che se esiste una base con cardinalita finita c, alloraogni altro insieme di vettori linearmente indipendenti M ha cardinalita ≤ c e = c se e solose M genera finitamente tutto lo spazio. Tenendo conto che ogni base hilbertiana, in quantoinsieme ortogonale, e costituita da vettori linearmente indipendenti, si conclude facilmente cheogni base hilbertiana di H deve avere cardinalita sicuramente ≤ c e quindi = c perche genera(finitamente) H. Quanto detto esclude anche il caso in cui, in H, una base hilbertiana abbiacardinalita finita ed un’altra abbia cardinalita infinita. Siano dunque N e M basi hilbertianedi H entrambe di cardinalita infinita. Se x ∈ M , definiamo Nx := z ∈ N | (x|z) 6= 0. Datoche 1 = (z|z) =

∑x∈M |(z|x)|2, deve accadere che per ogni z ∈ N esiste x ∈M tale che z ∈ Nx.

Quindi N ⊂ ∪x∈MNx e allora la cardinalita di N sara inferiore o uguale a quella di ∪x∈MNx

che coincide con quella di M dato che ogni insieme Nx e al piu numerabile per (b) del teorema3.4. Quindi la cardinalita di N e inferiore o uguale a quella di M . Scambiando i ruoli di Ned M si ottiene anche che la cardinalita di M e inferiore o uguale a quella di N . Il teorema diSchroder-Bernstein implica infine che la cardinalita di M e quella di N coincidano.(c) Siano N e N1 due basi hilbertiane di H e H1 rispettivamente, e si supponga che N e N1

abbiano la stessa cardinalita. Allora esiste un’applicazione biettiva che identifica i punti di Ncon quelli di N1 e tale applicazione genera naturalmente un isomorfismo di spazi con prodottoscalare V dallo spazio L2 su N allo spazio L2 su N1 rispetto alla misura che conta i punti chee quindi un isomorfismo tra spazi di Hilbert. Se U1 : H1 → L2(N1, µ) e l’isomorfismo analogo aU : H → L2(N,µ) descritto sopra, UV U−1

1 : H1 → H e una trasformazione unitaria per costru-zione e dunque H e H1 sono isomorfi come spazi di Hilbert.2

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Di particolare interesse in fisica sono i cosiddetti spazi di Hilbert separabili.

Definizione 3.6. Uno spazio di Hilbert si dice separabile se ammette un insieme denso enumerabile.

Vale un ben noto e utile teorema di caratterizzazione.

Teorema 3.7. Sia H spazio di Hilbert.(a) H e separabile se e solo se ha dimensione finita oppure ammette una base hilbertiana nume-rabile.(b) Se H e separabile, tutte le basi hilbertiane sono finite con lo stesso numero di elementi parialla dimensione dello spazio, oppure sono tutte numerabili.(c) Se H e separabile e isomorfo a Cn dotato del prodotto scalare hermitiano standard con nfinito pari alla dimensione di H, oppure e isomorfo a l2(N).

Prova. (a) Se lo spazio di Hilbert ammette una base hilbertiana finita o numerabile, allora, inbase a (b) del teorema 3.4, esiste un insieme denso numerabile: quello costituito dalle combi-nazioni lineari finite di elementi della base usando come coefficienti numeri complessi di partereale ed immaginaria razionale. Lasciamo i dettagli della facile dimostrazione al lettore. Sup-poniamo viceversa che uno spazio di Hilbert sia separabile. Sappiamo che, per il teorema 3.5,esistono sempre basi hilbertiane in tale spazio: mostriamo che ciascuna di esse deve essere alpiu numerabile.Supponiamo per assurdo che N sia base hilbertiana non numerabile per lo spazio di Hilbert Hseparabile. Scelti z, z′ ∈ N con z 6= z′, ogni punto x ∈ H e tale che, per la disuguaglianza triango-lare riferita alla norma indotta dal prodotto scalare: ||z−z′|| ≤ ||x−z′||+ ||z−x||. D’altra parteessendo z, z′ un insieme ortonormale ||z−z′||2 = (z−z′|z−z′) = ||z||2 + ||z′||2 +0 = 1+1 = 2.Quindi ||x− z||+ ||x− z′|| ≥

√2. Questo risultato implica immediatamente che palle aperte di

raggio ε <√

2/2 centrate rispettivamente in z e z′ sono disgiunte comunque scegliamo z, z′ ∈ Ncon z 6= z′. Sia B(z)z∈N una classe di tale palle disgiunte a due a due e ciascuna centrata sulrispettivo z ∈ N . Se D ⊂ H e l’insieme denso e numerabile che esiste per l’ipotesi di separabilita,dovra accadere che, per ogni z ∈ N , esiste x ∈ D con x ∈ B(z). Dato che le palle sono disgiunte,avremo un diverso x per ogni palla. Ma la cardinalita di B(z)z∈N non e numerabile, per cuinemmeno D puo essere numerabile e questo e assurdo.(b) e (c) sono immediate conseguenze del teorema 3.6. Tuttavia, per completezza diamo unatraccia di una dimostrazione di esse.(b) Come e noto dalla teoria elementare, se una base (hilbertiana o no) ha un numero finito dielementi, allora tutte le altre basi (hilbertiane o no) hanno lo stesso numero di elementi pari alladimensione dello spazio; inoltre, tutti gli insiemi di vettori linearmente indipendenti (come lebasi hilbertiane) contengono un numero di elementi che non supera la dimensione dello spazio.Da questo fatto segue immediatamente che, se uno spazio di Hilbert e separabile ed una sua basehilbertiana e finita, allora tutte le basi hilbertiane dello spazio sono finite con lo stesso numerodi elementi pari alla dimensione dello spazio. Nelle stesse ipotesi, se una base hilbertiana e

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numerabile allora tutte le altre basi hilbertiane devono essere numerabili per (a).(c) Fissata una base hilbertiana N ed usando il teorema 3.4, si verifica immediatamente chel’applicazione che trasforma H 3 x =

∑u∈N αuu nell’insieme (finito o infinito a seconda del

caso) αuu∈N e un isomorfismo di spazi con prodotto scalare da H a Cn, oppure, da H a l2(N),a seconda che la dimensione di H sia finita oppure non lo sia. 2

Un’altra utile proposizione per spazi di Hilbert separabili e la seguente.

Proposizione 3.4. Sia (H, ( | )) spazio di Hilbert con H 6= 0. Valgono i seguenti fatti.(a) Se Y := ynn∈N e un insieme di vettori linearmente indipendenti e tali che Y ⊥ := 0o equivalentemente < Y > = H. Allora H e separabile ed esiste una base hilbertiana di H,X := xnn∈N, tale che, per ogni p ∈ N, il sottospazio generato dai vettori y0, y1, . . . , yp coincidecon quello generato dai vettori x0, x1, . . . , xp.(b) Se H e separabile e S ⊂ H e un sottospazio (non chiuso) di H denso in H, allora S contieneuna base hilbertiana di H.

Prova. (a) Diamo solo una traccia della dimostrazione perche si tratta essenzialmente dellaprocedura di ortogonalizzazione di Gram-Schmidt, nota dai corsi di geometria elementare.Per ipotesi e y0 6= 0. Poniamo quindi x0 := y0/||y0||. Successivamente consideriamo il vettorenon nullo (perche y0 e y1 sono linearmente indipendenti) z1 := y1 − (x0|y1)x0. E chiaro chex0, z1 sono non nulli, ortogonali (quindi linearmente indipendenti) e generano la stesso spaziodi y0 e y1. Non resta che porre x1 := z1/||z1|| per ottenere l’insieme ortonormale x0, x1 chegenera lo stesso spazio di y0, y1. Possiamo ora ripetere la procedura definendo induttivamentel’insieme di vettori:

zn := yn −n−1∑k=0

(xk|yn)xk ,

e quindi quello dei vettori xn := zn/||zn||. Per induzione si verifica facilmente che i vettoriz0, . . . , zk sono non nulli, ortogonali (quindi linearmente indipendenti) e generano lo stesso spa-zio generato dai vettori linearmente indipendenti y0, . . . , yk; di conseguenza i vettori x0, . . . , xkformano un insieme ortonormale che genera lo stesso spazio generato dai vettori linearmenteindipendenti y0, . . . , yk. Se u ⊥ yn per ogni n ∈ N, allora vale anche (scrivendo gli xn comecombinazione lineare di y0, . . . , yn) u ⊥ xn per ogni n ∈ N e viceversa (scrivendo ogni yn comecombinazione lineare di x0, . . . , xn). Quindi X⊥ = Y ⊥ = 0 e dunque X e una base hilbertianaper H.(b) S deve contenere un sottoinsieme S0 numerabile e denso in H. Sia infatti ynn∈N un insiemedenso e numerabile in H. Per ogni yn ci sara una successione xnmm∈N ⊂ S tale che xnm → ynper m → +∞. Si verifica subito che il sottoinsieme numerabile di S, S0 := xn,m(n,m)∈N×N, eancora denso in H. Rietichettiamo gli elementi di S0 sui naturali in modo che x1 6= 0. Avre-mo dunque S0 = xqq∈N e dividiamo S0 in due sottoinsiemi S1, che conterra almeno x1 perdefinizione, e S2 nel modo seguente. Se x2 e linearmente indipendente da x1 includiamo x2

in S1 altrimenti lo includiamo in S2. Se x3 e linearmente indipendente dagli elementi in S1

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lo includiamo in S1 altrimenti lo includiamo in S2. Procediamo in questo modo per tutti glielementi di S0. S1 conterra, per costruzione, un insieme di generatori di S0. In questo modo< S1 >=< S0 >⊃ S0 sara un insieme denso in H e composto da vettori linearmente indipenden-ti. Inoltre, visto che S ⊃ S1 e sottospazio vettoriale, posto Y := S0, avremo che la procedura dicostruzione di un sistema ortonormale completo tramite combinazioni lineari finite di elementidi Y descritta in (a), produce una base hilbertiana di elementi di S stesso. 2

Esempi 3.2.(1) Consideriamo lo spazio di Hilbert L2([−L/2, L/2], dx) (vedi (2) in esempi 3.1), dove dx ela solita misura di Lebesgue sui boreliani di R e L > 0. Consideriamo le funzioni misurabili(perche continue) definite come, per n ∈ Z e x ∈ [−L/2, L/2],

fn(x) :=ei

2πnLx

√L

. (3.24)

Si verifica immediatamente che le funzioni fn appartengono allo spazio considerato e costitui-scono un insieme ortonormale rispetto al prodotto scalare di L2([−L/2, L/2], dx) (vedi (2) inesempi 3.1)

(f |g) :=∫ L/2

−L/2f(x)g(x)dx . (3.25)

Consideriamo l’algebra di Banach di funzioni continue C([−L/2, L/2]) (che e sottospazio diL2([−L/2, L/2], dx)) con norma data dalla norma dell’estremo superiore ((4) e (5) in esempi2.1). Il sottospazio vettoriale S di C([−L/2, L/2]) generato da tutti i vettori fn, n ∈ Z, euna sottoalgebra di C([−L/2, L/2]). S contiene 1, e chiusa rispetto alla coniugazione com-plessa e, come e facile provare, separa i punti di [−L/2, L/2] (l’insieme delle funzioni fn dasolo separa i punti), per cui, per il teorema di Stone-Weierstrass ((5) in esempi 2.1), e densain C([−L/2, L/2]). D’altra parte e noto che le funzioni continue di [−L/2, L/2] costituisco-no uno spazio vettoriale denso in L2([−L/2, L/2], dx) nella topologia di quest’ultimo ([Rud82]p.85); infine la topologia di C([−L/2, L/2]) e piu forte di quella di L2([−L/2, L/2], dx), va-lendo (f |f) ≤ L sup |f |2 = L(sup |f |)2 se f ∈ C([−L/2, L/2]). Ne consegue che S e denso inL2([−L/2, L/2], dx). Per (e) del teorema 3.4, i vettori fn costituiscono una base hilbertiana diL2([−L/2, L/2], dx), che di conseguenza risulta anche essere separabile.(2) Consideriamo lo spazio di Hilbert L2([0, 1], dx), dove dx e la misura di Lebesgue. Come nel-l’esempio precedente l’algebra di Banach C([0, 1]) e sottospazio denso in L2([0, 1], dx) nella topo-logia di quest’ultimo. Definiamo ora, diversamente dall’esempio precedente, per n = 0, 1, 2, . . .,x ∈ [0, 1]:

gn(x) := xn . (3.26)

Si dimostra subito che i vettori scritti sopra sono linearmente indipendenti. Il sottospazio vet-toriale S di C([0, 1]) generato da tutti i vettori gn, n ∈ N, e una sottoalgebra di C([0, 1]). Scontiene 1, e chiusa rispetto alla coniugazione complessa e separa i punti, per cui, per il teoremadi Stone-Weierstrass, e densa in C([0, 1]) e anche in L2([0, 1], dx), ragionando come nell’esempio

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precedente. La differenza dal caso precedente e che ora che le funzioni gn non costituiscono uninsieme ortonormale. Tuttavia, usando la proposizione 3.4 si costruisce immediatamente un si-stema ortonormale completo per L2([0, 1], dx). Gli elementi di tale base hilbertiana si chiamanoi polinomi di Legendre.(3) I due esempi precedenti esibiscono due spazi L2 separabili. Si puo provare che Lp(X, µ)(1 ≤ p < +∞) e separabile se e solo se la misura µ e separabile, cioe ammette un sottoinsiemedenso e numerabile lo spazio metrico costruito sul sottoinsieme della σ-algebra Σ della misura µcontenente insiemi di misura finita, prendendo il quoziente rispetto alla relazione di equivalenzache identifica insiemi che differiscono per insiemi di misura nulla, e infine definendo la distanzacome:

d(A,B) := µ((A \B) ∪ (B \A)) .

A tal fine vale la seguente proposizione sulle misure separabili.Proposizione (misure e spazi Lp separabili). Una misura positiva σ-additiva µ, e quindiLp(X, µ), e separabile se µ e σ-finita (cioe X e unione numerabile di insiemi di misura finita) edesiste una classe al piu numerabile di insiemi misurabili la σ-algebra generata dai quali coincidecon quella della misura µ. [Hal69]Si osservi che, di conseguenza, come corollario.Proposizione (misure di Borel e spazi Lp separabili). Ogni misura di Borel σ-finita rife-rita ad uno spazio topologico a base numerabile produce spazi Lp separabili.In particolare questo accade per la misura di Lebesgue su Rn ristretta ai boreliani e quindi ancheper gli Lp riferiti alla misura di Lebesgue stessa, dato che tali spazi Lp sono isomorfi, come spazidi Banach, ai corrispondenti ottenuti dalla misura ristretta alla σ-algebra di Borel (le eventualifunzioni misurabili aggiunte cadono nella classe di equivalenza della funzione nulla). Le misuredi Borel positive definite su spazi di Hausdorff localmente compatti si chiamano misure di Radonse sono regolari e i compatti hanno misura finita. Una misura di Radon e σ-finita se lo spaziosu cui e definita e σ-compatto, cioe unione numerabile di compatti.(4) Consideriamo lo spazio L2((a, b), dx), dove −∞ ≤ a < b ≤ +∞ e dx denota l’usuale misuradi Lebesgue su R. Sussiste la seguente utilissima proposizione dopo avere introdotto la trasfor-mata di Fourier e Fourier-Plancherel (proposizione 3.14):Sia f : (a, b)→ C misurabile tale che (1) l’insieme x ∈ (a, b) | f(x) = 0 ha misura nulla, (2)esistono C, δ > 0 per cui |f(x)| < Ce−δ|x| per ogni x ∈ (a, b).In questo caso lo spazio lineare finitamente generato da tutte le funzioni x 7→ xnf(x) pern = 0, 1, 2, . . . e denso in L2((a, b), dx).L’importanza di questo risultato e che consente di costruire facilmente delle basi hilbertiane inL2((a, b), dx) anche se a o b sono infiniti (per cui non e possibile usare Stone-Weierstrass). Infatti,la procedura di ortogonalizzazione di Gram-Schmidt applicata ai vettori fn, con fn(x) := xnf(x),fornisce una base hilbertiana, secondo la procedura illustrata in proposizione 3.4.A titolo di esempio, se f(x) := e−x

2/2, la procedura di Gram-Schmidt definisce la base hilbertianadi L2(R, dx) delle cosiddette funzioni di Hermite, che hanno tutte la forma ψn(x) := Hn(x)e−x

2/2

dove Hn e un polinomio di grado n = 0, 1, 2, . . . chiamato n-esimo polinomio di Hermite. NellaMeccanica Quantistica questa base hilbertiana e importante quando si studia il sistema fisico

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detto oscillatore armonico unidimensionale. Il calcolo diretto con procedura di Gram-Schmidtmostra che ψ0 = π−1/4e−x

2/2 e i successivi elementi sono individuati dalla la relazione di ricor-renza ψn+1 = (2(n+ 1))−1/2(x− d

dx)ψn.Con la stessa procedura ed usando f(x) := e−x si trova una base hilbertiana di L2((0,+∞), dx)data dalle cosiddette funzioni di Laguerre, che sono della forma e−xLn(x) con n = 0, 1, . . .. Ognipolinomio Ln e di grado n e si dice n-esimo polinomio di Laguerre. In Meccanica Quantisticaquesta base hilbertiana e importante quando si lavora con sistemi fisici con simmetria sferica,come l’atomo di idrogeno.(5) Consideriamo lo spazio di Hilbert separabile L2(Rn, dx) (dove dx denota la solita misura diLebesgue sui Boreliani di Rn). E un fatto noto [Vla81] che gli spazi di funzioni su Rn infinita-mente differenziabili, a valori reali (o complessi) e, rispettivamente, a supporto compatto oppureche decrescono all’infinito piu rapidamente di ogni potenza negativa di |x|, sono sottospazi diLp(Rn, dx), (1 ≤ p <∞) densi in questi spazi. Consegue immediatamente da (b) di proposizione3.4 che tali sottospazi contengono basi hilbertiane di L2(Rn, dxn).

3.3 Nozione di aggiunto e applicazioni.

Esaminiamo ora una delle piu importanti nozioni della teoria degli operatori in uno spazio diHilbert: la nozione di operatore aggiunto (hermitiano). In questa sezione considereremo solo ilcaso di operatori limitati. Il caso generale sara trattato piu avanti.

3.3.1 L’operazione di coniugazione hermitiana o aggiunzione.

Siano (H1, ( | )1), (H2, ( | )2) spazi di Hilbert e T ∈ B(H1,H2). Consideriamo, per u ∈ H2 fissato,l’applicazione:

H1 3 v 7→ (u|Tv)2 ∈ C . (3.27)

L’applicazione di sopra e sicuramente lineare ed anche limitata: |(u|Tv)2| ≤ ||u||2 ||T || ||v||1. Sitratta dunque di un elemento di H′1. Per il teorema di Riesz (teorema 3.2), esistera wT,u ∈ H1

tale che(u|Tv)2 = (wT,u|v)1 , per ogni v ∈ H1 . (3.28)

Possiamo ancora notare che l’applicazione H2 3 u 7→ wT,u e lineare. Infatti:

(wT,αu+βu′ |v)1 = (αu+ βu′|Tv)2 = α(u|Tv)2 + β(u′|Tv)2 = (αwT,u + βwT,u′ |v)1 ,

per cui, per ogni v ∈ H,0 = (wT,αu+βu′ − αwT,u − βwT,u′ |v)1 ;

scegliendo v := wT,αu+βu′−αwT,u−βwT,u′ , si ha che deve essere wT,αu+βu′−αwT,u−βwT,u′ = 0e quindi

wT,αu+βu′ = αwT,u + βwT,u′

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per ogni α, β ∈ C e u, u′ ∈ H2. Quindi esiste un operatore lineare T ∗ : H2 3 u 7→ wT,u ∈ H1.Questo operatore soddisfa (u|Tv)2 = (T ∗u|v)1 per ogni coppia u ∈ H2, v ∈ H1 ed e l’unicooperatore lineare a soddisfare questa identita. Se ci fosse un altro operatore B ∈ L(H2,H1) chesoddisfa l’identita detta, varrebbe anche (T ∗u|v)1 = (Bu|v)1 per ogni v ∈ H1. Di conseguenzaavremmo che ((T ∗ − B)u|v)1 = 0 per ogni v ∈ H1. Scegliendo v := (T ∗ − B)u si ha che deveessere ||(T ∗−B)u||21 = 0 e quindi T ∗u−Bu = 0. Dato che u ∈ H2 e arbitrario, deve infine valereT ∗ = B. Abbiamo in definitiva provato che vale la proposizione seguente.

Proposizione 3.5. Siano (H1, ( | )1), (H2, ( | )2) spazi di Hilbert e T ∈ B(H1,H2).Esiste ed e unico un operatore lineare T ∗ : H2 → H1 tale che:

(u|Tv)2 = (T ∗u|v)1 , per ogni coppia u ∈ H2, v ∈ H1. (3.29)

Possiamo dare la definizione di operatore aggiunto hermitiano. Nel seguito ometteremo l’agget-tivo “hermitiano”, dato che in queste dispense non lavoreremo mai con operatori aggiunti nonhermitiani, definibili lavorando con spazi di Banach senza usare la struttura di spazio di Hilbert.

Definizione 3.7. Siano (H1, ( | )1), (H2, ( | )2) spazi di Hilbert e T ∈ B(H1,H2).L’unico operatore lineare T ∗ ∈ L(H2,H1)che soddisfa (3.29) si dice aggiunto (hermitiano) oanche coniugato hermitiano dell’operatore T .

L’operazione di coniugazione hermitiana gode delle seguenti proprieta elementari. Ricordiamoche dato un operatore lineare tra due spazi vettoriali, T : X→ Y, Ran(T ) := T (x) | x ∈ X eKer(T ) := x ∈ X | T (x) = 0 indicano rispettivamente is ottospazi di Y e X rispettivamentedetti il rango (o immagine) dell’operatore T e il nucleo dell’operatore T .

Proposizione 3.6. Siano (H1, ( | )1), (H2, ( | )2) due spazi di Hilbert e T ∈ B(H1,H2). Valgonoi seguenti fatti.(a) T ∗ ∈ B(H2,H1) e piu precisamente

||T ∗|| = ||T || , (3.30)||T ∗T || = ||T ||2 = ||TT ∗|| . (3.31)

(b) L’operazione di coniugazione hermitiana e involutiva:

(T ∗)∗ = T .

(c) Se, rispettivamente, S ∈ B(H1,H2) e α, β ∈ C, oppure S ∈ B(H1,H), con H spazio diHilbert, valgono le identita

(αT + βS)∗ = αT ∗ + βS∗ , (3.32)(TS)∗ = S∗T ∗ . (3.33)

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(d) ValeKer(T ) = [Ran(T ∗)]⊥ , Ker(T ∗) = [Ran(T )]⊥ . (3.34)

(e) T e biettivo se e solo se T ∗ e biettivo. In tal caso vale: (T ∗)−1 = (T−1)∗.

Prova. Ometteremo nel seguito la specificazione della norma e del prodotto scalare e scriveremo,per esempio, || || indifferentemente per || ||1 e || ||2. Quale norma o prodotto scalare sia in usosara chiaro dal contesto.(a) Per ogni coppia u ∈ H2, x ∈ H1 vale |(T ∗u|x)| = |(u|Tx)| ≤ ||u|| ||T || ||x||. Scegliendox := T ∗u si ha in particolare ||T ∗u||2 ≤ ||T || ||u|| ||T ∗u|| e quindi ||T ∗u|| ≤ ||T || ||u||. QuindiT ∗ e limitato e ||T ∗|| ≤ ||T ||. Ha senso quindi definire (T ∗)∗ ed ottenere ||(T ∗)∗|| ≤ ||T ∗||.Questa disuguaglianza si puo riscrivere ||T || ≤ ||T ∗|| per (b), la cui dimostrazione usa solo ilfatto che T ∗ sia limitato. Poiche ||T ∗|| ≤ ||T || e ||T || ≤ ||T ∗|| vale, (3.30). Passiamo a dimostrare(3.31). E sufficiente dimostrare la prima delle due identita, la seconda segue dalla prima e da(3.30). Notiamo che, per (b)(i) del teorema 2.3, la cui tesi vale banalmente anche per operatoriS ∈ B(Y,X), T ∈ B(Z,Y) con X,Y,Z spazi normati, ||T ∗T || ≤ ||T ∗|| ||T || = ||T ||2. D’altraparte:

||T ||2 = ( sup||x||≤1

||Tx||)2 = sup||x||≤1

||Tx||2 = sup||x||≤1

(Tx|Tx) .

Usando la definizione di aggiunto e poi la disuguaglianza di Cauchy-Schwartz sull’ultimo terminedella catena di uguaglianze scritte sopra, troviamo che :

||T ||2 = sup||x||≤1

(Tx|Tx) = sup||x||≤1

|(T ∗Tx|x)| ≤ sup||x||≤1

||T ∗Tx|| = ||T ∗T || .

In definitiva abbiamo ottenuto che ||T ∗T || ≤ ||T ||2 e ||T ||2 ≤ ||T ∗T ||, per cui vale ||T ∗T || = ||T ||2.(b) Segue immediatamente dall’unicita dell’operatore aggiunto, valendo, per le note proprietadel prodotto scalare e per la stessa definizione di operatore aggiunto dell’operatore T :

(v|T ∗u) = (T ∗u|v) = (u|Tv) = (Tv|u) .

(c) Se u ∈ H2, v ∈ H1

(u|(αT + βS)v) = α(u|Tv) + β(u|Sv) = α(T ∗u|v) + β(S∗u|v) = ((αT ∗ + βS∗)u|v) .

Per l’unicita dell’operatore aggiunto vale (3.32). Se v ∈ H, u ∈ H2

(u|(TS)v) = (T ∗u|Sv) = ((S∗T ∗)u|v) .

Per l’unicita dell’operatore aggiunto vale (3.33).(d) E sufficiente provare la prima delle due identita, la seconda segue subito dalla prima usando(b). Dato che (T ∗u|v) = (u|Tv), se v ∈ Ker(T ) allora (T ∗u|v) = 0 per ogni u ∈ H2 e quindiv ∈ [Ran(T ∗)]⊥. Viceversa, sempre per (T ∗u|v) = (u|Tv), se v ∈ [Ran(T ∗)]⊥, allora (u|Tv) = 0per ogni u ∈ H2. Scegliendo u := Tv segue che Tv = 0 e quindi v ∈ Ker(T ).

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(e) Se T e biettivo allora T−1 e limitato per il teorema di Banach dell’operatore inverso. Di conse-guenza esiste (T−1)∗. Vale: T−1T = TT−1 = I. Calcolando l’aggiunto ad ambo membri, usandola seconda proprieta in (c) e tenendo conto che I∗ = I, abbiamo: T ∗(T−1)∗ = (T−1)∗T ∗ = I.Queste identita sono equivalenti a dire che T ∗ e biettivo e che (T ∗)−1 = (T−1)∗. Infine, se T ∗ ebiettivo, allora, per quanto appena provato, lo deve essere anche (T ∗)∗ = T per (b). 2

3.3.2 ∗-algebre e C∗-algebre.

L’operazione di coniugazione hermitiana consente di introdurre uno dei concetti matematici piuutili nelle formulazioni avanzate della Meccanica Quantistica: stiamo parlando della la strutturadi C∗-algebra (anche detta B∗-algebra). Torneremo ad usare tale struttura nel capitolo 8 inrelazione al teorema di decomposizione spettrale.

Definizione 3.8. Sia A un’algebra (commutativa, con unita, normata con norma || ||, diBanach) sul campo C. Se esiste un’applicazione ∗ : A→ A che gode delle seguenti proprieta:

I1. (antilinearita) (αx+ βy)∗ = αx∗ + βy∗ per ogni x, y ∈ A, α, β ∈ C,I2. (involutivita) (x∗)∗ = x per ogni x ∈ A,I3. (xy)∗ = y∗x∗ per ogni x, y ∈ A,

tale applicazione e detta involuzione e la struttura (A,∗ ) si dice ∗-algebra (rispettivamentecommutativa, con unita, normata, di Banach).Una ∗-algebra di Banach (con unita) si dice C∗-algebra (rispettivamente con unita) se vale laulteriore proprieta

||x∗x|| = ||x||2 . (3.35)

Un omomorfismo tra due ∗-algebre: f : A → B e detto ∗-omomorfismo se preserva l’involu-zione: f(x∗) = f(x)∗ per ogni x ∈ A (dove ∗ a primo membro indica l’involuzione in A e quellaa secondo membro indica l’involuzione in B), ed detto ∗-isomorfismo se e anche biettivo.Un elemento x di una ∗-algebra e detto normale se xx∗ = x∗x ed e detto hermitiano se x∗ = x.

Prima di tornare alla C∗-algebra B(H), diamo alcune immediate proprieta generali delle ∗-algebre che seguono dalla stessa definizione.

Proposizione 3.7. Sia A una ∗-algebra. Indicando con ∗ l’involuzione in A, vale quanto segue.(a) Se A e C∗-algebra con norma || || e x ∈ A e normale, allora, per ogni m = 1, 2, . . .:

||xm|| = ||x||m .

(b) Se A e C∗-algebra con norma || || e x ∈ A, allora

||x∗|| = ||x|| .

(c) Se A ammette unita I, vale I∗ = I.

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Prova. (a) Se ||x|| = 0 la tesi eovvia. Supponiamo x 6= 0 Usando ripetutamente (3.35), I2 e I3e il fatto che xx∗ = x∗x:

||x2||2 = ||(x2)∗x2|| = ||(x∗)2x2|| = ||(x∗x)∗(x∗x)|| = ||x∗x||2 = (||x||2)2

da cui ||x2|| = ||x||2 per la positivita della norma. Iterando la procedura si prova che ||x2k || =||x||2k per ogni naturale k. Se m = 3, 4, . . . esistono due naturali n, k tali che m + n = 2k. Inquesto modo:

||x||m||x||n = ||x||n+m = ||xn+m|| ≤ ||xm|| ||xn|| ≤ ||xm|| ||x||n ≤ ||x||m||x||n .

Ma allora tutte le disuguaglianze devono essere uguaglianze, in particolare:

||xm|| ||x||n = ||x||m||x||n

e pertanto, dividendo per ||x||m (che e non nullo perche x 6= 0 e || · || e una norma) si ha la tesi.(b) (3.35) implica che ||x||2 = ||xx∗|| ≤ ||x|| ||x∗|| da cui ||x|| ≤ ||x∗||. Nello stesso modo||x∗|| ≤ ||(x∗)∗||, ma (x∗)∗ = x da cui la tesi.(c) II∗ = I∗ (1) per definizione di unita; d’altra parte II∗ = (I∗)∗I∗ = (I∗I)∗ (2). Da (1) e (2)segue che I∗ = (I∗I)∗ = (I∗)∗ = I. 2

Esempi 3.3.(1) Le algebre di Banach di funzioni a valori complessi viste negli esempi (2),(3),(4),(8) e (9)in esempi 2.1 sono tutte C∗-algebre commutative in cui l’involuzione e data dalla coniugazionecomplessa delle funzioni.

(2) Abbiamo immediatamente che, in virtu di (a), (b) e (c) in proposizione 3.6:l’algebra di Banach B(H) e anche una C∗-algebra se l’involuzione e definita come la coniuga-zione hermitiana e gli operatori autoaggiunti (vedi successiva definizione 3.9) coincidono con glielementi hermitiani di B(H).

(3) Un esempio di C∗-algebra, fondamentale per le applicazioni di teoria quantistica dei campi(ma non solo) e l’algebra di von Neumann. Se M e un sottoinsieme dello spazio di Hilbertcomplesso H, il commutante di M e definito come:

M′ := T ∈ B(H) | TA−AT = 0 per ogni A ∈M .

Se M e chiuso sotto l’operazione di coniugazione hermitiana (cioeA∗ ∈M se A ∈M) il commu-tante M′ e sicuramente una ∗-algebra con unita . Nel caso generale vale: M′1 ⊂M′2 se M2 ⊂M1

e anche M ⊂ (M′)′, che implicano M′ = ((M′)′)′, per cui iterando l’operazione di calcolo delcommutate non si supera il secondo commutante.Dalla continuita del prodotto operatoriale, che il commutante M ′ e chiuso nella topologia uni-forme e quindi, se M e chiuso rispetto alla coniugazione hermitiana, il suo commutante M′ e unaC∗-algebra (sotto C∗-algebra) di B(H).

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M′ ha altre fondamentali proprieta topologiche nel caso generale. Si dimostra facilmente che M′

e chiuso rispetto alla topologia operatoriale forte e rispetto alla topologia operatoriale debole.Il risultato vale indipendentemente dal fatto che il prodotto di operatori non e congiuntamentecontinuo nei due argomenti, dato che e sufficiente la continuita separatamente nei due argomenti.Nel seguito, come di consuetudine nella teoria della algebre di von Neumann, scriveremo M′′ alposto di (M′)′ e via di seguito. Vale il seguente fondamentale teorema dovuto a von Neumann,detto [BrRo02]:Teorema (del doppio commutante).Se A e una sotto ∗-algebra di B(H), con H spazio di Hilbert complesso, i seguenti fatti sonoequivalenti.(a) A = A′′.(b) A e chiusa rispetto alla topologia operatoriale debole e I ∈ A.(c) A e chiusa rispetto alla topologia operatoriale forte e I ∈ A.

Che (a) implichi (b) che, a sua volta, implichi (c) e abbastanza facile da provare. Il punto difficilee dimostrare che (c) implichi (a). Un’algebra di von Neumann in B(H) e una sotto ∗-algebrache soddisfi una delle proprieta equivalenti del teorema di von Neumann citato sopra. Quindi,in particolare M′ e sempre un’algebra di von Neumann se M e un sottoinsieme di B(H), valendo(M′)′′ = M′ come visto sopra. Si osservi anche che, per costruzione, un’algebra di von Neumannin B(H) e una C∗-algebra, piu precisamente una sotto C∗-algebra di B(H).Si verifica subito che l’intersezione di due algebre di von Neumann e ancora un’algebra di vonNeumann. Se M ⊂ B(H), M′′ risulta essere la piu piccola (nel senso dell’intersezione) algebradi von Neumann che include M come sottoinsieme [BrRo02]. Pertanto M′′ si chiama l’algebradi von Neumann generata da M.

3.3.3 Operatori normali, autoaggiunti, isometrici, unitari, operatori positivi.

Tornando alla C∗-algebra B(H) (ma anche piu in generale a B(H,H1)), possiamo dare alcunedefinizioni riguardanti i piu importanti tipi di operatori.

Definizione 3.9. Siano (H, ( | )) e (H1, ( | )1) spazi di Hilbert e si denotino con IH e IH1, rispet-tivamente, gli operatori identita su H e H1.(a) T ∈ B(H) e detto normale se TT ∗ = T ∗T .(b) T ∈ B(H) e detto autoaggiunto se T = T ∗.(c) T ∈ L(H,H1) e detto isometrico se e limitato e T ∗T = IH; equivalentemente T ∈ L(H,H1)e isometrico se (Tx|Ty)1 = (x|y) per ogni coppia x, y ∈ H.(d) T ∈ L(H,H1) e detto unitario se e limitato e T ∗T = IH, TT ∗ = IH1; equivalentementeT ∈ L(H,H1) e unitario se e isometrico e suriettivo.(e) T ∈ L(H) e detto positivo, e si scrive T ≥ 0, se (u|Tu) ≥ 0 per ogni u ∈ H.(f) Se U ∈ L(H), si dice che T maggiora U , e si scrive T ≥ U , se T − U ≥ 0.

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Osservazioni.(1) Si osservi, a commento di (c), che se T ∈ B(H,H1) e T ∗T = IH, allora vale (Tx|Ty)1 = (x|y)per ogni coppia x, y ∈ H in quanto (x|y) = (x|T ∗Ty) = (Tx|Ty)1. Viceversa, se T ∈ L(H,H1) evale (Tx|Ty)1 = (x|y) per ogni x, y ∈ H, allora T e limitato (basta porre y = x) e dunque esisteT ∗; infine vale T ∗T = IH perche (x|T ∗Ty) = (Tx|Ty)1 = (x|y) per ogni coppia x, y ∈ H e quindiin particolare (x|(T ∗T − I)y) = 0 con x = (T ∗T − I)y.A commento di (d) si osservi che ogni operatore isometrico T e ovviamente iniettivo, percheTu = 0 implica ||u|| = 0 e quindi u = 0. Allora la surgettivita e equivalente all’esistenza diun’inversa destra che coincida con quella sinistra, che esiste gia per l’iniettivita ed e T ∗. Dacio segue immediatamente che T ∗T = IH e TT ∗ = IH1 e equivalente a dire che T ∈ L(H,H1)e isometrico (e quindi limitato) ed e anche suriettivo. (La definizione data qui di operatoreunitario e quindi in accordo con la definizione 3.3).(2) Esistono operatori isometrici in B(H) che non sono operatori unitari (ovviamente cio nonaccade se H ha dimensione finita). Un esempio e l’operatore sullo spazio l2(N):

A : (z0, z1, z2, . . .) 7→ (0, z0, z1, , . . .) ,

per ogni (z0, z1, z2, . . .) ∈ l2(N).(3) Gli operatori unitari in B(H) e quelli autoaggiunti sono operatori normali, ma non vale ilviceversa in generale.

Per concludere questa sezione, restringendoci a lavorare con un unico spazio di Hilbert, diamoalcune proprieta elementari degli operatori normali, autoaggiunti, unitari e positivi nella seguen-te proposizione preceduta da una definizione.

Definizione 3.10. Siano X spazio vettoriale sul campo K e T ∈ L(X); λ ∈ K e detto autovaloredell’operatore T se

Tu = λu (3.36)

per qualche u ∈ X \ 0. In tal caso u e detto autovettore di T con autovalore λ (o associatoall’autovalore λ). Il sottospazio di tutti gli autovettori con autovalore λ e detto autospazio diT con autovalore λ (o associato all’autovalore λ).

Proposizione 3.8. Sia (H, ( | )) spazio di Hilbert.(a) Se T ∈ B(H) e autoaggiunto, allora:

||T || = sup |(x|Tx)| | x ∈ H , ||x|| = 1 . (3.37)

Piu in generale, se T ∈ L(H) soddisfa (x|Tx) = (Tx|x) per ogni x ∈ H ed il secondo membro di(3.37) e finito, allora T e limitato.(b) Se T ∈ B(H) e normale (e quindi in particolare autoaggiunto oppure unitario):

(i) λ ∈ C e autovalore di T con autovettore u se e solo se λ e autovalore per T ∗ con lo stessoautovettore u;

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(ii) autospazi di T con autovalori distinti sono ortogonali.(c) Sia T ∈ L(H). Valgono i seguenti fatti:

(i) se T e positivo, i suoi possibili autovalori sono reali non negativi;(ii) se T e limitato ed autoaggiunto, i suoi possibili autovalori sono reali;(iii) se T e isometrico (ed in particolare unitario), i suoi possibili autovalori sono complessi

con modulo uguale a 1.(d) Se T ∈ L(H) soddisfa (y|Tx) = (Ty|x) per ogni coppia x, y ∈ H, allora T e limitato ed eautoaggiunto.(e) Se T ∈ B(H) soddisfa (x|Tx) = (Tx|x) per ogni x ∈ H, allora T e autoaggiunto.(f) Se T ∈ B(H) e positivo, allora e autoaggiunto.(g) ≥ e una relazione di ordine parziale in L(H) (e quindi anche in B(H)).

Prova. (a) Posto Q := sup |(x|Tx)| | x ∈ H , ||x|| = 1, dato che ||x|| = 1,

|(x|Tx)| ≤ ||Tx||||x|| ≤ ||Tx|| ≤ ||T || .

Quindi: Q ≤ ||T ||. Per concludere, e sufficiente provare che ||T || ≤ Q. Vale l’identita diimmediata verifica

4(x|Ty) = (x+ y|T (x+ y))− (x− y|T (x− y)) + i(x+ iy|T (x+ iy))− i(x− iy|T (x− iy)) .

Da tale identita e tenendo conto del fatto che (z|Tz) = (Tz|z) = (z|Tz), si ricava che 4Re(x|Ty) =2(x|Ty) + 2(x|Ty) puo essere scritto:

4Re(x|Ty) = (x+y|T (x+y))− (x−y|T (x−y)) ≤ Q||x+y||2 +Q||x−y||2 = 2Q||x||2 +2Q||y||2 .

Abbiamo provato che:4Re(x|Ty) ≤ 2Q||x||2 + 2Q||y||2 .

Sia y ∈ H con ||y|| = 1. Se Ty = 0, allora e ovvio che ||Ty|| ≤ Q; altrimenti definiamox := Ty/||Ty|| e otteniamo dalla disuguaglianza provata sopra:

4||Ty|| = 4Re(x|Ty) ≤ 2Q(||x||2 + ||y||2) = 2Q(1 + 1) = 4Q

da cui, ancora, ||Ty|| ≤ Q. In definitiva ||Ty|| ≤ Q se ||y|| = 1 e quindi

||T || = sup||Ty|| | y ∈ H , ||y|| = 1 ≤ Q .

La seconda proposizione segue dalla seconda parte della dimostrazione di sopra (||T || ≤ Q).(b)(i) Se A e normale

||Au||2 = (Au|Au)2 = (A∗Au|u) = (AA∗u|u) = (A∗u|A∗u) = ||A∗u||2 .

Se T e normale, T −λI e normale con aggiunto T ∗−λI, per cui applicando il risultato di sopra,

||Tu− λu||2 = ||T ∗u− λu||2 .

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La tesi segue immediatamente. (ii) Sia u autovettore di T con autovalore λ e v autovettore di Tcon autovalore µ. Per (i), λ(v|u) = (v|Tu) = (T ∗v|u) = (µv|u) = µ(v|u) per cui (λ−µ)(v|u) = 0.Essendo λ 6= µ, deve essere (v|u) = 0.(c) Se T ≥ 0 e Tu = λu con u 6= 0, allora 0 ≤ (u|Tu) = λ(u|u); essendo (u|u) > 0, segue che deveessere λ ≥ 0. Sia poi T = T ∗ e Tu = λu con u 6= 0: allora λ(u|u) = (u|Tu) = (Tu|u) = λ(u|u).Essendo (u|u) 6= 0, si ha λ = λ ossia λ ∈ R. Se invece T e isometrico: (u|u) = (Tu|Tu) =|λ|2(u|u). Essendo u 6= 0, si ha che |λ| = 1.(d) La tesi si prova dimostrando che T e limitato. L’unicita dell’aggiunto implica allora cheT = T ∗ in quanto (y|Tx) = (Ty|x) per ogni coppia x, y ∈ H. A causa del teorema del graficochiuso (corollario 2 del teorema dell’applicazione aperta 2.3 in cap.2), per dimostrare che T elimitato e sufficiente provare che T e chiuso. Sia allora xn ⊂ H una successione convergente ax e supponiamo che i vettori Txn definiscano una successione convergente: dobbiamo mostrareche Txn → Tx. Nelle nostre ipotesi, fissato y ∈ H, si ha:

(y|Txn) = (Ty|xn)→ (Ty|x) = (y|Tx) .

Per la continuita del prodotto scalare e tenendo conto che esiste per ipotesi limn→+∞ Txn,possiamo allora scrivere:

y

∣∣∣∣Tx− limn→+∞

Txn

= 0 .

Dato che y e arbitrario, scegliendo proprio y := Tx − limn→+∞ Txn concludiamo che Tx −limn→+∞ Txn = 0.(e) e (f) Nelle ipotesi fatte ((T ∗− T )x|x) = 0 per ogni x ∈ H. Per (2) in esercizi 3.2 (vedi dopo)deve essere T ∗ − T = 0 ossia T = T ∗. Se T ∈ B(H) e positivo, allora (x|Tx) e reale e coincidequindi con il suo complesso coniugato, che vale (Tx|x) per le proprieta del prodotto scalare, percui si ricade nel caso precedente.(g) Bisogna provare tre fatti. (i) T ≥ T : questo e ovvio perche significa che ((T − T )x|x) ≥ 0per ogni x ∈ H. (ii) se T ≥ U e U ≥ S allora T ≥ S: questo si prova immediatamente notandoche T − S = (T − U) + (U − S) e quindi ((T − S)x|x) = ((T − U)x|x) + ((U − S)x|x) ≥ 0 perogni x ∈ H, dato che T ≥ U e U ≥ S. (iii) se T ≥ U e U ≥ T allora T = U . Per provare (iii)si osservi che nelle ipotesi fatte (x|(T − U)x) = 0 per ogni x ∈ H. Per (2) in esercizi 3.2 deveessere T − U = 0 ossia T = U .2

Nota. Si osservi che per spazi di Hilbert sul campo reale ≥ non e una relazione d’ordine parziale,perche non e vero che se A ≥ 0 e 0 ≥ A, allora A = 0. A titolo di esempio, si consideri unamatrice antisimmetrica A su Rn (visto come spazio vettoriale sul campo R), dotato del prodot-to scalare ordinario. Vale A ≥ 0 e anche 0 ≥ A, in quanto (x|Ax) = 0 per ogni x ∈ Rn, ma A 6= 0.

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3.4 Proiettori ortogonali.

Come ultimo concetto elementare introduciamo la nozione di proiettore ortogonale, che giocherail ruolo centrale nel costruire il formalismo della meccanica quantistica.In riferimento alla definizione 2.10 ed alle successive proposizioni 4.2 e 5.2, possiamo dare laseguente definizione.

Definizione 3.11. Se (H, ( | )) e spazio di Hilbert, un proiettore P ∈ B(H) e detto proiettoreortogonale se P ∗ = P .

Nota. Quindi i proiettori ortogonali sono tutti e soli gli operatori limitati da H in H definitidalle due condizioni P = PP (idempotenza) e P = P ∗ (autoaggiuntezza). Si osservi che comeimmediata conseguenza della definizione data si ha la positivita dei proiettori ortogonali: perogni x ∈ H

(u|Pu) = (u|PPu) = (P ∗u|Pu) = (Pu|Pu) = ||Pu||2 ≥ 0 .

Abbiamo la seguente coppia di proposizioni che caratterizzano i proiettori ortogonali.

Proposizione 3.9. Sia P ∈ B(H) un proiettore ortogonale (nello spazio di Hilbert H) cheproietta su M : allora vale quanto segue.(a) Il proiettore associato Q := I − P e ancora un proiettore ortogonale.(b) Q(H) = M⊥, per cui la decomposizione diretta associata a P e Q secondo (b) di proposizione2.4 e quella dovuta a M ed al suo ortogonale M⊥:

H = M ⊕M⊥ .

(c) Per ogni x ∈ H, ||x− P (x)|| = min||x− y|| | y ∈M .(d) Se N e una base hilbertiana di M , allora:

P = s-∑u∈N

u (u| ) ,

dove il simbolo “s-” indica che la serie e calcolata nella topologia forte se la somma e infinita.(e) I ≥ P ; inoltre, se P non e l’operatore nullo (il proiettore su 0), ||P || = 1.

Prova. (a) Sappiamo gia che Q := I −P e proiettore (proposizione 2.4). Per (c) di proposizione3.6, essendo anche I∗ = I, segue subito che Q∗ = Q, per cui Q e proiettore ortogonale.(b) Per la (b) della proposizione 2.4, e sufficiente provare che Q(H) = M⊥. A tal fine si noti chese x ∈ Q(H) e y ∈ M , allora (x|y) = (Qx|y) = (x|Qy) = (x|y − Py) = (x|y − y) = 0, per cuiQ(H) ⊂M⊥. Mostriamo che deve essere anche M⊥ ⊂ Q(H), per cui M⊥ = Q(H).Per la proposizione 2.4, sussiste la decomposizione diretta di H:

H = M ⊕Q(H)

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D’altra parte, per (d) di teorema 3.1, si ha anche la decomposizione diretta (e ortogonale)

H = M ⊕M⊥ .

Se y ∈M⊥, in base alla prima decomposizione si ha la decomposizione unica di y: y = yM+z conyM ∈M e z ∈ Q(H). Ma, come visto, Q(H) ⊂M⊥, per cui, per l’unicita della decomposizione,y = yM+z deve coincidere anche con la decomposizione rispetto alla seconda coppia di sottospazi:e quindi yM ∈ M e z ∈ M⊥. In tal caso yM = 0 per ipotesi, per cui y = z ∈ Q(H). Dato chey ∈M⊥ e un vettore arbitrario, abbiamo provato che M⊥ ⊂ Q(H).(c) La tesi e immediata conseguenza di (d) del teorema 3.1, quando K := M , tenuto contodell’unicita della decomposizione diretta.(d) Possiamo completare N a base hilbertiana di H tramite l’unione con una base hilbertiana N ′

di M⊥ (infatti N ∪N ′ e un insieme ortonormale per costruzione; inoltre, valendo H = M ⊕M⊥per (b), se x ∈ H e ortogonale a N e N ′, deve essere il vettore nullo. Per definizione di basehilbertiana, N ∪N ′ e base hilbertiana di H.) Allora si verifica immediatamente che

R =∑u∈N

u (u| )

eR′ =

∑u∈N ′

u (u| )

(dove le somme, se contengono infiniti addendi, sono calcolate nella topologia forte) sono opera-tori limitati, soddisfano RR = R, R(H) = M , R′R′ = R′, R′(H) = M⊥ ed infine R′R = RR′ = 0e R + R′ = I. Per la proposizione 2.4, R ed R′ sono proiettori associati alla decomposizionediretta M ⊕M⊥. Per l’unicita della decomposizione su M e M⊥ di ogni vettore, concludiamoche deve essere R = P (e R′ = Q).(e) Q = I − P e proiettore ortogonale per cui:

0 ≤ (Qx|Qx) = (x|QQx) = (x|Qx) = (x|Ix)− (x|Px) ,

per ogni x ∈ H. Questo significa che I ≥ P . Da quanto appena detto segue anche che:

||Px||2 = (Px|Px) = (x|PPx) = (x|Px) ≤ (x|x) = ||x||2 .

Prendendo l’estremo superiore su x con ||x|| = 1, si ha ||P || ≤ 1. Se P 6= 0, ci sara x ∈ H con||x|| = 1 per cui Px = x e quindi ||Px|| = 1. In tal caso dovra essere ||P || = 1. 2

Proposizione 3.10. Sia H spazio di Hilbert e M ⊂ H un sottospazio chiuso. I proiettori P e Qassociati alla somma diretta ortogonale H = M⊕M⊥ secondo la proposizione 2.5 (con N := M⊥)e che proiettano rispettivamente su M e M⊥ sono proiettori ortogonali.

Prova. Bisogna solo provare che P = P ∗. Il fatto che Q = Q∗ segue da Q = I − P .Se x ∈ H, allora si ha la decomposizione univoca x = y+ z con y = P (x) ∈ M e z = Q(x) ∈ M⊥.

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Sia x′ = y′ + z′ l’analoga decomposizione per x′ ∈ H. Vale (x′|Px) = (y′ + z′|y) = (y′|y). Maanche (Px′|x) = (y′|y+ z) = (y′|y), per cui (x′|Px) = (Px′|x) ossia ((P ∗−P )x′|x) = 0 per ognix, x′ ∈ H. Scegliendo x = (P ∗ − P )x′ si vede che deve valere Px′ = P ∗x′ per ogni x′ e quindiP = P ∗. 2

Esercizi 3.2.(1) Mostrare che se H e spazio di Hilbert, U ∈ L(H) e operatore isometrico se e solo se ||Ux|| =||x|| per ogni x ∈ H.Piu in generale, provare che se T : D(T ) → X e un operatore sullo spazio vettoriale D(T ) sulcampo complesso e con prodotto scalare ( | ), dove D(T ) e un sottospazio (non necessariamentechiuso) di X, allora i due fatti seguenti sono equivalenti (|| || indica la norma indotta dal prodottoscalare):

(a) ||Tx|| = ||x|| per ogni x ∈ D(T );(b) (Tx|Ty) = (x|y) per ogni coppia x, y ∈ D(T ).Suggerimento. (5) di Esercizi 3.1

(2) Siano H uno spazio di Hilbert e T : D(T ) → H un operatore lineare, dove D(T ) ⊂ H eun sottospazio denso in H (eventualmente D(T ) = H). Si provi che se (u|Tu) = 0 per ogniu ∈ D(T ) allora T = 0, cioe T e l’operatore nullo (che manda ogni vettore in 0).

Soluzione. Vale

0 = (u+ v|T (u+ v)) = (u|Tu) + (v|Tv) + (u|Tv) + (v|Tu) = (u|Tv) + (v|Tu) .

Similmente

0 = i(u+ iv|T (u+ iv)) = i(u|Tu) + i(v|Tv)− (u|Tv) + (v|Tu) = −(u|Tv) + (v|Tu) .

Quindi, sommando membro a membro, (v|Tu) = 0 per ogni u, v ∈ D(T ). Scegliendo vnn∈N ⊂D(T ) tale che vn → Tu per n → +∞, si ha che ||Tu||2 = (Tu|Tu) = limn→+∞(vn|Tu) = 0 perogni u ∈ D(T ), ossia Tu = 0 per ogni u ∈ D(T ) e quindi T = 0.(3) Si consideri L2([0, 1],m) dove m e la solita misura di Lebesgue. Sia f ∈ L2([0, 1],m).Mostrare che l’operatore Tf : L2([0, 1],m) 3 g 7→ f · g, dove · e l’ordinario prodotto di funzionipunto per punto, e ben definito, limitato con norma ||Tf || ≤ ||f || e normale. Infine Tf eautoaggiunto se e solo se f ammette solo valori reali.(4) Sia T ∈ B(H) autoaggiunto. Per λ ∈ R, si consideri la serie di operatori

U(λ) :=∞∑n=0

(iλ)nTn

n!,

dove T 0 := I, T 1 := T , T 2 := TT e via di seguito e la convergenza e quella nella topologiauniforme. Si dimostri che la serie converge ad un operatore unitario.(5) In riferimento all’esercizio precedente, provare che se λ, µ ∈ R, U(λ)U(µ) = U(λ+ µ).(6) Mostrare che la serie nell’esercizio (5) converge per ogni λ ∈ C ad un operatore limitato eche U(λ) e sempre normale.

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(7) Mostrare che l’operatore U(λ) dell’esercizio (7) e positivo se λ ∈ iR. Ci sono valori di λ ∈ Cper cui U(λ) e un proiettore (non necessariamente ortogonale)?(8) Calcolare esplicitamente U(λ) dell’esercizio (5) se T e definito come Tf dell’esercizio (4) conf = f .(9) In l2(N) si consideri l’operatore T : xn 7→ xn+1/n. Provare che T e limitato e calcolareT ∗.

3.5 Radici quadrate di operatori positivi e decomposizione po-lare di operatori limitati.

In questa sezione piuttosto tecnica vedremo alcune nozioni molto utili in teoria degli operatorilimitati in uno spazio di Hilbert. Il risultato piu importante e il cosiddetto teorema di decom-posizione polare per operatori limitati. Si tratta di una decomposizione di un operatore chegeneralizza la decomposizione di un numero complesso z nel prodotto del suo valore assoluto edi un esponenziale immaginario: z = |z|ei arg z. La nozione valore assoluto di un operatore e utileper introdurre una generalizzazione del concetto di “convergenza assoluta” di serie numerichecostruite a partire da operatori e basi hilbertiane. Useremo queste serie nel definire gli operatoridi Hilbert-Schmidt e gli operatori di classe traccia, alcuni dei quali rappresentano gli stati inmeccanica quantistica. Parte delle dimostrazioni sono tratte da [Mar82] e [KaAk80].

Definizione 3.12. Se A ∈ B(H), con H spazio di Hilbert, B ∈ B(H) si dice radice quadrataovvero radice quadrata (positiva) di A se B2 = A (e rispettivamente B ≥ 0).

Mostreremo tra poco che ogni operatore limitato positivo ha una ed una sola radice quadratapositiva. Ci serve un lemma iniziale che diamo sotto forma di proposizione in quanto si tratta, asua volta, di un utilissimo risultato molto usato nella teoria spettrale lavorando con successionie serie di proiettori ortogonali nella topologia forte.

Proposizione 3.11. Sia H spazio di Hilbert. Se Ann∈N ⊂ B(H) e una successione mo-notona non decrescente (non crescente) di operatori autoaggiunti limitata superiormente (ri-spettivamente inferiormente) da K ∈ B(H), allora esiste A ∈ B(H) autoaggiunto con A ≤ K(rispettivamente A ≥ K) e tale che:

A = s- limn→+∞

An . (3.38)

Prova. Dimostriamo la tesi nel caso non decrescente; l’altro caso si riporta a questo considerandola successione di termini K −An.Posto Bn := An + ||A0||I per ogni n ∈ N, si verifica facilmente che la successione dei Bn e

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monotona non decrescente fatta di operatori positivi1 e vale ancora Bn ≤ K + ||A0||I =: K1 eK1 e positivo (K puo non esserlo). Valendo (x|K1x) ≥ (x|Bnx), ma anche −(x|Bmx) ≤ 0 edinfine (x|Bnx)− (x|Bmx) ≥ 0 se n ≥ m, vale anche

(x|K1x) ≥ (x|Bnx)− (x|Bmx) ≥ 0

per ogni x ∈ H.Dato che che ogni operatore positivo T definisce un semiprodotto scalare per cui e valida ladisuguaglianza di Schwartz

|(x|Ty)|2 ≤ (x|Tx)(y|Ty) , (3.39)

avremo che, se n ≥ m:

|(x|(Bn −Bm)y)|2 ≤ (x|(Bn −Bm)x)(y|(Bn −Bm)y) ≤ (x|K1x)(y|K1y) ≤ ||K1||2||x||2||y||2 .

Quindi|(x|(Bn −Bm)y)|2 ≤ ||K1||2||x||2||y||2 .

Se si pone x = (Bn−Bm)y e si prende l’estremo superiore sugli y ∈ H con ||y|| = 1, si ricava che

||Bn −Bm|| ≤ ||K1|| . (3.40)

Dalla (3.39) con y = (Bn −Bm)x e T = Bn −Bm si ricava che, per ogni x ∈ H, se n ≥ m:

||(Bn −Bm)x||4 = ((Bn −Bm)x|(Bn −Bm)x)2 ≤ (x|(Bn −Bm)x)((Bn −Bm)x|(Bn −Bm)2x) .

Per (3.40), l’ultimo termine e maggiorato da

(x|(Bn −Bm)x)||Bn −Bm||3||x||2 ≤ ||K1||3||x||2[(x|Bnx)− (x|Bmx)] .

Quindi:||(Bn −Bm)x||4 ≤ ||K1||3||x||2[(x|Bnx)− (x|Bmx)] .

La successione non decrescente limitata di numeri positivi (x|Bkx) e necessariamente conver-gente, per cui e di Cauchy. Concludiamo che deve essere di Cauchy anche quella di vettori Bkx.Esistera dunque il limite per k → +∞ di tale successione. Definiamo

B : H 3 x 7→ limn→+∞

Bnx .

Si verifica facilmente che per costruzione B e lineare; inoltre soddisfa

0 ≤ (Bx|x) = (x|Bx) ≤ (x|K1x)1Si osservi che, in particolare se ||x|| = 1, (x|Anx) + ||A0|| ≥ (x|A0x) + ||A0||, ma −||A0|| ≤ (x|A0x) ≤ ||A0||

per (a) di Proposizione 3.8. Di conseguenza (x|Anx) + ||A0|| ≥ 0 per ogni x tale che ||x|| = 1. Questo equivale adire che (y|Any) + ||A0||(y|y) ≥ 0 per ogni y ∈ H, ossia An + ||A0||I ≥ 0.

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dato che 0 ≤ (Bkx|x) = (x|Bkx) ≤ (x|K1x) per ogni k ∈ N.Dato che K1 e limitato ed autoaggiunto (essendo positivo), da (a) di proposizione 3.8 conclu-diamo che B e limitato, valendo

sup|(x|Bx)| | x ∈ H , ||x|| = 1 ≤ sup|(x|K1x)| | x ∈ H , ||x|| = 1 = ||K1|| .

B e anche autoaggiunto per (e) di proposizione 3.8. Quindi, A := B − ||A0||I e un operatorelimitato, autoaggiunto e vale

Ax = limn→+∞

(Bn − ||A0||I)x = limn→+∞

Anx ;

inoltre A ≤ K perche per ogni x ∈ H vale (x|Anx) ≤ (x|Kx) per ipotesi e tale risultato permaneprendendo il limite per n→ +∞. 2

Come detto sopra, questo risultato ci permette di dimostrare l’esistenza delle radici quadratedegli operatori limitati positivi.

Teorema 3.8. Sia H spazio di Hilbert e A ∈ B(H) un operatore positivo. Esiste un’unica radicequadrata positiva, che indichiamo con

√A. Inoltre:

(a)√A commuta con tutti gli operatori limitati che commutano con A;

(b) se A e biettivo, e biettivo anche√A.

Nota. Come d’uso comune nella teoria degli operatori e delle algebre, dire che due operatoriA e B commutano, ovvero che A commuta con B ovvero che B commuta con A, significasemplicemente che

AB = BA . (3.41)

Senza precisare null’altro si sottintende quindi che l’identita scritta valga sul dominio di A e suquello di B (che devono coincidere) ed inoltre Ran(A) deve essere incluso nel dominio di B eRan(B) deve essere incluso nel dominio di A. E chiaro che tutto cio e banalmente vero usandooperatori A,B ∈ L(X), dove X e un qualsiasi spazio vettoriale.

Prova del teorema 3.8. Senza limitare la generalita, possiamo assumere che ||A|| ≤ 1. Quindiponiamo A0 := I −A. Mostriamo prima di tutto che A0 ≥ 0 e ||A0|| ≤ 1.A0 ≥ 0 dato che (x|A0x) = (x|x)− (x|Ax) ≥ ||x||2 − ||A||||x||2, dove abbiamo usato il fatto cheA = A∗ per cui (per (a) di proposizione 3.8) ||A|| = sup|(z|Az)| | ||z|| = 1 e tenendo contoche |(z|Az)| = (z|Az) per la positivita di A. Dato che la forma sesquilineare (x, y) 7→ (x|A0y) epositiva, vale la disuguaglianza di Cauchy-Schwartz per cui:

|(x|A0y)|2 ≤ (x|A0x)(y|A0y) ≤ ||x||2||y||2 ,

dove abbiamo usato la positivita di A = I − A0 e A0 nell’ultimo passaggio. Per y = A0xotteniamo da sopra che ||A0x|| ≤ ||x||, da cui infine si ha che

||A0|| ≤ 1 . (3.42)

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Passiamo a definire una successione di operatori limitati Bn : H→ H, per n = 1, 2, · · · , ponendo:

B1 := 0 , Bn+1 :=12

(A0 +B2n) . (3.43)

Usando (3.42) si verifica immediatamente, usando le proprieta della norma, che per ogni n comesopra,

||Bn|| ≤ 1 . (3.44)

Per induzione si verifica immediatamente che gli operatori Bn sono polinomi in A0 a coefficientinon negativi. Si tenga conto, qui e nel seguito, che tutti gli operatori Bk commutano tra diloro e commutano con A0 per costruzione. Similmente gli operatori Bn+1 −Bn risultano esserepolinomi di A0 a coefficienti non negativi. Infatti dalla (3.43) si ha che:

Bn+1 −Bn =12

(A0 +B2n)− 1

2(A0 +B2

n−1) =12

(B2n −B2

n−1)

ossiaBn+1 −Bn =

12

(Bn +Bn−1)(Bn −Bn−1) .

Dall’ultima identita segue facilmente, per induzione, che gli operatori Bn+1−Bn sono polinomidi A0 a coefficienti non negativi: si tenga conto del fatto che ogni Bn+Bn−1 e somma di polinomia coefficienti non negativi per cui e un polinomio a coefficienti non negativi ed infine si usi ilfatto che il prodotto di polinomi a coefficienti non negativi e un polinomio dello stesso genere.Dato che A0 ≥ 0, ogni suo polinomio a coefficienti non negativi e un operatore positivo: ilpolinomio e somma di termini a2nA

2n0 che sono positivi (essendo a2n ≥ 0 e A2n

0 = An0An0 con

An0 autoaggiunto, per cui a2n(x|A2n0 x) = a2n(An0x|An0x) ≥ 0), e di termini a2n+1A

2n+10 che sono

ancora positivi (perche a2n+1 ≥ 0 e (x|A2n+10 x) = (x|An0AAn0x) = (An0x|AAn0x) ≥ 0).

Concludiamo che gli operatori limitati Bn e Bn+1 −Bn sono operatori positivi. In altre parole,la successione degli operatori limitati positivi (e quindi autoaggiunti) Bn e non decrescente.Questa successione e anche maggiorata dall’operatore I. Infatti, essendo B∗n = Bn ≥ 0 vale, per(a) di proposizione 3.8, (x|Bnx) = |(x|Bnx)| ≤ ||Bn||||x||2. Da (3.44) segue subito che Bn ≤ I.Possiamo allora applicare la proposizione 3.11 ottenendo che esiste un operatore limitato positivoB0 ≤ I tale che:

B0 = s− limn→+∞

Bn .

Vale ulteriormente per la definizione di convergenza nella topologia operatoriale forte, per lacommutativita degli operatori Bk e per la continuita di essi:

B0Bmx = ( limn→+∞

Bn)Bmx = limn→+∞

BnBmx = limn→+∞

BmBnx = Bm limn→+∞

Bnx = BmB0x .

Quindi B0 commuta con ogni Bm e di conseguenza:

B20 −B2

n = (B0 +Bn)(B0 −Bn)

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da cui, per n→ +∞

||B20x−B2

nx|| ≤ ||B0 +Bn||||B0x−Bnx|| ≤ (||B0||+ ||Bn||)||B0x−Bnx|| ≤ 2||B0x−Bnx|| → 0 .

In altre paroleB2

0x = limn→+∞

B2nx .

Passando allora al limite nella relazione ottenuta da (3.43)

Bn+1x =12

(A0x+B2nx) ,

troviamo, per ogni x ∈ H,

B0x =12

(A0x+B20x) ,

ossia2B0 = A0 +B2

0 .

Per concludere, esprimendo l’identita di sopra in termini di B := I − B0, troviamo immediata-mente che

B2 = I −A0 ,

cioe,B2 = A .

Quindi B e una radice quadrata di A. Si osservi che B ≥ 0 dato che B0 ≤ I e B = I −B0. Percui B e una radice quadrata positiva di A. Ancora, se C e un operatore limitato che commutacon A allora commutera con A0 e quindi con ogni Bn. Di conseguenza C commutera con B0 econ B = I −B0.Proviamo infine l’unicita della radice quadrata positiva. Sia V una radice quadrata positiva diA. La radice positiva B costruita sopra ha la proprieta di commutare con tutti gli operatori checommutano con A. Siccome

AV = V 3 = V A ,

V e A commutano tra di loro e quindi B dovra commutare con V . Fissiamo arbitrariamentex ∈ H e poniamo y := Bx− V x. Abbiamo allora:

||Bx− V x||2 = ([B − V ]x|[B − V ]x) = ([B − V ]x|y) = (x|[B∗ − V ∗]y) = (x|[B − V ]y) (3.45)

Mostriamo ora che, nelle nostre ipotesi, By = 0 e V y = 0 separatamente. Cio conclude la provaperche, per l’arbitrarieta di x ∈ H, ||Bx− V x|| = 0 implica B = V .Vale

(y|By) + (y|V y) = (y|[B + V ][B − V ]x) = (y|[B2 − V 2]x) = (y|[A−A]x) = 0 ,

Poiche (y|V y) ≥ 0 e (y|By) ≥ 0 deve quindi essere

(y|V y) = (y|By) = 0 .

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Questo implica che V y = By = 0, infatti, se W e una radice quadrata positiva di V , essendo

||Wy||2 = (Wy|Wy) = (y|W 2y) = (y|V y) = 0 ,

dovra essere Wy = 0 e, a maggior ragione, V y = W (Wy) = 0. Nello stesso modo si trovaBy = 0.Non resta che provare che

√A e biettivo se lo e A. Se A e biettivo, allora commuta con

A−1, di conseguenza commuta con A−1 anche√A. Si verifica allora immediatamente che

A−1√A =

√AA−1 e inverso destro e sinistro di

√A, che e di conseguenza biettivo. 2

Corollario. Sia H spazio di Hilbert; se A,B ∈ B(H) sono positivi e commutano tra di loro,allora il loro prodotto e un operatore limitato positivo.

Prova.√B commuta con A, percio

(x|ABx) = (x|A√B

2x) = (x|

√BA√Bx) = (

√Bx|A

√Bx) ≥ 0 . 2

Concludiamo la sezione mostrando che ogni operatore limitato A su uno spazio di Hilbert ammet-te una decomposizione in un prodotto di un operatore positivo P , univocamente determinato, eun operatore isometrico U definito sul rango di quello positivo ed ivi univocamente determina-to: A = UP . Tale decomposizione si dice decomposizione polare dell’operatore e ha moltepliciapplicazioni in fisica matematica. Noi useremo la decomposizione polare di operatori limitaticompatti nella prossima sezione. Una definizione preliminare e necessaria.

Definizione 3.12. Siano H spazio di Hilbert e A ∈ B(H). L’operatore limitato, positivo equindi autoaggiunto:

|A| :=√A∗A , (3.46)

e detto valore assoluto di A.

Nota. Valendo, per ogni x ∈ H: || |A| x||2 = (x| |A|2x) = (x|A∗Ax) = ||Ax||2, otteniamo

|| |A| x|| = ||Ax|| , (3.47)

da cui segue cheKer(|A|) = Ker(A) (3.48)

e quindi |A| e iniettivo se e solo se lo e A. Un’altra utile proprieta e:

Ran(|A|) = (Ker(A))⊥ , (3.49)

che vale in quanto Ran(|A|) = ((Ran(|A|))⊥)⊥ = (Ker(|A|∗))⊥ = (Ker(|A|))⊥ = (Ker(A))⊥.

Passiamo al teorema di decomposizione polare.

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Teorema 3.9. Siano H spazio di Hilbert e A ∈ B(H).(a) Esiste una sola coppia di operatori P,U ∈ B(H) tali che valgano insieme le condizioniseguenti:

(1) vale la decomposizioneA = UP , (3.50)

(2) P e positivo,(3) U e isometrico su Ran(P ) (ossia ||Ux|| = ||x|| per ogni x ∈ Ran(P )),

(4) Ker(U) ⊃ Ker(P ) (o equivalentemente (4)’ Ker(U) ⊃ Ker(A)).(b) Risulta essere P = |A| e quindi Ker(U) = Ker(A) = (Ran(P ))⊥.(c) Se A e biettivo, U coincide con l’operatore unitario A|A|−1.

Prova. (a) Cominciamo con il provare l’unicita. Se esiste la decomposizione (3.50) A = UPcon P ≥ 0 (oltre che limitato) e U limitato, allora A∗ = PU∗, essendo P autoaggiunto perchepositivo ((c) in teorema 3.8); quindi

A∗A = PU∗UP . (3.51)

La condizione che U sia isometrico su Ran(P ) si scrive (UPx|UPy) = (Px|Py) per ogni x, y ∈ H,che equivale a (x|[PU∗UP −P 2]y) = 0 per ogni x, y ∈ H. Quindi PU∗UP = P 2. Sostituendo in(3.51) concludiamo che deve essere P 2 = A∗A e dunque, essendo P positivo ed estraendo l’unicaradice quadrata positiva (teorema 3.8) ad ambo membri, troviamo P = |A|. Quindi, se esisteuna decomposizione con i requisiti fissati in (a), necessariamente P = |A|. Mostriamo che ancheU e fissato unicamente. Notiamo che H = Ker(P )⊕ (Ker(P ))⊥ ma, usando (d) di proposizione3.6 e la (e) del teorema 3.1, vale anche (Ker(P ))⊥ = Ran(P ∗) = Ran(P ) per il fatto che P eautoaggiunto. Quindi H = Ker(P ) ⊕ Ran(P ). Per assegnare un operatore su H, e sufficienteassegnarlo su ciascuno dei due addendi della somma diretta scritta sopra: U = 0 su Ker(P )nelle ipotesi del teorema, mentre la condizione UPx = Ax per ogni x ∈ H fissa univocamenteU su Ran(P ). D’altra parte, essendo per ipotesi U limitato, lo sara anche ristretto a Ran(P ).Un operatore limitato definito in un dominio denso e estendibile univocamente ad un operatorelimitato definito sulla chiusura del dominio (vedi (3) e (4) in esercizi 2.1). Quindi, per le ipotesifatte, U e in realta fissato su tutto Ran(P ) e quindi su tutto H. La dimostrazione di unicita econclusa; passiamo a quella di esistenza.In base a quanto visto sopra, e necessario, innanzi tutto, mostrare che la condizione UP = Acon P = |A|, riscritta equivalentemente come U : |A|x 7→ Ax per ogni x ∈ H, definisce effet-tivamente un operatore, che indicheremo con U0, su Ran(|A|). Perche tale funzione sia bendefinita e necessario sufficiente che valga |A|x = |A|y ⇒ Ax = Ay, altrimenti non avremmouna funzione. Notiamo che, da (3.47), se |A|x = |A|y, allora Ax = Ay e quindi l’applicazioneU0 : Ran(|A|) 3 |A|x 7→ Ax e ben definita (non e plurivoca). Il fatto che U0 sia lineare e ovvioper costruzione, come lo e il fatto che sia un’isometria, poiche U0 preserva le norme per (3.47)(si tenga conto di (1) in esercizi 3.2). Il fatto che U0 sia un’isometria su Ran(|A|) implica, percontinuita, che si estenda in modo unico ad un’isometria sulla chiusura di Ran(|A|). Indichiamo

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ancora con U0 tale estensione. Infine definiamo un operatore U : H → H tale che, rispettoalla somma diretta vista sopra H = Ker(|A|) ⊕ Ran(|A|), si decomponga in U Ker(|A|):= 0 eU

Ran(|A|):= U0. E immediato verificare che U ∈ B(H) e che U soddisfa (3.50) per costruzione.Infine vale Ker(U) ⊃ Ker(|A|) per costruzione. Proviamo, per concludere, che i due nuclei inrealta coincidono. Ogni eventuale u con Uu = 0 si decompone come u0 + x, con u0 ∈ Ker(|A|),su cui U si annulla, e x ∈ Ran(|A|), per cui deve valere U0x = 0. Dato che su tale spazio U0

e isometrico, deve essere x = 0 e quindi u = u0 ∈ Ker(|A|). Quindi Ker(U) ⊂ Ker(|A|) e,tenendo conto anche dell’altra inclusione, vale infine Ker(U) = Ker(|A|) = Ker(A) per (3.48).(b) e gia stato provato completamente provando (a).(c) Se A e iniettivo, usando (b), si trova che Ker(A) = Ker(U) e banale e quindi U e iniettivo.D’altra parte, direttamente dalla decomposizione polare A = UP si vede che Ran(U) ⊃ Ran(A)e pertanto, se A e suriettivo, deve esserlo U . Concludiamo che, se A e biettivo, U deve essere tale.In tal caso, per (b), U e un operatore isometrico suriettivo su Ran(P ) = (Ker(P ))⊥ = 0⊥ = Hed e quindi unitario. Infine, da A = U |A|, essendo A e U biettivi, segue che |A| e biettivo equindi possiamo scrivere: U = A|A|−1. 2

Definizione 3.13. Siano H spazio di Hilbert e A ∈ B(H). Si dice decomposizione polaredell’operatore A la decomposizione

A = UP ,

dove P,U ∈ B(H) soddisfano le proprieta: P e positivo, U e isometrico su Ran(P ) e Ker(U) =Ker(P ).

Un utile corollario del teorema di decomposizione polare e il seguente.

Corollario. Nelle ipotesi del teorema 3.9, se U |A| = A e la decomposizione polare di A, valel’identita:

|A∗| = U |A|U∗ . (3.52)

Prova. Da A = U |A| segue immediatamente che A∗ = |A|U∗ = U∗ U |A|U∗, dove si e tenutoconto del fatto che U∗U |A| = |A|, dato che U e isometrico su Ran(|A|). Quindi, per l’operatoreautoaggiunto AA∗ vale:

AA∗ = U |A|U∗ U |A|U∗ .

Dato che U |A|U∗ e evidentemente positivo, avremo, per l’unicita della radice quadrata:

|A∗| =È

(A∗)∗A∗ =√AA∗ = U |A|U∗ .

Questo prova la tesi. 2

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3.6 La trasformata di Fourier-Plancherel.

Introduciamo molto brevemente la trasformata di Fourier e di Fourier-Plancherel.

Notazione 3.3. I punti di Rn saranno indicati con singole lettere e le componenti con la stessalettera ed un indice, in tal modo x = (x1, . . . , xn), mentre dx denotera l’ordinaria misura diLebesgue in Rn.Diremo multindice ogni n-pla, α = (α1, . . . , αn) con αi = 0, 1, 2, . . . e indicheremo con |α| lasomma |α| := ∑n

i=1 αi. Useremo inoltre le seguenti notazioni:

∂αx :=∂|α|

∂xα11 · · · ∂x

αnn

,

e nello stesso modoMα(x) := xα1

1 · · ·xαnn .

Con D(Rn) indicheremo lo spazio, anche indicato con C∞c (Rn), delle funzioni a valori complessiinfinitamente differenziabili con supporto compatto. Con S(Rn) indicheremo lo spazio di Sch-wartz su Rn, ovvero lo spazio vettoriale complesso delle funzioni C∞(Rn) a valori complessi chegodono dell’ulteriore proprieta: per ogni f ∈ S(Rn) e per ogni coppia di multindici α e β, esisteK < +∞ (dipendente da f , α e β!) tale che

|Mα(x)∂βxf(x)| ≤ K, per ogni x ∈ Rn . (3.53)

Le norme || ||1, || ||2 e || ||∞ in questa sezione denoteranno rispettivamente la norma di L1(Rn, dx),L2(Rn, dx) e L∞(Rn, dx) (vedi (6) e (8) in Esempi 2.1).

Ovviamente D(Rn) e S(Rn) sono invarianti sotto l’azione degli operatori Mα(x) (visto comeoperatore moltiplicativo) e ∂αx : funzioni di ciascuno dei due spazi rimangono nel rispettivo spa-zio quando trasformate sotto l’azione di Mα(x) e ∂αx .E chiaro che D(Rn) ⊂ Lp(R, dx) come sottospazio per ogni 1 ≤ p ≤ ∞ dato che i compatti su Rn

hanno misura di Lebesgue finita e che ogni f ∈ D(Rn) e continua e quindi limitata sui compatti.Vale anche che S(Rn) ⊂ Lp(R, dx) per ogni 1 ≤ p ≤ ∞ come sottospazio. Infatti, se C ⊂ Rn eun compatto contenente l’origine, f ∈ S(Rn) e limitata su C essendo ivi continua e, fuori da C,vale |f(x)| ≤ Cn|x|−n per ogni n = 0, 1, 2, 3, . . . pur di scegliere Cn ≥ 0 sufficientemente grande.In definitiva |f | e limitata su Rn e quindi appartiene a L∞ ma, per ogni p ∈ [1,+∞), e anchelimitata da una funzione che appartiene a Lp: tale funzione e costante su C e vale Cn/|x|n conn > 1/p fuori da C. Oltre al fatto ovvio che D(Rn) ⊂ S(Rn), ricordiamo un fatto notissimo(indipendente dai risultati che troveremo in questa sezione) che sara utile tra poco [KiGv83]:gli spazi D(Rn) e S(Rn) sono sottospazi densi di ogni Lp(R, dx) per ogni 1 ≤ p <∞.Vale infine il seguente importante Lemma la cui dimostrazione si puo trovare in [Bre86] (Corol-lario IV.24) ed e indipendente dai risultati che troveremo in questa sezione.

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Lemma 3.2. Se f ∈ L1(Rn, dx) e∫Rnf(x)g(x) dx = 0 per ogni g ∈ D(Rn) ,

allora f(x) = 0 quasi ovunque rispetto alla misura di Lebesgue dx su Rn.

Definizione 3.14. Le trasformazioni lineari da L1(Rn, dx) in L∞(Rn, dx) definite da:

(Ff)(k) :=∫

Rn

eik·x

(2π)n/2f(x) dx , per ogni f ∈ L1(Rn, dx) e ogni k ∈ Rn ; (3.54)

(F−g)(x) :=∫

Rn

e−ik·x

(2π)n/2g(k) dk , per ogni g ∈ L1(Rn, dk) e ogni x ∈ Rn (3.55)

sono dette rispettivamente: trasformata di Fourier e trasformata inversa di Fourier.

Osservazioni.(1) Si osservi che dk indica comunque la misura di Lebesgue in Rn. Abbiamo usato un nuovonome per la variabile di Rn (k invece di x) nell’esplicitare la trasformata inversa di Fourier soloperche tale notazione e quella tradizionale e cio si rivelera comodo nei calcoli.(2) E ovvio che, per le proprieta elementari dell’integrale,

|(Ff)(k)| ≤∣∣∣∣∣∫

Rneik·xf(x)

dx

(2π)n/2

∣∣∣∣∣ ≤∫

Rn|eik·x| |f(x)| dxn

(2π)n/2=∫

Rn|f(x)| dx

(2π)n/2=||f ||1

(2π)n/2

e similmente |(F−g)(x)| ≤ ||g||1/(2πn/2) per ogni x, k ∈ Rn, per cui ha senso definire la trasfor-mata di Fourier e la trasformata inversa di Fourier come operatori a valori almeno in L∞(Rn, dx).

Vediamo nel seguito solo le proprieta piu immediate della trasformata di Fourier che si con-nettono piu direttamente con la trasformazione di Fourier-Plancherel. Tralasceremo importantirisultati come la continuita rispetto alla topologia naturale indotta da seminorme nello spaziodi Schwartz, per i quali si rimanda a qualsiasi testo di teoria delle funzioni ed analisi funzionaleoppure teoria delle distribuzioni [Vla81].

Proposizione 3.12. La trasformazione di Fourier e la trasformazione inversa di Fourier godo-no delle seguenti proprieta.(a) Sono continue rispetto alle norme naturali del dominio e codominio, valendo le disugua-glianze

||Ff ||∞ ≤||f ||1

(2π)n/2e ||F−g||∞ ≤

||g||1(2π)n/2

.

(b) Lo spazio di Schwartz e invariante sotto F e F−, cioe F(S(Rn)) ⊂ S(Rn) e F−(S(Rn)) ⊂S(Rn).

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(c) Le due trasformazioni ristrette allo spazio invariante S(Rn) sono una l’inversa dell’altra: sef ∈ S(Rn), allora

g(k) =∫

Rn

eik·x

(2π)n/2f(x) dx

se e solo se

f(x) =∫

Rn

e−ik·x

(2π)n/2g(k) dk

(d) Le due trasformazioni ristrette allo spazio invariante S(Rn) sono isometriche rispetto alsemi-prodotto scalare di L2(Rn, dxn): se f1, f2, g1, g2 ∈ S(Rn), allora∫

Rn(Ff1)(k)(Ff2)(k)dk =

∫Rnf1(x)f2(x)dx

e ∫Rn

(F−g1)(x)(F−g2)(x)dx =∫

Rng1(k)g2(k)dk .

(e) Le due trasformazioni individuano trasformazioni limitate da L1(Rn, dx) a C0(Rn) (lo spaziodelle funzioni continue che tendono a zero all’infinito (4) in Esempi 2.1) e pertanto vale ilLemma di Riemann-Lebesgue: per ogni f ∈ L1(Rn, dx),

(F) (k)→ 0 per |x| → +∞

e vale l’analoga proprieta per F−.(f) Le due trasformazioni, definite su L1(Rn, dx), sono iniettive.

Osservazione. Riguardo al punto (f), si puo dimostrare [Rud91] ancora piu fortemente che sef ∈ L1(Rn, dx) e tale che Ff ∈ L1(Rn, dk), allora vale anche F−(Ff) = f . E valido lo stessorisultato scambiando il ruolo di F e F−.

Prova della proposizione 3.12. (a) e gia stata dimostrata nella (2) di note seguenti la definizione3.14. (b) Diamo la prova per F; per F− si puo procedere analogamente. Poniamo

g(k) :=∫

Rn

eik·x

(2π)n/2f(x) dx

Si verifica facilmente che il secondo membro puo essere derivato in k tramite un operatore ∂αkfacendo passare la derivata sotto il segno di integrale. Infatti risulta immediatamente che∣∣∣∂αk eik·xf(x)

∣∣∣ =∣∣∣i|α|Mα(x)eik·xf(x)

∣∣∣ ≤ |Mα(x)f(x)| .

La funzione x 7→ |Mα(x)f(x)| e in L1 in quanto f ∈ S(Rn). Dato che il modulo della deri-vata dell’integrando e maggiorato uniformemente da una funzione positiva ed integrabile, noti

91

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teoremi sul passaggio del simbolo di derivata sotto quello di integrale (basati sul teorema dellaconvergenza dominata di Lebesgue) permettono di concludere che

∂αk g(k) = i|α|∫

Rn

eik·x

(2π)n/2Mα(x)f(x) dx (3.56)

Notando che f si annulla piu rapidamente di ogni potenza inversa di |x| per |x| → +∞, si trovache:

Mβ(k)g(k) =∫

Rn(−i)|β|∂βx

eik·x

(2π)n/2

f(x) dx

e quindi, usando l’integrazione per parti,

Mβ(k)g(k) = i|β|∫

Rn

eik·x

(2π)n/2∂βxf(x) dx . (3.57)

Quindi, inserendo ∂αk g al posto della funzione g in (3.57) e tenendo conto di (a), si ha:

|Mβ(k)∂αk g(k)| ≤∣∣∣∣∣∣∂β (Mαf)

∣∣∣∣∣∣1,

per ogni k ∈ Rn. Essendo finito il secondo membro, in quanto f ∈ S(Rn), ed essendo α e βarbitrari, concludiamo che g ∈ S(Rn).(c) Le identita (3.56) e (3.57) si scrivono in altro modo come

∂α F = i|α| FMα , (3.58)Mβ F = i|β| F∂β , (3.59)

dove F e in realta la restrizione della trasformata di Fourier a S(Rn). Osservando che

Fh = F−h

per ogni h ∈ S(Rn), si ricava facilmente:

∂α F− = (−1)|α|i|α| F−Mα , (3.60)Mβ F− = (−1)|β|i|β| F−∂β . (3.61)

Dalle (3.58), (3.59), (3.60) e (3.61), troviamo in particolare che

FF−Mα = MαFF− , (3.62)

F−F Mα = MαF−F , (3.63)

dove Mα e pensato come operatore moltiplicativo (Mαf)(x) := Mα(x)f(x), e anche

FF− ∂α = ∂αFF− , (3.64)

F−F ∂α = ∂αF−F . (3.65)

92

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Mostreremo ora che, in virtu di tali relazioni di commutazione, gli operatori J := FF− e J− :=F−F devono essere l’operatore identita di S(Rn). Per prima cosa proviamo che, fissati x0 ∈ Rn ef ∈ S(Rn), il valore di (Jf)(x0) dipende solo da f(x0). Se f ∈ S(Rn) possiamo sempre scrivere

f(x) = f(x0) +∫ 1

0

df(x0 + t(x− x0))dt

dt = f(x0) +n∑i=1

(xi − x0i)gi(x) ,

dove le funzioni gi (che sono C∞(Rn), come si verifica facilmente) sono definite da

gi(x) :=∂

∂xi

∫ 1

0f(x0 + t(x− x0))dt

e dunque, se f1, f2 ∈ S(Rn) e f1(x0) = f2(x0), risulta

f1(x) = f2(x) +n∑i=1

(xi − x0i)hi(x) , (3.66)

dove, per differenza, la funzione x 7→∑ni=1(xi − x0i)hi(x) e quindi le funzioni hi sono in S(Rn).

Applicando J ad ambo i membri di (3.66) e tenendo conto del fatto che J commuta con ipolinomi in x per (3.62), otteniamo

(Jf1)(x) = (Jf2)(x) +n∑i=1

(xi − x0i)(Jhi)(x) .

Prendendo x = x0, si vede che (Jf1)(x0) = (Jf2)(x0) sotto l’ipotesi iniziale di f1(x0) = f2(x0).Quindi, come dicevamo, (Jf)(x0) e una funzione soltanto di f(x0). Tale funzione deve ancheessere lineare, dato che J e lineare per costruzione. Ne consegue che sara (Jf)(x0) = j(x0)f(x0),dove j e una funzione su Rn a valori in C. Per l’arbitrarieta di x0, abbiamo provato che J agiscecome la moltiplicazione per una funzione j. Si osservi che tale funzione deve essere C∞. Perprovare cio, si scelga f ∈ S(Rn) che valga costantemente 1 in un intorno I(x0) di x0. Se x ∈ I(x0),vale (Jf)(x) = j(x). Dato che il primo membro e C∞(I(x0)), lo deve essere anche il secondo.Valendo cio nell’intorno di ogni punto di Rn, vale anche j ∈ C∞(Rn). La (3.64) implica allorache, per ogni f ∈ S(Rn) ed ogni x ∈ Rn:

j(x)∂

∂xif(x) =

∂xij(x)f(x) .

Scegliendo, come prima, f con valore costantemente uguale a 1 in un aperto, si ha dall’identitadi sopra che in quell’aperto tutte le derivate di j devono annullarsi. Dato che cio vale nell’intornodi ogni punto di Rn che e connesso, la funzione continua j deve essere una funzione costantesu tutto Rn. Il valore della costante ovviamente non dipende dall’argomento di J e quindi puoessere calcolato valutando J su una funzione arbitraria di S(Rn). Un utile esercizio e quello dicalcolare J sulla funzione x 7→ e−x

2e si vede che il valore della costante e proprio 1. La prova

per J− si esegue nello stesso modo.

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(d) Usando (c) la tesi si prova immediatamente. Facciamo la dimostrazione per F; quella perF− e essenzialmente la stessa. Se f1, f2 ∈ S(Rn), poniamo, per i = 1, 2:

gi(k) :=∫

Rn

eik·x

(2π)n/2fi(x) dx .

E immediato verificare che, nelle nostre ipotesi, possiamo usare il teorema di Fubini-Tonelli,ottenendo∫

Rng1(k)g2(k)dk =

∫Rng1(k)

∫Rn

eik·x

(2π)n/2f2(x)dxdk =

∫Rn×Rn

eik·x

(2π)n/2g1(k)f2(x)dx⊗ dk .

Usando nuovamente il teorema di Fubini-Tonelli per l’ultimo integrale opportunamente riscritto,abbiamo∫

Rng1(k)g2(k)dk =

∫Rn×Rn

e−ik·x

(2π)n/2g1(k)f2(x)dx⊗ dk =

∫Rnf2(x)

∫Rn

e−ik·x

(2π)n/2g1(k)dkdx

=∫

Rnf1(x)f2(x)dx ,

dove abbiamo usato il risultato in (c). Questa e la tesi che volevamo provare.(e) Facciamo la dimostrazione per F, p per F− la dimostrazione e analoga. Si osservi ancheche entrambe le trasformazioni sono ben definite su L1(Rn, dx) dato che l’integrale e invariantequando alteriamo le funzioni su insiemi di misura di Lebesgue nulla. La stima ||Ff ||∞ ≤ ||f ||1

(2π)n/2

assicura che l’applicazione lineare F : S(Rn) → S(Rn) ⊂ C0(Rn) econtinua quando il dominioe dotato della norma L1 e il codominio della norma || · ||∞. Dato che S(Rn) e denso in L1 nellanorma detta e il codominio e completo rispetto alla seconda norma, la trasformata di Fourierinizialmente definita su S(Rn) si estende per continuta unicamente (e quindi coincide con la trasf.lineare gia definita su L1(Rn, dx)) ad una trasformazione lineare limitata da L1(Rn, dx) a C0(Rn)che conserva la stessa norma (cfr (2) e (3) in Esercizi 2.1). Dato che, se f ∈ L1, Ff ∈ C0(Rn),per ogni ε > 0 esiste un compatto Kε ⊂ Rn tale che |(Ff)(k)| < ε se k 6∈ Kε. Scegliendo per ogniε > 0 una palla di raggio rε centrata nell’origine tanto grande da includere Kε, concludiamo che,per ogni ε > 0 esiste un reale rε > 0 tale che |(Ff)(k)| < ε se |k| > rε.(f) Facciamo la dimostrazione per F, p per F− la dimostrazione e analoga. Dato che l’operatoreF e lineare, e sufficiente dimostrare che se Ff e la funzione nulla, allora f e quasi ovunque nulla.Si supponga pertanto che:∫

Rn

eik·x

(2π)n/2f(x) dx = 0 , per ogni k ∈ Rn.

Se g ∈ S(Rn), applicando il teorema di Fubini-Tonelli, abbiamo che:

0 =∫

Rng(k)

∫Rn

eik·x

(2π)n/2f(x) dx dk =

∫Rn

∫Rn

eik·x

(2π)n/2g(k) dk

f(x) dx .

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Dato che F e biettiva su S(Rn), quanto ottenuto e equivalente a dire che (notare che ψf ∈L1(Rn, dx) per ogni ψ ∈ S(Rn) dato che ψ e limitata):∫

Rnψ(x)f(x) dx = 0 per ogni ψ ∈ S(Rn).

Dato che D(Rn) ⊂ S(Rn), il lemma 3.2 implica che f e nulla quasi ovunque. 2

Passiamo alla trasformata di Fourier-Plancherel. Dato che S(Rn) e denso in L2(Rn), passandoalle classi di equivalenza di funzioni si potra dire che S(Rn) individua un sottospazio denso, cheindicheremo ancora con lo stesso simbolo S(Rn), nello spazio di Hilbert L2(Rn). Gli operatoriF e F− possono essere pensati come definiti su tale sottospazio denso in L2(R, dx). Il punto (d)della proposizione 3.12 implica in particolare che tali operatori sono limitati con norma pari a1, dato che sono operatori isometrici. Come sappiamo dall’esercizio (3) di esercizi 2.1, F e F−individueranno univocamente due operatori lineari limitati su tutto L2(Rn, dx). Per esempio,l’operatore che estende F su L2(Rn, dx) e definito come, se f ∈ L2(Rn, dx),

Ff := limn→+∞

Ffn ,

dove fnn∈N ⊂ S(Rn) e una qualunque successione che converge a f nella topologia di L2(Rn, dx)(come provato nell’esercizio citato sopra, il limite esiste sempre e non dipende dalla successionescelta). Per la continuita del prodotto scalare, l’operatore esteso F continuera a conservare ilprodotto scalare di L2(R2, dx) e pertanto F sara iniettivo su L2(Rn, dx). In realta sara anchesuriettivo per il seguente motivo elementare. Accanto all’operatore F possiamo similmente co-struire l’operatore che estende su L2(Rn, dx) la trasformata inversa di Fourier ÓF−. Su S(Rn, dx)vale

FF− = IS(Rn)

Passando alle estensioni su L2 per linearita e continuita, tenendo conto del fatto che l’unicaestensione lineare dell’identita su S(Rn, dx) (costruita con la procedura generale detta sopra) el’identita su L2(Rn, dx), otteniamo che deve valere

FF− = I ,

dove I e l’identita su L2(Rn, dx). Questo fatto implica immediatamente la surgettivita di F.

Definizione 3.15 L’unico operatore F : L2(Rn, dx) → L2(Rn, dx) che estende per linearitae continuita la trasformata di Fourier ristretta a S(Rn) e detto trasformazione di Fourier-Plancherel.

Teorema 3.10 (di Plancherel). La trasformazione di Fourier-Plancherel F : L2(Rn, dx) →L2(Rn, dx) e un operatore lineare biettivo ed isometrico.

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Prova. La dimostrazione e stata data immediatamente sopra la definizione 3.15. 2

Rimane aperta una questione. Se f ∈ L1(Rn, dx)∩L2(Rn, dx) (ma f 6∈ S(Rn)), a priori Ff e Ffsono diversi, perche per definire F non abbiamo esteso F partendo da L1(Rn, dx), ma siamo par-titi dal suo sottospazio S(Rn). Questa era l’unica possibilita, visto che L1(Rn, dx) 6⊂ L2(Rn, dx).La seguente proposizione fa luce sulla questione, dando anche un metodo pratico per calcolarela trasformata di Fourier-Plancherel in termini di limiti di quella di Fourier.

Nota. Ricordiamo che se K ⊂ Rn e un insieme di misura finita ed in particolare se K e uncompatto (i compatti hanno misura di Lebesgue finita), allora:(1) L2(K, dx) ⊂ L1(K, dx);(2) se fnn∈N ⊂ L2(K, dx) converge nella norma || ||2 a f ∈ L2(K, dx) allora converge allastessa funzione anche nella norma || ||1;(3) L∞(K, dx) ⊂ Lp(K, dx) per 1 ≤ p <∞;(4) se fnn∈N ⊂ L∞(K, dx) converge nella norma || ||∞ a f ∈ L∞(K, dx), allora converge allastessa funzione anche nella norma || ||p.Queste quattro affermazioni si provano immediatamente come segue, tenendo conto, per le primedue, che la funzione che vale costantemente 1 su un compatto, che quindi ha misura finita, eintegrabile. Per la prima affermazione si osservi che vale

2|f(x)| ≤ |f(x)|2 + 1 ,

per cui l’integrale del primo membro e maggiorato da quello del secondo. Per la secondaaffermazione si noti che, dalla disuguaglianza di Cauchy-Schwartz∫

K|g(x)| 1 dx

2

≤∫

K|g(x)|2dx

∫K

1dx,

sostituendo f(x) − fn(x) a g(x) si ha la prova della seconda affermazione. Riguardo alla terzae quarta affermazione e sufficiente notare che, per la stessa definizione di integrale di Lebesgue:∫

K|g|pdx ≤ ess sup

K|g|p

∫Kdx = (||g||∞)p

∫Kdx

per ogni funzione misurabile g definita su K.

Proposizione 3.13. La trasformazione di Fourier-Plancherel e quella di Fourier godono delleseguenti proprieta.(a) Se f ∈ L2(Rn, dx) ∩ L1(Rn, dx), la sua trasformata di Fourier-Plancherel si riduce allatrasformata di Fourier Ff calcolata direttamente con la formula integrale (3.54).(b) Se f ∈ L2(Rn, dx), la sua trasformata di Fourier-Plancherel puo essere calcolata come

Ff = limn→+∞

gn

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dove il limite e nel senso di L2(Rn, dk),

gn(k) :=∫Kn

eik·x

(2π)n/2f(x)dx , (3.67)

essendo gli insiemi Kn ⊂ Rn tutti compatti e tali che Km+1 ⊃ Km per m = 1, 2, . . ., con∪∞m=1Km = Rn.

Prova. (a) Cominciamo a provare la tesi per le funzioni f ∈ L2(Rn, dx) tali che f sia differenteda 0 su un insieme di misura nulla fuori da un compatto K0. In questo caso f appartiene anchea L1(Rn, dx). Sia quindi sn ⊂ S(Rn) una successione di funzioni che tendono a f nella normadi L2(Rn, dx). Se B e B′ sono due palle aperte di raggio finito tali che B ⊃ B′ ⊃ B′ ⊃ K0,possiamo costruire una funzione h ∈ D(Rn) tale da valere costantemente 1 su B′ e da annullarsifuori da B. E chiaro che se fn := h · sn, la successione fn e costituita da funzioni di D(Rn),e quindi S(Rn), con supporti contenuti nel compatto K := B. Quindi tutte le fn sono anchein L1(Rn, dx) e la successione fn tende a f sia nella norma di L2(Rn, dx) che in quella diL1(Rn, dx).Per definizione, valendo fn → f nella norma || ||2, sara

||Ffn − Ff ||2 → 0 (3.68)

per n → +∞. D’altra parte, dato che fn → f anche nella norma || ||1, per (a) di proposizione3.12 ||Ffn − Ff ||∞ → 0 per n → +∞. Dato che, sugli insiemi di misura finita, la convergenzanella norma || ||∞ implica quella nella norma || ||2, avremo che

||Ffn − Ff ||2 → 0 (3.69)

e quindi, valendo (3.68) e per l’unicita del limite, dovra essere Ff = Ff .Supponiamo ora che f ∈ L2(Rn, dx)∩L1(Rn, dx) senza altre restrizioni. Consideriamo una classedi compatti Kn che soddisfino le ipotesi nel punto (b). Definiamo le funzioni fn := χKn · f ,dove χE e la funzione caratteristica dell’insieme E (definita in modo che χE(x) = 0 se x 6∈ Ee χE(x) = 1 se x ∈ E). E chiaro che vale fn → f puntualmente per n → +∞. Inoltre|f(x)− fn(x)|p ≤ |f(x)|p per p = 1, 2, . . .. Allora, per il teorema della convergenza dominata diLebesgue, fn → f per n→ +∞ in particolare rispetto alla norma || ||1 e a quella || ||2. D’altraparte, per quanto dimostrato sopra,

Ffn = Ffn .

Quindi, per (a) di proposizione 3.12, troviamo che ||Ff − Ffn||∞ → 0 ed allo stesso tempovale anche ||Ff − Ffn||2 → 0. Questi fatti varranno anche per le funzioni che si ottengonorestringendo Ff , Ff , Ffn ad un qualsiasi compatto K. Tenendo conto che per funzioni nullefuori da un compatto la convergenza uniforme implica quella in L2, si ha che se x appartienead un compatto qualsiasi, (Ff)(x) = (Ff)(x) quasi ovunque. Ma ogni x ∈ Rn appartiene ad uncompatto, per cui Ff = Ff come elementi di L2(Rn, dx).

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(b) La prova e stata data nella parte finale della dimostrazione del punto (a). 2

Esempi 3.4(1) Un fatto piuttosto importante che distingue nettamente lo spazio D(Rn) da S(Rn) e che ilprimo spazio, al contrario del secondo, non e invariante sotto la trasformazione di Fourier (e latrasformata inversa di Fourier). Infatti vale il seguente risultato:se f ∈ D(Rn), allora Ff ∈ S(Rn), ma se Ff ∈ D(Rn), allora f e Ff sono la funzione nulla. Lostesso fatto vale per la trasformata inversa di Fourier.La prova e semplice; la svolgiamo per F, ma la stessa prova vale anche per F−. Se vale

g(k) =∫

Rn

eip·x

(2π)n/2f(x) dx ,

dove f ha supporto compatto, allora l’integrale di sopra converge anche per k ∈ Cn. Inoltre,facendo uso del teorema della convergenza dominata di Lebesgue, si puo far passare la derivatanelle componenti ki di k, e nelle loro parti reale ed immaginaria, sotto il segno di integrale.Dato che k 7→ eik·x e analitica (cioe analitica in ogni variabile ki separatamente), soddisferale condizioni di Cauchy-Riemann in ogni variabile ki. Di conseguenza tali condizioni sarannosoddisfatte anche per la funzione g in ogni variabile ki. Si conclude che g e una funzione analiticasu tutto Cn. La restrizione di g ad Rn definira, tramite la parte reale e quella immaginaria, duefunzioni analitiche di variabile reale su tutto Rn. Se g ha supporto compatto, esistera un apertonon vuoto di Rn in cui Re g e Im g si annullano. E un fatto ben noto nella teoria delle funzionianalitiche (reali di variabile reale) che se una funzione analitica definita su un aperto connesso(in questo caso tutto Rn) si annulla su un aperto non vuoto incluso nel suo dominio, allora siannulla ovunque nel dominio. Dobbiamo quindi concludere che, nelle nostre ipotesi su f , se g hasupporto compatto, essa deve necessariamente essere la funzione nulla. Tale dovra anche esseref , in quanto F e invertibile su S(Rn).(2) Un fatto connesso con (1) e il noto teorema di Paley-Wiener (vedi per es. [KiGv83]):

Teorema (di Paley-Wiener). Sia a > 0 e si consideri L2([−a, a], dx) come sottospazio diL2(R, dx). Lo spazio F(L2([−a, a], dx)) contiene tutte e sole le funzioni g = g(k) tali che ciascunadi esse possa essere estesa analiticamente ed univocamente a tutto il piano complesso nellavariabile k ∈ C in una funzione analitica che soddisfa

|g(k)| ≤ Ce2πa|Imk| , per ogni k ∈ C

per qualche costante C ≥ 0 dipendente da g.

Visto che deve essere F(L2([−a, a], dx)) ⊂ L2(R, dk) per il teorema di Plancherel, il teorema diPaley-Wiener implica che le funzioni analitiche g che sono limitate secondo la disuguaglianza disopra per qualche costante C ≥ 0, individuano elementi di L2(R, dk) quando k e ristretta a R.

Per concludere, consideriamo lo spazio L2((a, b), dx), dove −∞ ≤ a < b ≤ +∞ e dx denotal’usuale misura di Lebesgue su R. Sussiste la seguente utilissima proposizione usata in (4) di

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esempi 3.2 per costruire basi Hilbertiane che deriva dalla teoria della trasformata di Fourier-Plancherel.

Proposizione 3.14. Sia f : (a, b)→ C misurabile tale che (1) l’insieme x ∈ (a, b) | f(x) = 0ha misura nulla, (2) esistono C, δ > 0 per cui |f(x)| < Ce−δ|x| per ogni x ∈ (a, b).In questo caso lo spazio lineare finitamente generato da tutte le funzioni x 7→ xnf(x) := fn(x)per n = 0, 1, 2, . . . e denso in L2((a, b), dx).

Prova Sia S := fnn∈N. E sufficiente provare che S⊥ = 0 dato che e S⊥ ⊕ < S > =L2((a, b), dx) per il teorema 3.1. Sia allora h ∈ L2((a, b), dx) tale che∫ b

axnf(x)h(x)dx = 0

per ogni n = 0, 1, 2, . . .. Possiamo estendere la funzione h a tutta la retta reale definendola nullafuori da (a, b). La condizione di sopra si riscrive∫

Rxnf(x)h(x)dx = 0 , (3.70)

per ogni n = 0, 1, 2, . . .. Valgono inoltre i seguenti fatti:(i) f · h ∈ L1(R, dx): infatti entrambe le funzioni sono in L2(R, dx), per cui il loro prodotto e inL1(R, dx);(ii) f · h ∈ L2(R, dx), perche |f(x)|2 < C2e−2δ|x| < C2 < +∞ e |h|2 e integrabile per ipotesi;(iii) La funzione che manda x ∈ R in eδ

′|x|f(x)h(x) e in L1(R, dx) per ogni δ′ < δ. Infatti, essendox 7→ |eδ′|x|f(x)| ≤ Ce−(δ−δ′)|x|, la funzione x 7→ eδ

′|x|f(x) e in L2(R, dx); inoltre h ∈ L2(R, dx)per ipotesi, per cui il loro prodotto e in L1(R, dx).Per (i) possiamo calcolare la trasformata di Fourier

g(k) =∫

R

eik·x√2π

f(x)h(x) dx .

Questa coincidera con la trasformata di Fourier-Plancherel di f · h per i punti (i) e (ii) insieme,tenuto conto di (a) della proposizione 3.13. Per (iii), se k e complesso e |Imk| < δ, la funzioneg = g(k) di sopra e ben definita ed analitica nella banda aperta B ⊂ C definita da Rek ∈ R,|Imk| < δ; la prova si costruisce analogamente a quanto fatto nell’esempio (1). Usando il teoremadella convergenza dominata di Lebesgue e passando sotto il segno di integrale l’operatore diderivazione, e infine facile provare che, per ogni n = 0, 1, . . .,

dng

dkn|k=0 =

in√2π

∫Rxnf(x)h(x)dx .

Tutte queste derivate sono nulle per (3.70), di conseguenza lo sviluppo di Taylor di g nell’originee nullo e quindi g si annulla in un disco aperto contenuto nella banda B. Essendo g analitica,si annullera identicamente nell’aperto connesso B ed in particolare sull’asse k reale. Quindi,

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in particolare, avremo che la trasformata di Fourier-Plancherel della funzione f · h e il vettorenullo di L2(R, dk). Dato che la trasformata di Fourier-Plancherel e una trasformazione unitariadobbiamo concludere che f ·h = 0 quasi ovunque su R ed in particolare su (a, b) dove per ipotesif 6= 0 quasi ovunque. Ma allora deve essere h = 0 quasi ovunque su (a, b), ovvero ogni h ∈ S⊥coincide con l’elemento nullo di L2((a, b), dx). Questo conclude la prova. 2

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Capitolo 4

Proprieta elementari degli operatoricompatti, di Hilbert-Schmidt e diclasse traccia.

In questo capitolo introdurremo alcuni tipi di operatori che saranno necessari quando definire-mo il concetto di stato quantistico. Tali operatori sono noti in letteratura come operatori diclasse traccia oppure operatori nucleari. Si tratta di operatori limitati definiti su uno spaziodi Hilbert che ammettono traccia. Tali operatori giocano un ruolo fondamentale nelle teoriefisiche in quanto, per il celebre teorema di Gleason, che avremo occasione di discutere piu avanti,rappresentano gli stati quantistici. Purtroppo, tali operatori sono poco discussi nella letteraturamatematica elementare a dispetto della loro importanza in fisica, pertanto ci dilungheremo unpoco sulle loro notevoli proprieta .Per arrivare a definirli e necessario introdurre qualche nozione in piu riguardante in particolaregli operatori compatti, detti anche completamente continui, che rivestono una notevole importan-za in vari rami della matematica e delle applicazioni alla fisica, indipendentemente dalle teoriequantistiche.Nella prima sezione del capitolo presenteremo la nozione generale di operatore compatto su unospazio normato, discutendone molto brevemente le proprieta generali. Proveremo anche il clas-sico risultato riguardante la non compattezza della palla unitaria in dimensione infinita.Nella seconda sezione specializzaeremo la definizione al caso di spazi di Hilbert, in riferimento,in particolare agli spazi L2, sui quali gli operatori compatti (come quelli di Hilbert-Schmidt)ammettono una certa rappresentazione integrale. Mostreremo che l’insieme degli operatori com-patti individua uno ∗-ideale bilatero nella C∗ algebra degli operatori limitati sullo spazio diHilbert. In questa sede enunceremo e dimostreremo il celebre teorema di Hilbert sollo sviluppospettrale degli operatori compatti, che puo essere considerato come il precursore di tutti i teore-mi di decomposizione spettrale. La quarta sezione riguardera lo ∗-ideale bilatero degli operatoridi Hilbert-Schmidt e le loro proprieta piu elementari. In particolare mostreremo che lo spaziodegli operatori di H-S e a sua volta uno spazio di Hilbert.

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L’ultima sezione concernera l’introduzione dello ∗-ideale bilatero degli operatori di classe trac-cia e la dimostrazione delle proprieta piu importanti (e piu utili in fisica) di tali operatori. Inparticolare dimostreremo la proprieta di ciclicita della traccia.

4.1 Generalita sugli operatori compatti in spazi normati, diBanach e Hilbert.

Ricordiamo che in uno spazio topologico un insieme compatto K e definito dalla proprieta se-guente:K e detto compatto se da ogni ricoprimento di aperti di K (cioe una classe di aperti Aii∈Icon ∪i∈IAi ⊃ K) e possibile estrarre un sotto ricoprimento finito (ossia esiste un insieme finitoJ ⊂ I tale che ∪i∈JAi ⊃ K).Una nozione connessa e quella di compattezza sequenziale:K e detto sequenzialmente compatto se per ogni successione xnn∈N ⊂ K esiste una sottosuccessione xnpp∈N convergente ad un punto di K.Ricordiamo che i sottoinsiemi chiusi dei compatti sono compatti e, negli spazi di Hausdorff (inparticolare gli spazi vettoriali normati, come gli spazi di Hilbert), i compatti sono chiusi. Neglispazi topologici che siano anche spazi metrici (e quindi ancora in particolare gli spazi vettorialinormati, come gli spazi di Hilbert), la proprieta di compattezza e equivalente a quella di com-pattezza sequenziale. Un’altra proprieta utile che vale in spazi metrici e la seguente.

Proposizione 4.1. Sia (X, || ||) spazio normato. Se A ⊂ X e tale che ogni successione dipunti di A ammette una sotto successione convergente (non necessariamente in A), allora A ecompatto.

Prova. L’unica cosa da mostrare e che se yn ⊂ A, allora esiste una sotto successione di ynche converge (in A, essendo esso chiuso). Evidentemente, ci saranno delle successioni, una perogni k, x(k)

n ⊂ A, con x(k)n → yk per n→ +∞. Fissando k e prendendo un corrispondente nk

sufficientemente grande, possiamo allora costruire termine per termine una nuova successionezk := x

(k)nk ⊂ A tale che ||yk−zk|| < 1/k. Nelle ipotesi fatte su A, esistera una sotto successione

di zk, zkp, che converge a qualche y ∈ A. Si ha:

||ykp − y|| ≤ ||ykp − zkp ||+ ||zkp − y|| .

Dato che 1/kp → 0 per p→ +∞, fissato ε > 0 esistera P tale che, se p > P , allora ||zkp−y|| < ε/2insieme a 1/kp < ε/2, per cui ||ykp − y|| < ε. In altre parole ykp → y per p→ +∞. 2

Nota. La proposizione provata vale anche per spazi metrici, con banali modifiche nella dimo-strazione.

Un risultato importante e notevole, che distingue nettamente il caso di uno spazio normatofinito-dimensionale da quello infinito-dimensionale e che si applica, piu in generale, a spazi me-

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trici, e il seguente .

Proposizione 4.2. Sia (X, || ||) uno spazio normato.Se X ha dimensione infinita, la chiusura della palla aperta unitaria x ∈ X | ||x|| < 1 non puoessere compatta.

Nota. La chiusura della palla aperta unitaria coincide con la palla chiusa unitaria

x ∈ X | ||x|| ≤ 1

(lo si provi per esercizio). Nel caso di dimensione finita, la palla chiusa unitaria e compatta.Cio segue dal fatto che in spazi normati di dimensione finita tutte le norme inducono la stessatopologia (e rendono lo spazio di Banach, lo si dimostri per esercizio), per cui ci si puo sempreridurre ad usare la metrica euclidea identificando lo spazio con un Rn. In tal caso la chiusuradella palla aperta coincide banalmente con la palla chiusa, che e compatta perche insieme chiusoe limitato di Rn (teorema di Heine-Borel).

Prova della proposizione 4.2. Indichiamo con B la palla aperta unitaria centrata nell’origine esupponiamo che B sia compatta. Allora possiamo ricoprire B, e quindi B, con un numero N > 0di palle aperte Bk, di raggio 1/2 e centrate rispettivamente in xk, k = 1, . . . , N . Consideriamoun sottospazio Xn di X, di dimensione finita n, tale da contenere i vettori xk. Dato che la dimen-sione di X e infinita, possiamo scegliere n > N arbitrariamente grande. Definiamo le ulterioripalle, di raggi 1 e 1/2 rispettivamente, P := B ∩ Xn e Pk := Bk ∩ Xn per ogni k = 1, . . . , N .Identifichiamo Xn con R2n (o Rn se il campo di X e R) tramite la scelta di una base di Xn,zkk=1,...,n. Notare che una palla Pk non soddisfa necessariamente l’equazione di una palla inR2n in questa costruzione. Se normalizziamo la misura di Lebesgue m di R2n dividendo per ilvolume di P (che e non nullo dato che e aperto non vuoto per la proposizione 2.8) abbiamoche m(P ) = 1. Mostriamo che allora m(Pk) = (1/2)n. La misura di Lebesgue e invariante pertraslazioni per cui ci si puo ridurre a considerare le palle centrate nell’origine di raggio r, B(r).Dato che ogni norma e una funzione omogenea vale B(λr) = λu | u ∈ B(r) =: λB(r) per ogniλ > 0. Dato che la misura di Lebesgue su R2n soddisfa m(λE) = λ2nm(E), nelle ipotesi fatte ri-sulta che deve essere m(Pk) = m((1/2)P ) = (1/2)nm(P ) = (1/2)n. Essendo infine B ⊂ ∪Nk=1Bke dunque P ⊂ ∪Nk=1Pk, deve essere m(P ) ≤∑N

k=1m(Pk) per subadditivita, ossia 1 ≤ N(1/2)2n.Questo e impossibile se n e abbastanza grande (N e fissato). 2

Ricordiamo che in uno spazio normato (X, || ||) un insieme M e detto limitato (rispetto allanorma || ||) se esiste una palla metrica, Bδ(x0), di raggio finito δ > 0 e centrata in qualche puntox0 ∈ X, tale che M ⊂ Bδ(x0).E chiaro, allora, che M e limitato se e solo se esiste una palla metrica di raggio finito δ > 0e centrata nell’origine di X, che contiene M (basta scegliere il raggio di tale palla pari a δ+||x0||).

Definizione 4.1. Siano X,Y spazi normati sullo stesso campo R o C (in particolare X = Y = Hspazio di Hilbert). T ∈ L(X,Y) e detto compatto o completamente continuo se vale una

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delle due condizioni equivalenti:(a) per ogni sottoinsieme M ⊂ X limitato, T (M) e compatto in Y;(b) ogni successione limitata, xnn∈N, ammette una sotto successione, xnkk∈N ⊂ X, tale cheTxnkk∈N converge in Y.B0(X,Y) denota il sottoinsieme degli operatori compatti da X a Y e, in particolare, B0(X) denotail sottoinsieme degli operatori compatti da X in X.

Osservazioni.(1) E chiaro che (a) ⇒ (b). L’implicazione inversa, (b) ⇒ (a), e immediata conseguenza dellaproposizione 4.1.(2) Ogni operatore compatto e sicuramente limitato. Infatti, la palla chiusa di raggio 1 centratanell’origine di X e mappata in un insieme (che contiene l’origine) a chiusura compatta K. Es-sendo compatto, K e ricopribile da un numero finito, N , di palle aperte di raggio finito r > 0,Br(yi). Vale allora K ⊂ ∪Ni=1Br(yi) ⊂ BR+r(0), dove R e il massimo delle distanze tra i centriyi delle palle e l’origine. In particolare ||T (x)|| ≤ (R+r) per ||x|| = 1 per cui ||T || ≤ r+R < +∞.

4.2 Operatori compatti in spazi di Hilbert.

D’ora in avanti ci restringeremo a considerare operatori compatti in spazi di Hilbert, anche semolte delle proprieta che enunceremo valgono anche in ambiente meno sofisticato, come spazinormati o spazi di Banach. Nel teorema che segue, l’ipotesi di completezza dello spazio viene inrealta usata solo nell’ultima proprieta.Abbiamo bisogno di una proposizione preliminare prima di enunciare e provare il teorema.

Proposizione 4.3. Sia H spazio di Hilbert. A ∈ B(H) e compatto se e solo se |A| (definizione3.12) e compatto.

Prova. Supponiamo A compatto. Sia xkk una successione limitata in H e sia Axknn unasotto successione di Axkk convergente in virtu della compattezza di A. Essendo tale sottosuccessione successione di Cauchy, in virtu di (3.47), la sotto successione di |A|xkk, |A|xknne successione di Cauchy e quindi converge. Pertanto |A| e compatto. Scambiando il ruolo di Ae |A| ed usando la stessa dimostrazione, si prova che se |A| e compatto, e tale anche A.

Teorema 4.1. Sia H spazio di Hilbert. Valgono i seguenti fatti.(a) B0(H) e un sottospazio vettoriale di B(H).(b) B0(H) e uno ∗-ideale bilatero di B(H), ossia, oltre ad essere un sottospazio, B0(H) go-de della proprieta che se T ∈ B0(H), allora TK,KT ∈ B0(H) per ogni K ∈ B(H) ed inoltreT ∗ ∈ B0(H).(c) B0(H) e chiuso rispetto alla topologia uniforme.

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Prova. (a) Se T e compatto e a ∈ C, segue banalmente dalla stessa definizione di operatorecompatto che aT e compatto. Se T e S sono compatti lo e T + S. Proviamolo. Se un esuccessione limitata, sia unk una sotto successione per cui Tunk e convergente (sara quinditale ogni sua sotto successione). Dato che unk e limitata per costruzione, esistera una suasotto successione unkp per cui Sunkp e convergente. Per costruzione Sunkp e Tunkp sonoentrambe convergenti e quindi e tale la successione di elementi (T + S)unkp = Tunkp + Sunkp .Abbiamo provato che, se un e successione limitata c’e una sua sotto successione unkp percui (T + S)unkp converge; pertanto T + S e compatto.(b) Data la successione xn limitata, esiste una sotto successione di Txn convergente, e quindianche di KTxn, dato che K e continuo. Quindi KT e compatto. Data la successione xnlimitata, anche Kxn e limitata, dato che K e limitato (||Kxn|| ≤ ||K||||xn|| ≤ ||K||C < +∞).Dalla compattezza di T segue che TKxn ammette una sotto successione convergente. QuindiTK e compatto. Per dimostrare la chiusura rispetto all’operazione di coniugazione hermitiana,notiamo che |T | e compatto se e solo se T e compatto per proposizione 4.3. Decomponendopolarmente T = U |T | secondo il teorema 3.9, segue che T ∗ = |T |U∗, dove si e tenuto conto delfatto che |T | ≥ 0, per cui |T | e autoaggiunto. La limitatezza di U∗ insieme alla compattezzadi |T | implicano che T ∗ = |T |U∗ e compatto per quanto provato all’inizio di questa parte didimostrazione.(c) Sia B(H) 3 A = limi→+∞Ai con Ai ∈ B0(H). Sia xn una successione limitata di vettori diH: ||xn|| ≤ C per ogni n. Vogliamo provare che esiste una sottosuccesione di Axn convergente.Con una procedura ricorsiva, costruiamo una famiglia di sottosuccessioni

xn ⊃ x(1)n ⊃ x(2)

n ⊃ · · · (4.1)

tale che, per ogni i = 1, 2, . . ., x(i+1)n e sotto successione di x(i)

n tale che Ai+1x(i+1)n e

convergente. Questo e sempre possibile, in quanto ogni x(i)n e limitata da C essendo sotto

successione di xn ed inoltre Ai+1 e compatto per ipotesi. La sotto successione di Axn cheproveremo convergere e quella di elementi Ax(i)

i . Usando la disuguaglianza triangolare abbiamofacilmente che

||Ax(i)i −Ax

(k)k || ≤ ||Ax

(i)i −Anx

(i)i ||+ ||Anx

(i)i −Anx

(k)k ||+ ||Anx

(k)k −Ax

(k)k || .

Usando la stima scritta, nelle nostre ipotesi si ha che:

||Ax(i)i −Ax

(k)k || ≤ ||A−An||(||x

(i)i ||+||x

(k)k ||)+||An(x(i)

i −x(k)k )|| ≤ 2C||A−An||+||Anx(i)

i −Anx(k)k ||.

Fissato ε > 0, se n e grande a sufficienza, varra 2C||A − An|| ≤ ε/2, dato che An → A peripotesi. Fissato n e se r ≥ n, An(x(r)

p )p e sotto successione della successione convergenteAn(x(n)

p )p. E facile vedere che la successione An(x(p)p )p costruita, per p ≥ n, con i termi-

ni “diagonali” di tutte queste sottosuccessioni, ciascuna sotto successione della precedente per(4.1), e ancora sotto successione della successione convergente An(x(n)

p )p, per cui e anche essaconvergente (allo stesso limite). Concludiamo che se i, k ≥ n sono grandi a sufficienza, vale anche

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||Anx(i)i −Anx

(k)k || ≤ ε/2. Quindi, se i, k sono grandi a sufficienza ||Ax(i)

i −Ax(k)k || ≤ ε/2+ε/2 = ε.

Cio prova la tesi. 2

Esempi 4.1.(1) Se X,Y sono spazi normati e T ∈ B(X,Y) e tale che Ran(T ) ha dimensione finita, alloraT deve essere compatto. Proviamolo. Se V ⊂ X e limitato, cioe ||x|| < K se x ∈ V per unfissato K < +∞ indipendente da x, allora ||T (V )|| ≤ K||T || < +∞, per cui T (V ) e limitato.T (V ) e chiuso e limitato in uno spazio normato di dimensione finita che e sempre omeomorfo adun Cn (Proposizione 2.8). Per il teorema di Heine-Borel T (V ) e allora compatto rispetto allatopologia indotta sul rango di T . Quindi T e compatto dato che, dalla definizione generale dicompatto, la compattezza rispetto alla topologia indotta implica immediatamente quella rispettoalla topologia globale.Come ulteriore sottocaso, se H e spazio di Hilbert si consideri un operatore Tx ∈ L(H) dellaforma

Tx : u 7→ (x|u)y ,

dove x, y ∈ H sono fissati vettori (eventualmente coincidenti). E chiaro che tale operatore ecompatto, avendo rango di dimensione finita.(2) Se xnn∈N e ynn∈N sono sottoinsiemi ortogonali di H e se, interpretando la serie nellatopologia uniforme, risulta che T =

∑n∈N(xn| )yn e un operatore limitato, allora T e compatto

per (a) e (c) del teorema 4.1.(3) In l2(N) consideriamo l’operatore A : xn 7→ xn+1/n. Tale operatore e compatto inquanto e limite nella topologia uniforme degli operatori, per n = 1, 2 . . . ,

Am : xn 7→ x2/1, x3/2, . . . , xm+1/m, 0, 0, . . . .

Si verifica infatti facilmente che (lo si provi per esercizio)

||A−An|| ≤ 1/(n+ 1) .

(4) Si consideri lo spazio X con misura µ sulla σ-algebra Σ in X e sia µ σ-finita, in modo dadefinire la misura prodotto µ ⊗ µ. Consideriamo quindi K ∈ L2(X × X, µ ⊗ µ). Si puo provareche

TK : L2(µ) 3 f 7→∫K(x, y)f(y)dµ(y)

definisce un operatore TK ∈ B(L2(X, µ)) che e compatto quando µ e anche separabile. Perprima cosa notiamo che, indipendentemente dall’ipotesi di separabilita, se f ∈ L2(µ):∫

K(·, y)f(y)dµ(y) ∈ L2(µ)

e ∣∣∣∣∣∣∣∣∫ K(·, y)f(y)dµ(y)∣∣∣∣∣∣∣∣L2(X,µ)

≤ ||K||L2(X×X,µ⊗µ)||f ||L2(X,µ) ,

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che equivale a dire:||TK || ≤ ||K||L2(X×X,µ⊗µ) . (4.2)

(La prova di questo fatto e interamente basata sul teorema di Fubini-Tonelli: Se K ∈ L2(µ⊗µ)allora, per Fubini-Tonelli:(1) |K(x, ·)|2 ∈ L1(µ), µ-quasi ovunque,(2)

∫|K(x, y)|2dµ(y) ∈ L1(µ) .

Da (1) segue che K(x, ·) ∈ L2(µ) quasi ovunque e quindi K(x, ·)f ∈ L1(µ) quasi ovunque e perla disuguaglianza di Cauchy-Schwarz:(3)

∫|K(x, y)||f(y)|dµ(y) ≤ ||K(x, ·)||L2 ||f ||L2 .

Posto F (x) :=∫K(x, y)f(y)dµ(y), F e misurabile e vale, per la (3):

(4) |F (x)|2 ≤ ||f ||2L2

∫|K(x, y)|2dµ(y).

Per (2) si ha quindi che |F |2 ∈ L2(µ) ed e quindi vero che vale∫K(·, y)f(y)dµ(y) ∈ L2(µ) .

Da (4) e dal teorema di Fubini-Tonelli segue infine anche∣∣∣∣∣∣∣∣∫ K(·, y)f(y)dµ(y)∣∣∣∣∣∣∣∣L2(µ)

≤ ||K||L2(µ⊗µ)||f ||L2(µ) ,

da cui (4.2).) Facciamo l’ipotesi ulteriore che µ sia separabile in modo che sia separabile L2(X, µ).Per esempio X puo essere un qualsiasi intervallo (o un boreliano) di R e µ la misura di Lebesguesu R. Se unn∈N e una base Hilbertiana di L2(X, µ), allora un·umn,m∈N e una base Hilbertianadi L2(X×X, µ⊗µ) (· e l’ordinario prodotto di funzioni punto per punto) e allora, nella topologiadi L2(X× X, µ⊗ µ),

K =∑n,m

knmun · um ,

dove i numeri knm ∈ C dipendono da K. Quindi, posto

Kp :=∑

n,m≤pknmun · um

si ha che Kp → K per p→ +∞ nella norma di L2(X×X, µ⊗µ). Tenuto conto di (4.2) applicataagli operatori TKp−K = TKp − TK , dove TKp e indotto dal nucleo integrale Kp, segue che, perp→ +∞,

||TK − TKp || =

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ ∑n,m>p knmun · um

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣L2(X×X,µ⊗µ)

→ 0 ,

per cui TK e compatto in quanto gli operatori TKp sono compatti essendo somme finite di ope-ratori con rango di dimensione finita come quelli discussi nell’esempio (1).

Gli operatori compatti in spazi di Hilbert godono di notevoli proprieta; in particolare gli operato-ri compatti e autoaggiunti hanno caratteristiche che generalizzano al caso infinito-dimensionale

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le proprieta della matrici hermitiane finito-dimensionali. Oltre a cio sono uno strumeto utilissi-mo per estendere ulteriormente la teoria.

Teorema 4.2 (di Hilbert). Siano H spazio di Hilbert e T ∈ B0(H) con T = T ∗: allora valequanto segue.(a) Ogni autospazio di T con autovalore λ 6= 0 ha dimensione finita.(b) L’insieme σp(T ) degli autovalori di T ha le seguenti caratteristiche:

(1) e non vuoto,(2) e reale,(3) e al piu numerabile,(4) ha al piu un solo punto di accumulazione dato da 0,(5) vale l’identita

sup|λ| | λ ∈ σp(T ) = ||T || .

Piu precisamente, l’estremo superiore suddetto e anche massimo ed e raggiunto in Λ ∈ σp(T )tale che

Λ = ||T || se sup||x||=1(x|Tx) = ||T || , (4.3)

oppureΛ = −||T || se inf ||x||=1(x|Tx) = −||T || . (4.4)

(6) T coincide con l’operatore nullo se e solo 0 e l’unico autovalore.

Prova di parte del teorema 4.2.(a) Sia Hλ l’autospazio di T con autovalore λ 6= 0. Se B ⊂ Hλ e la palla aperta di raggio 1centrata nell’origine, allora si puo scrivere B = T (λ−1B) e λ−1B e limitato a sua volta per co-struzione. Dato che T e compatto, B e compatto. Quindi, nello spazio di Hilbert Hλ, la chiusuradella palla aperta unitaria e un insieme compatto, pertanto dimHλ < +∞ per la proposizione4.2.(b) Proveremo tutti i punti eccetto (3) e (4), che saranno provati nella dimostrazione del teoremasuccessivo. σp(T ), se e non vuoto e fatto di elementi reali per (c) (ii) di proposizione 3.8, essendoT autoaggiunto. Per (a) in proposizione 3.8 −||T || ≤ (x|Tx) ≤ ||T || per ogni x di norma uni-taria, di conseguenza ci possono essere solo le seguenti due possibilita: sup||x||=1(x|Tx) = ||T ||oppure inf ||x||=1(x|Tx) = −||T ||. Supponiamo vero il primo fatto ed eseguiamo la dimostrazionein questo caso. L’altro caso si tratta con la stessa dimostrazione scambiando T con −T . As-sumeremo che ||T || > 0, altrimenti la prova della tesi e ovvia. Per ogni autovalore λ possiamoscegliere un autovettore x con ||x|| = 1 e quindi ||T || ≥ |(x|Tx)| = |λ|(x|x) = |λ|, di conse-guenza sup |σp(T )| ≤ ||T ||. Per provare (5), basta quindi esibire un autovettore con autovaloreΛ = ||T ||. Si noti che cio prova anche che σp(T ) 6= ∅. Per ipotesi esistera una successione dipunti xn con ||xn|| = 1 tali che (xn|Txn)→ ||T || =: Λ > 0. Vale (dove usiamo anche il fatto che||Txn|| ≤ ||T ||||xn|| = ||T ||)

||Txn − Λxn||2 = ||Txn||2 − 2Λ(xn|Txn) + Λ2 ≤ ||T ||2 + Λ2 − 2Λ(xn|Txn) .

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Essendo ||T || = Λ, nel limite per n→ +∞ della precedente disuguaglianza, si ha che

Txn − Λxn → 0 . (4.5)

Per concludere ci basterebbe provare che anche xnn∈N converge a qualche punto, oppureche cio accade per una sua sotto successione. Dato che ||xn|| = 1, la successione xnn∈N elimitata; essendo T compatto, possiamo estrarre da Txnn∈N una sotto successione convergente:Txnkk∈N.Da (4.5), si ha che:

xnk =1Λ

[Txnk − (Txnk − Λxnk)]

converge a qualche x ∈ H se k → +∞, in quanto combinazione lineare di successioni convergenti.Dato che T e continuo e xnk → x, (4.5) implica che

Tx = Λx .

Notiamo che x 6= 0 perche ||x|| = limk→+∞ ||xnk || = 1. Abbiamo provato che x e un autovettorecon autovalore Λ.(6) e immediata conseguenza di (5). 2

Passiamo al teorema di Hilbert riguardante lo sviluppo degli operatori compatti autoaggiunti suuna base hilbertiana di autovettori.

Teorema 4.3 (di Hilbert). Siano (H, ( | )) spazio di Hilbert e T ∈ B0(T ) con T = T ∗.(a) Se Pλ e il proiettore ortogonale sull’autospazio con autovalore λ ∈ σp(T ) (insieme degliautovalori di T ), vale:

T =∑

λ∈σp(T )

λPλ . (4.6)

Se σp(T ) e infinito, la serie in (4.6) e intesa nel senso della topologia uniforme e gli autovalori inσp(T ): λ0, λ1, . . . (con λi 6= λj se i 6= j) sono ordinati in modo tale che |λ0| ≥ |λ1| ≥ |λ2| ≥ . . ..(b) Se Bλ denota una base hilbertiana dell’autospazio di T associato a λ ∈ σp(T ), allora∪λ∈σp(T )Bλ e una base hilbertiana per H; in altre parole, H ammette una base hilbertiana fattadi autovettori di T .

Nota. Si osservi che ci possono essere al piu due autovalori non nulli con lo stesso valore assolu-to (essendo gli autovalori reali). L’unica possibile ambiguita nell’ordinamento dei termini dellaserie di sopra, valendo |λ0| ≥ |λ1| ≥ |λ2| ≥ . . ., e nella scelta dell’ordinamento di ogni coppiaλ, λ′ se |λ| = |λ′|. Come vedremo dalla dimostrazione del teorema, la somma della serie nondipende da qualunque scelta venga fatta per tale ordinamento.

Prova del teorema 4.3 e della parte rimanente del teorema 4.2. (a) Sia λ un autovalore conautospazio Hλ. Sia Pλ il proiettore ortogonale su Hλ e Qλ := I − Pλ il proiettore ortogonale suH⊥λ . Vale

TPλ = PλT = λPλ . (4.7)

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Questa identita si dimostra notando che se x ∈ H, Pλx ∈ Hλ e allora TPλx = λPλx, da cuiTPλ = λPλ. Prendendo l’aggiunto ad ambo membri e tenendo conto del fatto che λ ∈ R,T = T ∗, Pλ = P ∗λ , si ha subito che PλT = λPλ = TPλ. Come ulteriore conseguenza troviamoche vale anche, direttamente dalla definizione di Qλ e da quanto appena provato,

QλT = TQλ . (4.8)

Notiamo ancora che, essendo I = Pλ +Qλ abbiamo che T = PλT +QλT , ossia

T = λPλ +QλT . (4.9)

Si osservi che QλT soddisfa:(i) e autoaggiunto essendo (QλT )∗ = T ∗Q∗λ = TQλ = QλT ,(ii) e compatto per (b) del teorema 4.1,(iii) soddisfa per costruzione Pλ(QλT ) = (QλT )Pλ = 0 valendo PλQλ = QλPλ = 0.Nel seguito useremo ripetutamente queste identita anche senza citarle esplicitamente e d’ora inpoi scriveremo Pn, Qn, Hn per, rispettivamente, Pλn Qλn , Hλn .Cominciamo a scegliere un autovalore λ = λ0 con valore assoluto piu alto: ci sono al piu due ditali autovalori che differiscono per un segno; in tal caso scegliamo uno dei due. Avremo che, seT1 := Q1T , allora vale

T = λ0P0 + T1

dove T1 soddisfa le proprieta (i), (ii) e (iii) suddette. Se T1 = 0, la dimostrazione e finita; senon lo e sappiamo comunque che T1 e autoaggiunto compatto, per cui possiamo reiterare laprocedura appena illustrata usando T1 in luogo di T e trovando, se T2 := Q1T1,

T = λ0P0 + λ1P1 + T2 .

λ1 e un autovalore di T1, non nullo e con massimo valore assoluto (se un autovalore di valoreassoluto massimo fosse nullo, sarebbe T1 = 0 per (6) in (b) del teorema 4.2), e P1 e il proiettoreortogonale sull’autospazio di T1 associato a λ1.Si osservi ancora che ogni autovalore λ1 di T1 e anche autovalore di T essendo, se T1u1 = λ1u1,

Tu1 = (λ0P0 + T1)u1 = λ0P0T11λ1u1 + T1u1 = λ0P0Q0T

1λ1u1 + T1u1

= λ0 · 0 · T1λ1u1 + λ1u1 = λ1u1 .

λ1 6= λ0 perche u1 ∈ RanT1 = Ran(Q0T ) ⊂ H⊥0 . Si osservi infine che ogni autovettore udi T con autovalore λ1 deve essere anche autovettore di T1 con autovalore λ1. Infatti usandoT1 = Q0T = (I − P0)T si ha, se Tu = λ1u:

T1u = λ1u− λ1P0u = λ1u+ 0 = λ1u ,

dove abbiamo usato P0u = 0, che segue dal fatto che autospazi con autovalori distinti peroperatori autoaggiunti (T ) sono ortogonali. In definitiva, l’autospazio H

(T1)1 con autovalore λ1

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di T1 coincide con l’autospazio H1 di T con autovalore λ1. Quindi P1 e il proiettore ortogonalein H su tale autospazio per T oltre che per T1.Dato che |λ0| ha valore massimo possibile, vale comunque

|λ1| ≤ |λ0|.

Questo fatto ha una conseguenza importante. Dato che ||T || = |λ0| e ||T1|| = λ1 per il teoremaprecedente, avremo che

||T1|| ≤ ||T || .

Se risulta T2 = 0 la dimostrazione e finita, altrimenti procederemo nello stesso modo ottenendoche

T −n∑k=0

λkPk = Tn , (4.10)

dove|λ0| ≥ |λ1| ≥ · · · ≥ |λk| ≥ . . .

e||Tk|| = |λk| (4.11)

Se nessuno degli operatori Tk e l’operatore nullo, la procedura continua indefinitamente. Mo-striamo che, in tal caso, la serie decrescente dei numeri positivi |λk| deve tendere a 0 (non ci puoessere un punto di accumulazione precedente a 0). Supponiamo che |λ0| ≥ |λ1| ≥ · · · ≥ |λk| ≥. . . ≥ ε > 0 Scegliamo un vettore xn ∈ Hn per ogni n ed in modo tale che ||xn|| = 1. Dunque lasuccessione degli xn e limitata, per cui la successione dei Txn o una sua sotto successione deveconvergere, essendo T compatto. Ma questo e impossibile perche, sviluppando il quadrato dellanorma di ||λnxn− λmxm|| tenendo conto che xn e xm sono perpendicolari in quanto autovettoricon autovalori distinti per un operatore autoaggiunto ((ii) in (b) di proposizione 3.8), si ha

||Txn − Txm||2 = ||λnxn − λmxm||2 = |λn|2 + |λm|2 ≥ 2ε ,

per ogni n e m, per cui ne la successione dei Txn ne una sua sotto successione puo convergerenon potendo essere di Cauchy. Questo e assurdo e quindi la successione dei λn (se effettivamentesono infiniti) deve convergere a 0. Come conseguenza di (4.10) e (4.11), quanto appena provatoimplica che vale anche, nella topologia uniforme,

T =+∞∑k=0

λkPk . (4.12)

Si osservi che, per costruzione, il risultato non dipende dall’ordinamento che abbiamo adottatoall’interno delle eventuali coppie di autovalori distinti con lo stesso valore assoluto. Mostriamoora che l’identita (4.12) coincide con la (4.6) in quanto la successione trovata di autovaloriλk esaurisce l’insieme degli autovalori di T eccetto al piu l’autovalore nullo che non forniscecomunque contributo a (4.12) e (4.6). Sia λ 6= λn per ogni n un autovalore di T e Pλ sia il

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proiettore ortogonale associato. Valendo PnPλ = 0 per ogni n (perche autospazi di autovaloridistinti di operatori autoaggiunti sono ortogonali per (ii) in (b) di proposizione 3.8), (4.12)implica

TPλ =+∞∑k=0

λkPkPλ = 0 ,

da cui, se u ∈ Hλ,Tu = TPλu = 0 .

Questo significa che λ = 0.La prova di (a) e conclusa ed abbiamo contestualmente provato anche le parti rimanenti delteorema 4.2.(b) Si osservi che le basi hilbertiane Bλ esistono sempre per il teorema 3.5, essendo gli autospazidi T sottospazi chiusi (lo si dimostri per esercizio) dello spazio di Hilbert H e quindi spazi diHilbert a loro volta. Sia B := ∪λ∈σp(T )Bλ. Mostriamo che che se u ∈ B⊥ allora u = 0 e cioconclude la dimostrazione in quanto l’insieme B e ortonormale per costruzione per cui la defi-nizione 3.5 e soddisfatta. Se u ∈ B⊥, allora u ⊥ Bλ per ogni λ ∈ σp(T ), per cui Pλu = 0 perogni λ ∈ σp(T ). Usando la decomposizione di T data in (4.6), abbiamo che Tu = 0; pertantou appartiene all’autospazio di T con autovalore nullo H0. Ma essendo anche u ortogonale adogni autospazio di T per costruzione, dovra essere contemporaneamente u ∈ H0 e u ∈ H⊥0 , ossiau = 0 che conclude la prova. 2

Il teorema di Hilbert insieme al teorema 9.3 di decomposizione polare consentono di estenderela formula (4.6) dello sviluppo di un operatore compatto autoaggiunto ad un’analoga formulavalida nel caso non autoaggiunto. Diamo prima una definizione che sara utile nel seguito.

Definizione 4.2. Siano H spazio di Hilbert e A ∈ B0(H). Gli autovalori λ non nulli di |A|vengono detti valori singolari di A e il loro insieme si indica con sing(A). La dimensione(finita) mλ dell’autospazio corrispondente a λ ∈ sing(A) viene detta molteplicita di λ.

Teorema 4.4. Siano (H, ( | )) spazio di Hilbert e A ∈ B0(H) con A 6= 0, in modo che l’insiemedei valori singolari di A, sing(A), sia non vuoto. Ordinando sing(A) in modo decrescente:λ0 > λ1 > λ2 > . . ., ed usando tale ordinamento nelle somme scritte sotto, vale:

A =∑

λ∈sing(A)

mλ∑i=1

λ (uλ,i| ) vλ,i , (4.13)

A∗ =∑

λ∈sing(A)

mλ∑i=1

λ (vλ,i| ) uλ,i , (4.14)

dove le somme, se infinite, sono intese nel senso della convergenza della topologia uniforme e, perogni λ ∈ sing(A), l’insieme degli elementi uλ,1, . . . , uλ,mλ e una base ortonormale nell’autospazio

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di |A| associato all’autovalore λ. Inoltre, per λ ∈ sing(A) e i = 1, 2, . . . ,mλ i vettori

vλ,i :=1λAuλ,i , (4.15)

definiscono un insieme ortonormale. Per gli stessi valori di λ e i risulta infine

vλ,i = Uuλ,i , (4.16)

dove U e l’operatore che appare nella decomposizione polare A = U |A|.

Prova. Notiamo che |A| e autoaggiunto, positivo e compatto. I suoi autovalori saranno quindireali, positivi e distribuiti come specificato in (a) e (b) del teorema 4.2. Studieremo il caso incui l’insieme degli autovalori e infinito (e quindi numerabile), lasciando il sottocaso banale allettore. Il teorema 4.3 permette di sviluppare |A| come

|A| =∑

λ∈σp(|A|)λPλ ,

dove la convergenza e intesa rispetto alla topologia uniforme. E chiaro che ci si puo ridurre aconsiderare solo gli autovalori non nulli dato che quello nullo non fornisce contributo alla serie :

|A| =∑

λ∈sing(A)

λPλ .

Se non ci fossero autovalori non nulli, ci sarebbe l’unico autovalore nullo e sarebbe |A| = 0 per ilteorema 4.2, quindi dalla decomposizione polare avremmo A = 0 e la prova del teorema sarebbeovvia.Se U e limitato, si prova subito che se B(H) 3 Tn → T ∈ B(H) nella topologia uniforme,vale anche UTn → UT , sempre nel senso della topologia uniforme degli operatori. Dato chel’operatore U della decomposizione polare di A, A = U |A|, e limitato, avremo subito che, nellaconvergenza della topologia uniforme:

A = U |A| =∑

λ∈sing(A)

λUPλ . (4.17)

Il teorema 4.2 nel punto (a) precisa che il sottospazio chiuso su cui proietta ogni Pλ (con λ > 0)ha dimensione finita mλ. Possiamo sempre trovare una base ortonormale di tale autospazio:uλ,ii=1,...,mλ . Si osservi che (uλ,i|uλ′,j) = δλλ′δij per costruzione, siccome autovettori con auto-valori distinti sono ortogonali (essendo |A| normale perche positivo) per (ii) in (b) di proposizione3.8. Dato che uλ,i = |A|(uλ,i/λ), segue che uλ,i ∈ Ran(|A|). Quindi U agisce sugli uλ,i in modoisometrico, per cui i vettori a secondo membro di (4.16) sono ancora ortonormali. La (4.16)equivale alla (4.15) per la decomposizione polare di A:

Auλ,i = U |A|uλ,i = Uλuλ,i = λvλ,i .

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E un facile esercizio provare che il proiettore ortogonale Pλ (λ > 0) si puo scrivere come

Pλ =mλ∑i=1

(uλ,i| ) uλ,i .

Di conseguenza

UPλ =mλ∑i=1

(uλ,i| ) Uuλ,i =mλ∑i=1

(uλ,i| ) vλ,i .

Sostituendo in (4.17) si trova (4.13). La (4.14) si ottiene dalla (4.13) tenendo conto dei seguentifatti. (i) L’operazione di coniugazione hermitiana A 7→ A∗ e antilineare, per cui trasformacombinazioni lineari di operatori in combinazioni lineari dei loro aggiunti e con i corrispondenticoefficienti sostituiti dai complessi coniugati dei coefficienti della combinazione lineare iniziale.(ii) L’operazione di coniugazione hermitiana e continua nella topologia uniforme di B(H) inquanto ||A∗|| = ||A|| per (a) di proposizione 3.6.In conseguenza di cio, da (4.13) troviamo (si tenga conto del fatto che λ ∈ R):

A∗ =∑

λ∈sing(A)

mλ∑i=1

λ [(uλ,i| ) vλ,i]∗ ,

dove la serie converge nella topologia uniforme. E un facile esercizio verificare che

[(uλ,i| ) vλ,i]∗ = (vλ,i| ) uλ,i ,

da cui segue immediatamente la (4.14). 2

Il teorema provato consente di introdurre la nozione di operatore di Hilbert-Schmidt e di ope-ratore di classe traccia, che vedremo nelle prossime sezioni.

Esercizi 4.1.(1) Provare che se A∗ = A ∈ B0(H), con H spazio di Hilbert, allora

σp(|A|) = |λ| |λ ∈ σp(A) .

Concludere che se A∗ = A ∈ B0(H), allora

sing(A) = |λ| |λ ∈ σp(A) \ 0 .

Soluzione. Sviluppando gli operatori compatti autoaggiunti A ed |A| secondo il teorema 4.3 siha, con ovvie notazioni,

A =∑

λ∈σp(A)

λPλ e |A| =∑

µ∈σp(|A|)µP ′µ .

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Calcolando il quadrato degli operatori A e |A|, usando la continuita di tali operatori (che per-mette lavorare come se le tutte le serie fossero somme finite), l’idempotenza e l’ortogonalita deiproiettori relativi ad autovettori distinti ed infine tenendo conto che |A|2 = A∗A = A2, si ha chedeve valere ∑

λ∈σp(A)

λ2Pλ =∑

µ∈σp(|A|)µ2P ′µ . (4.18)

Si tenga ora conto che PλPλ0 = 0 se λ 6= λ0 e PλPλ0 = Pλ0 altrimenti e che l’analoga proprietavale per i proiettori della decomposizione di |A|. Applicando Pλ0 a destra di ambo membri di(4.18), prendendo l’aggiunto del risultato e applicando P ′µ0

a destra dei membri dell’identitafinale, si ricava infine che, per ogni λ0 ∈ σ(A) e µ0 ∈ σp(|A|): deve valere λ2

0Pλ0P′µ0

= µ20Pλ0P

′µ0

ossia(λ2

0 − µ20)Pλ0P

′µ0

= 0 . (4.19)

Il fatto che A ammetta una base Hilbertiana di autovettori (teorema 4.3) si puo scrivere comeben noto:

I = s-∑

λ0∈σ(A)

Pλ0 .

Fissiamo µ0 ∈ σp(|A|). Se fosse Pλ0P′µ0

= 0 per ogni λ0 ∈ σ(A) dall’identita di sopra avremmoP ′µ0

= 0 che e impossibile per definizione di autospazio. Di conseguenza, dovendo valere (4.19),ci deve essere λ0 ∈ σ(A) tale che λ2 = µ2

0, ovvero µ0 = |λ0|. Se λ0 ∈ σp(A), usando un’analogaprocedura scambiando il ruolo di A e |A|, si prova che deve esistere µ0 ∈ σp(|A|) tale che λ2 = µ2

0,ovvero µ0 = |λ0|. La prima affermazione e provata. La seconda affermazione e ora evidente dalladefinizione di valore singolare.

(2) Si dimostri che se T ∈ B0(H) e se H 3 xn → x ∈ H in senso debole, cioe :

(g|xn)→ (g|x) se n→ +∞, per ogni fissato g ∈ H,

allora ||T (xn) − T (x)|| → 0 per n → +∞. In altre parole gli operatori compatti trasformanosuccessioni convergenti debolmente in successioni convergenti in norma. Osservare che il risultatovale anche se T ∈ B(X,Y) con X e Y spazi normati, pur di interpretare la nozione di convergenzadebole opportunamente.

Soluzione. Sia xn → x in senso debole. Se si tiene conto del teorema di Riesz, si ha subitoche l’insieme xnn∈N e debolmente limitato nel senso del corollario 3 del teorema di Banach-Steinhaus. In base a tale risultato, vale ||xn|| ≤ K per ogni n ∈ N, per qualche K > 0. Definiamoallora yn := Txn, y := Tx e notiamo che, per ogni h ∈ H,

(h|yn)− (h|y) = (T ∗h|xn)− (T ∗h|x)→ 0 se n→ +∞,

e quindi anche la successione degli yn converge debolmente a y. Supponiamo, per assurdo, che||yn − y|| 6→ 0 se n → +∞. Allora devono esistere un ε > 0 e una sottosuccessione ynkk∈Ncon ||y − ynk || ≥ ε per ogni k ∈ N. Dato che xnkk∈N e limitata da K come osservato sopra,e T compatto, deve esistere una sottosuccessione ynkr r∈N che converge a qualche y′ 6= y.

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Questa sottosuccessione ynkr r∈N deve quindi convergere anche debolmente a y′. Ma questoe impossibile dato che ynn∈N converge debolmente a y 6= y′. Allora deve essere: yn → y nelsenso della norma di H. Il ragionamento si puo ripetere nel caso generale in cui T ∈ B(X,Y)con X e Y spazi normati, intepretando X 3 xn → x ∈ X in senso debole come:

g(xn)→ g(x) se n→ +∞, per ogni fissatog ∈ X′,

dato che il corollario 3 del teorema di Banach-Steinhaus vale in questo caso. (Nella dimostrazionesi deve osservare che se h ∈ Y′ allora hT ∈ X′ perche composizione di funzioni lineari continue.)

4.3 Operatori di Hilbert-Schmidt.

Una classe particolare di operatori compatti sono quelli di Hilbert-Schmidt. Questi trovanoapplicazioni in vasti rami della fisica matematica, oltre che nella meccanica quantistica.

Definizione 4.3. Sia (H, ( | )) spazio di Hilbert e sia || || la norma indotta dal prodotto scalare.A ∈ B(H) e detto operatore di Hilbert-Schmidt se esiste una base hilbertiana U per cuil’insieme ||Au||2u∈U ammette somma finita nel senso della definizione 3.4.La classe degli operatori di Hilbert-Schmidt su H sara indicata con B2(H) e, se A ∈ B2(H),allora

||A||2 :=Ê∑u∈U

||Au||2 , (4.20)

dove U e la base hilbertiana suddetta.

Per prima cosa mostriamo che la particolare base scelta nella definizione e in realta generica eche anche ||A||2 non dipende dalla scelta di tale base.

Proposizione 4.4. Siano (H, ( | )) spazio di Hilbert, || || la norma indotta dal prodotto scalare,U e V due basi hilbertiane (eventualmente coincidenti) e A ∈ B(H).(a) ||Au||2u∈U ammette somma finita se e solo se ||Av||2v∈V ammette somma finita. In talcaso vale ∑

u∈U

||Au||2 =∑v∈V

||Av||2 . (4.21)

(b) ||Au||2u∈U ammette somma finita se e solo se ||A∗v||2v∈V ammette somma finita. Intal caso vale ∑

u∈U

||Au||2 =∑v∈V

||A∗v||2 . (4.22)

Prova. Consideriamo che, per (d) del teorema 3.4,

||Au||2 =∑v∈V

|(v|Au)|2 < +∞ ,

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per cui, fissato u, solo una quantita al piu numerabile di coefficienti |(v|Au)| e non nulla per (b)di proposizione 3.2. Cio determina un insieme al piu numerabile V(u) ⊂ V tale che∑

u∈U

||Au||2 =∑u∈U

∑v∈V(u)

|(v|Au)|2 < +∞ . (4.23)

Questo significa in particolare, riutilizzando (b) di proposizione 3.2, che solo un insieme alpiu numerabile di elementi u ∈ U fornisce somme

∑v∈V(u) |(v|Au)|2 non nulle. In definitiva i

coefficienti (v|Au) sono non nulli solo per un insieme Z al piu numerabile di coppie (u, v) ∈ U×V.Definiamo gli insiemi al piu numerabili

U := u ∈ U | esiste v ∈ V con (v|Au) 6= 0

eV := v ∈ V | esiste u ∈ U con (v|Au) 6= 0 .

In tal modo Z ⊂ U×V . Possiamo mettere su U e V le misure µ e ν rispettivamente che contanogli elementi di U e V e le serie sopra considerate si trascrivono in termini di integrali rispettoalle misure dette ((c) proposizione 3.2). In particolare (4.23) si riscrive:

∑u∈U

||Au||2 =∑u∈U

∑v∈V(u)

|(v|Au)|2 =∫Udµ(u)

∫Vdν(v)|(v|Au)|2 < +∞ . (4.24)

Le misure µ e ν sono σ-finite perche U e V sono al piu numerabili, per cui ha senso definire lamisura prodotto µ ⊗ ν e applicare il teorema di Fubini-Tonelli. Tale teorema assicura che, perl’ultima parte di (4.24), la funzione (v, u) 7→ |(v|Au)|2 e integrabile rispetto alla misura prodottoe che possiamo interscambiare gli integrali:∑

u∈U

||Au||2 =∫U×V

|(v|Au)|2dµ(u)⊗ dν(v) =∫Vdν(v)

∫Udµ(u)|(v|Au)|2 < +∞ .

Notiamo che (v|Au) = (A∗v|u), per cui solo una quantita al piu numerabile di elementi (A∗v|u)(con (u, v) ∈ U × V ) sara non nulla e avremo in particolare

∑v∈V

∑u∈U

|(A∗v|u)|2 =∫Vdν(v)

∫Udµ(u)|(A∗v|u)|2 =

∑u∈U

||Au||2 < +∞ .

Ma il primo membro e proprio∑v∈V ||A∗v||2. Abbiamo provato parte della proposizione (b): se

||Au||2u∈U ammette somma finita allora ||A∗v||2v∈V ammette somma finita e le due sommecoincidono. Usando la stessa dimostrazione, scambiando i nomi delle basi e dei loro elementi epartendo dall’operatore A∗, ricordando che vale (A∗)∗ = A per operatori limitati, si prova nellostesso modo che vale la parte rimanente di (b): se ||A∗v||2v∈V ammette somma finita, allora||Au||2u∈U ammette somma finita, ed in tal caso vale (4.22).La dimostrazione di (a) si prova immediatamente da (b) tenendo conto dell’arbitrarieta delle

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basi usate. 2

Possiamo enunciare e provare alcune delle numerose ed interessanti proprieta matematiche deglioperatori di Hilbert-Schmidt. La proprieta piu interessante dal punto di vista matematico e la(b) del teorema scritto sotto: gli operatori di Hilbert-Schmidt formano uno spazio di Hilbertcon un prodotto scalare che induce una norma che coincide, per ogni operatore A di Hilbert-Schimdt, proprio con il numero che avevamo indicato con ||A||2. Un altro fatto importante eche gli operatori di Hilbert-Schmidt sono compatti e formano un ideale bilatero chiuso rispettoalla coniugazione hermitiana all’interno dello spazio degli operatori limitati.

Teorema 4.5. Sia H spazio di Hilbert. Gli operatori di Hilbert-Schmidt godono delle seguentiproprieta.(a) B2(H) e un sottospazio di B(H) e piu fortemente uno ∗-ideale bilatero di B(H); inoltre:

(i) ||A||2 = ||A∗||2 per ogni A ∈ B2(H);(ii) ||AB||2 ≤ ||B|| ||A||2 e ||BA||2 ≤ ||B|| ||A||2 per ogni A ∈ B2(H) e B ∈ B(H);(iii) ||A|| ≤ ||A||2 per ogni A ∈ B2(H).

(b) Se A,B ∈ B2(H) e se B e una base hilbertiana in H, si definisca

(A|B)2 :=∑x∈B

(Ax|Bx) . (4.25)

L’applicazione( | )2 : B2(H)×B2(H)→ C

e ben definita (la somma di sopra si riduce sempre ad una serie assolutamente convergente e nondipende dalla base hilbertiana) e determina un prodotto scalare su B2(H) che per ogni A ∈ B2(H)soddisfa:

(A|A)2 = ||A||22 (4.26)

(c) (B2(H), ( | )2) e spazio di Hilbert.(d) B2(H) ⊂ B0(H). Piu precisamente, A ∈ B2(H) se e solo se e compatto e l’insieme deinumeri positivi mλλ

2λ∈sing(A) (essendo mλ la molteplicita di λ) ha somma finita. In tal casorisulta

||A||2 =√ ∑λ∈sing(A)

mλλ2 . (4.27)

Prova. (a) Ovviamente B2(H) e chiuso rispetto alla moltiplicazione per scalare. Mostriamoche lo e rispetto a quello di somma di operatori. Se A,B ∈ B2(H) e B e una qualsiasi basehilbertiana:

∑u∈B

||(A+B)u||2 ≤∑u∈B

(||Au||+ ||Bu||)2 ≤ 2

∑u∈B

||Au||2 +∑u∈B

||Bu||2 .

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Quindi B2(H) e sottospazio di B(H). Il fatto che sia chiuso rispetto alla coniugazione hermitianae una immediata conseguenza di (b) della proposizione 4.4, che implica anche (i). Mostriamoche vale (ii) e contestualmente che B2(H) e chiuso rispetto alla composizione destra e sinistracon operatori limitati. Se A ∈ B2(H) e B ∈ B(H) allora:∑

u∈B

||BAu||2 ≤∑u∈B

||B||2||Au||2 = ||B||2∑u∈B

||Au||2 .

Questo prova insieme che B2(H) e chiuso rispetto alla composizione sinistra con operatori limitatie che vale la seconda disuguaglianza in (ii). La chiusura rispetto alla moltiplicazione a destra eimmediata conseguenza di quella a sinistra e della chiusura rispetto alla coniugazione hermitiana:B∗A∗ ∈ B2(H) se A ∈ B2(H) e B ∈ B(H), e quindi (B∗A∗)∗ ∈ B2(H), ossia AB ∈ B2(H). Da(i) abbiamo anche che se A ∈ B2(H) e B ∈ B(H), allora ||AB||2 = ||(AB)∗||2 = ||B∗A∗||2 ≤||B∗|| ||A∗||2 = ||B|| ||A||2 che completa la dimostrazione di (ii). Per provare (iii) notiamo che:

||A|| = sup||x||=1

||Ax|| = sup||x||=1

(||Ax||2)1/2 = sup||x||=1

∑u∈B

|(u|Ax)|21/2

= sup||x||=1

∑u∈B

|(A∗u|x)|21/2

dove abbiamo usato (d) del teorema 3.4 rispetto alla base hilbertiana B. Utilizzando la di-suguaglianza di Cauchy-Schwartz nell’ultimo termine della catena di uguaglianze di sopra,otteniamo:

||A|| ≤ sup||x||=1

∑u∈B

||A∗u||2||x||21/2

=

∑u∈B

||A∗u||21/2

= ||A∗||2 = ||A||2 .

(b) Se A,B ∈ B2(H) e B e una base hilbertiana, allora la quantita di termini Au e Bu non nulli,per u ∈ B, e al piu numerabile per la definizione 4.3 e (b) di proposizione 3.2. Valendo

|(Au|Bu)| ≤ ||Au|| ||Bu|| ≤ 12

(||Au||2 + ||Bu||2) ,

concludiamo che la quantita di termini non nulli (Au|Bu) per u ∈ B e anch’essa al piu numerabilee che la serie dei termini non nulli (Au|Bu) e assolutamente convergente, per cui non contal’ordinamento scelto nel calcolare (4.25). Mostreremo tra poco che la scelta della base hilbertianae irrilevante. Prima notiamo che (4.26) e vera banalmente e che ( | )2 soddisfa gli assiomi diun semiprodotto scalare, come e immediato verificare. L’assioma di positivita H3 e immediataconseguenza di (iii), pertanto ( | )2 e un prodotto scalare che induce la norma || ||2. Quindi valela formula in (1) di esercizi 3.1, che sussiste per ogni prodotto scalare:

4(A|B)2 = ||A+B||22 + ||A−B||22 − i||A+ iB||22 + i||A− iB||22 .

Dato che, per la proposizione 4.4, il secondo membro non dipende dalla base hilbertiana usata,non dipendera dalla scelta della base nemmeno il primo membro.(c) Bisogna solo provare che lo spazio e completo. Sia B una base hilbertiana di H. Sia Ann

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una successione di Cauchy di operatori di Hilbert-Schmidt rispetto alla norma || ||2. Da (iii) di(a) la successione e di Cauchy anche nella topologia uniforme, per cui, essendo B(H) completoper il teorema 2.3, esistera A ∈ B(H) con ||A−An|| → 0 per n→ +∞. La proprieta di Cauchydice che preso ε > 0, esiste Nε tale che, ||An − Am||22 ≤ ε2 se n,m > Nε. Tenendo conto delladefinizione di || ||2, varra anche che, per lo stesso ε, per ogni sottoinsieme finito I ⊂ B:∑

u∈I||(An −Am)u||2 ≤ ||An −Am||22 ≤ ε2

quando n,m > Nε. Passando al limite per m→ +∞, si trova che vale ancora:∑u∈I||(An −A)u||2 ≤ ε2

per ogni sottoinsieme finito I ⊂ B se n > Nε. In definitiva, per l’arbitrarieta di I, abbiamo che:

||A−An||2 ≤ ε se n > Nε . (4.28)

Da questo fatto segue in particolare che A−An ∈ B2(H) e quindi A = An + (A−An) ∈ B2(H);inoltre, per l’arbitrarieta di ε > 0 in (4.28), vale anche che An tende a A rispetto alla norma|| ||2. Quindi ogni successione di Cauchy nella norma || ||2 converge in B2(H), che di conseguenzae completo.(d) Sia A ∈ B2(H): mostriamo che e compatto e che soddisfa (4.27). Sia B una base hilbertiana.Vale

∑u∈B ||Au||2 < +∞, dove solo una quantita al piu numerabile di addendi e non nulla ed

infine sappiamo che la somma si puo scrivere come una serie o una somma finita, come ben noto,considerando solo i vettori un per cui ||Aun||2 > 0. Di conseguenza varra che per ogni ε > 0esiste Nε tale che

+∞∑n=Nε

||Aun||2 ≤ ε2 .

La stessa proprieta si puo quindi trascrivere in termini di tutti gli elementi di B: per ogni ε > 0esiste un sottoinsieme finito Iε ⊂ B tale che∑

u∈B\Iε

||Au||2 ≤ ε2 .

Sia quindi AIε l’operatore definito imponendo: AIεu := Au se u ∈ Iε e AIεu := 0 se u ∈ B \ Iε.Il rango di AIε e generato dai vettori Au con u ∈ Iε, essendo tali vettori in numero finito AIε elimitato e compatto ((1) in esempi 4.1). Per costruzione esiste ||A−AIε ||2 e vale:

||A−AIε ||22 =∑u∈B

||(A−AIε)u||2 =∑

u∈B\Iε

||Au||2 ,

pertanto, per (iii) di (a) abbiamo che

||A−AIε || ≤ ||A−AIε ||2 =

∑u∈B\Iε

||Au||21/2

≤ ε .

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Quindi A e un punto di accumulazione dello spazio degli operatori compatti rispetto alla to-pologia uniforme. Tenendo conto del fatto che l’ideale degli operatori compatti e chiuso nellatopologia uniforme ((c) di teorema 4.1), il risultato ottenuto prova che A e compatto. Di-mostriamo adesso che vale (4.27): consideriamo l’operatore positivo compatto |A| =

√A∗A e

sia uλ,iλ∈sing(A),i=1,2,...,mλ una base hilbertiana di Ker(|A|)⊥ costruita come nel teorema4.4. Possiamo completarla a base dello spazio di Hilbert aggiungendo una base hilbertiana perKer(|A|), che coincide con Ker(A) per la nota dopo la definizione 3.12. (Se ui e base hilber-tiana per il sottospazio chiuso Ker(|A|) e vj e una base hilbertiana per il sottospazio chiusoKer(|A|)⊥, allora l’insieme ortonormale B := ui ∪ vj e base hilbertiana per H, perche, co-me e facile provare dalla decomposizione ortogonale H = Ker(|A|) ⊕ Ker(|A|)⊥, se x ∈ H eortogonale a B, allora x = 0.) Usando la base hilbertiana detta per esprimere ||A||2, abbiamo:

||A||22 =∑

λ∈sing(A)

mλ∑i=1

(Auλ,i|Auλ,i) =∑

λ∈sing(A)

mλ∑i=1

(A∗Auλ,i|uλ,i) =∑

λ∈sing(A)

mλ∑i=1

mλλ2 , (4.29)

dove si e tenuto conto del fatto che la parte di base riguardante Ker(A) per costruzione nonfornisce contributo, |A|uλ,i =

√A∗Auλ,i = λuλ,i e (uλ,i|uλ′,j) = δλλ′δij .

Se, viceversa, A e compatto e mλλ2λ∈sing(A) ha somma finita, allora da (4.29) segue che

||A||2 < +∞, per cui A ∈ B2(H). 2

Esempi 4.2.(1) Torniamo all’esempio (4) in esempi 4.1. Consideriamo gli operatori

TK : L2(X, µ)→ L2(X, µ)

indotti dai nuclei integrali K ∈ L2(X× X, µ⊗ µ) (con µ misura σ-finita separabile),

(TKf)(x) :=∫XK(x, y)f(y)dµ(y) per ogni f ∈ L2(X, µ) .

Abbiamo provato che tali operatori sono compatti. Mostriamo ora che sono anche di Hilbert-Schmidt.Usando le stesse definizioni dell’esempio in questione, se f ∈ L2(X, µ) avevamo visto che (vedipunto (3) nell’esempio (4)), per ogni x ∈ X,

F (x) =∫X|K(x, y)| |f(y)|dµ(y) < +∞ .

Dato che F ∈ L2(X, µ), per ogni g ∈ L2(X, µ) la funzione x 7→ g(x)F (x) e una funzione integrabile(in modo da poter definire il prodotto scalare di g e F ). Il teorema di Fubini-Tonelli assicuraquindi che la funzione (x, y) 7→ g(x)K(x, y)f(y) e in L2(X× X, µ⊗ µ) e che∫

X×Xg(x)K(x, y)f(y) dµ(x)⊗ dµ(y) =

∫Xdµ(x) g(x)

∫XK(x, y)f(y)dµ(y) = (g|Tkf) . (4.30)

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Consideriamo allora una base hilbertiana di L2(X× X, µ⊗ µ) del tipo ui · uji,j , dove ukk euna base hilbertiana per L2(X, µ) (e quindi lo e anche ukk, come si prova immediatamente).Dato che K ∈ L2(X× X, µ⊗ µ), varra lo sviluppo

K =∑i,j

αijui · uj , (4.31)

per cui||K||2L2 =

∑i,j

|αij |2 < +∞ . (4.32)

D’altra parte, da (4.30) e (4.31), si ha

(ui|TKuj) =∫X×X

ui(x)uj(y)K(x, y) dµ(x)⊗ dµ(y) = (ui · uj |K) = αij ,

per cui (4.32) si puo riscrivere

||K||2L2 =∑i,j

|(ui|TKuj)|2 < +∞ .

Per definizione di operatore di Hilbert-Schmidt, TK e quindi un operatore di Hilbert-Schmidt evale anche

||TK ||2 = ||K||L2 .

(2) E abbastanza facile provare che se H = L2(X, µ) con µ σ-finita e separabile, allora B2(H)consiste di tutti e soli gli operatori TK con K ∈ L2(X×X, µ⊗µ) e che quindi l’applicazione cheidentifica K con TK e un isomorfismo di spazi di Hilbert L2(X×X, µ⊗ µ) allo spazio di HilbertB2(H). Consideriamo a tal fine T ∈ B2(H) ed esibiamo K ∈ L2(X× X, µ⊗ µ) per cui T = TK .Presa una qualsiasi base Hilbertiana unn∈N di L2(X, µ) deve essere

∑n∈N ||Tun||2 < +∞.

Conseguentemente, sviluppando Tun sulla stessa base unn∈N, si ottiene che:

+∞ >∑n∈N||Tun||2 =

∑m∈N

∑n∈N|(um|Tun)|2 .

Interpretando le somme come integrali su unn∈N, ed applicando il teorema di Fubini-Tonelli,concludiamo che:

∑(n,m)∈N2 |(um|Tun)|2 < +∞ e quindi l’operatore integrale di Hilbert-Schmidt

TK con nucleo integrale K ∈ L2(X× X, µ⊗ µ) dato da:

K :=∑

(n,m)∈N2

(um|Tun)um · un

e ben definito. D’altra parte, usando i risultati dell’esempio precedente, per costruzione vale:

(um|TKun) =∫Xdµ(x)um(x)

∫Xdµ(y)K(x, y)un(y) = (um|Tun)

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e quindi: TKun = Tun per ogni n ∈ N. Per continuita segue immediatamente che TK = T .

(3) Consideriamo l’equazione di Volterra nella funzione incognita f ∈ L2([0, 1], dx):

f(x) = ρ

∫ x

0f(y)dy + g(x) , con g ∈ L2([0, 1], dx) assegnata, ρ ∈ C \ 0 assegnato. (4.33)

Sopra dx indica la misura di Lebesgue e l’integrale esiste dato che, per ogni fissato x ∈ [0, 1],puo essere intepretato come il prodotto scalare tra f e la funzione [0, 1] 3 y 7→ θ(x− y), e quindiriscritto come: ∫ x

0f(y)dy =

∫ 1

0θ(x− y)f(y)dy ,

dove θ(u) = 1 se u ≥ 0 oppure θ(u) = 0 se u < 0. Dato che evidentemente (x, y) 7→ θ(x − y)e anche una funzione in L2([0, 1]2, dx ⊗ dy), l’equazione puo essere riscritta in termini di unoperatore di Hilbert-Schmidt T come:

f = ρTf + g , con g ∈ L2([0, 1], dx) assegnata, ρ ∈ C \ 0 assegnato. (4.34)

dove abbiamo introdotto l’operatore di Volterra:

(Tg)(x) :=∫ x

0g(y)dy g ∈ L2([0, 1], dx) . (4.35)

Piu in generale gli operatori di Volterra, e quindi le equazioni associate, sono definiti come

(TV f)(x) :=∫ 1

0θ(x− y)V (x, y)g(y)dy ,

per qualche V ∈ L2([0, 1]2, dx⊗ dy). Noi studiamo qui il caso piu semplice dato dalla (4.35). Sel’operatore (I − ρT ) fosse invertibile, la soluzione dell’equazione (4.34) sarebbe data da

f = (I − ρT )−1g . (4.36)

Formalmente, usando lo stesso sviluppo della serie geometrica, abbiamo che l’operatore inverso(destro e sinistro) di I − ρT e dato dalla somma della serie:

(I − ρT )−1 = I ++∞∑n=0

ρn+1Tn+1 . (4.37)

intepretando la convergenza della serie nella topologia uniforme. Una condizione sufficienteper la convergenza e ||ρT || < 1 e la dimostrazione e la stessa che per la serie geometrica. Noivogliamo pero cercare di fare una stima piu fine. Usiamo la norma dello spazio B2(L2([0, 1], dx)),tenendo conto di (iii) in (a) del teorema 4.5 ed infine notando che se, per An ∈ B(L2([0, 1], dx)),vale ||An|| ≤ an ≥ 0 dove la serie

∑+∞n=0 an converge, allora converge anche la serie

∑+∞n=0An

nella topologia di B(L2([0, 1], dx)). La dimostrazione di ques’ultimo fatto e la stessa che si ha

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in analisi elementare, per esempio per dimostrare il criterio di Weierstrass della serie dominata.Il calcolo diretto tramite (4.35), mostra che, se n ≥ 1:

(Tn+1g)(x) =∫ x

0

(x− y)n

n!g(y)dy ,

per cui Tn ∈ B2(L2([0, 1], dx)) e anche:

||Tn|| ≤ ||Tn||2 =

Ì∫[0,1]2

|θ(x− y)|2∣∣∣∣∣(x− y)n−1

(n− 1)!

∣∣∣∣∣2

dx⊗ dy ≤ 2n−1

(n− 1)!.

Dato che la serie di termine generico ρn2n

n! converge, concludiamo che, per ogni valore di ρ 6= 0,l’operatore (I − ρT )−1 esiste in B(L2([0, 1], dx)) ed e dato dalla somma a secondo membro di(4.37). E dunque (4.36) e la soluzione dell’equazione di Volterra iniziale. Si puo infine dare laforma esplicita dell’operatore (I − ρT )−1.

(I − ρT )−1g

(x) = g(x) +

+∞∑n=0

ρn+1Tn+1g

(x) = g(x) + ρ

+∞∑n=1

∫ x

0

(ρ(x− y))n

n!g(y)dy .

In teorema della convergenza dominata prova che si puo scambiare la serie con l’integrale tro-vando, per la soluzione dell’equazione di Volterra:

f(x) =(I − ρT )−1g

(x) = g(x) + ρ

∫ x

0eρ(x−y)g(y)dy .

Tuttavia, nel fare queste operazioni, abbiamo usato una nozione di convergenza puntuale, dif-ferente da quella operatoriale uniforme. Il fatto che l’espressione di sopra sia davvero la formaesplicita dell’operatore inverso di I−ρT si puo verificare per computo diretto, usando l’espressio-ne esplicita (4.35) ed integrando per parti lavorando con g ∈ C([0, 1]). Il risultato si estende sututto L2([0, 1], dx), tenendo conto che l’operatore con nucleo integrale θ(x− y)eρ(x−y) e limitato(essendo di Hilbert-Schmidt) e C([0, 1]) e denso in L2([0, 1], dx). L’unicita dell’inverso concludela dimostrazione.

(4) Sia L2(X, µ) con µ separabile. Un operatore integrale TK : L2(X, µ)→ L2(X, µ) individuatodal nucleo integrale

K(x, y) =N∑k=1

pk(x)qk(y) ,

dove pk, qk ∈ L2(X, µ), k = 1, 2, 3, . . . , N sono funzioni arbitrarie, e detto operatore de-genere. Gli operatori degeneri formano uno ∗-ideale bilatero BD(L2(X, µ)) di B(L2(X, µ))che e sottospazio di B0(L2(X, µ)) e B2(L2(X, µ)). Si puo provare abbastanza facilmente cheBD(L2(X, µ)) e denso in B2(L2(X, µ)) nella topologia naturale di quest’ultimo.

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Il contenuto delle osservazioni (1) e (2) puo essere racchiuso in un teorema. L’ultima afferma-zione e di immediata dimostrazione ed lasciata per esercizio.

Teorema 4.6. Se µ e una misura positiva σ-additiva e separabile su X, lo spazio B2(L2(X, µ))e costituito da tutti e soli gli operatori TK della forma, dove N ∈ N e arbitrario:

(TKf)(x) :=∫XK(x, y)f(y)dy , per ogni f ∈ L2(X, µ),

dove K ∈ L2(X× X, µ⊗ µ). Inoltre risulta:

||TK ||2 = ||K||L2(X×X,µ⊗µ) .

L’applicazione L2(X×X, µ⊗µ) 3 K 7→ TK ∈ B2(L2(X, µ)) e un isomorfismo di spazi di Hilbert.

Esercizi 4.2.(1) In riferimento agli esempi 4.2, provare che dati TK , TK′ ∈ B2(L2(X, µ)) (dove la misurae assunta essere separabile) che sono dunque individuati dai nuclei integrali K e K ′, alloral’operatore di Hilbert-Schmidt aTK + bTK′ , con a, b ∈ C ha nucleo integrale aK + bK ′.(2) Provare che dato TK ∈ B2(L2(X, µ)) individuato dal nucleo integrale K allora l’operatoredi Hilbert-Schmidt T ∗K ha nucleo integrale K∗ con K∗(x, y) = K(y, x).(3) Nelle stesse ipotesi di (1) mostrare che il nucleo integrale di TKTK′ e

K ′′(x, z) :=∫XK(x, y)K ′(y, z) dµ(y) .

(4) Se L2(X, µ) e separabile, si consideri l’applicazione L2(X×X, µ⊗µ) 3 K 7→ TK ∈ B2(L2(X, µ)).Si dimostri che si tratta di un isomorfismo di spazi di Hilbert. Si discuta se si puo o meno pensaretale applicazione come un’isometria tra spazi normati, assumendo B(L2(X, µ)) come codominio.Piu debolmente si discuta la continuita dell’omomorfismo.(5) In riferimento a (4) in esempi 4.2, dimostrare che, se g ∈ C0([0, 1]), allora:

(I − ρT )−1g

(x) = g(x) + ρ

∫ x

0eρ(x−y)g(y)dy .

Suggerimento. Applicare l’operatore I − ρT , tenendo conto dell’espressione integrale di T eosservando che ρeρ(x−y) = ∂

∂xeρ(x−y).

(6) Si consideri l’insieme BD(L2(X, µ)) degli operatori degeneri su L2(X, µ), con µ separabile.Provare che le seguenti affermazioni sono equivalenti.

(a) T ∈ BD(L2(X, µ)).(b) Ran(T ) ha dimensione finita.(c) T ∈ B2(L2(X, µ)) (e pertanto T e un opertore integrale) con nucleo integrale che puo sempre

essere scritto comeK(x, y) =∑Nk=1 pk(x)qk(y) dove le funzioni: p1, . . . , pN ∈ L2(X, µ) e q1, . . . , qN ∈

L2(X, µ) sono, separatamente, linearmente indipendenti.

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(7) Si consideri l’insieme BD(L2(X, µ)) degli operatori degeneri su L2(X, µ), con µ separabi-le. Mostrare BD(L2(X, µ)) e uno ∗-ideale bilatero di B(L2(X, µ)) sottospazio di B2(L2(X, µ)).In altre parole si deve provare che BD(L2(X, µ) ⊂ B2(L2(X, µ)), che e un sottospazio chiu-so rispetto alla coniugazione hermitiana e che AD,DA ∈ BD(L2(X, µ) se A ∈ B(L2(X, µ)) eD ∈ BD(L2(X, µ)).(8) Si consideri BD(L2(X, µ)) con L2(X, µ), con µ separabile. La chiusura topologica di BD(L2(X, µ))in B2(L2(X, µ)) rispetto alla topologia naturale di B(L2(X, µ)) coincide con B2(L2(X, µ))?

Suggerimento. Si consideri l’operatore, dove la convergenza della serie e quella rispetto allanorma operatoriale uniforme:

T :=+∞∑n=0

1√nTKn ,

e dove Kn(x, y) = φn(x)φn(y), essendo φnn∈N una base hilbertiana di L2(X, µ). Provare cheT ∈ B(L2(X, µ)) e ben definito, ma T 6∈ B2(L2(X, µ)), dato che ||Tφn||2 = 1/n.

4.4 Operatori di classe traccia (o nucleari).

Passiamo ad introdurre gli operatori di classe traccia, detti anche operatori nucleari. Seguiremoessenzialmente l’approccio in [Mar82] (un altro approccio si trova in [Pru81]).

Proposizione 4.5. Siano H spazio di Hilbert e A ∈ B(H). I seguenti tre fatti sono equivalenti.(a) Esiste una base hilbertiana N di H per cui (u||A|u)u∈N ha somma finita:∑

u∈N(u||A|u) < +∞ .

(a)’È|A| e operatore di Hilbert-Schmidt.

(b) A e compatto ed inoltre l’insieme indiciato mλλλ∈sing(A), dove mλ e la molteplicita di λ,ha somma finita.

Prova. Si osservi che (a)’ e una semplice trascrizione di (a), tenendo conto del fatto cheÈ|A|È|A| = |A|. Per cui (a) e (a)’ sono equivalenti.

Mostriamo che (a) implica (b). A e compatto perche |A| = (È|A|)2 e compatto essendo

È|A|

compatto, in quanto ogni operatore di Hilbert-Schmidt e compatto ((d) teorema 4.5), il prodottodi operatori compatti e compatto ((b) teorema 4.1), ed infine |A| e compatto se e solo se lo eA (proposizione 4.3). Costruiamo una base hilbertiana di H usando autovettori di |A|: uλ,i coni = 1, . . . ,mλ (mλ = +∞ al piu solo per λ = 0) e |A|uλ,i = λuλ,i. Rispetto a tale base:∣∣∣∣∣∣È|A|∣∣∣∣∣∣2

2=∑λ,i

(È|A|uλ,i

∣∣∣È|A|uλ,i) =∑λ,i

(uλ,i

∣∣∣(È|A|)2uλ,i)

=∑λ,i

(uλ,i||A|uλ,i) =∑λ

mλλ .

per cui mλλλ∈sing(A), ha somma finita essendo∣∣∣∣∣∣È|A|∣∣∣∣∣∣2

2< +∞ per ipotesi. E ora ovvio che

(b) implica (a)’ procedendo all’indietro nelle argomentazioni e calcolando∣∣∣∣∣∣È|A|∣∣∣∣∣∣2

2in una base

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di autovettori di |A|. 2

Definizione 4.4. Sia H spazio di Hilbert. A ∈ B(H) e detto operatore di classe traccia oequivalentemente operatore nucleare se soddisfa una delle tre condizioni (a), (a)’ o (b) inproposizione 4.5. L’insieme degli operatori di classe traccia su H sara indicato con B1(H) e, seA ∈ B1(H), allora

||A||1 :=∣∣∣∣∣∣È|A|∣∣∣∣∣∣2

2=

∑λ∈sing(A)

mλλ , (4.38)

dove abbiamo usato le stesse notazioni che in proposizione 4.5.

Note.(1) Il nome “classe traccia” deriva evidentemente almeno dal seguente fatto. Per un operatoreA di classe traccia, il numero reale ||A||1 generalizza al caso infinito-dimensionale la nozione ditraccia della matrice corrispondente ad |A| (e non ad A). In realta le analogie non finiscono qui,come vedremo tra poco.(2) Valgono le inclusioni:

B1(H) ⊂ B2(H) ⊂ B0(H) ⊂ B(H) ,

ossiaop. classe traccia ⊂ op. Hilbert-Schmidt ⊂ op. compatti ⊂ op. limitati .

L’unica inclusione non ancora dimostrata e la prima. Per provarla notiamo che, se A ∈ B1(H),allora, per definizione,

È|A| ∈ B2(H), quindi |A| =

È|A|È|A| e di Hilbert-Schmidt per (a) del

teorema 4.5; in virtu della decomposizione polare A = U |A|, essendo U ∈ B(H), si ha A ∈ B2(H)per (a) del teorema 4.5.(3) Ciascuno degli insiemi scritti e sottospazio vettoriale dello spazio degli operatori limitati edin piu ∗-ideale bilatero (per gli operatori di classe traccia lo proveremo tra poco); infine ciascunodi questi sottospazi e anche spazio di Hilbert o di Banach rispetto ad una naturale struttura:gli operatori compatti formano un sottospazio chiuso rispetto alla topologia uniforme in B(H) equindi uno spazio di Banach rispetto alla norma operatoriale, gli operatori di Hilbert-Schmidtdefiniscono uno spazio di Hilbert rispetto al prodotto scalare di Hilbert-Schmidt e gli operatori diclasse traccia definiscono uno spazio di Banach rispetto alla norma || ||1, come diremo piu avanti.

Prima di passare ad estendere il concetto di traccia al caso infinito-dimensionale, vediamo leproprieta piu importanti degli operatori nucleari o di classe traccia.

Teorema 4.7. Sia H spazio di Hilbert. Gli operatori nucleari in H godono delle seguentiproprieta.(a) Se A ∈ B1(H) allora esistono due operatori B,C ∈ B2(H) tali che A = BC. Viceversa, seB,C ∈ B2(H) allora BC ∈ B1(H) ed in tal caso:

||BC||1 ≤ ||B||2 ||C||2 . (4.39)

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(b) B1(H) e un sottospazio di B(H) e piu fortemente e uno ∗-ideale bilatero, inoltre:(i) ||AB||1 ≤ ||B|| ||A||1 e ||BA||1 ≤ ||B|| ||A||1 per ogni A ∈ B1(H) e B ∈ B(H);(ii) ||A||1 = ||A∗||1 per ogni A ∈ B1(H);

(c) || ||1 definisce una norma su B1(H).

Nota. E possibile provare che B1(H) e uno spazio di Banach rispetto alla norma || ||1 (vedireferenze in [Mar82]).

Prova della proposizione 4.6 eccetto (ii) in (b) che verra dimostrata in proposizione 4.7. (a)Se A e di classe traccia, usando la decomposizione polare di A = U |A| (teorema 3.9), B e Cpossono sempre essere definiti come B := U

È|A| e C :=

È|A|. Per definizione di operatore di

classe traccia,È|A| e operatore di Hilbert-Schmidt, dunque C e Hilbert-Schmidt. Lo e anche

B, in quanto U ∈ B(H) e gli operatori di Hilbert-Schmidt formano un ideale in B(H), comeprovato nel teorema 4.5. Siano ora B e C di Hilbert-Schmidt, mostriamo che A := BC e diclasse traccia. Notiamo che A e compatto per (d) di teorema 4.5 e (b) di teorema 4.1; quindidobbiamo solo provare che

∑λ∈sing(A)mλλ < +∞. Se BC = 0, la tesi e ovvia. Assumiamo

BC 6= 0 e sviluppiamo l’operatore compatto BC come nel teorema 4.4:

A = BC =∑

λ∈sing(A)

mλ∑i=1

λ(uλ,i| )vλ,i .

Per non caricare troppo le notazioni, poniamo Γ := (λ, i)|λ ∈ sing(A), i = 1, 2, . . . ,mλ e λjindichi il primo elemento della coppia j = (λ, i). Allora e chiaro che∑

j∈Γ

λj =∑

λ∈singAmλλ .

Dal teorema di decomposizione polare A = U |A| con U∗U = I sul rango di |A| e tendo contoche vj = Uuj per cui U∗vj = uj , segue che:

(vj |BCuj) = (vj |Auj) = (vj |U |A|uj) = λj(vj |Uuj) = λj(U∗vj |uj) = λj(uj |uj) = λj .

Se S ⊂ Γ e finito:∑j∈S

λj =∑j∈S

(vj |BCuj) =∑j∈S

(B∗vj |Cuj) ≤∑j∈S||B∗vj || ||Cuj || ≤

√∑j∈S||B∗vj ||2

√∑j∈S||Cuj ||2 .

Dato che gli insiemi ortonormali di elementi uj = uλ,i e vj = vλ,i possono essere separatamentecompletati a base hilbertiana di H, l’ultimo termine della catena di disuguaglianze di sopra emaggiorato da:

||B∗||2 ||C||2 = ||B||2 ||C||2 .

Prendendo l’estremo superiore su tutti gli S finiti, concludiamo che:

||BC||1 =∑

λ∈sing(A)

mλλ ≤ ||B||2 ||C||2

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ed in particolare A = BC ∈ B1(H).(b) e (c). La chiusura di B1(H) rispetto al prodotto per scalare si prova immediatamente dallastessa definizione di operatore nucleare. Mostriamo che B1(H) e chiuso rispetto alla somma.Siano A,B ∈ B1(H). Se A+B = 0, allora A+B e nucleare banalmente. Assumiamo pertantoA + B 6= 0, che e comunque compatto. Decomponendo polarmente abbiamo: A = U |A|,B = V |B|, A+B = W |A+B|. Usando la solita decomposizione sui valori singolari come nellaprova di (a) avremo:

A+B =∑

β∈sing(A+B)

mβ∑i=1

β(uβ,i| )vβ,i .

Se Γ := (β, i)|β ∈ sing(A+B), i = 1, 2, . . . ,mβ, S ⊂ Γ e finito e βj e il primo elemento dellacoppia j ∈ Γ, si ha:∑

j∈Sβj =

∑j∈S

(vj |(A+B)uj) =∑j∈S

(vj |Auj) +∑j∈S

(vj |Buj) .

La somma delle due somme ottenuta alla fine puo essere riscritta in altro modo, ottenendo∑j∈S

βj =∑j∈S

(È|A|U∗vj |

È|A|uj) +

∑j∈S

(È|B|V ∗vj |

È|B|uj) .

Procedendo come per l’analoga dimostrazione in (a), otteniamo∑j∈S

βj ≤ ||È|A|U∗||2 ||

È|A|||2 + ||

È|B|V ∗||2 ||

È|B|||2 ≤ ||

È|A|||22 + ||

È|B|||22

(nell’ultimo passaggio abbiamo tenuto conto del fatto che, per esempio, per A vale la disugua-glianza ((a) (ii) del teorema 4.5) ||

È|A|U∗||2 ≤ ||

È|A|||2 ||U∗||, dato che

È|A| e di Hilbert-

Schmidt; inoltre ||U∗|| ≤ 1, come e immediato provare, visto che e un operatore isometrico suKer(|A|)⊥ e si annulla su Ker(|A|)).Notiamo infine che

||È|A|||22 + ||

È|B|||22 = ||A||1 + ||B||1 .

Abbiamo in definitiva provato che A + B ∈ B1(H) e che in B1(H) vale la disuguaglianzatriangolare:

||A+B||1 ≤ ||A||1 + ||B||1 .

Quindi || ||1 e una seminorma. In realta e una norma, in quanto ||A||1 = 0 implica che gliautovalori di |A| siano tutti nulli e quindi, essendo |A| compatto, |A| = 0 per (6) in (a) diteorema 4.2. Per la decomposizione polare di A = U |A|, segue infine che A = 0. Fino ad oraabbiamo provato che B1(H) e sottospazio vettoriale di B(H) e che || ||1 e una norma. Mostriamoora che B1(H) e chiuso rispetto alla composizione, a destra e a sinistra, con operatori limitati.Siano A ∈ B1(H), B ∈ B(H) e A = U |A|. Allora BA = (BU

È|A|)

È|A|, dove i due fattori sono

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operatori di Hilbert-Schmidt e quindi, per (a), BA ∈ B1(H). Usando (ii) di (a) in teorema 4.5,(4.38) e (a) del presente teorema, si ha:

||BA||1 ≤ ||BUÈ|A|||2 ||

È|A|||2 ≤ ||BU || ||

√A||2 ||

√A||2 ≤ ||B|| ||

√A||22 = ||B|| ||A||1 .

Inoltre AB = (UÈ|A|)

È|A|B ∈ B1(H) perche entrambi i fattori sono di Hilbert-Schmidt e vale

(a). In modo analogo al caso trattato sopra, si trova che ||AB||1 ≤ ||B|| ||A||1. La prova di (ii)in (b) sara data nella prova della proposizione 6.5. 2

Per concludere introduciamo il concetto di traccia di un operatore nucleare e mostriamo comela traccia abbia le stesse proprieta formali della traccia di matrici.

Proposizione 4.6. Se (H, ( | )) e uno spazio di Hilbert, A ∈ B1(H) e N e una base hilbertianadi H, e ben definita:

trA :=∑u∈N

(u|Au) ; (4.40)

inoltre:(a) trA non dipende dalla base hilbertiana scelta;(b) per ogni coppia ordinata (B,C) di operatori di Hilbert-Schmidt tali che A = BC vale:

trA = (B∗|C)2 ; (4.41)

(c) |A| ∈ B1(H) e vale:||A||1 = tr|A| . (4.42)

Prova. (a) e (b). Ogni operatore di classe traccia puo decomporsi nel prodotto di due operatori diHilbert-Schmidt, come provato in (a) di teorema 4.7. Cominciamo con il notare che se A = BCcon B,C operatori di Hilbert-Schmidt, allora

(B∗|C)2 =∑u∈N

(B∗u|Cu) =∑u∈N

(u|BCu) =∑u∈N

(u|Au) = trA .

Questo prova che trA e ben definito, essendo un prodotto scalare di Hilbert-Schmidt, e che vale(4.41). (Quanto scritto sopra mostra anche che (B∗|C)2 = (B′∗|C ′)2 se BC = B′C ′, essendoB,B′, C, C ′ operatori di Hilbert-Schmidt.) Si osservi inoltre che il risultato ottenuto prova anchel’invarianza di trA al variare della base hilbertiana, visto che ( | )2 non dipende dalla scelta dellabase hilbertiana.(c) Prima di tutto, per l’unicita della radice quadrata positiva, vale | (|A|) | = |A|. Infatti | (|A|) |e l’unico operatore limitato positivo il cui quadrato e |A|∗|A| = |A|2 e |A| e limitato, positivocon quadrato pari a |A|2. Quindi, essendo A di classe traccia

+∞ >∑u∈N

(u||A|u) =∑u∈N

(u|| (|A|) |u) ,

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per cui, dalla definizione 4.4, |A| stesso e di classe traccia. Infine, scegliendo una base hilbertianafatta di autovettori di |A|, uλ,i, si ha

tr|A| =∑

λ∈sing(A)

mλ∑i=1

(uλ,i| |A|uλ,i) =∑

λ∈sing(A)

mλ∑i=1

λ =∑

λ∈sing(A)

mλλ = ||A||1 .

Questo conclude la dimostrazione. 2

Definizione 4.5. Siano H spazio di Hilbert e A ∈ B1(H). Il numero trA ∈ C e detto tracciadell’operatore A di A.

La seguente proposizione enuncia altre utili proprieta degli operatori nucleari: in particolare,esattamente come nel caso finito-dimensionale, la ciclicita della traccia. Si osservi che non erichiesto che tutti gli operatori nella traccia siano di classe traccia (e cio e importante per leapplicazioni in fisica).

Proposizione 4.7. Sia H spazio di Hilbert. La traccia gode delle seguenti proprieta.(a) Se A,B ∈ B1(H) e α, β ∈ C, allora:

trA∗ = trA , (4.43)tr(αA+ βB) = α trA + β trB . (4.44)

(b) Se A e di classe traccia e B ∈ B(H), oppure A e B sono entrambi di Hilbert-Schmidt, allora

trAB = trBA . (4.45)

(c) Se A1, A2, . . . An sono in B(H) con almeno un operatore di classe traccia oppure almeno dueoperatori di Hilbert-Schmidt, allora vale la proprieta di ciclicita della traccia

tr (A1A2 · · ·An) = tr (Aσ(1)Aσ(2) · · ·Aσ(n)) , (4.46)

dove (σ(1), σ(2), . . . , σ(n)) e una permutazione ciclica di (1, 2, . . . , n).

Prova della proposizione 4.7 e di (ii) in (b) del teorema 4.7.(a) La prova e immediata dalla stessa definizione di traccia.(b) Per dimostrare la tesi cominciamo con il provare che essa vale se A e B sono entrambi diHilbert-Schmidt. Per (b) di teorema 4.5, (4.45) e equivalente a dire che

(A∗|B)2 = (B∗|A)2 . (4.47)

La prova di (4.47) e immediata usando la relazione, valida per tutti i prodotti scalari e le normeda essi generate:

4(X|Y ) = ||X + Y ||2 + ||X − Y ||2 − i||X + iY ||2 + i||X − iY ||2 ,

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e ricordando che, nel caso della norma di Hilbert-Schmidt, ||Z||2 = ||Z∗||2 ((i) in (a) di teorema4.5).Supponiamo ora che A sia di classe traccia e B ∈ B(H). Allora A = CD, con C e D di Hilbert-Schmidt per (a) del teorema 4.7. Inoltre DB e BC sono di Hilbert-Schmidt, in quanto B2(H) eun ideale bilatero di B(H). Quindi, usando la proprieta di interscambio provata valida nel casodi due operatori di Hilbert-Schmidt, si ha:

trAB = trCD B = trC DB = trDB C = trD BC = trBC D = trB CD = trBA .

(c) E chiaro che, essendo B1(H) un ideale bilatero di B(H), e sufficiente che un solo operatoretra A1, . . . , An sia di classe traccia perche lo sia il loro prodotto. In particolare, usando (a) delteorema 4.7 unitamente al fatto che anche B2(H) e un ideale di B(H), si vede subito che se dueoperatori tra A1, . . . , An sono di Hilbert-Schmidt, allora il prodotto totale e di classe traccia. Echiaro che la (4.46) e equivalente a

tr (A1A2 · · ·An) = tr (A2A3 · · ·AnA1) ; (4.48)

infatti, continuando a permutare un passo alla volta, si ottengono tutte le permutazioni cicliche.Proviamo la (4.48). Consideriamo dapprima il caso in cui due operatori, Ai e Aj con i < j,siano di Hilbert-Schmidt. Se i = 1, la tesi segue subito da (b) con la coppia di operatori diHilbert-Schmidt A = A1 e B = A2 · · ·An. Se i > 1, allora i quattro operatori (i) A1 · · ·Ai, (ii)Ai+1 · · ·An, (iii) Ai+1 · · ·AnA1, (iv) A2 · · ·Ai sono necessariamente di Hilbert-Schmidt perchecontengono ciascuno Ai oppure Aj (mai entrambi), quindi vale

tr(A1 · · ·An) = tr(A1 · · ·Ai Ai+1 · · ·An) = tr(Ai+1 · · ·An A1A2 · · ·Ai)

= tr(A2 · · ·Ai Ai+1 · · ·AnA1) ,

che e quanto volevamo provare.Dimostriamo ora la proprieta di ciclicita nell’ipotesi che Ai sia di classe traccia. Se i = 1 latesi segue immediatamente da (b) con A = A1 e B = A2 · · ·An. Supponiamo allora che i > 1.Allora A1 · · ·Ai e A2 · · ·Ai sono di classe traccia perche ciascuno dei due contiene Ai, quindi,ricordando (b) della presente proposizione, si ha:

tr(A1 · · ·An) = tr(A1 · · ·Ai Ai+1 · · ·An) = tr(Ai+1 · · ·An A1A2 · · ·Ai)

= tr(A2 · · ·AiAi+1 · · ·AnA1) .

La proprieta di ciclicita della traccia consente di provare (ii) in (b) del teorema 4.7. In basea (4.42) si tratta di provare che tr|A| = tr|A∗|. Dal corollario del teorema di decomposizionepolare (teorema 3.9) sappiamo che |A∗| = U |A|U∗, dove U |A| = A e la decomposizione polaredi A. Vale allora

||A∗||1 = tr|A∗| = tr(U |A|U∗) = tr(U∗U |A|) = tr|A| = ||A||1 ,

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dove abbiamo usato il fatto che U∗U |A| = |A|, dato che U e isometria su Ran(|A|) (teorema3.9). 2

Esercizi 4.3.(1) Considerare un operatore integrale TK su L2([0, L]N , dx), con nucleo integrale K(x, y) doveK ∈ C1([0, L]N ). Assumendo che TK ∈ B1(L2([0, L]N , dx)), mostrare che

tr(TK) =∫

[0,L]NK(x, x)dx .

Suggerimento. Usare come base di Hilbert per sviluppare la traccia la base hilbertiana degliesponenziali

1LN/2

ei2πL

∑Nk=1

nixi , n1, n2, . . . , nN ∈ Z .

Ricordare che, se f : [0, L]N → C e di classe C1 allora la serie di Fourier converge puntualmente(escluso al piu l’insieme di misura nulla rappresentato dal bordo di [0, L]N ):

f(x) =1L

∑n1,...,nN∈Z

ei2πL

∑Nk=1

nixi

∫[0,L]N

e−i2πL

∑Nk=1

niyif(y)dy .

Usare infine il teorema di Fubini-Tonelli opportunamente.(2) Considerare un operatore integrale TK su L2([0, 2π], dx), con nucleo integrale:

K(x, y) =1

∑n∈Z\0

1n2ein(x−y) .

Dimostrare che si tratta di un operatore compatto, di Hilbert-Schmidt e di classe traccia.(3) Dimostrare che l’operatore TK nell’esercizio (2) e un inverso sinistro dell’operatore differen-ziale:

− d2

dx2,

definito sulle funzione infinitamente differenziabili su [0, π] che soddisfano condizioni di perio-dicita (includendo tutte le derivate). Tenendo conto di tale dominio, TK puo essere anche uninverso destro?(4) Considerare un operatore integrale Ts su L2([0, 2π], dx), con nucleo integrale:

Ks(x, y) =1

∑n∈Z\0

1n2s

ein(x−y) .

Dimostrare che si tratta di un operatore compatto, di Hilbert-Schmidt e di classe traccia ses > 1/2. Dimostrare che:

tr(Ts) = ζR(s) ,

dove il secondo memebro e la funzione zeta di Riemann.

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Capitolo 5

Operatori non limitati con dominidensi in spazi di Hilbert.

In questo capitolo estenderemo la teoria degli operatori in spazi di Hilbert considerando opera-tori non limitati (in particolare operatori autoaggiunti non limitati, che sono gli operatori piuimportanti della Meccanica Quantistica).Nella prima sezione introdurremo i primi rudimenti di teoria degli operatori non limitati definitisu domini che non coincidono con tutto lo spazio di Hilbert. Daremo, in particolare, la nozionedi dominio naturale. Introdurremo la nozione di operatore chiuso e chiudibile. Quindi, presente-remo la nozione generale di operatore aggiunto, per operatori non limitati e densamente definiti,provando che tale nozione estende quella gia data nel caso di operatori limitati definiti su tuttolo spazio di Hilbert.La sezione successiva si occupera di discutere le generalizzazioni al caso di operatore non li-mitato, della nozione di operatore autoaggiunto, precedentemente data nel caso di operatoridi B(H). Introdurremo quindi i concetti di operatore hermitiano, simmetrico, essenzialmenteautoaggiunto ed autoaggiunto, discutendone le proprieta generali piu importanti. In particolarepresentermo la nozione di core di un operatore e quella di indici di difetto.La terza sezione sara completamente dedicata a due esempi di operatori autoaggiunti dellamassima importanza in Meccanica Quantistica: gli operatori posizione ed impulso negli spa-zi L2(R3, dx). Studieremo a fondo tali operatori, presentandone le varie possibili equivalentidefinizioni.L’ultima sezione sara dedicata a criteri piu avanzati per stabilire se un operatore simmetrico am-mette estensioni autoaggiunte e se e essenzialmente autoaggiunto. In particolare presenteremo ilcriterio di von Neumann. Alcuni strumenti tecnici per affrontare questo tipo di analisi, oltre allanozione di core di un operatore, sono la trasformata di Cayley e la nozione di vettore analitico,discussi nello stessa sezione.

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5.1 Operatori non limitati con dominio non massimale.

5.1.1 Operatori non limitati con dominio non massimale in spazi normati edi Hilbert.

Le prime nozioni che diamo sono abbastanza generali e non necessitano ancora della strutturadi spazio di Hilbert.

Definizione 5.1. Se X e uno spazio normato, un operatore in X e un’applicazione lineare:

T : D(T )→ X ,

dove D(T ) ⊂ X e un sottospazio di X (in generale non chiuso), detto dominio di T .Il grafico G(T ) dell’operatore T e il sottospazio di X⊕ X:

G(T ) := (x, Tx) | x ∈ D(T ) .

Se α ∈ C e A e B sono operatori in X con dominio D(A) e D(B) rispettivamente, si definisconogli operatori in H:

AB, tale che ABf := A(Bf) sul suo dominio naturale:

D(AB) := f ∈ D(B) |Bf ∈ D(A)

A+B tale che (A+B)f := Af +Bf sul suo dominio naturale:

D(A+B) := D(A) ∩D(B)

αA, tale che αAf := α(Af) sul suo dominio naturale: D(αA) = D(A) se α 6= 0,D(0A) := H .

E chiaro che le definizioni date sopra si riducono a quelle gia viste nel caso di operatori T ∈ L(X),che non sono altro che operatori in X con D(T ) = X.Il concetto di estensione di un operatore e quello di operatore chiuso e chiudibile giocano unruolo importante nel seguito.

Definizione 5.2. Se A e un operatore nello spazio normato X, un operatore B sullo spazio Xsi dice estensione di A, e si scrive A ⊂ B, se G(A) ⊂ G(B).

Definizione 5.3. Sia A operatore nello spazio normato X.(a) A e detto chiuso se il suo grafico e chiuso nella topologia prodotto di X× X.In altre parole A e chiuso se, per ogni successione xnn∈N ⊂ D(A) tale che, per n→ +∞:

(i) xn → x ∈ X,(ii) Txn → y ∈ X,

vale x ∈ D(A) e y = Tx.

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(b) A e detto chiudibile se la chiusura G(A) del suo grafico e ancora il grafico di un operatore(che risulta essere necessariamente chiuso). Tale operatore si indica con A e si dice chiusuradi A.

La seguente proposizione caratterizza gli operatori chiudibili.

Proposizione 5.1. Sia A operatore nello spazio normato X; i seguenti fatti sono equivalenti:(i) A e chiudibile,(ii) non esistono in G(A) elementi del tipo (0, z) con 0 6= z ∈ X,(iii) A ammette estensioni chiuse.

Prova. (i) ⇔ (ii) A non e chiudibile se e solo se ci sono due successioni in D(A), xn e x′n,tali che xn → x ← x′n, ma Axn → y 6= y′ ← Ax′n. Per linearita questo e equivalente a dire chec’e una successione di elementi x′′n = xn − x′n → 0 tale che Tx′′n → y − y′ = z 6= 0. Questo eequivalente a dire che G(A) contiene il punto (0, z).(i) ⇔ (iii) Se A e chiudibile, A e un’estensione chiusa di A. Se viceversa esiste un’estensionechiusa B di A non puo accadere che esistano in G(A) elementi del tipo (0, z) con 0 6= z ∈ X,altrimenti, essendo A ⊂ B e B chiuso, avremmo che G(B) = G(B) ⊃ G(A) 3 (0, z) e quindi Bnon sarebbe un operatore. 2

Restringiamoci al caso in cui X sia uno spazio di Hilbert, che indicheremo con H. E per moltimotivi conveniente definire una struttura di spazio di Hilbert sullo spazio somma diretta H⊕H(vedi il testo dopo notazione 2.5). Dal punto di vista topologico, H⊕H ha la topologia naturaledata dalla topologia prodotto di H×H. Vogliamo pertanto che la struttura di spazio di Hilbertsu H⊕ H induca proprio la topologia prodotto.Definiamo il prodotto scalare su H ⊕ H come ((x, x′)|(y, y′)) := (x|x′) + (y|y′), per ogni coppia(x, x′), (y, y′) ∈ H⊕ H. Siccome la norma indotta da questo prodotto scalare e tale che

||(z, z′)||2 = ||z||2 + ||z′||2 (5.1)

per ogni (z, z′) ∈ H⊕H, si ha immediatamente che ogni successione di Cauchy (xn, x′n)n∈N inH⊕H rispetto alla norma indotta dal prodotto scalare su H⊕H definisce le successioni di Cauchyin H: xnn∈N e x′nn∈N. Tali successioni di Cauchy convergono dunque rispettivamente a x ex′ in H. E quindi immediato provare che (xn, x′n)→ (x, x′) per n→ +∞ direttamente da (5.1).Pertanto H⊕ H e completo. Inoltre, il prodotto scalare definito su H⊕ H induce una norma lacui topologia su H ⊕ H e, come volevamo, la topologia prodotto. Per provare cio, e sufficientenotare che, se (x, y) ∈ H⊕H e se Bδ((x, y)) e la palla metrica aperta in H⊕H centrata in (x, y)di raggio δ > 0 e Bε(z) l’analoga palla aperta in H centrata in z di raggio ε > 0, allora valgonole inclusioni:

Bδ/√

2(x)×Bδ/√2(y) ⊂ Bδ((x, y)) ⊂ Bδ√2(x)×Bδ√2(y)

Concludiamo che, per esempio, la nozione di operatore chiuso su uno spazio di Hilbert (defini-zione 5.3) puo essere equivalentemente data rispetto alla topologia indotta dal prodotto scalare

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su H⊕ H.Per dimostrare alcune proposizioni conviene introdurre fin d’ora l’operatore unitario τ : H⊕H→H⊕ H tale che

τ : (x, y) 7→ (−y, x) .

Si osservi che ττ = −I. Si verifica immediatamente per computo diretto che, se F ⊂ H ⊕ H,allora

τ(F⊥) = (τ(F ))⊥ , (5.2)

dove ⊥ e riferito al prodotto scalare di H⊕ H; in altre parole τ e ⊥ commutano.

5.1.2 La definizione generale di operatore aggiunto in spazi di Hilbert.

Passiamo a definire l’aggiunto di un operatore A nello spazio di Hilbert H, nel caso in cui D(A)sia denso in H. Consideriamo un vettore x ∈ H per cui esiste un vettore zA,x tale che, per ogniy ∈ D(A):

(x|Ay) = (zA,x|y) . (5.3)

Si osservi che 0 soddisfa sicuramente la proprieta richiesta per x. Inoltre, se esiste zA,x per uncerto x, zA,x e univocamente fissato da x. Infatti se z′A,x soddisfa la stessa identita di sopra pertutti gli y ∈ D(A), allora deve essere:

0 = (x|Ay)− (x|Ay) = (zA,x − z′A,x|y) (5.4)

per ogni y ∈ D(A). Dato che D(A) e denso in H, ci sara una successione ynn∈N ⊂ D(A)per cui yn → zA,x − z′A,x. Per la continuita del prodotto scalare, (5.4) implica subito che||zA,x − z′A,x||2 = 0 e quindi zA,x = z′A,x.Indicheremo con D(A∗) l’insieme degli x ∈ H che soddisfano la condizione (5.3) per qualche zA,xe per ogni y ∈ D(A).Ragionando come per la definizione dell’operatore aggiunto nel caso in cui A ∈ B(H), si verificasubito che D(A∗) e un sottospazio di H e che l’applicazione

D(A∗) 3 x 7→ zA,x

e lineare.

Definizione 5.4. Se T e un operatore nello spazio di Hilbert H con D(T ) = H, l’operatoreaggiunto di T , T ∗, e l’operatore su H definito sul sottospazio:

D(T ∗) := x ∈ H | esiste zT,x ∈ H con (x|Ty) = (zT,x|y) per ogni y ∈ D(T )

e tale che:T ∗ : x 7→ zT,x .

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Note.(1) E chiaro che vale:

(T ∗x|y) = (x|Ty) , per ogni coppia (x, y) ∈ D(T ∗)×D(T ).

(2) Se T ∈ B(H), applicando la definizione 5.4 per T ∗ si vede immediatamente che vale D(T ∗) =H a causa del teorema di Riesz, come visto nel paragrafo 3.3. Concludiamo che:per gli operatori di B(H) la definizione di aggiunto data in definizione 5.4 coincide con quelladata in definizione 3.7.(3) Si osservi che non e detto che D(T ∗) sia denso in H, per cui, in generale, non esiste (T ∗)∗.(4) Esplicitando l’insieme τ(G(T ))⊥ troviamo subito che

τ(G(T ))⊥ = (x, y) ∈ H⊕ H | − (x|Tz) + (y|z) = 0 per ogni z ∈ D(T ) .

In altre parole τ(G(T ))⊥ e il grafico di T ∗ (purche tale operatore sia definito):

τ(G(T ))⊥ = G(T ∗) .

(5) Se A ⊂ B ed entrambi gli operatori sono densamente definiti, allora A∗ ⊃ B∗. La prova eimmediata dalla definizione di aggiunto.

Teorema 5.1. Sia A operatore sullo spazio di Hilbert H con dominio denso; allora valgono leseguenti proprieta:(a) A∗ e un operatore chiuso e vale:

τ(G(A))⊥ = G(A∗) ; (5.5)

(b) A e chiudibile se e solo se D(A∗) e denso. In tal caso:

A ⊂ A = (A∗)∗ ;

(c) KerA∗ = [RanA]⊥ e Ker(A) ⊂ [RanA∗]⊥ (dove possiamo sostituire ⊂ con = se D(A∗) edenso in H).(d) Se A e chiuso (oltre ad avere dominio denso) allora vale la decomposizione ortogonale diH⊗ H:

H⊕ H = τ(G(A))⊕G(A∗) . (5.6)

Prova. (a) L’identita (5.5) e stata provata nella nota precedente. In essa: τ(G(A))⊥ e chiusoper costruzione, essendo l’ortogonale di un insieme ((a) di teorema 3.1), quindi A∗ e chiuso.(b) Consideriamo la chiusura del grafico di A; vale D(A) = (D(A)⊥)⊥ per il teorema 3.1.Tenendo conto che ττ = −I, che S⊥ = −S⊥ per ogni insieme S, e che valgono (5.2) e (5.5),troviamo che:

G(A) = −τ( τ(G(A))⊥ )⊥ = −τ(G(A∗))⊥ = τ(G(A∗))⊥ . (5.7)

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Per proposizione 5.1, G(A) e il grafico di un operatore (la chiusura di A) se e solo se G(A) noncontiene elementi del tipo (0, z) con z 6= 0. In altre parole G(A) non e il grafico di un operatorese e solo se esiste z 6= 0 con (0, z) ∈ τ(G(A∗))⊥. Questa condizione si esplicita in

esiste z 6= 0 tale che 0 = ((0, z)|(−A∗x, x)) , per ogni x ∈ D(A∗) .

In altre parole G(A) non e il grafico di un operatore se e solo se D(A∗)⊥ 6= 0, che e equivalentea dire che D(A∗) non e denso in H. In definitiva: G(A) e il grafico di un operatore se e solo seD(A∗) e denso in H.Se D(A∗) e denso in H, allora (A∗)∗ e definito e, usando (5.7) e (5.5),

G(A) = τ(G(A∗))⊥ = G((A∗)∗) .

D’altra parte, per la definizione di chiusura dell’operatore A, G(A) = G(A). Sostituendo sopra:

G(A) = G((A∗)∗) ,

e quindi A = (A∗)∗.(c) Seguono immediatamente da

(A∗x|y) = (x|Ay) , per ogni coppia (x, y) ∈ D(A∗)×D(A)

e dalla densita di D(A) (e da quella di D(A∗)).(d) Dato che A e chiuso, G(A) e chiuso e quindi τ(G(A)) e chiuso perche τ : H ⊕ H → H ⊕ He evidentemente unitario. Dalla (5.5) e da (b) e (d) del teorema 3.1 abbiamo immediatamenteche (5.6) deve essere vera. Questo conclude la dimostrazione. 2

Nota. Tenuto conto del fatto che, se D(A) e denso e λ ∈ C, allora (A − λI)∗ = A∗ − λI, laprima relazione del punto (c) implica immediatamente che valga anche la seguente identita, cheuseremo spesso in seguito:

Ker(A∗ − λI) = [Ran(A− λI)]⊥ ,

mentre la seconda relazione del punto (c) fornisce:

Ker(A− λI) ⊂ [Ran(A∗ − λI)]⊥ .

5.2 Operatori hermitiani, simmetrici, autoaggiunti ed essenzial-mente autoaggiunti.

Possiamo ora dare la definizione di operatore autoaggiunto e le nozioni connesse.

Definizione 5.5. Siano (H, ( | )) spazio di Hilbert e A operatore in H.(a) A e detto hermitiano se (Ax|y) = (x|Ay) per ogni coppia x, y ∈ D(A).

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(b) A e detto simmetrico se e hermitiano e D(A) e denso. In altre parole A e simmetricoquando D(A) e denso e A ⊂ A∗.(c) A e detto autoaggiunto se D(A) e denso e A = A∗.(d) A e detto essenzialmente autoaggiunto se D(A) e D(A∗) sono densi e A∗ = (A∗)∗ ov-vero, equivalentemente, D(A) e denso, A e chiudibile e vale A∗ = A.(e) A e detto normale se A∗A = AA∗, dove i due membri sono definiti sui loro domini naturali.

Note.(1) A commento di (c) nella definizione 5.5, si osservi che, per (a) di teorema 5.1, ogni operatoreautoaggiunto e chiuso.(2) Val la pena di notare che:

(i) le definizioni di operatore hermitiano, simmetrico, autoaggiunto ed essenzialmente au-toaggiunto coincidono quando il dominio dell’operatore e tutto lo spazio di Hilbert;

(ii) vale il teorema di Hellinger-Toeplitz: un operatore hermitiano con dominio dato datutto lo spazio di Hilbert (cioe un operatore autoaggiunto definito su tutto lo spazio di Hilbert) enecessariamente limitato. Questo evero per (d) della proposizione 3.8, ed e quindi autoaggiuntoanche nel senso della definizione 3.9;

(iii) gli operatori limitati autoaggiunti nel senso della definizione 3.9 sono operatori autoag-giunti con dominio dato da tutto lo spazio, nel senso della definizione di sopra.(3) La nozione di operatore essenzialmente autoaggiunto e la piu importante delle quattro pre-sentate sopra nelle applicazioni in Meccanica Quantistica, per il seguente fatto. Come vedremotra poco, gli operatori essenzialmente autoaggiunti ammettono una sola estensione autoaggiunta,per cui portano tutta l’informazione di un operatore autoaggiunto. Per motivi che vedremo piuavanti, gli operatori importanti in Meccanica Quantistica sono operatori autoaggiunti; d’altraparte gli operatori piu comodi da trattare sono gli operatori differenziali. Risulta spessissimoche operatori differenziali definiti su domini opportuni siano essenzialmente autoaggiunti. Intal modo gli operatori differenziali essenzialmente autoaggiunti sono, da una parte, comodi peressere usati, dall’altra, portano le informazioni, in maniera univoca, di operatori autoaggiuntiutili in Meccanica Quantistica. Per questo motivo ci soffermiamo su alcune proprieta connesseall’autoaggiunzione essenziale.(4) Dato un operatore A : D(A)→ H nello spazio di Hilbert H, si dice che B ∈ B(H) commutacon A, quando

BA ⊂ AB .

Se il dominio di A e denso e quindi esiste A∗, si verifica facilmente che se B ∈ B(H) commutacon A allora B∗ commuta con A∗ (lo si provi per esercizio). Estendendo quanto detto in (3) inesempi 3.3, indichiamo con A′ il commutante di A : D(A)→ H, cioe :

A′ := B ∈ B(H) | BA ⊂ AB

Nel caso in cui A = A∗ risulta che A′ e una sotto ∗-algebra di B(H) che e chiusa rispettoalla topologia operatoriale forte. Si tratta dunque di un’algebra di von Neumann (vedi (3) inesempi 3.3). L’ulteriore commutante A′′ := A′′ e ancora un’algebra di von Neumann che

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si chiama algebra di von Neumann generata da A.

Notazione 5.1. D’ora in poi scriveremo anche A∗∗···∗ in luogo di (((A∗)∗) · · · )∗.

Proposizione 5.2. Siano (H, ( |)) spazio di Hilbert e A operatore in H; allora valgono i seguentifatti.(a) Se D(A), D(A∗), D(A∗∗) sono densi, allora:

A∗ = A∗ = A∗ = A∗∗∗ . (5.8)

(b) A e essenzialmente autoaggiunto se e solo se A e autoaggiunto.(c) Se A e autoaggiunto, allora e simmetrico massimale: non ha estensioni proprie simmetriche.(d) Se A e essenzialmente autoaggiunto, allora A ammette solo una estensione autoaggiunta: A(che coincide con A∗).

Prova. (a) Se D(A), D(A∗), D(A∗∗) sono densi, allora esistono A∗, A∗∗ e A∗∗∗. Inoltre

A∗ = (A∗∗)∗ = A∗∗∗ = (A∗)∗∗ = A∗

per (b) del teorema 5.1. Dato che A∗ e chiuso (per (a) di teorema 5.1), vale infine: A∗ = A∗.(b) Se A e essenzialmente autoaggiunto, allora A = A∗ e quindi, in particolare, D(A) = D(A∗) edenso. Calcolando l’aggiunto di A e tenendo conto di (b) in teorema 5.1, si ha: A∗ = (A∗)∗ = A,ossia A e autoaggiunto.Viceversa, se A e autoaggiunto, ossia esiste A∗ = A, allora D(A), D(A∗), D(A∗∗) sono densi e,applicando (a): A∗ = A∗ = A

∗; quindi A∗ = A. Allora A e essenzialmente autoaggiunto.(c) Sia A autoaggiunto e A ⊂ B con B simmetrico. Prendendo gli aggiunti, si ha A∗ ⊃ B∗. MaB∗ ⊃ B per la simmetria. Allora:

A ⊂ B ⊂ B∗ ⊂ A∗ = A ,

e quindi A = B = B∗.(d) Sia A∗ = A∗∗ e A ⊂ B con B = B∗. Prendendo l’aggiunto di A ⊂ B si ha che: B = B∗ ⊂ A∗.Prendendo due volte l’aggiunto di A ⊂ B troviamo anche che A∗∗ ⊂ B, ma allora:

B = B∗ ⊂ A∗ = A∗∗ ⊂ B ,

per cui B = A∗∗, che coincide con A per (b) del teorema 5.1. 2

Passiamo ora a dare i due teoremi fondamentali che caratterizzano gli operatori autoaggiunti edessenzialmente autoaggiunti.

Teorema 5.2. Sia A operatore simmetrico nello spazio di Hilbert H. I seguenti fatti sono equi-valenti:(a) A e autoaggiunto;

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(b) A e chiuso e Ker(A∗ ± iI) = 0;(c) Ran(A± iI) = H.

Prova. (a) ⇒ (b) Se A = A∗, allora A e chiuso perche A∗ e chiuso. Se x ∈ Ker(A∗ + iI), alloravale anche Ax = −ix e quindi

i(x|x) = (Ax|x) = (x|Ax) = (x| − ix) = −i(x|x) ,

per cui (x|x) = 0 e quindi x = 0.La prova per Ker(A∗ − iI) = 0 e analoga.(b) ⇒ (c) Dalla definizione di operatore aggiunto segue che (vedi nota dopo teorema 5.1):[Ran(A − iI)]⊥ = Ker(A∗ + iI). Quindi da (b) segue che Ran(A − iI) e denso in H. Orateniamo conto della chiusura di A per mostrare che in realta Ran(A − iI) = H. Si fissi y ∈ Harbitrariamente e si scelga xnn∈N ⊂ D(A) per cui (A− iI)xn → y ∈ H. Vale, se z ∈ D(A),

||(A− iI)z||2 = ||Az||2 + ||z||2 ≥ ||z||2 ,

da cui il fatto che xnn∈N e una successione di Cauchy ed esiste x = limn→+∞ xn. La chiusura diA comporta subito quella di A−iI, per cui: (A−iI)x = y e quindi Ran(A−iI) = Ran(A− iI) =H. La prova per Ker(A∗ − iI) = 0 e analoga.(c) ⇒ (a) Dato che A ⊂ A∗ per l’ipotesi di simmetria, e sufficiente provare che D(A∗) ⊂ D(A).Sia y ∈ D(A∗). Dato che Ran(A− iI) = H, esiste un vettore x− ∈ D(A) tale che:

(A− iI)x− = (A∗ − iI)y .

Su D(A) l’operatore A∗ coincide con A e pertanto, dall’identita di sopra, si trova che:

(A∗ − iI)(y − x−) = 0 .

Ma Ker(A∗ − iI) = Ran(A + iI)⊥ = 0, per cui y = x− e y ∈ D(A). La dimostrazione nelcaso di Ran(A+ iI) e analoga. 2

Teorema 5.3. Sia A operatore simmetrico nello spazio di Hilbert H. I seguenti fatti sono equi-valenti:(a) A e essenzialmente autoaggiunto;(b) Ker(A∗ ± iI) = 0;(c) Ran(A± iI) = H.

Prova.(a) ⇒ (b) Se A e essenzialmente autoaggiunto, allora A∗ = A∗∗ e quindi A∗ e autoaggiunto (edunque chiuso). Applicando il teorema 5.2, segue che Ker(A∗∗ ± iI) = 0 e quindi vale (b)perche A∗∗ = A∗.(b) ⇒ (a) A ⊂ A∗ per ipotesi e quindi, essendo D(A) denso, lo e anche D(A∗). Di conseguenza,per la (b) del teorema 5.1, A e chiudibile e A ⊂ A = A∗∗ (in particolare D(A∗∗) = D(A) ⊃ D(A)

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e denso). Pertanto, da A ⊂ A∗ segue A ⊂ A∗ e, per la (a) di proposizione 5.2, si ha A∗ = A∗. In

definitiva, A ⊂ A∗, ovvero A e simmetrico. Possiamo allora applicare il teorema 5.2 all’operatoreA, valendo per esso la proposizione (b) in tale teorema. Concludiamo che A e autoaggiunto. Da(b) di proposizione 5.2 segue che A e essenzialmente autoaggiunto.(b) ⇔ (c) Dato che Ran(A± iI)⊥ = Ker(A∗ ∓ iI) e che Ran(A± iI)⊕Ran(A± iI)⊥ = H, (b)e (c) sono equivalenti. 2

Per concludere presentiamo un concetto utile nelle applicazioni: quello di core per un operatore.

Definizione 5.6. Sia A un operatore nello spazio di Hilbert H con dominio denso e sia Achiudibile. Un sottospazio denso S ⊂ D(A) e detto essere un core di A se A S e chiudibile e:

A S = A .

Vale la seguente ovvia ma importante proposizione.

Proposizione 5.3. Se A e un operatore autoaggiunto nello spazio di Hilbert H, un sottospazioS ⊂ D(A) e un core per A se e solo se A S e essenzialmente autoaggiunto.

Prova. Se A S e essenzialmente autoaggiunto, allora ammette un’unica estensione autoaggiun-ta, che coincide con la sua chiusura per (d) in proposizione 5.2; nel caso in esame, tale estensionecoincide necessariamente con A, che per ipotesi e autoaggiunto. Quindi A S e un core.Viceversa, se A S e un core, significa che la chiusura di A S e autoaggiunta perche coincidecon l’operatore autoaggiunto A. Per (b) di proposizione 5.2, A S e dunque essenzialmenteautoaggiunto. 2

Esercizi 5.1.(1) Sia A un operatore nello spazio di Hilbert H con dominio denso D(A). Siano α, β ∈ C e siconsideri il dominio naturale D(αA+ β) := D(A). Provare che:(i) αA+ βI : D(αA+ β)→ H ammette aggiunto e

(αA+ βI)∗ = αA∗ + βI .

(ii) αA + βI e hermitiano, simmetrico, autoaggiunto, essenzialmente autoaggiunto se e solo seA e, rispettivamente, hermitiano, simmetrico, autoaggiunto, essenzialmente autoaggiunto.(iii) αA+ βI e chiudibile se e solo se A e chiudibile ed in tal caso vale:

αA+ βI = αA+ βI .

Suggerimento. Applicare direttamente le definizioni necessarie.(2) Siano A e B operatori nello spazio di Hilbert H densamente definiti. Provare che se A+B :D(A) ∩D(B)→ H e densamente definito, allora:

(A+B)∗ ⊂ A∗ +B∗ .

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(3) Siano A e B operatori nello spazio di Hilbert H densamente definiti. Provare che se ildominio naturale D(AB) e densamente definito allora AB : D(AB)→ H ammette aggiunto e

(AB)∗ ⊂ B∗A∗ .

(4) Sia A un operatore nello spazio di Hilbert H densamente definito e L : H→ H un operatorelimitato. Provare, applicando la definizione di aggiunto, che valgono le relazioni:

(LA)∗ = A∗L∗ , (AL)∗ = L∗A∗

e quindi, in particolare, D(A∗)L∗ = D((LA)∗) e D((AL)∗) = L∗D(A∗).Dimostrare anche che vale la relazione:

(L+A)∗ = L∗ +A∗ ,

e quindi, in particolare, D((L+A)∗) = D(L∗) ∩D(L∗) = D(A∗).(5) Sia A operatore simmetrico sullo spazio di Hilbert H. Provare che se A : D(A) → He biettivo allora e autoaggiunto. Tenere conto del fatto che, come si dimostra dal teoremaspettrale per operatori autoaggiunti non limitati che vedremo piu avanti, l’inverso di un operatoreautoaggiunto (quando esiste) e autoaggiunto.

Suggerimento. Se A e simmetrico lo e A−1 : H→ D(A). Questo e definito su tutto lo spaziodi Hilbert per cui e autoaggiunto.(6) Nel seguito se A e un operatore su H, il commutante A′ e l’insieme degli operatori di B(H)per cui BA ⊂ AB. Sia A : D(A)→ H operatore nello spazio di Hilbert H. Provare che se D(A)e denso e A e chiuso, allora A′ ∩ A∗ e una sotto ∗-algebra di B(H) con unita ed e chiusarispetto alla topologia forte. Dimostrare che se A e autoaggiunto ed e definito su tutto H, alloral’algebra di von Neumann (A′)′ coincide con l’algebra di von Neumann generata da A nelsenso di (3) in esempi 3.3.

5.3 Alcune importanti applicazioni: operatore posizione e ope-ratore impulso.

Come esempi del formalismo introdotto in questo capitolo fino a questo punto, introduciamo estudiamo alcune caratteristiche di due operatori autoaggiunti, di grande importanza in Mecca-nica Quantistica, che si chiamano rispettivamente operatore posizione ed operatore impulso.Il significato fisico di tali operatori sara chiarito nella seconda parte del trattato.Nel seguito adotteremo le convenzioni le definizioni e le notazioni usate nella sezione 3.6.x = (x1, . . . , xn) denota il punto generico di Rn.

5.3.1 L’operatore posizione.

Definizione 5.7. Consideriamo l’operatore in H := L2(Rn, dx), dove dx e la misura di Lebesguesu Rn e i e un numero in 1, 2, . . . , n, dato da:

(Xif)(x) = xif(x) , (5.9)

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con dominio:D(Xi) :=

§f ∈ L2(Rn, dx)

∣∣∣∣ ∫Rn|xif(x)|2 dx < +∞

ª. (5.10)

Questo operatore si chiama operatore posizione rispetto alla coordinata i-esima.

Proposizione 5.4. Si consideri l’operatore Xi definito in (5.9) con dominio definito in (5.10).Valgono i seguenti fatti.(a) L’operatore Xi e autoaggiunto.(b) Xi D(Rn) e Xi S(Rn) sono dei core per Xi e quindi:

Xi = Xi D(Rn) = Xi S(Rn) .

Prova. (a) Il dominio di Xi e sicuramente denso in H in quanto include lo spazio D(Rn) dellefunzioni infinitamente differenziabili a supporto compatto e anche lo spazio delle funzioni diSchwartz S(Rn) (vedi notazione 3.3) che sono entrambi densi in L2(Rn, dx). Quindi Xi e chiu-dibile ed ammette aggiunto. Dalla definizione di Xi e del suo dominio risulta immediatamenteche (g|Xif) = (Xig|f) se f, g ∈ D(Xi). Di conseguenza Xi e hermitiano e simmetrico. Mostria-mo che e anche autoaggiunto. Dato che, per la simmetria Xi ⊂ X∗i e sufficiente provare cheD(X∗i ) = D(Xi). Determiniamo l’aggiunto di Xi direttamente dalla definizione. f ∈ D(X∗i ) see solo se esiste h ∈ L2(Rn, dx) per cui:∫

Rnf(x)xig(x)dx =

∫Rnh(x)g(x)dx

per ogni g ∈ D(Xi). Infine:X∗i : f 7→ h .

Dato che D(Xi) e denso e vale ∫Rn

[xif(x)− h(x)]g(x)dx = 0

per ogni g ∈ D(Xi), possiamo anche dire che:f ∈ L2(Rn, dx) appartiene a D(X∗i ) se e solo se xif(x) = h(x) quasi ovunque, con h ∈L2(Rn, dx).In definitiva, D(X∗i ) e composto da tutte e sole funzioni f ∈ L2(Rn, dx) per cui∫

Rn|xif(x)|2 dx < +∞ ,

e quindi D(X∗i ) = D(Xi) e Xi e autoaggiunto.(b) Se definiamo l’operatore Xi come abbiamo fatto sopra, eccetto per il fatto che restringiamo ilsuo dominio allo spazio D(Rn) delle funzioni infinitamente differenziabili a supporto compatto,oppure S(Rn), l’operatore ottenuto in tal modo cessa di essere autoaggiunto, ma rimane simme-trico come e immediato provare. Notiamo che gli aggiunti di Xi D(Rn) e Xi S(Rn) coincidono

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entrambi con l’operatore X∗i gia trovato sopra. Questo perche nella costruzione di X∗i abbiamosolo usato il fatto che Xi e l’operatore che moltiplica per xi su un dominio denso: che fosseD(Xi) definito in (5.10) o un suo sottospazio non cambiava il risultato. Definendo Xi comein (5.9) e (5.10), il suo aggiunto X∗i deve soddisfare Ker(X∗i ± iI) = 0 per (b) del teorema5.2. Ma dato che X∗i e lo stesso che si ottiene restringendo il dominio di Xi a D(Rn) o S(Rn),valendo (b) del teorema 5.3, l’operatore Xi, con dominio ristretto, risulta essere essenzialmenteautoaggiunto. L’ultima proposizione e conseguenza immediata di (d) in proposizione 5.2. 2

5.3.2 L’operatore impulso.

Passeremo ora ad introdurre l’operatore impulso. Abbiamo bisogno di una definizione prelimi-nare. Ricordiamo che che f : Rn → C e una funzione localmente integrabile su Rn se f · g e inL1(Rn, dx) per ogni funzione g ∈ D(Rn).

Definizione 5.8. Sia f localmente integrabile. Se α e un multi indice, diremo che h : Rn → Ce la α-esima derivata di f in senso debole, e scriveremo w-∂αf = h, se h : Rn → C elocalmente integrabile e vale∫

Rnh(x)g(x) dx = (−1)|α|

∫Rnf(x)∂αx g(x) dx (5.11)

per ogni funzione g ∈ D(Rn).

Note.(1) La derivata in senso debole, se esiste e univocamente determinata (a meno di un insieme dimisura nulla): se h e h′ sono localmente integrabili e soddisfano (5.11), allora∫

Rn(h(x)− h′(x))g(x) dx = 0 (5.12)

per ogni funzione g ∈ D(Rn). Ma allora h(x) − h′(x) = 0 quasi ovunque per il lemma di DuBois-Reymond [Vla81], che afferma che φ, localmente integrabile su Rn, e nulla quasi ovunquese e solo se

∫Rn φ(x)f(x) dx = 0 per ogni f ∈ D(Rn).

(2) E chiaro che, nel caso che f ∈ C |α|(Rn), la derivata di ordine α in senso debole di f esiste ecoincide con quella in senso ordinario (a meno di un insieme di misura nulla). Tuttavia vi sonocasi in cui la derivata ordinaria non esiste ed esiste solo quella debole.(3) E chiaro che le funzioni L2(Rn, dx) sono localmente integrabili essendo D(Rn) ⊂ L2(Rn, dx)ed essendo in L1 il prodotto di funzioni L2.

Al fine di introdurre l’operatore impulso, consideriamo l’operatore su H := L2(Rn, dx), dato da:

(Aif)(x) = −i~ ∂

∂xif(x) ,

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dove ~ e una costante positiva, con dominio: D(Ai) := D(Rn).Dalla definizione di Ai e del suo dominio risulta immediatamente che (g|Aif) = (Aig|f) se f, g ∈D(Ai). Di conseguenza Ai e hermitiano e simmetrico. Mostriamo che Ai e anche essenzialmenteautoaggiunto. Determiniamo l’aggiunto di Ai che si indica con Pi := A∗i direttamente dalladefinizione. Per f ∈ D(Pi) deve esistere φ ∈ L2(Rn, dx) per cui:∫

Rnf(x)g(x)dx = −i~

∫Rnφ(x)

∂xig(x)dx , per ogni g ∈ D(Rn) . (5.13)

Prendendo il complesso coniugato ad ambo membri, la condizione (5.13) si esprime dicendo che:φ ∈ L2(Rn, dx) appartiene a D(Pi) se e solo se ammette derivata in senso debole f che appar-tiene a L2(Rn, dx). Infine Pi : φ 7→ f .

Definizione 5.9. Consideriamo l’operatore in H := L2(Rn, dx), dove dx e la misura di Lebesguesu Rn e i e un numero in 1, 2, . . . , n, dato da:

(Pif)(x) = −i~w-∂

∂xif(x) , (5.14)

con dominio:

D(Pi) :=f ∈ L2(Rn, dx)

∣∣∣ esiste w- ∂∂xif ∈ L2(Rn, dx)

. (5.15)

Pi si dice operatore impulso rispetto alla coordinata i-esima.

Nota. Se Rn = R, un modo alternativo, ma equivalente, di definire D(Pi) e quello di dire chetale spazio e lo spazio di Sobolev H1(R, dx).

Proposizione 5.5. Si consideri l’operatore Pi definito in (5.14) con dominio definito in (5.15).Valgono i seguenti fatti.(a) L’operatore Pi e autoaggiunto.(b) Gli spazi D(Rn) e S(Rn) sono dei core per Pi.In altre parole, le restrizioni di Pi a tali spazi date dagli operatori differenziali definiti da:

(Aif)(x) = −i~ ∂

∂xif(x) , (5.16)

(A′if)(x) = −i~ ∂

∂xif(x) , (5.17)

con, rispettivamente, f ∈ D(Ai) := D(Rn) e f ∈ D(A′i) := S(Rn), sono essenzialmenteautoaggiunti e vale:

Ai = A′i = Pi .

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Prova. Nel seguito indichiamo brevemente la derivata parziale rispetto alla coordinata i-esimacon ∂i e l’analoga derivata parziale in senso debole con w-∂i. D(Pi) e composto dalle funzioni hdi L2(Rn, dx) che ammettono derivata debole a quadrato integrabile e

Piφ = −i~w-∂iφ .

Vogliamo provare che Ker(A∗i ± iI) = 0. Cio proverebbe, in virtu del teorema 5.3, che A∗i eessenzialmente autoaggiunto, ossia Pi e autoaggiunto.Proveremo che, se f ∈ L2(Rn, dx) soddisfa

i(~w-∂if ± f) = 0 , (5.18)

allora f(x) = e±x/~g(x) dove g e costante lungo xi. Quindi, affinche f ∈ L2(Rn, dx), deve essereg = 0 identicamente, da cui Ker(Pi ± iI) = 0.Per dimostrare quanto voluto, notiamo che se f soddisfa (5.18) allora vale:

w-∂ie±xi/~f

= 0 , (5.19)

Ci riduciamo quindi a provare che vale il seguente fatto.

Lemma. Se h : Rn → C e localmente integrabile e soddisfa

w-∂ih = 0 , (5.20)

allora h coincide quasi ovunque con una funzione costante nella variabile xi.

Prova del lemma. Per fissare le idee supporremo n = 2 e i = 1 ed indicheremo con (x, y) lecoordinate di R2. Il caso di Rn e una generalizzazione immediata; di fatto la dimostrazione e lastessa: basta pensare inglobate nella variabile y le coordinate diverse da xi.Assumiamo dunque che h localmente integrabile soddisfi la condizione (5.20), che scriveremoesplicitamente: ∫

R2h(x, y)

∂xg(x, y)dx⊗ dy = 0 , per ogni g ∈ D(R) . (5.21)

Sia f ∈ D(R2) e scegliamo a > 0 sufficientemente grande in modo che valga suppf ⊂ [−a, a] ×[−a, a]. Definiamo χ ∈ D(R) per cui suppχ = [−a, a] e

∫R χ(x)dx = 1. Allora esiste una funzione

g ∈ D(R2) tale che∂

∂xg(x, y) = f(x, y)− χ(x)

∫Rf(u, y)du .

Infatti basta considerare:

g(x, y) :=∫ x

−∞f(u, y)du−

∫ x

−∞χ(u)du

∫Rf(u, y)du . (5.22)

Questa funzione e C∞ per costruzione, la sua derivata in x coincide con

f(x, y)− χ(x)∫

Rf(u, y)du .

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Inoltre il supporto di g e limitato: se |y| > a, f(u, y) = 0 qualunque sia u per cui g(x, y) = 0qualunque sia x. Se x < −a si annullano il primo integrale in (5.22) ed anche il secondo vistoche χ ha supporto in [−a, a]. Viceversa, se x > a vale:

g(x, y) :=∫ +∞

−∞f(u, y)du− 1

∫Rf(u, y)du = 0 ,

dove abbiamo tenuto conto delle condizioni suppχ = [−a, a]∫R χ(x)dx = 1. In definitiva g si

annulla fuori da [−a, a]× [−a, a]. Inserendo g in (5.21) ed usando il teorema di Fubini-Tonelli,troviamo: ∫

R2h(x, y)f(x, y) dx⊗ dy −

∫R2

∫Rh(x, y)χ(x)dx

f(u, y) du⊗ dy = 0 .

Cambiando nome alle variabili:∫R2

§h(x, y)−

∫Rh(u, y)χ(u)du

ªf(x, y) dx⊗ dy = 0 , (5.23)

essendo f una funzione qualsiasi di D(R2). Si osservi che la funzione

(x, y) 7→ k(y) :=∫

Rh(u, y)χ(u)du

e localmente integrabile su R2, perche

(x, y, u) 7→ f(x, y)h(u, y)χ(u)

e integrabile su R3 per ogni f ∈ D(R2) (basta notare che |f(x, y)| ≤ |f1(x)||f2(y)| per f1 e f2

opportune in D(R)). La (5.23), valida per ogni f ∈ D(R2), implica immediatamente che

h(x, y)−∫

Rh(u, y)χ(u)du = 0

quasi ovunque su R2 per il lemma di Du Bois-Reymond (vedi (1) in note dopo definizione 5.8).In altre parole:

h(x, y) = k(y)

quasi ovunque su R2. 2

Abbiamo conseguentemente provato che Pi e autoaggiunto e che Ai e essenzialmente autoag-giunto e il suo aggiunto (che coincide con la chiusura per (d) do proposizione 5.2) e Pi stesso.Dato che D(Rn) ⊂ S(Rn), con la stessa procedura usata sopra, abbiamo che, che se φ ∈ D(A′∗i )allora φ ammette derivata generalizzata e vale:

A′∗iφ = −i~ w− ∂

∂xiφ .

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Usando la stesa procedura seguita sopra, si prova immediatamente che A′i e essenzialmente au-toaggiunto. Essendo Ai ⊂ A′i ed essendo anche Ai essenzialmente autoaggiunto, deve alloravalere che A′∗∗ = A′ = A∗∗ = A = Pi per (d) di proposizione 5.2. 2

Esiste un altro modo per introdurre l’operatore Pi.Consideriamo la trasformata di Fourier-Plancherel F : L2(Rn, dx) → L2(Rn, dk) vista nella se-zione 3.6. Useremo le stesse notazioni usate in tale sezione. Definiamo nello spazio L2(Rn, dk)l’analogo dell’operatore Xi introdotto sopra, che pero indicheremo con Ki dato che le coor-dinate di Rn vengono indicate con (k1, . . . , kn) nello spazio “di arrivo” della trasformata diFourier-Plancherel. Dato che F una trasformazione unitaria, l’operatore F−1KiF sara autoag-giunto se definito sul dominio F−1D(Ki).

Proposizione 5.6. Se Ki e l’operatore posizione rispetto alla coordinata i-esima nello spaziodi arrivo della trasformata di Fourier-Plancherel F : L2(Rn, dx)→ L2(Rn, dk), vale:

Pi = ~ F−1KiF .

Prova. Per provare cio e sufficiente mostrare che i due operatori coincidono su un dominio in cuisono essenzialmente autoaggiunti. Consideriamo lo spazio S(Rn). Come sappiamo dalla sezione3.6, la trasformata di Fourier-Plancherel si riduce alla trasformata di Fourier su tale spazio e vale:F(S(Rn)) = S(Rn). Inoltre, direttamente dalle proprieta della trasformata di Fourier abbiamoche, se g ∈ S(Rn) e

f(x) =1

(2π)n/2

∫Rneik·x g(k) dk

allora−i~ ∂

∂xif(x) =

1(2π)n/2

∫Rneik·x ~kg(k) dk .

In altre parole abbiamo ottenuto che

Pi S(Rn)= ~ F−1Ki S(Rn) F

Notiamo che Ki e essenzialmente autoaggiunto su S(Rn) per la proposizione 5.4 per cui lo e anche~ F−1Ki S(Rn) F su S(Rn) essendo F unitaria. In effetti tale operatore coincide con l’operatoreA′i introdotto nella proposizione 5.5. Dato che anche Pi S(Rn) e essenzialmente autoaggiunto eche le estensioni autoaggiunte di operatori essenzialmente autoaggiunti sono uniche e coincidonocon la chiusura dell’operatore, concludiamo che

Pi = ~ F−1Ki S(Rn) F = ~ F−1Ki S(Rn)F = ~ F−1KiF .

Questo conclude la dimostrazione 2.

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5.4 Criteri di esistenza ed unicita per le estensioni autoaggiunte.

Per concludere il capitolo presentiamo ancora alcuni utili criteri per stabilire se un operatoreammette estensioni autoaggiunte.

5.4.1 La trasformata di Cayley e gli indici di difetto.

Lo strumento tecnico centrale per dimostrare questi criteri e la cosiddetta trasformata di Cay-ley che introduciamo nel seguito. Prima estendiamo il concetto di isometria agli operatori condominio piu piccolo di tutto lo spazio di Hilbert.

Definizione 5.10. Un operatore U nello spazio di Hilbert H, con dominio dato dal sottospazioD(U), e detto isometria, se vale

(Ux|Uy) = (x|y) , per ogni coppia x, y ∈ D(U).

Note(1) E chiaro che se D(U) = H la definizione di isometria data sopra individua gli operatoriisometrici nel senso della definizione 3.9.(2) Per l’esercizio (1) in esercizi 3.2, la definizione di isometria data sopra equivale a richiedereche U soddisfi ||Ux|| = ||x||, per ogni x ∈ D(U).

La trasformazione:t 7→ t− i

t+ i

definisce una corrispondenza biunivoca tra la retta reale R ed il cerchio di raggio 1, centratonell’origine, nel piano complesso C, escluso il punto 1. Esiste una generalizzazione di tale corri-spondenza che associa operatori isometrici ad operatori simmetrici. Questa corrispondenza, dicui studieremo solo alcune proprieta, e la trasformata di Cayley.

Teorema 5.4. Sia H uno spazio di Hilbert.(a) Se A e un operatore simmetrico in H, l’operatore

V := (A− iI)(A+ iI)−1 , (5.24)

detto trasformata di Cayley dell’operatore A, definisce un’isometria suriettiva dallo spazioRan(A+ iI) allo spazio Ran(A− iI).(b) Se vale (5.24) allora valgono i seguenti fatti:

(i) D(A) = Ran(I − V );(ii) I − V e iniettivo e, su D(A) = Ran(I − V ), A si ricostruisce come:

A := i(I + V )(I − V )−1 . (5.25)

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(c) A operatore simmetrico in H e autoaggiunto se e solo se la sua trasformata di Cayley V eun operatore unitario su H.(d) Sia V operatore unitario su H. Se I − V e iniettivo, V e la trasformata di Cayley di unoperatore simmetrico in H.

Prova. (a) Per computo diretto, usando la simmetria di A e le proprieta di (anti-)linearita delprodotto scalare, si verifica subito che, se f ∈ D(A):

||(A± iI)f ||2 = ||Af ||2 + ||f ||2 . (5.26)

Di conseguenza, se (A ± iI)f = 0, allora f = 0. Gli operatori A ± iI sono quindi iniettivi suD(A) e quindi V e ben definita dallo spazio Ran(A+ iI) allo spazio Ran(A− iA) ed e suriettivaper costruzione. Proviamo che V e anche isometrica. Da (5.26) segue che, per ogni g ∈ D(A)

||(A− iI)g|| = ||(A+ iI)g|| .

Se poniamo g = (A+ iI)−1f , per f ∈ Ran(A+ iI), troviamo immediatamente:

||(A− iI)(A+ iI)f || = ||f || ,

per cui V definisce un’isometria suriettiva dallo spazio Ran(A+ iI) allo spazio Ran(A− iA).(b) Per definizione, D(V ) e costituito dai vettori g = (A + iI)f per f ∈ D(A). Applicando Va g troviamo V g = (A − iI)f . Aggiungendo e togliendo g = (A + iI)f membro a membro, siottengono le relazioni:

(I + V )g = 2Af , (5.27)(I − V )g = 2if . (5.28)

(5.28) mostra che (I − V ) e iniettiva in quanto, se (I − V )g = 0 allora f = 0 e quindi g =(A+ iI)f = 0. Possiamo allora scrivere, se f ∈ D(A):

g = 2i(I − V )−1f .

Inoltre Ran(I − V ) = D(A). Applicando (I + V ) ad ambo membri ed usando (5.27) otteniamo:

Af = i(I + V )(I − V )−1f

per ogni f ∈ D(A).(c) Supponiamo che A = A∗. Per il teorema 5.2, deve accadere che Ran(A+iI) = Ran(A−iI) =H. Allora, per il teorema 5.4, V e isometrica su Ran(A + iI) = H ed e suriettiva, dato che lasua immagine e Ran(A− iI) = H. Quindi V e unitaria.Supponiamo ora che V sia un operatore unitario su H. Allora il suo dominio e la sua immaginedevono coincidere con H, ossia deve essere Ran(A+ iI) = Ran(A− iI) = H. Questo equivale a

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dire che A = A∗ per il teorema 5.2.(d) Per ipotesi, c’e una corrispondenza biettiva z 7→ x, tra D(V ) = H e Ran(I − V ), data da

x := z − V z .

Definiamo l’operatore S : Ran(I − V )→ H, dato da:

Sx := i(z + V z) , se x = z − V z. (5.29)

Se x, y ∈ D(S) = Ran(I − V ), allora x = z − V z e y = u− V u per qualche coppia z, u ∈ D(V ).Dato che V e un’isometria, vale che:

(Sx|y) = i(z + V z|u− V u) = i(V z|u)− i(z|V u) = (z − V z|iu+ iV u) = (x|Sy) ,

e quindi S e hermitiano. Per provare che e anche simmetrico, notiamo che D(S) = Ran(I − V )e denso. Infatti [Ran(I − V )]⊥ = Ker(I − V ∗). Se non fosse Ker(I − V ∗) = 0, ci sarebbeu ∈ H, non nullo, tale che V ∗u = u e allora, applicando V ad ambo membri, u = V u. Questo eimpossibile perche I − V e iniettivo per ipotesi.Per concludere, proviamo che V e la trasformata di Cayley di S. La (5.29) puo essere riscrittanella forma

2iV z = Sx− ix , 2iz = Sx+ ix , se z ∈ H.

Allora: V (Sx + ix) = Sx − ix per x ∈ D(S) e H = D(V ) = Ran(S + iI). Ma allora V e latrasformata di Cayley di S perche vale: V (S + iI) = S − iI e quindi:

V = (S − iI)(S + iI)−1 .

Questo conclude la dimostrazione del teorema. 2

Nota. Dall’enunciato e dalla dimostrazione del teorema risulta che se A e simmetrico alloraKer(A± iI) = 0. In generale pero non accade anche che Ker(A∗ ± iI) = 0! Quest’ultimae una condizione molto piu forte che equivale alla essenziale autoaggiunzione di A (se A e sim-metrico) per il teorema 5.3.

Passiamo alle conseguenze del teorema 5.4 nello studio dell’esistenza di estensioni autoaggiuntedi un operatore simmetrico. Il primo dei teoremi a riguardo e il seguente, che introduce i cosid-detti indici di difetto.

Teorema 5.5. Sia A un operatore simmetrico sullo spazio di Hilbert H. Definiti gli indici didifetto:

d±(A) := dimKer(A∗ ± iI) ,

vale quanto segue:(a) A ammette estensioni autoaggiunte se e solo se d+(A) = d−(A);(b) Se d+(A) = d−(A), esiste una corrispondenza biunivoca tra estensioni autoaggiunte di A ed

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operatori isometrici suriettivi da Ker(A∗ − iI) a Ker(A∗ + iI).(A ammette tante estensioni autoaggiunte quanti sono gli operatori isometrici suriettivi suddettie, in particolare, A ammette piu di una estensione autoaggiunta se d+(A) = d−(A) > 0.)

Nota. Gli indici di difetto possono definirsi equivalentemente come:

d±(A) := dim [Ran(A∓ iI)]⊥ ,

dato che Ker(A∗ ± iI) = [Ran(A∓ iI)]⊥.

Prova del teorema 5.5. Consideriamo la trasformata di Cayley V di A. Supponiamo che Aammetta un’estensione autoaggiunta B. Sia U : H → H la trasformata di Cayley di B. Eimmediato provare che U e un’estensione di V usando (5.24) e tenendo conto che (B + iI)−1

estende (A + iI)−1 e B − iI estende A − iI. Di conseguenza, U trasforma Ran(A + iI) inRan(A− iI). Essendo U unitario, si ha che y ⊥ Ran(A+ iI) se e solo se Uy ⊥ U(Ran(A+ iI)).In altre parole U([Ran(A + iI)]⊥) = [Ran(A − iI)]⊥. Per (d) di proposizione 3.6, questoequivale a dire U(Ker(A∗ + iI)) = Ker(A∗ − iI). Dato che U e un’isometria, deve allora esseredimKer(A∗ + iI) = dimKer(A∗ − iI) ossia d+(A) = d−(A).Mostriamo che, viceversa, se valed+ = d−, allora A ammette estensioni autoaggiunte e queste nonsono uniche se d+(A) = d−(A) > 0. Sia V la trasformata di Cayley di A. Dato che V e limitata,usando gli esercizi svolti in (3) e (4) in esercizi 3.1, possiamo estendere V , in modo unico, adun operatore isometrico da U : Ran(A+ iI) → Ran(A− iI). Possiamo fare la stessa cosa perV −1, estendendola, in modo unico, ad un operatore isometrico da Ran(A− iI) a Ran(A+ iI).E chiaro che, per continuita, tale operatore deve essere U−1 : Ran(A− iI) → Ran(A+ iI).Ricordiamo che Ran(A± iI)

⊥= [Ran(A± iI)]⊥ = Ker(A∗ ∓ iI).

Nell’ipotesi di d+(A) = d−(A), possiamo definire un operatore unitario U0 : Ker(A + iI) →Ker(A− iI). Valendo le decomposizioni ortogonali di sottospazi chiusi

H = Ran(A+ iI)⊕Ker(A∗ − iI) = Ran(A− iI)⊕Ker(A∗ + iI) ,

l’operatore

W : (x, y) := U ⊕ U0 :7→ (Ux,U0y) , con x ∈ Ran(A+ iI) e y ∈ Ker(A∗ − iI) ,

e un operatore unitario su H. Inoltre I−W e iniettivo. Infatti, Ker(I−W ) consiste nelle coppie(x, y) 6= (0, 0) con Ux = x e U0y = y: la prima equazione ammette solo la soluzione x = 0 percheU e un’isometria e la seconda equazione implica che y ∈ Ker(A∗+iI)∩Ker(A∗−iI) che producesubito y = 0. Possiamo allora applicare (d) del teorema 5.4: W e la trasformata di Cayley diun operatore B simmetrico, che risulta essere autoaggiunto per (c) dello stesso teorema. Datoche W estende U , B e un’estensione autoaggiunta di A. La scelta dell’operatore unitario U0

puo essere fatta in piu modi se d+(A) = d−(A) > 0, tale scelta definisce diverse estensioniautoaggiunte di A.Mostriamo ora che la corrispondenza tra le estensioni autoaggiunte di A e gli operatori isometrici

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suriettivi U0 e biunivoca. I punti (a) e (b) del teorema 5.4 implicano immediatamente che,due operatori simmetrici sono diversi se e solo se le loro trasformate di Cayley sono diverse.Consideriamo allora le estensioni autoaggiunte dell’operatore A. Ogni estensione autoaggiunta,B, individua una trasformata di Cayley W unitaria che estende l’operatore U (definito sopra)in un operatore unitario su H. Dato che

U : Ran(A+ iI)→ Ran(A− iI)

e isometrico suriettivo, che valgono le decomposizioni

H = Ran(A+ iI)⊕Ker(A∗ − iI) = Ran(A− iI)⊕Ker(A∗ + iI) ,

e che infine W estende U , cio puo accadere solo se W determina un isometria suriettivaU0 : Ker(A∗ − iI) → Ker(A∗ + iI). Due estensioni autoaggiunte B,B′ distinte devono indivi-duare due operatori U0, U

′0 distinti, altrimenti le trasformate di Cayley W,W ′ dei due operatori

coinciderebbero e quindi gli operatori coinciderebbero a loro volta. Abbiamo ottenuto che l’ap-plicazione che manda l’estensione autoaggiunta di A, B nell’associata isometria suriettiva U0 einiettiva. Questa applicazione e anche suriettiva, dato che, come visto sopra, la scelta dell’iso-metria suriettiva U0 determina un’estensione autoaggiunta di A: l’unica che ha trasformata diCayley data da W := U ⊕ U0. 2

Una prima importante conseguenza del teorema 5.5 e la seguente.

Teorema 5.6. Un operatore simmetrico A sullo spazio di Hilbert H e essenzialmente autoag-giunto se e solo se ammette un’unica estensione autoaggiunta.

Prova. Se A e essenzialmente autoaggiunto allora ammette un’unica estensione autoaggiuntacome noto da (d) di proposizione 5.2. Per il teorema 5.5, se A e simmetrico ammette estensio-ni autoaggiunte solo se d+ = d−. In particolare, se ammette un’unica estensione autoaggiuntadeve essere d+ = d− = 0. Ma allora, per (b) del teorema 5.3, A e essenzialmente autoaggiunto. 2

5.4.2 Criteri di Von Neumann e di Nelson.

Un secondo teorema che enunceremo e dimostreremo ora e in realta un corollario del teorema5.4. Tale teorema e dovuto a von Neumann. Abbiamo bisogno di due definizioni preliminari.

Definizione 5.10. Siano X e X′ spazi vettoriali sul campo complesso dotati di prodotto scalarehermitiano ( | )V e ( | )V ′ rispettivamente. Una funzione V : X→ X e detta operatore anti-unitario se soddisfa le seguenti proprieta:(a) antilinearita : V (αx+ βy) = αV x+ βV y per ogni x, y ∈ X, α, β ∈ C;(b) antiisometricita: (V x|V y)X′ = (x|y)X per ogni x, y ∈ X;

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Nota. Notare la coniugazione complessa a secondo membro in (b). Si osservi che vale ||V z||X′ =||z||X per ogni z ∈ X.

Definizione 5.11. Se (H, ( | )) e uno spazio di Hilbert, un operatore antiunitario C : H → He detto coniugazione oppure equivalentemente operatore di coniugazione se e involutivo,cioe se soddisfa: CC = I .

Nota. Una coniugazione e definita su uno spazio vettoriale complesso con prodotto scalare her-mitiano e, in generale, non e un’involuzione nel senso della definizione 3.8, che e invece definitasu un’algebra.

Teorema 5.7 (von Neumann). Sia A e un operatore simmetrico nello spazio di Hilbert H.Se esiste una coniugazione C : H→ H tale che valga C(D(A)) ⊂ D(A) ed anche

AC = CA .

allora A ammette estensioni autoaggiunte.

Prova. Mostriamo prima di tutto che C(D(A∗)) ⊂ D(A∗) e che vale anche A∗C = CA∗. Infatti,dalla definizione di aggiunto (A∗f |Cg) = (f |ACg) per ogni f ∈ D(A∗) e g ∈ D(A). Usando ilfatto che C e antiunitaria: (CCg|CA∗f) = (CACg|Cf). Dato che C commuta con A e CC = I,si ha ancora (g|CA∗f) = (Ag|Cf)), ossia (CA∗f |g) = (Cf |Ag) per ogni f ∈ D(A∗) e g ∈ D(A).Dalla definizione di aggiunto, questo significa che Cf ∈ D(A∗) se f ∈ D(A∗) e CA∗f = A∗Cf .Passiamo a provare l’esistenza delle estensioni autoaggiunte facendo uso del teorema 5.5. Inbase a quanto appena provato, se A∗f = if , applicando C ad ambo membri ed usando il fattoche C sia anti lineare e commuti con A∗, troviamo: A∗Cf = −iCf . Per cui C e un’applica-zione (iniettiva perche conserva la norma) da Ker(A∗ − iI) a Ker(A∗ + iI). Tale applicazionee anche suriettiva in quanto, se vale A∗g = −ig, definendo f := Cg troviamo che deve essereA∗f = +if e, riapplicando C a f (tenendo conto di CC = I), troviamo Cf = g. Quindi C eun’applicazione biettiva da Ker(A∗ − iI) a Ker(A∗ + iI). Il fatto che sia anche antiisometrica,e quindi preservi l’ortonormalita di vettori, comporta subito che trasformi biettivamente basihilbertiane in basi hilbertiane, in particolare quindi, conservandone la cardinalita. Allora deveessere d+(A) = d−(A). Per il teorema 5.4 vale la tesi. 2

Introduciamo ora l’utile criterio di Nelson. Sono necessarie alcune definizioni.

Definizione 5.11. Sia A operatore nello spazio di Hilbert H.(a) Un vettore ψ ∈ D(A) tale che, Anψ ∈ D(A) per ogni n ∈ N (A0 := I), e detto vettore C∞

per A ed il sottospazio vettoriale di H dei vettori C∞ per A si indica con C∞(A).(b) ψ ∈ C∞(A) e detto vettore analitico per A, se vale:

+∞∑n=0

||Anψ||n!

tn < +∞ ,

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per qualche t > 0;(d) ψ ∈ C∞(A) e detto vettore di unicita per A, se l’operatore A Dψ e essenzialmenteautoaggiunto come operatore nello spazio di Hilbert Hψ := Dψ, dove Dψ e il sottospazio di Hdelle combinazioni lineari (finite) vettori Anψ con n = 0, 1, 2 . . . .

Nota. Se ψ e un vettore analitico per A, la serie

+∞∑n=0

||Anψ||n!

tn ,

converge per qualche t > 0. Allora, per i noti teoremi di convergenza sulle serie di potenze,convergera assolutamente ed uniformemente

+∞∑n=0

||Anψ||n!

zn ,

per ogni z ∈ C con |z| < t. Ulteriormente convergeranno, per |z| < t, anche le serie delle derivatedi ogni ordine, cioe le serie:

+∞∑n=p

||An+pψ||n!

zn! ,

per ogni fissato p = 1, 2, 3, . . .. Quest’ultimo fatto ha un’importante conseguenza, di verificaimmediata usando ripetutamente la disuguaglianza triangolare e la proprieta di omogeneitadella norma:se ψ e un vettore analitico per A operatore nello spazio di Hilbert H, allora tutti vettori in Dψ

sono vettori analitici per A. Piu precisamente, se la serie

+∞∑n=0

||Anψ||n!

tn ,

converge per t > 0 e φ ∈ Dψ, allora la serie

+∞∑n=0

||Anφ||n!

sn ,

converge per ogni s ∈ C con |s| < t.

Vale la seguente proposizione nota anche come Lemma di Nussbaum.

Proposizione 5.7 (Nussbaum). Sia A operatore simmetrico nello spazio di Hilbert H. SeD(A) contiene un insieme di vettori di unicita le cui combinazioni lineari formano un insiemedenso in H, allora A e essenzialmente autoaggiunto.

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Prova. E sufficiente provare che gli spazi Ran(A ± iI) sono densi, per il teorema 5.3. Nelleipotesi fatte, dati φ ∈ H e ε > 0, ci sara una combinazione lineare finita di vettori di unicitaψi con ||φ −∑N

i=1 αiψi|| < ε/2. Dato che ψi ∈ Hψ e A Dψ e essenzialmente autoaggiunto, per

il teorema 5.3, esiste ηi ∈ Hψ con ||(A Dψ +iI)ηi − ψi|| ≤ ε/2∑N

j=1 |αj |−1

. Allora, postoη :=

∑Ni=1 αiηi e ψ :=

∑Ni=1 αiψi, vale η ∈ D(A) e

||(A+ iI)η − φ|| ≤ ||(A Dψ +iI)η − ψ||+ ||φ− ψ|| < ε .

Dato che ε > 0 e arbitrario, Ran(A+ iI) e denso. La prova per Ran(A− iI) e analoga. 2

La proposizione precedente permette di dimostrare il teorema di Nelson la cui dimostrazionerichiede alcuni risultati di teoria spettrale per operatori autoaggiunti non limitati che vedremonel capitolo 8, ma che sono indipendenti dal teorema di Nelson stesso.

Teorema 5.8 (Nelson). Sia A un operatore simmetrico nello spazio di Hilbert H. Se D(A)contiene un insieme di vettori analitici per A le cui combinazioni lineari finite sono dense in H,allora A e essenzialmente autoaggiunto.

Prova. Per la proposizione 5.7 e sufficiente provare che, nelle ipotesi fatte, ogni vettore analiticoψ0 per A e anche vettore di unicita per A. Notiamo che A Dψ0

e sicuramente un operatoresimmetrico in Hψ0 := Dψ0 , dato che e hermitiano e il suo dominio e denso in Hψ0 . Supponiamoche A Dψ0

ammetta un’estensione autoaggiunta B in Hψ0 . (Nota: stiamo parlando di estensioniautoaggiunte di A Dψ0

nello spazio di Hilbert Hψ0 , non in H!) Sia µψ la misura spettrale di

ψ ∈ Dψ0 rispetto a B (cfr (c) in teorema 8.4, cap 8) definita come µψ(E) := (ψ|P (B)E ψ) per

ogni insieme di Borel E ⊂ σ(B) ⊂ R, dove P (B)E e la misura a valori di proiezione associata

all’operatore autoaggiunto B. Dato che ψ0 e analitico,

+∞∑n=0

||Anψ0||n!

tn0 < +∞ ,

per qualche t0 > 0. Quindi, per quanto detto nella nota dopo la definizione 5.11.

+∞∑n=0

||Anψ||n!

tn < +∞ ,

per ogni t < t0 con t ≥ 0. Se z ∈ C e 0 < |z| < t0 allora:

+∞∑n=0

∫σ(B)

∣∣∣∣znn!xn∣∣∣∣ dµψ(x) =

+∞∑n=0

∣∣∣∣znn!

∣∣∣∣ ∫σ(B)

1·|xn|dµψ(x) ≤+∞∑n=0

tn0n!

∫σ(B)

dµψ(x)1/2∫

σ(B)x2ndµψ(x)

1/2

=+∞∑n=0

tn0n!||ψ|| ||Bnψ|| = ||ψ||

+∞∑n=0

tn0n!||Anψ|| < +∞ .

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Il teorema di Fubini-Tonelli implica che, se 0 < |z| < t0, possiamo scambiare il simbolo di seriecon quello di integrale in ∫

σ(B)

+∞∑n=0

zn

n!xndµψ(x) .

Allora, se 0 ≤ |z| < t0 e se ψ appartiene al dominio di ezB (cfr definizione 9.2)

(ψ|ezBψ) =∫σ(B)

ezxdµψ(x) =∫σ(B)

+∞∑n=0

zn

n!xndµψ(x) =

+∞∑n=0

zn

n!

∫σ(B)

xndµψ(x) =+∞∑n=0

zn

n!(ψ|Anψ).

In particolare cio accade sicuramente se z = it (con |t| < t0) dato che il dominio di eitB etuttolo spazio di Hilbert:

(ψ|eitBψ) =+∞∑n=0

(it)n

n!(ψ|Anψ) . (5.30)

(Si osservi che la serie di potenze a secondo membro edi potenze e pertanto essa converge inun disco aperto di raggio t0, cio definisce un prolungamento analitico della funzione a primomembro per it rimpiazzato da z in tale disco anche se ψ non appartiene al dominio di ezB.)Consideriamo un’altra estensione autoaggiunta di ADψ0

, B′. Ripetendo i ragionamenti di sopratroviamo che, per |t| < t0:

(ψ|eitB′ψ) =+∞∑n=0

(it)n

n!(ψ|Anψ) . (5.31)

(5.30) e (5.31) implicano che, per ogni |t| < t0 e per ogni ψ ∈ Dψ0 :

(ψ|(eitB′ − eitB′)ψ) = 0 .

Dato che Dψ0 e uno spazio denso in Hψ0 , concludiamo che (vedi l’esercizio svolto (2) in esercizi3.2), per ogni |t| < t0:

eitB = eitB′.

Calcolando la derivata in senso forte per t = 0, per il teorema di Stone (cfr teorema 8.x cap 8),risulta che (si tenga conto del fatto che t0 > 0 per ipotesi):

B = B′ .

Concludiamo che tutte le eventuali estensioni autoaggiunte di A Dψ coincidono. Mostriamo cheesiste almeno un’estensione autoaggiunta. Definiamo C : Dψ0 → Hψ0 come:

C :N∑n=0

anAnψ0 7→

N∑n=0

anAnψ0 .

Si prova facilmente che C si estende in modo unico ad una coniugazione su Hψ0 , che indichere-mo ancora con C. Inoltre, per costruzione CA Dψ0

= A Dψ0C, per cui A Dψ0

ha estensioni

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autoaggiunte per il teorema 5.7.In conclusione, per ogni vettore analitico ψ0, A Dψ0

deve essere essenzialmente autoaggiunto inHψ0 per il teorema 5.6, perche e simmetrico ed ammette esattamente un’estensione autoaggiun-ta. Abbiamo in questo modo provato che ogni vettore analitico ψ0 e anche vettore di unicitaper A. Questo conclude la dimostrazione. 2

Esempi 5.1.(1) Un esempio tipico per applicare il criterio di von Neumann, e il caso dell’operatore dirilevanza fondamentale in Meccanica Quantistica: H := −∆ + V dove ∆ e il solito operatorelaplaciano su Rn:

∆ :=n∑i=1

∂2

∂x2i

,

e V e una funzione localmente integrabile a valor reali.Se definiamo il dominio di H come D(Rn), risulta subito che H e un operatore simmetri-co su L2(Rn, dx). Definendo C come l’operatore antiunitario che associa ad ogni funzionef ∈ L2(Rn, dx) la funzione che punto per punto assume i valori complessi coniugati di f , echiaro che vale CH = HC, per cui H ammette estensioni autoaggiunte.Precisando meglio la natura di V si riesce a provare che H e essenzialmente autoaggiunto.(2) L’operatore Ai := −i ∂

∂xidefinito su D(Rn) (vedi proposizione 5.5), come sappiamo e es-

senzialmente autoaggiunto, quindi ammette estensioni autoaggiunte. Esiste una coniugazioneC che commuti con Ai? (Si noti che potrebbe anche non esistere). La coniugazione usata in(1) non commuta con Ai malgrado ammetta il suo dominio come spazio invariante. Un’altraconiugazione e C : L2(Rn, dx)→ L2(Rn, dx) definita da: (Cf)(x) := f(−x) (quasi ovunque) perogni f ∈ L2(Rn, dx). E facile verificare che C(D(Rn)) ⊂ D(Rn) e che CAi = AiC.(3) Si consideri lo spazio di Hilbert H := L2([0, 1], dx) dove dx e la solita misura di Lebesgue,e i consideri A := i ddx con dominio dato dallo spazio delle funzioni C1([0, 1]) (cioe funzioni diclasse C1((0, 1)) che ammettono limiti finiti per la derivata prima in 0 e 1), che si annullano in 0e in 1. Si verifica immediatamente che l’operatore e hermitiano, usando l’integrazione per partie tenendo conto che le funzioni si annullano agli estremi di integrazione annullando i terminidovuti al bordo. Inoltre si puo verificare che il dominio di A e effettivamente denso, per cuil’operatore A e simmetrico. Mostriamo che A non e essenzialmente autoaggiunto. Infatti, lacondizione che g ∈ D(A∗) soddisfi A∗g = ig ovvero A∗g = −ig si scrive rispettivamente:∫ 1

0g(x)

[f ′(x)± if(x)

]dx = 0

per ogni f ∈ D(A). Usando l’integrazione per parti, si verifica immediatamente che, le funzionidi L2([0, 1], dx) definite da g(x) = ex e g(x) := e−x, soddisfano l’identita di sopra per ogni f diclasse C1([0, 1]) che si annulli in 0 e in 1. Queste due ultime condizioni sono fondamentali perverificare l’identita di sopra integrando per parti, in quanto le due funzioni esponenziali non siannullano in 0 e 1. In virtu del teorema 5.3, A non e essenzialmente autoaggiunto.Tuttavia esistono estensioni autoaggiunte a causa del teorema 5.6. Infatti la trasformazione

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antilineare C : L2([0, 1], dx) → L2([0, 1], dx) definita da (Cf)(x) := f(1− x) manda funzioniC1([0, 1]) che si annullano in 0 e 1 in funzioni C1([0, 1]) che si annullano in 0 e 1 ed inoltre

Cid

dxf

(x) = −i d

d(1− x)f(1− x) = i

d

dxf(1− x) = i

d

dx(Cf)(x) .

per cui CA = AC. Tali estensioni devono essere in numero maggiore di 1, altrimenti A sarebbeessenzialmente autoaggiunto per il teorema 5.5, cosa che sappiamo essere falsa.Si osservi che i risultati ottenuti non cambierebbero considerando differenti domini analoghi aquello usato sopra, in particolare considerando come dominio quello delle funzioni C∞([0, 1]) chesi annullano in 0 e 1, oppure quello delle funzioni C∞ su [0, 1] a supporto compatto contenutoin (0, 1).(4) Si consideri lo spazio di Hilbert H := L2([0, 1], dx) dove dx e la solita misura di Lebesgue, esi consideri A := −i ddx con dominio dato dallo spazio delle funzioni C∞([0, 1]) periodiche e conderivate di ogni ordine periodiche, di periodo [0, 1]. L’integrazione per parti prova immediata-mente che A e hermitiano. Le funzioni esponenziali en(x) := ei2πnx, per x ∈ [0, 1], con n ∈ Zformano una base hilbertiana di H come segue da (1) in esempi 3.2. Queste funzioni sono tuttecontenute in D(A), per cui, essendo lo spazio generato da esse denso in H, D(A) e denso in H equindi A e simmetrico.Ogni f ∈ H e in corrispondenza biunivoca con la successione dei coefficienti fnn∈Z ⊂ l2(Z)dello sviluppo

f =∑n∈Z

fnen .

Abbiamo in tal modo definito un operatore unitario U : H → `2(Z) tale che U : f 7→ fnn∈Z(vedi teorema 3.6). Dalla teoria elementare delle serie di Fourier si verifica facilmente che:UD(A)U−1 =: D(A′) e lo spazio delle successioni fn di l2(Z) tali che, per ogni N ∈ N,nN |fn| → 0 per n→ +∞. Inoltre, se A′ := UAU−1 e fnn∈Z ∈ D(A′),

A′ : fnn∈Z 7→ 2πnfnn∈Z .

Ragionando come per l’operatore Xi nella prova della proposizione 5.4, si verifica subito che

D(A′∗) =

gnn∈Z ⊂ l2(Z)

∣∣∣∣∣∣ ∑n∈Z|2πngn|2 < +∞

.

e, su questo dominio,A′∗ : fn 7→ 2πnfn .

Procedendo come nella prova della proposizione 5.4, si verifica subito che l’aggiunto di questooperatore coincide con l’operatore stesso. Quindi A′∗ e autoaggiunto e A′ e essenzialmenteautoaggiunto. Dato che U e unitaria, concludiamo (lo si provi in dettaglio) che anche A eessenzialmente autoaggiunto e che per la sua unica estensione autoaggiunta A, vale A = UA′U−1.(5) L’ esempio (4) puo essere trattato molto piu rapidamente con il criterio di Nelson. Il dominio

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di A contiene le funzioni en le cui combinazioni lineari sono dense in H := L2([0, 1], dx). Valeanche Aen = 2πnen, per cui

+∞∑k=0

||Aken||k!

tk =+∞∑k=0

(2πn)k

k!(t)k = e2πnt < +∞ ,

per ogni t > 0. Quindi A e essenzialmente autoaggiunto.

Esercizi 5.2.(1) Si studi l’hermiticita, la simmetria e l’essenziale autoaggiunzione in H = L2([0, 1], dx), del-l’operatore −d2/dx2, con dominio dato dalle funzioni C∞([0, 1]) e (i) periodiche oppure, (ii) chesi annullano agli estremi.

(2) Si dimostri che le estensioni autoaggiunte dell’operatore nell’esempio (3) sono parametriz-zabili da un unico parametro reale.

Suggerimento. Si studino le dimensioni di Ker(A∗ ± iI) = Ran(A∓ iI).(3) Dimostrare che l’operatore in L2(R, dx) dato da:

H := − d2

dx2+ x2 .

E essenzialmente autoaggiunto se D(H) := S(R).Suggerimento. Cercare una base hilbertiana di L2(R, dx) fatta di autovettori di H.

(4) Si consideri l’operatore di Laplace in Rn gia considerato in (1) in esempi 5.1:

∆ :=n∑i=1

∂2

∂x2i

.

Si dimostri esplicitamente che ∆ e essenzialmente autoaggiunto sullo spazio di Schwarz S(Rn)nello spazio di Hilbert L2(Rn, dx) e dunque ammette una sola estensione autoaggiunta ∆.Si provi infine che, se F : L2(Rn, dx) → L2(Rn, dk) e la trasformata di Fourier-Plancherel (vedisezione 3.6), vale:

F∆F−1f

(k) := −k2f(k) ,

dove k2 = k21 + k2

2 + . . .+ k2n, sul dominio naturale dato da:§f ∈ L2(Rn, dk)

∣∣∣∣ ∫Rnk4|f(k)|2dk < +∞

ª.

Suggerimento. L’operatore ∆ e simmetrico su S(R3), pertanto possiamo usare il teorema 5.3verificando la validita della condizione (b). Notando che lo spazio di Schwarz e invariante sottol’azione dell’operatore unitario F dato dalla trasformata di Fourier-Plancherel come provato nel-la sezione 3.6, possiamo studiare la condizione (b) del teorema 5.3 per l’operatore Ò∆ := F∆F−1.

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Tale operatore e essenzialmente autoaggiunto su S(R3) se e solo se lo e ∆ su S(R3). L’azione diÒ∆ sulle funzioni di S(Rn), si riduce alla semplice moltiplicazione per −k2 = −(k21 +k2

2 + . . .+k2n)

che definisce, come si prova subito, un operatore autoaggiunto sul dominio naturale suddetto.La condizione (b) del teorema 5.3 puo allora essere verificata facilmente per Ò∆∗ usando la stessadefinizione di aggiunto ed il fatto che S(Rn) ⊃ D(Rn). L’unicita dell’estensione autoaggiuntaper operatori essenzialmente autoaggiunti prova l’ultima parte dell’esercizio tenendo conto delfatto che F e un operatore unitario.

(5) Ricordando che D(Rn) indica lo spazio delle funzioni complesse infinitamente differenziabilia supporto compatto su Rn, in riferimento all’esercizio precedente ed indicando con ∆ l’unicaestensione autoaggiunta di ∆ : S(Rn) → L2(Rn, dx), mostrare che D(Rn) e un core per ∆. Inaltre parole ∆D(Rn) e essenzialmente autoaggiunto e ∆D(Rn) = ∆.

Suggerimento. Per provare quanto richiesto basta dimostrare che (∆ D(Rn))∗ = ∆ (per-che da cio segue che, prendendo l’aggiunto, ∆D(Rn) = ((∆ D(Rn))∗)∗ = ∆∗ = ∆). Per pro-vare l’identita detta notiamo che se ψ ∈ D((∆ D(Rn))∗) allora, per ogni ϕ ∈ D(Rn), de-ve valere: (∆ϕ|ψ) = (ϕ|ψ′), dove ψ′ = (∆ D(Rn))∗ψ ∈ L2(Rn, dx). Passando in trasfor-mata di Fourier-Plancherel si vede subito che, nelle ipotesi fatte, Fψ′ = −k2Fψ, dato cheF(D(Rn)) e denso in L2(Rn, dk). Abbiamo ottenuto che ψ ∈ D(∆) e ψ′ = ∆ψ e quindi:(∆ D(Rn))∗ ⊂ ∆. Supponiamo viceversa che ψ ∈ D(∆). In questo caso, passando in tra-sformata di Fourier-Plancherel −k2Fψ ∈ L2(Rn, dk) e, per ogni ϕ ∈ D(Rn) possiamo scrivere:(∆ϕ|ψ) = −

∫dkk2(Fϕ)Fψ = −

∫dk(Fϕ)k2Fψ = (ϕ|∆ψ). Per definizione di operatore aggiunto

abbiamo trovato che: ψ ∈ D((∆D(Rn))∗) e (∆D(Rn))∗ψ = ∆ψ. Abbiamo con cio provato chevale anche l’altra inclusione: (∆D(Rn))∗ ⊃ ∆.

(6) Ricordiamo che se A e un operatore su H, allora il commutante A′ e l’insieme degli ope-ratori di B(H) tali che BA ⊂ AB.Sia A : D(A) → H autoaggiunto. Sia T la trasformata di Cayley di A. Provare che (A′)′ ge-nerata da A coincide con l’algebra di von Neumann (T′)′ generata da T (vedi (3) in esempi3.3)

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Parte II

Il formalismo della MeccanicaQuantistica e la Teoria Spettrale

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Capitolo 6

Brevi cenni di fenomenologia deisistemi quantistici e di MeccanicaOndulatoria.

Nella prossima sezione daremo qualche idea generale di che cosa si intenda per sistema quanti-stico. Le parti successive di questo capitolo possono essere tralasciati dal lettore piu matematiconon interessato alla genesi dei concetti fisici della MQ. In tali paragrafi passeremo rapidamentead enunciare in modo piuttosto sommario alcuni dei fatti sperimentali e dei modelli teorici “pro-to quantistici” che hanno infine condotto alla formulazione prima della meccanica ondulatoriae poi della MQ vera e propria. Molti dettagli fisici si possono trovare in [CCP82]. Omette-remo completamente ogni discussione su alcune importanti tappe di questo percorso storico:spettroscopia atomica, modelli atomici (Rutherford,Bohr, Bohr-Sommerfeld), esperimento diFranck-Hertz, per i quali si rimanda a testi di fisica (es. [CCP82]). Il nostro succinto sommariomettera solo a giustificare il modello di base per la teoria matematica della MQ che svilupperemopartire dalla sezione 5.5.

6.1 Generalita sui sistemi quantistici.

Usiamo qui la parola sistema fisico in senso molto generico e discorsivo. E molto difficile definiredal punto di vista fisico cosa sia un sistema quantistico. Possiamo cominciare a dire che piu disistema fisico quantistico piu opportuno parlare di sistema fisico dal comportamento quantisticofacendo questa distinzione da un punto di vista piu fenomenologico-sperimentale che teorico.All’interno della formulazione teorica della meccanica quantistica non esiste una precisa demar-cazione tra sistemi classici e sistemi quantistici, se non una demarcazione imposta del tutto “amano” come vedremo piu avanti, e tale argomento e oggi, ancora di piu che in passato, oggettodi discussione ed attivita di ricerca teorica e sperimentale.Parlando in modo del tutto generico, possiamo dire che hanno comportamento quantistico isistemi della microfisica, cioe molecole, atomi, nuclei e particelle subnucleari quando presi in-

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dividualmente. Sistemi fisici costituiti da piu copie di tali sottosistemi (per esempio cristalli )possono avere a loro volta comportamento quantistico. Sistemi macroscopici hanno comporta-mento tipicamente quantistico solo in determinate condizioni difficili da realizzare (es. conden-sazione di Bose-Einstein, L.A.S.E.R.). In modo leggermente piu preciso della rozza distinzionetra microsistemi e macrosistemi esposta sopra, possiamo dire che, generalmente parlando, quan-do un qualsiasi sistema fisico si comporta quantisticamente l’azione caratteristica del sistema,cioe il numero dalle dimensioni fisiche di Energia × Tempo (equivalentemente Quantita di Moto× Lunghezza ovvero Momento angolare) ottenuto combinando opportunamente le dimensionifisiche caratteristiche del sistema (es. massa, velocita’, dimensioni lineari ecc...) nei processiconsiderati e dell’ordine o inferiore al valore della costante di Planck

h = 6.6262 · 10−34Js.

La costante di Planck e la parola quantum che caratterizza il nome della MQ vennero introdotteper la prima volta da Planck nel 1900 nel suo lavoro sulla teoria del corpo nero per eliminareil problema dell’energia totale teoricamente infinita di un sistema fisico costituito da radiazioneelettromagnetica in equilibrio termodinamico con le pareti di una cavita tenuta ad una tempera-tura fissata. La sua ipotesi teorica, rivelatasi poi esatta, prevedeva che la radiazione in potessescambiare energia con le pareti in quantita proporzionali alle frequenza degli oscillatori atomicinelle pareti la cui costante universale di proporzionalita era la costante di Planck, tali quantitavennero chiamate in latino quanta o quanti in italiano. Tornando al criterio per discriminare isistemi quantistici da quelli classici usando la costante h, consideriamo per esempio un elettronelegato ad un nucleo di idrogeno. Un’azione caratteristica dell’elettrone si ottiene come, per esem-pio il prodotto della massa dell’elettrone (∼ 9 · 10−31Kg), per una stima della velocita intornoal nucleo (∼ 106m/s) per il valore del raggio di Bohr dell’atomo di idrogeno (∼ 5 · 10−11m).Il calcolo fornisce un’azione caratteristica dell’ordine di 4.5 · 10−35Js piu piccolo dunque dellacostante di Planck. Ci si aspetta quindi che l’elettrone nell’atomo abbia comportamento quan-tistico, come infatti accade. Si puo fare un calcolo analogo per sistemi fisici macroscopici comeper esempio un pendolo di massa di qualche grammo e lunghezza dell’ordine del centimetro cheoscilla sottoposto alla forza di gravita. Un’azione caratteristica di questo sistema puo esseredefinita come il prodotto dell’energia cinetica massima per il periodo di oscillazione. Si trova-no, per il sistema in questione valori dell’azione caratteristica di moltissimi ordini di grandezzasuperiori ad h.

Osservazione. Una delle proprieta peculiare dei sistemi quantistici e il fatto che lo spettrodei valori assumibili dalle grandezze fisiche attribuibili ad essi e generalmente diverso (almenoin alcuni casi importanti) dallo spettro dei valori delle stesse grandezze assumibili da sistemimacroscopici analoghi. In certi casi, la differenza e sorprendente perche si passa da uno spet-tro continuo di valori possibili nel caso classico, ad uno spettro discreto, nel caso quantistico.E importante pero precisare la discretezza dello spettro dei valori assumibili da una genericagrandezza fisica quantistica non e una caratteristica necessaria in MQ: esistono grandezze quan-tistiche con spettro di valori continuo anche in MQ. Questo fraintendimento e all’origine o a volteconseguenza di una delle interpretazioni piu frequenti, ma riduttiva, dell’aggettivo quantistica

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nella parola Meccanica Quantistica.

6.2 Alcune proprieta particellari delle onde elettromagnetiche.

Le onde elettromagnetiche (e quindi in particolare la luce) in particolari circostanze sperimentalirivelano comportamenti tipici di quelli di insiemi di particelle. Nella descrizione matematica ditali comportamenti classicamente anomali e coinvolta la costante di Planck. Possiamo citaredue esempi di comportamento classicamente anomalo che hanno svolto un ruolo fondamentalenello sviluppo iniziale della MQ per i corrispondenti modelli teorici proto quantistici costruitinel tentativo di darne una spiegazione: l’ effetto fotoelettrico e l’effetto Compton.

6.2.1 Effetto Fotoelettrico.

L’effetto fotoelettrico riguarda l’emissione di elettroni (corrente elettrica) da parte di metalli inseguito ad illuminazione con un’onda elettromagnetica. Tale effetto era noto dalla prima metadel secolo XIX e alcune sue caratteristiche risultavano del tutto inspiegabili alla luce della teoriaclassica dell’interazione onde elettromagentica e materia [CCP82]. In particolare era inspiegabilela presenza di un valore minimo della frequenza della luce usata per irraggiare il metallo al disotto del quale non si ha emissione elettronica. Il valore di tale soglia dipende dal metallo usato.Una volta raggiunta la soglia, l’istantaneita del processo di emissione era del tutto inspegabile.La teoria classica implica che l’emissione di elettroni ci deve essere indipendentemente dallafrequenza usata pur di aspettare un tempo sufficientemente lungo in modo da fare assorbire aglielettroni del metallo sufficiente energia da superare l’energia di legame con gli atomi.Nel 1905 A. Einstein propose un modello, per l’epoca molto ardito, che rendeva conto di tutte leproprieta anomale dell’effetto fotoelettrico1 con una precisione sperimentale notevole. SeguendoPlanck, l’ipotesi centrale di Einstein era che un onda elettromagnetica monocromatica cioe confrequenza definita, che indicheremo con ν, sarebbe in realta costituita da particelle materiali,dette quanti di luce, ciascuna dotata di energia

E = hν . (6.1)

In tale modello l’energia totale dell’onda sarebbe quindi pari alla somma delle energie dei singoliquanti di luce.Tutto cio era ed e in contrasto totale con la teoria dell’elettromagnetismo classico in cui un’on-da elettromagnetica e un sistema continuo la cui energia e legata all’ampiezza dell’onda inveceche alla frequenza. Quello che dunque accadrebbe nell’effetto fotoelettrico secondo il modellodi Einstein e che, illuminando il metallo con un onda monocromatica, ciascuno dei pacchettienergetici associati all’onda possa essere assorbito da un elettrone esterno di ogni atomo delmetallo. Piu precisamente l’ipotesi di Einstein per spiegare la fenomenologia sperimentale, era

1Einstein ricevette il Premio Nobel proprio per tale lavoro.

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che il pacchetto possa essere o assorbito completamente oppure non assorbito affatto, senza pos-sibilita di assorbimenti parziali. Se e solo se l’energia del quanto e uguale o superiore all’energiadell’elettrone di legame con l’atomo E0 (dipendente dal metallo e misurabile indipendentemen-te dall’effetto fotoelettrico), l’elettrone viene istantaneamente espulso, incamerando in energiacinetica l’eventuale energia in eccesso del quanto. La frequenza ν0 := E0/h individuerebbe cosıla soglia sulla frequenza osservata sperimentalmente. Tale ipotesi si rivelo in perfetto accordocon dati sperimentali

6.2.2 Effetto Compton.

L’effetto Compton risale al 1923. Esso riguarda la diffusione di onde elettromagnetiche di altis-sima frequenza – raggi X (> 1017Hz) e raggi γ (> 1018Hz) – da parte di materia estesa (gas,liquidi e solidi). Schematizzando al massimo l’effetto sperimentale consiste in questo. Irrag-giando la sostanza (che diremo ostacolo) con un’onda elettromagnetica piana propagante nelladirezione z e monocromatica di lunghezza d’onda λ, si osserva un’onda diffusa dall’ostacolo condiverse componenti. Una componente e diffusa in tutte le direzioni ed ha la stessa lunghezzad’onda della radiazione incidente, l’altra componente ha una lungezza d’onda leggermente supe-riore a λ, λ(θ) che dipende dall’angolo di osservazione θ. Se piu precisamente, θ e definito comel’angolo tra la direzione di propagazione dell’onda incidente z e la direzione di propagazionedell’onda diffusa oltre l’ostacolo con lunghezza d’onda λ(θ), misurando θ a partire dall’asse z,vale la relazione:

λ(θ) = λ+ f (1− cosθ) (6.2)

dove2 la costante f ha le dimensioni di una lunghezza e si ottiene dai dati sperimentali. Il suovalore e f = 0.024(±0.001) A.La teoria elettromagnetica classica era ed e assolutamente incapace di spiegare un tale fenomeno.Tuttavia come Compton dimostro, esso poteva essere spiegato assumendo le tre ipotesi seguentidel tutto incompatibili con la teoria classica ma in accordo con l’ipotesi dei quanti di luce diEinstein.(a) L’onda elettromagnetica e costituita da particelle che trasportano energia, esattamente comeaveva ipotizzato Einstein, secondo la legge (6.1).(b) Ogni quanto di luce possiede anche un’impulso

p := ~k , (6.3)

dove k e il vettore d’onda dell’onda elettromagnetica associata al quanto (vedi sotto).(c) I quanti di luce interagiscano, in un processo d’urto (in generale in regime relativistico),con gli atomi e con gli elettroni piu esterni degli atomi dell’ostacolo soddisfacendo le leggi diconservazione dell’impulso e dell’energia.

2Ricordiamo che 1 A= 10−10m

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A commento di (c), ricordiamo che il vettore vettore d’onda k associato ad un onda pianamonocromatica ha, per definizione, direzione e verso pari a quello di propagazione dell’onda emodulo dato da 2π/λ, dove λ e la lunghezza d’onda dell’onda. Equivalentemente, se ν e lafrequenza dell’onda,

|k| = 2π/λ = 2πν/c , (6.4)

dove si e usata la ben nota relazioneνλ = c , (6.5)

valida per le onde elettromagnetiche ed essendo c = 2.99792 · 108m/s e la velocita della luce.

Possiamo dare qualche dettaglio in piu per il lettore interessato. Le leggi di conservazione dell’energiae dell’impulso da usarsi in regime relativistico, cioe quando (qualcuna) delle velocita coinvolte sonodell’ordine di c, si scrivono rispettivamente, nelle ipotesi fatte:

mec2 + hν =

mec2√

1− v2/c2+ hν(θ) , (6.6)

~k =mev√

1− v2/c2+ ~k(θ) . (6.7)

A primo membro compaiono le quantita precedenti dell’urto a secondo membro quelle successive all’urto.me = 9.1096 · 10−31Kg e la massa dell’elettrone. L’elettrone e pensato in quiete prima dell’urto con ilquanto di luce. In seguito all’urto il quanto di luce viene diffuso nella direzione individuata da θ, mentrel’elettrone acquista velocita v. Il vettore d’onda precedente all’urto, k, e quindi nella direzione (genericama fissata) z mentre il vettore d’onda del quanto di luce dopo l’urto, k(θ), forma un angolo θ con k.Dalla (6.7), tenendo conto della definizione del vettore d’onda, si ricava subito

m2ec

2

1− v2/c2=h2ν2

c2+h2ν(θ)2

c2− 2

c

hν(θ)c

cos θ .

Eliminando ν tra la relazione appena ottenuta e la (6.6) si ricava immediatamente

ν(θ) = ν − hνν(θ)mec2

(1− cosθ) . (6.8)

Tenendo conto della relazione (6.1) e ν = c/λ, si ricava facilemente la (6.2) nella forma

λ(θ) = λ+h

mec(1− cosθ) (6.9)

da cui si evince che f = h/(mec) il cui valore numerico coincide proprio con quello ottenuto sperimen-talmente quando si sostituiscono i valori numerici di h, me e c. Si osservi anche, che nel limite formaleper me → +∞, la (6.9) fornisce λ(θ) → λ. Cio porta anche a spiegare la componente dell’onda diffusaisotropicamente senza variazione della lunghezza d’onda (rispetto alla lunghezza d’onda della radiazioneincidente), come dovuta a quanti di luce che interagiscono con particelle di massa molto piu grande diquella elettronica (un atomo del materiale o tutto l’ostacolo nel suo complesso).

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Osservazione. Il modello di Einstein e quello di Compton spiegano perfettamente l’effettofotoelettrico e la formula (6.2) in termini quantitativi e qualitativi. Tuttavia devono considerarsicome modelli ad hoc slegati ed addirittura in contrasto con il corpus della fisica teorica dell’epoca:l’idea della costituzione corpuscolare delle onde elettromagnetiche e quindi della luce, comenoto dai tempi di Newton e Huygens, non puo spiegare effetti ondulatori notissimi della lucequali i fenomeni di interferenza e diffrazione. In qualche modo il modello ondulatorio e quellocorpuscolare della luce (onde elettromagnetiche) devono coesistere nella realta, ma cio non epossibile nel paradigma della fisica classica. Cio invece accade nella formulazione relativisticacompleta della MQ introducendo il concetto di fotone.

6.3 Cenni di Meccanica ondulatoria.

In queste dispense non ci occuperemo piu delle proprieta quantistiche della luce che richiedereb-bero uno sviluppo ulteriore del formalismo della MQ che presenteremo. Le idee esposte sopra suiprimi tentativi di descrizione quantistica della luce furono pero utili, ribaltando il punto di vista,per arrivare alla formulazione della meccanica ondulatoria, il primo passo verso la formulazionedella MQ.La meccanica ondulatoria e una delle due prime versioni un po rudimentali della MQ per par-ticelle dotate di massa3. Nel seguito ci occuperemo molto succintamente di esporre alcune ideeportanti della meccanica ondulatoria che mettono in luce alcuni punti fondamentali e generaliche useremo per costruire il formalismo proprio della MQ. In particolare tralasceremo alcu-ni risultati storicamente connessi quali l’equazione stazionaria di Schrodinger e la spiegazione,tramite essa, dello spettro energetico dell’atomo di idrogeno. Torneremo piu avanti su questiargomenti dopo avere costruito il formalismo.

6.3.1 Onde di de Broglie.

Un quanto di luce di Einstein e Compton e associato ad un’onda elettromagnetica piana mono-cromatica di numero d’onda k = p/~ e pulsazione ω = E/~, dove lo ricordiamo, la pulsazione esemplicemente 2π volte la frequenza. Ogni componente dell’onda piana elettromagnetica (unacomponente del campo elettrico o magnetico che vibra perpendicolarmente a k) ha allora laforma di un’onda scalare:

ψ(t,x) = Aei(k·x−tω) . (6.10)

In realta solo la parte reale dell’onda di sopra ha senso fisico. Un onda a valori complessi inveceche reali del tipo di sopra ha comunque interesse fisico perche appare nella decomposizione diFourier (vedi sezione 3.6) di una soluzione generale dell equazioni del campo elettromagnetico(equazioni di Maxwell) e piu generalmente dell’equazione di d’Alembert. In termini di impulso

3L’altra versione sviluppata parallelamente da Heisenberg consisteva nella cosiddetta meccanica delle matrici[CCP82] della quale non ci occuperemo.

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e energia del quanto di luce, la stessa onda puo riscriversi:

ψ(t,x) = Aei~ (p·x−tE) . (6.11)

Dove lo si noti compaiono solo l’impulso e l’energia del quanto di luce. Nel 1924 de Broglie feceun’ipotesi estremamente rivoluzionaria: come alle onde elettromagnetiche si potevano associare,almeno in certi contesti sperimentali, delle particelle, si doveva poter associare delle onde alleparticelle materiali della stessa forma (6.11) dove ora pero, p e E sono rispettivamente l’impulsoe l’energia (cinetica) della particella. Non era affatto chiara la natura di tali fantomatiche onde.La lunghezza d’onda associata ad una particella di impulso p:

λ = h/|p| , (6.12)

viene detta lungezza d’onda di de Broglie della particella.Nel 1927 si ebbe evidenza sperimentale di onde in qualche modo associate al comportamento diparticelle materiali, piu precisamente elettroni, da parete di due distinti esperimenti da parte diDavisson e Germer e G.P. Thompson.Senza entrare nei dettagli degli esperimenti diremo solo quanto segue. E noto che quando un’on-da (elettromagnetica, sonora ecc...) incontra un ostacolo con una struttura interna di dimensionitipiche dell’ordine o superiori alla lunghezza d’onda dell’onda incidente, l’onda diffusa dall’osta-colo produce un fenomeno detto diffrazione: le varie parti interne dell’ostacolo agiscono sull’ondacreando interferenza costruttuva e distruttiva, in modo che l’onda diffusa produca, su uno scher-mo su cui incide, delle figure costituite da zone d’ombra e zone di maggiore intensita (cioe piuchiare nel caso di onde luminose). Tali figure si dicono figure di diffrazione. Se l’ostacolo e uncristallo, dalle figure di diffrazione si puo risalire alla struttura interna di cristalli.

Osservazione. E importante sottolineare che il fenomeno della diffrazione e strettamente do-vuto alla natura ondulatoria dell’onda (al fatto che ci sia qualcosa che oscilli ed al principio disovrapposizione). Non e possibile produrre figure di diffrazione sparando delle particelle, chesoddisfino le usuali leggi della meccanica classica, su qualsivoglia ostacolo.

Tornando agli esperimenti di Davisson e Germer e G.P. Thompson, essi ottennero figure di dif-frazione prodotte da fasci di elettroni sparati su cristalli. Piu precisamente le figure di diffrazionesi produssero su uno schermo dall’accumularsi delle tracce puntiformi degli elettroni diffusi daun cristallo di passo reticolare dell’ordine di 1 A. Il fatto ancora piu notevole che corroboraval’ipotesi di de Broglie era il fatto che, negli esperimenti detti, le figure di diffrazione apparivanosolo se la lunghezza di de Broglie degli elettroni era dell’ordine di 1A o inferiore, esattamentecome nel fenomeno della diffrazione prodotto da onde “usuali” su cristalli con passo reticolaredi 1 A.

6.3.2 Funzione d’onda di Schrodinger e interpretazione probabilistica di Born.

Nel 1926, in due famosi e geniali articoli, Schrodinger prese sul serio l’ipotesi di de Brogliee fece un’assunzione piu precisa: quella di associare ad una particella materiale non un’onda

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piana come (6.11), ma un pacchetto d’onde costituito dalla sovrapposizione (nel senso dellatrasformata di Fourier, vedi sezione 3.6) di onde piane di de Broglie. Nel caso di particelle liberecioe la cui energia e data dalla sola energia cinetica, l’onda di Schrodinger si scrive:

ψ(t,x) =∫

R3

ei~ (p·x−tE(p))

(2π~2)3/2ψ(p) d3p , (6.13)

dove E(p) := p2/(2m) essendo m la massa della particella. Nei due articoli Schrodinger osservoche l’ottica geometrica si basa su un’equazione, detta equazione dell’iconale, che ha una strut-tura formalmente analoga all’equazione di Hamilton-Jacobi per una particella della meccanicaclassica. Schrodinger tento allora di determinare un equazione fondamentale di una meccanicaondulatoria per la materia rispetto alla quale l’equazione di Hamilton-Jacobi della meccanicagiocasse lo stesso ruolo approssimato che equazione dell’iconale (ottica geometrica) gioca ri-spetto all’equazione di d’Alembert (ottica ondulatoria) [CCP82]. In questo modo pervenne allanotissima equazione di Schrodinger che gioca un ruolo centrale nella MQ. Noi ricaveremo taleequazione piu avanti dopo avere costruito il formalismo. Nel caso generale di una particellasoggetta ad una forza dovuta ad un potenziale U , f(t,x) = −∇U(t,x), l’equazione era

i~∂ψ(t,x)∂t

=− ~2

2m∆ + U(t,x)

ψ(t,x) (6.14)

dove ∆ := ∇ · ∇ e l’operatore di Laplace in R3.L’onda di de Broglie-Schroedinger ψ venne chiamata funzione d’onda della particella a cui eassociata.L’interpretazione oggi accettata della funzione d’onda ψ – almeno nell’interpretazione standard(“di Copenhagen”) del formalismo della MQ – venne data Born sempre nel 1926:fissato t ∈ R,

ρ(t,x) :=|ψ(t,x)|2∫

R3 |ψ(t,y)|2d3y

e la densita di probabilita di trovare la particella nel punto x quando si esegua un esperimentoper determinarne la posizione.L’interpretazione di Born che si rivelo in accordo con l’esperienza, era gia in sostanziale accordocon i risultati degli esperimenti di Davisson e Germer e G.P. Thompson in cui le tracce delle par-ticelle sullo schermo si addensavano nelle regioni in cui ρ(t,x) > 0 ed erano assenti nelle regioniin cui ρ(t,x) = 0 dando luogo alle figure di diffrazione. (Il fatto che le onde piane di de Broglienon abbiano diretto significato fisico alla luce dell’interpretazione di Born avendo integrale delmodulo quadro divergente e fisicamente irrilevante. Le onde piane monocromatiche usate perinterpretare i risultati sperimentali secondo l’ipotesi di de Broglie possono essere approssimatea piacimento da pacchetti a quadrato sommabile con una distribuzione ψ(p) arbitrariamentestretta attorno ad un valore p0 che determina con approssimazione piccola a piacere la lunghez-za d’onda λ0 = |p0|/h di de Broglie degli elettroni.)

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Osservazioni.(1) Dal punto di vista matematico, l’assunzione dell’interpretazione di Born richiede che abbia-no senso fisico solo le funzioni d’onda a quadrato sommabile e non quasi ovunque nulle, cioe glielementi non nulli di L2(R3, d3x): uno spazio di Hilbert entra in gioco per la prima volta, nellacostruzione della MQ.

(2) Assumendo l’interpretazione di Born si deve concludere che, quando non viene eseguito alcunesperimento per determinarne la posizione, la particella associata alla funzione d’onda ψ, nonpuo evolvere temporalmente secondo le leggi della meccanica classica: se seguisse una traiettoriaregolare come prescritto dalla meccanica classica, la funzione |ψ|2 associata dovrebbe essere qua-si ovunque nulla fuori dalla traiettoria. Tuttavia avendo ogni traiettoria regolare in R3 misuranulla, |ψ|2 dovrebbe essere nulla quasi ovunque in R3 portando ad una contraddizione. In altreparole, quando non si esegue un esperimento per determinare la posizione della particella, laparticella non deve considerarsi un oggetto classico, ma la sua evoluzione temporale e descrittadall’evoluzione dell’onda ψ (secondo l’equazione di Schrodinger).

(3) Se si ammette, come nell’interpretazione di Copenhagen, che la funzione d’onda ψ sia unadescrizione completa dello stato fisico della particella, si deve concludere che la posizione del-la particella sia fisicamente indefinita prima di eseguire un esperimento che la determini e chevenga fissata all’atto dell’esperimento in modo probabilistico. Non e corretto pensare che l’usodi una descrizione probabilistica sia dovuto ad insufficiente conoscenza dello stato del sistema:“la posizione esiste ma noi non la conosciamo”. Nell’interpretazione di Copenhagen la posi-zione non esiste fino a quendo non si esegue un esperimento per determinarla e lo stato dellaparticella (l’informazione massima sulle sue proprieta fisiche variabili nel tempo) e descritto dal-l’onda ψ. Nella meccanica ondulatoria la particella quantistica ha dunque una duplice naturadi onda-corpuscolo, ma le due nature non vengono mai in contrasto perche non si manifestanomai contemporaneamente.

6.4 Principio di indeterminazione di Heisenberg.

Quando cerchiamo di valutare sperimentalmente il valore di qualsiasi grandezza definita per unsistema fisico interagendo con il sistema stesso, possiamo alterare lo stato del sistema. Tuttavianella descrizione classica, in linea di principio possiamo rendere piccola a piacere la perturbazioneapportata allo stato. Nel 1927 Heisenberg si rese conto che le ipotesi di Planck, Einstein, Comp-ton, de Broglie avevano una conseguenza (anche epistemologica) notevole in questo contesto. Intermini quantitativi il principio di Heisenberg stabilisce che, considerado sistemi quantistici eparticolari grandezze, non e sempre possibile rendere piccola a piacere la perturbazione apporta-ta allo stato del sistema: la costante di Planck rappresenta un limite invalicabile per il prodottodelle indeterminazioni di alcune coppie di grandezze.Piu precisamente, esaminando vari esperimenti ideali in cui si assumeva qualcuna delle ipotesi

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dei modelli di Planck, Einstein, Compton e de Broglie, Heisenberg arrivo alla conclusione che:

cercando di determinare la posizione o l’impulso di una particella lungo un fissato asse x, se nealterera l’impulso o rispettivamente la posizione lungo lo stesso asse in modo tale che il prodottodella minima larghezza possibile delle due incertezze ∆x e ∆p con cui alla fine risultano esserenote le due grandezze soddisfi:

∆x∆p & h , (6.15)

senza poter andare sotto tale stima. Se la posizione e l’impulso sono valutiati lungo assi reci-procamente ortogonali il prodotto delle incertezze puo essere arbitrariamente piccolo.

(6.15) esprime il principio di indeterminazione di Heisenberg per la posizione e l’impulso.Una relazione analoga vale per l’incertezza ∆E con cui e determinata l’energia E di una particellae l’incertezza ∆t con cui si determina il tempo t in cui viene fatta la misura dell’energia4

∆E∆t & h . (6.16)

A titolo di esempio consideriamo l’esperimento ideale in cui si cerca di determinare la posizione X diun elettrone di momento inizialmente noto P illuminandolo con un fascetto di luce monocromatica dilughezza d’onda λ che si propaga nella direzione x. Immaginiamo di voler leggere la posizione su unoschermo parallelo all’asse X tramite una lente interposta tra l’asse X e lo schermo. Un quanto di luceche ha interagito con l’elettrone produrra un’immagine X ′ colpendo schermo dopo avere attraversato lalente. A causa dell’apertura finita della lente e non possibile conoscere con esattezza la direzione lungo laquale e stato diffuso il quanto di luce che produce l’immagine X ′ sullo schermo. Dall’ottica ondulatoriasappiamo che in X ′ si avra una figura di diffrazione che permettera di raggiungere nella misura dellacoordinata X una accuratezza non piu piccola di

∆X &λ

sinα,

dove α e il semi angolo sotto il quale da X si vede la lente. Al quanto di luce corrisponde l’impulso h/λ,per cui l’incertezza della componente Px del quanto di luce diffuso sara data approssimativamente dah(sinα)/λ. L’impulso totale del sistema particella, quanto di luce, microscopio, dovra rimanere costanteper cui l’incertezza nella componente x della quantita di moto della particella dopo la diffusione delquanto di luce dovra essere uguale alla corrispondente incertezza per il quanto di luce stesso:

∆Px &h

λsinα .

Il prodotto delle due indeterminazioni della particella lungo l’asse x risulta essere dunque al minimo

∆X∆Px & h .

4la relazione d’indeterminazione tempo-energia ha uno status ed una interpretazione molto piu problematicodelle analoghe relazioni posizione-impulso.

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Osservazione. Il principio di Heisenberg, a questo livello, ha la stessa (in)consistenza logica deimodelli proto quantistici usati euristicamente per arrivarne alla formulazione. Deve essere vistopiu come una ipotesi di lavoro per costruire una nuova nozione di particella in cui le nozioni diposizione ed impulso classici abbiano senso solo entro limiti fissati dal principio stesso: gli statifisici di una particella quantistica devono essere tali per cui l’impulso o la posizione non sianodefinite e definibili contemporaneamente.Val la pena di ricordare che nella formulazione finale della MQ, come vedremo, il principio diHeisenberg diventa un teorema.

6.5 Le grandezze compatibili ed incompatibili.

Indipendentemente dal principio di Heisenberg, la fenomenologia quantistica mostra che ci sonocoppie grandezze A e B che risultano essere incompatibili. Questo significa che, se si misuraprima la grandezza A sul sistema ottenendo il risultato a e quindi – immediatamente dopo – simisura B ottenendo il risultato b, una successiva misura di A – vicina temporalmente a piacerea quella di B (in modo da non poter imputare il risultato all’evoluzione temporale) – produceun risultato a1 generalmente differente da a. Lo stesso fenomeno appare scambiando il ruolo diA e B.Coppie di grandezze incompatibili sono la componente della posizione e dell’impulso lungo unfissato, tali grandezze soddisfano anche il principio di Heisenberg. Questi due fatti sono connessi,ma il legame puo essere spiegato chiaramente solo dopo avere costruito il formalismo completo.In generale coppie di grandezze incompatibili non soddisfano il principio di Heisenberg.Risulta che le grandezze quantistiche incompatibili non sono mai funzioni una dell’altra e nem-meno che esistono apparati di misura in grado di misurarle contemporaneamente.E importante sottolineare che la fenomenologia quantistica mostra che esistono anche coppie digrandezze A′, B′ compatibili. Questo significa che, se si misura prima la grandezza A sul sistemaottenendo il risultato a′ e quindi – immediatamente dopo – si misura B′ ottenendo il risultatob′, una successiva misura di A′ – vicina temporalmente a piacere a quella di B′ (in modo danon poter imputare il risultato all’evoluzione temporale) – produce lo stesso risultato a′. Lostesso fenomeno appare scambiando il ruolo di A′ e B′. In particolare ogni grandezza fisica Ae compatibile con se stessa e con ogni funzione di A (per esempio la posizione di una particellalungo una retta ed il quadrato del numero che individua tale posizione.)

Un esempio di coppie di grandezze incompatibili che non soddisfano il principio di Heisenbergsono due componenti diverse dello spin di una particella. Lo spin dell’elettrone (e poi di tutte leparticelle nucleari e subnucleari) fu introdotto da Goudsmit e Uhlembeck nel 1925 per spiegarealcune proprieta “anomale”, il cosiddetto effetto Zeeman anomalo, degli spettri energetici (righespettrali) degli atomi di metalli alcalini. In senso semi classico lo spin rappresenta il momentoangolare intrinseco dell’elettrone che, per certi aspetti, puo essere pensato come dovuto ad unincessante moto rotatorio dell’elettrone attorno al proprio centro di massa. Tuttavia questa

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interpretazione e molto fuorviante e non deve essere presa alla lettera. Un significato profondoallo spin puo solo essere dato nel contesto della definizione, dovuta a Wigner, di particella ele-mentare quantistica come sistema elementare invariante sotto l’azione del gruppo di Poincare.Allo spin e associato un momento magnetico intrinseco che e alla fine il responsabile dell’effet-to Zeeman anomalo osservato. Tuttavia lo spin e una grandezza vettoriale con caratteristichepeculiari quantistiche che lo differenziano completamente da un momento angolare classico e lofanno rientrare nella categoria dei momenti angolari quantistici. La prima differenza e nei valoriassumibili dal modulo dello spin. Nell’unita di misura ~ tali valori sono sempre numeri del tipoÈs(s+ 1) dove s e un intero fissato dipendente dal tipo di particella, s = 1/2 per l’elettrone.

Ciascuna delle tre componenti dello spin rispetto ad una terna di assi destrorsa ortonormalepuo assumere ciascuno dei 2s + 1 valori discreti −s,−s + 1, . . . , s − 1, s. Le tre componentidello spin risultano essere grandezze fisiche incompatibili nel senso detto sopra: la misurazio-ne alternata e fatta a tempi vicinissimi di due differenti componenti dello spin fornisce valorisempre differenti per tali componenti dello spin. E importante precisare che la stessa incom-patibilita si ha anche per le componenti del momento angolare orbitale e totale di una particella.

Un esempio di coppie di grandezze compatibili per una particella quantistica sono la componentex dell’impulso e la componente y del vettore posizione. Risulta anche che ogni grandezza fisicae compatibile con se stessa. Tale fatto non e per nulla banale.

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Capitolo 7

Il formalismo matematico di basedella MQ: proposizioni, statiquantistici e osservabili.

La Matematica in Fisica e come il maiale: non si butta mai via niente.

In questo capitolo presenteremo la struttura matematica generale della Meccanica Quantistica.La procedura, essenzialmente dovuta a von Neumann e qui presentata in veste piu modernatenendo conto del risulatato di Gleason (vedi sotto), sara un’estensione della meccanica (hamil-toniana) classica che tenga conto dei risultati sperimentali sulla natura dei sistemi quantisticidiscussa nel capitolo precedente.Nella prima sezione riassumeremo i risultati presentati nel capitolo precedente, rimarcando al-cuni punti fondamentali che giocheranno un ruolo fondamentale nel seguito.Nella sezione successiva riesamineremo alcuni aspetti della formulazione della meccanica di Ha-milton da un punto di vista insiemistico e logico-formale insieme, mostrando che esiste un’inte-pretazione dei fondamenti della teoria in cui le proprosizioni elementari sul sistema fisico sonodescritte da una σ-algebra, mentre gli stati sono descrivibili in termini di misure (eventualmentedi Dirac) su tale σ-algebra.Nella terza sezione, mostreremo come si possa modificare la struttura delineata nel caso classicofino ad introdurre una descrizione della fenomenologia quantistica. In questo caso la σ-algebrae sostituita dal reticolo dei proiettori su un opportuno spazio di Hilbert e gli stati da una nozionegeneralizzata di misura σ-additiva sul reticolo dei proiettori.Nella quarta sezione enetremo nel cuore della struttura mostrando, tramite il teorema di Gleason,che le misure generalizzate di cui sopra non sono altro che operatori di classe traccia, positivicon traccia unitaria. In questo modo introdurremo lo spazio convesso degli stati quantistici,identificando gli stati puri (o raggi ) con gli elementi estremali del corpo convesso. Discuteremoinoltre la descrizione formale della nozione di proposizioni compatibili, del processo di misurae l’esistenza di regole di superselezione con la decomposizione dello spazio di Hilbert in settori

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coerenti. Faremo qualche accenno alle interessanti logiche quantistiche ed alle recenti critichesollevate sulla loro utilita in fisica.Nella quinta ed ultima sezione ci dedicheremo alla costruzione euristica della nozione di osser-vabile, vista come insieme di proposizioni elementari che costituiscono una misura a valori diproiezione (PVM) sullo spazio di Hilbert del sistema fisico. Tale costruzione fornira anche unamotivazione fisica alla dimostrazione del teorema spettrale, che sara provato successivamente.Daremo anche qualche accenno ad una generalizzazione della nozione di osservabile in terminidi misure a valori di operatori positivi (POVM), enunciando il teorema di interallacciamento diNeumark.

7.1 Le idee che stanno alla base dell’interpretazione standarddella fenomenologia quantistica.

Cerchiamo di riassumere alcuni punti cruciali del comportamento dei sistemi quantistici.

QM1. (i) I risultati delle misure di grandezze fisiche su sistemi quantistici, di cui e fissato lo sta-to, hanno esiti probabilistici. Non e possibile prevedere l’esito della misura, ma solo (per esempioper quanto riguarda la posizione di una particella nell’interpretazione di Born) la probabilita chel’esito fornisca un certo risultato.

(ii) Tuttavia se una grandezza e stata misurata ed ha prodotto un certo risultato, ripetendola misura della stessa grandezza immediatamente dopo la prima misura (per evitare che nel frat-tempo lo stato del sistema evolva), il risultato della misura sara lo stesso gia ottenuto.

QM2. (i) Esistono delle grandezze fisiche incompatibili nel senso che segue. Dette A e B duegrandezze incompatibili, se si misura prima la grandezza A sul sistema (a stato fissato) ottenen-do il risultato a e quindi – immediatamente dopo – si misura B ottenendo il risultato b, unasuccessiva misura di A – vicina temporalmente a piacere a quella di B (in modo da non poterimputare il risultato all’evoluzione temporale dello stato) – produce un risultato a1 generalmentedifferente da a. Lo stesso fenomeno appare scambiando il ruolo di A e B. Risulta che le gran-dezze quantistiche incompatibili non sono mai funzioni una dell’altra e nemmeno che esistonoapparati sperimentali di misura in grado di misurarle contemporaneamente.

(ii) Esistono anche grandezze fisiche compatibili nel senso che segue. Dette A′ e B′ duegrandezze compatibili, se si misura prima la grandezza A′ sul sistema (a stato fissato) ottenendoil risultato a′ e quindi – immediatamente dopo – si misura B′ ottenendo il risultato b′, unasuccessiva misura di A′ – vicina temporalmente a piacere a quella di B′ (in modo da non poterimputare il risultato all’evoluzione temporale) – produce lo stesso risultato a′ gia ottenuto. Lostesso fenomeno appare scambiando il ruolo di A′ e B′. In particolare, per (ii) di QM1, ognigrandezza fisica e compatibile con se stessa e se due grandezze fisiche sono una funzione dell’altra(es. l’energia ed il suo quadrato), allora sono compatibili.

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Osservazioni.(1) QM1 e QM2 si riferiscono alle grandezze fisiche “non definitorie” di un sistema fisico. Pergrandezze definitorie intendiamo quelle che non dipendono dallo stato del sistema e che quindipermettono di distinguere un sistema da un altro. Le rimanenti grandezze, quelle a cui si riferi-scono QM1 e QM2, sono invece dipendenti dallo stato del sistema.(2) E chiaro che non e possibile avere la certezza assoluta che i sistemi fisici quantistici soddisfino(i) di QM1. Si potrebbe infatti sospettare che la stocasticita dell’esito delle misure derivi dalfatto che, in realta, gli sperimentatori non conoscano completamente lo stato del sistema e se loconoscessero completamente potrebbero prevedere con certezza gli esiti delle misure. In questosenso la probabilita quantistica sarebbe semplicemente di natura epistemica. Nell’interpretazio-ne standard della MQ, la cosiddetta interpretazione di Copenaghen, la stocasticita degli esitidelle misure e assunta come un fatto fondamentale della natura dei sistemi quantistici. Esistonocomunque interessanti tentativi di interpretazione della fenomenologia quantistica basati su for-malismi alternativi (le cosiddette formulazioni in termini di variabili nascoste) [Bon97]. In taliapprocci la stocasticita e spiegata come dovuta ad una incompleta informazione da parte dellosperimentatore sul reale stato fisico del sistema che e descritto da piu variabili (ed in modo moltodiverso) rispetto a quelle usate nella formulazione standard. Nessuno di tali tentativi (malgradoalcuni siano veramente notevoli come la teoria di Bohm) e risultato fino ad oggi veramente sod-disfacente tanto da essere un vero competitore dell’interpretazione e della formulazione standarddella MQ (quando si considerino anche le teorie quantistiche relativistiche e la teoria dei campiquantistica relativistica in particolare).Bisogna anche sottolineare che non e comunque possibile costruire una teoria fisica completa-mente classica (includendo le teorie relativistiche non quantistiche tra le teorie classiche) chepossa spiegare completamente la fenomenologia quantistica. Le variabili nascoste devono soddi-sfare un requisito di contestualita piuttosto inusuale nelle teorie classiche. Infine ogni teoria chespieghi la fenomenologia quantistica, inclusa la stessa MQ, deve essere non locale [Bon97]. In al-tre parole la fenomenologia sperimentale prova l’esistenza di correlazioni tra esiti di esperimentiche avvengono in regioni distinte dello spazio ed in periodi di tempo per cui non e possibile chevi sia trasmissione di informazione tramite qualunque mezzo fisico che si muova ad una velocitanon superiore a quella della luce nel vuoto.(3) E implicito in QM1 e QM2 che i sistemi fisici interessanti nella fenomenologia e teoria quanti-stica vengano divisi in due grandi categorie: gli strumenti di misura ed i sistemi quantistici. Nellaformulazione di Copenaghen si assume che gli strumenti di misura siano sistemi che soddisfinoalle leggi della fisica classica. Queste assunzioni che corrispondono a dati di fatto sperimentali eche sono a dir vero piuttosto rozze dal punto di vista teorico, sono alla base dell’interpretazionedel formalismo e non si riesce a dire molto altro nel corpus della formulazione standard. Peresempio non e chiaro dove si situi la linea di confine tra sistemi classici e quantistici, nemme-no come questa linea possa essere descritta all’interno del formalismo e nemmeno se il sistemacostituito dall’apparato di misura e dal sistema quantistico possa essere a sua volta consideratocome un sistema quantistico piu grande e trattato all’interno del formalismo. Infine, il processofisico dell’interazione tra strumento di misura e sistema quantistico che fornisce l’esito della mi-sura non e descritto all’interno del formalismo quantistico standard come un processo dinamico.

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Vedremo meglio piu avanti tale punto. Rimandiamo a [Bon97, Des80] per una discussione sutali interessanti e difficili argomenti.

7.2 Stati classici come misure di probabilita sulla σ-algebra delleproposizioni elementari.

E noto che una misura positiva µ sullo spazio X e detta misura di probabilita se µ(X) = 1.La trattazione formale, dovuta a Kolmogorov, del calcolo delle probabilita si traduce nello stu-dio delle misure di probabilita. Vediamo ora come la nozione di misura di probabilita possaessere usata per rappresentare gli stati fisici dei sistemi classici. Un’estensione di tale nozioneverra impiegata nel seguito per dare una descrizione matematica degli stati dei sistemi quanti-stici. Questo approccio e stato studiato per la prima volta da G. Mackey (“The mathematicalFoundations of Quantum Mechanics”, Benjamin, New York 1963)).

7.2.1 Stati come misure.

Consideriamo un sistema fisico classico arbitrario descritto in formulazione hamiltoniana. Que-sto significa che lo spazio ambiente, lo spaziotempo delle fasi, Hn+1 sara dato da una varietadifferenziabile fibrata su R, l’asse del tempo, le cui fibre Ft, lo spazio delle fasi al tempo t, sa-ranno varieta differenziabili (tra di loro diffeomorfe) F di dimensione 2n dotate di una strutturasimplettica che permette di formulare le equazioni di Hamilton. Nell’intorno di ogni punto suciascuna sottovarieta Ft0 avremo delle coordinate naturali t, q1, . . . , qn, p1, . . . , pn rispetto allequali la forma simplettica e ω =

∑ni=1 dq

i ∧ dpi e le equazioni di Hamilton prendono la solitaforma per k = 1, 2, . . . , n:

dqk

dt=

∂H(t, q(t), p(t))∂pk

, (7.1)

dpkdt

= −∂H(t, q(t), p(t))∂qk

. (7.2)

essendo H la funzione hamiltoniana delle coordinate locali considerate ed essendo t la coordinatasull’asse del tempo. L’evoluzione del sistema sara descritta quindi dalle curve integrali delleequazioni scritte sopra. Ad ogni fissato tempo t ∈ R, ogni evoluzione del sistema determina unpunto (t, r(t)) con r(t) ∈ Ft in cui la curva integrale considerata interseca Ft. Nel caso si stiaconsiderando, non un sistema fisico ma un insieme statistico di sistemi fisici identici, l’evoluzionedel sistema e descritta assegnando una funzione densita positiva localmente rappresentabile comeρ = ρ(t, q, p) che risolve l’equazione di Liouville:

∂ρ

∂t+

n∑i=1

∂ρ

∂qi∂H

∂pi− ∂H

∂qi∂ρ

∂pi

= 0 . (7.3)

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Si richiede ovviamente che, per ogni t ∫Ft

ρ dµ = 1 , (7.4)

dove dµ, localmente rappresentabile come dµt = dq1 ∧ · · · ∧ dqn ∧ dp1 ∧ · · · ∧ dpn, e la misuraindotta dalla forma simplettica ω su Ft.E un fatto noto come teorema di Liouville la proprieta dell’integrale in (7.4) di essere invarianteal variare di t, quando ρ soddisfa (7.3) [CCP82].ρ(t, r) con r ∈ Ft rappresenta la densita probabilita che il sistema fisico si trovi in r al tempo t.In definitiva, sia nel caso di un unico sistema fisico, che nel caso di una trattazione statistica,l’evoluzione del sistema e descritta assegnando una classe di misure di Borel di probabilita νtt∈R,ciascuna definita sul corrispondente spazio delle fasi Ft dove:

(i) se si lavora con un insieme statistico νt = ρdµt;(ii) se si lavora con un solo sistema si puo definire una misura νt caso limite di (i) come la

misura di Dirac concentrata in r(t).Ricordiamo che la misura di Dirac δx concentrata in un punto x di uno spazio con misura Xe definita come δx(E) = 0 se x 6∈ E e δx(E) = 1 se x ∈ E, dove E e un qualsiasi elemento dellaσ-algebra, Σ, dello spazio X.Lo stato del sistema al tempo t (eventualmente pensato come stato statistico) sara quindi indi-viduato dalla misura νt.Il significato operativo della misura νt nel caso essa sia una misura di Dirac sara chiarito tra poco.

Nota. Per rappresentare gli stati del sistema al tempo t in modo del tutto generale, trala-sciando il problema dell’evoluzione dello stato ed abbandonando la formulazione hamiltonianastandard, si potrebbe lavorare su varieta topologiche Ft invece che differenziabili. Gli stati (altempo t) potrebbero comunque essere rappresentati in termini di misure di probabilita rispet-to alla σ-algebra di Borel. La richiesta dell’esistenza di una topologia su Ft e intrinsecamenteconnessa con l’esistenza di “intorni” dei punti di tale insieme, dovuti alla presenza di errori dimisura sperimentali, rimpicciolibili a piacere, ma non annullabili. Piu precisamente, la richiestadi poter distinguere i punti di Ft malgrado l’esistenza di errori di misura, viene tradotta ma-tematicamente con la richiesta che la topologia di Ft sia di Hausdorff (come d’altronde accadenelle varieta differenziabili).

7.2.2 Proposizioni e insiemi.

Se ammettiamo che la descrizione hamiltoniana del nostro sistema fisico contenga tutte le pro-prieta fisiche del sistema, tutte le proposizioni sul sistema che al tempo t sono vere o false, o sonovere con una certa probabilita, devono poter essere descritte in Ft in qualche modo. Inoltre, illoro valore di verita ovvero la probabilita che siano vere deve poter essere ottenuta una voltanoto lo stato νt del sistema.Mettiamoci inizialmente nel caso in cui si considera un unico sistema e quindi νt e una misura

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di Dirac. Ogni proposizione P individua un insieme di Ft che contiene tutti e soli i punti di Ftche la rendono verificata. Indicheremo tale insieme ancora con P .Noto lo stato νt, la proposizione sara vera se e solo se il punto r(t) che descrive lo stato al tempot appartiene all’insieme P .Se assegniamo convenzionalmente il valore 0 ad una proposizione falsa e 1 ad una vera, in ter-mini di misure νt, il valore di verita della proposizione P sullo stato νt e dato allora da νt(P )dove ora P ⊂ Ft e l’insieme associato alla proposizione P .Questo fatto chiarisce il significato operativo della misura di Dirac νt.La stessa interpretazione puo essere usata nel caso lo stato abbia un’interpretazione statistica:νt(P ) rappresenta la probabilita che P sia vera al tempo t quando lo stato e νt.E chiaro che tutto quanto detto ha senso se gli insiemi P appartengono alla σ-algebra su cuisono definite le misure νt. Tale σ-algebra e quella di Borel ed e pertanto ragionevolmente grande.

Note.(1) Anche il caso di una misura di Dirac puo interpretarsi nel senso delle misure di probabilita(vedi Appendice A) (e la misura di Dirac e una misura di probabilita) se si attribuisce al valoredi verita 1 la probabilita certa e al valore di verita 0 la probabilita nulla. D’ora in poi adotteremotale interpretazione unificante in entrambi i casi.(2) E chiaro che una stessa proposizione puo essere formulata in modi differenti ma equivalenti.Nell’identificare proposizioni con insiemi di Ft noi stiamo esplicitamente assumendo che:se due proposizioni individuano lo stesso sottoinsieme di Ft si devono considerare come la stessaproposizione.

7.2.3 Interpretazione insiemistica dei connettivi logici.

Prese due proposizioni P e Q, possiamo comporle con connettivi logici per costruire altre propo-sizioni. In particolare possiamo considerare la proposizione costruita con la disgiunzione, P ∨Q,e la proposizione costruita con la congiunzione, P ∧ Q. Con una sola proposizione possiamocostruirne la negazione ¬P .Possiamo interpretare queste proposizioni in termini di insiemi della σ-algebra di Ft:

(i) la disgiunzione P OQ corrisponde a P ∪Q;(ii) la congiunzione P EQ corrisponde a P ∩Q;(iii) la negazione aP corrisponde a Ft \ P .

E possibile mettere un ordinamento parziale in ogni classe di sottoinsiemi di Ft usando l’inclu-sione insiemistica: P ≤ Q se e solo se P ⊂ Q.L’interpretazione piu naturale a livello di proposizioni del fatto che P ⊂ Q e semplicemente cheQ e conseguenza logica di P , ossia P ⇒ Q .

Note.(1) La probabilta che siano vere queste proposizioni composte puo essere calcolata usando lamisura νt in quanto le operazioni insiemistiche che corrispondono a O, E, a sono operazioni

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rispetto alle quali ogni σ-algebra e chiusa.(2) Si verifica facilmente che se νt e una misura di Dirac, il valore di probabilita (che ricordia-mo essere solo 0 o 1 in questo caso) assegnato a ciascuna delle espressioni composte di sopra,coincide con il valore di verita calcolato tramite le tavole di verita del connettivo logico usato.Per esempio, POQ e vera (cioe νt(P ∪ Q) = 1) se e solo se almeno una delle due proposizionicostituenti e vera (cioe se e solo se νt(P ) = 1 oppure, senza esclusione, νt(Q) = 1); infatti ilpunto p su cui e concentrata la misura di Dirac δx = νt cade in P ∪ Q se e solo se x cade inalmeno uno dei due insiemi P e Q.

7.2.4 Proposizioni “infinite” e grandezze fisiche.

Solitamente nel calcolo proposizionale non si considerano delle proposizioni composte contenen-ti infinite proposizioni ed infiniti connettivi logici come P1O P2 O . . .. L’interpretazione delleproposizioni e dei connettivi in termini di elementi e operazioni in una σ-algebra permette perodi considerare tali proposizioni.Possiamo legare almeno alcune di tali proposizioni grandezze fisiche misurabili sul sistema. Invia del tutto generale possiamo considerare le grandezze fisiche definite sul nostro sistema ha-miltoniano come qualche classe di funzioni regolari in qualche senso f : Hn+1 → R. Una sceltamolto generale per il requisito di regolarita si ha prendendo tutta la classe delle funzione mi-surabili limitate. Tali funzioni definiscono densita di qualche grandezza che almeno localmentepossono essere integrate. Si possono fare delle scelte meno radicali prendendo per esempio solola classe delle funzioni continue oppure C1 oppure C∞. Dal punto di vista fisico sembrerebbenaturale richiedere che le grandezze fisiche siano descritte da funzioni almeno continue, per ilfatto che le misure sono sempre affette da errori sperimentali nel determinare il punto di Hn+1

che rappresenta il sistema: se le funzioni non sono continue, piccoli errori di misura possonoprovocare grandi variazioni sui valori delle grandezze. Tuttavia bisogna tenere anche conto delfatto che vi possono essere grandezze che assumono valori discreti, per le quali la critica disopra non si applica (i valori si possono distinguere usando strumenti sufficientemente, ma noninfinitamente, precisi).

Ci restringiamo ora a lavorare ad un tempo fissato t, per cui le grandezze fisiche che considere-remo saranno funzioni f : Ft → R. Se f : Ft → R e una grandezza fisica valutabile sul sistemafisico (al tempo t), possiamo costruire con essa delle proposizioni del tipo:

P(f)E = “Il valore di f valutato sullo stato del sistema cade nell’insieme di Borel E ⊂ R” ,

Il fatto di considerare insiemi di Borel E e non solo, per esempio, intervalli aperti, consente ditrattare sullo stesso piano grandezze che assumono valori continui e grandezze che assumo valoridiscreti. Infatti nella classe degli insiemi di Borel di R ci sono anche gli insiemi chiusi, ci sonogli stessi punti di R ed insiemi contenenti quantita finite e numerabili di punti.In termini insiemistici:

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P(f)E = f−1(E) ⊂ Ft .

Nota. Come al solito, una volta noto lo stato νt, la probabilita che P (f)E sia vera al tempo t

per il sistema e νt(P(f)E ). Se lo stato non e statistico, il valore suddetto e il valore di verita della

stessa proposizione P (f)E .

Consideriamo un ’intervallo [a, b) con b ≤ +∞. Possiamo decomporre tale intervallo nell’unionedisgiunta di una infinita di sotto intervalli: [a, b) = ∪∞i=1[ai, ai+1) dove a1 := a ed inoltre ai < ai+1

ed infine ai → b per i→∞. E chiaro allora che la proposizione

P(f)[a,b) = “Il valore di f valutato sullo stato del sistema cade nell’insieme di Borel [a, b)” ,

puo essere decomposta in una disgiunzione infinita di proposizioni ciascuna della forma

P(f)[ai,ai+1) = “Il valore di f valutato sullo stato del sistema cade nell’insieme di Borel [ai, ai+1)”.

P(f)[a,b) = O+∞

i=1P(f)[ai,ai+1) ,

che corrisponde alla decomposizione dell’insieme P (f)[a,b) nell’unione disgiunta

P(f)[a,b) = ∪+∞

i=1P(f)[ai,ai+1) .

Quindi vediamo che ha senso fisico assumere l’esistenza di almeno alcune proposizioni sul siste-ma costruite con infiniti connettivi logici ed infinite sotto proposizioni.Per dualita rispetto alla negazione, che trasforma la disgiunzione O in congiunzione E, se assu-miamo che l’insieme delle proposizioni ammissibili sia chiuso rispetto alla negazione a, dobbiamoassumere come fisicamente sensate anche proposizioni infinite costruite con il connettivo E.Il fatto di poter rappresentare le proposizioni come insiemi di una σ-algebra e quindi poternecalcolare la probabilita che siano vere su uno stato del sistema tramite la misura corrispondente,suggerisce di assumere che abbiano senso fisico proposizioni costruite con un’infinita numerabileconnettivi logici di tipo O oppure un’infinita numerabile di connettivi logici di tipo E, perche gliinsiemi corrispondenti sono ancora elementi della σ-algebra che e chiusa rispetto all’unione edall’intersezione numerabile di insiemi.Per avere una struttura “isomorfa” a quella di σ-algebra costituita da proposizioni insieme aiconnettivi logici O, E, a, dobbiamo includere tra le proposizioni fisiche ancora due proposizioniche corrispondono agli insiemi ∅ e Ft rispettivamente. Tali proposizioni evidentemente sonoquella sempre falsa (ovvero con probabilita 0 di essere vera per qualsivoglia stato) che indiche-remo con 0 e quella sempre vera (ovvero con probabilita 1 di essere vera per qualsivoglia stato)che indicheremo con 1.Una volta identificate le proposizioni con insiemi, la struttura di σ-algebra ci permette di assu-mere che :

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L’insieme delle proposizioni elementari P relative al sistema fisico considerato, insieme ai con-nettivi logici O, E, a, costituiscano una struttura “isomorfa” ad una σ-algebra.Il valore di verita oppure, a seconda del tipo di stato, la probabilita che una proposizione Psia vera sullo stato del sistema al tempo t si calcola comunque come νt(P ) dove ora P ⊂ Ft el’insieme associato alla proposizione. Tutto cio e indipendente dal fatto che una proposizionesia “normale” o costituita con infiniti connettivi logici.

Nota. Ci si puo chiedere se la σ-algebra associata all’insieme di tutte le proposizioni sul sistemacorrisponda alla σ-algebra di Borel di Ft o sia piu piccola. E chiaro che se si assume che ognifunzione reale misurabile limitata definita su Ft sia una grandezza fisica allora la risposta epositiva perche tra queste funzioni ci sono le funzioni caratteristiche di ogni insieme misurabiledi Ft. Se f e la funzione caratteristica dell’insieme di Borel E, per esempio, la proposizione P (f)

E

corrisponde all’insieme E.

7.2.5 Il reticolo distributivo, limitato, ortocomplementato e σ-completo delleproposizioni elementari.

Nel caso classico possiamo (anzi dobbiamo per dare senso alle proposizioni “infinite”) identifi-care proposizioni con insiemi e dire che le proposizioni sono insiemi. Tuttavia, per il passaggioal caso quantistico in cui non esiste lo spazio delle fasi, e importante farsi la domanda che se-gue. Esistono strutture matematica in qualche senso “isomorfe” ad una σ-algebra che non sianoσ-algebre di insiemi? La risposta e positiva e si ricava dalla teoria dei reticoli.

Definizione 7.1. Un insieme parzialmente ordinato (X,≥) e detto reticolo quando soddisfa idue seguenti requisiti:(a) per ogni coppia x, y ∈ X esiste supa, b;(b) per ogni coppia x, y ∈ X esiste infa, b.

Note.(1) Nella teoria dei reticoli supa, b si indica con a ∨ b e infa, b si indica con con a ∧ b. Eimportante notare che in un reticolo esistono infa, b e supa, b anche se a e b non sono con-frontabili, cioe non vale a ≤ b oppure b ≤ a. Si prova facilmente che i seguenti tre fatti sonoequivalenti: a ∧ b = a , a ∨ b = b , a ≤ b.(2) Si osservi che per ogni reticolo X, dalla definizione di inf e sup, seguono le proprietaassociative: per ogni terna a, b, c ∈ X,

(a ∧ b) ∧ c = a ∧ (b ∧ c) ,(a ∨ b) ∨ c = a ∨ (b ∨ c) ,

per cui, per esempio, si puo scrivere a ∨ b ∨ c ∨ d e a ∧ b ∧ c ∧ d senza ambiguita.

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(3) Valgono anche le proprieta di simmetria:

a ∨ b = b ∨ a ,a ∧ b = b ∧ a ,

per ogni coppia a, b ∈ X. Di conseguenza, per esempio a ∨ b ∨ c = c ∨ a ∨ b ∨ a.

Esistono diversi tipi di reticoli, la seguente definizione ne classifica alcuni.

Definizione 7.2. Un reticolo (X,≥) si dice:(a) reticolo distributivo se valgono le leggi distributive tra ∨ e ∧: per ogni terna a, b, c ∈ X

a ∨ (b ∧ c) = (a ∨ b) ∧ (a ∨ b) ,a ∧ (b ∨ c) = (a ∧ b) ∨ (a ∧ b) ;

(b) reticolo limitato se X ammette minimo, indicato con 0 e massimo, indicato con 1;(c) reticolo ortocomplementato se e limitato ed e dotato di un’applicazione X 3 a 7→ ¬a,dove ¬a e detto ortocomplemento di a, che soddisfa:

(i) a ∨ ¬a = 1 per ogni a ∈ X,(ii) a ∧ ¬a = 0 per ogni a ∈ X,(iii) ¬(¬a) = a per ogni a ∈ X,(iv) se a ≥ b allora ¬b ≥ ¬a per ogni coppia a, b ∈ X.

(d) reticolo σ-completo, se ogni insieme numerabile ann∈N ⊂ X ammette estremo superioreche viene denotato con ∨n∈Nan.Un reticolo che soddisfi (a), (b) e (c) e detto algebra di Boole. Un’algebra di Boole che sod-disfi (d) e detta algebra di Boole σ-completa ovvero, equivalentemente, σ-algebra di Boole.

Definizione 7.3. Se X e Y sono algebre di Boole, un’applicazione h : X→ Y e detta omomor-fismo di algebre di Boole se soddisfa:

h(a ∨ b) = h(a) ∨ h(b) , per ogni coppia a, b ∈ X

h(¬a) = ¬h(a) , per ogni a ∈ X

Se X e Y sono σ-algebre di Boole, un omomorfismo di algebre di Boole h : X → Y e dettoomomorfismo di σ-algebre di Boole se soddisfa

h(∨n∈Nan) = ∨n∈Nh(an) per ogni insieme numerabile ann∈N ⊂ X .

Un omomorfismo biettivo di algebre di Boole (σ-algebre di Boole) e detto isomorfismo di al-gebre di Boole (rispettivamente di σ-algebre di Boole ).

Note.(1) Si verifica che per ogni algebra di Boole X, se a ∈ X allora ¬a e l’unico elemento a soddisfare

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(i) e (ii) di (c) nella definizione 7.2. Da questo risultato si prova che valgono le identita di DeMorgan: per ogni a, b ∈ X,

¬(a ∨ b) = ¬a ∧ ¬b ,¬(a ∧ b) = ¬a ∨ ¬b .

(2) Dalla stessa definizione di inf e sup si verifica che un’algebra di Boole e σ-completa se esolo se ogni insieme numerabile ann∈N ⊂ X ammette estremo inferiore. Tale estremo inferioreviene denotato con ∧n∈Nan e vale ∧n∈Nan = ¬(∨n∈N¬an) da cui anche ∨n∈Nan = ¬(∧n∈N¬an).(3) Se h : X → Y e un omomorfismo di algebre di Boole, dalle identita di De Morgan si provasubito che

h(a ∧ b) = h(a) ∧ h(b) , per ogni coppia a, b ∈ X .

Nello stesso modo si ha subito che h(1) = 1 e h(0) = 0. (Per esempio h(1) = h(a ∨ ¬a) =h(a) ∨ ¬h(a) = 1.)(4) Usando il fatto che a ∨ b = b se e solo se a ≤ b, si ha che un omomorfismo di algebre diBoole h : X→ Y preserva l’ordinamento:

se per a, b ∈ X vale a ≤ b, allora vale anche h(a) ≤ h(b) .

(5) Usando il punto (2) si ha facilmente che, se h : X → Y e un omomorfismo di σ-algebre diBoole, allora

h(∧n∈Nan) = ∧n∈Nh(an) per ogni insieme numerabile ann∈N ⊂ X .

(6) Si prova facilmente che, se h : X → Y e un isomorfismo di (σ-)algebre di Boole, allorah−1 : Y → X e un isomorfismo di (σ-)algebre di Boole.

In base alle definizioni date risulta ovvio che valgono le seguenti proposizioni.

Proposizione 7.1. Ogni σ-algebra su un insieme X e un’algebra di Boole (ossia un reticolodistributivo, limitato, ortocomplementato), σ-completa in cui:

(i) la relazione d’ordine e l’inclusione insiemistica (e quindi ∨ corrisponde a ∪ e ∧ corri-sponde a ∩),

(ii) il massimo ed il minimo dell’algebra di Boole sono X e ∅,(iii) l’operazione di ortocomplemento corrisponde al complemento insiemistico rispetto allo

spazio X.

Proposizione 7.2. Siano Σ,Σ′ due σ-algebre su X e X′ rispettivamente e f : X → X′ unafunzione misurabile. Valgono i due seguenti fatti:(a) Al variare di E ∈ Σ′, gli insiemi

P(f)E := f−1(E)

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definiscono una σ-algebra di Boole t.c.:(i) la relazione d’ordine e l’inclusione insiemistica (e quindi ∨ corrisponde a ∪ e ∧ corri-

sponde a ∩),(ii) il massimo ed il minimo dell’algebra di Boole sono X = f−1(X′) e ∅ = f−1(∅),(iii) l’operazione di ortocomplemento corrisponde al complemento insiemistico rispetto allo

spazio X.(b) L’applicazione Σ′ 3 E 7→ P

(f)E e un omomorfismo di σ-algebre di Boole.

Dobbiamo concludere le stesse cose per l’insieme delle proposizioni relative ad un sistema fisico:le proposizioni relative ad un sistema fisico costituiscono un reticolo distributivo, limitato, orto-complementato e σ-completo, cioe una σ-algebra di Boole, in cui:

(i) la relazione d’ordine corrisponde alla relazione di conseguenza logica,(ii) il massimo ed il minimo sono la proposizione sempre vera 1 e quella sempre falsa 0,(iii) l’operazione di ortocomplemento corrisponde alla negazione.

(Si osservi che da (i) e (iii) segue che la congiunzione deve corrispondere all’intersezione e ladisgiunzione all’unione.)

Ulteriormente:Se f : Ft → R e una grandezza fisica rappresentata da una funzione misurabile (assumendo suR la σ-algebra di Borel), allora valgono i seguenti fatti.(a) Al variare di E nella σ-algebra di Borel di R, le proposizioni

P(f)E = “Il valore di f valutata sullo stato del sistema cade nell’insieme di Borel E ⊂ R” ,

definiscono una σ-algebra di Boole.(b) L’applicazione che associa ad ogni boreliano E ⊂ R la proposizione P (f)

E definisce un omo-morfismo di σ-algebre di Boole.

7.3 Le proposizioni relative a sistemi quantistici come insiemidi proiettori ortogonali.

Passiamo ora a considerare sistemi quantistici. Cercando di seguire un approccio per quantopossibile vicino al caso classico, vogliamo prima di tutto cercare di dare un modello matematicoper la classe delle proposizioni relative allo stato quantistico ad un tempo t fissato, di un sistemaquantistico. Non sappiamo ancora come descrivere lo stato quantistico, ma sappiamo qualcosa,QM1 e QM2, riguardo alle grandezze quantistiche misurabili sul sistema quando ne e assegnatolo stato.

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Per il momento ci concentreremo su QM2. Sappiamo che esistono grandezze incompatibi-li. E immediato concludere che esistono proposizioni incompatibili: se A e B sono grandezzeincompatibili

P(A)J = “Il valore di A valutata sullo stato del sistema cade nell’insieme di Borel J ⊂ R” ,

P(B)K = “Il valore di B valutata sullo stato del sistema cade nell’insieme di Borel K ⊂ R” ,

sono in generale proposizioni incompatibili: i valori di verita di tali proposizioni si disturbanoa vicenda eseguendo la verifica di esse ripetutamente in successione con intervalli di tempo pic-coli a piacere, in modo da non imputare il fenomeno all’evoluzione dello stato del sistema. Lemisure sperimentali di grandezze su un sistema fisico sono associate ad apparati di misura enon sempre esistono apparati di misura che possano misurare contemporaneamente grandezzefisiche distinte. Cio invece accade quando le grandezze sono una funzione dall’altra (es. l’energiaed il quadrato dell’energia). Risulta che le grandezze quantistiche incompatibili non sono maifunzioni una dell’altra e nemmeno che esistono apparati di misura in grado di misurarle con-temporaneamente. Non ha quindi alcun senso fisico, in questa situazione, affermare che le dueproposizioni considerate sopra, associate a grandezze fisiche incompatibili, possano assumeresul sistema un valore di verita contemporaneamente. Le due proposizioni, in questo senso sonodette incompatibili. Deve essere ben chiaro che quindi incompatibili non significa qui che le dueproposizioni non possono essere vere contemporaneamente, per cui, per esempio, la loro disgiun-zione e sempre falsa, ma significa molto piu fortemente, che non ha senso (fisico) formarne ladisgiunzione o la congiunzione di tali proposizioni ed attribuire ad esse qualsiasi valore di verita.Tale valore di verita non puo nemmeno essere definito con una procedura di limite misurandosuccessivamente le due grandezze perche esse “si disturbano” nel senso precisato.In altre parole, lo ripetiamo, non ha senso dare significato fisico a proposizioni del tipo P (A)

J OP(B)K

oppure P (A)J E P

(B)K perche non esiste, alcun modo sperimentale per attribuire valori di verita a

tali proposizioni. Non possiamo allora assumere il modello dell’insieme delle proposizioni datoda qualche reticolo (o σ-algebra) di insiemi in cui la disgiunzione e la congiunzione sono semprepossibili. Dovremmo imporre degli ulteriori vincoli su tale modello, vietando certi sottoinsiemi.Una procedura alternativa, che si e rivelata molto piu interessante e quella di modellizzare leproposizioni elementari tramite i proiettori ortogonali di uno spazio di Hilbert.

7.3.1 Reticoli di proiettori ortogonali su spazi di Hilbert.

L’insieme dei proiettori ortogonali su uno spazio di Hilbert gode di alcune interessantissime pro-prieta molto vicine a quelle dei reticoli booleani con alcune importanti differenze che consentonodi modellizzare le proposizioni incompatibili di sistemi quantistici. Non esamineremo la questio-ne a fondo, ma discuteremo solo alcune proprieta importanti. Prima di tutto notiamo alcuneproprieta molto interessanti che riguardano coppie di proiettori che commutano tra di loro.

Proposizione 7.3. Sia (H, ( | )) uno spazio di Hilbert e sia P(H) l’insieme dei proiettori orto-gonali su H.

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Valgono le proprieta che seguono per ogni coppia P,Q ∈ P(H).(a) I seguenti fatti sono equivalenti:

(i) P ≤ Q;(ii) P (H) e sottospazio di Q(H);(iii) PQ = P(iv) QP = P .

(b) I seguenti fatti sono equivalenti:(i) PQ = 0;(ii) QP = 0;(iii) P (H) e Q(H) sono ortogonali.

Se vale (i) oppure (ii) oppure (iii), P +Q e proiettore ortogonale e proietta su P (H)⊕Q(H).(c) Se PQ = QP allora PQ e proiettore ortogonale e proietta su P (H) ∩Q(H).(d) Se PQ = QP allora P + Q − PQ e proiettore ortogonale e proietta sul sottospazio chiuso< P (H), Q(H) >.

Prova. (a) Prima di tutto notiamo che se P e un proiettore che proietta su M , allora Pu = 0 see solo e u ∈M⊥ a causa della decomposizione diretta ortogonale H = M ⊕M⊥ ((d) in teorema3.1) e tenendo conto che il componente di u in M e proprio Pu.(i) ⇒ (ii). Se P ≤ Q allora (u|Qu) ≥ (u|Pu) ovvero essendo i proiettori idempotenti edautoaggiunti: (Qu|Qu) ≥ (Pu|Pu) che si puo anche scrivere come ||Qu|| ≥ ||Pu||. Quindi inparticolare Qu = 0 implica Pu = 0 ovvero Q(H)⊥ ⊂ P (H)⊥. Usando (e) di teorema 3.1 enotando che Q(H) e P (H) sono chiusi, troviamo infine che P (H) ⊂ Q(H).(ii) ⇒ (iii). Se S e una base hilbertiana per P (H) la si completi a base per Q(H) aggiungendol’insieme S′ di vettori ortogonali a S. Si tenga ora conto che, per (d) di proposizione 3.9, P = s-∑u∈S u(u| ) e Q = s-

∑u∈S∪S′ u(u| ). Dall’ortogonalita di S e S′, dal fatto che ciascuno di essi e

insieme ortonormale e infine dalla continuita del prodotto scalare segue immediatamente la tesiper controllo diretto.(iii) ⇔ (iv). Si ottengono una dall’altra prendendo l’aggiunto ad ambo membri.(iii) e (iv) ⇒ (i). Se u ∈ H, (u|Qu) = ((P + P⊥)u|Q(P + P⊥)u) dove P⊥ = I − P . Notiamoche P e P⊥ commutano con Q per (iii) e (iv) inoltre PP⊥ = P⊥P = 0. Sviluppando il secondomembro di

(u|Qu) = (u|(P + P⊥)Q(P + P⊥)u) ,

si ha, tenendo conto che alcuni termini sono nulli per quanto appena detto:

(u|Qu) = (u|PQPu) + (u|P⊥QP⊥u) .

D’altra parte, per (iii) e (iv): (u|PQPu) = (u|PPu) = (u|Pu). Concludiamo che:

(u|Qu) = (u|Pu) + (u|P⊥QP⊥u) .

e quindi (u|Qu) ≥ (u|Pu).(b) Supponiamo PQ = 0, prendendo l’aggiunto si ha che QP = 0, quindi si verifica immediata-mente che P (H) e Q(H) sono ortogonali essendo PQ = QP = 0. Se P (H) e Q(H) sono ortogonali,

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prendiamo in ciascuno di tali spazi una base hilbertiana N e N ′ rispettivamente, scrivendo iproiettori P e Q come indicato in (d) di proposizione 3.9: P =

∑u∈N (u| )u, Q =

∑u∈N ′(u| )u,

si ricava immediatamente che PQ = QP = 0. Usando le espressioni di P e Q scritte sopra,tenendo conto che N ∪ N ′ e una base hilbertiana per P (H) ⊕ Q(H) ed usando ancora (d) diproposizione 3.9 si ricava che P +Q e il proiettore ortogonale che proietta su P (H)⊕Q(H).(c) Il fatto che PQ sia proiettore ortogonale (cioe autoaggiunto ed idempotente) se PQ = QPdove P e Q sono proiettori ortogonali e di immediata verifica. Se u ∈ H, PQu ∈ P (H), ma anchePQu = QPu ∈ Q(H) e quindi PQu ∈ P (H)∩Q(H). Abbiamo provato che PQ(H) ⊂ P (H)∩Q(H),per concludere basta provare che P (H) ∩ Q(H) ⊂ PQ(H). Se u ∈ P (H) ∩ Q(H) allora Pu = ue Qu = u e quindi vale anche Pu = PQu = u ossia u ∈ PQ(H). Questo significa che seP (H) ∩Q(H) ⊂ PQ(H).(d) Il fatto che R := P +Q−PQ sia proiettore ortogonale e di immediata verifica. Consideriamolo spazio < P (H), Q(H) >. Possiamo costruire una base hilbertiana per tale spazio come segue.Per prima cosa costruiamo una base hilbertiana N per il sottospazio chiuso P (H)∩Q(H). Quindiaggiungiamo a questa una seconda base hilbertiana per lo spazio che “rimane in P (H) una voltatolto P (H) ∩Q(H)”, cioe costruiamo una base hilbertiana N ′ per lo spazio chiuso ortogonale inP (H) a P (H) ∩ Q(H): P (H) ∩ (P (H) ∩ Q(H))⊥. Infine costruiamo, con lo stesso criterio, unaterza base hilbertiana N ′′ per Q(H) ∩ (P (H) ∩Q(H))⊥. E facile convincersi che le tre basi sonoa due a due ortogonali e insieme costituiscono una base per < P (H), Q(H) >. Tutto cio mostrache vale la decomposizione diretta ed ortogonale

< P (H), Q(H) > = (P (H) ∩Q(H))⊕ (P (H) ∩ (P (H) ∩Q(H))⊥)⊕ (Q(H) ∩ (P (H) ∩Q(H))⊥) .

Nelle nostre ipotesi, il proiettore sul primo spazio della decomposizione e PQ per (c). Il proiettoresu (P (H)∩Q(H))⊥) e quindi I−PQ. Quindi, applicando nuovamente (c), il proiettore ortogonalesul secondo addendo della decomposizione e P (I − PQ) = P − PQ. Similmente, il proiettoresul terzo addendo della decomposizione e Q(I − PQ) = Q − PQ. Applicando (b), il proiettoresulla somma diretta ortogonale dei tre spazi detti, cioe su < P (H), Q(H) > sara:

PQ+ (P − PQ) + (Q− PQ) = P +Q− PQ .

Questo conclude la dimostrazione. 2

In base a quanto dimostrato, consideriamo due proiettori ortogonali P,Q ∈ P(H) che commutanoe assumiamo di associare a tali proiettori delle proposizioni sul sistema fisico indicate con le stesselettere. Se facciamo le associazioni

P EQ ←→ PQ ,

P OQ ←→ P +Q− PQ ,

aP ←→ I − P ,

i secondi membri delle associazioni scritte sopra sono ancora proiettori ortogonali. Inoltre questiproiettori soddisfano proprieta formalmente identiche a quelle delle proposizioni costruite con

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connettivi logici. Per esempio, risulta subito che a (P EQ) =aP O aQ. Infatti:

aPO aQ←→ (I−P )+(I−Q)−(I−P )(I−Q) = 2I−P−Q−I+PQ+P+Q = I−PQ←→a (PEQ).

ed in tal modo si possono verificare tutte le relazioni che abbiamo scritto precedentemente,quando si lavora con proiettori commutanti. Si osservi ancora che se P e Q commutano e P ≤ Qallora PQ = QP = P e P + Q − PQ = Q per cui, se pensiamo P,Q, PQ,P + Q − PQ comeproposizioni sul sistema, quando P ≤ Q, dobbiamo attribuire a PQ e P + Q − PQ gli stessivalori di verita che assume P . Questo fatto e analogo, tenendo conto delle associazioni di sopra,a quanto accade a P EQ e P OQ nelle situazioni in cui Q e conseguenza logica di P .La differenza sostanziale tra i proiettori ortogonali e le proposizioni di un sistema classico e perola seguente. Se i proiettori P e Q non commutano, PQ e P + Q − PQ non sono nemmenoproiettori in generale, per cui le associazioni sopra proposte non hanno significato.Tutto cio sembra molto interessante per il nostro fine di cercare un modello per le proposizionidei sistemi quantistici tenendo conto di QM2. L’idea e che:le proposizioni dei sistemi quantistici sono in corrispondenza biunivoca con proiettori ortogonaliin uno spazio di Hilbert in modo tale che:

(i) la relazione di conseguenza logica tra proposizioni P e Q (ossia che P ⇒ Q) corrispondaalla relazione P ≤ Q tra i corrispondenti proiettori;

(ii) due proposizioni sono compatibili se e solo se i rispettivi proiettori commutano.

Nota. Prima di procedere ulteriormente chiariamo un punto sulla natura dei proiettori ortogo-nali commutanti. Dai punti (a) e (b) della proposizione 7.3 si potrebbe sospettare che gli unicicasi in cui due proiettori ortogonali P e Q commutino siano quando: (a) gli spazi su cui pro-iettano sono uno incluso nell’altro, oppure, (b) gli spazi su cui proiettano sono reciprocamenteortogonali.Mostriamo con un esempio concreto che ci sono altre possibilita. Consideriamo lo spazioL2(R2, dx⊗ dy) dove dx e dy sono la misura di Lebesgue sulla retta reale. Consideriamo gli in-siemi del piano: A = (x, y) ∈ R2 | a ≤ x ≤ b, con a < b fissati, e B = (x, y) ∈ R2 | c ≤ y ≤ d,con c < d fissati. Se G ⊂ R2 e misurabile, definiamo l’operatore lineare

PG : L2(R2, dx⊗ dy)→ L2(R2, dx⊗ dy)

definito da PGf = χG · f per ogni f ∈ L2(R2, dx ⊗ dy), dove χG e, al solito, la funzionecaratteristica di G e · indica il prodotto di funzioni punto per punto. L’operatore PG e unproiettore ortogonale come e facile provare. Inoltre si verifica subito che

PG(L2(R2, dx⊗ dy)) = f ∈ L2(R2, dx⊗ dy) | ess supp f ⊂ G ,

dove ess supp f e il supporto essenziale di f , dato, come ben noto, dal complemento dell’unionedegli aperti sui quali f e nulla quasi ovunque. E allora immediato verificare che nessuno dei duespazi di proiezione PA(L2(R2, dx⊗ dy)) e PB(L2(R2, dx⊗ dy)) e incluso nell’altro e nemmeno idue spazi di proiezione sono ortogonali. Tuttavia vale

PAPB = PBPA = PA∩B .

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Se l’idea della corrispondenza tra proposizioni di sistemi quantistici e proiettori ortogonali su unopportuno spazio di Hilbert e sensata, le similitudini strutturali tra i costrutti con i proiettoriortogonali e quelli dell’algebra di Boole σ-completa delle proposizioni deve valere anche quandosi considerino piu di due proposizioni. In particolare, ci si aspetta di trovare una strutturadi reticolo distributivo, limitato, ortocomplementato (ed eventualmente σ-completo) in qualcheinsieme opportunamente scelto di proiettori rappresentante proprieta compatibili a due a due.Il teorema seguente, oltre ad asserire che lo spazio di tutti i proiettori ortogonali e un reticolo(non distributivo in generale), mostra che e davvero cosı.Se abbiamo un insieme, P(H), di proiettori ortogonali a due a due commutanti, e facile provarecon il Lemma di Zorn (vedi Appendice A) che esiste anche un insieme P0(H) di proiettori or-togonali che include l’insieme P(H) e che e massimale rispetto alla condizione di commutativita(cioe ogni proiettore ortogonale che commuta con gli elementi di P0(H) e contenuto in P0(H)).

Teorema 7.1. Sia H spazio di Hilbert.(a) La classe dei proiettori ortogonali su H, P(H), e un reticolo limitato, ortocomplementato,σ-completo e, in generale, non distributivo. Piu precisamente:

(i) la relazione d’ordine e la relazione d’ordine ≥ tra proiettori,(ii) il massimo ed il minimo di P(H) sono: I (operatore identita) e 0 (operatore nullo)

rispettivamente,(iii) l’operazione di ortocomplemento del proiettore ortogonale P corrisponde a

¬P = I − P . (7.5)

(iv) P(H) non e distributivo se dimH ≥ 2.(b) In P(H) valgono i seguenti ulteriori fatti:

(i) se P,Q ∈ P(H) commutano, allora:

P ∧Q = PQ , (7.6)P ∨Q = P +Q− PQ , (7.7)

(ii) se Qnn∈N ⊂ P(H) e costituito da elementi a due a due commutanti, allora:

∨n∈NQn = s- limn→+∞

Q0 ∨ · · · ∨Qn , (7.8)

∧n∈NQn = s- limn→+∞

Q0 ∧ · · · ∧Qn , (7.9)

indipendentemente dall’ordine con cui si etichettano i Qn.(c) Sia P0(H) ⊂ P(H) un insieme di proiettori ortogonali a due a due commutanti e sia P0(H)massimale rispetto alla condizione di commutativita, allora vale quanto segue:

(i) P0(H) e un reticolo limitato, ortocomplementato, σ-completo e distributivo – ossia unaσ-algebra di Boole – rispetto alla relazione d’ordine ≥;

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(ii) il minimo, il massimo di P0(H), l’ortocomplemento di elementi di P0(H), l’estremo in-feriore e quello superiore di insiemi al piu numerabili di P0(H), esistono in P0(H) e coincidonocon i corrispondenti elementi calcolati rispetto P(H).(d) Piu in generale se P0(H) ⊂ P(H) e un insieme di proiettori ortogonali a due a due commu-tanti, ma non necessariamente massimale, soddisfacente la proprieta (ii) in (c), allora P0(H) euna σ-algebra di Boole rispetto alla relazione d’ordine ≥.

Prova. (a) Ricordiamo che ≥ e una relazione d’ordine parziale in P0(H) per (f) di proposizione3.8. Si tenga quindi conto di (a) di proposizione 7.3, per cui:

P ≤ Q se e solo se P (H) ⊂ Q(H) (7.10)

In tal modo la relazione d’ordine parziale sui proiettori ortogonali corrisponde biunivocamentea quella dei relativi sottospazi di proiezione. La classe dei sottospazi chiusi di H e un reticolo: seM,N sono sottospazi chiusi, l’estremo superiore ed inferiore di tale coppia sono rispettivamenteM ∨ N = < M,N > e M ∧ N = M ∩ N. Proviamolo. < M,N > e un sopraspazio chiuso di M edN per costruzione, inoltre, se L e un sopraspazio chiuso di M e di N, deve contenerli entrambie quindi contiene < M,N >, quindi M ∨ N = < M,N >. M ∩ N e un sottospazio chiuso di Med N per costruzione, inoltre, se L e un sottospazio chiuso contenuto in M ed N, deve esserecontenuto in M ∩ N, quindi M ∧ N = M ∩ N. Passando ai proiettori ed usando (7.10), avremoche se P,Q ∈ P(H), P ∨ Q e il proiettore ortogonale che proietta su < P (H), Q(H) >, mentreP ∧ Q e il proiettore ortogonale che proietta su P (H) ∩ Q(H). Si osservi che la dimostrazionecon le stesse argomentazioni, puo essere estesa immediatamente al caso di una famiglia finitao numerabile di proiettori ortogonali Pii∈I . In tal caso: ∨i∈IPi e il proiettore ortogonale cheproietta su < Pi(H)i∈I > e ∧i∈IPi e il proiettore ortogonale che proietta su ∩i∈IPi(H) per cui ilreticolo dei proiettori ortogonali e quello dei sottospazi chiusi sono entrambi σ-completi. E chiaroche, nel reticolo dei sottospazi chiusi, il minimo ed il massimo sono, rispettivamente 0 e H.Passando al reticolo dei proiettori ortogonali tramite (7.10), si ha che il minimo ed il massimosono, rispettivamente, il proiettore ortogonale che proietta su 0, cioe l’operatore nullo, edil proiettore su H che coincide con l’operatore identita. L’ortocomplementazione di proiettori¬P := I − P , corrisponde all’ortocomplementazione di sottospazi chiusi per (b) di proposizione3.9: ¬P (M) := P (M)⊥. La verifica delle proprieta dell’operazione di ortocomplementazioneper sottospazi (e quindi per proiettori) e allora immediata tenendo conto di (b), (d) ed (e) nelteorema 3.1.Diamo infine un controesempio per provare che il reticolo dei sottospazi chiusi, e quindi anchequello dei proiettori ortogonali, non e distributivo.Consideriamo un sottospazio bidimensionale S di uno spazio di Hilbert H con dimensione ≥ 2.Possiamo identificare con C2 tale sottospazio scegliendo in esso una base ortonormale e1, e2.Si considerino quindi i tre sottospazi di S, H1 :=< e1 >, H2 :=< e2 >, H3 :=< e1 + e2 >. ValeH1 ∧ (H2 ∨ H3) = H1 ∧ S = H1, ma (H1 ∧ H2) ∨ (H1 ∧ H3) = 0 ∨ 0 = 0. Per cui:

H1 ∧ (H2 ∨ H3) 6= (H1 ∧ H2) ∨ (H1 ∧ H3) .

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(b) e (c) Se i proiettori ortogonali P e Q commutano, oppure se i proiettori ortogonali Qnn∈Ncommutano a due a due, per il Lemma di Zorn, esiste sempre un insieme massimale di proiettoriortogonali commutanti a due a due P0(H) che contiene P e Q oppure, rispettivamente, Qnn∈N.Con tale precisazione possiamo provare (b) e (c) contemporaneamente, scegliendo un tale P0(H)arbitrariamente nella prova di (b).E chiaro che 0 e I appartengono a P0(H) dato che commutano con tutti gli elementi di P0(H).La stessa cosa accade per ¬P = I − P se P ∈ P0(H). Bisogna ora provare che, per ognicoppia di proiettori P,Q ∈ P0(H), esistono l’estremo superiore e quello inferiore per l’insiemeP,Q nello spazio P0(H), che questi si calcolano come detto in (b) e che, infine, tali proiettoricoincidono con l’estremo superiore e quello inferiore per l’insieme P,Q nello spazio P(H). Leproprieta di distributivita di ∨ e ∧ seguono facilmente dalle formule (7.7) e (7.6), dalle proprietadi commutativita dei proiettori e dal fatto che i proiettori ortogonali soddisfano la proprieta diidempotenza PP = P .Tenendo conto di (c) di proposizione 7.3, il proiettore su M∩N , che corrisponde a P∧Q in P(H),e proprio PQ che appartiene a P0(H) perche, per costruzione, commuta con tutti i proiettori diP0(H) e tale insieme e massimale. Concludiamo che

P ∧Q := infP0(H)

P,Q = infP(H)P,Q = PQ .

Dato che P e Q commutano per ipotesi, il proiettore su < M,N >, che corrisponde a P ∨ Qcalcolato in P(H), e P +Q−PQ per (d) di proposizione 7.2 e tale proiettore appartiene a P0(H)perche commuta con tutti i proiettori di P0(H). Concludiamo, come sopra, che

P ∨Q := supP0(H)

P,Q = supP(H)P,Q = P +Q− PQ :

Quindi P0(H) e un’algebra di Boole.Mostriamo per concludere che P0(H) e σ-completo. Consideriamo una famiglia numerabile diproiettori Qnn∈N ed associamo a ciascuno dei Qn il nuovo proiettore Pn definito induttivamentecome P0 := Q0 e, per n = 1, 2, . . .:

Pn := Qn(I − P1 − . . .− Pn−1) .

Si verifica facilmente per induzione che:(i) PnPm = 0 se n 6= m;(ii) Q1 ∨ · · · ∨ Qn = P1 ∨ · · · ∨ Pn = P1 + · · · + Pn per n = 0, 1, . . .. Si osservi che allora, sedefiniamo gli operatori limitati:

An := P1 + · · ·+ Pn

risulta subito che:(iii) An = A∗n e AnAn = An per ogni n = 0, 1, . . ., cioe gli An sono proiettori ortogonali per cuiin particolare An ≤ I, per ogni n = 0, 1, . . . per (e) di proposizione 3.9.(iv) An ≤ An+1 per ogni n = 0, 1, . . .,Per la proposizione 3.11 esiste l’operatore limitato autoaggiunto Q dato dal limite forte

A = s- limn→+∞

Pn = s- limn→+∞

Q0 ∨ · · · ∨Qn .

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E immediato verificare dall’espressione di sopra che AA = A, per cui A e ancora un proiettoreortogonale che appartiene a P0(H) in quanto e limite (forte) di operatori che commutano contutti gli elementi di P0(H). Vale, sempre per la proposizione 3.11, An ≤ A e quindi in particolareQn ≤ Q1 ∨ · · · ∨ Qn ≤ A per ogni n ∈ N. Mostriamo che A e l’estremo superiore della classedei Qn, sia in P(H) che in P0(H). Supponiamo che il proiettore ortogonale K ∈ P(H) soddisfiK ≥ Qn per ogni n ∈ N. Questo significa che KQn = Qn per (a) di proposizione 6.3. Allora,dalla definizione degli operatori Pn, vale anche KPn = Pn e quindi KAn = An, per cui K ≥ Anper ogni naturale n per (a) di proposizione 7.3. La proposizione 3.11 assicura allora che K ≥ A.In altre parole A ∈ P0(H) e un maggiorante della classe dei Qn ed ogni altro maggioranteK ∈ P(H) maggiora A. Per definizione di estremo superiore A = supP(H)Qnn∈N =: ∨n∈NQn.Dato che A ∈ P0(H), A sara anche estremo superiore in P0(H). E chiaro che nell’identitaprovata sopra:

∨n∈NQn = s- limn→+∞

Q0 ∨ · · · ∨Qn

e irrilevante l’ordine con cui sono stati etichettati i Qn dato che il primo membro, cioe l’estremosuperiore dell’insieme Qnn∈N, non dipende dall’ordine con cui si etichettano gli elementi del-l’insieme per definizione. La formula (7.9) si dimostra facilmente usando ¬ e formula (7.8) perl’estremo superiore.La prova di (d) e immediata tenendo semplicemente conto che la commutativita implica la di-stributivita del reticolo direttamente da (i) e (ii) di (b). 2

Questa proposizione conclude la nostra brevissima introduzione alla teoria dei reticoli ed allesue relazioni con la formulazione della Meccanica Quantistica. Essa mostra che ha o puo averesenso pensare di associare proiettori ortogonali a proposizioni relative a sistemi quantistici,descrivendo l’incompatibilita tra proposizioni in termini di non commutativta dei proiettoriassociati. In questo contesto si ritrova anche la struttura classica restringendosi a lavorare ininsiemi di proiettori commutanti massimali oppure, piu generalmente, che soddisfino la richiesta(ii) in (c) nella tesi del teorema. Ci si puo chiedere se sia possibile dare delle motivazioni piuprofonde per la scelta di descrivere le proprieta dei sistemi fisici quantistici tramite un reticolo diproiettori ortogonali che non siano la semplice risposta “perche funziona”. Importanti, sebbeneparziali, risultati in questa direzione sono stati ottenuti da diversi autori (tra cui G. Makey) apartire dal celebre lavoro di C. Piron “Axiomatique Quantique” Helv. Phys. Acta 37 439-468(1964).E importante precisare che quanto visto in questo capitolo e solo un piccolo ed informale passoverso le diverse formulazione della Logica Quantistica (o logiche quantistiche) della quale non cioccuperemo. Si vedano a tal proposito [DCGi02, EGL09] oltre che [Bon97]. L’unica cosa chepossiamo dire e che per costruire le logiche quantistiche si preferisce considerare i sottospazi sucui proiettano i proiettori ortogonali piuttosto che i proiettori stessi. La struttura di reticolonell’insieme dei sottospazi chiusi indotta dall’inclusione insiemistica non e altro che quella deiproiettori di P(H) rispetto alla relazione d’ordine parziale tra operatori limitati ≥, come vistonella dimostrazione del teorema precedente. Il reticolo che si viene a costruire in questo modo,come accade per il corrispondente reticolo di proiettori ortogonali, soddisfa tutte le ipotesi che

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definiscono una σ-algebra di Boole eccetto la proprieta distributiva. Soddisfa invece una proprietadifferente che produce la struttura di reticolo ortomodulare, limitato e σ-completo. Un puntoimportante e il seguente.Per noi R := P ∧Q indica solo il proiettore che proietta sull’intersezione dei sottospazi associatia P e Q. R puo avere o meno senso fisico come proposizione sul sistema, ma non corrispondealla proposizione P EQ quando P e Q sono associati a proposizioni mutuamente incompatibili.Viceversa, nell’approccio dovuto a von Neumann e Birkhoff, che corrisponde alla cosiddetta logicaquantistica standard, ∨ e ∧ vengono usati come veri e propri connettivi (soddisfacenti un’altraalgebra rispetto ai connettivi usuali), anche quando connettono proiettori che corrispondono aproposizioni incompatibili per cui non esistono sistemi di misura in grado di assegnare a P e Qun valore di verita contemporaneamente. Il significato fisico di tali connettivi e pertanto pocochiaro. Per questa ragione il punto di vista della Logica Quantistica standard e stato criticatodai fisici (vedi il cap. 5 di [Bon97] per una discussione approfondita). In realta vi sono almenotre questioni che hanno portato allo stallo se non al fallimento del programma di Birkhoff evon Neumann di trovare l’impostazione fisica piu profonda della Meccanica Quantistica in unaLogica Quantistica basata sulla teoria dei reticoli ortomodulari.

(a) La mancanza di distributivita della Logica Quantistica rende difficile l’interpretazione delformalismo in termini di una struttura logica.

(b) A dispetto di grandi sforzi, non sembra possibile una ragionevole generalizzazione dell’o-peratore implicazione e quindi non c’e un vero sistema deduttivo nella Logica Quantistica.

(c) La Logica Quantistica e rimasta un linguaggio proposizionale, dato che non e stato pos-sibile trovare una estensione alla logica dei predicati.

Negli ultimi anni, diversi autori (in particolare C. Isham, N.P. Landsman e collaboratori) hannointrodotto nuovi approcci formali, in un certo senso piu profondi, della Logica Quantistica a laBirkhoff e von Neumann, in particolare impiegando la teoria dei topos1.

7.4 Le proposizioni e gli stati relativi a sistemi quantistici.

In questa sezione daremo i primi due assiomi della formulazione generale della Meccanica Quan-tistica, precisando come sono descritte matematicamente le proposizioni dei sistemi quantistici egli stati dei sistemi quantistici facendo uso di un opportuno spazio di Hilbert. Caratterizzeremotali stati attraverso un importante teorema dovuto a Gleason. Infine mostreremo che gli statiquantistici formano un insieme convesso e possono essere costruiti come combinazioni lineari distati estremali detti stati puri che sono in corrispondenza biunivoca con gli elementi (raggi) dellospazio proiettivo associato allo spazio di Hilbert del sistema fisico.

1Vedi ad esempio: C. Heunen, N.P. Landsman, B. Spitters, A topos for algebraic quantum theory,arXiv:0709.4364v2 [quant-ph], April 6, 2008.

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7.4.1 Proposizioni e stati di sistemi quantistici: il teorema di Gleason.

In base a quanto visto nella sezione precedente, assumeremo il seguente assioma della MeccanicaQuantistica, dove come gia fatto precedentemente, indichiamo con la stessa lettera proposizionie proiettori corrispondenti.

A1. Le proposizioni riguardanti un sistema quantistico S sono in corrispondenza biunivoca con(un sottoinsieme de) il reticolo (rispetto all’inclusione di sottospazi) P(HS) dei proiettori orto-gonali di uno spazio di Hilbert (complesso) e separabile HS, detto spazio di Hilbert associatoad S. Inoltre:(1) La compatibilita tra proposizioni corrisponde alla commutativita dei rispettivamente asso-ciati proiettori ortogonali;(2) l’implicazione logica tra due proposizioni compatibili P ⇒ Q corrisponde alla relazioneP ≤ Q per i proiettori associati;(3) I (operatore identita) e 0 (operatore nullo) corrispondono rispettivamente alla proposizionesempre vera ed a quella sempre falsa;(4) la negazione di una proposizione P , ¬P corrisponde al proiettore ortogonale ¬P = I − P ;(5) solo quando le proposizioni P e Q sono compatibili le proposizioni P O Q e P E Q hannosenso fisico e corrispondono rispettivamente ai proiettori ortogonali P ∨Q e P ∧Q;(6) se Qnn∈N e un insieme numerabile di proposizioni a due a due compatibili, hanno sensofisico le proposizioni corrispondenti a ∨n∈NQn e ∧n∈NQn.

Nota. La richiesta che lo spazio HS sia separabile verra chiarita piu avanti quando considereremosistemi quantistici concreti e daremo una rappresentazione esplicita di HS .Malgrado la questione sia alquanto sottile d’ora in poi assumeremo che il sottoinsieme di P(HS)che descrive le proposizioni del sistema sia effettivamente tutto P(HS).Possiamo anche dare un secondo assioma che riguarda gli stati quantistici. L’idea, basata suQM1 e QM2 (e sulle successive osservazioni) e che uno stato quantistico al tempo t assegnila “probabilita” che sia vera ogni proposizione del sistema. L’idea e quella di generalizzare ilconcetto di misura σ-additiva di probabilita. Invece di definirla su una σ-algebra, la dobbiamopensare come definita sull’insieme dei proiettori associati alle proposizioni sul sistema. Sappia-mo che ogni insieme massimale di proposizioni compatibili definisce un’algebra di Boole σ-finita,che e una generalizzazione di una σ-algebra su cui si definiscono le misure. La richiesta naturalee quindi la seguente.

A2 (forma provvisoria). Uno stato ρ al tempo t su un sistema quantistico S e un’applicazioneρ : P(HS)→ [0, 1] tale che:(1) ρ(I) = 1;(2) se Pii∈N ⊂ P(HS) soddisfa: PiPj = 0 per i 6= j, allora

ρ

(s-

+∞∑i=0

Pi

)=

+∞∑i=0

ρ(Pi) .

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Note.(1) La richiesta (1) dice semplicemente che la proposizione sempre vera ha probabilita certa diessere vera su ogni stato.(2) La richiesta (2) vale evidentemente anche per proposizioni in numero finito: e sufficiente chedefinitivamente Pi = 0.(3) La richiesta (2) puo essere riscritta come:

ρ (∨i∈NPi) =+∞∑i=1

ρ(Pi) ,

per ogni classe di proposizioni Pii∈N ⊂ P(HS) compatibili e che si escludono a vicenda a duea due, per cui

∑+∞i=0 Pi = ∨i∈NPi esiste sempre per la teorema 7.1. (La prova dell’esistenza di∑+∞

i=0 Pi e comunque la seguente. Nelle ipotesi fatte, le ridotte della serie definiscono operatoriautoaggiunti idempotenti e quindi proiettori ortogonali. Quindi

∑Ni=0 Pi ≤ I per (e) della propo-

sizione 3.9. Inoltre∑N+1i=0 Pi ≥

∑Ni=0 Pi come e immediato provare. Quindi per la proposizione

3.11 esiste il limite in senso forte della successione delle ridotte. E immediato provare che talelimite e ancora idempotente ed autoaggiunto per cui e un proiettore ortogonale.)(4) E chiaro che ogni stato ρ determina l’equivalente di una misura positiva σ-additiva di proba-bilita in ogni insieme massimale di proiettori commutanti P0(Hs) che, come visto, e una direttageneralizzazione del concetto di σ-algebra. In questo senso abbiamo definito un’estensione delconcetto di misura di probabilita.(5) Il lettore deve essere messo in guardia dall’idea di identificare la “misura di probabilita”ρ con una vera misura di probabilita su una σ-algebra. Il fatto che ora consideriamo ancheproposizioni incompatibili nel senso quantistico cambia completamente le regole della probabilitacondizionata. La probabilita che sia vera P quando e verificata Q segue delle regole diverse daquelle in teoria della probabilita classica se P e Q sono incompatibili nel senso quantistico.

Commento importante. Quando assegniamo uno stato ci saranno dunque delle proposizionicon probabilita 1 di essere verificate se il sistema viene sottoposto a processo di misura rispettoa tali proposizioni, e proposizioni con probabilita inferiore a 1 di essere verificate se il sistemaviene sottoposto a processo di misura rispetto a tali proposizioni. Riguardo alle prime proposi-zioni, possiamo pensare che esse corrispondano a proprieta che il sistema effettivamente abbianello stato considerato. Assumendo l’interpretazione standard della Meccanica Quantistica, incui la probabilita non ha significato epistemico, dobbiamo concludere che le proprieta relativealle seconde proposizioni non sono definite nello stato considerato.Un esempio importante dal punto di vista fisico e il seguente. Consideriamo le proposizioni PEche corrispondono alla proprieta di un sistema fisico dato da una particella quantistica descrittasulla retta reale: “la particella ha posizione nel boreliano E ∈ R”. Se lo stato ρ del sistemaassegna ad ogni PE , con E limitato, probabilita inferiore a 1 (ed e facile esibire uno di questistati come vedremo piu avanti trattando il principio di indeterminazione di Heisenberg che comevedremo e un teorema) dobbiamo concludere che la posizione della particella, nello stato ρ, non

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e definita.Da questo punto di vista risulta chiaro che la descrizione spaziale delle particelle come punti diuna varieta (in questo caso R) che rappresenta “lo spazio”, non gioca piu un ruolo centrale comeaccadeva in fisica classica. In un certo senso tutte le proprieta (che possono assumere valoridiversi a seconda dello stato) di un sistema fisico sono messe sullo stesso piano e lo “spazio” incui descrivere il sistema ed i suoi stati e uno spazio di Hilbert.

Dal punto di vista matematico la domanda che dobbiamo porci immediatamente e se esistanodavvero applicazioni ρ che godano delle proprieta enunciate in A2.Dato uno spazio di Hilbert separabile H, mostriamo che esistono applicazioni ρ : P(H) → [0, 1]tale che:(1) ρ(I) = 1;(2) se Pii∈N ⊂ P(H) soddisfa: PiPj = 0 per i 6= j, allora

ρ

(s-

+∞∑i=0

Pi

)=

+∞∑i=0

ρ(Pi) .

Proposizione 7.5. Sia H spazio di Hilbert separabile e T : H → H un operatore di classetraccia, positivo (e quindi autoaggiunto) con traccia di valore 1. Se definiamo ρT : P(H) → Rcome ρT (P ) := tr(TP ) per ogni P ∈ P(H) allora:(a) ρT (P ) ∈ [0, 1] per ogni P ∈ P(H),(b) ρT (I) = 1,(c) se Pii∈N ⊂ P(H) soddisfa: PiPj = 0 per i 6= j, allora

ρT

(s-

+∞∑i=0

Pi

)=

+∞∑i=1

ρT (Pi) .

Prova. Notiamo che TP e di classe traccia per ogni P ∈ P(H) per (b) del teorema 4.7 essendoP limitato, per cui ha senso calcolare tr(TP ). La positivita di T assicura che gli autovalori diT sono tutti reali non negativi ((c) in proposizione 3.8). Mostriamo che in realta gli autovaloricadono tutti in [0, 1]. T e un operatore compatto autoaggiunto (in quanto positivo). Usando ladecomposizione vista nel teorema 4.4, tenendo conto che |A| = A (perche A ≥ 0), e che quindi,nella decomposizione polare di A = U |A|, vale U = I, troviamo:

T =∑

λ∈σp(A)

mλ∑i=1

λ (uλ,i| ) uλ,i .

Sopra σp(A) e l’insieme degli autovalori di A e, se λ > 0, uλ,ii=1,...,mλ e una base dell’autospazioassociato a λ ∈ σp(A). Infine, la convergenza e nella topologia uniforme. Possiamo riscrivere lo

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sviluppo di sopra comeT =

∑j

λj(uj | )uj . (7.11)

dove abbiamo etichettato su N (o su un suo sottoinsieme finito se dim(H) < +∞) l’insieme degliautovettori uj = uλ,i, con λ > 0, denotando con λj l’autovalore di uj ed abbiamo completato abase hilbertiana di H l’insieme degli autovettori detti aggiungendo una base per il nucleo di T(la base complessiva e comunque al piu numerabile perche H e separabile).Calcolando la traccia di T sulla base degli uj , nelle nostre ipotesi abbiamo

1 = tr(T ) =∑j

λj ,

per cui λj ∈ [0, 1]. Si osservi che l’identita di sopra prova anche (b) essendo TI = I. Sia oraP ∈ P(H), Calcolando la traccia di TP sulla base detta:

tr(TP ) =∑j

λj(uj |Puj) .

Dato che (uj |Puj) = (Puj |Puj), abbiamo che 0 ≤ (uj |Puj) ≤ ||P ||2||uj ||2 ≤ 1. dove abbiamotenuto conto del fatto che ||uj || = 1 e che ||P || ≤ 1 ((e) in proposizione 3.9). In definitiva:

0 ≤∑j

λj(uj |Puj) ≤∑j

λj = 1

per cui vale (a).Proviamo (c). Scegliamo una base hilbertiana ui,jj∈Ii in ogni spazio Pi(H). Lasciamo allettore la verifica del fatto che, nelle nostre ipotesi, B := ui,jj∈Ii,i∈N e una base hilbertianaper il sottospazio chiuso su cui proietta il proiettore ortogonale P = s-

∑+∞i=0 Pi. Possiamo quindi

completare B a base hilbertiana di H unendola con una base hilbertiana B′ di P (H)⊥. Usandola continuita di T e (d) di proposizione 3.9:

ρT (P ) = tr

[T

(s-∑u∈B

(u| )u

)]= tr

(s-∑u∈B

(u| )Tu

).

Ora calcoliamo la traccia usando la base hilbertiana B ∪B′

ρT (P ) =∑

v∈B∪B′

v

∣∣∣∣∣∣∑u∈B(u|v)Tu

=∑u∈B

(u |Tu) . (7.12)

dove si e tenuto conto del fatto che, se u, v ∈ B ∪ U ′, (v|u) = δuv ed inoltre gli elementi di Bsono ortogonali a quelli di B′. Con una analoga procedura troviamo che

+∞∑i=1

ρT (Pi) =+∞∑i=1

Ii∑j=1

(ui,j |Tui,j) .

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Possiamo sempre ingrandire ogni insieme Ii fino a N definendo ui,j := 0 se j > sup Ii. In talcaso possiamo scrivere:

+∞∑i=1

ρT (Pi) =+∞∑i=1

∞∑j=1

(ui,j |Tui,j) =∫

Ndµ(i)

∫N

(ui,j |Tui,j)dµ(j) .

dove µ e la misura che conta i punti in N e si e tenuto conto di (c) di proposizione 3.2, notandoche (ui,j |Tui,j) ≥ 0 per ogni coppia i, j e quindi anche

∫N (ui,j |Tui,j)dµ(j) ≥ 0 per ogni i. Con

la stessa interpretazione l’ultima somma in (7.12) puo essere vista come

ρT (P ) =∑u∈B

(u |Tu) =∫

N×N(ui,j |Tui,j ) dµ(i)⊗ dµ(j) .

Dato che i numeri (ui,j |Tui,j) sono non negativi e che l’integrale di sopra e convergente, ilteorema di Fubini-Tonelli, assicura che

+∞∑i=1

ρT (Pi) =∫

Ndµ(i)

∫N

(ui,j |Tui,j)dµ(j) =∫

N×N(ui,j |Tui,j ) dµ(i)⊗ dµ(j) = ρT (P ) ,

che e l’enunciato nel punto (c). 2

Il seguente notevolissimo teorema dovuto a Gleason (J. of Math. and Mech. 6, 885-893 (1957))porta ad una caratterizzazione completa delle funzioni che soddisfano l’assioma A2.

Teorema 7.2 (Gleason). Sia H uno spazio di Hilbert di dimensione finita ≥ 3, oppure sepa-rabile e di dimensione infinita.Per ogni funzione µ : P(H)→ [0,+∞) con µ(I) < +∞ e tale che soddisfa (2) in A2, esiste unoperatore T : H→ H di classe traccia e positivo tale che:

µ(P ) = tr(TP )

per ogni P ∈ P(H).

Traccia della dimostrazione.Gleason definisce una frame function non negativa su uno spazio di Hilbert sottodimensionaleseparabile o di dimensione finita, H, come una funzione f a valori reali non negativi con dominiodato dalla (superficie della) sfera unitaria di H, tale che, se xii∈I e una base hilbertiana:∑

i∈If(xi) < +∞ .

Quindi dimostra, usando risultati di von Neumann, che ogni frame function non negativa, f , suuno spazio di Hilbert separabile o di dimensione finita ≥ 3 ammette un operatore limitato edautoaggiunto T per cui f(x) = (x|Tx) per ogni vettore di norma unitaria x.

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Consideriamo quindi il proiettore ortogonale Px := (x| ) x associato ad un vettore di normaunitaria. E immediato verificare che, nelle nostre ipotesi su µ, f(x) := µ(Px) definisce unaframe function non negativa al variare di x, dato che µ ≥ 0 ed inoltre risulta

∑i

f(xi) =∑i

µ(Pxi) = µ

(∑i

Pxi

)= µ (I) < +∞ .

Allora ci deve essere un operatore autoaggiunto T tale che

µ(Px) = (x|Tx)

per ogni vettore unitario x. Dato che (x|Tx) ≥ 0 per ogni x, T risulta essere un operatorepositivo e quindi T = |T |, essendo T = T ∗ e

√T 2 = T per l’unicita delle radici quadrate

positive. Se xii∈I e una base hilbertiana per H, nelle nostre ipotesi su µ deve valere:

+∞ > µ(I) =∑i

(xi|Txi) =∑i

(xi| |T |xi) .

Per definizione di operatore di classe traccia (definizione 4.4), T = |T | e dunque un operatore diclasse traccia. Sia infine P ∈ P(H). Possiamo scegliere una base Hilbertiana di P (H): xii∈Je completarla a base Hilbertiana di H aggiungendo una base hilbertiana xii∈J ′ di P (H)⊥.Abbiamo i seguenti fatti: J e numerabile (o finito) per il teorema 3.7, inoltre

P = s-∑i∈J

Pxi

per (d) di proposizione 3.9, infinePxiPxj = 0

se i 6= j sono elementi di J . Allora, dato che Pxi = xi se i ∈ J e Pxi = 0 se i ∈ J ′:

µ(P ) =∑i∈J

µ(Pxi) =∑i∈J

(xi|Txi) =∑

i∈J∪J ′(xi|TPxi) = tr(TP ) .

2

Note.(1) La dimostrazione di Gleason funziona anche per spazi di Hilbert definiti sul campo reale.(2) Si puo notare che l’operatore T ha traccia 1 se µ(I) = 1, come nel caso considerato nell’as-sioma A2.(3) Se il campo dello spazio di Hilbert e complesso, come in tutti i casi considerati in que-sto trattato e come nell’assioma A2, l’operatore T associato a µ e unico: ogni altro operatoreT ′ di classe traccia che soddisfa µ(P ) = tr(T ′P ) per ogni P ∈ P(H) deve anche soddisfare:(x|(T −T ′)x) = 0 per ogni x ∈ H. Infatti, se x = 0 cio e ovvio, mentre se x 6= 0 possiamo semprecompletare a base hilbertiana il vettore x/||x|| e, se Px e il proiettore su < x >, la condizionetr((T − T ′)Px) = 0 si scrive, sulla base detta: ||x||−2(x|(T − T ′)x) = 0. Per l’esercizio (2) in

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Esercizi 3.2 cio implica che T − T ′ = 0. (Nel caso di spazio di Hilbert sul campo reale cio non epiu vero in generale, come si verifica banalmente in Rn dotato del solito prodotto scalare “righeper colonne”, prendendo per T una matrice reale antisimmetrica non nulla e per T ′ la matricenulla).(4) La richiesta di spazio di Hilbert di dimensione > 2 e irrinunciabile. Si verifica subito che,su C2, i proiettori ortogonali sono 0, I e tutte le matrici della forma

Pn :=12

(I +

3∑i=2

niσi

),

dove n = (n1, n2, n3) ∈ R3 ha norma unitaria: ||n|| = 1 e σ1, σ2, σ3 sono le note matrici di Pauli

σ1 =

0 11 0

, σ2 =

0 −ii 0

, σ3 =

1 00 −1

. (7.13)

Vi e corrispondenza biunivoca tra i proiettori Pn ed i punti di S2, la sfera da raggio 1 contenentequindi i punti identificati dai vettori n. Le funzioni µ che soddisfano le richieste in del teoremadi Gleason possono quindi pensarsi come funzioni definite su S2∪0, I. Le richieste nel teoremadi Gleason si riducono a: µ(0) = 0, µ(I) = 1 e µ(n) = 1−µ(−n). Gli operatori positivi di classetraccia con traccia unitaria, si verificano essere tutti e soli quelli della forma

ρu =12

(I +

3∑i=2

uiσi

),

dove ora ||u|| ≤ 1. Di conseguenza, se · indica l’ordinario prodotto scalare in R3,

tr(ρuPn) =12

(1 + u · n) .

L’applicazione µ definita da µ(0) = 0, µ(I) = 1 ma, per ogni n ∈ S2 e per un fissato v ∈ S2,

µ(Pn) =12

1 + (v · n)3

,

soddisfa le richieste nel teorema di Gleason. Tuttavia si verifica facilmente che non ci sonooperatori ρu come sopra (quindi positivi di classe traccia) tali che µ(Pn) := tr(ρuPn) per ogniproiettore ortogonale Pu.

Il teorema di Gleason insieme alle considerazioni esposte sopra, unitamente al fatto che tutti isistemi quantistici noti hanno spazio di Hilbert con dimensione che soddisfa le ipotesi del teore-ma di Gleason2, conducono alla riformulazione dell’assioma A2.

2Le particelle con spin 1/2 ammettono uno spazio di Hilbert, in cui si definisce l’osservabile spin, di dimensione2. La stessa cosa accade per lo spazio di Hilbert in cui viene descritta la polarizzazione della luce (elicita delfotone). Tuttavia questi sistemi fisici, quando descritti completamente, per esempio includendo i gradi di libertaposizionali o legati all’impulso sono rappresentabili in uno spazio di Hilbert infinito dimensionale.

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A2. Uno stato ρ al tempo t su un sistema quantistico S, con spazio di Hilbert associato HS, eun operatore positivo di classe traccia con traccia unitaria su HS.La probabilita che la proposizione P ∈ P(HS) sia vera sullo stato ρ vale tr(ρP ).

Possiamo quindi dare la seguente definizione.

Definizione 7.4. Sia H spazio di Hilbert separabile. Un operatore di classe traccia, positivo econ traccia uguale a 1 si dice stato su H. L’insieme degli stati su H si indica con S(H).

Osservazione importante. Il teorema di Gleason ha una conseguenza fisica fondamentale chedistingue nettamente gli stati dei sistemi classici da quelli dei sistemi quantistici. I sistemi clas-sici ammettono stati completamente deterministici, descritti da misure di Dirac con supporto suun punto nello spazio delle fasi al tempo considerato. Tali misure assumono solo i valori 0 e 1 esono quindi stati in cui alcune proposizioni sono certe e le rimanenti sono false. Analoghi statinon esistono per sistemi quantistici. La prova e immediata: se x appartiene all’insieme S deivettori di norma unitaria e Px e il proiettore ortogonale (x|·)x, ogni stato ρ per il teorema diGleason determina una funzione, evidentemente continua, S 3 x 7→ µ(Px) = (x|ρx). Dato che Se connesso3 e che le funzioni continue mandano connessi in connessi, µ(Px) deve essere connessoal variare di x. Se µ assume solo valori 0 oppure 1, deve essere (x|ρx) = 0 per ogni x e quindisi averebbe ρ = 0 che violerebbe tr(ρ) = 1, oppure (x|ρx) = 1 per ogni x e quindi si avrebbeρ = I che non e di classe traccia nel caso infinito dimensionale e viola tr(ρ) = 1 nel caso finitodimensionale. Questo risultato negativo ha rilevanza nei tentativi di costruire modelli classicidella meccanica quantistica introducendo “variabili nascoste” perche pone dei severi vincoli.

7.4.2 Stati puri, stati misti, ampiezze di transizione.

Passiamo a studiare l’insieme degli stati S(HS) se HS e lo spazio di Hilbert associato al sistemaquantistico S. Ricordiamo che in uno spazio vettoriale, un insieme C e detto convesso se, perogni coppia x, y ∈ C, λx+(1−λ)y ∈ C per ogni λ ∈ [0, 1]. Un elemento e di un insieme convessoC e detto estremale se non esistono x, y ∈ C con x, y 6= e tali che e = λx+(1−λ)y per qualcheλ ∈ (0, 1).Ricordiamo che se X e uno spazio vettoriale sul campo K = C o R, lo spazio quoziente X/ ∼,dove, se u, v ∈ X, u ∼ v se e solo se v = αu per qualche α ∈ K \ 0 e detto spazio proiettivoassociato a X. Gli elementi di X/ ∼ diversi da [0] (classe di equivalenza di 0, contenente solo 0)

3Tale insieme e infatti connesso per archi continui e dunque connesso. Diamo una traccia della dimostrazionedi tale fatto. Se x, y ∈ S allora ci sono due casi. Nel primo caso x = eiα0y per qualche α0 > 0 e quindi x e connessoa y dalla curva, continua rispetto alla topologia dello spazio di Hilbert e tutta inclusa in S, [0, α0] 3 α 7→ eiαx.Nel secondo caso x e combinazione lineare di y e di un vettore y′ ∈ S perpendicolare a y che si ottiene costruendouna base ortonormale nel sottospazio generato da y e x, quando tale base ammetta y come primo vettore. Datoche ||x|| = ||y|| = ||y′|| = 1 e che y ⊥ y′, deve allora essere x = eiα cosβy+eiδ sinβy′ per una terna di reali α, β, γ.Allora x e connesso ad y tramite una curva, continua e completamente contenuta in S, che si ottiene variandoquesti tre parametri separatemente in tre opportuni intervalli.

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sono detti raggi di X.

Proposizione 7.6. Sia (H, ( | )) uno spazio di Hilbert separabile.(a) S(H) e un sottoinsieme convesso di B1(H) (spazio degli operatori di classe traccia su H).(b) Gli elementi estremali di S(H) sono tutti e soli quelli della forma:

ρψ := (ψ| )ψ , per ogni vettore ψ ∈ H con ||ψ|| = 1.

Pertanto esiste una corrispondenza biunivoca tra l’insieme degli stati estremali e l’insieme deiraggi di H, che associa allo stato estremale (ψ| )ψ il raggio [ψ].(c) Ogni stato ρ ∈ S(H) soddisfa

ρ ≥ ρρ

ed e estremale se e solo se soddisfaρρ = ρ .

(d) Ogni stato ρ ∈ S(H) e una combinazione lineare di stati estremali, includendo le combi-nazioni lineari infinite nella convergenza definita dalla topologia uniforme. In particolare esistesempre una decomposizione:

ρ =∑φ∈N

pφ(φ| )φ

dove N e una base hilbertiana di H fatta di autovettori di ρ, pφ ∈ [0, 1] per ogni φ ∈ N e∑φ∈N

pφ = 1 .

Prova.(a) Presi due stati ρ, ρ′ e chiaro che λρ+(1−λ)ρ′ e ancora un operatore di classe traccia in quantogli operatori di classe traccia formano un sottospazio di B(H) (teorema 4.7). Dalle proprieta dilinearita della traccia (proposizione 4.6):

tr[λρ+ (1− λ)ρ′] = λtrρ+ (1− λ)trρ′ = λ1 + (1− λ)1 = 1 .

Infine, se f ∈ H e λ ∈ [0, 1], tenendo conto che ρ e ρ′ sono positivi:

(f |(λρ+ (1− λ)ρ′)f) = λ(f |ρf) + (1− λ)(f |ρ′f) ≥ 0 .

Quindi λρ+ (1− λ)ρ′ e uno stato se ρ, ρ′ sono stati e λ ∈ [0, 1].(b) e (d) Consideriamo ρ ∈ S(H). ρ e un operatore compatto autoaggiunto (in quanto positivo).Usando la decomposizione vista nel teorema 4.4, tenendo conto che |ρ| = ρ (perche ρ ≥ 0), eche quindi, nella decomposizione polare di ρ = U |ρ|, vale U = I, troviamo:

ρ =∑

λ∈σp(ρ)

mλ∑i=1

λ (uλ,i| ) uλ,i . (7.14)

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Sopra σp(ρ) e l’insieme degli autovettori di ρ e, se λ > 0, uλ,ii=1,...,mλ e una base dell’autospa-zio associato a λ ∈ σp(ρ). Infine, la convergenza e nella topologia uniforme. Questo sviluppo dasolo prova (d).Completando a base hilbertiana ∪λ>0uλ,ii=1,...,mλ aggiungendo una base per Kerρ, dallaproposizione 4.6 otteniamo che deve anche essere:

1 = tr(ρ) =∑

λ∈σp(ρ)

mλλ . (7.15)

Supponiamo ora che ρψ := (ψ| )ψ , con ||ψ|| = 1. E immediato verificare che ρψ ∈ S(H).Vogliamo provare che ρψ e estremale in S(H). Assumiamo pertanto che esistano ρ, ρ′ ∈ S(H) eλ ∈ (0, 1) per cui

ρψ = λρ+ (1− λ)ρ′ .

Mostreremo che ρ = ρ′ = ρψ.Consideriamo il proiettore ortogonale Pψ = (ψ| )ψ. E chiaro che (completando ψ a baseHilbertiana): tr(ρψPψ) = 1. Ne consegue che:

1 = λtr(ρPψ) + (1− λ)tr(ρ′Pψ) .

Dato che λ ∈ (0, 1) e 0 ≤ tr(ρPψ) ≤ 1, 0 ≤ tr(ρ′Pψ) ≤ 1, questo e possibile solo se tr(ρPψ) =tr(ρ′Pψ) = 1. Proviamo allora che tr(ρPψ) = 1 e tr(ρ′Pψ) = 1 implicano che ρ = ρ′ = ρψ.Decomponendo ρ come in (7.14), tr(ρPψ) = 1 si riscrive:∑

j

λj |(uj |ψ)|2 = 1 , (7.16)

dove abbiamo etichettato su N (o su un suo sottoinsieme finito se dim(H) < +∞) l’insieme degliautovettori uj = uλ,i, con λ > 0, denotando con λj l’autovalore di uj ed abbiamo completato abase hilbertiana di H l’insieme degli autovettori detti aggiungendo una base per il nucleo di ρ(la base complessiva e comunque al piu numerabile perche H e separabile). Per ipotesi∑

j

λj = 1 , (7.17)

∑j

|(uj |ψ)|2 = 1 . (7.18)

Dato che λj ∈ [0, 1] e |(uj |ψ)|2 ∈ [0, 1] per ogni j ∈ N, avremo che valgono anche:∑j

λ2j ≤ 1 , (7.19)

∑j

|(uj |ψ)|4 ≤ 1 . (7.20)

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Per cui la successione dei λj e quella dei |(uj |ψ)|2 sono in l2(N). L’identita (7.16) insieme alle(7.19) e (7.20) ed alla disuguaglianza di Cauchy-Schwartz in l2(N), implicano infine che deveessere ∑

j

λ2j = 1 , (7.21)

∑j

|(uj |ψ)|4 = 1 . (7.22)

Dato che λj ∈ [0, 1] per ogni j ∈ N, (7.17) e (7.21) sono compatibili solo se tutti i λi sono nullieccetto uno, λp, che vale esattamente 1. Nello stesso modo, dato che |(uj |ψ)|2 ∈ [0, 1] per ognij ∈ N, (7.18) e (7.22) sono compatibili solo se tutti i numeri |(uj |ψ)| sono nulli, eccetto uno,|(uk|ψ)|, che vale 1. Dato che gli ui formano una base hilbertiana e ||ψ|| = 1, deve dunque essereche ψ = αuk, dove |α| = 1. E chiaro che deve essere k = p altrimenti tr(ρPψ) = 0. Essendo

ρ =∑j

λj(uj | )uj ,

in base a quanto trovato, abbiamo finalmente che:

ρ = λk(uk| )uk = 1 · (uk| )uk = α−1α−1(ψ| )ψ = |α|−1(ψ| )ψ = (ψ| )ψ = ρψ .

Con la stessa procedura si prova che ρ′ = ρψ.Se uno stato ρ non e del tipo (ψ| )ψ, si potra comunque decomporre come

ρ =∑j

λj(uj | )uj ,

in cui almeno due valori p 6= q per cui λp 6= λq sono entrambi non nulli e quindi, in particolare,λp, 1− λp ∈ (0, 1). In tal caso potremo riscrivere ρ come

ρ = λp(up| )up + (1− λp)∑j 6=p

λj(1− λp)

(uj | )uj .

(up| )up e uno stato come gia detto ed e immediato verificare che anche

ρ′ :=∑j 6=p

λj(1− λp)

(uj | )uj ,

e uno stato di S(H) (ovviamente ρ′ 6= (up| )up per costruzione essendo uq 6∼ up). Abbiamoquindi provato che ρ non e estremale.L’applicazione f che associa allo stato estremale (ψ| )ψ il raggio [ψ] e ben definita. Infatti,cominciamo a notare che, per definizione di stato estremale ||ψ|| = 1, per cui ψ 6= 0 e quindi[ψ] e un raggio. Uno stesso stato estremale puo essere scritto in vari modi diversi: vale infatti(come e immediato provare tenendo conto che deve essere ||φ|| = 1) che (ψ| )ψ = (φ| )φ se e

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solo se ψ = eiαφ per qualche α ∈ R. Ma allora, per definizione di raggio, [ψ] = [φ]. Mostriamoche l’applicazione f e iniettiva. Se φ e ψ hanno norma unitaria e [ψ] = [φ] allora ψ = eiαφ perqualche α ∈ R e quindi (ψ| )ψ = (φ| )φ. Infine l’applicazione f e suriettiva, perche, se [φ] e unraggio e quindi ||φ|| 6= 0, ci sara ψ ∈ [φ] con ||ψ|| = 1. In tal caso f((ψ| )ψ) = [φ] perche ψ = αφper qualche α ∈ C non nullo.(c) Dimostriamo prima la seconda affermazione. Se ρ e estremale, ρρ = ρ come si prova im-mediatamente usando la forma data in (b) per gli stati estremali. Decomponendo uno stato ρcome (con il significato spiegato sopra)

ρ =∑j

λj(uj | )uj ,

si ha subito che:ρρ =

∑j

λ2j (uj | )uj .

Se e ρρ = ρ, passando alle tracce, dovra essere∑j

λ2j =

∑j

λj = 1

con λj ∈ [0, 1]. Si prova facilmente che questo e possibile solo se tutti i λj sono nulli eccettouno, λk, il cui valore e 1. Ma allora

ρ =∑j

λj(uj | )uj = 1 · (uk| )uk ,

che e uno stato estremale per (b).Proviamo la prima affermazione. Sia x =

∑j αjuj un vettore arbitrario di H (si ricordi che gli

uj definiscono una base hilbertiana di H), allora, dato che λj ∈ [0, 1]:

(x|ρρx) =∑j

λ2j (x|uj)(uj |x) =

∑j

λ2j |αj |2 ≤

∑j

λj |αj |2 =∑j

λj(uj |x)(uj |x) = (x|ρx) .

Quindi ρρ ≤ ρ. 2

Possiamo dare la seguente definizione.

Definizione 7.5. Sia (H, ( | )) uno spazio di Hilbert separabile.(a) gli elementi estremali in S(H) sono detti stati puri ed il loro insieme e indicato con Sp(H),gli stati non estremali sono detti stati misti o miscele.(b) Se vale

ψ =∑i∈I

αiφi ,

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con I finito o numerabile (e la convergenza della serie e nella topologia di H nel secondo caso),dove i vettori φi ∈ H sono tutti non nulli e 0 6= αi ∈ C, si dice che lo stato (ψ| )ψ e sovrappo-sizione coerente degli stati (φi| )φi/||φi||2.(c) Se ρ ∈ S(H) soddisfa

ρ =∑i∈I

piρi

con I finito, ρi ∈ S(H) e 0 6= pi ∈ [0, 1] per ogni i ∈ I ed infine∑i pi = 1, si dice che lo stato ρ

e sovrapposizione incoerente o miscela degli stati (eventualmente puri) ρi.(d) Se ψ, φ ∈ H soddisfano ||ψ|| = ||φ|| = 1:

(i) il numero complesso (ψ|φ) viene detto ampiezza di transizione o ampiezza di pro-babilita dello stato (φ| )φ sullo stato (ψ| )ψ;

(ii) il numero reale non negativo |(ψ|φ)|2 viene detto probabilita di transizione dello stato(φ| )φ sullo stato (ψ| )ψ.

Note(1) I vettori dello spazio di Hilbert di un sistema quantistico associati a stati puri vengono spessodetti, in letteratura fisica, funzioni d’onda. La motivazione di tale terminologia e dovuta allaprima formulazione della Meccanica Quantistica in termini di Meccanica Ondulatoria (vedi cap.6) e sara ripresa in seguito quando parleremo dell’equazione di Schrodinger.(2) La possibilita di costruire stati puri con vettori non nulli che sono combinazione lineare divettori associati ad altri stati puri e quello che, nel gergo della Meccanica Quantistica, si chiamaprincipio di sovrapposizione degli stati (puri).(3) Si osservi che in (c), nel caso in cui ρi = ψi(ψi| ), non e richiesto che (ψi|ψj) = 0 se i 6= j.Tuttavia e immediato provare che se I e finito, nel caso di ρi stato misto o puro e pi ∈ [0, 1] perogni i ∈ I con

∑i pi = 1, allora:

ρ =∑i∈I

piρi

e di classe traccia (e questo e ovvio perche gli operatori di classe traccia formano uno spaziovettoriale e ogni ρi e di classe traccia), e positivo (perche combinazione lineare con coefficientipositivi di operatori positivi) ed ha traccia unitaria perche, per le proprieta di linearita dellatraccia (proposizione 4.6):

trρ = tr

(∑i∈I

piρi

)=∑i∈I

pitrρi =∑i∈I

pi · 1 = 1 .

La decomposizione di ρ su una base hilbertiana di suoi autovettori puo considerarsi un casolimite della decomposizione di sopra quando I e infinito numerabile, ρi = ψi(ψi| ), oppure, se Ie finito, ed infine (ψi|ψj) = δij .E importante notare che: in generale, un fissato stato misto ammette piu di una decomposizioneincoerente in termini di stati puri e misti.(4) Si consideri lo stato puro ρψ ∈ Sp(H), che quindi si scrivera come ρpsi = (ψ| )ψ per qualchevettore ψ ∈ H con ||ψ|| = 1. Il punto che vogliamo sottolineare qui e che tale stato puro e anche

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un proiettore ortogonale Pψ := (ψ| )ψ e, di conseguenza, deve corrispondere ad una proposizionesul sistema.L’interpretazione naturale ed ingenua4 di tale proposizione e che essa corrisponda all’afferma-zione: “lo stato del sistema e lo stato puro individuato dal vettore ψ”.Tale interpretazione e dovuta al fatto che, se ρ ∈ S(H), allora tr(ρPψ) = 1 se e solo se ρ = (ψ| )ψ.Infatti, se ρ = (ψ| )ψ, allora completando a base hilbertiana ψ e facendo la traccia su tale base,risulta immediatamente che tr(ρPψ) = 1. Supponiamo viceversa che valga tr(ρPψ) = 1 per lostato ρ. Sotto tali ipotesi deve essere ρ = (ψ| )ψ come dimostrato nella prova della proposizione7.6.(5) Il punto (4) consente di dare un’interpretazione al modulo quadro dell’ampiezza di tran-sizione (φ|ψ). Se ||φ|| = ||ψ|| = 1, come richiesto nella definizione di ampiezza di transizione,risulta immediatamente che: tr(ρψPφ) = |(φ|ψ)|2, dove ρψ := (ψ| )ψ e Pφ = (φ| )φ. Tenendoallora conto di (4), concludiamo che:|(φ|ψ)|2 e la probabilita che, essendo lo stato (al tempo t) individuato dal vettore ψ, diventi lostato individuato da φ in seguito a processo di misura sul sistema (al tempo t).Si osservi che |(φ|ψ)|2 = |(ψ|φ)|2, per cui la probabilita di transizione dello stato individuatoda ψ sullo stato individuato da φ coincide con l’analoga probabilita con i ruoli dei due vettoriscambiati. Questo fatto non e, a priori, per nulla fisicamente evidente.

7.4.3 Stati successivi ai processi di misura e preparazione degli stati.

La formulazione standard della Meccanica quantistica assume il seguente assioma su cio che suc-cede al sistema fisico S nello stato ρ ∈ S(HS) al tempo t quando viene sottoposto ad un processodi misura riguardante la proposizione P ∈ P(HS) se la proposizione risulta essere verificata (equindi in particolare tr(ρP ) > 0 prima della misura).

A3. Se il sistema quantistico S si trova nello stato ρ ∈ S(HS) al tempo t e la proposizioneP ∈ P(HS) risulta essere verificata in seguito al processo di misura allo stesso tempo t, lo statodel sistema immediatamente dopo la misura e

ρP :=PρP

tr(ρP ).

In particolare se ρ e puro ed e individuato dal vettore ψ con ||ψ|| = 1, lo stato del sistemaimmediatamente dopo la misura e ancora puro ed e individuato dal vettore:

ψP =Pψ

||Pψ||.

4Non possiamo fare a meno di notare una certa confusione di livelli semantico/sintattico in questa interpreta-zione. Tuttavia, per come l’interpretazione viene usata dai fisici, non crea problemi, ma potrebbe crearne in unaformulazione rigorosa dal punto di vista logico formale.

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E immediato verificare che, in entrambi i casi, ρP e ψP definiscono stati. Nel primo caso infattiρP e positivo, di classe traccia con traccia unitaria, nel secondo caso, vale ||ψP || = 1.

Osservazioni importanti.(1) Come gia sottolineato precedentemente, la misura di una proprieta o di una grandezzafisica avviene facendo interagire il sistema con un apparato di misura (supposto macroscopicoe soggetto alle leggi della fisica classica). La Meccanica Quantistica nella sua formulazionestandard non stabilisce cosa sia un apparato di misura, ma solo che ne esistano, e nemmenoe in grado di descrivere l’interazione tra strumento di misura e sistema quantistico al di fuoridella schematizzazione di A3. Esistono vari punti di vista e congetture su come completarela descrizione fisica del processo di misura, chiamato nel gergo della Meccanica quantisticacollasso o riduzione dello stato o della funzione d’onda. Ma per varie ragioni nessuna delleproposte attuali e completamente soddisfacente [Des80, Bon97, Ghi97, Alb00]. Una propostamolto interessante e stata fatta nel 1985 da G.C. Girardi, T. Rimini e A. Weber (PhysicalReview D34, 1985 p.470) in cui si descrive in modo dinamico non lineare il processo di misuradella posizione e lo si assume non dovuto ad uno strumento di misura ma ad un processo diautolocalizzazione. Purtroppo l’idea ha ancora diversi problemi, in particolare non ammette inmodo ovvio una descrizione relativistica.(2) L’assioma A3 si riferisce a misure non distruttive, anche dette misure indirette [BrKh95],in cui il sistema fisico misurato (tipicamente una particella) non viene assorbito/distrutto dallostrumento di misura.(3) Gli strumenti di misura si usano comunemente per preparare lo stato di un sistema. Dalpunto di vista teorico la preparazione di uno stato puro viene fatta nel modo seguente. Si sceglieun numero finito di proposizioni compatibili P1, . . . , Pn, in maniera tale che il sottospazio su cuiproietta P1 ∧ · · · ∧ Pn = P1 · · ·Pn sia unidimensionale. Ossia P1 · · ·Pn = (ψ| )ψ per qualchevettore con ||ψ|| = 1. (L’esistenza di tali proposizioni e nota per praticamente tutti i sistemifisici quantistici che si usano sperimentalmente.) Quindi si eseguono misure contemporanee delleproposizioni Pi su vari esemplari identici del sistema fisico considerato (es. elettroni) di cui peronon si conoscono gli stati. Se per uno di essi tutte le misure di tutte le proposizioni hanno datoesito positivo, immediatamente dopo le misure, lo stato del sistema e quello individuato dalvettore ψ.Normalmente ad ogni proiettore Pi e associata una grandezza fisica Ai misurabile sul sistema e Pidefinisce la proposizione “la grandezza Ai cade nell’insieme Ei”. Quindi di fatto, per prepararelo stato puro ψ, si misurano contemporaneamente una serie di grandezze fisiche Ai compatibili esi selezionano i sistemi in cui gli esisti delle misure sono caduti, rispettivamente, in ognuno degliinsiemi Ei. Tali sistemi sono nello stato associato a ψ immediatamente dopo le misure.(4) Vediamo come si possono preparare stati misti miscelando stati puri. Si considerino unaquantita q1 di copie identiche del sistema S preparate nello stato puro associato a ψ1, unaanaloga quantita q2 di copie identiche dello stesso sistema S preparate nello stato puro associatoa ψ2 e via di seguito fino a ψn. Se si mischiano tali sistemi, dopo la miscela, ciascuno di essi si

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trovera nello stato misto:

ρ =n∑i=1

pi(ψi| )ψi ,

dove pi := qi/∑ni=1 qi. Si noti che in generale e falso che (ψi|ψj) = 0 se i 6= j per cui, l’espressione

di sopra per ρ non e la decomposizione su una base hilbertiana di autovettori di ρ stesso. Questaprocedura potrebbe fare pensare che esistano due tipi di probabilita, una intrinseca dovuta allanatura quantistica degli stati ψi e l’altra epistemica, inglobata nelle probabilita pi. In realta none vero: una volta creato lo stato misto con la procedura detta sopra, non c’e piu alcun modo,all’interno della Meccanica Quantistica, di distinguere gli stati della miscela. Per esempio, siosservi che la stessa miscela ρ si sarebbe potuta ottenere miscelando stati puri diversi da quelliindividuati dai vettori ψi. In particolare, si sarebbero potuti usare quelli della decomposizione diρ in termini di una base hilbertiana di suoi autovettori. Dal punto di vita fisico, facendo misuredi qualsiasi genere (assumendo gli assiomi della Meccanica Quantistica fino ad ora enunciati)non sarebbe possibile distinguere le due miscele.

7.4.4 Regole di superselezione e settori coerenti.

I sistemi quantistici noti sono tali che non tutti i vettori ψ normalizzati a 1 determinano statiammissibili fisicamente. Ci sono ragioni teoriche di vario genere, sulle quali non ci soffermiamo,che implicano l’esistenza di cosiddette regole di superselezione. In base a tali regole, lo spaziodi Hilbert del sistema H risulta essere una somma diretta ortogonale (al piu numerabile perche lospazio somma e numerabile) di sottospazi chiusi detti settori coerenti:

H = H1 ⊕ H2 ⊕ · · ·

e gli unici stati, individuati da singoli vettori, fisicamente ammissibili sono quelli rappresentatida vettori in H1, oppure H2, oppure H3,, ... Ma non sono fisicamente ammessi stati individuatida combinazioni lineari di vettori appartenenti a spazi coerenti distinti.Dal punto di vista fisico, i settori coerenti sono i sottospazi di H associati ad una classe diproposizioni mutuamente esclusive – cioe i proiettori ortogonali che proiettano su tali spazimutuamente ortogonali P1, P2, ... con

∑i Pi = I (la somma e in senso forte se e eseguita su un

insieme infinito di termini) – che affermano che una certa grandezza, quella che determina laregola di superselezione, ha un valore fissato, dipendente dalla proposizione. Alternativamentela grandezza non e richiesta assumere un valore preciso ma solo in una precisa classe di valori,dichiarata dalla proposizione stessa.

A titolo di importante esempio citiamo la regola di superselezione della carica elettrica peri sistemi quantistici elettricamente carichi. Essa richiede che: ogni vettore ψ che determinauno stato del sistema, deve verificare una proposizione PQ del tipo: “il valore della caricadel sistema vale Q” dove Q e un valore possibile della carica (e dipende dalla proposizione).Matematicamente quindi deve essere tr(PQ(ψ| )ψ) = 1 per qualche valore della carica Q, cheequivale a dire PQψ = ψ per qualche valore della carica Q. In altre parole: non sono ammessistati, individuati da singoli vettori, in cui la carica non ha un valore definito. Questa richiesta

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e ovvia in fisica classica, ma non lo e in meccanica quantistica, dove un sistema elettricamentecarico, a priori, potrebbe ammettere stati in cui la carica non e definita. Si osservi che larichiesta che lo spazio di Hilbert del sistema sia separabile richiede che i valori possibili per lacarica elettrica, cioe i settori coerenti a carica definita, siano al piu una quantita numerabile equindi la carica elettrica non puo variare con continuita .

Un’altra regola di superselezione riguarda il momento angolare di ogni sistema fisico. Dallameccanica quantistica e noto che il modulo del momento angolare al quadrato J2, quando e inuno stato definito, puo assumere solo valori interi oppure semi interi (in unita ~2 = h/2π doveh e la solita costante di Planck). Esiste allora una decomposizione dello spazio di Hilbert delsistema fisico in due sottospazi chiusi ortogonali. Uno in cui J2 ha valori interi ed uno in cuiJ2 ha valori semi interi. La regola di superselezione del momento angolare richiede che i vettoriche rappresentano stati del sistema non siano combinazione lineare di vettori nei due sottospazi.E importante notare che uno stato puro puo quindi essere a momento angolare non definito,in quanto il vettore associato allo stato e combinazione lineare di vettori corrispondenti a statipuri con diversi valori del momento angolare, tuttavia, a causa della regola di superselezione,tali valori devono essere tutti interi oppure tutti semi interi.

Nel caso di presenza di regole di superselezione associate alla decomposizione di H nellasomma diretta in settori coerenti:

H =⊕k∈K

Hk , (7.23)

possiamo definire gli spazi degli stati e degli stati puri di ciascun settore: S(Hk), Sp(Hk).Possiamo vedere questi insiemi come sottoinsiemi di S(H) e Sp(H) rispettivamente, in base alseguente argomento generale.Se M e un sottospazio chiuso dello spazio di Hilbert H possiamo identificare S(M) (e quindiSp(M)) in modo naturale con un sottoinsieme di S(H) (rispettivamente Sp(H)), pensandoS(M) (rispettivamente Sp(M)) come il sottoinsieme degli stati ρ (misti e puri rispettivamente)di S(H), tali che Ran(ρ) ⊂ M . Tale identificazione e equivalente ad estendere ogni ρ ∈ S(M)ad un operatore definito su tutto H, imponendo che sia l’operatore nullo su M⊥.Nel caso in esame, in cui M e ciascuno dei settori coerenti Hk, possiamo identificare ogni S(Hk),Sp(Hk) con sottoinsiemi di S(H) e Sp(H) rispettivamente. Con tale identificazione abbiamosubito che S(Hk) ∩S(Hj) = ∅ e Sp(Hk) ∩Sp(Hj) = ∅ se k 6= j. Per quanto riguarda gli statipuri fisicamente possibili per il sistema fisico descritto su H, questi saranno tutti e soli quellidell’insieme: ⋃

k∈KSp(Hk) .

Gli stati misti fisicamente possibili per il sistema fisico descritto su H saranno quelli che siriescono a costruire come miscele degli stati puri suddetti. Quindi, gli stati misti saranno tuttee sole le possibili le combinazioni lineari convesse (anche infinite in riferimento alla topologiaoperatoriale forte) degli elementi dell’insieme:⋃

k∈KS(Hk) .

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Osservazione. Si prova facilmente che, se i proiettori ortogonali Pk sono quelli associati aciascun Hk della decomposizione in settori coerenti (7.23), gli stati ρ ∈ Sp(H) che hanno sensofisico sono tutti e soli quelli che soddisfano i vincoli:

ρPk = Pkρ per ogni k ∈ K. (7.24)

Proviamolo. Nel caso di uno stato (ψ| )ψ, la condizione ρPi = Piρ per ogni i ∈ K, implica subitoche Piψ = (ψ|Piψ)ψ per ogni i. Dato che I =

∑i∈K Pi e PiPi′ = 0 se i 6= i′, deve accadere che:

(ψ|ψ) = 1 =∑i∈K||Piψ||2 . (7.25)

Valendo Piψ = (ψ|Piψ)ψ, deve allora anche succedere che: 1 =∑i |(ψ|Piψ)|2. Ossia, visto che

(ψ|Piψ) = (Piψ|Piψ) = ||Piψ||2,1 =

∑i∈K||Piψ||4 . (7.26)

Essendo 0 ≤ ||Piψ|| ≤ 1, (7.25) e (7.26) sono compatibili solo se Piψ 6= 0 solo per un valore dii = iψ, per cui ψ ∈ Hiψ .Lasciamo per esercizio al lettore la dimostrazione del fatto che il risultato sussiste anche per glistati misti di S(H): gli stati misti ρ ∈ S(H) che hanno senso fisico sono tutti e soli quelli chesoddisfano i vincoli (7.24).

7.5 Le osservabili come Misure a Valori di Proiezione (PVM)su R.

7.5.1 La nozione di osservabile

Notazione 7.1. D’ora in poi, se X e uno spazio topologico, B(X) denotera la σ-algebra di Bo-rel di X, cioe la piu piccola σ-algebra di sottoinsiemi di X che includa tutti gli insiemi aperti di X.

In Meccanica Quantistica, le grandezze fisiche valutabili sui sistemi fisici e che hanno comporta-mento descritto in QM1 e QM2 sono dette osservabili. Ci occupiamo ora di esse. Dal puntodi vista fisico e ragionevole supporre che i proiettori ortogonali P (A)

E associati all’osservabile Asiano commutanti l’uno con l’altro al variare di E ⊂ R, in quanto ci si aspetta che le proposizionidel tipo

P(A)E := “Il valore di A valutata sullo stato del sistema cade nell’insieme di Borel E ⊂ R” ,

siano tutte compatibili al variare di E nella σ-algebra di Borel di R. Inoltre ci aspettiamoche valga P

(A)E ∧ P (A)

E′ = P(A)E∩E′ perche l’esito della misura cade in E ed anche in E′ se e solo

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se cade in E ∩ E′. Ci aspettiamo che valga anche P (A)R = I perche l’esito della misura cade

sicuramente in R per cui P (A)R e la proposizione sempre vera, indipendentemente dallo stato sul

quale si misura. Infine, per motivi fisicamente evidenti e tenendo conto del significato logico di∨, e ragionevole supporre che, per ogni insieme numerabile di boreliani di R, Enn∈N, valga:

∨n∈NP(A)En

= P(A)∪n∈NEn

.

Possiamo dare la seguente definizione in cui identifichiamo l’osservabile A con un’applicazioneopportuna:

Definizione 7.6. Se H e uno spazio di Hilbert un’applicazione A che associa ad ogni insieme diBorel E ⊂ R un proiettore ortogonale P (A)

E ∈ P(H) e detta osservabile se valgono le proprietache seguono:(a) P (A)

E P(A)E′ = P

(A)E′ P

(A)E per ogni coppia di boreliani E,E′ ⊂ R;

(b) P (A)E ∧ P (A)

E′ = P(A)E∩E′ per ogni coppia di boreliani E,E′ ⊂ R;

(c) P (A)R = I;

(d) per ogni insieme numerabile di boreliani di R, Enn∈N, vale:

∨n∈NP(A)En

= P(A)∪n∈NEn

.

Note.(1) Si dimostra facilmente che la classe P (A)

E E∈B(R) definita sopra e una σ-algebra di Booledefinita rispetto alla solita relazione d’ordine parziale ≤ tra proiettori.(2) In generale P (A)

E E∈B(R) non e massimale rispetto alla commutativita dei proiettori.(3) E chiaro che, con la definizione data sopra, ogni osservabile altro non e che un omomorfismodi σ-algebre di Boole, dalla σ-algebra di Borel di R, B(R), alla σ-algebra di Boole dei proiettoriPEE⊂Σ(R).(4) La definizione di osservabile puo essere riformulata in modo equivalente, ma matematica-mente piu semplice da maneggiare. Tale riformulazione e data nella prossima proposizione.

Proposizione 7.7. Sia H spazio di Hilbert. Un’applicazione P : B(R)→ B(H) e un’osservabilese e solo se soddisfa i seguenti requisiti.(a) P (B) ≥ 0 per ogni B ∈ B(R);(b) P (B)P (B′) = P (B ∩B′) per ogni coppia B,B′ ∈ B(R);(c) P (R) = I;(d) per ogni insieme numerabile di boreliani di R, Bnn∈N a due a due disgiunti, vale:

s-+∞∑n=0

P (Bn) = P (∪n∈NBn) .

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Prova. Se P : B(R)→ B(H) e un’osservabile le proprieta (a), (b), (c), (d) della proposizione 7.7sono banalmente verificate. Dobbiamo mostrare che se P : B(R)→ B(H) soddisfa tali proprietaallora e un’osservabile.Includiamo tutti gli operatori P (B) con B ∈ B(R) in un insieme massimale di proiettori com-mutanti (che esiste per il lemma di Zorn), P0(H) e d’ora in poi lavoreremo in tale insieme senzaperdere generalita.(a) implica che ogni P (B) e autoaggiunto per (f) in proposizione 3.8, (b) implica che P (B)P (B) =P (B ∩ B) = P (B) per cui tutti gli operatori P (E) sono proiettori ortogonali. Inoltre (b) im-plica anche che P (B)P (B′) = P (B ∩ B′) = P (B′ ∩ B) = P (B′)P (B) per cui tutti i proiettoricommutano tra di loro. Usando la prima identita in (i) di (b) di teorema 7.1 la condizione (b)di sopra si riscrive P (B)∧P (B′) = P (B ∩B′). Per concludere e sufficiente provare la proprieta(d) della definizione 7.6. Consideriamo una classe numerabile di insiemi Enn∈N ⊂ B(R) ingenerale non disgiunti a due a due. Vogliamo provare che esiste ∨n∈NP (En) e vale

∨n∈NP (En) = P (∪n∈NEn) .

Per fare cio definiamo la classe di insiemi boreliani a due a due disgiunti: Bnn∈N con B0 := E0

e, per n > 0,Bn = En \ (E1 ∪ · · · ∪ En−1) .

Si verifica facilmente che, per ogni p ∈ N ∪ +∞,

∪pn=0En = ∪pn=0Bn .

Da questa identita, usando la proprieta I − P (B) = P (R \ B) ed usando ricorsivamente laseconda identita in (i) di (b) di teorema 7.1, si ricava facilmente che, per ogni n ∈ N:

∨pn=0P (En) = ∨pn=0P (Bn) ,

e quindi

∨pn=0P (En) =p∑

n=0

P (Bn) . (7.27)

dove abbiamo tenuto conto che la proprieta (d) nella tesi di questa proposizione implica che

∨pn=0P (Bn) =p∑

n=0

P (Bn) ,

per una classe finita di insiemi disgiunti Bn (la classe finita puo sempre essere completata aduna classe numerabile aggiungendo infinite copie dell’insieme vuoto). Possiamo, per concludere,prendere il limite forte per p → +∞ in (7.27). Tale limite esiste per (b) in teorema 7.1 e valeanche, nelle nostre ipotesi:

∨n∈NP (En) = s- limp→+∞

p∑n=0

P (Bn) = P (∪n∈NBn) = P (∪n∈NEn) .

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Questo conclude la dimostrazione 2.

Note.(1) Si osservi che (c) e (d) da sole implicano che I = P (I ∪ ∅) = I + P (∅) per cui

P (∅) = 0 .

(2) Se B ∈ B(R) allora R \ B ∈ B(R) e R = B ∪ (R \ B). Quindi da (d), prendendo B0 = B,B1 = R \B e tutti i rimanenti Bk = ∅ abbiamo che: I = P (B) + P (R \B). In altre parole valeanche

¬P (B) = P (R \B) .

La proposizione appena provata consente di identificare in modo biunivoco le osservabili conenti matematici ben noti in letteratura: le misure a valori di proiezione su R. Tale nozione sarageneralizzata nel prossimo capitolo.

Definizione 7.7. Un’applicazione P : B(R) → B(H), con H spazio di Hilbert, che soddisfale richieste (a), (b), (c) e (d) della proposizione 7.7 e detta misura a valori di proiezione(PVM) su R oppure equivalentemente misura spettrale su R.

Possiamo enunciare il quarto assioma della formulazione matematica generale della MeccanicaQuantistica.

A4. Ogni osservabile A sul sistema quantistico S e descritta da una misura a valori di proiezionesu R, P (A), nello spazio di Hilbert del sistema HS, in modo tale che, se E e un boreliano di R, ilproiettore P (A)(E) corrisponde alla proposizione “l’esito della misura di A cade nel boreliano E”.

7.5.2 Operatori autoaggiunti associati ad osservabili: esempi elementari.

Torniamo ora al caso classico. Nel caso classico, le osservabili corrispondono a quelle che abbiamochiamato grandezze fisiche, cioe funzioni f : Ft → R. Se si assume che f sia almeno misurabile,possiamo associarle una classe di proposizioni del tipo

P(f)E := “Il valore di f valutata sullo stato del sistema cade nell’insieme di Borel E ⊂ R” ,

che corrisponde all’insieme misurabile

P(f)E := f−1(E) .

La proposizione 7.2 ed il successivo commento hanno chiarito che, fissata f : Ft → R misura-bile, l’applicazione che associa ad ogni insieme E ∈ B(R) l’insieme P (f)

E e un omomorfismo diσ-algebre di Boole. Tutto cio e uguale al caso quantistico.Nel caso classico accadono alcuni ulteriori fatti. Prima di tutto e chiaro che non ci possono essere

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due funzioni misurabili differenti f ed f ′ con P(f)E = P

(f ′)E per ogni E ∈ B(R). Piu fortemente,

risulta che dalla σ-algebra di Boole associata a f si puo ricostruire f stessa con una proceduradi limite.La procedura e contenuta nella dimostrazione di una ben nota proposizione di teoria della mi-sura che useremo piu avanti (cfr la tesi e la dimostrazione del teorema 1.72 in [Rud82]). Perenunciare la proposizione, ricordiamo che se X e uno spazio dotato di una σ-algebra di suoisottoinsiemi Σ, una funzione f : X→ C e detta semplice se e misurabile rispetto a Σ ed assu-me solo un numero finito di valori. Le funzioni semplici formano uno spazio vettoriale complesso.

Proposizione 7.8. Sia X e uno spazio dotato di una σ-algebra di sottoinsiemi Σ.(a) Lo spazio delle funzioni semplici (rispetto a Σ) da X in C e denso, in senso puntuale, nellospazio delle funzioni misurabili (rispetto a Σ) da X a C.(b) Lo spazio delle funzioni semplici (rispetto a Σ) da X in C e denso, rispetto alla normadell’estremo superiore, nello spazio delle funzioni limitate e misurabili (rispetto a Σ) da X a C.(c) Se f : X→ R e misurabile rispetto a Σ ed e non negativa, allora esiste una successione nondecrescente di funzioni semplici non negative che tende a f puntualmente, ovvero uniformemen-te se f e limitata.

Prova. E sufficiente provare la tesi nel caso di funzioni a valori reali, il caso complesso si ottienefacilmente da questo, decomponendo le funzioni a valori complessi in parte reale ed immaginaria.Definiamo le note funzioni f+(x) := sup0, f(x) e f−(x) := inf0, f(x) per x ∈ Ft; alloraf = f+ + f−, dove f+ ≥ 0 e f− ≤ 0 sono misurabili essendo f misurabile.Ora costruiremo una successione di funzioni semplici che tende a f+, tale costruzione dimostra,tra le altre cose, il punto (c) dato che f = f+ se f ≥ 0.Per 0 < n ∈ N fissato, costruiamo una partizione del semi asse reale [0,+∞) fatta da borelianiEn,i e En con

En,i :=i− 12n

,i

2n

, En := [n,+∞) ,

con 1 ≤ i ≤ n2n. Quindi, per ogni n, definiamo la classe degli insiemi misurabili

P(f)n,i := f−1 (En,i) , P (f)

n := f−1(En) .

Infine poniamo, per ogni n ∈ N:

s+,n :=n2n∑i=1

i− 12n

χP

(f)n,i

+ nχP

(f)n

. (7.28)

Per costruzione 0 ≤ s+,n ≤ s+,n+1 ≤ f per n = 1, 2, . . .. Inoltre, per ogni fissato x risulta|f+(x) − s+,n(x)| ≤ 1/2n se n e abbastanza grande. E quindi evidente che s+,n → f+ puntual-mente se n → +∞. La stima |f+(x) − s+,n(x)| ≤ 1/2n e uniforme in x se f+ e limitata (bastache sia n > sup f+), in tal caso la convergenza s+,n → f+ vale anche nel senso uniforme.Si costruisce similmente, decomponendo il semiasse reale negativo con partizioni analoghe a

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quella di sopra, una successione di funzioni semplici, s−,n ≤ 0 che converge puntualmente a f−.La successione delle funzioni semplici s−,n + s+,n converge puntualmente a f e, per costruzione,la convergenza e uniforme quando f e limitata. 2

La domanda che ci poniamo fin da ora nel caso quantistico e la seguente:c’e un ente matematico associato ad ogni osservabile, A : B(R) 3 E 7→ P

(A)E , che corrisponde,

nel caso classico, alla funzione misurabile f che genera omomorfismo di σ-algebre di Boole degliinsiemi P (f)

E = f−1(E)? Se la risposta e positiva, sussiste una procedura di decomposizione-ricostruzione di tale ente in termini della σ-algebra di Boole di proiettori?Vedremo nel prossimo capitolo che la riposta ad entrambe le domande e positiva: ad ogni osserva-bile, definita come sopra, si associa in modo biunivoco un operatore autoaggiunto (generalmentenon limitato) sullo spazio di Hilbert del sistema, in modo tale che il complemento al piu grandeinsieme di R per cui P (A)

E = 0 (detto supporto di P (A)), cioe l’insieme dei valori assumibili dal-l’osservabile A, coincide con lo spettro dell’operatore autoaggiunto associato all’osservabile. Laprocedura di decomposizione-ricostruzione dell’operatore autoaggiunto a partire dall’osservabilee essenzialmente il cosiddetto teorema spettrale.L’associazione di un operatore ad una osservabile si attua definendo una opportuna procedura diintegrazione che associa ad insiemi di Borel operatori invece di numeri reali. In effetti la proce-dura di limite per ricostruire f basata sulle funzioni (7.28) puo essere vista come una proceduradi integrazione rispetto ad una misura che associa ad insiemi di Borel (nello spazio dei valoriassumibili dalla funzione) E ⊂ C delle funzioni χf−1(E) : X → C. In termini intuitivi, tenendo

conto che i−12n e approssimativamente il valore che f assume in P

(f)n,i ,

f = limn→+∞

n2n∑i=1

i− 12n

χP

(f)n,i

+ nχP

(f)n

puo essere pensata come

f =∫

Cλdχλ . (7.29)

Non ci interessa andare a fondo in questa analogia (si puo dare un senso matematicamenterigoroso all’integrale di sopra), perche siamo interessati al caso quantistico in cui una formulaanaloga a (7.29) definisce l’operatore autoaggiunto associato ad un’osservabile. Facciamo ora unesempio elementare di osservabile e mostriamo come associare a essa un operatore autoaggiunto.La teoria generale sara sviluppata nei prossimi capitoli.

Esempi 7.1.(1) Consideriamo un sistema quantistico descritto su uno spazio di Hilbert H e consideriamoper esso una grandezza fisica A che, dal punto di vista fisico puo assumere solo una quantitadiscreta e finita di valori distinti ann=1,··· ,N ⊂ R. Ecco come associare a tale grandezzaun’osservabile, che indicheremo ancora con la stessa lettera A, data da una classe di proiettoriortogonali P (A)

E con E boreliano di R. Postuliamo che esista una classe di proiettori ortogonali

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non nulli etichettati sugli an, Pann=1,··· ,N tale che PanPam = 0 se n 6= m (che equivale, peraggiunzione, a PamPan = 0 se n 6= m) ed inoltre

N∑n=1

Pan = I . (7.30)

Il significato di Pan sara ovviamente:“il valore della grandezza A in seguito a misura di essa sul sistema risulta essere esattamentean” .E chiaro che la richiesta PanPam = PamPan = 0, ossia Pan ∧ Pam = 0, se n 6= m corrispondealla duplice richiesta fisica che (a) le proposizioni Pan e Pam siano fisicamente compatibili, ma(b) la misura dell’osservabile non possa produrre contemporaneamente il valore an ed anche ilvalore distinto am (infatti la proposizione associata al proiettore nullo e quella impossibile). Larichiesta

∑Nn=1 Pan = I, altrimenti scrivibile come Pa1 ∨ · · · ∨Pan = I, corrisponde alla richiesta

che almeno una delle proposizioni Pan debba risultare verificata in seguito ad una misura dell’osservabile A. L’osservabile A : T(R)→ P(H) e costruita come segue: per ogni boreliano E ⊂ R

P(A)E :=

∑an∈E

Pan , con P(A)∅ := 0 . (7.31)

La verifica delle proprieta (a), (b), (c) e (d) della proposizione 7.10 e ora immediata per costru-zione.(2) Riferendoci all’esempio (1), possiamo associare all’osservabile A un operatore, che indiche-remo ancora con la stessa lettera A. La definizione e la seguente

A :=N∑n=0

anPan (7.32)

L’operatore A e limitato ed autoaggiunto per costruzione essendo combinazione lineare a coef-ficienti reali di operatori autoaggiunti ed ha una ulteriore proprieta interessante:σp(A) = ann=1,··· ,N , cioe, l’insieme degli autovalori di A coincide con i valori assumibili dal-l’osservabile A.La prova di cio e diretta: se 0 6= u ∈ Pan(H) allora Pamu = PamPanu = u se n = m oppure 0se n 6= m. Inserendo questo risultato in (7.32) si ha subito che Au = anu per cui an ∈ σp(A).Viceversa, se u 6= 0 e autovettore di A con autovalore λ (che deve essere reale dato che A = A∗),deve risultare da (7.32):

λu =N∑n=0

anPanu .

D’altra parte, essendo∑an Pan = I, modificando il primo membro dell’identita di sopra, deve

risultareN∑n=0

λPanu =N∑n=0

anPanu ,

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e quindiN∑n=0

(λ− an)Panu = 0 . (7.33)

Se applichiamo infine Pm ad ambo membri e ricordiamo che PmPn = δm,nPn, otteniamo le Nidentita

(λ− am)Pamu = 0 .

Se queste identita fossero tutte risolte da Pmu = 0 per ogni m avremmo un assurdo dovendoessere

0 6= u = Iu =N∑n=0

Panu .

Quindi ci deve essere qualche n in (7.33) per cui λ = an. Si noti che cio puo accadere per un solovalore di n essendo per ipotesi gli an distinti. In definitiva l’autovalore λ di A deve coinciderecon uno dei valori an. Abbiamo provato che l’insieme degli autovalori di A coincide con i valoriassumibili dall’osservabile A. L’operatore autoaggiunto A gioca qui un ruolo analogo a quellogiocato dalla funzione f nel caso di una grandezza classica P (f)

E E∈T(R).

Nei prossimi capitoli svilupperemo una procedura che consente di associare in modo univocoad ogni osservabile A (cioe ad ogni misura a valori di proiezione su R) un operatore autoag-giunto (generalmente non limitato) che indicheremo con la stessa lettera A, estendendo quantotrovato negli esempi precedenti. I valori assumibili dall’osservabile saranno dati dagli elementidello spettro completo dell’operatore σ(A) che, come vedremo, e un insieme generalmente piugrande dell’insieme degli autovalori. Lo strumento centrale da utilizzare sara la procedura d’in-tegrazione rispetto ad una misura a valori di proiezione, che corrisponde alla generalizzazionedell’espressione ∑

λ∈σp(A)

f(λ)Pλ =:∫σ(A)

f(λ) dP (A)(λ) ,

(cfr (7.30) con f : λ 7→ 1 e (7.32) con f : λ 7→ λ ) al caso in cui i valori λ sono infiniti e possonovariare in modo continuo in tutto lo spettro di A. In particolare dovranno valere le identita, lacui interpretazione verra dalla teoria delle misure spettrali:

A =∫σ(A)

λ dP (A)(λ) , I =∫σ(A)

1 dP (A)(λ)

7.5.3 Misure di probabilita associate a coppie stato - osservabile.

Un’altra proprieta notevole delle misure a valori di proiezione su R e la seguente.Ricordiamo che una misura di Borel µ su X, spazio topologico di Hausdorff localmente compatto,e una misura µ, positiva, σ-additiva, sulla σ-algebra di Borel di X, B(X). La misura e detta diprobabilita se µ(X) = 1.

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Proposizione 7.9. Sia H uno spazio di Hilbert e PEE∈B(R) una misura a valori di proiezionesu R. Se ρ ∈ S(H) e uno stato, l’applicazione µρ : E 7→ tr(ρPE) e una misura di Borel diprobabilita su R.

Prova. La prova e elementare. Basta provare che µρ e positiva, σ-additiva e µρ(R) = 1. Re di Hausdorff e localmente compatto, per cui ogni misura positiva σ-additiva sull’algebra diBorel e una misura di Borel. Decomponiamo ρ come al solito su una base hilbertiana di suoiautovettori:

ρ =∑j∈N

pj(ψj | )ψj ,

dove i numeri pj sono non negativi e la loro somma e 1. Vale: µρ(E) = tr(ρPE) ≥ 0 dato chei proiettori ortogonali sono operatori positivi, i numeri Pj sono non negativi e che tr(ρPE) =∑j∈N pj(ψj |PEψj). Inoltre µρ(R) = 1 dato che, valendo PR = I,∑

j∈Npj(ψj |Iψj) = trρ = 1 .

Proviamo la σ-additivita di µρ. Se Enn∈N e una classe di boreliani disgiunti a due a due eE := ∪n∈NEn, allora vale, tenendo conto di (d) della proposizione 7.8:

+∞ > tr(ρPE) =+∞∑j=0

pj

(ψj

∣∣∣∣∣+∞∑i=0

PEiψj

)=

+∞∑j=0

+∞∑i=0

pj(ψj |PEiψj) .

Dato che pj ≥ 0 e (ψj |PEiψj) ≥ 0, il teorema di Fubini permette di interscambiare le serie disopra, ottenendo:

tr(ρPE) =+∞∑i=0

+∞∑j=0

pj(ψj |PEiψj) =+∞∑i=0

tr(ρPEi) .

In altre parole, se Enn∈N e una classe di boreliani disgiunti a due a due allora:

µρ(∪n∈NEn) =+∞∑n=0

µρ(En) .

Questo conclude la dimostrazione. 2

Esempi 7.2.(1) Consideriamo l’osservabile A che assume un numero finito N di valori discreti an vistanegli esempi (1) e (2) in Esempi 7.1 usando le stesse notazioni usate ivi. Sia A l’operatoreautoaggiunto associato all’osservabile. Fissiamo uno stato ρ ∈ S(H) e consideriamo la suamisura di probabilita relativa all’osservabile P (A)

E E∈T(R). Per costruzione, se E ∈ T(R),

µ(A)ρ (E) := tr(ρP (A)

E ) =∑an∈E

tr(ρPan) =∑an

pnδan(E)

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conpn := tr(ρPan) .

Quindiµ(A)ρ =

∑an

pnδan , (7.34)

dove abbiamo usato le misure di Dirac δan centrate nei punti an: δa(E) = 1 se a ∈ E, oppureδa(E) = 0 se a 6∈ E. Si osservi che 0 ≤ pn ≤ 1 e

∑n pn = 1 per costruzione. Quindi la misura di

probabilita associata allo stato ρ e riferita all’osservabile A e di fatto una combinazione lineareconvessa di misure di Dirac.(2) Il valore medio dell’osservabile A sullo stato ρ, 〈A〉ρ ed il suo scarto quadratico medio ∆A2

ρ

sullo stato ρ, possono essere scritti in modo sintetico usando l’operatore A (7.32) associatoall’osservabile nel modo che segue. Per definizione di valore medio

〈A〉ρ =∫

Ra dµ(A)

ρ (a) .

D’altra parte, tenendo conto dell’espressione (7.34) si ha∫Ra dµ(A)

ρ (a) =∑n

pnan =∑n

antr(ρPan) .

Usando infine (7.32) e le proprieta lineari della traccia, concludiamo che:

〈A〉ρ = tr(ρA) . (7.35)

Nel caso che ρ sia uno stato puro, ossia ρ = ψ(ψ|·) con ||ψ|| = 1, si ha immediatamente da (7.35)che, se 〈A〉ψ indica il valor medio di A sullo stato individuato dal vettore ψ,

〈A〉ψ = (ψ|Aψ) (7.36)

Per definizione lo scarto quadratico medio e

∆A2ρ =

∫Ra2 dµ(A)

ρ (a)− 〈A〉2ρ .

Procedendo come nel caso del valor medio:∫Ra2 dµ(A)

ρ (a) =∑n

pna2n =

∑n

a2ntr(ρPan) = tr

ρ∑n

a2nPan

.

Si osservi ora che

A2 =∑n

anPan∑m

amPam =∑n,m

anamPanPam =∑n

a2nPan = A2 ,

dove abbiamo usato PanPam = δn,mPn. In definitiva:

∆A2ρ = tr

ρA2

− (tr (ρA))2 . (7.37)

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Nel caso che ρ sia uno stato puro, ossia ρ = ψ(ψ|·) con ||ψ|| = 1, si ha immediatamente da (7.37)che, se ∆A2

ψ indica lo scarto quadratico medio di A sullo stato individuato dal vettore ψ,

∆A2ψ =

ψ|A2ψ

− (ψ|Aψ)2 =

ψ|A2 − 〈A〉2ψ

ψ. (7.38)

Le formule che abbiamo scritto negli esempi di sopra concernenti i valori medi e gli scarti qua-dratici medi di osservabili in fissati stati, sono in realta valide nel caso generale (con opportuneattenzione ai domini) come sara provato piu avanti, quando avremo definito in maniera del tuttogenerale la procedura per associare operatori autoaggointi ad osservabili.

7.5.4 Un accenno alle osservabili generalizzate in termini di “POVM”.

Nella dimostrazione della dimostrazione 7.9 non abbiamo usato la proprieta (a) in proposizione7.7 che caratterizza le osservabili e, per quanto riguarda la proprieta (d) abbiamo usato solola convergenza in senso debole (implicata da quella forte). Abbiamo, in definitiva, provato laseguente proposizione.

Proposizione 7.10. Sia H uno spazio di Hilbert e PEE∈B(R) una classe di operatori in B(H)che soddisfano:(a)’ PE ≥ 0 per ogni E ∈ B(R);(b)’ PE = I;(c)’ per ogni insieme numerabile di boreliani di R, Enn∈N a due a due disgiunti, vale:

w-+∞∑n=0

PEn = P∪n∈NEn .

Se ρ ∈ S(H), l’applicazione µρ : E 7→ tr(ρPE) e una misura di Borel di probabilita su R.

I numeri µρ(E) sono le probabilita che il risultato di una misura dell’osservabile PEE∈B(R)

cadano nei boreliani E. E possibile, e talvolta conveniente, dare una definizione di osservabiligeneralizzate, assumendo che esse siano descritte da applicazioni E 7→ PE che soddisfino lerichieste (a)’, (b)’ e (c)’, piu deboli rispetto a quelle che possono essere usate per definire le misurea valori di proiezione su R (cioe le osservabili) tramite la proposizione 7.7. In particolare, glioperatori PE non sono piu proiettori ortogonali, ma semplicemente operatori limitati e positivi.Un esempio interessante di applicazione di queste osservabili generalizzate e quando si cerca didefinire un’osservabile tempo. Per esempio come l’osservabile associata al tempo di arrivo diuna particella in un detector. Vi sono profonde ragioni fisiche per asserire che tale osservabilenon puo essere definita in termini di classi di proiettori5.

5Vedi per esempio: R. Giannitrapani Positive-operator-valued time observable in quantum mechanics. Internat.J. Theoret. Phys. 36, 1575–1584, 1997 e R. Brunetti e K: Fredenhagen Remarks on time-energy uncertaintyrealtions Rev. Math. Phys.14, 897-906, 2002.

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Dal punto di vista matematico si ha la seguente definizione (vedi [BGL95] per una discussionegenerale).

Definizione 7.8. Siano H uno spazio di Hilbert. Un’applicazione A : B(R) → B(H) e dettamisura a valori operatoriali positivi (POVM) se soddisfa le seguenti richieste:(a)’ A(E) ≥ 0 per ogni E ∈ B(R);(b)’ A(R) = I;(c)’ per ogni insieme numerabile di boreliani di R, Enn∈N a due a due disgiunti, vale:

w-+∞∑n=0

A(En) = A(∪n∈NEn) .

Un’ osservabile generalizzata su H e una classe di operatori AEE∈B(R) tale che E 7→ AEsia una misura a valori operatoriali positivi.

Note.(1) Se A e una POVM su H, essendo B(H) 3 A(E) ≥ 0, ogni A(E) e autoaggiunto per ogniboreliano E. Le condizioni (a)’ e (c)’ implicano che 0 ≤ A(E) ≤ I e ||A(E)|| ≤ 1 per ogniboreliano E.(2) Esiste un importante teorema, dovuto a Neumark che mostra lo stretto legame tra PVM ePOVM:Teorema di Neumark. se A : B(R) → B(H) e una POVM sullo spazio di Hilbert H alloraesiste Un secondo spazio di Hilbert H′ che include H come sottospazio chiuso ed esiste un’appli-cazione P : B(R) → B(H′) che gode delle proprieta (a), (b), (c), (d) della proposizione 7.8, edefinisce quindi un’osservabile in H′, tale che

UA(E)U = UP (E) ,

per ogni E ∈ B(H), essendo U : H′ → H il proiettore ortogonale su H.E importante notare che, tuttavia, P (E) non ha, in generale, un diretto significato fisico, inquanto H′ non e lo spazio di Hilbert del sistema.(3) Se consideriamo l’insieme degli operatori limitati e positivi A ∈ B(H), con 0 ≤ A(E) ≤ I,dove H e uno spazio di Hilbert, tale insieme e parzialmente ordinato rispetto a alla solita relazioned’ordine ≥, tuttavia non e un reticolo (al contrario dell’insieme dei proiettori ortogonali). Questofatto non permette di generalizzare allo spazio degli operatori limitati positivi l’interpretazionedata ai dei proiettori ortogonali in termini di proposizioni sul sistema. Vedi [BGL95] per ulterioriapprofondimenti.

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Capitolo 8

Teoria Spettrale su spazi di HilbertI: generalita ed operatori normalilimitati.

In questo capitolo, di carattere puramente matematico, introduciamo i primi rudimenti di teo-ria spettrale per operatori (generalmente non limitati) su spazi di Hilbert (complessi), fino adarrivare alla nozione di misura spettrale ed al teorema di decomposizione spettrale per operatorilimitati normali. Il caso degli operatori autoaggiunti non limitati sara trattato nel prossimocapitolo.Nella prima parte introdurremo il concetto di risolvente e di spettro di un operatore. Lo spettrodi un operatore e un insieme di numeri complessi (associato ad ogni operatore) che generalizzail concetto di insieme degli autovalori. Il teorema spettrale prova che ogni operatore (limitatonormale, oppure autoaggiunto non necessariamente limitato) puo essere decomposto, in modounico, tramite una procedura di integrazione rispetto ad una opportuna misura a “valori diproiezione”. In definitiva, tale teorema puo essere visto come una generalizzazione negli spazi diHilbert del teorema di diagonabilizzabilita delle matrici normali a coefficienti in C. Lo spettro diun operatore risulta essere il supporto della misura a valori di proiezione associata all’operatoretramite il teorema spettrale. Gli strumenti matematici necessari per formulare il teorema spet-trale sono utili anche per altri fini. Vedremo in fatti che, attraverso di essi, e possibile dare unanozione di “operatore funzione di un secondo operatore”. Tale nozione ha molteplici applicazioniin fisica matematica.Il legame della teoria spettrale con la Meccanica Quantistica risiede nel fatto che le misure avalori di proiezione non sono altro che le osservabili definite nel capitolo precedente. Attraversoil teorema spettrale, le osservabili risultano essere in corrispondenza biunivoca con operatoriautoaggiunti (generalmente non limitati) e gli spettri di tali operatori costituiscono gli insiemidegli esiti possibili delle misure quando si misurano le osservabili. La corrispondenza tra osser-vabili e operatori autoaggiunti permettera di sviluppare la formulazione della teoria quantisticain stretto legame con la meccanica classica, nella quale, le osservabili sono le grandezze fisiche

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rappresentate da funzioni a valori reali.Esaminiamo con piu dettaglio il contenuto del capitolo.Nella prima sezione definiremo, come detto sopra i concetti di: spettro, risolvente, operatorerisolvente, discutendone le proprieta piu importanti ed in particolare la formula del raggio spet-trale. Daremo le prorieta degli spettri di operatori autoaggiunti, unitari e normali.Nella sezione successiva costruiremo degli ∗-omomorfismi continui di C∗-algebre di funzioni in-dotti da operatori limitati autoaggiunti in spazi di Hilbert che saranno lo strumento fondamentaleper fare il primo passo verso il teorema spettrale.Nell’ultima sezione, dopo avere definito la nozione di integrale di una funzione limitata ri-spetto ad una PVM, sara dimostrato il teorma spettrale sara per operatori limitati normali (inparticolare autoaggiunti o unitari) in due versioni.

8.1 Spettro, risolvente, operatore risolvente.

In questa sezione ci occuperemo delle nozioni e dei risultati fondamentali della teoria spettralein spazi normati, di Banach e di Hilbert.

8.1.1 Nozioni fondamentali.

Definizione 8.1. Sia X spazio normato sul campo C e sia A : D(A)→ X un operatore lineare,dove D(A) ⊂ X e un sottospazio (non necessariamente denso) di X.(a) Si dice insieme risolvente di A l’insieme ρ(A) dei λ ∈ C tali che siano soddisfatte leseguenti tre condizioni:

(i) Ran(A− λI) = X;(ii) (A− λI) : D(A)→ X e iniettivo;(iii) (A− λI)−1 : Ran(A− λI)→ X e limitato.

(b) Se λ ∈ ρ(A), si dice (operatore) risolvente di A l’operatore

Rλ(A) := (A− λI)−1 : Ran(A− λI)→ D(A) .

(c) Si dice spettro di A l’insieme σ(A) := C \ ρ(A). Lo spettro di A e unione dei seguenti tresottoinsiemi disgiunti:

(i) lo spettro puntuale di A, σp(A), costituito dai numeri complessi λ per cui l’operatoreA− λI non e iniettivo;

(ii) lo spettro continuo di A, σc(A), costituito dai numeri complessi λ per cui l’operatoreA− λI e iniettivo e vale l’identita Ran(A− λI) = X, ma (A− λI)−1 non e limitato;

(iii) lo spettro residuo di A, σr(A), costituito dai numeri complessi λ per cui l’operatoreA− λI e iniettivo, ma Ran(A− λI) 6= X.

Note.(1) E chiaro che σp(A) contiene tutti e soli gli autovalori di A (vedi definizione 3.10). Nel casoin cui X = H e uno spazio di Hilbert e gli autovettori di A formano una base hilbertiana di H,

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si dice che A ha spettro puntuale puro. Si osservi che questo non significa, in generale, cheσp(T ) = σ(T ); per esempio gli operatori autoaggiunti compatti hanno tutti spettro puntualepuro, tuttavia 0 puo essere un punto dello spettro continuo.(2) Nel seguito faremo uso della teoria delle funzioni analitiche (dette equivalentemente olo-morfe) definite su sottoinsiemi aperti di C, dati dagli insiemi risolventi di operatori chiusi, avalori in uno spazio di Banach sul campo complesso [Rud82]. La teoria e essenzialmente quelladelle funzioni analitiche a valori complessi gia nota dai corsi elementari, con le uniche differenzeche, sull’immagine delle funzioni: (i) il valore assoluto deve essere sostituito con la norma dellospazio di Banach e (ii) la coniugazione complessa deve essere rimpiazzata dalla coniugazionehermitiana. Le definizioni, gli enunciati dei teoremi e le loro dimostrazioni sono gli stessi delcaso elementare, se si tiene conto delle due precisazioni dette sopra.(3) Esistono altre decomposizioni dello spettro [ReSi80, AbCi97] nel caso in cui X = H siaspazio di Hilbert e A sia operatore normale di B(H) oppure autoaggiunto in H, di cui diremonel capitolo seguente dopo aver dimostrato il teorema spettrale per operatori autoaggiunti nonlimitati. Per uno studio dettagliato di tali classificazioni per operatori rilevanti in MeccanicaQuantistica si veda [AbCi97].

Lo spettro degli operatori autoaggiunti in uno spazio di Hilbert gioca un ruolo fondamentalein Meccanica Quantistica, perche, come vedremo, e costituito dall’insieme dei possibili risultatidelle misure dell’osservabile associata all’operatore.Rimaniamo per il momento in un contesto generale e proviamo il seguente teorema. Tra le altrecose, il teorema prova che, se l’operatore T sullo spazio normato X e chiuso – in particolare,quindi, se T ∈ B(X) oppure, per il teorema 5.1, se T e autoaggiunto o e l’aggiunto di un ope-ratore su uno spazio di Hilbert – allora, per avere che λ ∈ ρ(T ) e necessario e sufficiente cheT − λI sia una biezione da D(T ) a tutto X. Non e quindi necessario controllare che l’inverso siacontinuo e nemmeno controllare che Ran(T − λI) sia denso.

Teorema 8.1. Sia X spazio di Banach sul campo C e sia T un operatore in X con dominioD(T ). Se T e chiuso, valgono i seguenti fatti.(a) λ ∈ ρ(T ) se e solo se T − λI e una biezione di D(T ) su X.(b) ρ(T ) e aperto, σ(T ) e chiuso e ρ(T ) 3 λ 7→ Rλ(T ) e una funzione olomorfa su ρ(T ) a valorinello spazio di Banach complesso B(X).(c) Se D(T ) = X, allora ρ(T ) e non vuoto; se inoltre X 6= 0, allora σ(T ) e un compatto nonvuoto ed in particolare vale:

|λ| ≤ ||T || , per ogni λ ∈ σ(T ).

(d) Per ogni λ, µ ∈ ρ(T ) vale l’equazione risolvente:

Rλ(T )−Rµ(T ) = (λ− µ)Rλ(T )Rµ(T ) .

Note.(1) Per il punto (a), se T ∈ B(X) con X spazio di Banach (e quindi T e chiuso per il teorema del

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grafico chiuso), oppure se T = A∗ (e quindi T e chiuso per (a) del teorema 5.1) con A operatorenello spazio di Hilbert X = H (in particolare se T = T ∗), allora il dominio di Rλ(T ) e tutto X equindi Rλ(T ) ∈ B(X) (il tutto se λ ∈ ρ(T )).(2) Il punto (c) si applica in particolare al caso di operatori T ∈ B(X) per il teorema del graficochiuso.

Prova del teorema 8.1. (a) Se λ ∈ ρ(T ), basta provare che Ran(T−λI) = X. Dato che (T−λI)−1

e continuo, esiste K ≥ 0 per cui ||(T −λI)−1x|| ≤ K||x|| per ogni x = (T −λI)y ∈ Ran(T −λI).Di conseguenza, per ogni y ∈ D(T ) vale

||y|| ≤ K||(T − λI)y)|| . (8.1)

Dato che Ran(T − λI) = X, se x ∈ X, esistera una successione ynn∈N ⊂ D(T ) per cui (T −λI)yn → x per n → +∞. Da (8.1) concludiamo che ynn∈N e successione di Cauchy e quindiammette limite y ∈ X. Essendo T un operatore chiuso, dovra essere y ∈ D(T ) e (T − λI)y = x,per cui x ∈ Ran(T − λI). Abbiamo provato che Ran(T − λI) = X, come volevamo.Supponiamo ora che T − λI sia una biezione di D(T ) su X; per provare la tesi e sufficientemostrare che (T − λI)−1 e continuo. Poiche T e chiuso, allora anche T − λI e chiuso, cioe hagrafico chiuso. Dato che T − λI e una biezione, segue subito che anche (T − λI)−1 ha graficochiuso ed e quindi chiuso. Essendo (T − λI)−1 definito su tutto X per ipotesi, il teorema delgrafico chiuso prova immediatamente che (T − λI)−1 e limitato.(b) Se µ ∈ ρ(T ), la serie:

S(λ) :=+∞∑n=0

(λ− µ)nRµ(T )n+1

converge assolutamente nella norma operatoriale (e quindi nella topologia uniforme) se

|λ− µ| < 1/||Rµ(T )|| . (8.2)

Infatti vale:

+∞∑n=0

|λ− µ|n||Rµ(T )n+1|| ≤+∞∑n=0

|λ− µ|n||Rµ(T )||n+1 = ||Rµ(T )||+∞∑n=0

| (λ− µ) ||Rµ(T )|| |n .

L’ultima serie e una serie geometrica di ragione | (λ − µ) ||Rµ(T )|| |, che converge in quanto| (λ− µ) ||Rµ(T )|| | < 1 per la (8.2).Se λ soddisfa la condizione di sopra, applicando T − λI = (T − µI) + (µ − λ)I a sinistra ed adestra di S(λ), si ottiene immediatamente che (usando anche la definizione Rµ(T )0 := I)

(T − λI)S(λ) = IX

mentreS(λ)(T − λI) = ID(T ) .

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Abbiamo provato che se µ ∈ ρ, c’e un intorno aperto di µ tale che, per ogni punto λ di taleintorno esiste ed e limitato l’inverso di T − λI da X a D(T ). Quindi, per (a), tale intorno eincluso in ρ(T ) e allora ρ(T ) e aperto e σ(T ) = C\ρ(T ) e chiuso. Inoltre Rλ(T ) e sviluppabile inserie di Taylor nell’intorno di ogni punto di ρ(T ) secondo la topologia operatoriale uniforme, percui ρ(T ) 3 λ 7→ Rλ(T ) e una funzione olomorfa da ρ(T ) a valori nello spazio di Banach B(X).(c) Nel caso D(T ) = X, essendo T chiuso e X spazio di Banach, il teorema del grafico chiusoimplica che T e limitato. Se λ ∈ C soddisfa |λ| > ||T ||, allora la serie

S(λ) =+∞∑n=0

(−λ)−(n+1)Tn

(T 0 := I), converge assolutamente nella norma operatoriale. Per computo diretto si verifica che,come nel caso precedente, valgono effettivamente le identita:

(T − λI)S(λ) = I

e ancheS(λ)(T − λI) = I ,

e quindi S(λ) = Rλ(T ) per (a). Quindi, per (a), ogni λ ∈ C con |λ| > ||T || appartiene a ρ(T ),che e dunque non vuoto. Inoltre, se λ ∈ σ(T ), deve valere |λ| ≤ ||T ||, per cui, se σ(T ) e nonvuoto, allora e compatto perche chiuso e limitato. Mostriamo che σ(T ) 6= ∅. Supponiamo perassurdo che σ(T ) = ∅. In tal caso λ 7→ Rλ(T ) e definita su tutto C. Fissiamo f ∈ X′ (dualedi X) e x ∈ X e consideriamo la funzione a valori complessi: ρ(T ) 3 λ 7→ g(λ) := f(Rλ(T )x).Questa funzione e sicuramente analitica in ogni componente connessa dell’insieme aperto ρ(T ),perche, per quanto provato sopra, se µ ∈ ρ(T ), in un intorno di µ tutto contenuto in ρ(T ), si halo sviluppo di Taylor:

f(Rλ(T )x) :=+∞∑n=0

(λ− µ)nf(Rµ(T )n+1x) ,

dove abbiamo sfruttato la continuita di f , ed il fatto che la serie converge nella topologia uni-formemente (e quindi anche in quella debole). Dunque, nell’ipotesi in cui σ(T ) = ∅, g e unafunzione analitica su tutto C. Notiamo ancora che per |λ| > ||T || vale anche lo sviluppo:

g(λ) := f(Rλ(T )x) =+∞∑n=0

(−λ)−(n+1)f(Tnx) .

Dato che tale serie converge assolutamente (per il teorema di Abel sulle serie di potenze),possiamo scrivere, per |λ| ≥ 1 + ||T ||:

|g(λ)| ≤ |λ|−1+∞∑n=0

|λ|−n|f(Tnx)| ≤ K

|λ|.

per qualche K > 0. Quindi la funzione |g|, essendo continua ovunque e maggiorata da K|λ−1|per |λ| ≥ Λ per qualche costante Λ, deve essere limitata su tutto il piano complesso. Essendo

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anche olomorfa su tutto il piano complesso, g deve essere costante per il teorema di Liouville.Annullandosi |g(λ)| all’infinito, g deve essere la funzione nulla. Allora f(Rλ(T )x) = 0. Datoche il risultato vale per ogni f ∈ X′, il secondo corollario al teorema di Hahn-Banach (cap.2sezione 2.3) implica che deve essere ||Rλ(T )x|| = 0. Dato che anche x ∈ X 6= 0 era arbitrario,dobbiamo concludere che Rλ(T ) = 0 per ogni λ ∈ ρ(T ). Ma allora e impossibile che Rλ(T ) sial’operatore inverso di T − λI. L’assurdo prova che l’ipotesi σ(T ) = ∅ non puo verificarsi.(d) L’equazione risolvente si prova come segue. Valgono le equazioni (T − λI)Rλ(T ) = I e(T −µI)Rµ(T ) = I. Esplicitando i prodotti: TRλ(T )−λRλ(T ) = IX e TRµ(T )−µRµ(T ) = IX.Moltiplicando a sinistra la prima equazione per Rµ(T ) e la seconda per Rλ(T ), sottraendoi risultati ottenuti membro a membro e tenendo conto che Rµ(T )Rλ(T ) = Rλ(T )Rµ(T ) eche Rµ(T )TRλ(T ) = Rλ(T )TRµ(T ), si ottiene l’equazione risolvente. La prima relazione dicommutazione scritta sopra segue dall’evidente identita

(T − µI)(T − λI) = (T − λI)(T − µI)

che ne implica un’analoga per gli operatori inversi; la seconda relazione di commutazione si provacome segue:

Rµ(T )TRλ(T ) = Rµ(T )(T − λI)Rλ(T ) +Rµ(T )λIRλ(T ) = Rµ(T )I + λRµ(T )Rλ(T )

= Rµ(T ) + λRλ(T )Rµ(T ) = (I + λRλ(T ))Rµ(T ) = (Rλ(T )(T − λI) + λRλ(T ))Rµ(T )

= Rλ(T )TRµ(T ) .

Questo conclude la dimostrazione. 2

8.1.2 Il raggio spettrale e la formula di Gelfand.

Se T e un operatore limitato in uno spazio di Banach con dominio dato da tutto lo spazio, peril teorema 8.1 il suo spettro e contenuto nel cerchio di raggio ||T || centrato nell’origine di C.Tuttavia potrebbe esserci un cerchio di raggio piu piccolo, con lo stesso centro, che racchiudeσ(T ). A tal fine si fornisce la seguente definizione.

Definizione 8.2. Sia X spazio di Banach sul campo C. Il raggio spettrale di T ∈ B(X) e ilnumero reale non negativo:

r(T ) := sup|λ| | λ ∈ σ(T ) .

Esiste una celebre formula per il calcolo del raggio spettrale, dovuta al matematico Gelfand.Otterremo la formula di Gelfand usando un risultato sullo spettro di polinomi di operatori limi-tati che avra anche un’altra importante conseguenza nella sezione successiva.

Proposizione 8.2. Siano X spazio di Banach sul campo C, T ∈ B(X) e p = p(z) un polinomiocomplesso nella variabile z ∈ C. Valgono i seguenti fatti.

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(a) Se p(T ) indica l’operatore ottenuto sostituendo al numero z l’operatore T in p(z) ed inter-pretando ogni potenza Tn come l’operatore ottenuto dalla composizione di T con se stesso n volte(T 0 := I), vale:

σ(p(T )) = p(σ(T )) := p(λ) | λ ∈ σ(T ) . (8.3)

(b) Se X e uno spazio di Hilbert, lo spettro di T ∗ soddisfa

σ(T ∗) = σ(T ) := λ | λ ∈ σ(T ) (8.4)

.

Prova. (a) Se α1, . . . , αn sono le radici di un polinomio q (non necessariamente distinte), valeq(z) = c

∏ni=1(z − αi), per qualche complesso c. Quindi q(T ) = c

∏ni=1(T − αiI). Sia λ ∈ σ(T ):

allora (T−λI) : X→ X non e biettivo per (a) di teorema 8.1; definiamo µ := p(λ). Consideriamoil polinomio q := p − µ. Dato che q(λ) = 0, uno dei fattori della decomposizione di q scrittasopra sara (z − λ). Di conseguenza, scegliendo opportunamente l’ordine delle radici e tenendoconto che gli operatori T − αiI commutano tra di loro, si ha:

p(T )− µI = c

[n−1∏i=1

(T − αiI)

](T − λI) = c(T − λI)

n−1∏i=1

(T − αiI) .

Come conseguenza, p(T )−µI non potra essere biettivo come operatore da X a X, essendo T −λInon biettivo. Per (a) del teorema 8.1 deve allora essere µ ∈ σ(p(T )). Abbiamo quindi provatoche p(σ(T )) ⊂ σ(p(T )). Per concludere proviamo l’altra inclusione. Sia µ ∈ σ(p(T )): poniamoq = p − µ e decomponiamo il polinomio q come q(z) = c

∏ni=1(z − αi). Avremo l’analoga

decomposizione

p(T )− µI = cn∏i=1

(T − αiI) .

Se tutte le radici αi appartenessero a ρ(T ), allora ogni (T − αiI) : X → X sarebbe biettivo equindi sarebbe biettivo p(T ) − µI, cosa che e esclusa per ipotesi. Di conseguenza ci sara unaradice αk tale che (T − αkI) : X → X non e biettivo e quindi (sempre per (a) del teorema 8.1)αk ∈ σ(T ). Ma allora p(αk)− µ = 0 e dunque µ ∈ p(σ(T )), il che implica p(σ(T )) ⊃ σ(p(T )).(b) Dalla proposizione 3.6, (T − λI) : X→ X e biettivo se e solo se T ∗− λI lo e; (a) del teorema8.1 implica allora la tesi. 2

Teorema 8.2. Siano (X, || ||) spazio di Banach e T ∈ B(X).(a) Il raggio spettrale di T si ottiene tramite la formula di Gelfand

r(T ) = limn→+∞

||Tn||1/n ,

dove il limite a secondo membro esiste sempre.(b) Se X e spazio di Hilbert e T e normale (T ∈ B(X)), allora vale sempre

r(T ) = ||T || .

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Prova.(a) Per (a) di proposizione 8.2 si ha (σ(T ))n = σ(Tn), per cui r(T )n = r(Tn) ≤ ||Tn|| equindi vale

r(T ) ≤ lim infn||Tn||1/n . (8.5)

(Si noti che, al contrario del limite inferiore, che esiste sempre, il limite potrebbe non esistere.)Se |λ| > r(T ), allora vale

Rλ(T ) =+∞∑n=0

(−λ)−(n+1)Tn , (8.6)

perche, per il teorema di Hadamard, il bordo del cerchio di convergenza di una serie di potenzedi Laurent di una funzione analitica e quello che passa nella singolarita piu vicina al puntoall’infinito. Nel caso in esame, dato che tutte le singolarita appartengono allo spettro σ(T ), ilbordo del cerchio di convergenza e dato dai punti λ ∈ C con |λ| > r(T ). In definitiva, la seriedi sopra converge per ogni λ ∈ C tale che |λ| > r(T ) e quindi convergera assolutamente in ognicerchio, centrato nel punto all’infinito, che passa per un tale λ. In particolare varra

|λ|−(n+1)||Tn|| → 0 ,

se n → +∞, per ogni λ ∈ C con |λ| > r(T ). Per ogni ε > 0, deve accadere allora che,definitivamente:

||Tn||1/n < ε1/n|λ|(n+1)/n = (ε|λ|)1/n|λ| ,

per cui, essendo (ε|λ|)1/n → 1 per n→ +∞, accadra che lim supn ||Tn||1/n ≤ |λ| per ogni λ ∈ Ccon |λ| > r(T ). Dato che possiamo avvicinarci a piacere al valore di r(T ) con |λ|, dovra accadereche lim supn ||Tn||1/n ≤ r(T ). Tenendo conto di (8.5), abbiamo infine che:

r(T ) ≤ lim infn||Tn||1/n ≤ lim sup

n||Tn||1/n ≤ r(T ) .

Questo prova che esiste il limite di ||Tn||1/n per n→ +∞ e che esso coincide con r(T ).(b) Per (a) di proposizione 3.7, tenendo conto che B(X) e una C∗-algebra con involuzione ∗ (vedinota prima della proposizione 3.7), abbiamo che ||Tn|| = ||T ||n se T e normale. Applicando laformula di Gelfand, si ha:

r(T ) = limn→+∞

||Tn||1/n = limn→+∞

(||T ||n)1/n = ||T || .

Questo completa la dimostrazione. 2

Nota. Il punto (b) vale in particolare se T e autoaggiunto oppure se T e unitario.

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8.1.3 Spettri di operatori autoaggiunti, unitari e normali in spazi di Hilbert.

Passiamo a considerare il caso specifico di operatori unitari e di operatori autoaggiunti.

Proposizione 8.3. Sia H spazio di Hilbert. Valgono i seguenti fatti.(a) Se A e operatore autoaggiunto in H (non necessariamente limitato e non definito su tutto Hin generale), allora:

(i) σ(A) ⊂ R,(ii) σr(A) = ∅,(iii) autospazi di A con autovalori (cioe punti di σp(A)) distinti sono ortogonali.

(b) Se U ∈ B(H) e operatore unitario, allora:(i) σ(U) e un sottoinsieme compatto e non vuoto di λ ∈ C | |λ| = 1,(ii) σr(U) = ∅.

(c) Se T ∈ B(H) e operatore normale, allora:(i) σr(T ) = σr(T ∗) = ∅,(ii) σp(T ∗) = σp(T ),(iii) σc(T ∗) = σc(T ).

Prova. (a) Cominciamo con (i). Supponiamo λ = µ + iν con ν 6= 0 e proviamo che λ ∈ ρ(A).Se x ∈ D(A), vale:

((A− λI)x|(A− λI)x) = ((A− µI)x|(A− µI)x) + ν2(x|x) + iν[(Ax|x)− (x|Ax)] .

L’ultimo addendo e nullo perche A e autoaggiunto. Concludiamo che

||(A− λI)x|| ≥ |ν| ||x|| .

Con la stessa procedura si trova anche che

||(A− λI)x|| ≥ |ν| ||x|| .

Gli operatori A − λI e A − λI saranno dunque iniettivi e varra ||(A − λI)−1|| ≤ |ν|−1, dove(A− λI)−1 : Ran(A− λI)→ D(A). Notiamo ora che vale

Ran(A− λI)⊥

= [Ran(A− λI)]⊥ = Ker(A∗ − λI) = Ker(A− λI) = 0 ,

dove, nell’ultimo passaggio, si e tenuto conto del fatto che A−λI e iniettivo. Riassumendo, valeche: A− λI e iniettivo, (A− λI)−1 e limitato e Ran(A− λI)

⊥= 0, cioe Ran(A− λ) e denso

in H; quindi λ ∈ ρ(A), per definizione di insieme risolvente.Passiamo a (ii). Supponiamo che λ ∈ σ(A), ma che λ 6∈ σp(A). In tal caso A − λI deveessere iniettivo e quindi Ker(A − λI) = 0. Essendo A = A∗ e λ ∈ R per (i), vale alloraKer(A∗−λI) = 0, per cui [Ran(A−λI)]⊥ = Ker(A∗−λI) = 0 e quindi Ran(A− λI) = H.Di conseguenza λ ∈ σc(A).

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La prova di (iii) e immediata: se λ 6= µ e Au = λu, Av = µv, allora, tenendo conto del fatto cheλ, µ ∈ R e che A = A∗,

(λ− µ)(u|v) = (Au|v)− (u|Av) = (u|Av)− (u|Av) = 0 ;

essendo λ− µ 6= 0, deve essere (u|v) = 0.(b) (i) Il fatto che σ(U) sia chiuso segue subito da (b) del teorema 8.1, dato che ogni operatoreunitario e definito su tutto H, limitato e, quindi, chiuso. Essendo ||U || = 1, da (c) dello stessoteorema segue anche che σ(U) e un sottoinsieme compatto e non vuoto di λ ∈ C | |λ| ≤ 1.Per concludere, consideriamo la serie

S(λ) =+∞∑n=0

λn(U∗)n+1

dove |λ| < 1. Tenendo conto che ||U || = ||U∗|| = 1, si vede immediatamente che la serie convergeassolutamente nella norma operatoriale e quindi definisce un operatore di B(H). Tenendo infineconto che U∗U = UU∗ = I ed usando la serie scritta sopra, si ha che

(U − λI)S(λ) = S(λ)(U − λI) = I .

Per (a) del teorema 8.1, deve allora essere λ ∈ ρ(U). In definitiva: σ(U) e un sottoinsiemecompatto e non vuoto di λ ∈ C | |λ| = 1.(ii) La tesi e conseguenza di (i) di (c), essendo normale ogni operatore unitario. Diamo co-munque una dimostrazione indipendente. Se λ ∈ σr(U), allora Ran(U − λI) non e denso, percui esiste f 6= 0 normale a Ran(U − λI). Allora, per ogni g ∈ H: (f |λg) = (f |Ug) e quindi(λf |g) = (U∗f |g) per ogni g ∈ H. Di conseguenza: U∗f = λf . Facendo agire U membro amembro, troviamo f = λUf , che implica Uf = λf perche, essendo |λ| = 1, vale 1/λ = λ.Quindi λ ∈ σp(U) e cio e assurdo, essendo lo spettro puntuale e lo spettro residuo disgiunti;pertanto σr(U) = ∅.(c) Ricordiamo che, se T ∈ B(H) e normale, allora λ ∈ C e autovalore di T se e solo se λ eautovalore di T ∗ ((i) di (b) in proposizione 3.8). Questo fatto da solo prova (ii). Essendo letre parti dello spettro disgiunte e valendo σ(T ) = σ(T ∗) ((b) proposizione 8.2), per provare (iii)basta dimostrare (i). Supponiamo che λ ∈ σ(T ), ma che λ 6∈ σp(T ). Essendo σ(T ) = σ(T ∗)e σp(T ) = σp(T ∗), questo equivale a dire che λ ∈ σ(T ∗), ma che λ 6∈ σp(T ∗). In tal casoT ∗ − λI deve essere iniettivo e quindi Ker(T ∗ − λI) = 0. Allora (per (d) di proposizione 3.6)[Ran(T − λI)]⊥ = Ker(T ∗ − λI) = 0 e quindi Ran(T − λI) = H. Di conseguenza λ ∈ σc(T ).In altre parole σr(T ) = ∅. La dimostrazione per T ∗ e la stessa, usando il fatto che (T ∗)∗ = T((b) di proposizione 3.6). 2

Esercizi 8.1.(1) Si supponga che valgano le ipotesi del teorema 8.1 con X = H spazio di Hilbert.Mostrare che se Rλ(T ) e compatto per λ = λ0 ∈ ρ(T ), allora e compatto per ogni λ ∈ ρ(T ).

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Suggerimento. Si usi l’equazione risolvente e le proprieta dello spazio degli operatori com-patti.(2) Sia H = l2(N) e si consideri l’operatore:

T : (x0, x1, x2, . . .) 7→ (0, x0, x1, . . .) .

Determinare lo spettro di T .(3) Siano H spazio di Hilbert e T = T ∗ ∈ B(H) compatto. Mostrare che se dim(RanT ) non efinita, allora σc(T ) 6= ∅ ed e costituito da un punto solo.

Suggerimento. Decomporre T come nel teorema 4.3, tenere conto del teorema 4.2 ed infinedel fatto che σ(T ) e chiuso per il teorema 8.1.(4) Costruire un operatore autoaggiunto con spettro puntuale denso in [0, 1].

Suggerimento. Si consideri lo spazio di Hilbert H = l2(N), si numerino i razionali in [0, 1]secondo un ordine qualsiasi: r0, r1, . . . e si definisca l’operatore

T : (x0, x1, x2, . . .) 7→ (r0x0, r1x1, r2x2, . . .)

con dominio D(T ) dato dalle successioni (x0, x1, x2, . . .) ∈ l2(N) tali che

+∞∑n=0

|rnxn|2 < +∞ .

(5) Mostrare che se T e autoaggiunto sullo spazio di Hilbert H e λ ∈ ρ(T ), allora Rλ(T ) e unoperatore normale di B(H) che soddisfa:

Rλ(T )∗ = Rλ(T ) .

(6) Mostrare che se U : H→ H, con H spazio di Hilbert, e operatore isometrico non suriettivo,allora σr(U) 6= ∅.

Suggerimento. Provare che 0 ∈ σ(U). U − 0I e iniettivo, ma Ran(U − 0I) = RanU non edenso. Se fosse denso accadrebbe che, per ogni f ∈ H, esisterebbe fnn∈N ⊂ H con Ufn → f .Conservando U la norma, fn sarebbe di Cauchy perche lo e Ufn, ma allora, se fn → g,avremmo Ug = f . Dato che f ∈ H e arbitrario, avremmo che U e suriettivo, cosa esclusa apriori.(7) Sia A un operatore nello spazio di Hilbert H con dominio D(A) e sia U : H′ → H un’isometriasuriettiva tra spazi di Hilbert. Provare che, se A′ := U−1AU : D(A′) → H′, con D(A′) =U−1D(A), allora σp(A) = σp(A′), σp(A) = σp(A′), σr(A) = σr(A′).(8) Si consideri l’operatore posizione Xi definito in definizione 5.7. Mostrare che σ(Xi) =σc(Xi) = R.(9) Si consideri l’operatore impulso Xi definito in definizione 5.9. Mostrare che σ(Pi) = σc(Pi) =R.

Suggerimento. Usare la proposizione 5.6.(10) Se σ(A) = σ(B), per due operatori A e B in uno spazio di Hilbert, allora e vero cheσp(A) = σp(B)?

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Suggerimento. Considerare l’operatore dell’esercizio (4) e l’operatore moltiplicativo per lacoordinata x in L2([0, 1], dx), dove dx e la misura di Lebesgue su R.11. Si consideri l’operatore di Volterra T : L2([0, 1], dx) → L2([0, 1], dx) definito in (4.35) e sene studi lo spettro.

Suggerimento. σ(T ) = σc(T ) = 0.

8.2 ∗-omomorfismi continui di C∗-algebre di funzioni indotti daoperatori limitati autoaggiunti in spazi di Hilbert.

Mostreremo in questa sezione come sia possibile costruire una trasformazione continua, checonservi la struttura di C∗-algebra, da uno spazio di funzioni misurabili limitate e definite suun compatto, allo spazio degli operatori limitati e definiti su uno spazio di Hilbert H. Latrasformazione suddetta e “generata” da un operatore autoaggiunto T ∈ B(H). Il primo passoper costruire tali trasformazioni consiste nello studio di funzioni polinomiali di T e T ∗ nel casopiu generale in cui T ∈ B(H) sia un operatore normale. Per ragioni tecniche e conveniente, incerti casi, esprimere tali polinomi in funzione di due variabili autoaggiunte che ora introduciamo.Consideriamo un operatore normale T ∈ B(H), dove H e uno spazio di Hilbert. Possiamo sempredecomporre T e T ∗ in combinazioni lineari di due operatori autoaggiunti, X,Y , commutanti tradi loro:

T = X + iY , T ∗ = X − iY , (8.7)

essendo per definizione

X :=T + T ∗

2, Y :=

T − T ∗

2i. (8.8)

Gli operatori X e Y sono evidentemente autoaggiunti per costruzione. La prova del fatto cheX e Y commutano e immediata, in virtu della commutativita di T e T ∗.La decomposizione (8.7) e analoga a quella dei numeri complessi in parte reale ed immaginaria:

z = x+ iy , z = x− iy , (8.9)

essendo per definizione

x :=z + z

2, y :=

z − z2i

. (8.10)

Nota. E importante precisare che si possono considerare z e z come variabili indipendenti,biunivocamente legate con le variabili x, y. I polinomi e, piu in generale, le funzioni di x ey sono allora in corrispondenza biunivoca con le funzioni di z e z: alla funzione f = f(z, z)si puo associare la funzione g = g(x, y), definita come g(x, y) := f(x + iy, x − iy) e, vi-ceversa, alla funzione g = g(x, y) si puo associare la funzione f1 = f1(z, z), definita comef1(z, z) := g((z + z)/2, (z − z)/2i). E chiaro che vale f1 = f identicamente. Sfrutteremo talepossibilita in seguito.

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L’applicazione φT che associa ad un polinomio a coefficienti complessi p = p(x, y), (x, y) ∈ R2,l’operatore normale p(X,Y ) (definito nel modo piu ovvio, interpretando i prodotti di numeri xe y come composizione di operatori X e Y e definendo X0 := Y 0 := I) ha delle caratteristicheinteressanti, la cui verifica e immediata, tenendo conto del fatto che X e Y (e dunque le loropotenze) commutano:

(a) e lineare: φT (αp+ βp′) = αφT (p) + βφT (p′) per ogni α, β ∈ C,(b) manda il prodotto di polinomi nella composizione di operatori: φT (p·p′) = φT (p)φT (p′),(c) manda il polinomio che vale costantemente 1 nell’operatore identita: φT (1) = I .

Queste proprieta, per definizione (cfr A7 in definizione 2.4), rendono φT un omomorfismo dialgebre con unita, definito sulla ∗-algebra con unita dei polinomi complessi e a valori nellaC∗-algebra B(H). Ci sono ancora tre proprieta interessanti di φT :

(d) manda il polinomio R2(x, y) 7→ z = x+ iy, che indicheremo un po’ impropriamente conz, nell’operatore T : φT (z) = T ;

(e) se p denota il polinomio complesso coniugato del polinomio p (p(x, y) = p(x, y) per ogni(x, y) ∈ R2), vale φT (p)∗ = φT (p);

(f) se, per A ∈ B(H), valgono AT = TA e AT ∗ = T ∗A, allora AφT (p) = φT (p)A per ognipolinomio p.C’e un’altra interessante proprieta che si riscontra quando si restringe il dominio dei polinomiconsiderati ad un compatto di R2. Consideriamo, per esempio, un polinomio p = p(x, y) definitosul compatto σ(T ) e tale che si possa scrivere come funzione della variabile z = x+ iy. Questoaccade, in particolare, se T = T ∗, nel qual caso σ(T ) ⊂ R. Possiamo allora scrivere p = p(z),oppure, nel caso in cui T = T ∗, p = p(x).Dato che φT (p) = p(T ) e un operatore normale, deve essere che, in virtu di (b) del teorema 8.2:

||p(T )|| = r(p(T )) = sup|µ| ∈ C | µ ∈ σ(p(T )) .

La proposizione 8.2 implica allora che:

||φT (p)|| = sup|p(z)| | z ∈ σ(T ) . (8.11)

Questo fatto puo essere esteso, con opportune precisazioni, al caso di funzioni non necessaria-mente polinomiali. Occupiamoci ora, in modo specifico, del caso in cui T sia autoaggiunto.

Proposizione 8.4. Siano H spazio di Hilbert e T ∈ B(H) operatore autoaggiunto.(a) Esiste un unico omomorfismo continuo, ΦT : C(σ(T ))→ B(H), dalla C∗-algebra commuta-tiva con unita C(σ(T )) (spazio delle funzioni continue a valori complessi f = f(x), per x ∈ σ(T ),dotato della norma dell’estremo superiore || ||∞ e con involuzione data dalla coniugazionecomplessa) alla C∗-algebra con unita B(H), che gode della proprieta

ΦT (x) = T , dove x e il polinomio σ(T ) 3 x 7→ x. (8.12)

(b) ΦT gode delle ulteriori seguenti proprieta:(i) per ogni f ∈ C(σ(T )) vale ||ΦT (f)|| = ||f ||∞;

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(ii) se, per A ∈ B(H), vale AT = TA, allora AΦT (f) = ΦT (f)A per ogni f ∈ C(σ(T ));(iii) ΦT e uno ∗-omomorfismo di C∗-algebre, valendo ΦT (f) = ΦT (f)∗ per ogni f ∈ C(σ(T )).

Prova. (a) Dimostriamo l’esistenza. Lo spettro σ(T ) ⊂ R e compatto per (c) del teorema8.1 ed e spazio topologico di Hausdorff perche tale e R, quindi possiamo applicare il teoremadi Stone-Weierstrass. Lo spazio P (σ(T )) dei polinomi p = p(x), con x ∈ σ(T ), a coefficienticomplessi, costituisce una sottoalgebra di C(σ(T )) che contiene l’unita, data dalla funzione divalore costantemente pari a 1, separa i punti di σ(T ) (se x1, x2 ∈ σ(T ) con x1 6= x2, il polinomiop(x) := x−x1 su σ(T ) e tale che p(x1) = 0, ma p(x2) 6= 0) ed e chiusa rispetto alla coniugazionecomplessa. Il teorema di Stone-Weierstrass ((5) in esempi 2.1) assicura che lo spazio dei polinomiconsiderati e denso in C(σ(T )). Consideriamo l’applicazione (definita prima della proposizione8.4)

φT : P (σ(T )) 3 p 7→ p(X,Y ) ∈ B(H) .

Sappiamo che φT e lineare e vale inoltre ||φT (p)|| = ||p||∞ per (8.11), il che implica la continuitadi φT . E noto che un operatore lineare continuo T : D(T )→ Y, dove Y e uno spazio di Banache D(T ) un sottospazio denso di uno spazio normato X, ammette un’unica estensione limitataÒT : X → Y e vale ||ÒT || = ||T || (vedi gli esercizi svolti (3) e (4) in esercizi 2.1). Di conseguenzaesistera un unico operatore lineare ΦT : C(σ(T )) → B(H) limitato che estende φT su C(σ(T )).Tale operatore e un omomorfismo di algebre con unita in quanto: (a) e lineare, (b) soddisfaΦT (f · g) = ΦT (f)ΦT (g) per continuita (dato che, banalmente, cio e vero sulla sottoalgebra deipolinomi per definizione di φT ), (c) trasforma la funzione che vale costantemente 1 ∈ P (σ(T ))nell’operatore identita I ∈ B(H) per definizione di φT . Infine, la (8.12) e banalmente vera invirtu della proprieta (d) dell’applicazione φT .Passiamo all’unicita: ogni altro omomorfismo χT di algebre con unita che soddisfa (8.12), devecoincidere con ΦT sullo spazio dei polinomi. (Infatti, deve essere T = χT (x) = ΦT (x) e quindi,usando piu volte il fatto che il prodotto di polinomi e trasformato nella composizione di opera-tori, Tn = χT (xn) = ΦT (xn); inoltre, l’ulteriore identita I = χT (1) = ΦT (1) vale per definizionedi omomorfismo tra algebre con unita. Usando la linearita, si ottiene che, per ogni p ∈ P (σ(T )),vale p(T ) = χT (p) = ΦT (p).) Se χT e anche continuo, per l’unicita dell’estensione continuacoincidera con ΦT ovunque.(b) Le proprieta (i) e (ii) si provano immediatamente se f e un polinomio e quindi si estendonodirettamente per continuita al caso di f ∈ C(σ(T )). Infine l’omomorfismo e uno ∗-omomorfismoin quanto, se pn e una successione di polinomi che tende, uniformemente su σ(T ), alla funzionecontinua f , pn tendera, uniformemente su σ(T ), alla funzione continua f ; d’altra parte, comevisto sopra (cfr proprieta (e) di φT ), ΦT (pn) = ΦT (pn)∗ e l’operazione di coniugazione hermi-tiana e continua nella topologia operatoriale uniforme. Per la continuita di ΦT , dovra quindiessere: ΦT (f) = ΦT (f)∗. 2

Notazione 8.1. Ricordiamo che se X e uno spazio topologico, B(X) indica la σ-algebra di Borelsu X. La C∗-algebra delle funzioni f : X→ C Borel-misurabili e limitate M(X,B(X)) (vedi (3)

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in esempi 2.1) sara nel seguito indicata semplicemente con M(X).

Rimanendo nel caso T = T ∗, la proposizione appena provata puo essere estesa dimostrando l’e-sistenza e l’unicita di un analogo omomorfismo di algebre con unita tra M(σ(T )) e B(H) (dovela topologia usata su σ(T ) e quella indotta dalla topologia di R ⊃ σ(T )).

Teorema 8.3. Siano H spazio di Hilbert e T ∈ B(H) operatore autoaggiunto.(a) Esiste un unico omomorfismo continuo, ÒΦT : M(σ(T ))→ B(H), dalla C∗-algebra commuta-tiva con unita M(σ(T )) (spazio delle funzioni misurabili limitate a valori complessi definite sulcompatto di Hausdorff σ(T ), dotato della norma dell’estremo superiore || ||∞ e con involuzionedata dalla coniugazione complessa) alla C∗-algebra con unita B(H), tale che:

(i) vale l’identita: ÒΦT (x) = T , dove x e la funzione σ(T ) 3 x 7→ x ; (8.13)

(ii) se fnn∈N ⊂M(σ(T )) e limitata e converge puntualmente a f : σ(T )→ C, alloraÒΦT (f) = w- limn→+∞

ÒΦT (fn) .

(b) ÒΦT gode delle ulteriori seguenti proprieta:(i) ÒΦT si riduce all’omomorfismo isometrico ΦT su C(σ(T )) di proposizione 8.4;(ii) per ogni f ∈M(σ(T )) vale ||ÒΦT (f)|| ≤ ||f ||∞;(iii) se, per A ∈ B(H), vale AT = TA, allora AÒΦT (f) = ÒΦT (f)A per ogni f ∈M(σ(T ));(iv) ÒΦT e uno ∗-omomorfismo di C∗-algebre, valendo ÒΦT (f) = ÒΦT (f)∗ per ogni f ∈M(σ(T ));(v) se fnn∈N ⊂M(σ(T )) e limitata e converge puntualmente a f : σ(T )→ C, alloraÒΦT (f) = s- lim

n→+∞ÒΦT (fn) ;

(vi) se f ∈M(σ(T )) assume solo valori reali e f ≥ 0, allora ÒΦT (f) ≥ 0.

Nota. A commento di (ii) in (a), notiamo che la convergenza in senso debole di una successionedi operatori in uno spazio di Hilbert H puo essere definita in modo equivalente mediante prodottiscalari, usando il teorema 3.2 (di Riesz), che identifica lo spazio H con il suo duale topologicoH′. Se Ann∈N ⊂ L(H) e A ∈ L(H), scrivere che A = w-limn→+∞An significa che, per ognicoppia x, y ∈ H, (x|Any)→ (x|Ay) per n→ +∞.

Prova del teorema 8.3. (a) Fissati x, y ∈ H, l’applicazione:

Lx,y : C(σ(T )) 3 f 7→ (x|ΦT (f)y) ∈ C

e lineare e ||Lx,y|| e dato da:

sup|Lx,y(f)| | f ∈ C(σ(T )) , ||f ||∞ = 1 ≤ ||x|| ||y|| sup||ΦT (f)|| | f ∈ C(σ(T )) , ||f ||∞ = 1

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(dove si e usata la disuguaglianza di Cauchy-Schwartz), da cui, usando il fatto che ΦT eisometrico, troviamo:

||Lx,y|| ≤ ||x|| ||y|| ,e quindi Lx,y e limitato.Per il teorema della rappresentazione di Riesz per le misure complesse (cfr. (1) in esempi 2.2),esiste un’unica misura complessa µx,y sul compatto σ(T ) ⊂ C tale che, per ogni f ∈ C(σ(T )), siabbia:

Lx,y(f) = (x|ΦT (f)y) =∫σ(T )

f(λ) dµx,y(λ) ; (8.14)

vale inoltre |µx,y|(σ(T )) = ||Lx,y|| ≤ ||x|| ||y||. Notiamo per inciso che se x = y, allora µx,xe una misura reale, positiva e finita: infatti, se f ∈ C(σ(T )) assume solo valori reali, valeΦT (f) = ΦT (f)∗ per (iii) di (b) nella proposizione 8.4, per cui:∫σ(T )

f(λ) h(λ)d|µx,x(λ)| =∫σ(T )

f(λ) h(λ)d|µx,x(λ)| = (x|ΦT (f)x) = (ΦT (f)x|x) = (x|ΦT (f)x)

=∫σ(T )

f(λ) h(λ)d|µx,x(λ)| ,

dove abbiamo decomposto dµx,x in hd|µx,x|, essendo h una funzione misurabile di modulo unita-rio individuata quasi ovunque da µx,x e |µx,x| la misura positiva associata a µx,x (vedi [Rud82]).Per linearita, la relazione∫

σ(T )f(λ) h(λ)d|µx,x(λ)| =

∫σ(T )

f(λ) h(λ)d|µx,x(λ)|

deve valere anche quando f ∈ C(σ(T )) prende valori complessi. Il teorema di Riesz sulle misurecomplesse assicura allora che hd|µx,x| = hd|µx,x|, per cui h(λ) = h(λ) quasi ovunque, ma essendo|h(λ)| = 1, segue che h(λ) = 1 quasi ovunque e quindi µx,x e una misura reale, positiva e finita(perche tale e |µx,x|).Usiamo (8.14) per estendere Lx,y(f) al caso generale in cui f ∈ M(σ(T )), dato che il secondomembro e comunque ben definito: se g ∈M(σ(T )),

Lx,y(g) :=∫σ(T )

g(λ) dµx,y(λ) . (8.15)

Dovra essere, per proprieta generali delle misure complesse (cfr. (1) in esempi 2.2):

|Lx,y(g)| ≤ ||g||∞|µx,y|(σ(T )) ≤ ||g||∞||x|| ||y|| . (8.16)

Per costruzione, se g ∈ C(σ(T )) e fissata, (x, y) 7→ Lx,y(g) e anti-lineare in x e lineare in y.Si puo dimostrare che cio continua a valere anche per g ∈ M(σ(T )). Proviamo per esempio lalinearita in y, l’anti-linearita si prova analogamente. Dai teoremi generali delle misure complesse(vedi [Rud82]) si ha che, per x, y, z ∈ H e g ∈M(σ(T )) fissati, se α, β ∈ C, allora vale

α

∫σ(T )

g(λ) dµx,y(λ) + β

∫σ(T )

g(λ) dµx,z(λ) =∫σ(T )

g(λ) dν(λ) , (8.17)

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dove ν e la misura complessa definita da ν(E) := αµx,y(E) + βµx,z(E) per ogni borelianoE ⊂ σ(T ). Tenendo conto di come abbiamo definito le misure µx,y (cfr. (8.14)) e sfruttandola linearita del prodotto scalare di H nell’argomento di destra, si ricava subito che, per ognif ∈ C(σ(T )) inserita in (8.17) al posto di g, sussiste l’identita∫

σ(T )f(λ) dµx,αy+βz(λ) =

∫σ(T )

f(λ) dν(λ) .

Il teorema di Riesz assicura a questo punto che µx,αy+βz = ν. Pertanto, (8.17) puo essereriscritta, per ogni g ∈M(σ(T )):

α

∫σ(T )

g(λ) dµx,y(λ) + β

∫σ(T )

g(λ) dµx,z(λ) =∫σ(T )

g(λ) µx,αy+βz(λ) .

Abbiamo provato che Lx,y(g) e lineare in y per ogni fissato x ∈ H e ogni g ∈M(σ(T )).La (8.16) implica la limitatezza dell’operatore lineare y 7→ Lx,y(g) e quindi, per il teorema 3.2(di Riesz), fissati g ∈M(σ(T )) e x ∈ H, esiste un unico vettore vx ∈ H tale che Lx,y(g) = (vx|y)per ogni y ∈ H. Dato che vx e lineare in x (perche Lx,y(g) e antilineare in x e il prodotto scalare(vx|y) e antilineare in vx), esistera anche un unico operatore g(T )′ ∈ L(H) per cui vx = g(T )′xper ogni x ∈ H. E quindi Lx,y(g) = (g(T )′x|y). La condizione (8.16) implica subito che g(T )′ elimitato: infatti

||g(T )′x||2 = |(g(T )′x|g(T )′x)| = |Lx,g(T )′x(g)| ≤ ||g||∞ ||x|| ||g(T )′x|| ,

da cui||g(T )′x||||x||

≤ ||g||∞

e quindi ||g(T )′|| ≤ ||g||∞.Posto g(T ) := g(T )′∗, abbiamo provato che, per g ∈M(σ(T )), esiste un unico operatore g(T ) ∈B(H) tale che, per ogni coppia x, y ∈ H:

Lx,y(g) = (x|g(T )y) .

L’applicazione lineare: ÒΦT : M(σ(T )) 3 f 7→ f(T ) ∈ B(H) ,

dove, per ogni x, y ∈ H:

Lx,y(f) = (x|f(T )y) :=∫σ(T )

f(λ) dµx,y(λ) ,

e, per costruzione, un’estensione di ΦT : in particolare vale (8.13). L’estensione e continua inquanto ||ÒΦT (f)|| ≤ ||f ||∞ per ogni f ∈M(σ(T )): infatti

||ÒΦT (f)|| = ||f(T )|| = ||f(T )′∗|| = ||f(T )′|| ≤ ||f ||∞ .

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Dato che ÒΦT estende l’omomorfismo di algebre con unita ΦT , per provare che ÒΦT e un omo-morfismo di algebre con unita e sufficiente mostrare che ÒΦT (f · g) = ÒΦT (f)ÒΦT (g) quandof, g ∈ M(σ(T )). Se le due funzioni appartengono a C(σ(T )), la tesi e vera per il teoremaprecedente. Supponiamo f, g ∈ C(σ(T )); allora:∫

σ(T )f · g dµx,y = (x|ÒΦT (f · g)y) = (x|ÒΦT (f)ÒΦT (g)y) =

∫σ(T )

f dµx,ΦT (g)y

.

Il teorema di Riesz citato prima implica che la misura dµx,ΦT (g)y

coincida con la misura g dµx,y.Quindi, se f ∈M(σ(T )), si ha:∫

σ(T )f · g dµx,y =

∫σ(T )

f dµx,ΦT (g)y

.

Da questo segue che, per ogni coppia x, y ∈ H, per ogni f ∈M(σ(T )) e g ∈ C(σ(T )):∫σ(T )

f · g dµx,y =∫σ(T )

f dµx,ΦT (g)y

= (x|ÒΦT (f)ÒΦT (g)y) = (ÒΦT (f)∗x|ÒΦT (g)y)

=∫σ(T )

g dµΦT (f)∗x,y

.

Ragionando come sopra e usando il teorema di Riesz, si ha che l’uguaglianza∫σ(T )

f · g dµx,y =∫σ(T )

g dµΦT (f)∗x,y

, (8.18)

valida per ogni g ∈ C(σ(T )), implica fdµx,y = dµΦT (f)∗x,y

e dunque la (8.18) deve essere veraper ogni coppia x, y ∈ H e per ogni coppia f, g ∈ M(σ(T )). Quindi, con tali scelte del tuttogenerali:

(x|ÒΦT (f · g)y) =∫σ(T )

f · g dµx,y =∫σ(T )

g dµΦT (f)∗x,y

= (ÒΦT (f)∗x|ÒΦT (g)y) = (x|ÒΦT (f)ÒΦT (g)y) .

da cui (x∣∣∣(ÒΦT (f · g)− ÒΦT (f)ÒΦT (g))y

)= 0 .

Scegliendo x coincidente con il secondo argomento del prodotto scalare, si trova cheÒΦT (f · g)y = ÒΦT (f)ÒΦT (g)y

per ogni y ∈ H e per ogni coppia f, g ∈M(σ(T )), da cuiÒΦT (f · g) = ÒΦT (f)ÒΦT (g) .

La proprieta (ii) di (a) vale in conseguenza di (v) di (b), che proviamo sotto, indipendentementeda (ii) di (a).

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Per concludere la dimostrazione di (a), proviamo l’unicita di ÒΦT quando soddisfa le condizio-ni dette in (a). Se Ψ : M(σ(T )) → B(H) soddisfa le condizioni in (a), allora coincide conÒΦT sui polinomi, e quindi, per continuita, coincide con ÒΦT su C(σ(T )). Per fissati x, y ∈ H,l’applicazione:

νx,y : E 7→ (x|Ψ(χE)y) ,

dove E e un qualsiasi boreliano di σ(T ) e χE la sua funzione caratteristica, e una misuracomplessa su σ(T ). Infatti νx,y(∅) = (x|Ψ(0)y) = 0; inoltre, se Skk∈N e una famiglia diboreliani a due a due disgiunti, si ha

νx,y(∪kSk) = (x|Ψ(χ∪kSk)y) = (x| limn→+∞

Ψ(n∑k=0

χSk)y) = limn→+∞

n∑k=0

(x|Ψ(χSk)y) =+∞∑k=0

νx,y(Sk) ,

dove il primo membro e sempre finito e abbiamo tenuto conto della condizione (ii) di (a) e delfatto che, puntualmente:

χ∪kSk =+∞∑k=0

χSk . (8.19)

Si osservi che la (8.19) non dipende dall’ordine con cui si etichettano gli insiemi Sk, essendo laserie di termini positivi. Di conseguenza, la relazione

νx,y(∪kSk) =+∞∑k=0

νx,y(Sk)

vale indipendentemente dall’ordinamento della serie e quindi, per un noto teorema, la serieconverge assolutamente. Abbiamo provato che νx,y e una misura complessa.Tenendo conto della linearita di Ψ e del prodotto scalare, nonche della definizione di integraledi una funzione semplice, si arriva facilmente a dimostrare che∫

σ(T )s(x) dνx,y = (x|Ψ(s)y)

per ogni funzione semplice s ∈ S(σ(T )). Se f ∈M(σ(T )) e sn ⊂ S(σ(T )) converge uniforme-mente a f (tale successione esiste per (b) di proposizione 7.8), allora, in virtu della continuita diΨ nella norma || ||∞ e del teorema della convergenza dominata, si ha che, per ogni f ∈M(σ(T )),vale:

(x|Ψ(f)y) =∫σ(T )

f dνx,y . (8.20)

In particolare, questo fatto deve valere per f ∈ C(σ(T )), sul quale spazio Ψ coincide con ÒΦT . Diconseguenza, in virtu del teorema di Riesz sulle misure complesse, la misura νx,y coincide conla misura complessa µx,y introdotta all’inizio della dimostrazione, attraverso la quale abbiamodefinito ÒΦT come:

(x|ÒΦT (f)y) =∫σ(T )

f dµx,y ,

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per x, y ∈ H e f ∈ M(σ(T )). Ma allora, essendo νx,y = µx,y, (8.20) implica che Ψ(f) = ÒΦT (f)per ogni f ∈M(σ(T )).(b) Bisogna dimostrare solo (iii), (iv), (v) e (iv), dato che gli altri punti sono stati dimostratinella prova di (a).La proprieta (iii) vale nel caso in cui f ∈ C(σ(T )), come noto da (b) della proposizione 8.4.Allora,∫

σ(T )f dµx,Ay = (x|ÒΦT (f)Ay) = (x|AÒΦT (f)y) = (A∗x|ÒΦT (f)y) =

∫σ(T )

f dµA∗x,y ,

per ogni coppia di vettori x, y ∈ H e per ogni f ∈ C(σ(T )). Il teorema di Riesz sullarappresentazione delle misure complesse sui Boreliani assicura allora che µA∗x,y = µx,Ay, equindi

(x|ÒΦT (f)Ay) =∫σ(T )

f dµx,Ay =∫σ(T )

f dµA∗x,y = (A∗x|ÒΦT (f)y) = (x|AÒΦT (f)y) ,

per ogni coppia di vettori x, y ∈ H e per ogni f ∈ M(σ(T )). Per l’arbitrarieta dei vettori x, y,vale: ÒΦT (f)A = AÒΦT (f) se f ∈M(σ(T )) e TA = AT .Passiamo a provare (iv). Se x ∈ H e g ∈M(σ(T )), tenendo conto che µx,x e reale, si ha:

(x|ÒΦT (g)x) =∫σ(T )

g dµx,x =∫σ(T )

g dµx,x = (ÒΦT (g)x|x) = (x|ÒΦT (g)∗x) .

Quindi (x|(ÒΦT (g) − ÒΦT (g)∗)x) = 0 per ogni x ∈ H. Dall’esercizio (2) di esercizi 3.2 segue cheÒΦT (g) = ÒΦT (g)∗.Dimostriamo (v). Sia fnn∈N ⊂ M(σ(T )) una successione, limitata (in valore assoluto) daK > 0, che converge a f : σ(T )→ C. Quindi ||f ||∞ ≤ K e f e misurabile, dunque f ∈M(σ(T )).Fissati x, y ∈ H e usando (iv) di (b),

||(ÒΦT (fn)− ÒΦT (f))x||2 = ((ÒΦT (fn)− ÒΦT (f))x|(ÒΦT (fn)− ÒΦT (f))x)

= (x|(ÒΦT (fn − f)∗ÒΦT (fn − f)x) = (x|ÒΦT (|f − fn|2)x) .

L’ultimo termine si puo scrivere come∫σ(T )|f − fn|2 dµx,x =

∫σ(T )|f − fn|2 hd|µx,x| ,

dove |µx,x| e la misura positiva (detta variazione totale) associata alla misura reale (con segno)µx,x e h e una funzione misurabile di valore assoluto costante pari a 1 [Rud82]. (In realta, comeabbiamo provato nel punto (a) di questa dimostrazione, µx,x e una misura reale positiva, per cui|µx,x| = µx,x e h = 1.) Dato che e |µx,x|(σ(T )) < +∞, per il teorema della convergenza dominata|h||f − fn|2 converge a 0 in L1(σ(T ), |µx,x|). Quindi, se n → +∞, ||(ÒΦT (fn) − ÒΦT (f))x||2 → 0per ogni scelta di x ∈ H.Per finire dimostriamo (vi). Se M(σ(T )) 3 f ≥ 0, allora f = g2 con 0 ≤ g ∈M(σ(T )). Pertanto,per (a), ÒΦT (f) = ÒΦT (g · g) = ÒΦT (g)ÒΦT (g). Inoltre ÒΦT (g)∗ = ÒΦT (g) = ÒΦT (g) (per (iv)), per cui:ÒΦT (g · g) = ÒΦT (g)∗ÒΦT (g). Il secondo membro e evidentemente positivo. 2

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8.3 Misure a valori di proiezione e teorema spettrale per ope-ratori limitati normali.

Le misure a valori di proiezione (anche dette misure spettrali, per i motivi che vedremo piuavanti) sono lo strumento centrale per enunciare i teoremi spettrali. E chiaro dalla definizioneseguente, che, nel caso in cui lo spazio X coincida con R, la misura a valori di proiezione determinauna misura a valori di proiezione su R come definita nella definizione 7.7 e, di conseguenza,un’osservabile nel senso stabilito nel capitolo precedente ed in virtu della proposizione 7.8 quandolo spazio di Hilbert viene interpretato come lo spazio di Hilbert di un sistema quantistico.

8.3.1 Misure a valori di proiezione (PVM) dette anche misure spettrali.

Introdurremo ora la nozione di misura a valori di proiezione (PVM), che ci servira per enunciaree provare il teorema spettrale. Nel seguito lavoreremo solo con PVM definite su σ-algebre diBorel B(X) ricavate da spazi topologici X a base numerabile. Tale requisito non e strettamentenecessario e quasi tutta la teoria si potrebbe sviluppare lavorando con σ-algebre generiche (vediper esempio [Rud91]). La nostra scelta e unicamente dettata dalla comodita . In primo luogo,in questo modo, si puo definire l’utile nozione di supporto della PVM, inoltre, in tutti i casipratici che considereremo, l’insieme X e la σ-algebra considerata avranno la proprieta detta edinfine il teorema di decomposizione spettrale viene enunciato su C (o R), che ha topologia a basenumerabile, e rispetto alla σ-algebra di Borel.

Definizione 8.3. Siano H uno spazio di Hilbert e X uno spazio topologico a base numerabile.Se B(X) denota la σ-algebra di Borel su X, un’applicazione P : B(X) → B(H) e detta misuraa valori di proiezione su X (PVM), oppure equivalentemente misura spettrale su X, sesoddisfa i seguenti requisiti.(a) P (B) ≥ 0 per ogni B ∈ B(X);(b) P (B)P (B′) = P (B ∩B′) per ogni coppia B,B′ ∈ B(X);(c) P (X) = I;(d) per ogni insieme numerabile di boreliani di X, Bnn∈N, a due a due disgiunti, vale:

s-+∞∑n=0

P (Bn) = P (∪n∈NBn) .

L’insieme chiuso definito come il complemento dell’unione degli insiemi aperti A ⊂ X per cuiP (A) = 0 e detto supporto della misura a valori di proiezione e si indica con supp(P ). Unamisura a valori di proiezione P su X = Rn o Cn e detta limitata se supp(P ) e limitato.

Note.(1) Si osservi che gli operatori P (B) sono:

(i) idempotenti per (b): infatti P (B)P (B) = P (B ∩B) = P (B);(ii) autoaggiunti perche limitati e positivi (per (a)).

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Pertanto essi risultano essere proiettori ortogonali.(2) Si osservi che (c) e (d) da sole implicano che I = P (X ∪ ∅) = I + P (∅), per cui

P (∅) = 0 .

La (d) e la (a) implicano anche che, se C ⊂ B con B,C ⊂ X sono Boreliani, allora P (C) ≤ P (B).Infatti: B = C ∪ (B \C) e C ∩ (B \C) = ∅ per cui, da (d): P (B) = P (C) +P (B \C). EssendoP (B \ C) ≥ 0, vale P (C) ≤ P (B).(3) Se B ∈ B(X), allora X \B ∈ B(X) e X = B ∪ (X \B). Quindi, da (d), prendendo B0 = B,B1 = X \B e tutti i rimanenti Bk = ∅, abbiamo che: I = P (B) + P (X \B). In altre parole valeanche

I − P (B) = P (X \B) .

(4) Vale la proprieta di subadditivita : se B = ∪n∈NBn con Bn boreliani di X, per ogni x ∈ H,

(x|P (B)x) ≤∑n∈N

(x|P (Bn)x) .

La prova e semplice: si costruisca la successione di boreliani Cnn∈N con C0 := B0, C1 :=B1 \ B0, C2 := B2 \ (B0 ∪ B1) e via di seguito. Evidentemente Ck ∩ Ch = ∅ se h 6= k eB = ∪n∈NCn. Di conseguenza, per (d):

P (B) =+∞∑n=0

P (Ck)

e quindi

(x|P (B)x) =+∞∑n=0

(x|P (Ck)x) .

Dato che Ck ⊂ Bk per ogni k ∈ N, per (2) varra anche (x|P (Ck)x) ≤ (x|P (Bk)x) e pertanto:

(x|P (B)x) ≤+∞∑n=0

(x|P (Bk)x) .

(5) Vale P (supp(P )) = I. Questo fatto e evidentemente equivalente (per (d) ristretto al casofinito) a P (A) = 0, dove A := X \ supp(P ). Per provare che P (A) = 0 notiamo che, perdefinizione A e unione di aperti con misura spettrale nulla. Dato che X e numerabile di secondotipo, possiamo estrarre un sotto ricoprimento numerabile dal ricoprimento detto. In altre parole,vale A = ∪n∈NAn con P (An) = 0 per ogni n ∈ N. Usando (4), per ogni x ∈ H:

0 ≤ ||P (A)x||2 = (P (A)x|P (A)x) = (x|P (A)x) ≤∑n∈N

(x|P (An)x) = 0 .

per cui P (A) = 0.

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Passiamo ora a costruire una procedura d’integrazione di funzioni misurabili limitate f : X→ Crispetto ad una misura a valori di proiezione P : B(X)→ B(H).Ricordiamo che, se X e uno spazio dotato di una σ-algebra Σ, una funzione f : X→ C, che sia mi-surabile rispetto a Σ, e detta funzione semplice quando assume solo un numero finito di valori.

Notazione 8.2. Se X e uno spazio topologico a base numerabile e B(X) la σ-algebra di Borel suX, S(X) denota lo spazio vettoriale (sul campo C) delle funzioni semplici su X, relative a B(X)ed a valori in C, dotato della norma dell’estremo superiore.Consideriamo una funzione s ∈ S(X). Possiamo sempre scriverla come:

s =∑i∈I

ciχEi .

Poiche, per definizione, una funzione semplice assume solo un numero finito di valori distinti,questa espressione e univocamente fissata da s se si richiede che gli insiemi Ei siano misurabilie a due a due disgiunti, e i numeri complessi ci siano tutti distinti (in particolare I e finito).Definiamo l’integrale di s rispetto a P come l’operatore di B(H):∫

Xs(x) dP (x) :=

∑i∈I

ciP (Ei) . (8.21)

Nota. Se non si richiede che i numeri ci nell’espressione di s scritta sopra siano distinti, ci sonomolte possibilita nello scrivere s come combinazione lineare di funzioni caratteristiche di insiemimisurabili disgiunti. Tuttavia si prova facilmente, ripetendo la stessa dimostrazione del caso incui si lavori con una misura ordinaria, che l’integrale di s non dipende dalla rappresentazione dis scelta.

L’applicazione

I : S(X) 3 s 7→∫Xs(x) dP (x) ∈ B(X) , (8.22)

e lineare, ovvero I ∈ L(S(X),B(X)), come e facile dimostrare tenendo conto della nota prece-dente. Essendo S(X) e B(X) spazi normati, L(S(X),B(X)) e dotato della norma operatoriale. I

risulta essere un operatore limitato rispetto a tale norma. Proviamolo. Se x ∈ H e E := supp(P ),allora:

||I(s)x||2 = (I(s)x|I(s)x)2 =

∑i∈I

ciP (Ei)x

∣∣∣∣∣∣∑j∈I cjP (Ej)x

=

∑i∈I

ciP (Ei ∩ E)x

∣∣∣∣∣∣∑j∈I cjP (Ej ∩ E)x

.

Sopra abbiamo usato il fatto che, essendo

P (Ei) = P (Ei ∩ E) + P (Ei ∩ (X \ E)) = P (Ei ∩ E) + 0 = P (Ei ∩ E) ,

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allora ∑i∈I

ciP (Ei) =∑i∈I

ciP (Ei ∩ E) .

Definiamo nel seguito: E′i := Ei ∩ E. Usando il fatto che P (E′i) = P (E′i)∗, il fatto che

P (E′i)P (E′j) = P (E′i ∩ E′j) e tenendo conto che E′i ∩ E′j e l’insieme vuoto se i 6= j, otteniamoche:

||I(s)x||2 =∑i,j∈I

cicj(x|P (E′i ∩ E′j)x) =∑i∈I|ci|2(x|P (E′i)x) ≤ sup

i∈I′|ci|2

∑i∈I′

(x|P (E′i)x) ,

dove I ′ ⊂ I e costituito dagli indici per cui E′i 6= ∅. Valendo E′i ⊂ E, segue che∑i∈I′

P (E′I) ≤ P (∪i∈I′E′i) ≤ P (E) = I

e quindi: ∑i∈I′

(x|P (E′i)x) ≤ (x|x) = ||x||2 .

Concludiamo che:||I(s)x||2 ≤ ||x||2 sup

i∈I′|ci|2 = ||x||2||s supp(P ) ||2∞ ,

da cui, prendendo l’estremo superiore sui vettori x ∈ H con ||x|| = 1:

||I(s)|| ≤ ||s supp(P ) ||∞ .

Tuttavia, dato che ||s supp(P ) ||∞ coincide con uno dei valori finiti assunti da |s|, diciamo |ck|,se scegliamo x ∈ P (E′k)(H) (e quindi x = P (E′k)x), avremo che

I(s)x =∑i∈I′

ciP (E′i)x =∑i∈I′

ciP (E′i)P (E′k)x =∑i∈I′

ciP (E′i ∩ E′k)x = ckx ,

avendo usato P (E′i∩E′k) = 0 se i 6= k. Pertanto, scegliendo x con ||x|| = 1, si ottiene ||I(s)x|| =||s supp(P ) ||∞. Concludiamo che I e sicuramente continua, valendo:

||I(s)|| = ||s supp(P ) ||∞ ≤ ||s||∞ (8.23)

ed e un’isometria se X = supp(P ):||I(s)|| = ||s||∞ . (8.24)

Dalla (8.23), segue anche che||I|| ≤ 1 ; (8.25)

in realta, osservando che∫X 1 dP (x) = I (come segue dalla definizione prendendo s data dalla

funzione costante 1 su tutto X), si ottiene che, anche se X 6= supp(P ),

||I|| = 1 . (8.26)

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Possiamo passare a definire l’integrale di funzioni Borel-misurabili limitate. E noto che un opera-tore lineare continuo T : D(T )→ Y, dove Y e uno spazio di Banach e D(T ) un sottospazio densodi uno spazio normato X, ammette un’unica estensione limitata ÒT : X → Y e vale ||ÒT || = ||T ||(vedi gli esercizi svolti (3) e (4) in esercizi 2.1). Mostriamo che ci troviamo proprio in questocaso. Lo spazio di Banach M(X) delle funzioni f : X → C Borel-misurabili e limitate contie-ne S(X) come sottospazio denso nella norma || ||∞, per (b) di proposizione 7.7. L’operatoreI : S(X)→ B(X) e continuo. Di conseguenza esiste ed e unico un operatore limitato da M(X) inB(X) che estende I. Se X = supp(P ), allora I e un’isometria e tale sara anche la sua estensionecontinua, per la continuita della norma.

Definizione 8.4. Siano X uno spazio topologico a base numerabile, H uno spazio di Hilbert eP : B(X)→ B(H) una misura a valori di proiezione definita sulla σ-algebra di Borel di X.(a) L’unica estensione limitata I : M(X) → B(X) dell’operatore I : S(X) → B(X) (vedi (8.21)e (8.22)) si chiama operatore integrale rispetto alla misura di proiezione P .(b) Per ogni f ∈M(X), ∫

Xf(x) dP (x) := I(f)

e detto integrale di f rispetto alla misura a valori di proiezione P .Per ogni E ⊂ B(X) e per ogni f ∈M(X) oppure g ∈M(E), gli integrali∫

Ef(x) dP (x) :=

∫XχE(x)f(x) dP (x)

e ∫Eg(x) dP (x) :=

∫Xg0(x) dP (x) ,

dove g0(x) := g(x) se x ∈ E oppure g0(x) := 0 se x 6∈ E, sono detti, rispettivamente, integraledi f su E e integrale di g su E (rispetto alla misura a valori di proiezione P ).

Note.(1) Sia P una PVM sullo spazio X, dove X e un boreliano dello spazio topologico Y: la topologiasu X e quindi quella indotta su X da Y, per cui B(X) e costituita dalle restrizioni a X degliinsiemi in B(Y). Possiamo estendere P ad una misura spettrale su Y, PY, definendo

PY(E) := P (E ∩ X) ,

per ogni boreliano E in Y. In questo modo risulta che:∫Xf(x) dP (x) =

∫Xf(x) dPY(x)

e ∫Xg(x) dP (x) =

∫Xg(x) dPY(x)

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per tutte le funzioni f ∈ M(X) e g ∈ M(Y), nel senso delle ultime due definizioni in (b) didefinizione 8.4 rispettivamente. La prova di questo fatto e semplice ed e lasciata per esercizio allettore.(2) Se P e una misura spettrale su X e supp(P ) 6= X, possiamo restringere P ad una misuraspettrale Q su supp(P ) (dotato della topologia indotta da X), definendo Q(E) := P (E) perogni boreliano E ⊂ supp(P ). Si verifica immediatamente che, nel senso della nota precedente,QX = P .(3) Se P e una misura spettrale su X, per ogni f ∈M(X) vale:∫

supp(P )f(x) dP (x) =

∫Xf(x) dP (x) . (8.27)

Infatti:∫supp(P )

f(x) dP (x) :=∫Xχsupp(P )(x)f(x) dP (x) =

∫Xχsupp(P )(x) dP (x)

∫Xf(x) dP (x) ,

dove, nell’ultima uguaglianza, abbiamo usato la proprieta (iii) di (a) in teorema 8.5, che verradimostrato piu avanti, indipendentemente dall’attuale risultato. Ora osserviamo che∫

Xχsupp(P )(x) dP (x) = P (supp(P )) = I

per la nota (5) dopo definizione 8.3, per cui vale (8.27).

Esempi 8.1.(1) Facciamo un esempio concreto affinche la procedura non sembri troppo astratta. In realta,il seguente esempio, con un’estensione, esaurisce tutti i casi possibili, come vedremo piu avanti.Consideriamo uno spazio di Hilbert H = L2(X, µ), dove X e uno spazio topologico a base nu-merabile e µ e una misura sulla σ-algebra di Borel di X. Una misura spettrale su H si ottienedefinendo, per ogni ψ ∈ L2(X, µ) e E ∈ B(X):

(P (E)ψ)(x) := χE(x)ψ(x) , per quasi ogni x ∈ X . (8.28)

Si prova facilmente che l’applicazione B(X) 3 E 7→ P (E) definisce effettivamente una misuraspettrale su L2(X, µ). Vogliamo ora capire come siano fatti gli operatori

∫X f(x) dP (x) per ogni

funzione di M(X).Notiamo che se ψ ∈ L2(X, µ) e f ∈M(X), allora f ·ψ ∈ L2(X, µ), dove · indica la moltiplicazionedelle due funzioni punto per punto: infatti∫

X|f(x)ψ(x)|2 dµ(x) ≤ ||f ||2∞

∫X|ψ(x)|2 dµ(x) < +∞ .

In particolare, abbiamo anche provato che, se f ∈M(X) e ψ ∈ L2(X, µ), allora:

||f · ψ|| ≤ ||f ||∞||ψ|| .

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Abbiamo pertanto provato un utile risultato.Se fnn∈N ⊂M(X) e fn → f ∈M(X) nella norma ||||∞ per n→ +∞, allora anche fn ·ψ → f ·ψnella convergenza di L2(X, µ).Notiamo inoltre che, se s ∈ S(X), l’operatore

∫X s(x)dP (x) si scrive esplicitamente usando (8.28)

e (8.21): risulta subito che, per ogni ψ ∈ L2(X), vale∫Xs(y) dP (y)ψ

(x) = s(x)ψ(x) .

Pertanto, se sn ⊂ S(X) converge uniformemente a f ∈ M(X) (in virtu di (b) di proposizione7.8, una siffatta successione esiste per ogni f ∈M(X)), si ha:

sn · ψ =∫Xsn(x) dP (x)ψ →

∫Xf(x) dP (x)ψ

quando n → +∞, per la definizione di integrale mediante l’estensione continua I di I. Maallora, tenuto conto del risultato precedente (con fn := sn), che implica

sn · ψ → f · ψ

nel senso di L2(X) per n→ +∞, otteniamo immediatamente∫Xf(y) dP (y)ψ

(x) = f(x)ψ(x) per quasi ogni x ∈ X, (8.29)

per ogni f ∈M(X) ed ogni ψ ∈ L2(X, µ).(2) Come secondo esempio, consideriamo una base Hilbertiana N in uno spazio di Hilbert Hseparabile. Possiamo mettere su N la topologia discreta data dall’insieme delle parti di N . Intale topologia gli insiemi contenenti singoli punti sono aperti, la σ-algebra di Borel associata atale topologia coincide con la stessa topologia e coincide quindi con l’insieme delle parti di N .Si osservi che N e numerabile di secondo tipo essendo H separabile. Se E ⊂ N e un boreliano,consideriamo il sottospazio chiuso HE := < zz∈E >. Il proiettore ortogonale che proietta sutale spazio e (cfr. (d) in proposizione 3.9):

PE := s-∑z∈E

(z| )z ,

essendo E base hilbertiana di HE . Si verifica subito che P : B(N) 3 E 7→ PE e effettivamenteuna misura a valori di proiezione. Infine si puo dimostrare che, se f : N → C e una funzionelimitata, vale: ∫

Nf(z) dP (z) = s-

∑z∈N

f(z) (z| ) z . (8.30)

La prova di cio si puo ottenere dall’esempio (1), usando il fatto che (teorema 3.6) H e isomorfocome spazio di Hilbert, sotto l’isometria suriettiva U : H → L2(N,µ) che associa a x ∈ H lafunzione z 7→ ψx(z) := (z|x), allo spazio L2(N,µ), dove µ e la misura che conta i punti di N . Si

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verifica subito che effettivamente QE := UPEU−1 e l’operatore moltiplicativo in L2(N,µ), che

moltiplica per la funzione caratteristica di E: in tal modo si ottiene (come e possibile verificare)una misura spettrale Q : B(N) 3 E 7→ QE del tipo di quelle introdotte nell’esempio (1). Usandola definizione di integrale di una funzione f ∈M(X) tramite l’integrale di funzioni semplici, perle quali vale evidentemente∫

Ns(z) dQ(z) =

∑i

ciQ(Ei) = U∑i

ciP (Ei)U−1 = U

∫Ns(z) dP (z)U−1 ,

si ricava ∫Nf(z) dQ(z) = U

∫Nf(z) dP (z)U−1 , (8.31)

per la continuita della composizione di operatori in B(H). La (8.29) implica che∫Nf(z) dQ(z)ψ = f · ψ . (8.32)

Usando (8.31) e (8.32), si ha che:∫Nf(z) dP (z)φ = U−1f · Uφ =

∑z∈N

f(z) (z|φ) z ,

dove abbiamo ricordato la definizione di U (cfr. teorema 3.6)

U : H 3 φ 7→ (z|φ)z∈N ∈ L2(N,µ)

e la sua inversaU−1 : L2(N,µ) 3 αzz∈N 7→

∑z∈N

αzz ∈ H .

In definitiva, abbiamo provato che:∫Nf(z) dP (z) = s-

∑z∈N

f(z) (z| ) z .

(3) Come terzo esempio, presentiamo una generalizzazione dell’esempio (2). Consideriamo uninsieme X sul quale mettiamo una topologia a base numerabile per cui ogni insieme x, conx ∈ X, appartiene alla σ-algebra di Borel B(X) associata alla topologia. Per esempio, cio accadese X e numerabile e si dota X della topologia discreta, ma si possono fare altri esempi ovvi: see X = R dotato della topologia standard, oppure se e X := 0 ∪ ±1/n | n = 1, 2, . . . ⊂ R esi dota X della topologia indotta da quella di R. Definiamo una classe di proiettori ortogonali,Pλ : H → H, sullo spazio di Hilbert H, per ogni λ ∈ X. Per avere una PVM richiediamo chevalgano i seguenti fatti:

(a) PλPµ = 0 per λ, µ ∈ X con λ 6= µ;(b)

∑λ∈X ||Pλψ||2 < +∞ , per ogni ψ ∈ H;

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(c)∑λ∈X Pλψ = ψ , per ogni ψ ∈ H.

Dalla richiesta (b) segue che solo una quantita al piu numerabile (cfr. proposizione 3.2) dielementi Pλψ sono non nulli, anche nel caso in cui X sia non numerabile; allora, tenendo ancheconto del fatto che, per (a), i vettori Pλψ e Pµψ sono ortogonali se λ 6= µ, per il lemma 3.1 lasomma in (c) e ben definita e puo essere riordinata arbitrariamente.Il fatto che le richieste (a), (b) e (c) sono compatibili si verifica esibendo una classe di proiettoriortogonali che le soddisfano contemporaneamente. Il caso piu semplice e fornito dalla classe deiproiettori P (z), z ∈ N , dell’esempio (2) nel caso in cui X e una base hilbertiana. Un ulterioreesempio, in cui X non e una base hilbertiana, sara presentato in (2) di esempi 8.2. Un casoin cui le condizioni (a), (b) e (c) sono verificate si ha considerando un operatore autoaggiuntocompatto T , definendo X = σp(T ) ed infine definendo Pλ con λ ∈ σp(T ) come il proiettoreortogonale sull’autospazio con autovalore λ. La topologia su X sara quella indotta da R. Daiteoremi 4.2 e 4.3 segue facilmente che le condizioni (a), (b) e (c) sono verificate.Riscriveremo le due ultime richieste in forma sintetica come:

s-∑λ∈X

Pλ = I . (8.33)

Con le condizioni poste, si verifica facilmente che P : B(X)→ B(H), definita in modo tale che,per ogni E ⊂ B(X), valga

PE = s-∑λ∈E

Pλ , (8.34)

e una misura a valori di proiezione su H. La somma∑λ∈E Pλψ esiste sempre in H, per ogni

ψ ∈ H, e non dipende dall’ordinamento: cio segue subito dalla condizione (b), tenendo conto dilemma 3.1. Vogliamo ora dimostrare che, per ogni f ∈M(X):∫

Xf(x) dP (x) = s-

∑x∈X

f(x)Px . (8.35)

Si osservi che il secondo membro e ben definito e puo essere riordinato a piacimento, per illemma 3.1, essendo, per ogni ψ ∈ H:∑

x∈X

||f(x)Pxψ||2 ≤ ||f ||2∞∑x∈X

||Pxψ||2 = ||f ||2∞∑x∈X

(Pxψ|Pxψ) = ||f ||2∞∑x∈X

(ψ|P 2xψ)

= ||f ||2∞∑x∈X

(ψ|Pxψ) = ||f ||2∞

ψ

∣∣∣∣∣∣∑x∈X

Pxψ

= ||f ||2∞(ψ|ψ) = ||f ||2∞||ψ||2 ,

dove la penultima uguaglianza vale per (8.33). Se s ∈ S(X) e una funzione semplice, applicandola definizione di integrale di funzione semplice e (8.34), segue subito che, per ogni ψ ∈ H:∫

Xs(x) dP (x)ψ =

∑i

ciP (Ei)ψ =∑i

∑x∈Ei

s(x)Pxψ =∑x∈X

s(x)Pxψ , (8.36)

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dove, nella seconda uguaglianza, abbiamo sfruttato il fatto che dall’espressione di s(x) =∑i ciχEi

si ha ci = s(x) per ogni x ∈ Ei.Se sn ⊂ S(X) e sn → f ∈M(X) uniformememente, allora, per ogni ψ ∈ H:∫

Xf(x) dP (x)ψ −

∫Xsn(x) dP (x)ψ → 0 , (8.37)

per n → +∞, per la definizione di integrale di funzioni misurabili limitate. D’altra parte, per(8.36) e usando la (a), si ottiene∣∣∣∣∣∣

∣∣∣∣∣∣∑x∈X

f(x) Pxψ −∫Xsn(x) dP (x)ψ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣2

=∑x∈X

|f(x)− sn(x)|2||Pxψ||2 ≤ ||f − sn||2∞||ψ||2 .

L’ultimo membro tende a zero se n→ +∞. Per (8.37) e per l’unicita del limite in H, deve alloravalere che, per ogni ψ ∈ H: ∑

x∈X

f(x) Pxψ =∫Xf(x) dP (x)ψ ,

pertanto vale (8.35).

8.3.2 Proprieta degli operatori ottenuti integrando funzioni limitate rispettoa PVM.

Valgono le seguenti prime proprieta dell’operatore integrale.

Teorema 8.4. Siano X uno spazio topologico a base numerabile, (H, ( | )) uno spazio di Hilberte P : B(X)→ B(H) una misura a valori di proiezione definita sulla σ-algebra di Borel di X.(a) Per ogni f ∈M(X), ∣∣∣∣∣∣∣∣∫

Xf(x) dP (x)

∣∣∣∣∣∣∣∣ = ||f supp(P ) ||∞ ≤ ||f ||∞ . (8.38)

(b) L’operatore integrale rispetto alla misura di proiezione P e positivo, nel senso che:∫Xf(x) dP (x) ≥ 0 se vale 0 ≤ f ∈M(X) .

(c) Per ogni coppia ψ, φ ∈ H, si consideri l’applicazione

µψ,φ : B(X) 3 E 7→ψ

∣∣∣∣∫XχE dP (x)φ

.

Valgono le proprieta seguenti di µψ,φ:(i) µψ,φ e una misura complessa su X,

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(ii) se ψ = φ, µψ := µψ,ψ e una misura positiva finita su X, detta misura spettraleassociata a ψ,

(iii) µψ,φ(X) = (ψ|φ) (e, in particolare, µψ(X) = ||ψ||2),(iv) per ogni funzione f ∈M(X) vale:

ψ

∣∣∣∣∫Xf(x) dP (x)φ

=∫Xf(x) dµψ,φ(x) , (8.39)

(v) vale supp(µψ,φ) ⊂ supp(P ).

Prova. (a) L’operatore continuo I soddisfa (8.38) quando ristretto allo spazio denso in M(X)delle funzioni semplici (cfr. (8.22) e (8.23)); per la continuita di I e delle norme, (8.38) rimarravalida anche su M(X).(b) Usando (c) della proposizione 7.8, se 0 ≤ f ∈ M(X), esiste una successione di funzionisemplici snn∈N, con 0 ≤ sn ≤ sn+1 ≤ f per ogni n, che converge uniformemente a f . Di conse-guenza, tenendo conto della definizione dell’integrale rispetto a P e del fatto che la convergenzauniforme implica quella debole, otteniamo che (ψ|

∫X sndPψ)→ (ψ|

∫X fdPψ) per n→ +∞ per

ogni ψ ∈ H. Per avere la positivita di∫X fdP e allora sufficiente provare che (ψ|

∫X sndPψ) ≥ 0

per ogni n. Direttamente da (8.21) troviamo che:ψ

∣∣∣∣∫XsndP ψ

=∑i∈In

c(n)i

(ψ∣∣∣P (E(n)

i ) ψ)≥ 0 ,

dato che ogni proiettore ortogonale e un operatore positivo ed i numeri c(n)i sono non negativi,

essendo sn ≥ 0.(c) Notiamo che, per (8.21), si ha:

µψ,φ(E) =ψ

∣∣∣∣∫XχE(x) dP (x)φ

= (ψ|1 · P (E)φ) = (ψ|P (E)φ) , (8.40)

ed e (ψ|P (E)ψ) ≥ 0. Allora, la proprieta definitoria (d) della misura a valori di proiezionedata in definizione 8.3, unitamente alla continuita del prodotto scalare, implicano che µψ,φ euna misura complessa sulla σ-algebra di Borel B(X); inoltre, la stessa (d) unitamente alla (a)di definizione 8.3 implicano che, se ψ = φ, µψ e una misura positiva finita sulla σ-algebra diBorel B(X). Infine la (c) di definizione 8.3 comporta che µψ,φ(X) = (ψ|φ), e in particolareµψ(X) = (ψ|ψ) = ||ψ||2. Dato che µψ e |µψ,φ| sono misure finite, l’integrale associato ad esse econtinuo nella norma || ||∞ su M(X). (Infatti, per ogni f ∈M(X), vale∣∣∣∣∫

Xf(x) dµψ,φ(x)

∣∣∣∣ ≤ ∫X|f(x)| d|µψ,φ(x)| ≤ ||f ||∞|µψ,φ|(X) ,

da cui segue la continuita dell’integrale nella norma dell’estremo superiore.)Se sn ∈ S(X), usando (8.40) e (8.21) si prova immediatamente che vale

ψ

∣∣∣∣∫Xsn(x) dP (x)φ

=∫Xsn(x) dµψ,φ(x) .

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Se ora f ∈ M(X) e snn∈N ⊂ S(X) converge a f per n → +∞ in senso uniforme (cfr. (b)proposizione 7.8), usando la continuita del prodotto scalare e la continuita dell’integrale associatoa µψ,φ rispetto alla convergenza uniforme, si ha subito che:

ψ

∣∣∣∣∫Xf(x) dP (x)φ

=

ψ

∣∣∣∣ limn→+∞

∫Xsn(x) dP (x)φ

= lim

n→+∞

ψ

∣∣∣∣∫Xsn(x) dP (x)φ

=

limn→+∞

∫Xsn(x) dµψ,φ(x) =

∫Xf(x) dµψ,φ(x) .

Proviamo la (v). La tesi equivale a dire che X \ supp(µψ,φ) ⊃ X \ supp(P ). Sia x ∈ X \ supp(P ):allora esiste un aperto A ⊂ X tale che x ∈ A e P (A) = 0. Di conseguenza:

µψ,φ(A) =∫XχA(x) dP (x) =

ψ

∣∣∣∣∫XχA(x) dP (x)φ

= (ψ|P (A)φ) = 0 ,

per cui x ∈ X \ supp(µψ,φ).Questo completa la dimostrazione del teorema. 2

Osservazione. Bisogna notare che se vogliamo che le misure positive µψ definite sulla σ-algebradi Borel di X, siano misure di Borel propriamente dette, bisogna anche richiedere che lo spazioX sia di Hausdorff e localmente compatto, per definizione di misura di Borel ([Rud82] e vedil’Appendice). Nei casi concreti, per esempio lavorando con PVM che definiscono lo sviluppospettrale di operatori, X e sempre (un sottoinsieme di) R o R2 e pertanto queste ipotesi sonosoddisfatte.

Il seguente teorema stabilisce la piu importante proprieta delle misure a valori di proiezione: ilfatto che diano luogo a ∗-omomorfismi di C∗-algebre.Tale ingrediente sara essenziale nel provare il teorema spettrale che dimostreremo subito dopo.

Teorema 8.5. Siano H uno spazio di Hilbert, X uno spazio topologico a base numerabile eP : B(X)→ B(H) una misura a valori di proiezione. Valgono i fatti seguenti.(a) L’operatore integrale I e uno ∗-omomorfismo, isometrico se vale X = supp(P ), dalla C∗-algebra con unita M(X) alla C∗-algebra con unita B(H). In altre parole, oltre a valere (8.38),valgono anche:

(i) se 1 denota la funzione costante con valore unitario su X,∫X

1 dP (x) = I ,

(ii) per ogni coppia f, g ∈M(X) e per ogni α, β ∈ C,∫X

(αf(x) + βg(x)) dP (x) = α

∫Xf(x)dP (x) + β

∫Xg(x)dP (x) ,

(iii) per ogni coppia f, g ∈M(X),∫Xf(x) dP (x)

∫Xg(x) dP (x) =

∫Xf(x)g(x) dP (x) ,

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(iv) per ogni f ∈M(X), ∫Xf(x) dP (x) =

∫Xf(x)dP (x)

∗.

(b) Se ψ ∈ H e f ∈M(X), allora vale:∣∣∣∣∣∣∣∣∫Xf(x) dP (x)ψ

∣∣∣∣∣∣∣∣2 =∫X|f(x)|2 dµψ(x) .

(c) Se fnn∈N ⊂M(X) e limitata e converge puntualmente a f : X→ C, allora esiste l’integraledi f rispetto alla misura spettrale P e vale∫

Xf(x) dP (x) = s- lim

n→+∞

∫Xfn(x) dP (x) .

(d) Se X = R2, dotato della topologia euclidea standard, e se supp(P ) e compatto, allora,pensando σ(T ) come sottoinsieme di R2, si ha

supp(P ) = σ(T ) ,

doveT :=

∫supp(P )

z dP (x, y) ,

essendo z la funzione R2 3 (x, y) 7→ z := x+ iy.

Note.(1) La proprieta (iii) di (a) implica, in particolare, la seguente proprieta di commutazione dioperatori: ∫

Xf(x) dP (x)

∫Xg(x) dP (x) =

∫Xg(x) dP (x)

∫Xf(x) dP (x) ,

per ogni coppia f, g ∈M(X).(2) Da (iv) e da (iii) di (a) segue che, per ogni f ∈M(X), l’operatore

∫X f(x) dP (x) e normale.

Prova del teorema 8.5. (a) Le uniche proprieta non del tutto banali sono (iii) e (iv). Proviamo laprima. Scegliamo due successioni di funzioni semplici sn e tm che tendono uniformementea f e g rispettivamente. Per computo diretto si verifica che∫

Xsn(x) dP (x)

∫Xtm(x) dP (x) =

∫Xsn(x)tm(x) dP (x) .

Per m fissato, essendo tm limitata, sn · tm tende uniformemente a f · tm per n→ +∞. Tenendoconto della continuita (nel senso di (a) di teorema 8.4) e della linearita dell’integrale comefunzione della funzione integranda e prendendo il limite per n → +∞ nell’identita di sopra, siottiene: ∫

Xf(x) dP (x)

∫Xtm(x) dP (x) =

∫Xf(x)tm(x) dP (x) ,

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dove si e tenuto conto del fatto che la composizione di operatori limitati e continua nei dueargomenti. Con la stessa procedura, tenendo conto che f · tm tende uniformemente a f · g sem → +∞, si ottiene (iii). La proprieta (iv) si verifica scegliendo una successione di funzionisemplici sn che tendono uniformemente a f . Per ψ, φ ∈ H, direttamente dalla definizione diintegrale di una funzione semplice (tenendo conto che i proiettori ortogonali sono autoaggiunti),si verifica che: ∫

Xsn(x) dP (x)ψ

∣∣∣∣φ =ψ

∣∣∣∣∫Xsn(x) dP (x)φ

.

Si osservi che sn → f uniformemente per n → +∞. Quindi, usando la continuita e la linearitadell’integrale come funzione della funzione integranda (nel senso di (a) di teorema 8.4), tenendoconto della continuita del prodotto scalare, e prendendo il limite per n → +∞ dell’identita disopra, si ottiene: ∫

Xf(x) dP (x)ψ

∣∣∣∣φ =ψ

∣∣∣∣∫Xf(x) dP (x)φ

e quindi: ∫

Xf(x) dP (x)−

∫Xf(x) dP (x)

∗ψ

∣∣∣∣φ = 0 .

Dato che ψ, φ ∈ H sono arbitrari, si conclude che deve valere (iv).(b) Se ψ ∈ H, usando (iii) e (iv) di (a), si ha subito che vale:∣∣∣∣∣∣∣∣∫

Xf(x) dP (x)ψ

∣∣∣∣∣∣∣∣2 =ψ

∣∣∣∣∫X|f(x)|2 dP (x)ψ

=∫X|f(x)|2dµψ(x) ,

dove, nell’ultima uguaglianza, abbiamo tenuto conto di (c) in teorema 8.4.(c) Per prima cosa notiamo che f ∈ M(X), dato che e una funzione misurabile, essendo limitedi funzioni misurabili, ed e limitata dalla stessa costante che limita la successione delle fn. Seψ ∈ H, la linearita dell’integrale e (b) implicano immediatamente che:∣∣∣∣∣∣∣∣∫

Xf(x) dP (x)−

∫Xfn(x) dP (x)

ψ

∣∣∣∣∣∣∣∣2 =∫X|f(x)− fn(x)|2 dµψ(x) .

La misura µψ e finita, per cui le funzioni costanti sono integrabili. Per ipotesi, |fn| < K < +∞per ogni n ∈ N, quindi |f | ≤ K e pertanto |fn−f |2 ≤ (|fn|+|f |)2 < 4K2. Dato che |fn−f |2 → 0puntualmente, possiamo applicare il teorema della convergenza dominata, ottenendo che, pern→ +∞, ∣∣∣∣∣∣∣∣∫

Xf(x) dP (x)ψ −

∫Xfn(x) dP (x)ψ

∣∣∣∣∣∣∣∣ =Ê∫

X|f(x)− fn(x)|2 dµψ(x)→ 0 .

Data l’arbitrarieta di ψ ∈ H, questo risultato prova (c).(d) Se supp(P ) e compatto, l’applicazione R2 3 (x, y) 7→ zχsupp(P )(x, y) ∈ C e limitata, percui T :=

∫supp(P ) z dP (x, y) =

∫R2 zχsupp(P )(x, y) dP (x, y) e un operatore normale (cfr. nota (2)

dopo teorema 8.5) di B(H) e quindi, in particolare, il suo spettro residuo e vuoto per (c) di

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proposizione 8.3.Per definizione di insieme risolvente, la tesi e equivalente all’affermazione:C 3 λ 6∈ supp(P ) se e solo se λ ∈ ρ(T ).Proviamo che λ 6∈ supp(P ) implica λ ∈ ρ(T ). Tenendo conto che R2 3 (x, y) 7→ z = x + iy elimitata su supp(P ), supponiamo che λ 6∈ supp(P ). In tal caso c’e un aperto di R2, A 3 (x0, y0)con x0 + iy0 = λ, tale che P (A) = 0. Segue facilmente che (x, y) 7→ (z − λ)−1 e limitatasull’insieme chiuso supp(P ). Allora esiste l’operatore di B(H):∫

supp(P )

1z − λ

dP (x, y) .

In virtu di (iii) e (i) di (a), vale:∫supp(P )

1z − λ

dP (x, y)∫supp(P )

(z−λ) dP (x, y) =∫supp(P )

(z−λ) dP (x, y)∫supp(P )

1z − λ

dP (x, y)

=∫supp(P )

1 dP (x, y) =∫

R21 dP (x, y) = I ,

che puo essere scritto anche come, tenendo conto di (i) e (ii) di (a):∫supp(P )

1z − λ

dP (x, y)(T − λI) = (T − λI)∫supp(P )

1z − λ

dP (x, y) = I .

In altre parole, T − λI e una biezione di H su H. Per (a) del teorema 8.1 (tenendo conto cheT : H→ H e chiuso, essendo limitato), si ha che λ ∈ ρ(T ).Mostriamo ora che λ ∈ ρ(T ) implica che λ 6∈ supp(P ). Per dimostrare questo fatto, proviamola proposizione equivalente: λ ∈ supp(P ) implica λ ∈ σ(T ) = σp(T ) ∪ σc(T ).Se λ ∈ supp(P ), puo accadere che T − λI : H → H non sia iniettivo: in tal caso λ ∈ σp(T ) ela dimostrazione finisce. Supponiamo invece che T − λI : H → H sia iniettivo e mostriamo chel’operatore inverso (T − λI)−1 : Ran(T − λI) → H non puo essere limitato, per cui λ ∈ σc(T ).Per provare questo fatto, e sufficiente mostrare che, se λ ∈ supp(P ), per ogni n = 1, 2, . . . esisteψn ∈ H, con ψn 6= 0, tale che ||(T − λI)ψn||/||ψn|| ≤ 1/n. (Infatti, nelle nostre ipotesi, valeψn = (T − λ)−1φn per ogni n = 1, 2, . . ., con φn 6= 0 per avere ψn 6= 0. Allora si ha:

1/n ≥ ||(T − λI)ψn||/||ψn|| = ||(T − λI)(T − λI)−1φn||/||(T − λI)−1φn|| .

In altre parole, per ogni n = 1, 2, . . ., esiste φn ∈ H, con φn 6= 0, tale che:

||(T − λI)−1φn||||φn||

≥ n .

Allora (T − λI)−1 non puo essere limitato e quindi λ ∈ σc(T ).)Se λ ∈ supp(P ), ogni aperto A 3 λ deve soddisfare P (A) 6= 0. Posto x0 + iy0 := λ, consideriamo

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la classe di dischi aperti Dn ⊂ R2, centrati in (x0, y0) e di raggio 1/n, con n = 1, 2, . . .. Datoche P (Dn) 6= 0, esistera ψn 6= 0 tale che ψn ∈ P (Dn)(H). In tal caso, si ha:

(T − λI)ψn =∫supp(P )

(z − λ) dP (x, y)ψn =∫supp(P )

(z − λ) dP (x, y)∫supp(P )

χDn(z) dP (x, y)ψn ,

dove abbiamo tenuto conto di P (Dn) =∫R2 χDn(z) dP (x, y) e di P (Dn)ψn = ψn. Usando (iii)

di (a) del presente teorema, troviamo allora

(T − λI)ψn =∫

R2χDn(z)(z − λ)dP (x, y) .

Quindi, dalla proprieta (b), otteniamo:

||(T − λI)ψn||2 =∫

R2|χDn(z)|2|z − λ|2dµψn(x, y) ≤

∫R2

1 · n−2 dµψn(x, y)

= n−2∫

R21 dµψn(x, y) = n−2||ψn||2 ,

dove, nell’ultima uguaglianza, abbiamo usato il fatto che µψn(R2) = ||ψn||2 per la (iii) di (c) inteorema 8.4. Estraendo le radici quadrate ad ambo i membri, si ha infine:

||(T − λI)ψn||||ψn||

≤ 1/n .

Questo conclude la dimostrazione. 2

8.3.3 Teorema di decomposizione spettrale per operatori limitati normali.

Possiamo ora enunciare e provare il teorema di decomposizione spettrale per operatori in B(H)normali. Il teorema e valido, in particolare, per operatori limitati autoaggiunti e per operatoriunitari, che sono sottocasi di operatori limitati normali.

Teorema 8.6 (Teorema di decomposizione spettrale per operatori in B(H) normali).Siano H spazio di Hilbert e T ∈ B(H) operatore normale. Valgono i fatti seguenti.(a) Esiste, e unica e limitata una misura a valori di proiezione P (T ) su R2 (dotato della topologiastandard) tale che:

T =∫supp(P (T ))

z dP (T )(x, y) , (8.41)

dove z e la funzione R2 3 (x, y) 7→ z := x+ iy ∈ C.(a)’ Se T e autoaggiunto oppure unitario, l’enunciato (a) si puo precisare ulteriormente sosti-tuendo R2, rispettivamente, con R oppure con S1 := (x, y) ∈ R2 |

√x2 + y2 = 1.

(b) Vale:supp(P (T )) = σ(T ) .

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In particolare, per λ = x+ iy ∈ C (rispettivamente λ = x ∈ R, oppure λ = x+ iy ∈ S1) valgonoi seguenti fatti:

(i) λ ∈ σp(T ) se e solo se P (T )((x, y)) 6= 0;(ii) λ ∈ σc(T ) se e solo se P (T )((x, y)) = 0 (rispettivamente, P (T )(x) = 0 oppure

P (T )((x, y)) = 0) e, per ogni aperto Aλ ⊂ R2 (rispettivamente, R oppure S1) con Aλ 3 (x, y),e P (T )(Aλ) 6= 0;

(iii) se λ ∈ σ(T ) e un punto isolato, allora λ ∈ σp(T );(iv) se λ ∈ σc(T ), allora, per ogni ε > 0, esiste φε ∈ H con ||φε|| = 1 e

0 < ||Tφε − λφε|| ≤ ε .

(c) Se f ∈ M(σ(T )), l’operatore∫supp(P (T )) f(x, y) dP (T )(x, y) commuta con tutti gli operatori

di B(H) che commutano con T e T ∗.

Nota. La proprieta (iv) di (b) afferma in pratica che, se λ ∈ σc(T ), benche non esistano auto-vettori di T con tale autovalore (dato che lo spettro continuo e quello discreto sono disgiunti),possiamo costruire dei vettori che risolvono l’equazione degli autovalori con approssimazionemigliorabile a piacimento.

Prova del teorema 8.6. (a), (a)’ e (c). Unicita. Dimostriamo prima di tutto l’unicita dellamisura spettrale. Prima di tutto si noti che se una misura spettrale P soddisfa (8.41) deveavere supporto limitato, dato che la funzione z non e limitata su insiemi non limitati, e noiabbiamo definito l’integrazione di funzioni misurabili limitate. Siano dunque P e P ′ misure avalori di proiezione con supporto limitato (e quindi compatto, essendo supp(P ) chiuso in R2 perdefinizione) e tali che

T =∫supp(P )

z dP (x, y) =∫supp(P ′)

z dP ′(x, y) . (8.42)

Da tale relazione, usando (i), (ii), (iii) e (iv) di (a) nel teorema 8.5, segue che, per ogni polinomiop = p(z, z), vale:

p(T, T ∗) =∫supp(P )

p(x+ iy, x− iy) dP (x, y) =∫supp(P ′)

p(x+ iy, x− iy) dP ′(x, y) ,

dove il polinomio p(T, T ∗) e definito nel modo piu ovvio, ossia traducendo la moltiplicazione dinumeri complessi z := x+ iy e z := x− iy in p(z, z) nella composizione di operatori e ponendoT 0 := I e (T ∗)0 := I. Se u, v ∈ H sono arbitrari, per ogni polinomio complesso p = p(z, z) suR2, avremo allora che∫

supp(µu,v)p(z, z) dµu,v(x, y) =

u

∣∣∣∣∣∫supp(P )

p(z, z) dP (x, y)v

=u

∣∣∣∣∣∫supp(P ′)

p(z, z) dP ′(x, y)v

=∫supp(µ′u,v)

p(z, z) dµ′u,v(x, y) .

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Le due misure complesse µu,v e µ′u,v sono quelle introdotte in (c) del teorema 8.4 (con u e vsostituiti da ψ e φ.) Dato che i polinomi in z, z a coefficienti complessi individuano biunivoca-mente i polinomi complessi in x, y (tramite la sostituzione z := x+ iy e z := x− iy), la classe deipolinomi p(x+ iy, x− iy), rispettivamente ristretti ai compatti supp(µu,v) e supp(µ′u,v) (cfr (v)di (c) in teorema 8.4), e densa, nella norma dell’estremo superiore, negli spazi C(supp(µu,v)) eC(supp(µ′u,v)) rispettivamente, per il teorema di Stone-Weierstrass. Dato che gli integrali rispet-to a misure complesse sono funzionali continui nella norma dell’estremo superiore, concludiamoche, per ogni funzione continua f = f(x, y), vale∫

supp(µu,v)f(x, y) dµu,v(x, y) =

∫supp(µ′u,v)

f(x, y) dµ′u,v(x, y) .

Quindi, se K e un compatto che include i supporti di entrambe le misure, possiamo estendere inmodo ovvio le due misure su K senza alterarne il supporto (definendo la misura di un borelianoE di K come µu,v(E ∩ supp(µu,v)) e la stessa cosa per la misura rispetto a µ′u,v); allora devevalere ∫

Kf(x, y) dµu,v(x, y) =

∫Kf(x, y) dµ′u,v(x, y) .

Il teorema di Riesz per le misure complesse assicura che le due misure estese a K devonocoincidere. Di conseguenza, le misure non ancora estese a K devono avere lo stesso supporto ecoincidere. Quindi, usando (iv) in (c) del teorema 8.4, abbiamo che, per ogni coppia di vettoriu, v ∈ H e per ogni funzione misurabile g limitata su R2, vale

u

∣∣∣∣∣∫supp(P )

g(x, y) dP (x, y)v

=u

∣∣∣∣∣∫supp(P ′)

g(x, y) dP ′(x, y)v,

ossia u

∣∣∣∣∫R2g(x, y) dP (x, y)v

=u

∣∣∣∣∫R2g(x, y) dP ′(x, y)v

,

e quindi ∫R2g(x, y) dP (x, y) =

∫R2g(x, y) dP ′(x, y) ,

per l’arbitrarieta di u e v. Se E e un arbitrario boreliano di R2 e si sceglie g = χE , l’identita disopra implica infine che

P (E) =∫

R2χE(x, y) dP (x, y) =

∫R2χE(x, y) dP ′(x, y) = P ′(E) .

Questo prova che P = P ′.Inoltre osserviamo che, in virtu di (8.42) e di (d) in teorema 8.5, si ha supp(P (T )) = σ(T ).L’unicita per i casi presentati in (a)’ e conseguenza di quanto appena provato, del fatto chesupp(P (T )) = σ(T ) e di (a) (i) e (b) (i) in proposizione 8.3.Esistenza. Passiamo a provare l’esistenza della misura spettrale P (T ). Divideremo la dimostra-zione in due casi: il caso in cui T e autoaggiunto, ed il caso in cui T non lo e.

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Caso di T autoaggiunto. Si consideri lo ∗-omomorfismo ÒΦT associato a T come nel teorema 8.3.Se E e un boreliano di R, definiamo E′ := E ∩ σ(T ) e quindi: P (T )(E) := ÒΦT (χE′). E chiaroche P (T )(E) e idempotente, essendo ÒΦT un omomorfismo e valendo χE′ · χE′ = χE′ . Inoltre,la proprieta (vi) di (b) in teorema 8.3 ed il fatto che le funzioni caratteristiche sono positiveimplicano che P (T )(E) ≥ 0 e quindi P (T )(E) e anche autoaggiunto. In definitiva ogni P (T )(E)e un proiettore ortogonale. Si verifica immediatamente che B(R) 3 E 7→ P (T )(E) e una misuraa valori di proiezione: P (T )(E) ≥ 0 come provato sopra; (b) di definizione 8.3 segue dal fattoche χE′ · χF ′ = χE′∩F ′ e dal fatto che ÒΦT e omomorfismo; la proprieta (c) di definizione 8.3segue immediatamente da ÒΦT (χσ(T )) = I, valida per definizione di omomorfismo di algebre conunita (cfr. (a) del teorema 8.3); infine, la proprieta (d) della definizione 8.3 segue da (v) di(b) in teorema 8.3, tenendo conto del fatto che, puntualmente, limN→+∞

∑Nn=0 χE′n = χ∪n∈NE′n

quando gli insiemi E′n sono disgiunti a due a due. Osserviamo che, per costruzione, supp(P (T ))e limitato in quanto supp(P (T )) ⊂ σ(T ), il secondo dei quali e compatto per (c) del teorema 8.1.Per proseguire con la dimostrazione, notiamo che, da quanto appena provato, tenendo conto dellalinearita dell’operatore integrale associato a P (T ) e della linearita di ÒΦT , segue immediatamenteche: ÒΦT (s σ(T )) =

∫supp(P (T ))

s(x) dP (T )(x) ,

per ogni funzione semplice s : R→ C. Dato che entrambi i funzionali sono continui rispetto allatopologia dell’estremo superiore ((ii) in (b) di teorema 8.3 e (a) di teorema 8.4), applicando laproposizione 7.8 si ha che

ÒΦT (f σ(T )) =∫supp(P (T ))

f(x) dP (T )(x) , (8.43)

per ogni funzione f : R → C misurabile e limitata. In particolare, quindi, per (i) in (a) delteorema 8.3,

T =∫supp(P (T ))

x dP (T )(x) .

Riguardo alla prova di (c), si osservi che (8.43) mostra anche che A ∈ B(H) commuta con∫supp(P (T )) f(x, y) dP (T )(x, y) se A commuta con T , perche, sotto le ipotesi dette, A commuta

con ÒΦT (f σ(T )) come conseguenza di (iii) in (b) di teorema 8.3.Caso di T normale non autoaggiunto. Decomponiamo T come in (8.7) mediante gli operatoriX,Y ∈ B(H) autoaggiunti e commutanti, definiti in (8.8). Siano P := P (X) e Q := P (Y ) lemisure spettrali limitate definite su R, associate rispettivamente a X e Y secondo la primaparte di questa dimostrazione. Si osservi che risulta P (E)Q(F ) = Q(F )P (E) per ogni coppiadi boreliani E,F ⊂ R. Infatti, per (8.43), vale:

P (E) = ÒΦX(χE′) =∫

RχE′(x) dP (x) .

Il secondo membro commuta con tutti gli operatori di B(H) che commutano con X (per (iii)di (b) del teorema 8.3), pertanto P (E)Y = Y P (E) per ogni boreliano E ⊂ R. Con lo stesso

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ragionamento abbiamo allora che i proiettori Q(F ) (F ∈ B(R)) associati a Y , commutando contutti gli operatori che commutano con Y , dovranno commutare con P (E). In definitiva, tuttigli operatori

P (E × F ) := P (E)Q(F ) ,

con E,F boreliani di R, sono a loro volta proiettori ortogonali.Da (8.8) segue facilmente (ricordando anche che ||T ∗|| = ||T ||) che vale ||X|| ≤ ||T || e ||Y || ≤||T ||. Dato che supp(P ) = σ(X), supp(Q) = σ(Y ), per (c) del teorema 8.1 i supporti dellemisure P e Q saranno contenuti nel segmento [−||T ||, ||T ||]. Nel seguito K denotera il compattodi R2 definito come:

K := [−||T ||, ||T ||]× [−||T ||, ||T ||] .

D’ora in poi, una funzione a gradini su K sara una funzione g : K → C esprimibile come

g(x, y) :=∑

(i,j)∈LgijχEi×Fj , (8.44)

dove L e un insieme finito di indici, Ei, Fj sono boreliani in K (dotato della topologia indotta daR2) tali che (Ei×Fj)∩(Er×Fs) = ∅ se (i, j) 6= (r, s) e i numeri gij sono complessi. G(K) indicheralo spazio vettoriale su C delle funzioni a gradini. Si osservi che tale spazio vettoriale e in realtauna ∗-algebra con unita, in quanto e chiusa per prodotti (punto per punto) di funzioni a gradini,e chiusa rispetto alla coniugazione complessa e contiene la funzione che vale costantemente 1. Echiaro che G(K) ⊂M(K). Definiamo l’operatore lineare Ψ0 : G(K)→ B(H) come:

Ψ0(g) :=∑

(i,j)∈LgijP (Ei × Fj) . (8.45)

Si verifica facilmente che, se la stessa funzione a gradini g ammette due differenti rappresen-tazioni del tipo (8.44), il valore di Ψ0(g) e il medesimo quando valutato sulle due differentirappresentazioni. Si prova facilmente che Ψ0 : G(K) → B(H) e uno ∗-omomorfismo di algebrecon unita, in quanto per costruzione e lineare, trasforma i prodotti di funzioni a gradini in pro-dotti di operatori, trasforma la coniugazione complessa nella coniugazione hermitiana ed associaalla funzione costante di valore unitario l’operatore identita. Ancora, mediante lo stesso proce-dimento con cui si dimostra che l’integrale delle funzioni semplici secondo una misura spettralee una funzione continua dell’integrando rispetto alla norma || ||∞ (e rispetto alla norma dellatopologia uniforme in B(H)), si prova che Ψ0 : G(K) → B(H) e continua nella norma || ||∞ (erispetto alla norma della topologia uniforme in B(H)). In particolare vale

||Ψ0(g)|| ≤ ||g||∞ .

Infine, se A ∈ B(H) commuta con T e T ∗, allora commutera con le loro combinazioni linearie quindi, in particolare, con X e Y . Ma allora, ripetendo la dimostrazione gia fatta sopra perla commutativita dei proiettori delle misure spettrali di X e Y , si prova che A commuta coni proiettori ortogonali della misura spettrale di X e con quelli della misura spettrale di Y . Diconseguenza, se A commuta con T e T ∗, commutera anche con Ψ0(g) per ogni funzione a gradini

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g.Passiamo ad estendere Ψ0 alle funzioni continue. Il cosiddetto “teorema dell’oscillazione limi-tata” dell’analisi elementare assicura che possiamo approssimare arbitrariamente, nella normadell’estremo superiore, funzioni reali continue su K con funzioni reali a gradini su K; decompo-nendo le funzioni complesse in parte reale ed immaginaria, il risultato si generalizza a funzionia valori complessi. In altre parole, risulta che G(K) e denso in C(K) nella topologia indottadalla norma dell’estremo superiore. Usando (3) e (4) in esercizi 2.1, possiamo estendere in modounico Ψ0 : G(K) → B(H) ad uno ∗-omomorfismo continuo di C∗-algebre ΨT : C(K) → B(H)che soddisfa:

||ΨT (f)|| ≤ ||f ||∞ , per ogni f ∈ C(K) . (8.46)

e tale che ΨT (f)A = AΨT (f) per ogni f ∈ C(K) e ogni A ∈ B(H) che commuta con T e T ∗.Tale ∗-omomorfismo gode infine delle proprieta:

ΨT (x) = X , (8.47)ΨT (y) = Y , (8.48)

ΨT (x+ iy) = T , (8.49)

dove x, y, x+ iy indicano le funzioni su K definite rispettivamente come (x, y) 7→ x, (x, y) 7→ y,(x, y) 7→ x + iy. E chiaro che la terza proprieta segue per linearita dalle prime due. La primaidentita si prova come segue. Sia snn∈N una successione di funzioni semplici su [−||T ||, ||T ||]che converge uniformemente alla funzione x ristretta a tale intervallo (tale successione esiste per(b) di proposizione 7.8). Possiamo definire la successione di funzioni a gradini su K, gnn∈N,come gn(x, y) := sn(x) per ogni n ∈ N. Tale successione tende ovviamente alla funzione (x, y) 7→x su K nella topologia della norma dell’estremo superiore. Si verifica subito che, per costruzione,vale: ∫

[−||T ||,||T ||]sn dP

(X)(x) = Ψ0(gn) .

Prendendo il limite per n → +∞ della relazione precedente, il secondo membro tende a ΨT (x)e il primo membro tende a (si tenga conto che supp(P (X)) = σ(X) ⊂ [−||T ||, ||T ||])∫

[−||T ||,||T ||]x dP (X)(x) =

∫supp(P (X))

x dP (X)(x) = X ,

per la continuita dell’operatore integrale e per il punto (a), gia dimostrato, di questo teorema.Abbiamo provato che vale (8.47). Con una dimostrazione analoga si prova (8.48), e quindi(8.49) segue per linearita. Usando la stessa dimostrazione del teorema 8.3, possiamo infineunivocamente estendere ΨT : C(K)→ B(H) ad uno ∗-omomorfismo di C∗-algebre ÒΨT : M(K)→B(H), che soddisfa (8.49) e gode di tutte le proprieta scritte in (b) del teorema 8.3, rimpiazzandoσ(T ) con K e ΦT con ΨT (che, al contrario del primo, in generale non e isometrico) e rafforzandol’ipotesi in (iii) richiedendo che A commuti anche con T ∗, oltre che con T .A questo punto la dimostrazione procede come nel caso di T autoaggiunto. Definiamo E′ :=E ∩K, dove E ⊂ R2 e un qualsiasi boreliano. Quindi poniamo: P (T )(E) := ÒΨT (χE′). E chiaro

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che P (T )(E) e idempotente, essendo ÒΨT un omomorfismo e valendo χE′ · χE′ = χE′ . Inoltre, laproprieta (vi) di (b) in teorema 8.3, che, come detto sopra, vale anche per ÒΨT , unitamente al fattoche le funzioni caratteristiche sono positive, implica che P (T )(E) ≥ 0, e quindi P (T )(E) e ancheautoaggiunto. In definitiva ogni P (T )(E) e un proiettore ortogonale. Si verifica immediatamenteche B(R2) 3 E 7→ P (T )(E) e una misura a valori di proiezione: P (T )(E) ≥ 0 come provato sopra;(b) di definizione 8.3 segue dal fatto che χE′ · χF ′ = χE′∩F ′ e dal fatto che ÒΨT e omomorfismo;la proprieta (c) di definizione 8.3 segue immediatamente da ÒΨT (χK) = 1; infine, la proprieta(d) della definizione 8.3 segue da (v) di (b) in teorema 8.3, che, come detto sopra, vale ancheper ÒΨT , tenendo conto del fatto che, puntualmente, limN→+∞

∑Nn=0 χE′n = χ∪n∈NE′n quando gli

insiemi E′n sono disgiunti a due a due. Osserviamo che, per costruzione, supp(P (T )) e limitato,in quanto supp(P (T )) ⊂ K, il secondo dei quali e compatto per costruzione.Per proseguire con la dimostrazione, notiamo che, da quanto appena provato, tenendo contodella linearita di ÒΨT , segue immediatamente che:

ÒΨT (s K) =∫

R2s(x, y) dP (T )(x, y) ,

per ogni funzione semplice s : R2 → C. Dato che entrambi i funzionali sono continui rispettoalla topologia dell’estremo superiore ((ii) in (b) di teorema 8.3, valido anche per ÒΨT , e (a) diteorema 8.4), applicando la (b) di proposizione 7.8 si ha che

ÒΨT (f K) =∫

R2f(x, y) dP (T )(x, y) , (8.50)

per ogni funzione f : R2 → C misurabile e limitata. In particolare, quindi, per (8.49) si ha

T =∫supp(P (T ))

(x+ iy) dP (T )(x, y) .

Si osservi che (8.50) mostra anche che A ∈ B(H) commuta con∫R2 f(x, y) dP (T )(x, y) se A

commuta con T e T ∗, perche, sotto le nostre ipotesi, A commuta con ÒΨT (f K), come dettosopra. Quindi anche la dimostrazione di (c) e conclusa.(b) Facciamo la dimostrazione per il caso generico in cui T non sia autoaggiunto e nemmenounitario; la dimostrazione si specializza facilmente a tali casi. Il fatto che supp(P (T )) = σ(T )e immediata conseguenza di (d) del teorema 8.5. Proviamo (i). Scriveremo P in luogo di P (T )

per semplicita notazionale. Sia λ := x0 + iy0 un complesso arbitrario. Tenendo conto di (iii) di(a) in teorema 8.5, vale:

TP ((x0, y0)) =∫σ(T )

(x+ iy)χ(x0,y0)(x, y) dP (x, y) =∫σ(T )

(x0 + iy0)χ(x0,y0)(x, y) dP (x, y)

= λ

∫σ(T )

χ(x0,y0)(x, y) dP (x, y) = λP ((x0, y0)) .

In definitiva,TP ((x0, y0)) = λP ((x0, y0)) .

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Concludiamo che, se P ((x0, y0)) 6= 0, allora λ := x0 + iy0 e autovalore per T , dato che unqualsiasi vettore u 6= 0 appartenente al sottospazio su cui proietta P ((x0, y0)) e un autovettorecon autovalore λ.Supponiamo viceversa che Tu = λu con u 6= 0 e λ := x0 + iy0. Allora (cfr. (b) di (i) inproposizione 3.8) T ∗u = λu, Tn(T ∗)mu = λnλ

mu e, per linearita,

p(T, T ∗)u =∫supp(P )

p(x+ iy, x− iy) dP (x, y)u = p(λ, λ)u (8.51)

per ogni polinomio p = p(x + iy, x − iy), dove abbiamo usato il fatto che l’integrale definisceuno ∗-omomorfismo. Ogni polinomio p = p(x + iy, x − iy) e anche un polinomio complessoq = q(x, y) nelle variabili reali x e y, definendo punto per punto q(x, y) := p(x+ iy, x− iy) e talecorrispondenza e biunivoca. Dato che con i polinomi q(x, y) possiamo approssimare a piacimentole funzioni continue f(x, y) nella norma dell’estremo superiore, la seconda uguaglianza in (8.51)varra anche se, al posto del polinomio p(x + iy, x − iy) = q(x, y), si considera una funzionecontinua f = f(x, y). E facile provare che, se λ = x0 + iy0, allora χ(x0,y0) e il limite puntualedi una successione limitata di funzioni continue fn. In definitiva, usando (c) di teorema 8.4 edil teorema della convergenza dominata (tenendo conto che µu e finita), vale:

(u|P(x0,y0)u) =u

∣∣∣∣∣∫supp(P )

χ(x0,y0)(x, y)dP (x, y) u

=∫supp(P )

χ(x0,y0)(x, y)dµu(x, y)

= limn→+∞

∫supp(P )

fn(x, y)dµu(x, y) = limn→+∞

u

∣∣∣∣∣∫supp(P )

fn(x, y)dP (x, y) u

= limn→+∞

(u|fn(x0, y0)u) = χ(x0,y0)(x0, y0)(u|u) .

Pertanto, tenendo conto del fatto che i proiettori ortogonali sono idempotenti ed autoaggiunti eche χ(x0,y0)(x0, y0) = 1 per definizione, si ha:

(P(x0,y0)u|P(x0,y0)u) = (u|u) 6= 0 .

Questo prova che P(x0,y0) 6= 0.Passiamo a provare (ii). Dato che σc(T ) ∪ σp(T ) = σ(T ) (per (i) di (c) in proposizione 8.3) eσc(T ) ∩ σp(T ) = ∅ per definizione, deve essere che λ ∈ σc(T ) se e solo se λ ∈ σ(T ) e λ 6∈ σp(T ).Dato che supp(P (T )) = σ(T ), l’affermazione che λ ∈ σ(T ), equivale a dire che, per ogni apertoA di R2 che contiene (x0, y0) con x0 + iy0 = λ, deve essere P (A) 6= 0. D’altra parte, per (i),λ 6∈ σp(T ) significa P (T )((x0, y0)) = 0.Proviamo (iii). Se λ = x0 + iy0 ∈ C e un punto isolato di σ(T ), allora, per definizione, c’e unaperto A 3 (x0, y0) che non interseca la parte rimanente di σ(T ). Se fosse P ((x0, y0)) = 0non potrebbe essere λ ∈ supp(P (T )), valendo in tal caso P (A) = 0. Di conseguenza deve neces-sariamente essere P (T )((x0, y0)) 6= 0. Per (i) deve allora valere che λ ∈ σp(T ).La prova di (iv) e stata data nella dimostrazione di (d) del teorema 8.5, in cui abbiamo provato,tra le altre cose, che se λ ∈ σc(T ), allora, per ogni n > 0 naturale, esiste ψn ∈ H con ||ψn|| 6= 0

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e 0 < ||Tψn − λψn||/||ψn|| ≤ 1/n. Per provare (iv) e allora sufficiente definire φn := ψn/||ψn||con n tale che 1 ≤ εn per il valore di ε fissato. 2

Il teorema successivo fornisce una rappresentazione spettrale di ogni operatore normale di B(H),mostrando che, di fatto, ogni operatore normale limitato puo essere visto come un operatoremoltiplicativo quando lo si rappresenta in un opportuno spazio L2.

Notazione 8.2. Se H e uno spazio di Hilbert e Hαα∈A e una famiglia di suoi sottospazi chiusi,scriveremo H = ⊕α∈AHα se i sottospazi Hα sono a due a due ortogonali e vale H = < Hαα∈A >.

Nota. In riferimento alla decomposizione ortogonale H = ⊕α∈AHα nel senso appena definito,lasciamo al lettore la semplice dimostrazione delle seguenti identita. Esse derivano dal fatto chel’unione di basi hilbertiane, scelte in ogni Hα, e una base hilbertiana per H.Per ogni vettore ψ ∈ H vale (nel senso della definizione 3.4)

||ψ||2 =∑α∈A||Pαψ||2 (8.52)

dove Pα e il proiettore ortogonale su Hα, per ogni α ∈ A. Vale anche (tenendo conto del lemma3.1)

ψ =∑α∈A

Pαψ (8.53)

dove la serie puo essere riordinata a piacimento. La somma si intende come una serie o unasomma finita dato che solo una quantita al piu numerabile di vettori Pαψ e non nulla ((b) pro-posizione 3.2).

Teorema 8.7 (Teorema di rappresentazione spettrale per operatori in B(H) normali).Siano H spazio di Hilbert e T ∈ B(H) operatore normale. Sia P (T ) la misura spettrale associataa T secondo (a) (o (a)’) del teorema 8.6.(a) E possibile decomporre H come H = ⊕α∈AHα (con A al piu numerabile se H e separabile),dove i sottospazi Hα sono chiusi ed ortogonali a due a due, e valgono le proprieta seguenti:

(i) per ogni α ∈ A, valgono THα ⊂ Hα e T ∗Hα ⊂ Hα;(ii) per ogni α ∈ A esiste una misura di Borel positiva finita µα, su σ(T ) ⊂ R2 ed un

operatore isometrico suriettivo Uα : Hα → L2(σ(T ), µα), tali che, se f ∈M(σ(T )),

∫σ(T )

f(x, y)dP (T )(x, y)Hα U

−1α = f · ,

in particolare valgono:,

UαT Hα U−1α = (x+ iy)· , UαT

∗ Hα U−1α = (x− iy)·

dove f · e l’operatore moltiplicativo per f su L2(σ(T ), µα): per ogni g ∈ L2(σ(T ), µα),

(f · g)(x, y) = f(x, y)g(x, y) quasi ovunque su σ(T ) ;

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(ii)’ se T e autoaggiunto oppure unitario, per ogni α ∈ A esiste una misura di Borel positivafinita, sui boreliani di σ(T ) ⊂ R oppure, rispettivamente σ(T ) ⊂ S1, ed un operatore isometricosuriettivo Uα : Hα → L2(σ(T ), µα), tali che, se f ∈M(σ(T )),

∫σ(T )

f(x)dP (T )(x)Hα U

−1α = f · ,

in particolare,UαT Hα U

−1α = x· ,

dove f · e l’operatore moltiplicativo per f su L2(σ(T ), µα): per ogni g ∈ L2(σ(T ), µα),

(f · g)(x) = f(x)g(x) quasi ovunque su σ(T ) .

(b) Valeσ(T ) = suppµαα∈A ,

dove suppµαα∈A e il complemento dell’insieme dei numeri λ ∈ C (rispettivamente R, S1) percui esiste un aperto Aλ ⊂ C (rispettivamente R, S1) tale che Aλ 3 λ e µα(Aλ) = 0 per ogniα ∈ A.(c) Se H e separabile, esistono uno spazio con misura (MT , µT ), con µT (MT ) < +∞, una fun-zione limitata FT : MT → C (e rispettivamente R oppure S1 a seconda che T sia autoaggiuntooppure unitario), un operatore unitario UT : H→ L2(MT , µT ) tale che:

UTTU−1T f

(m) = FT (m)f(m) ,

UTT

∗U−1T f

(m) = FT (m)f(m) per ogni f ∈ H. (8.54)

Prova. (a) Dimostriamo (i), (ii) e (iii). La prova per (ii)’ e analoga a quella per (ii).Supponiamo inizialmente che esista un vettore ψ ∈ H tale che il sottospazio vettoriale Hψ

contenente i vettori di H del tipo∫σ(T ) g(x, y) dP (T )(x, y)ψ, con g ∈M(σ(T )) sia denso in H. Se

µψ e la misura spettrale associata a ψ, che dunque e una misura finita perche∫supp(P (T ))

dµψ = ||ψ||2 ,

deve risultare supp(µψ) ⊂ supp(P (T )) per (iv) di (c) del teorema 8.4. Consideriamo lo spazio diHilbert L2(σ(T ), µψ) e l’operatore lineare suriettivo

Vψ : M(σ(T )) 3 g 7→∫σ(T )

g(x, y) dP (T )(x, y)ψ ∈ Hψ .

Dato che µψ e finita, M(σ(T )) ⊂ L2(σ(T ), µψ) come sottospazio. Tenuto conto di cio risultache, per ogni coppia f, g ∈M(σ(T )):∫

σ(T )g1(x, y)g2(x, y) dµψ(x, y) =

∫σ(T )

g1(x, y) dP (T )(x, y)ψ

∣∣∣∣∣∫σ(T )

g2(x, y) dP (T )(x, y)ψ,

(8.55)

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che equivale a scrivere ∫σ(T )

g1(x, y)g2(x, y) dµψ(x, y) = (Vψg1|Vψg2) . (8.56)

La dimostrazione di (8.55) si ottiene notando che, se E,E′ ⊂ σ(T ) sono boreliani, usando (iv)di (c) di teorema 8.4, (iii) di (a) di teorema 8.5 e (iv) di (a) di teorema 8.5, si ha:∫

σ(T )χEχE′ dµψ =

∫σ(T )

χE∩E′ dµψ =ψ

∣∣∣∣∣∫σ(T )

χE∩E′ dP(T ) ψ

=

ψ

∣∣∣∣∣∫σ(T )

χEχE′ dP(T ) ψ

∣∣∣∣∣∫σ(T )

χE dP(T )∫σ(T )

χE′ dP(T ) ψ

=∫

σ(T )χE dP

(T )ψ

∣∣∣∣∣∫σ(T )

χE′ dP(T ) ψ

;

per linearita (ed anti-linearita) del prodotto scalare e dell’integrale, se s e t sono funzioni semplici,dovra ancora valere: ∫

σ(T )st dµψ =

∫σ(T )

s dP (T )ψ

∣∣∣∣∣∫σ(T )

t dP (T ) ψ

.

Tenendo conto della proposizione 7.8, usando la definizione di integrale di una funzione misura-bile limitata secondo una misura spettrale, il teorema della convergenza dominata rispetto allamisura finita µψ ed infine la continuita del prodotto scalare, l’identita appena provata implica(8.55). Abbiamo provato che Vψ e un’isometria suriettiva da M(σ(T )) a Hψ. Si osservi cheM(σ(T )) e denso in L2(σ(T ), µψ) in quanto, se g ∈ L2(σ(T ), µψ), le funzioni gn := χEn · g, conEn := (x, y) ∈ σ(T ) | |g(x, y)| < n sono in M(σ(T )) e gn → g nel senso di L2(σ(T ), µψ),per il teorema della convergenza dominata (essendo |gn − g|2 → 0, per n→ +∞, puntualmentee valendo |gn − g|2 ≤ 2|g|2 ∈ L1(σ(T ), µψ)). Possiamo quindi estendere unicamente Vψ ad unoperatore isometrico suriettivo ÒVψ : L2(σ(T ), µψ) → Hψ, il cui inverso sara indicato con Uψ.Nelle ipotesi fatte Hψ = H.Se f ∈ M(σ(T )), direttamente da (8.55) e facendo uso di (iii) in (a) di teorema 8.5, abbiamoche: ∫

σ(T )g1(x, y)f(x, y)g2(x, y) dµψ(x, y)

=∫

σ(T )g1(x, y) dP (T )(x, y)ψ

∣∣∣∣∣∫σ(T )

f(x, y)g2(x, y) dP (T )(x, y)ψ

=∫

σ(T )g1(x, y) dP (T )(x, y)ψ

∣∣∣∣∣∫σ(T )

f(x, y) dP (T )(x, y)∫σ(T )

g2(x, y) dP (T )(x, y)ψ

=Vψg1

∣∣∣∣∣∫σ(T )

f(x, y) dP (T )(x, y)Vψg2

.

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Abbiamo quindi provato che, per ogni terna di funzioni g1, g2, f ∈M(σ(T )), vale:∫σ(T )

g1(x, y)f(x, y)g2(x, y) dµψ(x, y) =Vψg1

∣∣∣∣∣∫σ(T )

f(x, y) dP (T )(x, y)Vψg2

.

L’operatore f · : L2(σ(T ), µψ)→ L2(σ(T ), µψ), moltiplicativo per la funzione f ∈M(σ(T )), e li-mitato come e facile provare; di conseguenza, tenendo conto cheM(σ(T )) e denso in L2(σ(T ), µψ),della definizione di Uψ, del fatto che

∫σ(T ) f(x, y) dP (T )(x, y) e limitato e, infine, della continuta

del prodotto scalare, abbiamo che∫σ(T )

g1(x, y)f(x, y)g2(x, y) dµψ(x, y) =U−1ψ g1

∣∣∣∣∣∫σ(T )

f(x, y) dP (T )(x, y)U−1ψ g2

,

per ogni coppia di funzioni g1, g2 ∈ L2(σ(T ), µψ). In altre parole:

∫σ(T )

f(x, y) dP (T )(x, y)U−1ψ = f · . (8.57)

Passiamo a considerare il caso in cui non esista alcun vettore ψ con Hψ = H.In tal caso, sia ψ un vettore arbitrario in H. Denotiamo con Hψ lo spazio vettoriale dei vettori∫σ(T ) f(x, y) dP (T )(x, y)ψ per ogni f ∈M(σ(T )). Vale T (Hψ) ⊂ Hψ e T ∗(Hψ) ⊂ Hψ, infatti, per

ogni f ∈M(σ(T )), si ha ((a) teorema 8.6 e (iii) in (a) di teorema 8.5):

T

∫σ(T )

f(x, y) dP (T )ψ =∫σ(T )

(x+ iy) dP (T )∫σ(T )

f(x, y) dP (T )ψ =∫σ(T )

(x+ iy)f(x, y) dP (T )ψ ,

per cui T∫σ(T ) f(x, y) dP (T )ψ ∈ Hψ dato che la funzione (x, y) 7→ (x+ iy)f(x, y) e un elemento

di M(σ(T ))). La dimostrazione per T ∗ e analoga, usando il fatto che

T ∗ =∫σ(T )

(x− iy) dP (T ) .

Per continuita, vale anche T (Hψ) ⊂ Hψ e T ∗(Hψ) ⊂ Hψ. Definendo Uψ come fatto sopra, vale la(8.57).Mostriamo ora come costruire un altro sottospazio chiuso, Hψ′ ortogonale a Hψ, invariantesotto T e T ∗ e che verifichi la (8.57) per una corrispondente isometria suriettiva Uψ′ : Hψ′ →L2(σ(T ), µψ′). Se ψ′ ⊥ Hψ allora

ψ′∣∣∣∣∣∫σ(T )

f(x, y) dP (T )(x, y)ψ

= 0 ,

per ogni f ∈M(σ(T )). Ma allora, per le proprieta dell’integrale rispetto a misure spettrali ((iii)e (iv) di (a) in teorema 8.5) vale anche, per ogni coppia g, f ∈M(σ(T ))∫

σ(T )g dP (T )ψ′

∣∣∣∣∣∫σ(T )

f dP (T )ψ

=ψ′∣∣∣∣∣∫σ(T )

g dP (T )∫σ(T )

f dP (T )ψ

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=(ψ′∣∣∣g(x, y)f(x, y) dP (T )(x, y)ψ

)= 0 ,

dove si e tenuto conto che g · f ∈ M(σ(T )) nelle ipotesi fatte. In definitiva, se ψ′ ⊥ Hψ alloraHψ′ e ortogonale a Hψ e quindi lo stesso fatto vale per le rispettive chiusure per la continuita delprodotto scalare. Lo spazio Hψ′ e invariante sotto T e T ∗ (la dimostrazione e la stessa che perHψ) ed e verificata (8.57) per una corrispondente isometria suriettiva Uψ′ : Hψ′ → L2(σ(T ), µψ′)(la prova e quella data all’inizio di questa dimostrazione). In questo modo, scegliendo classi divettori ψα opportunamente, si possono costruire classi di sottospazi chiusi Hα = Hψα , ciascunodotato di un’isometria suriettiva Uα : Uα : Hα → L2(σ(T ), µψ′), in modo tale che gli spazi (a)siano ortogonali a due a due, (b) siano separatamente invarianti sotto T e T ∗ e (c) verifichino

∫σ(T )

f(x, y) dP (T )(x, y) Hα U−1α = f · . (8.58)

per ogni f ∈ M(σ(T )). Indichiamo C l’insieme di tali classi di sottospazi. Possiamo metterein C la relazione d’ordine parziale data dall’inclusione insiemistica. Con tale relazione d’ordineparziale, ogni sottoinsieme ordinato di C e limitato superiormente, per cui, per il Lemma diZorn, ci deve essere in C un elemento massimale Hαα∈A. Il sottospazio banale H0 := 0 (peresso µ0 e la misura nulla – per cui L2(σ(T ), µ0) contiene solo il vettore nullo – e U0 trasformail vettore nullo di 0 nel vettore nullo di L2(σ(T ), µ0)) e contenuto in Hαα∈A: se non fossecontenuto Hαα∈A ∪ H0 maggiorerebbe Hαα∈A e si avrebbe un assurdo. Se esiste ψ ∈ Hcon ψ ⊥ Hα per ogni α ∈ A e ψ 6= 0, potremmo costruire uno spazio Hψ, differente da tutti gliHα, ma che gode delle proprieta (a), (b) e (c). Allora Hαα∈A ∪ Hψ maggiorerebbe Hαα∈Ae si avrebbe un assurdo. Concludiamo che, se ψ e ortogonale a tutti gli spazi Hα allora ψ = 0. Inaltre parole, < Hαα∈A > = H e quindi, essendo gli spazi a due a due ortogonali: H = ⊕α∈AHα.Passiamo a provare (b) nel caso generale di T normale, il caso di T autoaggiunto e T unitario siprovano specializzando la dimostrazione in modo ovvio. Proveremo che vale la doppia implica-zione equivalente alla tesi: λ 6∈ suppµαα∈A ⇔ λ ∈ ρ(T ).⇒ Se λ 6∈ suppµαα∈A, sia DR un disco aperto di raggio R > 0 centrato in λ con µα(DR) = 0per ogni α ∈ A, tale disco esiste sempre nelle ipotesi fatte. Si verifica subito che, in ogni spazioL2(σ(T ), µα), l’operatore moltiplicativo per (x+ iy−λ)−1 e limitato con norma non superiore a1/R (indipendentemente da α) ed e l’inverso destro e sinistro dell’operatore moltiplicativo per(x+ iy−λ). Sia Rλ(α) : Hα → Hα l’operatore U−1

α (x+ iy−λ)−1 ·Uα. Rλ(α) ha la stessa normadell’operatore moltiplicativo (x + iy − λ)−1·, dato che Ua e isometrico suriettivo, per cui valeanche ||Rλ(α)|| ≤ 1/R. Si definisca l’operatore Rλ : H→ H tale che:

Rλ :∑α∈A

Pαψ 7→∑α∈A

Rλ(α)Pαψ ,

per ogni ψ ∈ H. Tenendo conto di quanto detto nella nota precedente e del fatto che glispazi Hα sono invarianti per T e per Rλ (che si riduce a Rλ(α) su ciascuno di essi), si verificafacilmente che, vale ||Rλ|| ≤ 1/R ed inoltre Rλ(T − λI) = (T − λI)Rλ = I. Infatti, dato cheRanRλ(α) = Hα, si ha:

||Rλψ||2 = ||∑α∈A

Rλ(α)Pαψ||2 = ||∑α∈A

PaRλ(α)Pαψ||2 =∑α∈A||PaRλ(α)Pαψ||2

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=∑α∈A||Rλ(α)Pαψ||2 ≤ R−2

∑α∈A||Pαψ||2 = R−2||ψ||2 .

Inoltre(T − λI)Rλψ = (T − λI)Rλ

∑α∈A

Pαψ

∑α∈A

(T − λI)RλPαψ =∑α∈A

(T − λI) Hα Rλ(a)Pαψ =∑α∈A

IPαψ = ψ ,

per cui: (T − λI)Rλ = I. Similmente

Rλ(T − λI)ψ = Rλ(T − λI)∑α∈A

Pαψ

∑α∈A

Rλ(T − λI)Pαψ =∑α∈A

Rλ(a)(T − λI) Hα Pαψ =∑α∈A

IPαψ = ψ ,

per cui: Rλ(T − λI) = I. Per (a) di teorema 8.1, λ ∈ ρ(T ).⇐ Supponiamo ora che λ ∈ ρ(T ) per cui esiste (T − λI)−1 : H → H inverso destro e sinistrodi T − λI ed operatore limitato. Definiamo ε > 0 in modo tale che ||(T − λI)−1|| =: 1/ε.Sosteniamo che allora µα(Dε) = 0 per ogni α ∈ A, dove Dε e il disco aperto di raggio ε centratoin λ. Procediamo per assurdo. Supponiamo sia falso quanto affermato per ultimo, allora esisteraβ ∈ A tale che µβ(Dε) > 0. Sia D′δ ⊂ Dε un secondo disco aperto centrato in un punto di Dε conraggio δ tale che 0 < δ < ε e µβ(Dδ) > 0, se non esistesse un siffatto Dδ sarebbe µβ(Dε) = 01.Consideriamo un vettore ψ ∈ H \ 0 definito dal fatto che Pαψ = 0 se α 6= β e Uβψ = f taleche suppf ⊂ Dδ. Possiamo sempre ridefinire ψ per un fattore moltiplicativo, in modo tale che||ψ|| = 1. Vale allora, essendo |x+ iy − λ| < ε se x+ iy ∈ Dδ,

||(T − λI)ψ||2 =∫Dδ

|(x+ iy)− λ|2|f(x, y)|2 dµβ(x, y) < ε2∫Dδ

|f(x, y)|2 dµβ(x, y) = ε2 .

Quindi vale:||(T − λI)ψ|| < ε .

D’altra parte, per definizione di norma di un operatore:

||(T − λI)−1|| ≥ ||(T − λI)−1φ||||φ||

per ogni φ ∈ H \ 0. Di conseguenza, posto (T − λI)−1φ = ψ, vale

||(T − λI)−1|| ≥ ||ψ||||(T − λI)ψ||

,

1Per ogni z ∈ Dε, possiamo scegliere un disco aperto centrato in z di raggio positivo δ < ε in modo tale cheDδ ⊂ Dε. In tal modo abbiamo un ricoprimento dell’insieme Dε fatto da suoi sottoiniemi aperti. Per il lemmadi Lindelof, possiamo estrarre un sotto ricoprimento numerabile D(i)

δii∈N. Valendo Dε = ∪i∈ND

(i)δi

dovra anche

essere: µβ(Eε) ≤∑

i∈N µβ(D(i)δi

). Se fosse µβ(D(i)δi

) = 0 per ogni i, avremmo che µβ(Dε) = 0.

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e pertanto:

1/ε ≥ 1||(T − λI)ψ||

> 1/ε ,

che e assurdo.Concludiamo la dimostrazione provando (c). Nel caso di H separabile, consideriamo la classe divettori ψnn∈N come detto sopra (ora α e indicato con n) scegliendoli in modo che ||ψn||2 = 2−n.Definiamo MT := ∪+∞

n=1σ(T ), cioeMT e l’unione disgiunta di infinite copie di σ(T ). Infine defi-niamo µT richiedendo che si restringa a µn sulla copia n-esima di σ(T ). Deve esser chiaro che inquesto modo µT (MT ) =

∑+∞n=0 ||ψn||2 < +∞. La funzione FT e ovviamente quella che si restrin-

ge alla funzione (x + iy)· su ogni componente σ(T ). In questo modo FT risulta essere limitatadato che ogni copia di σ(T ) e limitato. L’operatore UT e costruito in modo ovvio attraverso gliUn. 2

Esempi 8.2.(1) Consideriamo l’operatore T su H := L2([0, 1] × [0, 1], dx ⊗ dy) definito da (Tf)(x, y) =xf(x, y), quasi ovunque su X := [0, 1] × [0, 1], per ogni f ∈ H Si verifica facilmente che taleoperatore e limitato, autoaggiunto e con spettro σ(T ) = σc(T ) = [0, 1].Una misura spettrale su R a supporto limitato che riproduce T come integrale, e quella data daiproiettori ortogonali P (T )

E definiti come operatori moltiplicativi per le funzioni caratteristicheχE′ con E′ := (E ∩ [0, 1]) × [0, 1], per ogni boreliano E ⊂ R. Infatti, usando i lemmi A e Bdell’esempio (1) in esempi 8.1, e con una scelta opportuna per i domini delle funzioni usate, siverifica che, per ogni g ∈M(X),∫

[0,1]g(λ) P (λ)f

(x, y) = g(x)f(x, y) , quasi ovunque su X .

Quindi in particolare∫[0,1]

λ P (λ)f

(x, y) = xf(x, y) , quasi ovunque su X ,

e quindi:

T =∫

[0,1]λ dP (λ) ,

come volevamo. Questa misura spettrale e allora l’unica, su R, a soddisfare (a) del teoremaspettrale.Ci interessiamo ora al punto (c) dell’enunciato del teorema spettrale. Una decomposizione diH come quella precisata in tale punto si ottiene nel modo seguente. Sia unn∈N una basehilbertiana di L2([0, 1], dy). Consideriamo quindi i sottospazi di H := L2([0, 1]× [0, 1], dx⊗ dy)dati da, per ogni n ∈ N,

Hn := f · un | f ∈ L2([0, 1], dx) .

E facile verificare che questa classe di sottospazi soddisfa, rispetto a T , tutte le richieste delpunto (c) del teorema. In particolare, per costruzione Hn e isomorfo a L2([0, 1], dx) secondo la

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trasformazione isometrica suriettiva: f · un 7→ f e quindi µn = dx.

(2) Consideriamo un operatore compatto autoaggiunto T ∈ B(H) nello spazio di Hilbert H. Peril teorema 4.2, σp(T ) e un insieme discreto di punti in R, con eventualmente il punto 0 comeunico punto di accumulazione. Di conseguenza, σ(T ) = σp(T ), eccetto il caso in cui 0 e puntodi accumulazione di σp(T ), ma 0 6∈ σp(T ). In questo caso (essendo σ(T ) chiuso, per il teorema8.1) σ(T ) = σp(T ) ∪ 0 e 0 e l’unico elemento di σc(T ) (essendo σr(T ) = ∅ per la proposizione8.3). Seguendo l’esempio (3) in esempi 8.1, possiamo definire una misura a valori di proiezionesu R che e nulla fuori da σ(T ):

PE := s-∑λ∈E

con E ⊂ σ(T ) e con Pλ proiettore ortogonale sull’autospazio con autovalore λ, se λ e autovalore,Pλ = 0 (proiettore nullo) altrimenti. Quest’ultima possibilita puo capitare solo se λ = 0 e 0 none autovalore. Seguendo l’esempio (3) in esempi 3.1, troviamo che∫

σ(T )λP (λ)ψ =

∑λ∈σ(T )

λPλψ ,

per ogni ψ ∈ H. D’altra parte, per il teorema 4.3, vale anche:∑λ∈σ(T )

λPλ = T ,

dove abbiamo definito P0 = 0 se 0 ∈ σc(T ).L’enunciato del teorema 4.3 precisa che tale decomposizione vale nella topologia operatoriale uni-forme se si segue un ordine opportuno nell’etichettare gli autovalori. Seguendo tale ordinamento,vale anche che, per ogni ψ ∈ H: ∑

λ∈σ(T )

λPλψ = Tψ .

Possiamo interpretare la somma a primo membro nel senso degli integrali rispetto alla misuraa valori di proiezione su σ(T ) definita sopra. Cio prova anche che la serie a primo membropuo essere riordinata a piacimento (quando i proiettori sono applicati su un vettore ψ ∈ H).Si osservi infine che, per costruzione, supp(P ) = σ(T ). Concludiamo che: la misura su σ(T )definita sopra e la misura spettrale di T , unicamente associata a T dal teorema spettrale. Inoltre,la decomposizione spettrale di T coincide con la decomposizione di T nella topologia forte suisuoi autospazi :

T = s-∑

λ∈σp(T )

λPλ ,

l’eventuale punto 0 ∈ σc(T ) non fornisce contributo all’integrale.

Esercizi 8.2.(1) Considerare l’operatore T limitato ed autoaggiunto su H := L2([0, 1], dx) che moltiplica le

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funzioni per x2:(Tf)(x) := x2f(x) .

Trovarne la misura spettrale.Suggerimento. Costruire una trasformazione unitaria da H a L2([0, 1], dy) che trasformi

l’operatore moltiplicativo per x2 nell’operatore moltiplicativo per y.(2) Considerare l’operatore T limitato ed autoaggiunto su H := L2([−1, 1], dx) che moltiplica lefunzioni per x2:

(Tf)(x) := x2f(x) .

Trovarne la misura spettrale.Suggerimento. Ragionare come nell’esercizio (1), dopo avere decomposto L2([−1, 1], dx) =

L2([−1, 0], dx)⊕ L2([0, 1], dx).(3) Se T ∈ B(H), con H spazio di Hilbert, e un operatore normale, dimostrare che, per ogniα ∈ C,

eαT =∫σ(T )

eα(x+iy) dP (T )(x, y) ,

dove il primo membro e definito come

eαT :=+∞∑n=0

αnTn

n!.

Suggerimento. La serie∑+∞n=0

αnzn

n! converge assolutamente ed uniformemente in ogni cerchiochiuso di raggio finito centrato nell’origine di C. Inoltre, per ogni polinomio p(z) (dove z =x+ iy), vale

p(T ) =∫σ(T )

p(x+ iy) dP (T )(x, y) .

(4) Si dimostrare il seguente notevole risultato, noto come:Teorema di Fuglede. Se A ∈ B(H) e normale e B ∈ B(H) commuta con A, allora B commutaanche con A∗.

Traccia. Per z ∈ C, considerare Z(z) = e−zA∗BezA

∗, dove gli esponenziali sono defini-

ti per via spettrale in modo ovvio. Usando il fatto che tale definizione coincide con quel-la data tramite la serie nella topologia uniforme, concludere che Z(z) commuta con ezA

∗e

quindi Z(z) = e−zA∗+zABezA

∗−zA. Essendo U := e−zA∗+zA =

ezA

∗−zA∗

unitario, risul-ta ||z(z)|| ≤ ||B|| e quindi la funzione olomorfa (perche ?) C 3 z 7→ (ψ|Z(z)φ) e limitatasu tutto il piano complesso ed e di conseguenza costante. Valutandola per z = 0 si trova:S(z) = e−zA

∗BezA

∗= B costantemente, cioe

BezA∗

= ezA∗B .

Usando la rappresentazione spettrale degli esponenziali, oppure facendo uso dello sviluppo inserie di potenze, e calcolando, per z = 0, la derivata nella topologia forte dei due membri dell’i-dentita trovata, si ricava BA∗ = A∗B.

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Per concludere il paragrafo enunciamo un ultimo teorema che e un diretto corollario del teoremadi decomposizione spettrale e del teorema 8.5. La dimostrazione e lasciata per esercizio al lettore.

Teorema 8.8. Siano H spazio di Hilbert e T ∈ B(H) operatore normale.(a) Esiste un unico omomorfismo continuo, ÒΨT : M(σ(T )) → B(H), dalla C∗-algebra commu-tativa con unita, M(σ(T )) (spazio delle funzioni misurabili limitate a valori complessi definitesul compatto di Hausdorff σ(T ) ⊂ R2 dotata della norma dell’estremo superiore || ||∞ e coninvoluzione data dalla coniugazione complessa) alla C∗-algebra con unita B(H), tale che:

(i) vale l’identita:ÒΨT (z) = T , dove z e la funzione σ(T ) 3 (x, y) 7→ z := x+ iy ; (8.59)

(ii) se fnn∈N ⊂M(σ(T )) e limitata e converge puntualmente a f : σ(T )→ C, alloraÒΨT (f) = w- limn→+∞

ÒΨT (fn) .

(b) ÒΨT gode delle ulteriori seguenti proprieta:(iii) per ogni f ∈M(σ(T )) vale ||ÒΨT (f)|| = ||f ||∞;(iv) se, per A ∈ B(H), vale AT = TA e AT ∗ = T ∗A, allora AÒΨT (f) = ÒΨT (f)A per ogni

f ∈M(σ(T ));(v) ÒΨT e uno ∗-omomorfismo di C∗-algebre, valendo ÒΨT (f) = ÒΨT (f)∗ per ogni f ∈M(σ(T ));(vi) se fnn∈N ⊂M(σ(T )) e limitata e converge puntualmente a f : σ(T )→ C, alloraÒΨT (f) = s- lim

n→+∞ÒΨT (fn) ,

(vii) se f ∈M(σ(T )) assume solo valori reali e f ≥ 0, allora ÒΨT (f) ≥ 0,(viii) se f ∈M(σ(T )), allora

ÒΨT (f) =∫σ(T )

f(x, y) dP (T )(x, y) .

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Capitolo 9

Teoria Spettrale su spazi di HilbertII: operatori autoaggiunti nonlimitati ed applicazioni.

In questo capitolo, che probabilmente e il piu tecnico del libro, esamineremo varie questioni ma-tematiche legate piu o meno direttamente alla teoria spettrale per operatori autoaggiunti nonlimitati.Nella prima sezione, estenderemo il teorema spettrale provato nel capitolo precedente, al casodi operatori autoaggiunti non limitati. Per fare cio , estenderemo la procedura di integrazionedi rispetto a misure spettrali, al caso di funzioni non limitate. Con questa estenzione e facendouso della trasformata di Cayley, dimostreremo il teorema di decomposizione spettrale per ope-ratori autoaggiunti non limitati. Daremo quindi due esemi fisicamente importanti di operatoriautoaggiunti non limitati e della loro decomposizione spettrale: l’hamiltoniano dell’oscillatorearmonico e gli operatori posizione ed impulso. Enunceremo infine un teorema di rappresenta-zione spettrale per operatori autoaggiunti non limitati.Nella sezione successiva ci concentreremo sulla teoria dei gruppi ad un parametro fortementecontinui di operatori unitari. In primo luogo proveremo l’equivalenza delle varie richieste di con-tinuita . Quindi proveremo il teorema di von Neumann sulla continuita delle dei gruppi ad unparametro misurabili di operatori unitari, e successivamente dimostreremo il teorema di Stone equalche importante conseguenza. In particolare daremo un utile criterio, basato sui gruppi uni-tari ad un parametro generati da operatori autoaggiunti, per stabilire quando le misure spettralidi due operatori autoaggiunti commutano.La terza sezione sara dedicata alla nozione di prodotto tensoriale hilbertiano di spazi di Hilberted a quella di prodotto tensoriale di operatori (in generale non limitati) ed alle relative pro-prieta spettrali. Come esempio ed applicazione strudieremo gli operatori associati al momentoangolare orbitale di una particella quantistica.La quarta sezione sara dedicata alla procedura di esponenziazione di operatori non limitati, inrelazione alla nozione di vettore analitico introdotto precedentemente.

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La quinta sezione riguardera l’estensione del teorema di decomposizione polare al caso di operato-ri non limitati, chiusi e densamente definiti. In tale sede discuteremo anche le proprieta notevolidegli operatori della forma A∗A, con A densamente definito e chiuso, e delle radici quadrate dioperatori autoaggiunti positivi non limitati.L’ultima sezione riguardera l’enunciato la dimostrazione e qualche diretta applicazione del teo-rema di Kato-Rellich che stabilisce criteri affinche un operatore autoaggiunto perturbato addi-tivamente tramite un operatore simmetrico dia ancora luogo ad un operatore autoaggiunto.

9.1 Teorema spettrale per operatori autoaggiunti non limitati.

Ci occuperemo ora di generalizzare parte delle definizioni e dei risultati ottenuti nella sezioneprecedente. In particolare vogliamo dimostrare il teorema di decomposizione spettrale nel casodi operatori autoaggiunti non limitati. L’importanza in fisica di tale teorema risiede nel fattoche, nella Meccanica Quantistica, la maggior parte degli operatori autoaggiunti che rappresen-tano osservabili di concreto interesse fisico sono operatori non limitati. Il caso tipico e datodall’operatore posizione introdotto nel capitolo 5.

9.1.1 Integrazione di funzioni non limitate rispetto a misure spettrali.

L’estensione dei risultati del capitolo precedente al caso di operatori non limitati si basa sulladefinizione di integrazione di funzioni non limitate rispetto a PVM. Se P e una misura spettralesullo spazio topologico a base numerabile X nel senso della definizione 8.3 e se f : X → C euna funzione misurabile (rispetto all’algebra di Borel di X), ma non necessariamente limitata, lascrittura:

∫X f(x)dP (x) non ha alcun senso fino ad ora. Cerchiamo di dare senso a tale integrale.

Consideriamo un vettore ψ ∈ H, spazio di Hilbert della PVM P , tale che:∫X|f(x)|2 dµψ(x) < +∞ , (9.1)

dove la misura spettrale rispetto a ψ, µψ, e quella definita in (c) del teorema 8.4. Possiamosempre trovare una successione di funzioni misurabili e limitate, fn, tali che fn → f per n→ +∞nel senso della norma di L2(X, µψ). Per esempio, come si prova facilmente dal teorema dellaconvergenza dominata di Lebesgue, basta considerare la successione di funzioni fn := χFn · f ,dove χFn e la funzione caratteristica dell’insieme Fn := x ∈ X | |f(x)| < n. Usando (iii) di (a)e (b) del teorema 8.5, si ricava immediatamente che vale l’identita:∣∣∣∣∣∣∣∣∫

Xfn(x)dP (x)ψ −

∫Xfm(x)dP (x)ψ

∣∣∣∣∣∣∣∣2 =∫X|fn(x)− fm(x)|2dµψ(x) . (9.2)

Pertanto la successione di vettori∫X fn(x)dP (x)ψ converge a qualche vettore, che indicheremo

con∫X f(x)dP (x)ψ: ∫

Xf(x)dP (x)ψ := lim

n→+∞

∫Xfn(x)dP (x)ψ . (9.3)

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E chiaro che∫X f(x)dP (x)ψ non dipende dalla successione fnn∈N. Se infatti gnn∈N e un’altra

successione di funzioni misurabili limitate che converge a f nel senso della norma di L2(X, µψ),la norma al quadrato del vettore

∫X fn(x)dP (x)ψ−

∫X gn(x)dP (x)ψ risulta essere maggiorata da,

procedendo come sopra, ∫X|fn(x)− gn(x)|2dµψ(x)→ 0 se n→ +∞ ,

e pertanto:

limn→+∞

∫Xfn(x)dP (x) = lim

n→+∞

∫Xgn(x)dP (x) .

Possiamo allora enunciare e provare il primo fondamentale teorema, dopo avere enunciato eprovato un lemma.

Lemma 9.1. Sia X spazio topologico a base numerabile, B(X) la sua σ-algebra di Borel di X,H spazio di Hilbert, P : B(X) → B(H) una PVM e f : X → C una funzione misurabile. Se lemisure µψ e µφ,ψ sono definite come nel teorema 8.4, dove φ, ψ ∈ H e vale:∫

X|f(x)|2dµψ(x) < +∞ ,

allora f e µφ,ψ-integrabile, cioe f ∈ L1(X, |µφ,ψ|), e vale:∫X|f(x)|d|µφ,ψ(x)| ≤ ||φ||

Ê∫X|f(x)|2dµψ(x) . (9.4)

Prova. Cominciamo con il supporre che f sia limitata. In tal caso, da (iv) in (c) nel teorema8.4:

φ

∣∣∣∣∫X|f(x)|dP (x)ψ

=∫X|f(x)|dµφ,ψ(x)

Il teorema di Radon-Nikodym (vedi (1) in esempi 2.2), esiste una funzione h : X → C con|h(x)| = 1 su X, tale che dµφ,ψ = hd|µφ,ψ|, e quindi:∫

X|f(x)|d|µφ,ψ(x)| =

∫X|f(x)|h−1(x)dµφ,ψ(x) =

φ

∣∣∣∣∫X|f(x)|h−1(x)dP (x)ψ

.

Di conseguenza, usando (b) del teorema 8.5 e notando che ||f(x)|h−1(x)|2 = |f(x)|2, abbiamo:∫X|f(x)|d|µφ,ψ(x)| ≤ ||φ||

∣∣∣∣∣∣∣∣∫X|f(x)|h−1(x)dP (x)ψ

∣∣∣∣∣∣∣∣ = ||φ||Ê∫

X|f(x)|2dµψ(x) .

Sia ora f non limitata. Definiamo le funzioni limitate fn := χFn · f come detto sopra, in modotale che 0 ≤ |fn(x)| ≤ |fn+1(x)| → |f(x)| per n → +∞. Per il teorema della convergenzamonotona, tenendo conto del fatto che f ∈ L2(X, dµψ), troviamo:∫

X|f(x)|d|µφ,ψ(x)| = lim

n→+∞

∫X|fn(x)|d|µφ,ψ(x)| ≤ ||φ|| lim

n→+∞

Ê∫X|fn(x)|2dµψ(x)

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= ||φ||Ê∫

X|f(x)|2dµψ(x) < +∞ .

Questo prova la tesi. 2

Passiamo al teorema. Nell’enunciato, se T : D(T ) → H e un operatore nello spazio di HilbertH con dominio (non necessariamente denso) D(T ) ⊂ H e p(x) =

∑mk=0 akx

k e un polinomiodi grado m a coefficienti complessi, l’operatore p(T ) : D(p(T )) → H e definito sostituendoformalmente alla variabile x del polinomio p l’operatore T , dove T 0 := I e T k = T · · ·T (k volte)e la composizione di k copie di T , per k = 1, 2, 3, . . . ,m. Il dominio naturale D(p(T )) di p(T ) intal caso e , in conformita con la definizione definizione 5.1:

D(p(T )) :=m⋂k=0

D(akT k) , (9.5)

dove il dominio naturale di D(akT · · ·T ) e definito nella definizione 5.1.

Teorema 9.1. Sia X spazio topologico a base numerabile, B(X) la sua σ-algebra di Borel di X,H spazio di Hilbert e P : B(X)→ B(H) una PVM. Per ogni f : X→ C misurabile si definisca:

∆f :=§ψ ∈ H

∣∣∣∣ ∫X|f(x)|2 dµψ(x) < +∞

ª. (9.6)

Valgono allora i seguenti fatti.(a) ∆f e un sottospazio denso di H.(b) L’applicazione: ∫

Xf(x)dP (x) : ∆f 3 ψ 7→

∫Xf(x)dP (x)ψ , (9.7)

dove il secondo membro e definito in (9.3) per una qualsiasi successione di funzioni misurabililimitate fnn∈N convergente a f in L2(X, µψ), definisce un operatore lineare.(c)

∫X f(x)dP (x) coincide con l’operatore in definizione 8.4 se ||f supp(P ) ||∞ < +∞.

Valgono inoltre le seguenti proprieta nel caso generale.(i)

∫X f(x)dP (x) : ∆f → H e un operatore chiuso.

(ii) Vale l’identita:∫Xf(x)dP (x)

∗=∫Xf(x)dP (x) e risulta ∆f = ∆f , (9.8)

quindi, in particolare,∫X f(x)dP (x) e autoaggiunto se f e reale.

(iii) Se f : R → C e g : R → C sono misurabili allora, dove · denota il prodotto di funzionipunto per punto e D il dominio naturale:∫

Xf(x)dP (x)+

∫Xg(x)dP (x)⊂

∫X(f+g)(x)dP (x)conD

∫Xf(x)dP (x)+

∫Xg(x)dP (x)

= ∆f∩∆g (9.9)

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e quindi = si sostituisce a ⊂ se e solo se ∆f+g = ∆f ∩∆g, mentre:∫Xf(x)dP (x)

∫Xg(x)dP (x)⊂

∫X(f · g)(x)dP (x) con D

∫Xf(x)dP (x)

∫Xg(x)dP (x)

= ∆f ·g ∩∆g

(9.10)e quindi = si sostituisce a ⊂ se e solo se ∆f ·g ⊂ ∆g. In particolare:∫

Xf(x)dP (x)

∫Xf(x)dP (x)=

∫X|f(x)|2dP (x) e quindi D

∫Xf(x)dP (x)

∫Xf(x)dP (x)

= ∆|f |2

(9.11)∫Xf(x)dP (x)

∫Xg(x)dP (x)

∆f∩∆g∩∆f ·g=

∫Xg(x)dP (x)

∫Xf(x)dP (x)

∆f∩∆g∩∆f ·g , (9.12)

infine, se f e limitata sul boreliano E ⊂ X, allora ∆χE ·f = H e:∫XχE(x)dP (x)

∫Xf(x)dP (x) ⊂

∫Xf(x)dP (x)

∫XχE(x)dP (x) =

∫X(χE · f)(x)dP (x) ∈ B(H) , (9.13)

(iv) Se X = R e p : R→ C e un polinomio (di grado finito m ∈ N) e T :=∫X xdP (x), vale:

p(T ) =∫

Rp(x)dP (x) dove D(p(T )) = D(Tm) = ∆p . (9.14)

(v) Definita µφ,ψ come in (c) del teorema 8.4,∫X f(x)dP (x) e l’unico operatore in H con

dominio ∆f tale che, per ogni ψ ∈ ∆f e φ ∈ H:φ

∣∣∣∣∫Xf(x)dP (x)ψ

=∫Xf(x)dµφ,ψ(x) . (9.15)

(vi) Per ogni ψ ∈ ∆f si ha∣∣∣∣∣∣∣∣∫Xf(x)dP (x)ψ

∣∣∣∣∣∣∣∣2 =∫X|f(x)|2dµψ(x) . (9.16)

(vii) L’operatore∫X f(x)dP (x) e positivo per f positiva, cioe:

ψ

∣∣∣∣∫Xf(x)dP (x)ψ

≥ 0 per ogni ψ ∈ ∆f se f(x) ≥ 0 per x ∈ X (9.17)

(d) Sia X′ un secondo spazio topologico a base numerabile con σ-algebra di Borel B(X′). Seφ : X→ X′ e misurabile (cioe φ−1(E′) ∈ B(X) se E′ ∈ B(X′)), allora

B(X′) 3 E′ 7→ P ′E′ := Pφ−1(E′)

e una PVM su X′ e, per ogni funzione misurabile f : X′ → C:∫X′f(x′)dP ′(x′) =

∫X

(f φ)(x)dP (x) e quindi ∆′f = ∆fφ , (9.18)

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avendo indicando con ∆′f il dominio dell’operatore di sinistra.

Prova.(a) e (b) Dobbiamo per prima cosa provare che, per ogni fissata f : X → C misurabile, seφ, ψ ∈ ∆f allora φ+ ψ ∈ ∆f e cφ ∈ ∆f per c ∈ C arbitrario. Si osservi che ∆f contiene almenoil vettore nullo di H per cui e non vuoto.Se φ, ψ ∈ ∆f e E ∈ B(X) si ha:

µφ+ψ(E) = (PE(φ+ ψ)|φ+ ψ) = µφ(E) + µψ(E) + 2Re(PEφ|ψ) .

Quindi:µφ+ψ(E) ≤ µφ(E) + µψ(E) + 2|(PEφ|ψ)| .

Vale inoltre:

2|(PEφ|ψ)| ≤È

(PEφ|φ)(PEψ|ψ) ≤ (PEφ|φ) + (PEψ|ψ) = µφ(E) + µψ(E) .

Concludendo:µφ+ψ(E) ≤ 2(µφ(E) + µψ(E)) .

Questa identita implica che, se L2(X, µφ) 3 f e L2(X, µψ) 3 f , allora L2(X, µφ+ψ) 3 f . Cioe,se φ, ψ ∈ ∆f allora φ + ψ ∈ ∆f . D’altra parte, essendo µφ(E) = (PEφ|φ), e chiaro chef ∈ L2(X, µcφ) se f ∈ L2(X, µφ) e c ∈ C. Cioe, se φ ∈ ∆f allora cφ ∈ ∆f .Il fatto che l’applicazione

∫X f(x)dP (x) : ∆f 3 ψ 7→

∫X f(x)dP (x)ψ sia infine lineare segue

immediatamente dal fatto che l’integrale di una funzione limitata rispetto ad una PVM e unoperatore lineare.Passiamo a provare che il sottospazio ∆f ⊂ H e denso in H. Fissata f come nelle ipotesi, sidefiniscano gli insiemi:

En := x ∈ X | n− 1 ≤ |f(x)| < n ,

per ogni naturale n ≥ 1. Si osservi che En∩Em = ∅ se n 6= m e ∪nEn = X. Della definizione 8.3segue immediatamente che i sottospazi chiusi Hn := P (En)H sono a due a due ortogonali e, perla proprieta (d) della suddetta definizione, le combinazioni lineari finite di elementi di tutti glispazi Hn definiscono un sottospazio denso in H. Mostriamo che ∆f contiene tali combinazionilineari. Dal teorema della convergenza monotona, se ψ ∈ H:

∫X|f(x)|2dµψ(x) = lim

k→+∞

k∑n=1

∫X|χEn(x)f(x)|2dµψ(x) ≤ +∞ . (9.19)

L’integrale dopo il simbolo di sommatoria puo essere trascritto, usando (b) in teorema 8.5:∫XχEn(x)f(x)dP (x)ψ

∣∣∣∣∫XχEn(x)f(x)dP (x)ψ

.

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D’altra parte, visto che x 7→ χEn(x)f(x) e limitata per costruzione e che χEn = χEn · χEn ,usando (iii) in (a) di teorema 8.5 si ha∫XχEn(x)f(x)dP (x)ψ =

∫XχEn(x)f(x)dP (x)

∫XχEn(x)dP (x)ψ =

∫XχEn(x)f(x)dP (x)P (En)ψ.

Se quindi ψ ∈ Hn per un certo n, essendo i proiettori P (En) ortogonali a due a due, varra:∫XχEk(x)f(x)dP (x)ψ = 0, se k 6= n .

Di conseguenza, nelle ipotesi dette per ψ, la serie in (9.19) si riduce a:∫X|f(x)|2dµψ(x) =

∫X|χEn(x)f(x)|2dµψ(x) ≤

∫Xn2dµψ(x) = n2||ψ||2 < +∞ .

Concludiamo che Hn ⊂ ∆f , per ogni n = 1, 2, . . .. Dato che ∆f e sottospazio conterra anche ilsottospazio denso delle combinazioni lineari finite di elementi di tutti gli spazi Hn. Pertanto ∆f

e denso.(c) In tutta questa dimostrazione, per f : X→ C, definiremo: Fk := x ∈ X | |f(x)| < k.Definiamo fn := χsupp(P ) · f + gn dove gn = χFn · χX\supp(P ) · f e le χn sono le funzioni. In talcaso fn → f puntualmente, se n→ +∞, ed inoltre, per ogni ψ ∈ H∫

X|fn(x)− f(x)|2dµψ(x) =

∫supp(P )

|fn(x)− f(x)|2dµψ(x) = 0 .

Di conseguenza, banalmente, fn → f nel senso di L2(X, µψ) per ogni ψ ∈ H e quindi, perdefinizione,∫

Xf(x)dP (x)ψ = lim

n→+∞

∫Xfn(x)dP (x)ψ = lim

n→+∞

∫supp(P )

f(x)dP (x)ψ =∫supp(P )

f(x)dP (x)ψ ,

dove l’ultimo integrale e definito nel senso della definizione 8.4 e pertanto∫supp(P ) f(x)dP (x)

e un operatore limitato.Prima di tutto notiamo che (vi) segue immediatamente per continuita dalla analoga proprieta ,valida per funzioni limitate, stabilita in (b) del teorema 8.5, usando la nostra definizione diintegrale di funzioni non limitate. Nello stesso modo (b) del teorema 8.4 implica (vii). Infattise f ≥ 0, ψ ∈ ∆f , la successione di funzioni χFn · fn ≥ 0 converge a f in L2(X, µψ) per cui:

0 ≤ψ

∣∣∣∣∫X

(χFn · f(x))dP (x)ψ→ψ

∣∣∣∣∫Xf(x)dP (x)ψ

, se n→ +∞,

e quindi(ψ∣∣∫

X f(x)dP (x)ψ)≥ 0.

Passiamo agli altri punti. (i) Mostriamo che T :=∫X f(x)dP (x) definito su ∆f e un operatore

chiuso. Per dimostrare questo cominciamo con il notare che, se definiamo gli operatori limitati:

Tk :=∫XχFk(x)f(x)dP (x) ,

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allora, per ogni ψ ∈ ∆f , vale: (1) TPFkψ = PFkTψ = Tkψ e (2) Tkψ → Tψ per k → +∞.La dimostrazione di (1) si ottiene similmente a quella fatta sopra per parte iniziale di (c),mentre quella di (2) segue dalla discussione che precede l’enunciato del teorema 9.1. Sia quindiψnn∈N ⊂ ∆f tale che ψn → ψ ∈ H e Tψn → φ, per n → +∞. Mostriamo che φ ∈ ∆f eTψ = φ dimostrando, in tal modo, la chiusura di T . Vale, per (1) e per il fatto che PFk → I insenso forte se k → +∞:

Tkψ = limn→+∞

Tkψn = limn→+∞

PFkTψn = PFkφ→ φ in H se k → +∞.

Se definiamo φk := Tkψ e teniamo conto di abbiamo appena trovato che:∫XχFk(x)f(x)dP (x)ψ = φk → φ in H se k → +∞. (9.20)

Quindi, da (b) del teorema 8.5:∫XχFk(x)|f(x)|2dµψ(x) = ||φk||2 → ||φ||2 < +∞ se n→ +∞.

Il teorema della convergenza monotona assicura allora che f ∈ L2(X, µψ), cioe che ψ ∈ ∆f .Riscrivendo l’identita in (9.20) come Tkψ = φk e calcolando il limite per k → +∞ usando (2),abbiamo infine che: Tψ = φ, che e quanto volevamo provare.(ii) Il fatto che ∆f = ∆f e una ovvia conseguenza della definizione di ∆f e del fatto che |f | = |f |.Mostriamo ora che

∫X f(x)dP (x) ⊂

(∫X f(x)dP (x)

)∗. Infatti, se ψ ∈ ∆f , φ ∈ ∆f e fn → f inL2(X, µφ) e quindi fn → f in L2(X, µψ), dove le fn sono limitate, vale:

ψ

∣∣∣∣∫Xf(x)dP (x)φ

= lim

n→+∞

ψ

∣∣∣∣∫Xfn(x)dP (x)φ

= lim

n→+∞

∫Xfn(x)dP (x)ψ

∣∣∣∣φ =

=∫

Xf(x)dP (x)ψ

∣∣∣∣φdove abbiamo usato la definizione dell’integrale di f e f rispetto a P e la proprieta (iv) in (a) delteorema 8.5 degli integrali di funzioni limitate fn. Quanto trovato significa che

∫X f(x)dP (x) ⊂(∫

X f(x)dP (x))∗. Mostriamo ora che vale anche l’inclusione:

∫X f(x)dP (x) ⊃

(∫X f(x)dP (x)

)∗.Per quanto ottenuto sopra, l’inclusione che vogliamo dimostrare segue immediatamente daD((∫

X f(x)dP (x))∗) ⊂ ∆f . Pertanto ci limitiamo a dimostriamo questa seconda inclusione

dei soli domini. Definiamo T :=∫X f(x)dP (x) e gli operatori limitati Tk come nella dimostra-

zione parte iniziale di (c). Fissiamo ψ ∈ D(T ∗). Allora esiste h ∈ H tale che, per ogni φ ∈ ∆f :(ψ|Tφ) = (h|φ). Scegliendo φ = T ∗kψ otteniamo (ψ|TkT ∗kψ) = (h|T ∗kψ), dove abbiamo usatoTT ∗k = TkT

∗k che si prova da T ∗k = PFkT

∗k (che segue subito da (iv) e (iii) in (a) del teorema

8.5), ed ulteriormente la proprieta TPFk = Tk, che si prova come nella parte iniziale di (c).Abbiamo trovato che: ||T ∗kψ||2 = (h|T ∗kψ). Allora ||T ∗kψ||2 ≤ ||T ∗kψ|| ||h||, cioe ||T ∗kψ|| ≤ ||h||. Diconseguenza, usando (b) del teorema 8.5:∫

XχFk(x)|f(x)|2dµψ(x) ≤ ||h||2 per ogni k ∈ N,

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che implica che ψ ∈ ∆f , per il teorema della convergenza monotona. Abbiamo provato cheD(T ∗) ⊂ ∆f che era quanto volevamo provare.(iii) La formula (9.9) ed il commento sotto di essa seguono banalmente dalle definizioni date edalla definizione di dominio naturale. Passiamo a dimostrare (9.10). Assumiamo inizialmenteche f sia limitata in modo tale che ∆f ·g ⊂ ∆g, e ψ ∈ ∆g. Sia gnn∈N una successione difunzioni misurabili limitate che converge a g in L2(X, dµg). Allora f · gn → f · g in L2(X, dµg) equindi, tenendo conto che gli integrali di f , gn, f · gn sono tutti nel senso della definizione 8.4 eche vale (iii) di (a) del teorema 8.5, abbiamo subito che:∫

Xf(x)dP (x)

∫Xgn(x)dP (x)ψ =

∫X

(f · gn)(x)dP (x)ψ →∫X

(f · g)(x)dP (x)ψ per n→ +∞.

Dato che∫X fdP e continua, abbiamo provato che:∫

Xf(x)dP (x)

∫Xg(x)dP (x)ψ =

∫X

(f · g)(x)dP (x)ψ se f e limitata e ψ ∈ ∆g . (9.21)

Se ora φ :=∫X gdPψ, tenendo conto di (vi), l’identita trovata mostra che:∫

X|f(x)|2dµφ(x) =

∫X|(f · g)(x)|2dµψ(x) se f e limitata e ψ ∈ ∆g . (9.22)

Sia ora f misurabile arbitraria e quindi, eventualmente, illimitata. Dato che (9.22) vale per ognifunzione limitata, varra anche per quelle illimitate. Dato che D

(∫X f(x)dP (x)

∫X g(x)dP (x)

)contiene tutti i vettori ψ ∈ ∆g tali che φ ∈ ∆f e che questo succede, per (9.22), se e solo seψ ∈ ∆f ·g, noi concludiamo che:

D

∫Xf(x)dP (x)

∫XgdP (x)

= ∆g ∩∆f ·g .

Se ora φ ∈ ∆g ∩∆f ·g, se ψ =∫X g(x)dP (x)φ, e se fn := χFn · f (con gli insiemi Fn definiti come

fatto precedentemente), allora fn → f in L2(X, µψ), fn · g → f · g in L2(X, µφ) e ora (9.21) e (vi)(con fn al posto di f) implicano che:∫

Xf(x) dP (x)

∫Xg(x) dP (x)φ =

∫Xf(x) dP (x)ψ = lim

n→+∞

∫Xfn(x) dP (x)ψ =

= limn→+∞

∫X

(fn · g)(x) dP (x)φ =∫X

(f · g)(x) dP (x)φ .

Questo conclude la dimostrazione di (9.10).L’inclusione (9.10) unitamente al fatto che in essa = si sostituisce a ⊂ se e solo se ∆g ⊃ ∆f ·g,implica facilmente (9.12) e (9.13). Riguardo a (9.12), vale ∆f ⊃ ∆f ·f = ∆|f |2 dal momento che,essendo µψ finita, se ψ ∈ ∆|f(x)|2∫

X|f(x)|2dµψ(x) =

∫X|f(x)|2 · 1dµψ(x) ≤

Ê∫X|f(x)|4dµψ(x)

Ê∫X

12dµψ(x) < +∞ .

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(iv) Cominciamo a notare che, in base a (9.10) e (9.9), vale:

p(T ) ⊂∫Xp(x) dP (x) .

Di conseguenza, la tesi e vera quando D(p(T )) = ∆p. Dimostriamo questa identita cominciandoa provare che vale:

D(Tn) = ∆xn per n ∈ N. (9.23)

La prova si ottiene per induzione come segue. Per n = 0, 1, l’identita e vera: D(T 0) = ∆1 = H,D(T ) = ∆x. Assumiamo che sia vera per n e proviamo che lo e per n + 1: D(Tn+1) = ∆xn+1 .Dobbiamo cioe provare che D(TTn) = ∆xxn . Usando il commento dopo (9.10), sappiamo chequesto e vero se e solo se ∆xxn ⊂ ∆xn . Questa inclusione e verificata dal momento che µψe sempre una misura positiva finita e |xn+1| > |xn| fuori da un compatto J ⊂ R per cui, seψ ∈ ∆xn+1 , allora:∫

R|x|2ndµψ(x) =

∫J|x|2ndµψ(x) +

∫R\J|x|2ndµψ(x) ≤ sup

J|x|2n

∫J

1dµψ(x) +∫

R\J|x|2n+2dµψ(x)

≤ supJ|x|2n

∫R

1dµψ(x) +∫

R|x|2n+2dµψ(x) < +∞ .

Si osservi che, dato che sara utile tra poco, abbiamo in particolare verificato che:

D(Tn+1) = ∆xn+1 ⊂ ∆xn = D(Tn+1) .

Per concludere la dimostrazione di D(p(T )) = ∆p, calcoliamo separatamente i due membri eproviamo che coincidono. Sia am 6= 0 il coefficiente di grado massimo del polinomio p. Dato cheD(Tn+1) ⊂ D(Tn) e che, nel caso generale, D(A+B) = D(A)∩D(B), abbiamo immediatamenteche:

D(p(T )) = D(Tm) . (9.24)

Passiamo a calcolare ∆p. Dato che ∆xn+1 ⊂ ∆xn si ha subito che ∆xm ⊂ ∆p. Dimostriamol’inclusione opposta. Dato che |p(x)|/|x|m → |am| se |x| → +∞, risulta che: |p(x)|/|x|m ≤|am|+ ε > 0, per ogni ε > 0, se x e fuori da un certo compatto sufficientemente grande Jε ⊂ R.Pertanto, se ψ ∈ ∆p, allora:∫

R|x|2m+2dµψ ≤

∫R\Jε|x|2m+2dµψ+

∫Jε

supJε

|x|2m+2dµψ ≤∫

R\Jε

|p(x)|2

(|am|+ ε)2dµψ+sup

|x|2m+2∫

Rdµψ

≤ 1(|am|+ ε)2

∫R|p(x)|2dµψ + sup

|x|2m+2∫

Rdµψ < +∞ ,

e quindi ψ ∈ ∆xm . Concludiamo che ∆p ⊂ ∆xm e quindi ∆p = ∆xm . Da (9.23) e (9.24) abbiamoinfine che ∆p = ∆xm = D(Tm) = D(p(T )) e questo conclude la dimostrazione.(v) Definiamo le solite funzioni limitate fn := χFn · f che tendono a f nel senso di L2(X, µψ).

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Abbiamo allora che, tenendo conto della definizione di integrale di f , ma anche di d (iv) in (c)nel teorema 8.4:

φ

∣∣∣∣∫Xf(x)dP (x) ψ

= lim

n→+∞

φ

∣∣∣∣∫Xfn(x)dP (x) ψ

= lim

n→+∞

∫Xfn(x)dµφ,ψ(x) .

Per concludere, proviamo, usando il lemma 9.1, che:

limn→+∞

∫X

(fn(x)− f(x))dµφ,ψ(x) = 0

Infatti, dal teorema di Radon-Nikodym e dal lemma 9.1:∣∣∣∣∫X

(fn(x)− f(x))dµφ,ψ(x)∣∣∣∣ =

∣∣∣∣∫X

(fn(x)− f(x))h(x)d|µφ,ψ(x)|∣∣∣∣ ≤ ∫

X|fn(x)− f(x)|d|µφ,ψ(x)|

≤ ||φ||Ê∫

X|fn(x)− f(x)|2dµψ(x)→ 0

per n → +∞, dalla definizione di∫X f(x)dP (x)ψ. La proprieta di unicita segue ora imme-

diatamente. Se T : ∆f → H soddisfa la stessa prioprieta di∫X f(x)dP (x), allora T ′ :=

T −∫X f(x)dP (x) verifica (φ|T ′ψ) = 0 per ogni φ ∈ H, qualunque sia ψ ∈ ∆f . Pertanto,

scegliendo φ = T ′ψ, risulta ||T ′ψ|| = 0 e dunque T =∫X f(x)dP (x).

(d) Diamo solo una traccia della dimostrazione, dal momento che e elementare anche se lunga. Ilfatto che P ′ sia un PVM si verifica subito, controllando che tutte le richieste siano soddisfatte Sef e una funzione semplice, l’asserto (9.18) vale banalmente. Usando la definizione 8.4, si gene-ralizza facilmente (9.18) alle funzioni misurabili limitate e quindi, facendo uso della definizionedi integrale che abbiamo dato sopra nel caso di f misurabile non limitata, (9.18) si estende alcaso generale. 2

Possiamo quindi dare la seguente definizione basata sulla (9.7), che estende la nozione di inte-grale di una funzione rispetto ad una PVM. Possiamo anche sfruttare la proprieta (v) in (c) perdare una definizione equivalente piu elegante.

Definizione 9.1. Siano X uno spazio topologico a base numerabile, H uno spazio di Hilbert eP : B(X)→ B(H) una misura a valori di proiezione definita sulla σ-algebra di Borel di X.(a) Se f : X→ C una funzione misurabile con ∆f definito come in (9.6), l’operatore∫

Xf(x)dP (x) : ∆f → H

dato in (9.7) e detto integrale di f rispetto alla misura a valori di proiezione P .Equivalentemente,

∫X f(x)dP (x) e definibile come l’unico operatore S : ∆f → H che soddisfa:

(φ |Sψ ) =∫Xf(x)dµφ,ψ(x) , per ogni φ ∈ H e ogni ψ ∈ ∆f ,

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dove la misura complessa spettrale µφ,ψ e data in (c) del teorema 8.4.(b) Per ogni E ⊂ B(X) e per ogni f : X → C misurabile oppure g : E → C misurabile, gliintegrali ∫

Ef(x) dP (x) :=

∫XχE(x)f(x) dP (x)

e ∫Eg(x) dP (x) :=

∫Xg0(x) dP (x) ,

dove g0(x) := g(x) se x ∈ E oppure g0(x) := 0 se x 6∈ E, sono detti, rispettivamente, integraledi f su E e integrale di g su E (rispetto alla misura a valori di proiezione P ).

Note.(1) Per (c) del teorema 9.1, questa definizione estende quella gia data in definizione 8.4 per ilcaso di funzioni limitate.(2) Con la definizione data, per ogni f : X→ C misurabile, vale:∫

Xf(x)dP (x) =

∫supp(P )

f(x)dP (x) e quindi∫X\supp(P )

f(x)dP (x) = 0 . (9.25)

La prova e quasi immediata notando che, dal momento che supp(µψ) ⊂ supp(P ) per definizionedi µψ, abbiamo che ∆f = ∆χsupp(P )·f e questo prova che i due operatori nei due membri dellaprima identita in (9.25) hanno lo stesso dominio. Siano ora fn delle funzioni limitate che con-vergono a f in L2(X, µψ). Allora χsupp(P ) · fn → χsupp(P ) · f e quindi, tenendo conto del fattoche (vedi (3) in note dopo la definizione 8.4)

∫X χsupp(P ) · fndP =

∫X fndP , abbiamo:∫

supp(P )f(x)dP (x)ψ :=

∫X

(χsupp(P ) · f)(x)dP (x)ψ = limn→+∞

∫X

(χsupp(P ) · fn)(x)dP (x)ψ

= limn→+∞

∫Xfn(x)dP (x)ψ =

∫Xf(x)dP (x)ψ .

Esempi 9.1.(1) Consideriamo la misura spettrale:

P : B(N) 3 E 7→ PE =∑z∈E

z(z| )

introdotta in (2) di esempi 8.1 su una base hilbertiana N di uno spazio di Hilbert separabile H,dotando N di struttura topologico a base numerabile con la topologia banale dell’insieme delleparti. Ci interessa arrivare a scrivere una formula esplicita per l’integrale di funzioni f : N → Cnon limitate, facendo uso della definizione (9.3). Nel caso che stiamo studiando, la condizione∫N |f(z)|2dµψ(z) < +∞ si specializza nella richiesta

∑z∈N |f(z)|2|(z|ψ)|2 < +∞. Vogliamo

mostrare che, anche nel caso di funzioni f illimitate, si ottiene ancora la formula:∫Nf(z)dP (z) = s-

∑z∈N

f(z)z(z| ) ,

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provata in (2) di esempi 8.1 per funzioni f limitate. Infatti, se Nnn∈N e una classe di sottoin-siemi finiti di N con Nn+1 ⊃ Nn e ∪n∈NNn = N , la successione di funzioni limitate fn := χNn ·fconverge nel senso della norma L2(N,µψ), per ogni ψ ∈ H tale che

∑z |f(z)|2|(z|ψ)|2 < +∞,

come semplice applicazione del teorema della convergenza dominata di Lebesgue. Pertanto, inbase alla definizione (9.3) adottata per l’integrale di una funzione non limitata rispetto ad unaPVM, abbiamo che, se

∑z∈N |f(z)|2|(z|ψ)|2 < +∞, allora:∫

Nf(z)dP (z)ψ := lim

n→+∞

∫Nfn(z)dP (z)ψ (9.26)

D’altra parte, dato che fn e limitata, per quanto provato in (2) di esempi 8.1:∫Nfn(z)dP (z)ψ = s-

∑z∈N

fn(z)(z|ψ) =∑z∈Nn

f(z)z(z|ψ) ,

dove, nella seconda identita la somma e finita, dato che Nn contiene un numero finito di punti.La definizione (9.26) si riduce allora a:∫

Nf(z)dP (z)ψ = lim

n→+∞

∑z∈N

f(z)z(z|ψ) ,

cioe : ∫Nf(z)dP (z) = s-

∑z∈N

f(z)z(z| ) . (9.27)

Nella prossima sezione vedremo un esempio concreto di operatore autoaggiunto non limitatocostruito con questo tipo di misura spettrale.(2) In riferimento a (1) in esempi 8.1, consideriamo la stessa misura spettrale definita in quell’e-sempio. Consideriamo quindi uno spazio di Hilbert H = L2(X, µ), dove X e uno spazio topologicoa base numerabile e µ e una misura sulla σ-algebra di Borel di X. La misura spettrale su H chevogliamo prendere in considerazione si ottiene definendo, per ogni ψ ∈ L2(X, µ) e E ∈ B(X):

(P (E)ψ)(x) := χE(x)ψ(x) , per quasi ogni x ∈ X . (9.28)

Si osservi che in questo caso, se ψ ∈ H, la misura µψ risulta:

µψ(E) = (ψ|P (E)ψ) =∫E|ψ(x)|2dµ(x) , per ogni E ∈ B(X) .

Di conseguenza, se g : X→ C e misurabile, risulta che:∫Xg(x)dµψ(x) =

∫Xg(x)|ψ(x)|2dµ(x) .

Abbiamo provato in (1) in esempi 8.1, che se f : X→ C e misurabile e limitata, allora:∫Xf(y) dP (y)ψ

(x) = f(x)ψ(x) per ogni ψ ∈ L2(X, µ), per quasi ogni x ∈ X . (9.29)

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Mostriamo che il risultato si generalizza a funzioni misurabili non limitate, purche ψ ∈ ∆f . Sef : X→ C e misurabile non limitata, consideriamo una successione di funzioni misurabili limitatefn tali che fn → f per n→ +∞ nel senso di L2(X, µψ), quando ψ ∈ ∆f . In altre parole, in baseall’espressione esplicita della misura µψ ottenuta sopra, deve essere:∫

X|fn(x)− f(x)|2|ψ(x)|2dµ(x)→ 0 per n→ +∞.

Tenendo conto di (9.29) risulta allora immediatamente che:

||f · ψ − fn · ψ||2H =∫X|f(x)− fn(x)|2|ψ(x)|2dµ(x)→ 0 per n→ +∞.

Conseguentemente, in base alla definizione di integrale di f rispetto a P , concludiamo che: perogni ψ ∈ ∆f , dove f : X→ C e misurabile anche non limitata, vale sempre:∫

Xf(x)dP (x)ψ

(y) = f(x)ψ(y) per quasi ogni y ∈ X. (9.30)

9.1.2 Teorema di decomposizione spettrale per operatori autoaggiunti nonlimitati.

Siamo ora in grado di enunciare e provare il teorema di decomposizione spettrale per operatoriautoaggiunti non limitati. Ci limiteremo ad enunciare e provare tale teorema per il caso dioperatori non limitati autoaggiunti. Tuttavia e possibile estendere il risultato agli operatori nonlimitati normali [Rud91].

Teorema 9.2. Sia T operatore autoaggiunto (non necessariamente limitato) sullo spazio diHilbert H. Valgono i seguenti fatti.(a) Esiste ed e unica una misura a valori di proiezione P (T ) su R (dotato della topologiastandard) tale che:

T =∫

Rλ dP (T )(λ) . (9.31)

(b) Vale l’identita:supp(P (T )) = σ(T ) (9.32)

e valgono in particolare i seguenti fatti(i) λ ∈ σp(T ) se e solo se P (T )(x) 6= 0;(ii) λ ∈ σc(T ) se e solo se P (T )(x) = 0 e, per ogni aperto Ax ⊂ R con Ax 3 x, e

P (T )(Ax) 6= 0;(iii) se λ ∈ σ(T ) e un punto isolato, allora λ ∈ σp(T );(iv) se λ ∈ σc(T ), allora, per ogni ε > 0, esiste φε ∈ D(T ) con ||φε|| = 1 e

0 < ||Tφε − λφε|| ≤ ε .

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Prova. (a) Sia V la trasformata di Cayley di T . V e un operatore unitario per il teorema 5.4,dato che T e autoaggiunto. Se S1 := (x, y) ∈ R2 | x2 + y2 = 1, definiamo X := S1 \ (1, 0)e nel seguito z = x + iy. Dotiamo X della topologia indotta da R2. Sia infine P (V ) la misuraspettrale di V in R2 ≡ C, che esiste per il teorema 8.6. Se z = x+ iy, vale:

V =∫

R2zdP (V )(x, y) . (9.33)

Dal teorema 8.6 sappiamo anche che σ(V ) = supp(P (V )) ⊂ S1. Inoltre I − T e iniettiva per (ii)in (b) del teorema 5.4 e di conseguenza 1 = 1 + i0 6∈ σp(V ). A sua volta questo implica cheP (V )((0, 1)) = 0 per (ii) in (b) di teorema 8.6. Di conseguenza, la decomposizione spettraleV =

∫S1 zdP (V )(x, y) data nel teorema 8.6, puo scriversi equivalentemente come:

V =∫XzdP (V )(x, y) . (9.34)

Si osservi che possiamo direttamente pensare P (V ) come una PVM su X rispetto alla sua σ-algebra di Borel B(X), e la formula di decomposizione scritta sopra continua ad avere senso.(Piu precisamente, l’applicazione B(X) 3 E 7→ P (V )(E) e ancora una PVM e, per computodiretto, si vede facilmente che l’integrale di ogni f limitata definita su X rispetto a tale PVMcoincide con quello di f , estesa come la funzione nulla sulla parte rimanente di R2, calcolatorispetto alla PVM iniziale P (V ). Applicando la definizione di integrale di funzioni misurabilinon limitate, il risultato si estende anche a tale classe di funzioni). Definiamo ora la funzione avalori in C, misurabile non limitata su X:

f(z) := i1 + z

1− zz ∈ X , (9.35)

e quindi integriamola rispetto alla misura spettrale P (V ) su X, ottenendo l’operatore (nonlimitato in generale):

T ′ :=∫Xf(z)dP (V )(x, y) . (9.36)

Dato che f assume valori reali (quando (x, y) ∈ X), l’operatore T ′ e necessariamente autoag-giunto. L’identita f(z)(1− z) = i(1 + z), in virtu di (iii) in (c) del teorema 9.1, implica:

T ′(I − V ) = i(I + V ) . (9.37)

In particolare (9.37) implica che Ran(I−V ) ⊂ ∆f =: D(T ′). Dal teorema teorema 5.4 abbiamoche

T (I − V ) = i(I + V ) e D(T ) = Ran(I − V ) ⊂ ∆f .

Per confronto con (9.37), concludiamo che T ′ deve essere un estensione autoaggiunta di T . Datoche T = T ∗ e quindi non ammette altre estensioni autoaggiunte, deve essere T = T ′. Abbiamoottenuto che:

T =∫Xf(z)dP (V )(x, y) . (9.38)

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La funzione f : X→ R e in realta biettiva e pertanto ricopre tutto R. Applicando allora (d) delteorema 9.1, abbiamo finalmente che: B(R) 3 E 7→ P (T )(E) := P (V )(f−1(E)) e una PVM su Red inoltre (9.38) puo essere riscritta come la (9.31):

T =∫

RλdP (T )(λ) .

Questo e lo sviluppo spettrale che volevamo provare esistere. Passiamo all’unicita della misuraspettrale che soddisfa (9.31). Sia P ′ una PVM su R con:

T =∫

RλdP ′(λ) .

La trasformata di Cayley si puo allora scrivere, in base a (c) del teorema 9.1:

V = (T − iI)(T + iI)−1 =∫

R

λ− iλ+ i

dP (T )(λ) .

Usando (d) dello stesso teorema e dove f : X→ R e la stessa funzione biettiva definita sopra:

V =∫

S1zdP (T )(f−1(x, y)) ,

dove B(S1) 3 E 7→ Q(E) := P ′(f−1(E)) risulta essere una PVM su X = S1 \ 1. Possiamoestendere in modo ovvio tale PVM su R2 richiedendo che, se F ∈ B(R2), Q(F ) = Q(F ∩ X).Abbiamo allora che:

V =∫

R2zdQ(x, y) .

Dato che vale anche (9.33), per l’unicita della misura spettrale associata ad un operatore normalelimitato per il teorema 8.6, deve accadere che: Q(F ) = P (V )(F ) per ogni boreliano di R2.Riducendosi ad insiemi in X = S1 \ 1, dovra anche valere: P ′(f−1(E)) = P (T )(f−1(E)) equindi, dato che f−1 e biettiva da R a X, deve essere: P ′(G) = P (T )(G) per ogni sottoinsiemeboreliano G di R.(b) Passiamo a dimostrare che σ(T ) = supp(P (T )). Dimostreremo equivalentemente che λ0 ∈ρ(T ) se e solo se λ0 6∈ supp(P (T )). Per prima cosa proviamo che λ0 6∈ supp(P (T )) implicaλ0 ∈ ρ(T ). Infatti, nell’ipotesi fatta su λ0, esiste un intervallo aperto (a, b) ⊂ R \ supp(P (T ))con λ0 ∈ (a, b). Di conseguenza:∫

R

1λ− λ0

dP (T )(λ) =∫

RχR\(a,b)(λ)

1λ− λ0

dP (T )(λ) .

Applicando (c) del teorema 9.1, dato che, nel secondo integrale, la funzione integranda e limitataconcludiamo che l’operatore:

Rλ0(T ) :=∫

R

1λ− λ0

dP (T )(λ)

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e limitato ed ha dominio pari a tutto H. Inoltre, sempre per (iii) in (c) dello lo stesso teorema,prestando attenzione ai domini su cui ha senso definire il prodotto di operatori, otteniamo:

Rλ0(T )(T − λ0I) = ID(T ) , (T − λ0I)Rλ0(T ) = I .

Si osservi che la seconda identita vale su tutto H e pertanto abbiamo da essa che deve anchevalere: Ran(T − λ0I) = H. L’operatore Rλ0(T ) e quindi, come la notazione suggerisce, ilrisolvente di T associato a λ0 e quindi, per definizione λ0 ∈ ρ(T ). Passiamo ora a provare cheλ0 ∈ ρ(T ) implica λ0 6∈ supp(P (T )). Nelle ipotesi dette per λ0, P (T )(λ0) = 0, altrimentiesisterebbe ψ ∈ P (T )

λ0(H) \ 0 che implicherebbe (per (iii) in (c) del teorema 9.1):

Tψ =∫

RλdP (T )(λ)P (T )

λ0ψ =∫

RλdP (T )(λ)

∫Rχλ0(λ)dP (T )(λ)ψ =

∫Rλχλ0(λ)dP (T )(λ)ψ

=∫

Rλ0χλ0(λ)dP (T )(λ)ψ = λ0P

(T )λ0ψ = λ0ψ

e dunque ψ ∈ σp(T ) che e impossibile, dato che λ0 ∈ ρ(T ). Ulteriormente, nelle stesse ipotesi suλ0 esiste l’operatore risolvente Rλ0(T ), cioe l’operatore limitato con dominio:

D(Rλ0(T )) = Ran(T − λ0I) = H ,

per (a) in teorema 8.1, essendo T = T ∗ e quindi T e chiuso, che soddisfa (T − λ0I)Rλ0(T ) = I eanche Rλ0(T )(T − λ0I) = ID(T ). D’altra parte, da (iii) in (c) del teorema 9.1 e tenendo contoche, P (T )(λ0) = 0, si trova subito (facendo attenzione ai domini sui quali valgono le identita ):∫

R

1λ− λ0

dP (T )(λ)

(T − λ0I) = ID(T ) , (T − λ0I)∫

R

1λ− λ0

dP (T )(λ) = I .

Si osservi che dalla prima identita si evince anche che il dominio di∫R

1λ−λ0

dP (T )(λ) eD(T−λ0I),cioe con tutto lo spazio H, per quanto detto sopra. Non e importante come abbiamo definito lafunzione λ 7→ 1

λ−λ0esattamente per λ = λ0, dato che P (T )(λ0) = 0. Per l’unicita dell’operatore

inverso deve allora essere: ∫R

1λ− λ0

dP (T )(λ) = Rλ0(T ) ,

dunque l’operatore a primo membro deve essere limitato. Supponiamo allora, per assurdo, chesia λ0 ∈ supp(P (T )), allora ogni aperto che contiene λ0 e quindi, in particolare, ogni intervalloIn := (λ0− 1/n, λ0 + 1/n), deve soddisfare P (T )(In) 6= 0. Sia allora ψn ∈ P (T )

In(H) \ 0 per ogni

n = 1, 2, . . .. Senza perdere generalita supponiamo anche che: ||ψn|| = 1. Con questa scelta edusando (vi) in (c) del teorema 9.1, si ottiene che:

||Rλ0(T )ψn||2 =∣∣∣∣∣∣∣∣∫

R

1λ− λ0

dP (T )(λ)ψn∣∣∣∣∣∣∣∣2 =

∫In

1|λ− λ0|2

dµψn(λ)

≥ infIn

1|λ− λ0|2

∫In

dµψn(λ) ≥ infIn

1|λ− λ0|2

= n2 → +∞ se n→ +∞.

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Pertanto abbiamo raggiunto l’assurdo che Rλ0(T ) non puo essere limitato. Quindi deve valereλ0 6∈ supp(P (T )).Dimostriamo ora che vale (i). Come visto nella dimostrazione appena conclusa, se P (T )(x) 6= 0,allora x ∈ σp(T ). Supponiamo ora che x ∈ σp(T ). Dalla definizione di trasformata di CayleyV di T , segue facilmente che ((x − i)/(x + i)) ∈ σp(V ). Possiamo allora applicare (i) in (b)delteorema 8.6 per l’operatore normale V (dato che e unitario) sostituito a T nell’enunciato di quelteorema. Concludendo che P (V )(x−ix+i) 6= 0. Per come abbiamo ricavato la PVM associata a Tda quella associata a V , segue immediatamente che P (T )(x) = P (V )(x−ix+i) 6= 0.Passiamo a dimostrare (ii). Per (a) in proposizione 8.3, x ∈ σc(T ) significa che (a) x ∈ σ(T ),ma (b) x 6∈ σp(T ). L’affermazione (a) equivale a x ∈ supp(P (T )) e quindi ogni aperto Ax cheinclude x deve verificare P (T )(Ax) 6= 0, la (b) equivale quindi a dire P (T )(x) = 0 (altrimenti,per (i) avremmo un assurdo).La prova di (iii) e immediata, se x ∈ supp(P (T )) ed e un punto isolato, deve essere P (T )(x) 6= 0,altrimenti x non potrebbe appartenere a supp(P (T )), applicando (i) segue la tesi.Per concludere dimostriamo (iv). Se x ∈ σc(T ), allora applicando (iv) per la classe di intervalliIn := (x − 1/n, x + 1/n), con n = 1, 2, . . ., deve risultare P (T )(In) 6= 0. Scegliamo pertantoψn ∈ P (T )

In(H), per ogni n e tale che ||ψn|| = 1. Avremo allora che:

||Tψn − xψn||2 =∫

R(λ− x)dP (T )(λ)ψnψ

∣∣∣∣ ∫R

(λ− x)dP (T )(λ)ψ

=∫R

(λ− x)dP (T )(λ)P (T )In

ψn

∣∣∣∣ ∫R

(λ− x)dP (T )(λ)ψn

Applicando (iii) in (c) in teorema 9.1, l’ultimo prodotto scalare si scrive∫RχIn(x)(λ− x)2dµψn(λ) ≤

∫In

supIn

(λ− x)2dµψn(λ) =

= n−2∫In

dµψn(λ) = n−2∫

Rdµψn(λ) = n−2||ψn||2 .

Abbiamo trovato che, per ogni n = 1, 2, . . ., esiste ψn 6= 0, con ||ψn|| = 1 e tale che:

||Tψn − xψn|| ≤ 1/n .

Questo implica immediatamente la tesi dato che deve anche essere 0 < ||Tψn − xψn|| per-che altrimenti sarebbe x ∈ σp(T ) cosa che abbiamo escluso, essendo x ∈ σc(T ) per ipotesi. 2

Dopo il teorema spettrale, possiamo dare una utile definizione per le applicazioni in meccanicaquantistica.

Definizione 9.2. Sia T operatore autoaggiunto sullo spazio di Hilbert H. Se f : R → C,l’operatore

f(T ) :=∫

Rf(x)dP (T )(x) , (9.39)

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con dominioD(f(T )) = ∆f :=

§ψ ∈ H

∣∣∣∣∫R|f(x)|2dµψ(x) < +∞

ªe detto funzione f dell’operatore T .

Osservazioni.(1) Il teorema spettrale consente una differente decomposizione dello spettro di un operatoreautoaggiunto T : D(T )→ H. Un decomposizione e quella in spettro discreto, σd(T ), e spettroessenziale, σess(T ) := σ(T ) \ σd(T ), dove:

σd(T ) :=λ ∈ σ(T )

∣∣∣dim (P (T )(λ−ε,λ+ε)(H)

)e al piu numerabile per qualche ε > 0

.

Si dimostra facilmente che λ ∈ σd(T ) se e solo se λ e un punto isolato di σ(T ). Di conseguenza,per il teorema 9.2, σd(T ) ⊂ σp(T ). Tuttavia, in generale, non e vera l’inclusione opposta,perche possono esserci punti di σp(T ) non isolati (si pensi al caso in cui 0 e un autovalore edanche punto di accumulazione dello spettro di alcuni operatori compatti autoaggiunti).(2) Una terza decomposizione dello spettro di un operatore autoaggiunto T : D(T ) → H, siottiene decomponendo lo spazio di Hilbert nel sottospazio chiuso Hp generato dagli autovettorie nel suo ortogonale: H = Hp ⊕ H⊥p . Si vede facilmente che Hp,H

⊥p ⊂ D(T ) e tali spazi sono

invarianti sotto l’azione di T . Con ovvie notazioni:

T = T Hp ⊕T H⊥p .

Vale ovviamente σp(T ) := σ(T Hp), mentre si definisce lo spettro puramente continuoσpc(T ) := σ(T H⊥p ). Risulta σ(T ) = σp(T ) ∪ σpc(T ). Si noti che questa decomposizione none necessariamente in due insieme disgiunti e nel caso generale σpc(T ) 6= σc(T ).(3) Una quarta decomposizione dello spettro, per un operatore, T : D(T ) → H sullo spazio diHilbert H (ma la definizione si puo dare per un generico spazio normato), e quella in spettropuntuale approssimato, σpa(T ) e spettro residuo puro σrp(T ) := σ(T ) \ σps(T ), dove:

σpa(T ) :=λ ∈ σ(T ) | (T − λI)−1 : Ran(T − λI)→ D(T ) non esiste oppure non e limitato.

Osservando che la non limitatezza di (T − λI)−1 e equivalente al fatto che esiste δ > 0 con||(T − λI)ψ|| ≥ δ||ψ|| per ogni ψ ∈ D(T ), si dimostra immediatamente il seguente risultato chegiustifica la terminologia. λ ∈ σpa(T ) se e solo se, per ogni ε > 0, esiste ψε ∈ D(T ) con ||ψ|| = 1tale che:

||Tψ − λψ|| ≤ ε .

Dato che, per gli operatori autoaggiunti, la proprieta di sopra vale per ogni λ ∈ σc(T ) per (b) delteorema 8.6, ma anche per λ ∈ σp(T ) banalmente, e tenendo conto che σ(T ) = σp(T )∪σc(T ) nelcaso in esame, concludiamo che σpa(T ) = σ(T ) e σrp(T ) = ∅ per tutti gli operatori autoaggiunti.(4) Dato che supp(P (T )) = σ(T ), la definizione (9.39) puo equivalentemente essere scritta:

f(T ) :=∫σ(T )

f(x)dP (T )(x) . (9.40)

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Nello stesso modo, dato che supp(µφ,ψ) ⊂ supp(P (T )), possiamo equivalentemente scrivere peril dominio di f(T ):

D(f(T )) =¨ψ ∈ H

∣∣∣∣∣∫σ(T )|f(x)|2dµψ(x) < +∞

«.

(5) Da (iv) in (c) del teorema 9.1 risulta che, per ogni operatore autoaggiunto T , il dominionaturale di un polinomio p(T ) ed il dominio dello stesso operatore pensato come funzione di Tcoincidono. Dalla definizione di dominio naturale si ha anche che:

D(Tm) ⊂ D(Tn) per ogni operatore autoaggiunto T e per 0 ≤ n ≤ m, con n,m ∈ N. (9.41)

Le funzioni di un operatore godono allora delle notevoli proprieta che seguono immediatamentedal teorema 9.1. La seguente proposizione specifica ulteriori proprieta in relazione allo lo spettrodell’operatore autoaggiunto T . Ricordiamo che f : X→ Y, con X,Y spazi normati, e detta esserelocalmente lipschitziana se, per ogni x ∈ X, esistono un intorno aperto Ix e una costanteLIx ≥ 0 (che diremo di Lipschitz) tali che ||f(z)− f(z′)||Y ≤ LIx ||z − z′||X per ogni z, z′ ∈ X.

Proposizione 9.1. Sia T operatore autoaggiunto sullo spazio di Hilbert H e f : R → C unafunzione misurabile. L’operatore f(T ) gode delle seguenti proprieta.(a) σ(f(T )) ⊂ f(σ(T )) dove la barra indica la chiusura topologica. Vale σ(f(T )) = f(σ(T )) sef e derivabile su R oppure, piu debolmente, se e localmente lipschitziana.(b) Vale f(σp(T )) ⊂ σp(f(T )).

Prova. (a) Sia x0 6∈ f(σ(T )). Allora la funzione σ(T ) 3 x 7→ 1f(x)−x0

e limitata. Da-

to che supp(P (T )) = σ(T ) per il teorema 9.2, dobbiamo allora concludere che l’operatore∫R

1f(x)−x0

dP (T )(x) sia limitato e con dominio dato da tutto H. Vale inoltre, applicando (iii)in (c) del teorema 9.1 e tenendo conto dei domini degli operatori:∫

R

1f(x)− x0

dP (T )(x)∫

R(f(x)− x0)dP (T )(x) = ID(f(T )−x0I) ,

e anche che: ∫R

(f(x)− x0)dP (T )(x)∫

R

1f(x)− x0

dP (T )(x) = I .

Dalla seconda si evince che Ran(f(T )−x0I) = H. Tenendo conto della prima identita e del fattoche l’operatore

∫R

1f(x)−x0

dP (T )(x) e limitato, abbiamo ottenuto che quest’ultimo operatore e ilrisolvente di f(T ) associato a x0; di conseguenza x0 ∈ ρ(f(T )), cioe x0 6∈ σ(f(T )). Abbiamoprovato che, se x0 ∈ σ(f(T )), allora x0 ∈ f(σ(T )). In altre parole: σ(f(T )) ⊂ f(σ(T )).Mostriamo ora che l’inclusione e un identita se f e derivabile o localmente lipschitziana sull’assereale. In realta proveremo che f(σ(T )) ⊂ σ(f(T )). Questo concludera la dimostrazione, in

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quanto essendo ogni spettro chiuso, si ha di conseguenza f(σ(T )) ⊂ σ(f(T )).Supponiamo dunque che x0 = f(λ0) ∈ f(σ(T )), dove λ0 ∈ σ(T ) puo non essere unico, e proviamoche x0 ∈ σ(f(T )). Nelle ipotesi su x0, se qualche λ0 ∈ σp(T ), la dimostrazione si conclude perl’asserto (b) di questa proposizione (la cui dimostrazione non dipende da quella che stiamofacendo), valendo x0 = f(λ0) ∈ σp(f(T )) ⊂ σ(f(T )). Se per ogni λ0 che individua il fissato x0

tramite f vale λ0 6∈ σp(T ), allora per ciascuno di tali λ0 deve essere P (T )(λ0) = 0 per (ii) in(b) del teorema 9.2. Assumiamo di essere in questo caso e, per assurdo, che x0 6∈ σ(f(T )). Diconseguenza x0 ∈ ρ(f(T )) e questo significa che l’operatore chiuso f(T ) − x0I e una biezioneda D(f(T )) a tutto H, per (a) del teorema 8.1. Consideriamo infine l’identita , che sussiste suD(f(T )) in virtu di (iii) in (c) del teorema 9.1:∫

R

1f(λ)− x0

dP (T )(λ)(f(T )− x0I) =∫

R

f(λ)− x0

f(λ)− x0dP (T )(λ)D(f(T ))= ID(f(T )) .

Si osservi che la definizione della funzione 1/(f(λ)−x0) in (ogni) λ0 e del tutto irrilevante dato cheP (T )(λ0) = 0. L’identita operatoriale trovata dice anche che il dominio di

∫R

1f(λ)−x0

dP (T )(λ)deve essere tutto H, dato che Ran(f(T )− x0I) = H nelle nostre ipotesi:

D

∫R

1f(λ)− x0

dP (T )(λ)

= H . (9.42)

Dimostriamo che (9.42) e falsa se f e derivabile su R, arrivando ad un assurdo. Fissiamo unodei valori λ0. Dato che λ0 ∈ σ(T ), l’operatore

∫R

1λ−λ0

dP (T )(λ) non puo essere definito su tuttoH, altrimenti, ragionando come sopra, T − λ0I sarebbe una biezione da D(T ) a tutto H edavremmo un assurdo. Dato che, per ogni intervallo aperto limitato I che include λ0, la funzione1/(λ− λ0) e limitata su R \ I, deve accadere che, per ogni detto I, esista ψI ∈ P (T )

I (H) tale cheψI 6∈ D

∫R

1λ−λ0

dP (T )(λ).

(Altrimenti potremmo decomporre ogni ψ ∈ H come ψ = P(T )I ψ + P

(T )R\Iψ ed avremmo, spez-

zando l’integrale nei due contributi su I e su R \ I, che∫R

1|λ−λ0|2dµψ(λ) < +∞ e quindi

D∫

R1

λ−λ0dP (T )(λ)

= H.)

Se L := dfdλ

∣∣∣λ0

, vale∣∣∣∣ dfdλ ∣∣∣λ0

∣∣∣∣2 < |L|2 + ε e quindi, in un intervallo aperto I che include λ0 e per

qualche ε > 0:|f(λ)− f(λ0)|2 ≤ (|L|2 + ε)|λ− λ0|2 .

Si arriva allo stesso risultato se f e localmente lipschitziana e L e una costante di Lipschitz in I.Pertanto:∫

R

1|f(λ)− f(λ0)|2

dµψI (λ) ≥∫I

1|f(λ)− f(λ0)|2

dµψI (λ) ≥ 1|L|2 + ε

∫I

1|λ− λ0|2

dµψI (λ) = +∞ .

Abbiamo provato che ψI 6∈ D(∫

R1

f(λ)−x0dP (T )(λ)

), in contraddizione con (9.42). Questo assur-

do conclude la dimostrazione.

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(b) Se λ0 ∈ σp(T ), allora P (T )(λ0) 6= 0 per (i) di (b) del teorema 9.2. Valendo P (T )(λ0) =∫R χλ0(x)dP (T )(x), applicando (iii) in (c) del teorema 9.1, prestando attenzione ai domini di

validita delle identita , si trova che:

f(T )P (T )(x0) =∫

Rf(x)dP (T )(x)

∫Rχx0(x)dP (T )(x) =

∫R

f · χx0

(x)dP (T )(x)

=∫

Rf(x0)χx0(x)dP (T )(x) = f(λ0)

∫Rχx0(x)dP (T )(x) = f(x0)P (T )(x0)

che e la tesi. 2

Esercizi 9.1.(1) Si consideri una PVM P : B(X) 3 E 7→ P (E) ∈ B(H) e un operatore unitario (cioe )isometrico suriettivo V : H→ H′, dove H e un secondo spazio di Hilbert complesso. Si dimostriche:

P ′ : B(X) 3 E 7→ P ′(E) := V P (E)V −1 ∈ B(H′)

e ancora una PVM.(2) In riferimento all’esercizio (1), si provino i seguenti fatti.

(i) Se f : X → C e misurabile allora ψ ∈ ∆f se e solo se V ψ ∈ ∆′f , dove ∆′f e il dominiodell’integrale di f secondo P ′.

(ii) V∫X f(x)dP (x)V −1 =

∫X f(x)dP (x).

(3) Dimostrare che (iv) in (b) del teorema 9.2 puo essere rinforzata in: Sia T : D(T ) → Hoperatore autoaggiunto nello spazio di Hilbert H. λ ∈ σc(T ) se e solo se, per ogni ε > 0, esisteφε ∈ D(T ) con ||φε|| = 1 e

0 < ||Tφε − λφε|| ≤ ε .

Suggerimento. Se vale quanto detto, λ non puo appartenere a σp(T ), quindi esiste sicura-mente (T−λI)−1 : Ran(T−λI)→ D(T ) e quindi λ ∈ σ(T ) = σp(T )∪σc(T ). Puo essere limitato(T − λI)−1?(4) Si consideri uno spazio L2(X, µ) con µ positiva e finita sulla sigma algebra di Borel di Xspazio topologico. Se f : X → R e una qualunque funzione reale misurabile localmente L2

(cioe f · g ∈ L2(X, µ) per ogni g ∈ Cc(X)) si consideri l’operatore su L2(X, µ)

Tf : h 7→ f · h

dove D(Tf ) := h ∈ L2(X, µ) | f · h ∈ L2(X, µ). Dopo aver provato che Tf e autoaggiunto, sidimostri che

σ(Tf ) = ess ran(f) .

Se f : X → R, ess ran(f) e il rango essenziale della funzione misurabile f definito come:C 3 v ∈ ran ess(f) se e solo se µ

(f−1(v − ε, v + ε)

)> 0 per ogni ε > 0.

Suggerimento. Il dominio di Tf e denso perche f e localmente L2, il fatto che Tf sia autoag-giunto si prova calcolando direttamente T ∗f e notando che coincide con Tf . La seconda parte

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si dimostra osservando che λ ∈ ρ(Tf ) se solo se esiste il risolvente Rλ(Tf ) su tutto L2(X, µ) ede limitato, cioe , esiste M > 0 tale che: ||Rλ(Tf )h|| ≤M per ogni h ∈ L2(X, µ) con ||h|| = 1. Inaltre parole λ ∈ ρ(Tf ) se e solo se:∫

X

|h(x)|2

|f(x)− λ|2dµ(x) < M per ogni h ∈ L2(X, µ) con ||h|| = 1 .

Se λ 6∈ ess ran(f), si vede immediatamente dalla definzione di rango essenziale e usando µ(X) <+∞, che la condizione scritta sopra e soddisfatta, per cui: λ 6∈ ess ran(f) implica λ 6∈ σ(Tf ). Seλ ∈ ess ran(f), applicando ancora la definizione di rango essenziale, si costruisce una successionedi hn, con ||hn|| = 1 tale che:

∫X|h(x)|2|f(x)−λ|2dµ(x) > 1/n2 per ogni n = 1, 2, . . .. Quindi λ ∈

ess ran(f) implica λ ∈ σ(Tf ).

9.1.3 Un esempio a spettro puntuale: l’hamiltoniano dell’oscillatore armoni-co

Consideriamo l’operatore, nello spazio di Hilbert complesso L2(R, dx) (dove dx indica la misuradi Lebesgue su R),

H0 := − 12m

P S(R)

2+mω2

2

XS(R)

2,

dove X e P sono l’operatore posizione ed impulso per la particella sulla retta reale introdottinella sezione 5.3.2. In altre parole:

H0 := − ~2

2md2

dx2+mω2

2x2 ,

dove il termine x2 si deve intendere come l’operatore moltiplicativo per la funzione R 3 x 7→ x2

e ~, ω, ω sono costanti strettamente positive; infine D(H0) := S(R), dove S(R) e lo spazio diSchwartz su R delle funzioni complesse infinitamente differenziabili che si annullano all’infinito,con tutte le derivate, piu velocemente di ogni potenza negativa di x (vedi sezione 3.6).Le costanti ~, ω, ω non hanno alcun interesse matematico e possono essere poste tutte ugualiad 1 nel seguito, tuttavia hanno un significato fisico importante. L’operatore H0 si dice ha-miltoniano dell’oscillatore armonico unidimensionale e pulsazione caratteristica ω, peruna particella di di massa m; h := 2π~ e la costante di Planck. Dal punto di vista fisico, H0

rappresenta l’osservabile energia per il sistema considerato, tuttavia, in questa sezione, non cioccuperemo delle motivazioni fisiche per introdurre tale operatore che studieremo esclusivamen-te da un punto di vista matematico, rimandando ogni commento di carattere fisico ai capitoli11 e 12.H0 e evidentemente simmetrico dato che e hermitiano e S(R) e denso in L2(R, dx). H0 ammetteestensioni autoaggiunte per il criterio di von Neumann (teorema 5.7), dato che commuta conl’operatore antinunitario dato dalla coniugazione complessa delle funzioni di L2(R, dx). Mostre-remo che H0 e essenzialmente autoaggiunto, daremo la sua espressione esplicita in termini dellosviluppo spettrale della sua unica estensione autoaggiunta H0 e, contestualmente, preciseremo

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la forma del suo spettro.Introduciamo tre operatori, detti rispettivamente operatore di creazione, operatore didistruzione e operatore numero di occupazione:

A? :=Émω

2~

x+

~mω

d

dx

, A :=

Émω

2~

x− ~

d

dx

, N := A?A .

Anche in questo caso assumiamo che gli operatori siano densamente definiti con dominio D(A) =D(A?) = D(N) := S(R). Deve essere chiaro che A? ⊂ A∗, e questo giustifica la notazione, inoltreN e simmetrico. Si osservi anche che S(R) e uno spazio denso e invariante per H0, A e A?. UsandoA e A? costruiremo un insieme di autovettori per N e H0 che formano una base hilbertiana diL2(R, dx). Dato che gli autovettori sono ovviamente vettori analitici, questo fatto prova, in baseal criterio di Nelson (teorema 5.8), che H0 e N sono essenzialmente autoaggiunti sul loro dominioS(R).Cominciamo con il notare che, in base alle definizioni date per A e A?, valgono le relazioni dicommutazione:

[A,A?] = I , (9.43)

dove i due membri sono valutati sugli elementi dello spazio denso invariante S(R). La verificadelle relazioni di sopra e immediata dalle definizioni date. Ulteriormente, dalla definizione di Ae A?, con qualche calcolo risulta che:

H0 = ~ωA?A+

12I

=N +

12I

. (9.44)

Consideriamo l’equazione in S(R):Aψ0 = 0 , (9.45)

Una soluzione si ottiene facilmente essere:

ψ0(x) =1

π1/4√ke− x2

(2k)2 , k :=

Ê~mω

,

dove abbiamo scelto il fattore davanti alla funzione in modo tale che ||ψ0|| = 1. Notiamo chequesta funzione altro non e che la prima funzione di Hermite introdotta in (4) di Esempi 3.2,quando si passa alla variabile x′ = x/k e si tiene conto del fattore 1/

√k per non alterare la

normalizzazione. Se ora definiamo i nuovi vettori, per n = 1, 2, . . .:

ψn :=(A?)n√n!

ψ0 , (9.46)

si prova facilmente per induzione, usando solamente (9.45), (9.43) che, per n,m ∈ N:

Aψn =√nψn−1 , A?ψn =

√n+ 1ψn+1 , (ψn|ψm) = δnm . (9.47)

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Infatti, la seconda identita segue immediatamente dalla definizione dei vettori ψn, la prima siprova come segue:

Aψn =1√n!A(A?)nψ0 =

1√n!

[A, (A?)n]ψ0 +1√n!

(A?)nAψ0 =1√n!

[A, (A?)n]ψ0 + 0 ;

d’altra parte, da (9.43) segue subito che: [A, (A?)n] = n(A?)n−1, che inserita sopra produce laprima identita in (9.47). La terza identita si dimostra come segue:

(ψm|ψn) =1√n!m

(ψm−1|A(A?)nψ0) =1√n!m

(ψm−1|[A, (A?)n]ψ0) =n√n!m

(ψm−1|(A?)n−1ψ0) =

=Én

m!(ψm−1|ψn−1) .

Iterando la procedura, si ottiene il valore 0 se m 6= n, oppureÈn/n = 1 se m = n.

La seconda identita in (9.47) (passando alla variabile x′ = x/k che non altera la normalizzazionedelle funzioni a causa dell’ulteriore fattore 1/

√k) altro non e che la relazione di ricorrenza tra le

funzioni di Hermite citata in (4) di Esempi 3.2. Concludiamo che le funzioni ψn sono (a parte unfattore ed un cambio di variabile) le funzioni di Hermite e quindi formano una base hilbertiana diL2(R, dx). Dall’ultima relazione risulta che ψnn∈N e , come deve essere, un insieme di vettoriortonormali di L2(R, dx), mentre usando le prime due si ottiene subito che:

Nψn = nψn , (9.48)

e quindi, da (9.44), abbiamo che i vettori ψn formano una base hilbertiana di autovettori di H0,dato che vale:

H0ψn = ~ωn+

12

ψn . (9.49)

Per inciso questo mostra che H0 (ma anche N) e un operatore illimitato, dato che l’insieme||H0ψ|| | ψ ∈ D(H0) , ||ψ|| = 1 include tutti i numeri ~ω(n + 1/2) con n ∈ N. Concludiamoanche che, per il criterio di Nelson (teorema 5.8), gli operatori simmetrici N e H0 sono en-trambi essenzialmente autoaggiunti, dato che nel loro dominio c’e un insieme di vettori analitici,ψnn∈N, le cui combinazioni lineari finite sono dense in L2(R, dx).Per ottenere la decomposizione spettrale di H0 consideriamo spazio topologico dato dalla basehilbertiana N = ψnn∈N dotata dalla topologia dell’insieme delle parti, e costruiamo la misuraspettrale:

P : B(N) 3 E 7→ PE =∑ψn∈E

ψn(ψn| )

comein (1) in esempi 9.1. Costruiamo un’analoga misura spettrale su R che abbia supportosull’insieme degli autovalori associati agli autovettori ψn di H0:

P ′F := s-∑

~ω(n+1/2)∈Fψn(ψn| ) per F ∈ B(R).

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Quindi consideriamo la funzione misurabile φ : N 3 ψn 7→ ~ωn+ 1

2

. Applicando (c) del

teorema 9.1, abbiamo che, per ogni funzione f : R→ C misurabile:∫Rf(x)dP ′(x) =

∫Nf(φ(z))dP (z) = s-

∑n∈N

f

~ωn+

12

ψn(ψn| )

dove l’ultima identita non e altro che la (9.27). Specializzando la funzione f a R 3 x 7→ x,abbiamo l’espressione esplicita dell’operatore autoaggiunto (per il teorema 9.1):

H ′0 :=∫

RxdP ′(x) = s-

∑n∈N

~ωn+

12

ψn(ψn| ) . (9.50)

Mostriamo ora che H ′0 = H0. Sia < N > lo spazio denso delle combinazioni lineari finite deivettori ψn. H0 <N> e ancora essenzialmente autoaggiunto per il criterio di Nelson. Questosignifica che H0 = H0<N>, cioeH0 e H0<N> hanno la stessa (unica) estensione autoaggiunta(pari alla loro chiusura). D’altra parte H ′0 e sicuramente un’estensione autoaggiunta di H0<N>,dato che, come si prova immediatamente da (9.50),

H ′0ψn = ω

n+

12

ψn = H0ψn

per ogni n, e quindi H ′0 <N>= H0 <N>. Concludiamo che l’operatore autoaggiunto H ′0 deveessere l’unica estensione autoaggiunta di H0<N> e quindi anche di H0. Concludiamo anche chela misura spettrale, associata a H0 dal teorema 9.2 di decomposizione spettrale e :

P ′F := s-∑

~ω(n+1/2)∈Fψn(ψn| ) per F ∈ B(R).

ma anche che la decomposizione spettrale di H0 e :

H0 = s-∑n∈N

~ωn+

12

ψn(ψn| )

Infine, usando (b) nel teorema 9.2, dalla misura spettrale trovata per H0 si evince facilmenteche:

σ(H0) = σp(H0) =§

~ωn+

12

∣∣∣∣ n ∈ Nª.

Si deve notare che lo spettro di H0 e completamente puntuale e gli autospazi sono tutti finito-dimensionali, anche se l’operatore in questione non e compatto, dato che e illimitato. Tuttaviale prime due potenze intere inverse di H0 sono compatte, essendo rispettivamente un operatoredi Hilbert-Schmidt e uno di classe traccia (lo si provi per esercizio).I numeri in σp(H0) sono, dal punto di vista fisico, gli unici valori dell’energia meccanica totaleche un oscillatore quantistico, con dati valori di ω ed m, puo assumere, al contrario del casoclassico in cui i valori dell’energia sono continui.

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9.1.4 Un esempio a spettro continuo: gli operatori posizione ed impulso.

Torniamo sugli operatori posizione Xi (5.9)-(5.10) ed impulso Pi (5.14)-(5.15), per i = 1, 2, 3,sullo spazio di Hilbert H = L2(R3, dx), dove dx e la misura di Lebesgue su R3. Nel seguito x =(x1, x2, x3). Abbiamo visto che gli operatori suddetti sono autoaggiunti. Ora ne determineremolo sviluppo spettrale e lo spettro.Cominciamo con l’operatore posizione X1. Quanto diremo per esso vale anche per X2 e X3, datoche la loro definizione e completamente simmetrica scambiando i nomi degli operatori. Una PVMsu R a valori in B(H) = B(L2(R3, dx)) si ottiene definendo:

(P (E)ψ)(x1, x2, x3) = χE(x1)ψ(x1, x2, x3) per ogni E ∈ B(R) e ogni ψ ∈ L2(R3, dx). (9.51)

In questo modo si vede facilmente che, se ψ ∈ L2(R3, dx), la misura µψ su B(R) e definita come:

µψ(E) =∫E×R2

|ψ(x1, x2, x3)|2dx per ogni E ∈ B(R),

conseguentemente, se g : R→ C e misurabile:∫Rg(y)dµψ(y) =

∫E×R2

f(x1)ψ(x1, x2, x3)dx . (9.52)

Procedendo similmente a quanto fatto in (2) in esempi 9.1, si verifica facilmente che, se f : R→ Ce misurabile e ψ ∈ ∆f (cioe

∫R |f(x1)ψ(x1, x2, x3)|2dx < +∞), allora∫

Rf(y)dP (y)ψ

(x1, x2, x3) = f(x1)ψ(x1, x2, x3) quasi ovunque per (x1, x2, x3) ∈ R3.

(9.53)Possiamo allora definire l’operatore autoaggiunto X ′1 come l’operatore associato, nello sviluppo(9.53), alla funzione f := f1 con f1 : R 3 y 7→ y. Tale operatore e autoaggiunto per (ii) in (c)del teorema 9.1, dato che questa funzione e reale. Inoltre, per confronto con la (5.10) abbiamoimmediatamente che ∆f1 = D(X1) e, da (9.53) troviamo subito che

X ′1ψ = X1ψ per ogni ψ ∈ D(X1).

Concludiamo, dall’unicita della misura spettrale sancita nel teorema di decomposizione spettrale(9.2), che (9.51) e la misura spettrale associata all’operatore posizione X1. Lo sviluppo spettraledi Xi, per i = 1, 2, 3, deve dunque essere:∫

RydP (Xi)(y)ψ

(x1, x2, x3) = (Xiψ)(x1, x2, x3) quasi ovunque per (x1, x2, x3) ∈ R3, (9.54)

dove:

(P (Xi)(E)ψ)(x1, x2, x3) = χE(xi)ψ(x1, x2, x3) per ogni E ∈ B(R) e ogni ψ ∈ L2(R3, dx).(9.55)

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Questa misura spettrale consente di individuare lo spettro di Xi, per i = 1, 2, 3. Applicando (ii)in (b) del teorema 9.1, si trova immediatamente che

σ(Xi) = σc(Xi) = R . (9.56)

Passiamo agli operatori impulso. La discussione e abbastanza diretta in virtu della proposizione5.6, tenendo conto del fatto che la trasformata di Fourier-Plancherel e una trasformazione uni-taria. Prima di tutto, dato che le trasformazioni unitarie, conservano gli spettri degli operatori(vedi (7) in esercizi 8.1), abbiamo immediatamente che (indicando gli operatori posizione conKi come nella proposizione 5.6):

σ(Pi) = σ(~F−1KiF) = ~R = R ,

cioe :σ(Pi) = σc(Pi) = R . (9.57)

La misura spettrale di Pi deve dunque avere supporto su tutto R. Il lettore puo facilmentedimostrare che, in base alla proposizione 5.6, e tenendo conto degli esercizi 9.1, la PVM associataall’operatore impulso Pi e semplicemente definita come

P (Pi)(E) = F−1P (Ki)F per ogni E ∈ B(R). (9.58)

dove P (Ki) e la misura spettrale dell’operatore posizione, ora indicato con Ki.

9.1.5 Teorema di rappresentazione spettrale per operatori autoaggiunti nonlimitati.

Per concludere citiamo, dando solo traccia di dimostrazione, il seguente teorema di rappresenta-zione spettrale che generalizza il teorema 8.7 al caso di un operatore autoaggiunto non limitatato.I dettagli della dimostrazione sono lasciati per esercizio.

Teorema 9.3 (Teorema di rappresentazione spettrale per operatori autoaggiunti nonlimitati).Siano H spazio di Hilbert e T : D(T )→ H operatore autoaggiunto. Sia P (T ) la misura spettraleassociata a T secondo il teorema 9.2.(a) E possibile decomporre H come H = ⊕α∈AHα (con A al piu numerabile se H e separabile),dove i sottospazi Hα sono chiusi ed ortogonali a due a due, e valgono le proprieta seguenti:

(i) per ogni α ∈ A, vale THα ⊂ Hα;(ii) per ogni α ∈ A esiste una misura di Borel positiva finita µα, su σ(T ) ⊂ R2 ed un

operatore isometrico suriettivo Uα : Hα → L2(σ(T ), µα), tali che, se f : σ(T )→ C,

∫σ(T )

f(x)dP (T )(x)Hα U

−1α = f · ,

in particolare vale:UαT Hα U

−1α = x· ,

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dove f · e l’operatore moltiplicativo per f su L2(σ(T ), µα): per ogni g ∈ L2(σ(T ), µα),

(f · g)(x) = f(x)g(x) quasi ovunque su σ(T ) .

(b) Vale:σ(T ) = suppµαα∈A ,

dove suppµαα∈A e il complemento dell’insieme dei numeri λ ∈ R per cui esiste un apertoAλ ⊂ R tale che Aλ 3 λ e µα(Aλ) = 0 per ogni α ∈ A.(c) Se H e separabile, esistono uno spazio con misura (MT , µT ), con µT (MT ) < +∞, unafunzione FT : MT → R, un operatore unitario UT : H→ L2(MT , µT ) tale che:

UTTU−1T f

(m) = FT (m)f(m) , per ogni f ∈ H. (9.59)

Prova. La dimostrazione si ottiene come segue, guardando la prova del teorema teorema 8.7 perT autoaggiunto ed in riferimento ad ogni spazio Hψ. Essenzialmente, a parte semplici riadat-tamenti, e sufficiente rimpiazzare sistematicamente lo spazio M(σ(T )), delle funzioni misurabililimitate su σ(T ), con lo spazio L2(σ(T ), µψ). 2

9.2 Gruppi unitari ad un parametro fortemente continui.

Il fine di questa sezione e la dimostrazione del teorema di Stone, che e uno dei teoremi piuimportanti per le applicazioni in meccanica quantistica (e non solo). Per enunciarlo abbiamobisogno di qualche definizione e qualche risultato preliminare sui gruppi ad un parametro dioperatori unitari ed in particolare, l’importante teorema di von Neumann. Discuteremo anchequalche utile proprieta dei gruppi unitari ad un paramentro in relazione alla continuta .

9.2.1 Gruppi unitari ad un parametro fortemente continui, teorema di vonNeumann.

Definizione 9.3. Sia H e spazio di Hilbert. Una classe Utt∈R ⊂ B(H) e detta gruppo adun parametro se vale

U0 = I e UtUs = Ut+s per ogni coppia t, s ∈ R (9.60)

Un gruppo ad un parametro costituito da operatori unitari e detto gruppo unitario ad unparametro.Un gruppo ad un parametro Utt∈R ⊂ B(H) e detto debolmente continuo in t0 ∈ R oppurefortemente continuo in t0 ∈ R se l’applicazione t 7→ Ut e continua in t0, rispettivamente,nella topologia operatoriale debole ovvero in quella operatoriale forte dotando R della topologiastandard.

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Un gruppo ad un parametro Utt∈R ⊂ B(H) e detto debolmente continuo oppure fortemen-te continuo se e rispettivamente tale in ogni punto di R.

Si osservi che dalla condizione (9.60), tenendo conto che gli operatori Ut sono unitari, segueimmediatamente che

(Ut)∗ = U−1t = U−t , per ogni t ∈ R . (9.61)

La prova e ovvia: da U−1t Ut = I, applicando U−t al lato destro dei due membri ed usando la

seconda di (9.60), si ha U−1t Ut−t = U−t ossia, dalla prima identita in (9.60), U−1

t = U−t. InfineU−1t = (Ut)∗ dato che Ut e unitario.

I gruppi unitari ad un parametro godono di diverse notevoli proprieta.

Proposizione 9.2. Sia (H, (·|·)) uno spazio di Hilbert complesso e Utt∈R un gruppo unitarioad un parametro. I seguenti fatti sono equivalenti.(a) (ψ|Utψ)→ (ψ|ψ) per t→ 0 e per ogni ψ ∈ H.(b) Utt∈R e debolmente continuo in t = 0.(c) Utt∈R e debolmente continuo.(d) Utt∈R e fortemente continuo in t = 0.(e) Utt∈R e fortemente continuo.

Prova. Prima di tutto rietichettiamo come segue le proposizioni precedenti.(1) Utt∈R e debolmente continuo in t = 0. (2) (ψ|Utψ)→ (ψ|ψ) per t→ 0 e per ogni ψ ∈ H.(3) Utt∈R e fortemente continuo in t = 0. (4) Utt∈R e fortemente continuo. (5) Utt∈R edebolmente continuo. Infine mostriamo che (1)⇒ (2)⇒ (3)⇒ (4)⇒ (5)⇒ (1).

(1)⇒ (2) e (2)⇒ (3). La continuita per t = 0 nella topologia debole implica in particolareche, se t → 0, allora (ψ|Utψ) → (ψ|U0ψ) = (ψ|ψ) ed anche, prendendo il complesso coniugato,(Utψ|ψ)→ (U0ψ|ψ) = (ψ|ψ). Viceversa, la continuita forte in t = 0 equivale a dire che, per ogniψ ∈ H, se t→ 0,

||Utψ − U0ψ|| → 0 .

Ricordando che U0 = I, prendendo il quadrato ed esprimento la norma in termine del prodottoscalare, tale identita equivale a

(Utψ|Utψ)− (ψ|Utψ)− (Utψ|ψ) + (ψ|ψ)→ 0 .

La condizione di unitarieta per Ut implica che (Utψ|Utψ) = (ψ,ψ), da cui, l’identita di sopra sipuo ancora riscrivere come

(ψ|ψ)− (ψ|Utψ)− (Utψ|ψ) + (ψ,ψ)→ 0 , se t→ 0 .

Come precisato all’inizio della dimostrazione, questa identita e banalmente verificata nelle nostreipotesi.

(3)⇒ (4). Se ψ ∈ H, vale

Utψ − Ut0ψ = Ut(ψ − U−1t Ut0ψ) = Ut(ψ − Ut0−tψ) ,

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dove abbiamo sfruttato l’identita (9.61). In definitiva, usando il fatto che Ut e unitario, per ogniψ ∈ H troviamo:

||Usψ − Ut0ψ|| = ||Us(ψ − Ut0−sψ)|| = ||ψ − Ut0−sψ||

Nelle ipotesi di forte continuta in t = 0, tenendo conto che t0 − s → 0 per s → t0 si ha che||Usψ − Ut0ψ|| → 0. Quindi la continuita forte per t = 0 implica la continuita forte per ognit0 ∈ R.

(4) ⇒ (5). E ovvia dal fatto che la convergenza nella topologia forte implica quella nellatopologia debole.

(5)⇒ (1). E banalmente vera per definizione. 2

Un’altra notevole proprieta dei gruppi unitari ad un parametro e la seguente.

Proposizione 9.3. Sia (H, (·|·)) uno spazio di Hilbert complesso e Utt∈R un gruppo unitarioad un parametro su di esso. Sia H ⊂ H un sottoinsieme tale che:(a) lo spazio 〈H〉 finitamente generato da H e denso in H,(b) Utt∈R soddisfa (ψ|Utψ)→ (ψ|ψ) per t→ 0 e per ogni ψ ∈ H,allora Utt∈R e un gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo.

Prova. Usando la stessa dimostrazione fatta per la proposizione 9.2, si ha subito che (φ0|Utφ0)→(φ0|φ0) per t → 0 con φ0 ∈ H, implica che ||Utφ0 − φ0|| → 0 per t → 0. Se piu in generaleφ ∈ 〈H〉 allora φ =

∑i∈I ciφ0i dove I e finito e φ0i ∈ H. Di conseguenza, se t→ 0,

||Utφ− φ|| =∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣Ut

(∑i

ciφ0i

)−∑i

ciφ0i

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ =

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∑i

ci(Utφ0i − φ0i)

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ ≤∑

i

|ci|||Utφ0i − φ0i|| → 0 .

Per la proposizione 9.2, per dimostrare la tesi e allora sufficiente estendere il risultato a tutto H.Dobbiamo cioe provare che ||Utφ− φ|| → 0 per t→ 0 per ogni φ ∈ 〈H〉 implica ||Utψ − ψ|| → 0se t→ 0 per ogni ψ ∈ H. Dato che 〈H〉 e denso, per ogni ψ ∈ H fissato esistera una successioneψnn∈N ⊂ 〈H〉 con ψn → φ se n→ +∞. Se tmm∈N e una successione di reali che tende a 0,vale allora, dalla disuguaglianza triangolare e per n ∈ N fissato:

||Utmψ − ψ|| ≤ ||Utmψ − Utmφn||+ ||Utmφn − φn||+ ||φn − ψ|| .

Ossia, tenendo conto che gli Utm sono unitari e che la norma e non negativa:

0 ≤ ||Utmψ − ψ|| ≤ ||Utmφn − φn||+ 2||φn − ψ|| . (9.62)

Per n fisso, il limite della successione di elementi am := ||Utmφn − φn|| e nullo per ipotesi, percui

lim supm

||Utmφn − φn|| = lim infm||Utmφn − φn|| = lim

m→+∞||Utmφn − φn|| = 0 .

Di conseguenza, dalla disuguaglianza (9.62) abbiamo che, per ogni n ∈ N

0 ≤ lim supm

||Utmψ − ψ|| ≤ 2||φn − ψ|| , 0 ≤ lim infm||Utmψ − ψ|| ≤ 2||φn − ψ|| .

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D’altra parte, prendendo n sufficientemente grande, possiamo rendere piccolo a piacere ||φn−ψ||.Concludiamo che:

lim supm

||Utmψ − ψ|| = lim infm||Utmψ − ψ|| = 0 ,

per cui esistelim

m→+∞||Utmψ − ψ|| = 0 .

Dato che ψ ∈ H e la successione tmm∈N con tm → 0 erano arbitrari, concludiamo che, per ogniψ ∈ H:

limt→0||Utψ − ψ|| = 0 .

La dimostrazione e terminata 2.

La teoria fino ad ora dimostrata consente di provate un importante risultato dovuto a von Neu-mann che mostra come la continuita forte dei gruppi unitari ad un parametro sia effettivamentemolto debole negli spazi di Hilbert separabili.

Teorema 9.4 (von Neumann). Sia (H, (·|·)) uno spazio di Hilbert complesso e Utt∈R ungruppo unitario ad un parametro. Se H e separabile, Utt∈R e fortemente continuo se e solo sela funzione R 3 t 7→ (Utψ|φ) e misurabile per ogni scelta di ψ, φ ∈ H.

Prova. Ovviamente se il gruppo e fortemente continuo allora ogni funzione R 3 t 7→ (Utψ|φ)e misurabile essendo continua. Mostriamo che vale il viceversa. Assumiamo che ognuna dellefunzioni suddette sia misurabile. Dalla disuguaglianza di Schwartz e da ||Ut|| = 1 concludiamoche tali funzioni sono anche limitate. Pertanto, per ogni fissato a ∈ R e ψ ∈ H:

H 3 φ 7→∫ a

0(Utψ|φ)dt

e un funzionale lineare limitato con norma non superiore a a||ψ||. Per il teorema di Riesz esisteψa ∈ H tale che:

(ψa|φ) =∫ a

0(Utψ|φ)dt , per ogni φ ∈ H.

Possiamo allora scrivere che:

(Ubψa|φ) = (ψa|U−bφ) =∫ a

0(Utψ|U−bφ)dt =

∫ a

0(Ut+bψ|φ)dt =

∫ a+b

b(Utψ|φ)dt .

Quindi:

|(Ubψa|φ)− (ψa|φ)| =∣∣∣∣∣∫ 0

b(Utψ|φ)dt

∣∣∣∣∣+∣∣∣∣∣∫ a+b

a(Utψ|φ)dt

∣∣∣∣∣ ≤ 2b||φ|| ||ψ||.

Di conseguenza: (Ubψa|φ) → (ψa|φ) se b → 0 e pertanto, prendendo il complesso coniugato diambo membri:

limt→0

(φ | Ubψa)→ (φ | ψa) .

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Se riusciamo a provare che l’insieme dei vettori ψa | ψ ∈ H, a ∈ R genera finitamente unsottospazio denso in H, in base alla proposizione precedente e scegliendo φ = ψa, possiamoconcludere che il gruppo unitario e fortemente continuo. Sia φ ∈ ψa | ψ ∈ H, a ∈ R⊥ e siaψ(n)n∈N una base hilbertiana numerabile per H, che esiste in quanto H e separabile. Allora,per ogni n ∈ N, vale:

0 = (ψ(n)a |φ) =

∫ a

0(Utψ(n)|φ)dt per ogni a ∈ R ,

che implica che R 3 t 7→ (Utψ(n)|φ) sia nulla quasi ovunque. Sia Sn ⊂ R l’insieme su cui lafunzione non si annulla e si fissi t0 ∈ R \⋃n∈N Sn. Si osservi che t0 esiste dato che

⋃n∈N Sn non

puo coincidere con R avendo misura nulla essendo unione numerabile di insiemi di misura nulla(in questo punto si usa la richiesta che la base hilbertiana sia numerabile e cioe H sia separabile).Deve allora essere (Ut0ψ

(n)|φ) = 0 per ogni n che implica che φ = 0, dato che Ut0 e unitario equindi Ut0ψ(n)n∈N e ancora base hilbertiana. Essendo ψa | ψ ∈ H, a ∈ R⊥ = 0, lo spaziogenerato da ψa | ψ ∈ H, a ∈ R e denso come richiesto e cio conclude la dimostrazione. 2

9.2.2 Gruppi unitari ad un parametro generati da operatori autoaggiunti eTeorema di Stone.

In questa sezione enunceremo e proveremo il celebre teorema di Stone che caratterizza i gruppiunitari ad un parametro fortemente continui provando che si possono sempre ottenere espo-nenziando operatori autoaggiunti. Useremo successivamente tali tipi di gruppi per dare unacondizione necessaria e sufficiente per la commutativita delle misure spettrali di operatori au-toaggiunti.Abbiamo bisogno di un risultato tecnico preliminare che enunciamo separatamente visto che sitratta di una costruzione utile in vari contesti. Nell’enunciato, come al solito, χ[a,b] indica lafunzione caratteristica di [a, b].

Proposizione 9.4. Sia H spazio di Hilbert complesso e Vtt∈R ⊂ B(H) una classe di operatoriche soddisfi le due seguenti condizioni:

(i) sia fortemente continua nel parametro t per ogni t ∈ R,(ii) esista C ≥ 0 tale che ||Vt|| ≤ C per ogni t ∈ R.

Per ogni f ∈ L1(R, dx) esiste un unico operatore in B(H), indicato con∫R f(t)Vt dt, tale che

φ

∣∣∣∣∫Rf(t)Vt dt ψ

=∫

Rf(t) (φ|Vtψ) dt per ogni φ, ψ ∈ H. (9.63)

Se f ∈ L1(R, dx) ha supporto (essenziale) compatto, la validita della sola condizione (i) assicural’esistenza di

∫R f(t)Vtdt. Tale operatore soddisfa in ogni caso le proprieta seguenti.

(a) per ogni ψ ∈ H: ∣∣∣∣∣∣∣∣∫Rf(t)Vt dtψ

∣∣∣∣∣∣∣∣ ≤ ∫R|f(t)| ||Vtψ|| dt . (9.64)

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(b) Se A ∈ B(H):

A

∫Rf(f)Vtdt =

∫Rf(t)AVtdt e

∫Rf(t)VtdtA =

∫Rf(t)VtAdt . (9.65)

(c) Posto∫ ts f(τ)Vτdτ :=

∫R g(τ)f(τ)Vτdτ con g = χ[s,t] se s ≥ t e g = −χ[t,s] se t ≤ s allora:

(i) R2 3 (s, t) 7→∫ t

sf(τ)Vτdτ e continua nella topologia uniforme;

(ii) se f e continua, allora s-d

dt

∫ t

sf(τ)Vτdτ = f(t)Vt per ogni s, t ∈ R. (9.66)

Prova. Siano ψ, φ ∈ H e f : R→ C una funzione in L1(R, dx). Consideriamo l’integrale:

I(φ, ψ) :=∫

Rf(t) (φ|Vtψ) dt .

Tale integrale e ben definito, dato che R 3 t 7→ (φ|Vtψ) e continua essendo Vtt∈R debolmentecontinuo ed e limitata per (ii) dalla disuguaglianza di Schwartz. Da cio segue banalmente che:

|I(φ, ψ)| ≤ ||f ||1C||ψ||||φ|| .

Dato che H 3 ψ 7→ I(φ, ψ) e lineare e vale disuguaglianza scritta sopra, l’applicazione diretta delteorema di Riesz prova che, per ogni φ ∈ H esiste un unico vettore Φφ ∈ H che soddisfa:

I(φ, ψ) = (Φφ|ψ) , per ogni ψ ∈ H.

Si verifica subito che l’applicazione H 3 φ 7→ Tφ := Φφ e lineare, inoltre, per costruzione vale:

|(ψ|Tφ)| = |(Tφ|ψ)| = |(Φφ|ψ)| = |I(φ, ψ)| ≤ ||f ||1C||ψ||||φ|| , per ogni coppia φ, ψ ∈ H.

Scegliendo ψ = Tφ si ha subito che T e limitato e quindi lo e il suo aggiunto che indichiamo con∫R f(t)Vt dt. Per costruzione vale allora (9.63). Da tale identita si ha anche:∣∣∣∣φ ∣∣∣∣∫

Rf(t)Vt dt ψ

∣∣∣∣ ≤ ∫R|f(t)| |(φ|Vtψ)| dt ≤

∫R|f(t)| ||Vtψ|| dt ||φ||

e quindi, scegliendo φ =∫R f(t)Vt dtψ si arriva alla (9.64). L’identita (9.65) segue facilmente

dalla (9.63). Nel caso in cui il supporto essenziale di f sia incluso in un intervallo limitato[a, b], si puo , equivalentemente, definire I(ψ, φ) integrando su tale intervallo e procedere con ilresto della dimostrazione come fatto sopra. In tal caso, l’esistenza della costante C in (ii) (cont ∈ [a, b]) e automaticamente garantita. Infatti, per continuita , comunque scegliamo ψ ∈ H,esiste Cψ ≥ 0 tale che ||Vtψ|| ≤ Cψ se t ∈ [a, b]. Per il teorema di Banach-Steinhaus questoimplica che esiste C ≥ 0 tale che ||Vt|| ≤ C se t ∈ [a, b]. Passimo a provare (c). Sia [a, b] e grande

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a sufficienza in modo che [a, b]× [a, b] includa un intorno aperto di (t, s) e (t′, s′) appartengonoa tale intorno, da (a) segue facilmente che:∣∣∣∣∣

∣∣∣∣∣∫ s

tf(τ)V (τ)dτψ −

∫ s′

t′f(τ)V (τ)dτψ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ ≤ (|t− t′|+ |s− s′|) sup

τ∈[a,b]|f(τ)| sup

τ∈[a,b]||Vτψ|| .

Prendendo anche l’estremo superiore su ||ψ|| ≤ 1 e tenendo conto che ||Vτ || ≤ C < +∞ seτ ∈ [a, b] come osservato sopra, abbiamo:∣∣∣∣∣

∣∣∣∣∣∫ s

tf(τ)V (τ)dτ −

∫ s′

t′f(τ)V (τ)dτ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ ≤ (|t− t′|+ |s− s′|) sup

τ∈[a,b]|f(τ)|C ,

da cui la continuita nella topologia uniforme. Riguardo alla seconda proprieta , notiamo che,dalla continuita in senso forte della funzione t 7→ f(t)Vt, nel caso in cui h→ 0 vale:∣∣∣∣∣

∣∣∣∣∣1h∫ τ+h

τf(t)Vtdt ψ − f(τ)Vτψ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ =

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣1h∫ τ+h

τ(f(t)Vt − f(τ)Vτ )dt

ψ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣

∣∣∣∫ τ+hτ dt

∣∣∣|h|

sup|t′−τ |≤h

||f(t′)Vt′ψ − f(τ)Vτψ|| = sup|t′−τ |≤h

||f(t′)Vt′ψ − f(τ)Vτψ|| → 0 .

2

Ecco il teorema di Stone. In realta il risultato dovuto a Stone nel teorema seguente e la parte(b), che e la meno banale dell’enunciato.

Teorema 9.5 (Teorema di Stone). Sia H uno spazio di Hilbert. Vale quanto segue.(a) Se A : D(A)→ H, con D(A) denso in H, e un operatore autoaggiunto su H e P (A) e la suamisura spettrale, gli operatori

Ut = eitA :=∫σ(A)

eiλt dP (A)(λ) ,

con t ∈ R, costituiscono un gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo che soddisfa:

Utf(A)ψ = f(A)Utψ , ∀t ∈ R ∀ψ ∈ D(f(A)), ∀f : σ(A)→ C misurabile. (9.67)

Ulteriormente:(i) esiste in H

limt→0

Utψ − ψt

(9.68)

se e solo se ψ ∈ D(A);(ii) se ψ ∈ D(A) vale

s-dUtdt

∣∣∣∣t=0

ψ := limt→0

Utψ − ψt

= −iAψ (9.69)

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(b) Se Utt∈R e un gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo su H esiste, ed eunico, un operatore autoaggiunto A : D(A)→ H (con D(A) denso in H) tale che

eitA = Ut , per ogni t ∈ R. (9.70)

Prova. (a) Per la proposizione 9.2, per provare che il gruppo e fortemente continuo e sufficienteverificare che (ψ|Utψ) → (ψ|ψ) per t → 0 e per ogni ψ ∈ H. Questo fatto e vero dato che, per(vi) in (c) del teorema 9.1, tenendo conto che il dominio di eitA e tutto H dato che la funzioneesponenziale con esponente immaginario puro e limitata:

(ψ|Utψ) =∫σ(A)

eitλdµψ(λ)→∫σ(A)

1dµψ(λ) = (ψ|ψ) per t→ 0 .

Sopra abbiamo tenuto conto del fatto che eitλ → 1 e quindi possiamo applicare il teorema dellaconvergenza dominata di Lebesgue dato che |eitλ| = 1 per ogni t e la funzione che vale costan-temente 1 e integrabile perche µψ e finita.Passiamo all’identita (9.67). Per dimostrare tale identita si osservi che ψ ∈ D(f(A)) se e solose∫R |f(λ)|2dµψ(λ) < +∞. D’altra parte, la misura µψ e la misura µUtψ coincidono, in quanto

(Utψ|P (A)(E)Utψ) = (ψ|U∗t P (A)(E)Utψ), ma U∗t P(A)(E)Ut = P (A)(E) come segue immediata-

mente da (iii) in (c) del teorema 9.1, tenendo conto che nel caso in esame tutti gli integrali sonoriferiti a funzioni limitate e pertanto gli operatori coinvolti hanno tutti dominio dato da tuttolo spazio di Hilbert. Concludiamo che ψ ∈ D(f(A)) se e solo se Utψ ∈ D(f(A)). Viceversa valebanalmente f(A)ψ ∈ D(Ut) = H essendo Ut unitario. In queste ipotesi, usando la seconda partedi (iii) in (c) del teorema 9.1, si ha che Utf(A)ψ = f(A)Utψ per ogni ψ ∈ D(f(A)) e cioe vale(9.67). Passiamo ora a provare le proprieta (i) e (ii). Se ψ ∈ H, usando (c) del teorema 9.1, sitrova ∣∣∣∣∣∣∣∣Utψ − ψt

− Ut′ψ − ψt′

∣∣∣∣∣∣∣∣2 =

∫σ(A)

2− eiλt − e−iλt

λ2t2λ2dµψ(λ) +

∫σ(A)

2− eiλt′ − e−iλt′

λ2t′2λ2dµψ(λ)

+∫σ(A)

eiλ(t′−t) −e−iλt + eiλt

′+ 1

λ2tt′λ2dµψ(λ) +

∫σ(A)

eiλ(t−t′) −e−iλt

′+ eiλt

+ 1

λ2tt′λ2dµψ(λ) .

Ci riferiremo ora alla misura λ2dµψ(λ). Tutte e tre le funzioni integrande (rispetto alla dettamisura) sono limitate da costanti dato che si annullano per t e t′ piccoli, con la stessa velocita deinumeratori (per verificarlo e sufficiente sviluppare in serie di potenze centrata nell’origine tuttigli esponenziali) e per grandi valori di t e t′ tendono a zero. I primi due integrandi, tendonoa zero se t e t′ rispettivamente tendono a zero, gli ultimi due tendono a zero quando t → t′.Se ψ ∈ D(A), la misura λ2dµψ(λ) e finita per definizione di dominio di A. Di conseguenza,scegliendo t vicino a t′ ed entrambi vicini a 0, possiamo rendere

∣∣∣∣∣∣Utψ−ψt − Ut′ψ−ψt′

∣∣∣∣∣∣ piccolo a

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piacere. Data la completezza di H, questo significa che esiste il limite per t→ 0 di Utψ−ψt . Con

la stessa procedura si ha immediatamente che, se ψ ∈ D(A):∣∣∣∣∣∣∣∣Utψ − ψt− iAψ

∣∣∣∣∣∣∣∣2 =∫σ(A)

2− eiλt − e−iλt

λ2t2+ 1 + i

eiλt − e−iλt

λt

λ2dµψ(λ) .

La funzione integranda (rispetto alla misura λ2dµψ(λ)) e limitata e tende a zero puntualmentein λ per t → 0, la misura λ2dµψ(λ) e finita nell’ipotesi che ψ ∈ D(A). Applicando il teorema

della convergenza dominata abbiamo che∣∣∣∣∣∣Utψ−ψt − iAψ

∣∣∣∣∣∣2 → 0 se t→ 0, quando ψ ∈ D(A). Per

concludere la prova di (i) e (ii), mostriamo che se Utψ−ψt → φψ ∈ H, per t→ 0, allora ψ ∈ D(A).

Si verifica subito che l’insieme dei vettori ψ ∈ H per cui esiste il limite suddetto formanoun sottospazio D(B) di H che contiene, ovviamente, D(A) ed e quindi denso. L’applicazioneψ 7→ iBψ := φψ definisce un operatore con dominio D(B) denso. Se ψ,ψ′ ∈ D(B) vale, usandoil fatto che U∗t = U−t:

(ψ|Bψ′

)=ψ

∣∣∣∣∣−i limt→0

Utψ′ − ψ′

t

= −i lim

t→0

ψ

∣∣∣∣∣Utψ′ − ψ′t

= −i lim

t→0

U−tψ − ψ

t

∣∣∣∣ψ′=−i lim

t→0

U−tψ − ψ−t

∣∣∣∣ψ′ =(Bψ|ψ′

).

Concludiamo che B e un’estensione simmetrica di A. Tuttavia, dato che A e autoaggiunto deveessere B = A per (d) di proposizione 5.2 e quindi ogni vettore ψ per cui esiste il limite di Utψ−ψtper t→ 0 deve appartenere a D(A). Questo conclude la dimostrazione di (a).(b) Cominciamo a notare che la prova dell’unicita di A e immediata. Se ci sono due operatoriautoaggiunti A e A′ con eitA = Ut = eitA

′per ogni t ∈ R, in base a (i) e (ii) di (a), deve

risultare A = A′. Costruiamo ora un operatore autoaggiunto A che soddisfi Ut = eitA perun fissato gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo. Specializziamo la situazionediscussa nella proposizione 9.4 al caso Vt = Ut gruppo unitario ad un parametro fortementecontinuo. Indichiamo con D, detto spazio di Garding, lo spazio vettoriale dei vettori della forma∫R f(t)Ut dtφ con φ ∈ H con f ∈ D(R) arbitraria. Dalla (9.63) segue facilmente la proprieta di

invarianza UsD ⊂ D per ogni s ∈ R, piu precisamente vale:

Us

∫Rf(t)Ut dtψ =

∫Rf(t)Ut+s dtψ per ogni ψ ∈ H. (9.71)

Mostriamo che, se ψ ∈ D allora Utψ−ψt → ψ0 ∈ H se t→ 0. Supponiamo che ψ =

∫R f(t)Ut dtφ.

Con qualche passaggio, usando (9.71) e la definizione di∫R f(t)Ut dtφ, si vede che il secondo

membro di:∣∣∣∣∣∣∣∣Utψ − ψt−∫

Rf ′(t)Ut dtφ

∣∣∣∣∣∣∣∣2 =Utψ − ψ

t−∫

Rf ′(s)Us dsφ

∣∣∣∣Utψ − ψt−∫

Rf ′(r)Ur drφ

si puo scrivere: ∫

Rds

∫Rdrht(s)ht(r) (ψ|Ur−sψ) ,

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doveht(s) :=

f(s− t)− f(s)t

− f ′(s) .

Si osservi che, per ogni t ∈ R, la funzione s 7→ ht(s) ha supporto in un compatto ed e C∞ (ede quindi limitata). Dato che (r, s) 7→ (ψ|Ur−sψ) e anch’essa una funzione limitata, concludiamoche possiamo interpretare l’integrale di sopra nella misura di Lebesgue prodotto:∣∣∣∣∣∣∣∣Utψ − ψt

−∫

Rf ′(t)Ut dtφ

∣∣∣∣∣∣∣∣2 =∫

R×Rdsdrht(s)ht(r) (ψ|Ur−sψ)

Dato che l’integrando tende a 0 puntualmente se t→ 0 e che le funzioni

(s, r) 7→ ht(s)ht(r) (ψ|Ur−sψ)

hanno supporto contenuto in un unico compatto abbastanza grande quando t varia in un interval-lo limitato attorno a 0 e che ivi sono uniformemente limitate da qualche costante indipendenteda t (questo segue dal fatto che la funzione (t, s, r) 7→ ht(s)ht(r) (ψ|Ur−sψ) e continua con-giuntamente in tutte le variabili), possiamo applicare il teorema della convergenza dominata,ottenendo che entrambi i membri svaniscono per t→ 0. Abbiamo ottenuto che, se ψ ∈ D, alloraUtψ−ψ

t → ψ0 ∈ H per t → 0. L’applicazione ψ 7→ iSψ := ψ0 e lineare come si dimostra facil-mente. Procedendo come nella dimostrazione di (a) si verifica facilmente che S e hermitiano.In realta S e simmetrico dato che D e denso come ora verifichiamo. Se φ ∈ H si consideri lasuccessione di vettori

∫R fn(t)Ut dtφ, dove le funzioni fn ∈ C∞c (R) soddisfano: fn ≥ 0, supp fn

⊂ [−1/n, 1/n] e∫R fn(s)ds = 1. Abbiamo che∣∣∣∣∣∣∣∣∫

RfnUtdtψ − ψ

∣∣∣∣∣∣∣∣ =∣∣∣∣∣∣∣∣∫

RfnUtdtψ −

∫Rfndtψ

∣∣∣∣∣∣∣∣ =∣∣∣∣∣∣∣∣∫

Rfn(Ut − I)dtψ

∣∣∣∣∣∣∣∣ ≤ ∫R|fn(t)| ||(Ut − I)ψ|| dt

dove abbiamo usato (9.64) per la classe di operatori Vt = Ut − I. Dato che:∫R|fn(t)| ||(Ut − I)ψ|| dt ≤

∫ 1/n

−1/n|fn(t)| dt sup

t∈[−1/n,1/n]||(Ut − I)ψ|| = sup

t∈[−1/n,1/n]||(Ut − I)ψ||

e supt∈[−1/n,1/n] ||(Ut − I)ψ|| → 0 per n → ∞ essendo la classe degli Ut fortemente continua,concludiamo che

D 3∫

Rfn(t)Ut dtφ→ φ ∈ H , per n→∞

e quindi D e denso in H. Di conseguenza S e simmetrico. Mostriamo ora che S e essenzialmenteautoaggiunto su D. Se ψ± ∈ Ran(S ± iI)⊥, allora, per ogni χ ∈ D vale:

d

dt(ψ±|Utχ) = lim

h→0

ψ±

∣∣∣∣UhUtχ− Utχh

= (ψ±|iSUtχ) = i (ψ±|(S ± iI)Utχ)± (ψ±|Utχ)

= ± (ψ±|Utχ)

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e quindi la funzione F±(t) := (ψ±|Utχ) ha la forma F±(0)e±t. Dovendo essere limitata (da-to che ||Ut|| = 1 per ogni t ∈ R), questo e possibile solo se F±(0) = 0 e quindi ψ± = 0,che implica a sua volta che Ran(S ± iI) = H. Per il teorema 5.3, questo significa che S :D→ H e essenzialmente autoaggiunto. Sia dunque S l’unica estensione autoaggiunta di S. Perconcludere la dimostrazione si osservi che se Vt := eitS allora, per ogni coppia ψ, φ ∈ D vale:

d

dt(ψ |(Vt)∗Ut φ) =

d

dt(Vtψ|Utφ) = (iSVtψ|Utφ)+(Vtψ|iSUtφ) = − (Vtψ|iSUtφ)+(Vtψ|iSUtφ) = 0.

Pertanto (ψ|(Vt)∗Utφ) = (ψ|Iφ) e quindi, essendo D denso: (Vt)∗Ut = I cioe Ut = eitS per ognit ∈ R. 2

Definizione 9.4. Sia H e spazio di Hilbert e Utt∈R ⊂ B(H) un gruppo unitario ad un pa-rametro fortemente continuo. L’unico operatore autoaggiunto su A tale da soddisfare (9.70) edetto generatore (autoaggiunto) di Utt∈R ⊂ B(H).

Il teorema di Stone ha un semplice ma utile corollario. L’utilita di questo corollario appare evi-dente quando l’operatore autoaggiunto A non e limitato, in caso contrario la tesi del corollariosegue facilmente dal teorema spettrale per operatori autoaggiunti limitati, notando che se unoperatore limitato commuta con A allora deve commutare con la sua misura spettrale.

Corollario 9.1. Se A : D(A) → H, con D(A) denso in H, e un operatore autoaggiunto (ingenerale non limitato) sullo spazio di Hilbert H e se U : H → H1 e un isomorfismo di spazi diHilbert (operatore isometrico suriettivo), allora:

UeisAU−1 = eisUAU−1, per ogni s ∈ R .

In particolare la tesi e vera se H = H1 e U e unitario.

Prova. L’operatore UAU−1 e evidentemente autoaggiunto sul dominio UD(A) come e facileprovare applicando la definizione. Pertanto il gruppo unitario ad un parametro fortementecontinuo eisUAU−1s∈R e ben definito. Essendo U un isomorfismo di spazi di Hilbert, si verificaimmediatamente che UeisAU−1s∈R e un secondo gruppo unitario ad un parametro fortementecontinuo definito sullo stesso spazio di Hilbert H1. Ulteriormente, se ψ = U−1φ ∈ U−1D(A)allora:

lims→0

UeisAU−1ψ − ψs

= lims→0

UeisAφ− Uφs

= U lims→0

eisAφ− φs

= iUAφ = UAU−1ψ .

In base al teorema di Stone il generatore del gruppo UeisAU−1s∈R e quindi un’estensioneautoaggiunta di UAU−1 che, essendo autoaggiunto, non ha estesioni autoaggiunte proprie. Diconseguenza il generatore del gruppo UeisAU−1s∈R coincide con UAU−1 stesso e quindi:

UeisAU−1 = eisUAU−1, per ogni s ∈ R .

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2.

Nota. Per certi aspetti, il teorema di Stone puo vedersi come sottocaso di un teorema piu generaleche deriva dal Teorema di Hille-Yoshida [Rud91] che ha avuto importanti conseguenze in fisicamatematica nelle applicazioni della teoria dei semigruppi. Ricordiamo che sullo spazio di BanachX, un semigruppo fortemente continuo di operatori, Qtt∈[0,+∞), e una classe di opera-tori Qt ∈ B(X) tali che (a) Q(0) = I, (b) Qt+s = QtQs se s, t ∈ [0,+∞) e (c) ||Qtψ−ψ|| → 0 set → 0, per ogni ψ ∈ X. Si dimostra [Rud91] che ogni semigruppo fortmente continuo ammetteun unico generatore, cioe un operatore A in X, completamente individuato dalla richiesta che,dove la derivata e calcolata rispetto alla norma di X:

d

dtQtψ = −AQtψ = −QtAψ per ogni ψ ∈ D(A).

Risulta che D(A) ⊂ X e un sottospazio denso.Specializzandoci al caso di un semigruppo fortemente continuo Qtt∈[0,+∞), su X = H spazio diHilbert e con operatori Qt normali (limitati), risulta [Rud91] che (1) esiste sempre un generatoreA del semigruppo, (2) tale generatore e un operatore normale (non limitato in generale), (3) vale:

Qt = e−tA ,

dove il secondo membro viene definito come integrale della funzione σ(A) 3 λ 7→ eλ rispettoalla PVM della decomposizione spettrale di A (estendendo il teorema spettrale 9.2 al caso dioperatori normali non limitati [Rud91]). Infine, (4) lo spettro di A e limitato inferiormente neireali, cioe : esiste γ ∈ R tale che γ < Re(λ) per ogni λ ∈ σ(A).

9.2.3 Condizioni per la commutativita di misure spettrali.

Come ultimo risultato possiamo enunciare e provare un teorema riguardante la commutativitadelle misure spettrali di due operatori autoaggiunti usando i gruppi ad un paramtro da essigenerati. Nel caso di operatori autoaggiunti limitati le misure spettrali commutano se e solo segli stessi operatori commutano come segue facilmente dal teorema spettrale (vedi anche (1) nelleosservazioni dopo la prova del teorema seguente). Nel caso di operatori non limitati vi sono ingenerale problemi di dominio e la condizione basata sulla commutativita degli operatori non eutilizzabile. L’uso dei gruppi unitari e un modo semplice per ovviare il problema dei domini. Ilseguente teorema ha larghe applicazioni in Meccanica Quantistica

Teorema 9.6. Siano A e B due operatori (in generale non limitati) sullo spazio di Hilbert H esia A autoaggiunto. Valgono i fatti seguenti.(i) Assumendo B autoaggiunto e denotando con P (A) e P (B) le misure spettrali di A e Brispettivamente, le seguenti quattro richieste sono equivalenti.

(a) Per ogni coppia di boreliani E,E′ ⊂ R:

P (A)(E)P (B)(E′) = P (B)(E′)P (A)(E) .

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(b) Per ogni boreliano E ⊂ R e ogni s ∈ R:

P (A)(E)e−isB = e−isBP (A)(E) .

(c) Per ogni coppia di numeri reali t, s ∈ R:

e−itAe−isB = e−isBe−itA .

(d) Per ogni numero reale t ∈ R:

e−itAD(B) ⊂ D(B) e e−itABψ = Be−itAψ , se ψ ∈ D(B).

(ii) Se, nelle ipotesi di (i), vale una delle quattro condizioni precedenti allora vale anche:

ABψ = BAψ se ψ ∈ D(AB) ∩D(BA)(Aϕ|Bψ)− (Bϕ|Aψ) = 0 se ψ,ϕ ∈ D(A) ∩D(B).

(iii) Se B ∈ B(H) (non necessariamente autoaggiunto), le due seguenti condizioni sono equiva-lenti.

(e) BAϕ = ABϕ per ogni ϕ ∈ D(A).(f) Bf(A)ψ = f(A)Bψ per ogni ψ ∈ D(f(A)) e ogni f : σ(A)→ R misurabile.

Prova. (i) Facendo uso della definizione 9.2, l’identita in (b) puo essere trascritta equivalente-mente:∫

Re−itλdP

(A)λ

∫Re−isµdP (B)

µ =∫

Re−isµdP (B)

µ

∫Re−itλdP

(A)λ per ogni t, s ∈ R, (9.72)

dove abbiamo usato la definizione standard di integrale di funzioni misurabili limitate rispettoad una misura spettrale facendo uso di (i) in (c) del teorema 9.1. Il fatto che (a) implichi (c)e immediato dalla definizione stessa di integrale di una funzione limitata rispetto ad una misuraspettrale introdotta nel capitolo 8, lavorando con la topologia operatoriale forte. Proviamo che(c) implica (b) e che (b) implica (a). Per dimostrare che (c) implica (b), notiamo che da (9.72), seUs := e−isB, ψ, φ ∈ H, s ∈ R sono fissati, si ha:

(ψ∣∣∣∫R e−itλdP (A)

λ Usφ)

=(U∗sψ

∣∣∣∫R e−itλdP (A)λ φ

)per ogni t ∈ R , ossia ∫

Re−itλdµ

(A)ψ,Usφ

(λ) =∫

Re−itλdµ

(A)U∗s ψ,φ

(λ) , (9.73)

dove abbiamo introdotto le misure complesse come in (c) del teorema 8.4. Possiamo trasformaregli integrali suddetti in integrali rispetto a misure positive finite usando il teorema Radon-Nykodim (vedere (1) in Esempi 2.2.). Successivamente, facendo uso del teorema di Fubini-Tonelliin (9.73), concludiamo che, se f e la trasformata di Fourier di una qualsiasi funzione dello spaziodi Schwarz S(R) (vedi cap.3), deve risultare:∫

R

∫Rf(t) e−itλdt

(A)ψ,Usφ

(λ) =∫

R

∫Rf(t) e−itλdt

(A)U∗s ψ,φ

(λ) .

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Dato che la trasformata di Fourier trasforma lo spazi S(R) nello stesso spazio S(R) biettivamente,concludiamo che l’identita di sopra puo essere riscritta come:∫

Rg(λ) dµ(A)

ψ,Usφ(λ) =

∫Rg(λ) dµ(A)

U∗s ψ,φ(λ) per ogni g ∈ S(R). (9.74)

Se h ∈ Cc(R) (spazio delle funzioni continue a supporto compatto) la successione di funzioni

gn(x) :=Én

∫Re−n(x−y)2/4h(y)dy

soddisfa gn ∈ D(R) e converge uniformemente ad h per n→ +∞. Dato che gn ∈ D(R) ⊂ S(R)e gn → h ∈ Cc(R) nella norma dell’estremo superiore e le misure sono finite, (9.74) implica che:∫

Rh(λ) dµ(A)

ψ,Usφ(λ) =

∫Rh(λ) dµ(A)

U∗s ψ,φ(λ) per ogni h ∈ Cc(R). (9.75)

Il teorema di Riesz per misure complesse (vedere (1) in Esempi 2.2.) implica che le due misureche definiscono i due integrali nei due membri dell’identia di sopra sono in realta la stessa misura.In altre parole, tenendo conto dell’espressione esplicita di tali misure complesse come in (c) delteorema 8.4.:(

ψ∣∣∣P (A)(E)Utφ

)=(U∗sψ

∣∣∣P (A)(E)φ)

per ogni boreliano E ⊂ R e ogni s ∈ R. (9.76)

Con ovvi passaggi, data l’arbitrarieta di ψ e φ, si ricava che vale (b):

P (A)(E)e−isB = e−isBP (A)(E) per ogni boreliano E ⊂ R e ogni s ∈ R. (9.77)

Per concludere proviamo che (b) implica (a). Iterando un’altra volta il procedimanto per dimo-strare che (c) implica (b), dove ora l’operatore e−isB rimpiazza il precedente e−itA e l’operatoreunitario Us e sostituito dal proiettore ortogonale P (A)(E), si ottiene alla fine che (9.77) implicache vale (a): P (A)

E P(B)E′ = P

(B)E′ P

(A)E per ogni coppia di boreliani E,E′ ⊂ R. Per concludere no-

tiamo che, se vale (c), dal teorema di Stone e dalla continuita di e−itA segue subito (d). D’altraparte (d) implica (c) per il seguente motivo. Prima di tutto (d) equivale a e−itABeitA = B da cui,esponenziando gli operatori autoaggiunto ad ambo membri, troviamo: e−is(e

−itABeitA) = e−isB.Dato che, per ogni fissato numero s ∈ R, i gruppi unitari ad un parametro fortemente continuit 7→ e−is(e

−itABeitA) e t 7→ e−itAe−isBeitA ammettono lo stesso generatore, essi devono coincidereper il teorema di Stone. Conseguentemente dobbaimo avere e−itAe−isBeitA = e−isB, cioe (c).Proviamo (ii). Per provare la prima affermazione partiamo da (c) assumendo ψ ∈ D(AB) ∩D(BA) per cui: e−itAe−isBψ) = e−isBe−itAψ. Derivando nell’origine in t, dal teorema di Stone:Ae−isBψ = e−isBAψ. A questo punto possiamo ancora derivare in s nell’origine. Il secondomembro fornisce immediatamente −iBAψ per il teorema di Stone. Nel primo membro possia-mo passare la derivata oltre A, usando il fatto che A = A∗ e chiuso e tenendo conto del fattoche sappiamo che il limite esiste. In questo modo troviamo, come richiesto −iABψ = −iBAψ.Dimostriamo infine la seconda affermazione assumendo vera la proprieta (c). Da essa si trova

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subito, se ψ ∈ D(A) e ϕ ∈ D(B) allora (eitAψ|e−isBϕ) = (eisBψ|e−itAϕ). Calcolando le derivatein t e s per t = s = 0, dal teorema di Stone abbiamo la tesi.L’affermazione (iii) si prova come segue. Prima di tutto e ovvio che (f) implica (e). Proviamoche (e) implica (f). Mostriamo per prima cosa che (e) implica che B commuti con e−itA per ognit ∈ R. A tal fine usiamo (d) ed (f) in proposizione 9.8, la cui dimostrazione non dipende dalteorema che stiamo provando. (Il lettore puo saltare questa parte e tornare sulla dimostrazioneuna volta provata la proposizione 9.8.) Sia ψ e un vettore analitico per A e per tutte le suepotenze nell’insieme denso che e provato esistere in (f) in proposizione 9.8, allora, dato che Be limitato ed usando (d) di proposizione 9.8:

Be−itAψ =+∞∑n=0

(−it)n

n!BAnψ =

+∞∑n=0

(−it)n

n!AnBψ = e−itABψ .

Nei due ultimi passaggi abbiamo usato l’ipotesi che BAψ = ABψ ricorsivamente ed il fatto che||AnBψ|| = ||BAnψ|| ≤ ||B||||Anψ|| per cui Bψ e ancora analitico per A. Dato che ψ varia in uninsieme denso e gli operatori B e e−itA sono continui, abbiamo ottenuto che Be−itA = e−itAB.Ora usiamo il fatto che, se B e limitato e commuta con ogni e−itA, allora B commuta con lamisura spettrale di A. La prova e analoga a quella fatta sopra per dimostrare che (c) implica(b): in questo caso bisogna sostituire Us con B e seguire la stessa dimostrazione. Quindi,usando la definizione di g(A), segue facilmente che se g e limitata (e quindi lo e g(A)) alloraBg(A) = g(A)B. A questo punto si osserva che

µ(A)Bψ(E) = (Bψ|P (A)(E)Bψ) = (P (A)Bψ|P (A)(E)Bψ) ≤ ||B||2(ψ|P (A)(E)ψ) = ||B||2µ(A)

ψ (E)

e pertanto ψ ∈ D(f(A)) implica Bψ ∈ D(f(A)). Applicando infine la definizione di f(A),prendendo una successione di funzioni misurabili limitate fn che convergono a f nel senso diL2(σ(A), µψ) si ha immediatamente la tesi prendendo il limite per n → +∞ dell’uguaglianza(vera perche tutte le fn sono limitate) Bfn(A)ψ = fn(A)Bψ, per ogni n ∈ N, dato che B econtinuo. 2

Osservazioni.(1) Il teorema provato ha come immediata conseguenza che due operatori autoaggiunti limitatiA,B ∈ B(H) commutano se e solo se commutano le loro misure spettrali. Infatti, un’im-plicazione e ovvia, mentre da (iii) segue subito che, se AB = BA allora BP

(A)E = P

(A)E B

dato che P(A)E = χE(A), essendo χE la funzione caratteristica del boreliano E. Dato che

P(A)E ∈ B(H), possiamo applicare nuovamente (iii) ed ottenere P (B)

E′ P(A)E = P

(A)E P

(B)E′ per ogni

boreliano E′ ⊂ R.(2) Esiste un interessante risultato che assicura condizioni sufficienti per la commutativita dimisure spettrali di operatori autoaggiunti non limitati. Dato che e interessante, citiamo il risul-tato senza dimostrazione (che sia basa sul fondamentale lavoro di E. Nelson1 sui vettori analiticie l’esistenza delle rappresentazioni unitarie di gruppi di Lie).

1E. Nelson, Analytic vectors, Ann. Math. 70, 572- 615, (1959)

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Siano A : D(A)→ H e B : D(B)→ H due operatori simmetrici. Se esiste un sottospazio densoD ⊂ D(A2 +B2)∩D(AB)∩D(BA) su cui A e B commutano e su cui A2 +B2 e essenzialmenteautoaggiunto, allora A e B sono essenzialmente autoaggiunti su D e le misure spettrali di A eB commutano.

9.3 Prodotto tensoriale hilbertiano.

Come vedremo tra nel prossimo capitolo, i sistemi quantistici composti vengono descritti inspazi di Hilbert ottenuti prendendo il prodotto tensoriale Hilbertiano degli spazi di Hilbert deisottosistemi componenti. Chiariamo nel seguito cosa intendiamo qui per prodotto tensorialeHilbertiano, assumendo, per le motivazioni generali e le notazioni, che il lettore conosca la defi-nizione di prodotto tensoriale nel caso di spazi vettoriali a dimensione finita.

9.3.1 Prodotto tensoriale di spazi di Hilbert.

Consideriamo n spazi di Hilbert (complessi) (Hi, (·|·)i) con i = 1, 2, · · · , n e scegliamo un vettorevi per ogni spazio Hi. In analogia al caso finito dimensionale, potremmo definire l’applicazionev1 ⊗ · · · ⊗ vn come un’applicazione multilineare dal prodotto cartesiano degli n spazi dualitopologici H′i degli spazi Hi a valori in C, usando la definizione che si usa per il caso finitodimensionale:

v1 ⊗ · · · ⊗ vn : H′1 × · · · × H′n 3 (f1, · · · , fn) 7→ f1(v1) · · · fn(vn) .

Del tutto equivalentemente, tenendo conto del teorema di Riesz, possiamo definire l’azione div1 ⊗ · · · ⊗ vn sulle n-ple di vettori di H1 × · · · × Hn invece che su quelle di H′1 × · · · × H′n. Inquesto modo teniamo conto dell’identificazione del duale di uno spazio di Hilbert con lo spaziodi Hilbert stesso, ottenuta tramite un anti isomorfismo costruito con il prodotto scalare. Conquesto approccio v1 ⊗ · · · ⊗ vn agisce su n-ple di vettori (u1, · · · , un) ∈ H1 × · · · ×Hn per mezzodei prodotti scalari e definisce un funzionale anti multi-lineare. Sceglieremo questa seconda viaper motivi di praticita.

Definizione 9.5. Consideriamo n spazi di Hilbert (complessi) (Hi, (·|·)i) con i = 1, 2, · · · , ne scegliamo un vettore vi per ogni spazio Hi. Il prodotto tensoriale dei vettori v1, . . . , vn,v1 ⊗ · · · ⊗ vn e l’applicazione multi anti-lineare:

v1 ⊗ · · · ⊗ vn : H1 × · · · × Hn 3 (u1, · · · , un) 7→ (u1|v1)1 · · · (un|vn) .

Con Tni=1Hi indichiamo l’insieme di applicazioni v1⊗· · ·⊗ vn | vi ∈ Hi , i = 1, 2, · · · , n mentre⊗ni=1Hi denota lo spazio vettoriale su C delle applicazioni multi anti-lineari date da combina-

zioni lineari finite di elementi v1 ⊗ · · · ⊗ vn ∈ Tni=1Hi.

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Osservazione. Con questa definizione, la funzione che associa (v1, . . . vn) a v1 ⊗ · · · ⊗ vn ecomunque multi-lineare.

Possiamo definire un prodotto scalare (·|·) su⊗ni=1Hi come segue. Consideriamo l’applicazione

da S : Tni=1Hi × Tni=1Hi → C con

S(v1 ⊗ · · · ⊗ vn, v′1 ⊗ · · · ⊗ v′n) := (v1|v′1) · · · (vn|v′n) .

Vale il seguente risultato.

Proposizione 9.5. L’applicazione S : Tni=1Hi × Tni=1Hi → C si estende in maniera univoca, perantilinearita nell’argomento di sinistra e per linearita in quello di destra, ad un prodotto scalarehermitiano sullo spazio vettoriale complesso

⊗ni=1Hi definito da:

(Ψ|Φ) :=∑i

∑j

αiβjS(v1i ⊗ · · · ⊗ vni, u1j ⊗ · · · ⊗ unj)

se Ψ =∑i αiv1i ⊗ · · · ⊗ vni e Φ =

∑j βju1j ⊗ · · · ⊗ unj (essendo entrambe le somme finite).

Prova. Per semplicita di scrittura eseguiamo la prova nel caso n = 2. Per n > 2 la dimostrazionee identica. Dobbiamo prima di tutto mostrare che se Ψ,Φ ∈ H1Ü⊗H2 e valgono le decomposizioniΨ =

∑j αjvj ⊗ v′j =

∑h βhuh ⊗ u′h e Φ =

∑k γkwk ⊗ w′k =

∑s δszs ⊗ z′s, allora risulta∑

j

∑k

αjγkS(vj ⊗ v′j , wk ⊗ w′k) =∑j

∑s

αjδsS(vj ⊗ v′j , zs ⊗ z′s) (9.78)

e anche ∑h

∑k

βhγkS(uh ⊗ u′h, wk ⊗ w′k) =∑h

∑s

βhδsS(uh ⊗ u′h, zs ⊗ z′s) . (9.79)

Questo proverebbe che l’estensione (anti-) lineare di S a H1Ü⊗H2 e ben definita non dipendendodalla decomposizione usata per rappresentare gli argomenti di S. Dimostriamo l’indipendenzaper l’argomento di sinistra (9.78), per l’argomento di destra (9.79) si procede analogamente. Ilprimo membro di (9.78) si puo riscrivere

∑j

∑k

αjγkS(vj ⊗ v′j , wk ⊗ w′k) =∑j

(∑k

γkwk ⊗ w′k

)(αjvj , v′j) =

∑j

Φ(αjvj , v′j)

e, con la stessa procedura, lavorando sul secondo membro di (9.78), si ha ugualmente∑j

∑s

αjδsS(vj ⊗ v′j , zs ⊗ z′s) =∑j

∑s

δszs ⊗ z′s

(αjvj , v′j) =∑j

Φ(αjvj , v′j) ,

dove abbiamo usato l’ipotesi Φ =∑k γkwk⊗w′k =

∑s δszs⊗z′s. Quindi S si estende univocamente

ad una applicazione lineare a destra ed antilineare a sinistra (·|·) : H1Ü⊗H2 → C. Direttamentedalla definizione di S si ha che vale

(Ψ|Φ) = (Φ|Ψ) .

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Per mostrare che in effetti (·|·) definisce un prodotto scalare hermitiano e ora sufficiente provareche (·|·) e positivo. La prova e semplice. Se Ψ =

∑nj=1 αjvj ⊗ v′j , dove, per ipotesi n < +∞,

possiamo considerare una base Hilbertiana (finita!) u1, · · · , um (m ≤ n) per il sottospaziogenerato da v1, · · · , vn ed una base analoga u′1, · · · , u′l, (l ≤ n) per il sottospazio generato dav′1, · · · , v′n. Sfruttando la bi-linearita di ⊗, potremo alla fine scrivere Ψ =

∑mj=1

∑lk=1 bjkuj ⊗u′k

dove i coefficienti bjk sono opportuni. Usando direttamente la definizione di S ed il fatto che lebasi considerate sono ortonormali:

(Ψ|Ψ) =

m∑j=1

l∑k=1

bjkuj ⊗ u′k

∣∣∣∣∣∣m∑i=1

l∑s=1

bisui ⊗ u′s

=

n∑j=1

l∑k=1

|bjk|2 .

La positivita di (·|·) e ora evidente. 2

Definizione 9.6. Consideriamo n spazi di Hilbert (complessi) (Hi, (·|·)i) con i = 1, 2, · · · , n.Il prodotto tensoriale hilbertiano degli spazi Hi,

⊗ni=1 Hi, indicato equivalentemente con

H1⊗· · ·⊗Hn, e lo spazio di Hilbert ottenuto prendendo il completamento hilbertiano (cfr sezione3.1) dello spazio

⊗ni=1Hi rispetto al prodotto scalare (·|·) della proposizione 10.4.

E immediato verificare che la definizione si riduce a quella elementare nel caso in cui gli spaziHi siano finito dimensionali. Inoltre sussiste il seguente utile risultato.

Proposizione 9.6. Consideriamo n spazi di Hilbert (complessi) (Hi, (·|·)i) con i = 1, 2, · · · , n ecorrispondenti basi hilbertiane Ni ⊂ Hi con i = 1, 2, · · · , n. L’insieme

N := z1 ⊗ · · · ⊗ zn | zi ∈ Ni , i = 1, 2, · · · , n

e una base hilbertiana per H1 ⊗ · · · ⊗ Hn.

Prova. Per costruzione N e un sistema ortonormale (la verifica e immediata usando la definizionedel prodotto scalare sullo spazio prodotto tensoriale). Bisogna solo provare che N e denso inH1 ⊗ · · · ⊗ Hn. Dato che le combinazioni lineari di elementi del tipo v1 ⊗ · · · ⊗ vn sono dense inH1 ⊗ · · · ⊗ Hn e sufficiente provare che ogni elemento v1 ⊗ · · · ⊗ vn puo essere approssimato apiacimento da combinazioni lineari di elementi z1 ⊗ · · · ⊗ zn di N . Per semplicita notazionalelavoriamo nel caso n = 2, dato che il caso n > 2 si dimostra nello stesso modo. Nelle nostreipotesi, per una opportuna scelta di coefficienti γz e βz′ , valgono gli sviluppi:

v1 =∑z∈N1

γzz , v2 =∑z′∈N2

βz′z′

che equivale a dire (teorema 3.4 e definizione 3.4)

||v1||2 = sup

∑z∈F1

|γz|2∣∣∣∣∣∣ F1 sottoinsieme finito diN1

(9.80)

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e

||v2||2 = sup

∑z′∈F2

|βz′ |2∣∣∣∣∣∣ F2 sottoinsieme finito diN2

. (9.81)

Il calcolo diretto, basato sull’ortonormalita dei vettori z ⊗ z′ e sulla definizione di prodottoscalare in H1 ⊗ H2, prova immediatamente che, se F ⊂ N1 ×N2 e finito∣∣∣∣∣∣

∣∣∣∣∣∣v1 ⊗ v2 −∑

(z,z′)∈Fγzβz′z ⊗ z′

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣2

= ||v1||2||v2||2 −∑

(z,z′)∈F|γz|2|βz′ |2 .

Valendo (9.80) e (9.81), possiamo rendere piccolo a piacere il secondo membro dell’identita sce-gliendo F sempre piu grande. Questo conclude la prova. 2

Esempi 9.2.(1) Esemplificheremo la nozione di spazio prodotto tensoriale, mostrando che lavorando conspazi L2 separabili (spazi delle funzioni d’onda in meccanica quantistica), il prodotto tensorialepuo essere visto in un altro modo equivalente passando alle misure prodotto.Consideriamo una coppia di spazi di Hilbert separabili, L2(Xi, µi) con i = 1, 2, e supponiamo chele misure siano entrambe σ-finite in modo tale che sia ben definita la misura prodotto µ1 ⊗ µ2

su X1 × X2. Vogliamo mostrare che nelle ipotesi fatte:L2(X1, µ1) ⊗ L2(X1, µ1) e L2(X1 × X2, µ1 ⊗ µ2) sono isomorfi in modo naturale come spazi diHilbert.La trasformazione unitaria che identifica tali spazi e l’unica estensione lineare limitata dell’ap-plicazione U0 che associa ogni prodotto tensoriale elementare ψ ⊗ φ ∈ L2(X1, µ1) ⊗ L2(X1, µ1)alla corrispondente funzione ψ · φ ∈ L2(X1 × X2, µ1 ⊗ µ2), dove (ψ · φ)(x, y) := ψ(x)φ(y) perx ∈ X1 e y ∈ X2.La prova e la seguente. Prima di tutto notiamo che, se N1 := ψnn∈N e N2 := φnn∈N sono basihilbertiane in L2(X1, µ1) e L2(X1, µ1) rispettivamente, allora l’insieme N := ψn · φm(n,m)∈N×Ne base hilbertiana in L2(X1 × X2, µ1 ⊗ µ2). Infatti N e banalmente un insieme ortonormale perproprieta elementari della misura prodotto, inoltre, se f ∈ L2(X1 × X2, µ1 ⊗ µ2) e tale che, perogni ψn · φn, ∫

X×X2

f(x, y)ψn(x)φm(y)dµ1(x)⊗ dµ2(y) = 0 ,

dal teorema di Fubini-Tonelli segue che∫X2

∫X1

f(x, y)ψn(x)dµ1(x)φm(y)dµ2(y) = 0 .

Dato che le φm sono una base hilbertiana, questo implica che∫X1

f(x, y)ψn(x)dµ1(x) = 0 ,

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eccetto che per un insieme Sm ⊂ X2 di misura nulla rispetto a µ2. Allora, per y 6∈ S := Um∈NSm(che e di misura nulla essendo unione numerabile di insiemi di misura nulla) vale∫

X1

f(x, y)ψn(x)dµ1(x) = 0

per ogni ψn ∈ N1, che implica che f(x, y) = 0, eccetto che per x ∈ B, essendo B di misura nullarispetto a µ1. In definitiva vale f(x, y) = 0, escludendo i punti dell’insieme S × B che, per leproprieta elementari di misura prodotto, e un insieme di misura nulla rispetto a µ1 ⊗ µ2. Indefinitiva vale f = 0, dove f e pensato come elemento di L2(X1 × X2, µ1 ⊗ µ2). Allora N e unabase hilbertiana essendo insieme ortonormale con ortogonale dato dal vettore nullo.Consideriamo infine l’unica applicazione lineare limitata U che associa l’elemento ψn⊗φm dellabase hilbertiana dello spazio di L2(X1, µ1)⊗L2(X1, µ1) con l’elemento ψn ·φm della base hilber-tiana dello spazio di L2(X1 × X2, µ1 ⊗ µ2). Per costruzione U e unitaria. E inoltre immediatoverificare che U associa ogni elemento ψ ⊗ φ ∈ L2(X1, µ1) ⊗ L2(X1, µ1) con il corrispondenteelemento ψ ·φ ∈ L2(X1×X2, µ1⊗µ2) (basta notare che ψ⊗φ e ψ ·φ hanno le stesse componentinelle rispettive basi) per cui U e un’estensione lineare unitaria di U0. Ogni altra estensionelineare limitata U ′ di U0, dovendo estendere U0, deve ridursi a U quando valutata sulle basiψn ⊗ φm ψn · φm e pertanto deve coincidere con U stessa per linearita e per continuita.(2) Se (Hk, (·|·)) sono n <∞ spazi di Hilbert, in generale distinti, la somma diretta Hilber-tiana di tali spazi,

⊕nk=1 Hk, e definita come lo spazio di Hilbert i cui elementi sono le n-ple

(ψ1, . . . , ψn) ∈ H1 × · · · × Hn, le operazioni di spazio vettoriale sono quelle standard di n-ple edil prodotto scalare e

((ψ1, . . . , ψn)|(φ1, . . . , φn)) :=n∑k=1

(ψi|φi)i

Un altro risultato importante riguardante il prodotto tensoriale hilbertiano e il seguente e ri-guarda il caso in cui tutti gli Hk di una somma hilbertiana coincidono.Se H e uno spazio di Hilbert e 0 < n ∈ N e fissato, lo spazio di Hilbert H ⊗ Cn e naturalmenteisomorfo a

⊕nk=1 H.

La trasformazione unitaria che identifica i due spazi e l’unica estensione lineare limitata del-l’applicazione V0 che associa il prodotto tensoriale elementare ψ ⊗ (v1, . . . , vn) a (v1ψ, . . . , vnψ)per ogni ψ ∈ H e (v1, . . . , vn) ∈ Cn.La dimostrazione si esegue come nell’analogo enunciato nell’esempio (1). Si fissa una base hilber-tiana N ⊂ H. Per costruzione i vettori (ψ, 0, . . . , 0), (0, ψ, 0, . . . , 0), · · · (0, . . . , 0, ψ) definisconouna base Hilbertiana di

⊕nk=1 H se ψ variano in N . Si considera l’unica trasformazione linea-

re limitata che associa ψ ⊗ ei a (0, . . . , ψ, . . . , 0) dove: ψ ∈ N , ei e l’i-esimo vettore di basedella base canonica di Cn e nella n-pla l’unico posto non nullo, occupato da ψ, e proprio l’i-esimo posto. E immediato verificare che tale applicazione e unitaria e si riduce a V0 lavorando suelementi ψ⊗(v1, . . . , vn). L’unicita dell’estensione lineare limitata si prova come nell’esempio (1).

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9.3.2 Prodotto tensoriale di operatori (generalmente non limitati) e loroproprieta spettrali.

Come ultimo argomento matematico introduciamo il prodotto tensoriale di operatori. Se A e Bsono operatori con dominio, rispettivamente D(A) e D(B) nei rispettivi spazi di Hilbert H1 eH2, indicheremo con D(A) ⊗D(B) ⊂ H1 ⊗ H2 il sottospazio delle combinazioni lineari finite dielementi ψ ⊗ φ con ψ ∈ D(A) e φ ∈ D(B). Possiamo provare a definire un operatore

A⊗B : D(A)⊗D(B)→ H1 ⊗ H2

come estensione lineare di ψ⊗ φ 7→ (Aψ)⊗ (Bφ). Il punto da verificare e se una tale estensionelineare sia effettivamente ben definita. Supponiamo pertanto che, per Ψ ∈ D(A)⊗D(B), valganole due decomposizioni (finite!) Ψ =

∑k ckψk ⊗ φk =

∑j c′kψ′j ⊗ φ′j . Dobbiamo verificare che∑

k

ck(Aψk)⊗ (Bφk) =∑j

c′j(Aψ′j)⊗ (Bφ′j) .

Per verificare cio consideriamo una base hilbertiana (finita!) di vettori fr per lo spazio generatoda tutti i vettori ψk unitamente ai vettori ψ′j , ed una analoga base di vettori gs per lo spaziogenerato da tutti i vettori φk unitamente ai vettori φ′j . In particolare avremo che

ψk ⊗ φk =∑r,s

α(i)rs fr ⊗ gs , ψ′j ⊗ φ′j =

∑r,s

β(j)rs fr ⊗ gs .

Inoltre, dato che siamo partiti dallo stesso vettore Ψ decomposto in due modi diversi, deve valereanche ∑

k

ckα(k)rs =

∑j

c′jβ(j)rs .

Usando queste tre identita si trova immediatamente che:

(AÜ⊗B)∑k

ckψk ⊗ φk =∑rs

(∑k

ckα(k)rs )((Afr)⊗ (Bgs))

=∑rs

(∑j

c′jβ(j)rs )((Afr)⊗ (Bgs)) = (A⊗B)

∑j

c′kψ′j ⊗ φ′j .

Quindi A⊗B e in effetti ben definito.

Definizione 9.7. Siano A e B operatori con domini, rispettivamente D(A) e D(B) nei rispettivispazi di Hilbert H1 e H2, e D(A) ⊗ D(B) ⊂ H1 ⊗ H2 denoti il sottospazio delle combinazionilineari finite di elementi ψ ⊗ φ con ψ ∈ D(A) e φ ∈ D(B).Il prodotto tensoriale di A e B e l’operatore lineare A⊗B : D(A)⊗D(B)→ H1⊗H2 ottenutoestendendo per linearia:

ψ ⊗ φ 7→ (Aψ)⊗ (Bφ) , per ψ ∈ D(A) e φ ∈ D(B).

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La definizione si estende in modo ovvio al caso di N operatori Ak : D(Ak) → Hk, con dominioD(Ak) ⊂ Hk (Hk spazio di Hilbert), definendo l’operatore prodotto tensoriale degli Ak:

A1 ⊗ · · · ⊗AN : D(Ak)⊗ · · · ⊗D(AN )→ H1 ⊗ · · · ⊗ HN .

Per le applicazioni e utile il seguente primo elementare risultato.

Proposizione 9.7. Se k = 1, . . . , N , siano Ak : D(Ak) → Hk operatori sugli spazi di HilbertHk. Vale quanto segue.(a) Se D(Ak) = Hk e Ak e chiudibile per k = 1, . . . , N , allora gli operatori definiti sul dominioD(Ak)⊗ · · · ⊗D(AN ):

I , A1 ⊗ I ⊗ · · · ⊗ I , . . . , I ⊗ · · · ⊗Ak ⊗ · · · ⊗Ah ⊗ · · · ⊗ I , . . . , A1 ⊗ · · · ⊗An

e, sullo stesso dominio, le combinazioni lineari finite di tali operatori, sono tutti operatori chiu-dibili.(b) Se D(Ak) = Hk e Ak ∈ B(Hk) per k = 1, . . . , N e allora A1⊗ · · · ⊗AN ∈ B(H1⊗ · · · ⊗HN )e ||A1 ⊗ · · · ⊗AN || = ||A1|| · · · ||AN ||

Prova. (a) Limitiamoci al caso n = 2, il caso generale e del tutto anaolgo. Si osservi cheD(A1) ⊗ D(A2) e denso per costruzione, per cui gli operatori menzionati in (a) ammettonoaggiunto. Si consideri il vettore generico Ψ ∈ D(A∗1)⊗D(A∗2). Per definizione: (Ψ|A1⊗A2Φ) =(A∗1 ⊗A∗2Ψ|Φ) per ogni Φ ∈ D(A1)⊗D(A2). Ma allora, dalla definizione di aggiunto:

D(A∗1)⊗D(A∗2) ⊂ D((A1 ⊗A2)∗) .

Per (b) di teorema 5.1, essendo A1 e A2 con domini densi e chiudibili, il dominio dei rispettiviaggiunti dovra essere denso e di conseguenza D((A1⊗A2)∗) e anch’esso densamente definito percui A1 ⊗ A2 e chiudibile. La prova per combinazioni lineari e la stessa. La prova di (b) e datanegli esercizi 9.2. 2

Vogliamo ora studiarne alcune proprieta di polinomi di operatori A1 ⊗ · · · ⊗AN , quando gli Aksiano autoaggiunti.Nell’enunciato del teorema, gli argomenti Ak del polinomio Q andrebbero piu propriamente inte-si come I⊗· · ·⊗I⊗Ak⊗I⊗· · ·⊗I, ma noi scriveremo semplicemente Ak per non sovraccaricarela notazione.

Teorema 9.7. Siano Ak : D(Ak)→ Hk, con D(Ak) ⊂ Hk, per k = 1, 2, . . . , N operatori autoag-giunti e sia Q(a1, . . . , an) un polinomio a coefficienti reali di grado nk nella k-esima variabile.Sia Dk ⊂ D(Ak) un dominio di essenziale autoaggiunzione per Ankk . Vale quanto segue.(a) Q (A1, . . . , A1) e essenzialmente autoaggiunto su

⊗Nk=1D(Ankk ) e su

⊗Nk=1Dk;

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(b) Se ogni Hk e separabile, lo spettro di Q (A1, . . . , A1) e la chiusura dell’immagine di Q sulprodotto degli spettri di Ak:

σQ (A1, . . . A1)

= Q (σ(A1), . . . , σ(AN )) .

Osservazioni.(1) Usando il teorema 9.7 si puo rispondere positivamente alla domanda naturale: se Ak e au-toaggiunto, allora l’operatore chiuso I ⊗ · · · I ⊗Ak ⊗ I ⊗ · · · ⊗ I e autoaggiunto?Basta scegliere Dk = D(Ak) e Di = Hi per i 6= k e notare che un operatore chiuso essenzialmenteautoaggiunto e autoaggiunto (l’unica estensione autoaggiunta e infatti la sua chiusura).(2) La seconda parte del teorema 9.8 implica per esempio che, se Ak e un proiettore ortogo-nale, allora lo e anche I ⊗ · · · I ⊗Ak ⊗ I ⊗ · · · ⊗ I. Infatti, se A e proiettore ortogonale, il suospettro e uguale o contenuto in 0, 1 (ed e chiuso). Per il teorema 9.9, usando il polinomiobanale a 7→ a, l’operatore autoaggiunto I ⊗ · · · I ⊗Ak ⊗ I ⊗ · · · ⊗ I risulta avere lo stesso spet-tro. Per il teorema spettrale, un operatore autoaggiunto e un proiettore ortogonale se e solo seha spettro uguale o incluso in 0, 1. Quindi I ⊗ · · · I ⊗Ak ⊗ I ⊗ · · · ⊗ I e proiettore ortogonale.

Prova del teorema 9.7. (a) Per prima cosa notiamo che l’operatore Q(A1, . . . , An) e ben defi-nito su D := ⊗Nk=1D(Ankk ) (in particolare per (iv) in (c) del teorema 9.1) ed e simmetrico sutale dominio, come si prova per computo diretto, applicando la definizione di prodotto tenso-riale di operatori, tenendo conto che i coefficienti di Q sono reali e che ogni Amk con m ≤ nke simmetrico su D(Ankk ). Possiamo dire di piu : Q(A1, . . . , An) e essenzialmente autoaggiunto suD, la prova segue facilmente dal teorema 5.8 di Nelson, esibendo un insieme di vettori analiticiper Q(A1, . . . , An) il cui spazio generato sia denso nello spazio di Hilbert globale. Tenendo contodi (1) in esempi 9.2, una tale classe di vettori analitici si definisce come quella dei prodotti ten-soriali ψ(L,1)

αL ⊗· · ·⊗ψ(L,N)αL , con L = 1, 2, . . ., dove ψ(L,k)

αL αL∈GL ⊂ D e una base hilbertiana delsottospazio chiuso P (Ak)([−L,L) ∩ σ(Ak)), essendo P (Ak) la misura spettrale di Ak ed avendocura, ad ogni incremento di L: passando da [−L,L] a [−L − 1, L) ∪ [−L,L) ∪ [L,L + 1), diconservare gli stessi elementi di base relativi al sottospazio associato all’intervallo [−L,L). Ilfatto che questi vettori siano analitici per Q(A1, . . . , An) si prova facilmente seguendo la stes-sa strada usata per dimostrare (f) nella proposizione 9.8 (la cui dimostrazione e indipendentedal presente teorema). Per provare che Q(A1, . . . , An) e anche essenzialmente autoaggiunto suD(e) := ⊗Nk=1Dk e ora sufficiente provare che vale l’inclusione operatoriale Q(A1, . . . , An)D(e) ⊃Q(A1, . . . , An) D (infatti, per costruzione Q(A1, . . . , An) D(e)⊂ Q(A1, . . . , An) D e quindiQ(A1, . . . , An)D(e) ⊂ Q(A1, . . . , An)D; se ancora Q(A1, . . . , An)D(e) ⊃ Q(A1, . . . , An)D, al-lora deve essere Q(A1, . . . , An)D(e) = Q(A1, . . . , An)D ed il secondo membro e autoaggiuntoper cui l’operatore Q(A1, . . . , An) D(e) e essenzialmente autoaggiunto essendo simmetrico conchiusura autoaggiunta.)Per provare che Q(A1, . . . , An)D(e) ⊃ Q(A1, . . . , An) D si supponga che ⊗Nk=1φk ∈ D, allo-ra φk ∈ D(Ankk ), ed essendo Dk dominio di essenziale autoaggiunzione di Ankk , deve esiste-re una successione φlkl∈N con φlk → φk e Ankk φ

l → Ankk φk se l → +∞. Una facile stima

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implica allora che Ankk φl → Ankk φk se l → +∞ quando 1 ≤ m ≤ nk. Concludiamo che

⊗Nk=1φlk → ⊗Nk=1φk e Q(A1, . . . , AN )(⊗Nk=1φ

lk) → Q(A1, . . . , AN )(⊗Nk=1φk) quando l → +∞.

Il risultato si estende alle combinazioni lineari finite di vettori della forma ⊗Nk=1φk. Questoimplica che Q(A1, . . . , An)D(e) ⊃ Q(A1, . . . , An)D.Passiamo a provare (b). Per prima cosa, sfruttando (c) del teorema 9.3 ed tenendo conto della se-parabilta di ciascuno spazio H, rappresentiamo ogni operatore autoaggiunto Ak in termini di unoperatore moltiplicativo per la funzione Fk nello spazio di Hilbert L2(Mk, µk) che e identificatocon Hk. Ricordiamo che ⊗Nk L2(Mk, µk) e isomorfo a L2(×Nk=1Mk, µ) con µ = ⊗Nk=1µk, comediscusso in (1) di esempi 9.2. Sotto tale isomorfismo, l’operatore Q(A1, . . . , AN ) su D corrispon-de alla moltiplicazione per la funzione Q(F1, . . . , FN ) e D corrisponde allo spazio generato inL2(×Nk=1Mk, µ) da prodotti finiti φ1(m1) · · ·φN (mN ) tali che Fnkk · φk ∈ L2(Mk, µk).Supponiamo che λ ∈ Q(σ(A1), . . . , σ(AN )). Se I 3 λ e un intervallo aperto, allora Q−1(I) ⊃×Nk=1Ik per qualche intervallo aperto Ik ⊂ R, in modo tale che Ik ∩ σ(Ak) 6= ∅ per ognik = 1, 2, . . . , N . Si osservi ora che σ(Ak) = ess ran(Fk), dove si e tenuto conto di (4) inesercizi 9.1. Conseguentemente µk(F−1

k (Ik)) 6= 0 e quindi µ[Q(F1, . . . , FN )−1(I)] 6= 0. Que-sto significa che λ ∈ ess ranQ(F1, . . . , FN ) = σ(Q(A1, . . . , PN )) per (4) in esercizi 9.1. Viceversa,se λ 6∈ Q(σ(A1), . . . , σ(AN )) allora (λ − Q(F1, . . . , FN )) : ×Nk=1Mk → R e limitata e dunqueλ ∈ ρ(Q(A1, . . . , AN )), cioe λ 6∈ σ(Q(A1, . . . , AN )). 2

9.3.3 Un esempio: il momento angolare orbitale.

In meccanica quantistica le osservabili che corrispondono alle 3 componenti cartesiane del mo-mento angolare orbitale di una particella sono le uniche estensioni autoaggiunte dei tre operatorisullo spazio di Hilbert L2(R3, dx) (dove dx e la misura di lebesgue su R3):

L1 := X2S(R3) P3S(R3) −X3S(R3) P2S(R3) , L2 := X3S(R3) P1S(R3) −X1S(R3) P3S(R3)

L3 := X1S(R3) P2S(R3) −X2S(R3) P1S(R3) , (9.82)

dove Xi e Pi sono gli operatori posizione ed impulso introdotti nella sezione 5.3, e S(R3) e lospazio di Schwartz delle funzioni a valori complessi, infinitamente differenziabili, che si annul-lano all’infinito piu rapidamente di ogni potenza negativa di r :=

Èx2

1 + x22 + x2

3. Nel seguitosceglieremo dominio come D(L1) = D(L2) = D(L3) = S(R3), dato che S(R3) e un sottospazioinvariante per gli operatori Xi e Pi (e quindi anche per ogni Li). Mostreremo nel seguito chegli operatori momento angolare orbitale Li, sul dominio detto, sono essenzialmente autoag-giunti e ne espliciteremo uno sviluppo spettrale e lo spettro. In questa sede ci occuperemo solodelle proprieta matematiche degli operatori in questione, lasciando ogno commento di caratterefisico ai capitoli 10 e 11.Nel seguito ci concentreremo unicamente sull’operatore L3, dato che, cambiando i nomi dellecoordinate, quanto diremo per esso si puo estendere agli altri due analoghi operatori. Esplicita-mente si puo scrivere:

L3 = −i~x1

∂x2− x2

∂x1

,

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dove x1 e x2 si devono intendere come operatori moltiplicativi per le corrispondenti funzioni.Un quarto operatore che useremo nel seguito e l’operatore momento angolare totale (elevatoal quadrato):

L2 := L21 + L2

2 + L23 ;

definito su S(R3). Anche tale operatore e essenzialmente autoaggiunto su S(R3). Calcoleremolo spettro e daremo la forma esplicita dello sviluppo spettrale di L2 := L2.Per determinare gli sviluppi spettrali e gli spettri detti, conviene esplicitare gli operatori consi-derati in coordinate polari sferiche r, θ, φ dove x1 = r sin θ cosφ, x2 = r sin θ sinφ, x3 = r cos θ equindi r ∈ (0 +∞), θ ∈ (−π/2, π/2), φ ∈ (−π, π). In questo modo si trova, con qualche banalecalcolo, che:

L3 = −i~ ∂

∂φ, L2 = −~2

1

sin2 θ

∂2

∂φ2+

1sin θ

∂θ

sin θ

∂θ

, (9.83)

dove gli operatori agiscono sulle funzioni dello spazio di Schwartz S(R3) il cui argomento e sottopostoal cambio di coordinate indicato sopra. Dalla (9.83) risulta evidente che i due operatori nondipendono dalla coordinata radiale r. Questo fatto si rivelera di cruciale importanza. Tenendoconto di cio , notiamo che R3 = S2× [0,+∞), dove (a meno di insiemi di misura nulla) la super-ficie sferica di raggio unitario S2 e lo spazio su cui variano le coordinate θ, φ, mentre [0,+∞) e lospazio su cui varia la coordinata radiale r; ulteriormente la misura di Lebesgue di R3 puo esserevista come il prodotto delle misure:

dx = dω(θ, φ)⊗ r2dr ,

dove:dω(θ, φ) = sin θdθdφ

e la misura standard su S2 identificata con il rettangolo (−π/2, π/2) × (−π, π) in coordinate(θ, φ) (l’insieme S2 \ ((−π/2, π/2)× (−π, π)) ha dω-misura nulla e pertanto non crea problemi).In questo modo abbiamo anche la decomposizione:

L2(R3, dx) = L2(S2 × [0,+∞), dω(θ, φ)⊗ r2dr) .

In base a (1) in esempi 9.2, abbiamo infine che:

L2(R, dx) = L2(S2, dω)⊗ L2((0,+∞), r2dr) . (9.84)

A questo punto definiamo gli operatori nello spazio di Hilbert L2(S2, dω):

S2L3 = −i~ ∂

∂φ, S2L2 = −~2

1

sin2 θ

∂2

∂φ2+

1sin θ

∂θ

sin θ

∂θ

, (9.85)

con dominio C∞((−π/2, π/2)× (−π, π)), riferito alle coordinate (θ, φ), che si puo provare esseredenso in L2(S2, dω) (lo si provi per esercizio). Tali operatori risultano essere hermitiani e quindisimmetrici come e facile verificare per computo diretto. Prima della formulazione della meccanica

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quantistica, dallo studio dell’equazione di Laplace (e dall’elettrodinamica classica) era gia notoche esiste una base hilbertiana di L2(S2, dω) costituito dalle cosiddette armoniche sferiche[NiOu82]:

Y ml (θ, φ) :=

(−1)l

2ll!

√(2l + 1)

4π(l +m)!(l −m)!

eimφ1

sinm φdl−m

d(cos θ)l−m(1− cos2 θ)l , (9.86)

dove:l = 0, 1, 2, . . . m ∈ N , |m| ≤ 2l + 1 . (9.87)

Le funzioni Y lm ∈ C∞((−π/2, π/2)× (−π, π)) sono note autofunzioni degli operatori differenziali

S2L3 e S2Lz dati in (9.83), valendo:

S2L3Ylm = ~mY l

m , S2L2Y lm = ~2 l(l + 1)Y l

m . (9.88)

Si osservi che la prima identita e ovvia per definizione delle funzioni Y lm. In particolare i vet-

tori Y lm sono un insieme di vettori analitici degli operatori simmetrici S2L2 e S2L3, definiti su

C∞((−π/2, π/2)×(−π, π)). Dato che le Y lm formano una base hilbertiana dello spazio L2(S2, dω),

esse garantiscono, per il criterio di Nelson (teorema 5.8), che gli operatori S2L2 e S2L3 definitisu C∞((−π/2, π/2)× (−π, π)) siano essenzialmente autoaggiunti. Seguendo la stessa procedurausata nella sezione 9.1.3 per l’operatore hamiltoniano dell’oscillatore armonico unidimensionale,concludiamo che le decomposizioni spettrali di L2 := L2 e L3 := Lz sono:

S2L2 = s-∑

l∈N, m∈Z ,|m|≤2l+1

~2 l(l + 1)Y lm(Y l

m| ) e S2L3 = s-∑

l∈N, m∈Z ,|m|≤2l+1

~mY lm(Y l

m| ) (9.89)

e, contestualmente, gli spettri sono:

σ(S2L2) = σp(S2L2) =

~2 l(l + 1)∣∣∣ l = 0, 1, 2 . . .

, (9.90)

eσ(S2L3) = σp(S2L3) = ~m | |m| ≤ 2l + 1 ,m ∈ Z, l = 0, 1, 2 . . . . (9.91)

Torniamo ora allo spazio L2(R3, dx). Dato che lo spazio D(0,+∞) delle funzioni C∞ a supportocompatto in (0,+∞) e denso nello spazio di Hilbert separabile L2((0 +∞), r2dr), per (b) inproposizione 3.4, esistera una base hilbertiana ψnn∈N costituita da funzioni in D(0,+∞). Siverifica per computo diretto, passando in coordinate cartesiane, che le funzioni:

fl,m,n(x) = Y lm(θ, φ)ψn(r) , (9.92)

sono funzioni di classe C∞(R3) (le uniche singolarita apparirebbero per x = 0, ma in un intor-no di tale punto le funzioni dette si annullano per costruzione). Per costruzione, le funzionifl,m,n hanno anche supporto compatto e pertanto appartengono a S(R3). Notando che, con ledefinizioni date e tenendo conto dei domini degli operatori considerati:

S2L3 ⊗ ID(0,+∞)⊂ L3 e S2L2 ⊗ ID(0,+∞)⊂ L2 ,

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concludiamo che Y lm ⊗ ψn | n, l ∈ N, |m| ≤ 2l + 1 ,m ∈ Z ⊂ S(R3), e una base hilbertiana di

L2(R3, dx) = L2(S2, dω) ⊗ L2((0,+∞), r2dr) per quanto visto in (2) in esempi 9.2. Dato che,evidentemente, pensando L3 e L2 come operatori su S(R3),

L3Ylm ⊗ ψn = ~mY l

m ⊗ ψn , L2Y lm ⊗ ψn = ~2 l(l + 1)Y l

m ⊗ ψn . (9.93)

possiamo concludere nuovamente che L2 e L3 sono essenzialmente autoaggiunti su tale dominioe valgono sviluppi spettrali per le loro uniche estensioni autoaggiunte L2 := L2 e Lz := Lz deltipo:

L2 = s-∑

l,n∈N, m∈Z ,|m|≤2l+1

~2 l(l+1)Y lm⊗ψn(Y l

m⊗ψn| ) e Lz = s-∑

l,n∈N, m∈Z ,|m|≤2l+1

~mY lm⊗ψn(Y l

m⊗ψn| ), (9.94)

Mentre gli spettri di L2 := e L3 sono ancora dati da (9.90) e (9.91). Si noti che le misurespettrali di L2 e di L3 commutano.Si puo arrivare agli stessi risultati applicando in modo opportuno il teorema 9.7.

Esercizi 9.2.(1) Si supponga che V : R3 → R sia tale che l’operatore simmetrico H1 individuato dall’opera-tore differenziale −∆x + V (x) sia essenzialmente autoaggiunto su S(R3), dove ∆x :=

∑3k=1

∂2

∂x2i

e l’operatore di Laplace. Si provi che l’operatore simmetrico H su L2(R3 × R3, dx ⊗ dy) datodall’operatore differenziale −∆x + V (x)−∆y + V (y) e essenzialmente autoaggiunto sullo spaziogenerato dai prodotti finiti di funzioni in S(R3), una nella variabile x e l’altra nella variabile y.Si provi infine che:

σ(H) = σ(H1) + σ(H1) .

(2) Provare che se Ak ∈ B(Hk) per k = 1, . . . , N , allora A1 ⊗ · · · ⊗Ak ∈ B(H1 ⊗ · · · ⊗ HN ).Soluzione. Consideriamo il caso N = 2, il caso generale e analogo. Se ψ = fii∈I e gjj∈J

sono basi hilbertiane di H1 e H2, si consideri la somma finita ψ :=∑ij cijfi ⊗ gj . Allora

||(A1 ⊗ I)ψ||2 =∑j ||∑i cijA1fi||2 ≤

∑j ||A1||2

∑i |cij |2 = ||A1||2||ψ||2. Per densita si conclude

che ||A1 ⊗ I|| ≤ A. Quindi ||A1 ⊗A2|| ≤ ||A1 ⊗ I|| ||I ⊗A2|| ≤ ||A1|| ||A2||.(3) Mostrare che, nelle ipotesi in (2), vale anche:

||A1 ⊗ · · · ⊗Ak|| = ||A1|| · · · ||AN || .

Soluzione. Consideriamo ancora il caso n = 2, il caso generale ssendo analogo. Se A1 = 0o A2 = 0 la tesi e ovvia, per cui assumiamo ||A1||, ||A2|| > 0. Nella soluzione di (2) abbiamotrovato che ||A1 ⊗ A2|| ≤ ||A1|| ||A2||, per cui e sufficiente mostrare la disuguaglianza opposta.Dalla definizione di ||A1|| e ||A2||, segue che per ogni ε > 0 esistono ψ

(ε)1 ∈ H1 e ψ(ε)

2 ∈ H2,||ψ(ε)

1 ||, ||ψ(ε)2 || = 1, tali che | ||Aiψ(ε)

i || − ||Ai|| | < ε e quindi, in particolare, ||ψ(ε)i || ≥ ||Ai|| − ε.

Con queste scelte:

||(A1 ⊗A2)(ψ(ε)1 ⊗ ψ

(ε)2 )|| = ||A1ψ

(ε)1 || ||A2ψ

(ε)2 || ≥ ||A1|| ||A2|| − ε(||A1||+ ||A2||) + ε2 .

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e quindi, notando che ||ψ(ε)1 ⊗ ψ

(ε)2 || = 1, ed essendo ||A1 ⊗ A2|| = sup||ψ||=1 ||A1 ⊗ A2ψ|| ≥

||(A1 ⊗A2)(ψ(ε)1 ⊗ ψ

(ε)2 )||, abbiamo, che per ogni ε > 0:

||A1 ⊗A2|| ≥ ||A1|| ||A2|| − ε(||A1||+ ||A2||) + ε2 .

Per ε > 0 in un intorno di 0, si ha −ε(||A1||+ ||A2||) + ε2 < 0, e tale valore tende a 0 se ε→ 0+.Concludiamo che deve essere ||A1 ⊗A2|| ≥ ||A1|| ||A2|| come richiesto.(4) Provare che se Ak ∈ B(Hk) per k = 1, . . . , N allora (A1 ⊗ · · · ⊗Ak)∗ = A∗1 ⊗ · · · ⊗A∗N .

Suggerimento. Tenendo conto di (2) e verificare cheA∗1⊗· · ·⊗A∗N soddisfa le proprieta dell’operatoreaggiunto per operatori limitati definiti su tutto lo spazio di Hilbert (proposizione 3.5).(5) Mostrare che se Pk ∈ B(Hk) per k = 1, . . . , N sono proiettori oprtogonali allora P1⊗· · ·⊗Pke un proiettore ortogonale.

9.4 Esponenziale di operatori non limitati: vettori analitici.

In questa sezione tecnica sviluppiamo alcune proprieta dei vettoria analitici introdotti alla finedel capitolo 5.Ricordiamo che (definizione 5.11), se A e un operatore sullo spazio di Hilbert H con dominioD(A), un vettore ψ ∈ D(A) tale che, Anψ ∈ D(A) per ogni n ∈ N (A0 := I), e detto vettore C∞

per A ed il sottospazio vettoriale di H dei vettori C∞ per A si indica con C∞(A). ψ ∈ C∞(A)e detto vettore analitico per A, se vale:

+∞∑n=0

||Anψ||n!

tn < +∞ , per qualche t > 0. (9.95)

Vale infine il teorema di Nelson (dimostrato come teorema 5.8) che afferma che:

Teorema di Nelson. Un operatore A simmetrico nello spazio di Hilbert H e essenzialmenteautoaggiunto se il suo dominio D(A) contiene un insieme di vettori analitici per A le cui com-binazioni lineari finite sono dense in H.

Osservazioni.(1) Se A : D(A)→ H e autoaggiunto allora D(A) contiene un insieme denso di vettori analitici:si tratta di tutti i vettori ψ per i quali P (A)(E)ψ = ψ per qualche borelliano limitato E ⊂ σ(A),dove P (A)(E) e il generico proiettore della misura spettrale di A. Per ognuno di tali vettori ilvalore di t > 0 in (9.95) puo essere scelto arbitrariamente grande. Lasciamo la semplice provadi tale fatto per esercizio.(2) Segue immediatamente dalla disuguaglianza triangolare che se ψ, φ ∈ C∞(A) soddisfano la(9.95) allora ogni loro combinazione lineare soddisfa la stessa disuguaglianza. Pertanto l’insemedei vettori analitici di un operatore A per un fissato valore t e un sottospazio dello spazio diHilbert.

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Notazione. Se A e un operatore sullo spazio di Hilbert H con dominio D(A), nel seguitoA (A, t) indichera il sottospazio di C∞(A) che soddisfano (9.95) per il valore t > 0 indicato,inoltre A (A,+∞) :=

⋂t>0 A (A, t).

Un risultato elementare che della nozione di vettore analitico e la seguente utile proposizione(essenzialmente dovuta a Nelson) che riguarada, in particolare, l’esponenziale di operatori nonlimitati.

Proposizione 9.8. Sia A : D(A)→ H operatore sullo spazio di Hilbert H con dominio dato dalsottospazio D(A) ⊂ H. Valgono i seguenti fatti.(a) A (A, t) e uno spazio vettoriale.(b) Se A e chiudibile allora:

A (A, t) ⊂ A (A, t) .

(c) Per ogni c ∈ C, definendo A+ cI sul suo dominuo naturale, vale:

A (A+ cI, t) = A (A, t) ,

se inoltre A e hermitiano, definendo A2 sul suo dominuio naturale, vale anche:

A (A2, t) ⊂ A (A, t) .

(d) Se A e autoaggiunto e ψ ∈ A (A, t) ∩D(ezA), allora:

ezAψ =+∞∑n=0

zn

n!Anψ per ogni z ∈ C con |z| ≤ t . (9.96)

se Rez = 0 con |z| ≤ t la (9.96) vale per ogni ψ ∈ A (A, t).(e) Se A e autoaggiunto allora:

eisA(A (A, t)) ⊂ A (A, t) per ogni s ∈ R.

(f) Se A e autoaggiunto allora D(A) contiene un sottoinsieme denso i cui elementi sono inA (PN (A), t) per ogni t > 0 e per ogni polinomio PN (A) dell’operatore A di ordine finitoN = 0, 1, . . ..

Prova. (a) La tesi affermazione segue immediatamente dalla definizione di vettore analitico edalla maggiorazione:

||An(aψ + bφ)|| ≤ |a| ||Anψ||+ |b| ||Anφ|| .

(b) Segue immediatamente dalle definizioni tenendo conto che A e un’estensione di A e pertantoAn e un estensione di An.

(c) Cominciamo con la prima proprieta . Si osservi prima di tutto che, per costruzione C∞(A) =C∞(A2). Inoltre, essendo A hermitiano e valendo

√x ≤ 1 + x per x ≥ 0, deve essere su C∞(A):

||Anψ|| =È

(ψ|A2nψ) ≤È||ψ||

È||A2nψ|| ≤

È||ψ||(1 + ||(A2)nψ||) .

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Vale allora, per t > 0,

+∞∑n=0

tn

n!||Anψ|| ≤

È||ψ||

+∞∑n=0

tn

n!||(A2)nψ||+

È||ψ||

+∞∑n=0

tn

n!=È||ψ||

(+∞∑n=0

tn

n!||(A2)nψ||+ et

),

da cui segue immediatamente la tesi.Per la seconda proprieta notiamo che:

+∞∑n=0

1n!||(A+ cI)nψ|| =

+∞∑n=0

1n!

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣n∑k=0

n!k!(n− k)!)

|c|n−kAkψ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ ≤

+∞∑n=0

n∑k=0

|c|n−k

(n− k)!

∣∣∣∣∣∣Akψ∣∣∣∣∣∣k!

=+∞∑p=0

+∞∑k=0

|c|p

p!

∣∣∣∣∣∣Akψ∣∣∣∣∣∣k!

= e|c|+∞∑k=0

∣∣∣∣∣∣Akψ∣∣∣∣∣∣k!

.

Quanto ottenuto dimostra che A (A + cI, t) ⊂ A (A, t). Definiamo ora A′ := A + cI, per cuiA = A′ + c′I con c′ = −c. In base a quanto provato: A (A′ + c′I, t) ⊂ A (A′, t): Ma questoequivale a A (A, t) ⊂ A (A+ cI, t) e quindi A (A, t) = A (A+ cI, t).(d) Per un fissato φ ∈ H indichiamo con µφ,ψ la misura di Borel complessa µφ,ψ(E) :=

φ|P (A)(E)ψ

e, per ogni fissato χ ∈ H, µχ indichi la misura positiva finita µχ(E) :=

χ|P (A)(E)χ

. Usando

la decomposizione di Radon-Nykodym (vedi Esempi 2.2) dµφ,ψ = hd|µφ,ψ| con |h| = 1 ovunque,si ha subito che, se ψ appartiene al dominio di f(A), allora∣∣∣∣∫

Rf d|µφ,ψ|

∣∣∣∣ =∣∣∣∣∫

Rfh dµφ,ψ

∣∣∣∣ =∣∣∣∣φ ∣∣∣∣∫

Rfh dP (A)ψ

∣∣∣∣ ≤ ||φ|| ∣∣∣∣∣∣∣∣∫Rfh dP (A)ψ

∣∣∣∣∣∣∣∣ = ||φ||Ê∫

R|f |2dµψ.

Se z ∈ C e |z| ≤ t allora:

+∞∑n=0

∫σ(A)

∣∣∣∣znn!xn∣∣∣∣ d|µφ,ψ(x)| =

+∞∑n=0

∣∣∣∣znn!

∣∣∣∣ ∫σ(A)|xn|d|µφ,ψ(x)| ≤

+∞∑n=0

tn

n!||φ||

∫σ(A)

x2ndµψ(x)1/2

=+∞∑n=0

||φ|| tn

n!||Anψ|| = ||φ||

+∞∑n=0

tn

n!||Anψ|| < +∞ ,

dove abbiamo usato nell’ultimo passaggio:

+∞∑n=0

||Anψ||n!

tn < +∞ . (9.97)

Il teorema di Fubini-Tonelli implica che, se |z| ≤ t, possiamo scambiare il simbolo di serie conquello di integrale in ∫

σ(A)

+∞∑n=0

zn

n!xndµφ,ψ(x) .

337

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Allora, se |z| ≤ t e se ψ appartiene al dominio di ezA (cfr definizione 9.2) e valendo (v) in (c)nel teorema 9.1, si ha subito:

(φ|ezAψ) =∫σ(A)

ezxdµφ,ψ =∫σ(A)

+∞∑n=0

zn

n!xndµφ,ψ =

+∞∑n=0

zn

n!

∫σ(A)

xndµφ,ψ =+∞∑n=0

zn

n!(φ|Anψ) .

Dato che in virtu di (9.97) la serie:+∞∑n=0

zn

n!Anψ

converge in H ed il prodotto scalare e continuo, l’identita ottenuta sopra puo essere trascrittacome:

(φ|ezAψ) =

∣∣∣∣∣+∞∑n=0

zn

n!Anψ

).

Per l’arbitrarieta di φ questa equivale a (9.96). Nel caso in cui Rez = 0, la funzione R 3 x 7→ ezx

e banalmente limitata e pertanto il dominio di ezA e tutto lo spazio di Hilbert per il teorema9.1 tenendo conto che ogni misura positiva µψ e finita.(e) Usando (iii) in (c) del teorema 9.1, segue immediatamente che se ψ ∈ C∞(A) ⊂ C∞(A) eAneisAψ = eisAAnψ, ma, dato che eisA e unitario ||eisAAnψ|| = ||Anψ|| da cui segue immedia-tamente la tesi.(f) Consideriamo la decomposizione spettrale A =

∫R xdP

(A)(x), quindi decomponiamo la ret-ta reale R = ∪n∈Z(n, n + 1] ed infine consideriamo i sottospazi chiusi, a due a due ortogonali,Hn = Pn(H), dove abbiamo definito i proiettori ortogonali: Pn :=

∫(n,n+1]

∫R 1dP (A)(x). Sceglien-

do una base hilbertiana ψ(n)k k∈Kn ⊂ Hn per ogni n, l’unione di tali base forma ovviamente

una base hilbertiana di H. Ogni vettore ψ(n)k appartiene a D(A) essendo

∫R |x|2dµψ(n)

k

(x) =∫(n,n+1] |x|2dµψ(n)

k

(x) ≤ |n + 1|2 ed e banalmente un vettore analitico, dato che AHn e limitato

con ||AHn || ≤ |n + 1|. Le combinazioni lineari finite di tali vettori sono, per costruzione, unsottospazio vettoriale denso in H, e sono anche vettori analitici per A in virtu di (a).Consideraimo ora un polinomio di ordine N a coefficienti generalmente complessi, PN (x) =∑Nk=0 x

n, e definiamo PN (A) sul dominio D(PN (A)) = D(AN ). Vogliamo verificare che ciascunodei vettori ψ(n)

k determinati sopra e un vettore analitico per l’opertaore chiuso (autoaggiunto sePN e reale) PN (A). Scegliamo uno dei vettori suddetti che indicheremo con ψ, e supponiamo chela sua misura spettrale µψ abbia supporto in qualche intervallo finito (−L,L]. Abbiamo allorache ||Akψ|| ≤ Lk dato che: ||Akψ||2 =

∫(−L,L] x

2kdµψ(x) ≤ L2k. Conseguentemente:

||P (A)ψ|| =

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣N∑k=0

akAkψ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ ≤

N∑k=0

|ak|||Akψ|| =N∑k=0

|ak|Lk .

Con la stessa procedura troviamo:

||P (A)nψ|| =

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣

N∑k1,...,kn=0

ak1 · · · aknAk1+···+knψ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ ≤

N∑k1,...,kn=0

|ak1 | · · · |akn |||Ak1+···+knψ||

338

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≤N∑

k1,...,kn=0

|ak1 | · · · |akn |Lk1+···+kn .

Concludiamo che, se ML :=∑Nk=0 |ak|Lk, allora deve essere:

||P (A)nψ|| ≤MnL

e pertanto ψ e un vettore analitico per P (A) per ogni valore di t > 0. 2

9.5 Teorema di decomposizione polare per operatori non limi-tati.

Consideriamo un operatore chiuso e con dominio denso, A : D(A)→ H, nello spazio di Hilbert H.Usando il fatto che, come vedremo, A∗A e autoaggiunto positivo e sfruttando il teorema spettraleper operatori non limitati, e possibile definire l’operatore positivo autoaggiunto |A| :=

√A∗A.

Se definiamo, almeno su Ran(|A|), l’operatore U = A|A|−1, estendendolo all’operatore nullosull’ortogonale di Ran(|A|), abbiamo immediatamente che vale la decomposizione:

A = U |A| .

Formalmente, e senza prestare troppa attenzione ai domini, si verifica che U Ran(|A|) e un’iso-metria. In questo modo si ottiene, a livello euristico, una generalizzazione del teorema 3.9 didecomposizione polare, che abbiamo provato per operatori limitati definiti su tutto lo spaziodi Hilbert. Questo approccio diretto ha tuttavia il difetto che non e evidente su quale dominiovalga la decomposizione di sopra (a priori i domini di A e di |A| possono essere differenti) ed iltentativo di rendere rigoroso il ragionamento si rivela piuttosto pesante. Pertanto noi seguiremoun approccio piu indiretto basato su un teorema piu generale.L’estensione del teorema di decomposizione polare che troveremo alla fine gioca un ruolo fon-damentale nella teoria quantistica dei campi rigorosa, in riferimento alla teoria modulare diTomita-Takesaki ed alla definizione degli stati termici KMS [BrRo02].

9.5.1 Proprieta degli operatori A∗A, radici quadrate di operatori autoaggiuntipositivi non limitati.

Procediamo in alcuni passi, dimostrando qui che A∗A e autoaggiunto e che D(A∗A) e un coreper A, e quindi un teorema che, in un certo senso, generalizza in teorema di decomposizionepolare avendo cura di specificare in modo chiaro i domini degli operatori ed una proposizioneriguardate l’esistenza e l’unicita delle radici quadrate autoaggiunte positive di operatori autoag-giunti non limitati.

Teorema 9.8. Si consideri un operatore chiuso e con dominio denso, A : D(A) → H, nellospazio di Hilbert H. Valgono i seguenti fatti:

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(a) A∗A, definito sul dominio naturale D(A∗A) (definizione 5.1), e autoaggiunto;(b) il sottospazio denso D(A∗A) e un core per A:

AD(A∗A) = A (9.98)

Prova. Per dimostrare (a), indicato con I : H→ H l’operatore identita , si introduce l’operatoreI +A∗A, definito sul suo dominio naturale (che coincide ancora con D(A∗A), come si dimostraimmediatamente dalla definizione 5.1). Si prova poi che esiste un operatore positivo P ∈ B(H)tale che Ran(P ) = D(I +A∗A), e che soddisfa:

(I +A∗A)P = I , P (I +A∗A) = ID(I+A∗A) . (9.99)

Per (f) in proposizione 3.8, l’operatore P ∈ B(H) deve essere autoaggiunto in quanto positivo.Per l’unicita della funzione inversa, l’operatore I +A∗A deve allora coincidere con l’inverso di Pottenuto tramite la sua decomposizione spettrale:

P−1 =∫σ(P )

λ−1dP (P )(λ) .

Tale operatore e autoaggiunto in virtu del teorema 9.1. L’operatore A∗A = (I + A∗A) − Isara allora autoaggiunto sul dominio D(I + A∗A) = D(A∗A), che dovra essere denso di conse-guenza. Per concludere la dimostrazione proviamo che esiste B ∈ B(H) positivo, con Ran(P ) =D(I +A∗A) e che vale (9.99). Se f ∈ D(I +A∗A) = D(A∗A) allora Af ∈ D(A∗) per definizionedi D(A∗A). Di conseguenza:

(f |f) + (Af |Af) = (f |f) + (f |A∗Af) = (f |(I +A∗A)f) .

Abbiamo in tal modo ottenuto che (I + A∗A) ≥ 0, ma anche, dalla disuguaglianza di Cauchy-Schwartz, che deve essere ||f ||2 ≤ ||f || ||(I + A∗A)f || e dunque I + A∗A : D(A∗A) → H einiettivo. Consideriamo ora l’operatore A che e chiuso e densamente definito. L’identita provatain (d) del teorema 5.1, implica che che, per ogni h ∈ H esiste un unico Ph ∈ D(A), ed un unicoQh ∈ D(A∗) tali che in H⊕ H:

(0, h) = (−APh, Ph) + (Qh,A∗Qh) . (9.100)

Per costruzione P,Q sono definiti su tutto H ed inoltre i due vettori a secondo membro, pen-sati come vettori di H ⊕ H, sono artogonali. Per definizione della norma usata su H ⊕ H,l’dentita ottenuta ci dice anche che, per ogni h ∈ H:

||h||2 ≥ ||Ph||2 + ||Qh||2

e quindi P,Q ∈ B(H) valendo ||P ||, ||Q|| ≤ 1. Considerando le singole componenti in (9.100), siha anche che:

Q = AP e h = Ph+A∗Qh = Ph+A∗APh = (I +A∗A)Ph ,

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per ogni h ∈ H. Quindi (I + A∗A)P = I e pertanto P : H→ D(I + A∗A) deve essere iniettiva,ma anche suriettiva dato che (I+A∗A) e iniettiva, come provato sopra. Per l’unicita dell’inversadi funzioni biettive, deve anche essere

P (I +A∗A) = ID(I+A∗A) .

Fino ad ora abbiamo provato che P ∈ B(H) ha immagine che ricopre D(I + A∗A) e che vale(9.99). Il fatto che P ≥ 0 si prova come segue. Se h ∈ H, allora h = (I + A∗A)f per qualchef ∈ D(A∗A) e quindi:

(Ph|h) = (P (I +A∗A)f |(I +A∗A)f) = (f |(I +A∗A)f) ≥ 0 .

Per concludere, dimostriamo (b). Dato che A e chiuso, il suo grafico e un sottospazio chiuso diH ⊕ H ed e di conseguenza uno spazio di Hilbert. Supponiamo allora che (f,Af) ∈ G(A) siaortogonale a G(AD(A∗A)), allora, per ogni x ∈ D(A∗A) deve essere:

0 = ((f,Af)|(x,Ax)) = (f |x) + (Af |Ax) = (f |x) + (f |A∗Ax) = (f |(I +A∗A)x)) .

Dato che Ran(I + A∗A) = H, deve essere f = 0 e quindi l’ortogonale di G(AD(A∗A)) rispettoallo spazio di Hilbert G(A) e banale e dunque: G(AD(A∗A)) = G(A), che e la tesi. 2

Passiamo ora ad enunciare e provare un notevole teorema che, unitamente ad un teorema diunicita delle radici quadrate positive di operatori autoaggiunti positivi (non limitati) implica,come sottocaso, il teorema di decomposizione polare per operatori chiusi e densamente defi-niti. Ricordiamo che, per una coppia di oparatori con lo stesso dominio D, P ≤ Q significa(f |Pf) ≤ (f |Qf) per ogni f ∈ D.

Teorema 9.9. Si consideri una coppia di operatori chiusi e con dominio denso, A : D(A)→ H,B : D(B)→ H nello spazio di Hilbert H.(a) Se vale:

D(A∗A) ⊃ D(B∗B) unitamente a A∗AD(B∗B)≤ B∗B , (9.101)

allora D(A) ⊃ D(B) ed esiste un operatore limitato C : H → H unicamente individuato dallerichieste:

AD(B)= CB , Ker(C) ⊃ Ker(B∗) . (9.102)

Ulteriormente risulta ||C|| ≤ 1 e C(Ran(B))⊥= 0.(b) Se vale:

D(A∗A) ⊃ D(B∗B) unitamente a A∗AD(B∗B)= B∗B , (9.103)

allora CRan(B)

e un isometria e Ker(C) = Ker(B∗).(c) Se vale:

D(A∗A) = D(B∗B) unitamente a A∗A = B∗B , (9.104)

allora D(A) = D(B).

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Prova. (a) Per prima cosa proviamo l’unicita di C. Se C e C ′ sono limitati e soddisfano A = CBe A = C ′B, allora C − C ′ e l’operatore nullo su Ran(A). Per continuita , abbiamo anche cheC

Ran(B)= C ′

Ran(B). Dato che vale la deocmposizione ortogonale H = Ran(B) ⊕ (Ran(B))⊥

e (Ran(B))⊥ = Ker(B∗), il fatto che KerC ⊃ Ker(B∗), KerC ′ ⊃ Ker(B∗) implica cheC

(Ran(B))⊥= C ′

(Ran(B))⊥. Di conseguenza C = C ′.

Passiamo a provare che esiste un operatore C ∈ B(H) che soddisfa A = CB su D(B) (e quindiquesto implica che D(B) ⊂ D(A)), Ker(C) ⊃ Ker(B∗) e che sono vere le proprieta ||C|| ≤ 1 eC(Ran(B))⊥= 0.Siano A′ e B′ le restrizioni di A e B a, rispettivamente, D(A∗A) e D(B∗B). Dato che (per ilteorema precedente) questi spazi sono core per A e B rispettivamente, abbiamo che: Ran(A′) =Ran(A) e Ran(B′) = Ran(B). Notiamo infine che: Ker(A) = Ker(A′) e Ker(B) = Ker(B′),dato che D(A∗A) ⊂ D(A) e D(B∗B) ⊂ D(B).Cominciamo con il produrre un operatore che soddisfi: A′ = CB′. Questa richiesta individuacompletamente un operatore lineare C su Ran(B′), definito come:

A′f = CB′f , per ogni f ∈ D(B∗B) ⊂ D(A∗A) .

Perche questa sia una definizione ben posta, bisogna che B′f = B′g implichi A′f = A′g cioe,detto in termini equivalenti: B′h = 0 implichi A′h = 0 per h ∈ D(B∗B) ⊂ D(A∗A). Questo fattoe vero. Infatti: B′h = 0 implica che (B′h|B′h) = 0 e quindi, essendo h ∈ D(B∗B) ⊂ D(A∗A),deve valere 0 = (B′h|B′h) = (h|B∗Bh) ≥ (h|A∗Ah) = (A′h|A′h) = ||A′h||2 ≥ 0, che implicaA′h = 0. L’operatore C risulta essere limitato su Ran(B′) con ||C|| ≤ 1. Infatti, essendo:A∗A ≤ B∗B ed usando il fatto che D(A∗A) ⊂ D(A) e D(B∗B) ⊂ D(B), si ha subito che, sef ∈ D(B∗B) ⊂ D(A∗A):

||C(B′f)||2 = (CB′f |CB′f) = (A′f |A′f) = (f |A∗Af) ≤ (f |B∗Bf) = (B′f |B′f) = ||B′f ||2 ,(9.105)

Pertanto C si estende in modo unico su tutto Ran(B′) = Ran(B), conservando la richiesta||C|| ≤ 1. Per completare la definizione di C : H → H, e sufficiente definire C sull’ortogonale(Ran(B))⊥ = Ker(B∗). Definiamo C come l’operatore nullo su questo spazio. In questo modoC : H → H risulta ancora essere limitato con ||C|| ≤ 1 e la condizione Ker(C) ⊃ Ker(B∗)risulta essere soddisfatta. Per costruzione, per ogni f ∈ D(B∗B) ⊂ D(A∗A), vale:

Af = CBf .

Dato che D(B∗B) e un core per B, se g ∈ D(B) esistera una successione fnn∈N ⊂ D(B∗B) ⊂D(A∗A), tale che fn → g e Bfn → Bg. Avremo allora che, dalla continuita di C,

limn→+∞

Afn = limn→+∞

CBfn = C limn→+∞

Bfn = Bg .

Dato che A e chiuso, questo risultato implica che g ∈ D(A) e che limn→+∞Afn = Ag. PertantoA′ = CB′ si estende, in realta , a A = CB valida su D(B) ⊂ D(A).

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(b) Nell’ipotesi A∗A = B∗B su D(B∗B) ⊂ D(A∗A), la (9.105) risulta essere rimpiazzata da, sef ∈ D(B∗B) ⊂ D(A∗A):

||C(B′f)||2 = (CB′f |CB′f) = (A′f |A′f) = (f |A∗Af) = (f |B∗Bf) = (B′f |B′f) = ||B′f ||2

Da tale identita si ricava che C e un isometria su Ran(B) e, per continuita , su Ran(B). Rimaneda dimostrare che Ker(C) ⊂ Ker(B∗), dato che l’altra inclusione e valida nel caso generale (a).Se s ∈ Ker(C), dato che si ha la decomposizione ortogonale H = Ran(B)⊕Ker(B∗), deve esseres = r + n con r ∈ Ran(B) e n ∈ Ker(B∗). Pertanto, dal momento che Ker(B∗) ⊂ Ker(C),0 = Cs = C(r + n) = Cr + Cn = Cr + 0 = Cr. D’altra parte, dato che C e un isometria suRan(B), 0 = ||Cr|| = ||r|| e quindi Cr = 0. In definitiva, se s ∈ Ker(C), allora s = n ∈ Ker(B∗)e questo conclude la dimostrazione di Ker(C) ⊂ Ker(B∗).(c) Dobbiamo provare che D(A) = D(B) se D(A∗A) = D(B∗B) e A∗A = B∗B. Dalla dimo-strazione del caso piu generale (a), sappiamo che D(B) ⊂ D(A). Nelle ipotesi in (c), possiamoscambiare il ruolo di A e B, trovando che D(A) ⊂ D(B) e pertanto D(A) = D(B). 2

Ecco l’ultimo ingrediente che generalizza parte del teorema 3.8.

Teorema 9.10. Sia A : D(A)→ H un operatore autoaggiunto nello spazio di Hilbert H. Valgonoi fatti seguenti.(a) A ≥ 0 (che significa (f |Af) ≥ 0 per ogni f ∈ D(A)) se e solo se σ(A) ⊂ [0 +∞)(b) Se A ≥ 0, esiste ed e unico un operatore autoaggiunto B ≥ 0 tale che B2 = A, dove il primomembro e definito sul suo dominio naturale D(B2) che coincide con D(A).Vale B =

√A definito usando l’integrale rispetto alla misura spettrale di A.

Prova (a) Se σ(A) ⊂ [0 +∞), (vii) in (c) nel teorema 9.1, riferito alla PVM P (A) di A, implicaimmediatamente che A ≥ 0. Viceversa, supponiamo che A ≥ 0 e, per assurdo, che esista λ taleche 0 > λ ∈ σ(A). Se λ ∈ σp(A) allora esistrebbe un autovettore ψ ∈ H \ 0 con autovaloreλ e si avrebbe un assurdo: 0 ≤ (ψ|Aψ) = ||ψ||2λ < 0. Se invece λ ∈ σc(A), dal teorema 9.2sappiamo che, per ogni intervallo aperto (a, b) 3 λ, vale P (A)

(a,b) 6= 0. Potremmo allora scegliere

(a, b) = (2λ, λ/2) ottenendo, se 0 6= ψ ∈ P (A)(a,b)(H), usando le proprieta delle misure spettrali del

teorema 9.1 ed il fatto che µψ si annulla fuori da (a, b):

0 ≤ (ψ|Aψ) =∫

Rxdµψ(x) =

∫(2λ,λ/2)

xdµψ(x) ≤∫

(2λ,λ/2)

λ

2dµψ(x) =

λ

2||ψ||2 < 0

che e ancora un assurdo.(b) Una radice quadrata autoaggiunta positiva di A e semplicemente:

B =√A :=

∫σ(A)

√xdP (A)(x) .

Tale operatore e ben definito, dato che σ(A) ⊂ [0,+∞), e autoaggiunto per (ii) in (c) nel teorema9.1 e vale B2 = A, dove il primo membro e definito sul suo dominio naturale D(B2) che coincide

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con D(A) in virtu di (iii) e (iv) in (c) nel teorema 9.1. Infine B ≥ 0 per (vii) in (d) nel teorema9.1. Passiamo alla dimostrazione di unicita . Supponiamo che B ≥ 0 sia autoaggiunto, B ≥ 0 eB2 = A. In tal caso, per le prime due ipotesi:

B =∫

[0,+∞)xdP (B)(x) .

Possiamo applicare (c) del teorema 9.1 con P = P (B), X = [0,+∞), φ(x) = x2, f(x′) = x′ e:

P ′φ(E) = P(B)E se E ⊂ [0,+∞) , (9.106)

ottenendo che vale:

A = B2 =∫

[0,+∞)x2dP (B)(x) =

∫[0,+∞)

x′dP ′(x′) .

Per l’unicita della misura aspettrale associata ad A (teorema 9.2), dobbiamo concludere cheP ′ = P (A). Ma allora da (9.106), la PVM P (B) e completamente individuata da P (A) valendo:

P(B)E = P

(A)φ(E) se E ⊂ [0,+∞) ,

e quindi A determina completamente B, che e quindi unico. 2

9.5.2 Teorema di decomposizione polare per operatori chiusi e densamentedefiniti.

Possiamo finalmente enunciare e dimostrare il teorema di decomposizione polare per operatorichiusi densamente definiti. L’idea euristica della dimostrazione e quella di partire, non da A,ma da A∗A. Se il teorema di decomposizione polare vale, allora ci si aspetta che A∗A = |A| |A|,dove |A| :=

√A∗A e definito per via spettrale, ricordando che A∗A e autoaggiunto come provato

precedentemente. A questo punto, il teorema 9.9, nel caso (c), produce la decomposizione polaredi A voluta. La potenza dell’approccio si vede nel fatto che le proprieta dei domini degli opera-tori coinvolti, difficili da studiare con un approccio piu diretto, risultano essere automaticamentefissate dal teorema 9.9.

Teorema 9.11. Sia A : D(A) → H un operatore chiuso con dominio denso nello spazio diHilbert H. Valgono i fatti seguenti.(a) Esiste una sola coppia di operatori P,U in H tali che valgano insieme le condizioni elencatedi seguito:

(1) vale la decomposizioneA = UP , (9.107)

(2) P e positivo, autoaggiunto e D(P ) = D(A),(3) U ∈ B(H) e isometrico su Ran(P ),

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(4) Ker(U) ⊃ Ker(P ).(b) Risulta essere P = |A| :=

√A∗A e Ker(U) = Ker(P ) = Ker(A) = (Ran(P ))⊥.

(c) Se A e biettivo, U coincide con l’operatore unitario A|A|−1.

Prova. (a) e (b). Dimostriamo inizialmente l’unicita di P determinandolo esplicitamente, as-sumendo valida (9.107) insieme a (2), (3) e (4). Cominciamo con il provare che D(A∗A) =D(PP ). Dalla definizione di operatore aggiunto, tenendo conto che U ∈ B(H), (9.107) implicaA∗ = P ∗U∗ = PU∗. Di conseguenza f ∈ D(A∗A) se e solo se f ∈ D(PU∗UP ). Si osservi ora che,decomponendo H come Ran(P )⊕Ker(P ∗) = Ran(P )⊕Ker(P ), tenendo conto del fatto che Ue isometrico su Ran(P ) e si annulla su Ker(P ), segue facilmente che (U∗U)Ran(P )= IRan(P ).Pertanto l’asserzione f ∈ D(A∗A) se e solo se f ∈ D(PU∗UP ) risulta essere equivalente af ∈ D(A∗A) se e solo se f ∈ D(PP ). Abbiamo ottenuto che D(A∗A) = D(PP ). Usiamo oratale fatto per ottenere l’unicita di P determinandolo esplicitamente. Se g ∈ D(A∗A) ⊂ D(A)(che equivale a g ∈ D(PP ) ⊂ D(P )) e tenendo ancora conto del fatto U e isometrico su Ran(P ),si ha subito:

(f |A∗Ag) = (Af |Ag) = (UPf |UPg) = (Pf |Pg) = (f |PPg) per ogni f ∈ D(A) = D(P ).

Essendo D(A) = D(P ) un insieme denso, si conclude che A∗A = PP . Quindi P e una radicequadrata positiva autoaggiunta di A∗A, ed e dunque l’unica per il teorema 9.10. Vale pertantoP =

√A∗A =: |A|. A questo punto possiamo applicare il caso (c) del teorema 9.9 con B = P (che

e chiuso e densamente definito essendo autoaggiunto), trovando che l’operatore U che verificatutte le richieste coincide con l’operatore C. Il fatto che Ker(U) = Ker(P ) = (Ran(P ))⊥ segueda (b) del teorema citato, tenendo conto che B = P = P ∗ = B∗ nel caso in esame e del fattoche (Ran(P ∗))⊥ = Ker(P ). L’asserto Ker(A) = Ker(P ) si prova come segue:

0 = ||Af ||2 = (Af |Af) = (f |A∗Af) = (f |PPf) = (Pf |Pf) = ||Pf ||2 ,

dove abbiamo tenuto conto che se Af = 0 allora f ∈ D(A∗A) per definizione di tale dominionaturale.(c) Se A e iniettivo, usando (b), si trova che Ker(A) = Ker(U) e banale e quindi U e iniettivo.D’altra parte, direttamente dalla decomposizione polare A = UP si vede che Ran(U) ⊃ Ran(A)e pertanto, se A e suriettivo, deve esserlo U . Concludiamo che, se A e biettivo, U deve essere tale.In tal caso, per (b), U e un operatore isometrico suriettivo su Ran(P ) = (Ker(P ))⊥ = 0⊥ = Hed e quindi unitario. Infine, da A = U |A|, essendo A e U biettivi, segue che |A| e biettivo equindi possiamo scrivere: U = A|A|−1. 2

Esercizi 9.3.(1) Considerare gli operatori A e A? definiti in (2) di esempi 9.1. Provare che si tratta dioperatori chiudibili e dimostrare che:

A?A = A∗A = A∗A .

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(2) Per l’operatore A definito in (2) di esempi 9.1, studiare la decomposizione polare A = UPe dimostrare che l’operatore U soddisfa

Uψn = ψn−1

se n ≥ 1 e ψnn∈N e la base hilbertiana di L2(R, dx) definita in (2) di esempi 9.1.(3) Considerare gli operatori A e A? definiti in (2) di esempi 9.1 e sia ψnn∈N la base hilbertianadi L2(R, dx) definita in quell’esempio. Calcolare eαA+αA?ψn, con α ∈ C fissato.

9.6 I teoremi di Kato-Rellich e di Kato.

Gli ultimi teoremi che enunceremo e dimostreremo ora sono quello di Kato-Rellich e quello diKato. Tali teoremi risultano essere utilissimi nello studio delle proprieta di autoaggiunzionee limitatezza inferiore degli operatori della Meccanica Quantistica (specialmente i cosiddettioperatori hamiltoniani), nell’ambito della teoria delle perturbazioni. In effetti, il primo dei dueteoremi fissa delle condizioni generali sufficienti affinche un operatore T + V , perturbazione diT , sia autoaggiunto e con spettro limitato dal basso quando lo e T . Il secondo considera casispecifici in cui T e l’operatore di Laplace in R3 o Rn.

9.6.1 Il teorema di Kato-Rellich.

Abbiamo bisogno di una definizione preliminare.

Definizione 9.8. Siano T : D(T ) → H e V : D(V ) → H operatori densamente definiti sullospazio di Hilbert H che verificano D(T ) ⊂ D(V ). Se esistono a, b ∈ [0,+∞) tali che

||V ϕ|| ≤ a||Tϕ||+ b||ϕ|| per ogni ϕ ∈ D(T ) , (9.108)

si dice che V e T -limitato. L’estremo inferiore dei valori a che verificano (9.108) per qualcheb e detto il limite relativo di V rispetto a T e, se esso risulta essere nullo, si dice che Ve infinitesimo rispetto a T .

Osservazioni.(1) Se T e chiudibile, come segue immediatamente dalla definizione di core (definizione 5.6), perprovare che vale (9.108) e sufficiente mostrare che tale condizione e soddisfatta su un core di T .(2) La condizione (9.108) e equivalente alla condizione:

||V ϕ||2 ≤ a21||Tϕ||2 + b21||ϕ||2 per ogni ϕ ∈ D(T ) , (9.109)

Infatti, se vale la (9.109) allora vale la (9.108) con a = a1 e b = b1. Viceversa, se vale la (9.108)allora vale la (9.109) con a2

1 = (1 + δ)a2, b21 = (1− δ−1)b2 per ogni δ > 0.

Possiamo passare ad enunciare e provare il Teorema di Kato-Rellich. Ricordiamo che, per unoperatore autoaggiunto A : D(A) → H, vale σ(A) ⊂ [M,+∞) se e solo se (ψ|Aψ) ≥ M(ψ|ψ)

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per ogni ψ ∈ D(A) per (a) in teorema 9.10. Conseguentemente l’enunciato (c) del teoremapuo essere equivalentemente scritto in termini di limiti inferiori di forme quadratiche.

Teorema 9.12 (Kato-Relich). Siano T : D(T ) → H e V : D(V ) → H operatori densamentedefiniti sullo spazio di Hilbert H che verificano:(i) T e autoaggiunto,(ii) V e simmetrico,(iii) V e T -limitato con limite relativo a < 1.Sotto tali ipotesi vale quanto segue.(a) T + V e autoaggiunto su D(T ).(b) T + V e essenzialmente autoaggiunto su ogni core di T .(c) Se σ(T ) ⊂ [M,+∞) allora σ(T + V ) ⊂ [M ′,+∞) con:

M ′ = M −max¨

b

(1− a), a|M |+ b

«con a e b che soddisfano (9.108).

Prova. Per provare (a) cerchiamo di applicare il teorema 5.2, mostrando che, scegliendo D(T ) co-me dominio per l’operatore simmentrico T+V , risulta Ran(T+V ±iI) = H. In realta proveremoche esiste ν > 0 per cui Ran(T + V ± iνI) = H, che implica immediatamente l’affermazioneprecedente per linearita . Se ϕ ∈ D(T ), nelle nostre ipotesi di T autoaggiunto deve valereRan(T + iµI) = H e anche:

||(T + iµI)ϕ||2 = ||Tϕ||2 + µ2||ϕ||2 .

Ponendo ϕ = (T + iµI)−1ψ, si conclude che: ||T (T + iµI)−1|| ≤ 1 e ||(T + iµI)−1|| ≤ µ−1.Applicando (9.108) con ϕ = (T + iµI)−1ψ concludiamo che:

||V (T + iµI)−1ψ|| ≤ a||T (T + iµI)−1ψ||+ b||(T + iµI)−1ψ|| ≤a+

b

µ

||ψ|| .

Prendendo µ = ν abbastanza grande, l’operatore limitato definito su tutto H,

U := V (T + iνI)−1 ,

deve soddisfare ||U || < 1, dato che a < 1. Questo risultato implica che −1 6∈ σ(U) per la teoriadel raggio spettrale. Tenendo conto di (a) teorema 8.1 (notando che U e chiuso essendo limitato)avremo di conseguenza che Ran(I + U) = H. D’altra parte, dato che T e autoaggiunto, deveanche essere Ran(T + iνI) = H per il teorema 5.2. Conseguentemente, l’equazione:

(I + U)(T + iνI)ϕ = (T + V + iνI)ϕ con ϕ ∈ D(T )

implica che, come volevamo, Ran(T + V + iνI) = H. La prova per Ran(T + V − iνI) = H siesegue del tutto similmente. La prova di (a) e conclusa.Passiamo a provare (b). Da (9.108) segue che, se D ⊂ D(T ) e un core per T , allora:

D(T ) = DT D

⊂ D

(T + V )D

.

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D’altra parte, per costruzione e tenendo conto che T+V e autoaggiunto su D(T ) per cui e chiuso:

D(T + V )D

⊂ D

(T + V )

= D (T + V ) = D(T ) .

Mettendo insieme le catene di inclusioni, si conclude che deve essere: D(T + V )D

= D (T + V )

e quindi (T + V )D = T + V dato che T + V e chiuso. (T + V )D e allora essenzialmente au-toaggiunto per la proposizione 5.3.Per concludere, passiamo alla prova di (c). Per ipotesi, dal teorema spettrale σ(T ) ≥ M . Siscelga s > −M (con s ∈ R). Di conseguenza σ(T + sI) > 0 e quindi 0 6∈ σ(T + sI). Dato cheT + sI e autoaggiunto e anche chiuso e allora, per (a) in teorema 8.1: Ran(T + sI) = H e lestesse stime usate precedentemente mostrano che ||V (T + sI)−1|| < 1 se

−s < M ′ := M −max¨

b

(1− a), a|M |+ b

«.

Di conseguenza, per tali valori di s, Ran(T+V +sI) = H e (T+V +sI)−1 = (T+sI)−1(I+U)−1

che implica −s ∈ ρ(T + V ), e quindi −s 6∈ σ(T + V ). Dato che T + V e autoaggiunto ed haquindi spettro reale, questo significa che σ(T + V ) ≥M ′. 2

9.6.2 Un esempio: l’operatore −∆ + V ed il teorema di Kato.

La condizione (9.108) nasce naturalmente in certi contesti e risulta essere di grande utilita nelleapplicazioni, in fisica, allo studio dell’equazione di Schrodinger in cui appare l’operatore di La-place ∆ perturbato tramite un potenziale V . Per discutere tale esempio di applicazione delteorema di Kato-Relich, premettiamo la seguente proposizione ed un successivo lemma.

Proposizione 9.9. Sia

∆ :=n∑i=1

∂2

∂x2i

(9.110)

l’operatore di Laplace su Rn pensato come operatore su L2(Rn, dx), valgono i fatti seguenti.(a) Se F : L2(Rn, dx) → L2(Rn, dk) indica l’operatore unitario di Fourier-Plancherel (vedisezione 3.6), ∆ e essenzialmente autoaggiunto su S(Rn), su D(Rn) e su F(D(Rn)) ed ammettela stessa (unica) estensione autoaggiunta ∆.(b) Vale:

F∆F−1f

(k) := −k2f(k) , (9.111)

dove k2 = k21 + k2

2 + . . .+ k2n, sul dominio naturale dato da:

D(F∆F−1) =§f ∈ L2(Rn, dk)

∣∣∣∣ ∫Rnk4|f(k)|2dk < +∞

ª.

(c) Vale il limite dal basso per −∆ = −∆:

σ(−∆) ⊂ [0,+∞) che equivale a (ψ|−∆ψ) ≥ (ψ|ψ) per ogni ψ ∈ D(−∆). (9.112)

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Prova. (a) e (b) sono stati provati in (4) e (5) in esercizi 5.2, eccetto il fatto che ∆ sia essenzial-mente autoaggiunto su F(D(Rn)) e determini la stessa estensione autoaggiunta ottenuta parten-do da D(Rn) e S(Rn). A tal fine si noti prima di tutto che F(D(Rn)),D(Rn) ⊂ S(Rn) e quindi letre estensioni autoaggiunte devono coincidere per l’unicita dell’estensione autoaggiunta di opera-tori essenzialmente autoaggiunti. Il fatto che che ∆ sia esenzialmente autoaggiunto su F(D(Rn)),vista l’unitarieta di F e la (9.111), e equivalente all’essenziale autoaggiunzione di dell’operatoresimmetrico moltiplicativo per −k2 su D(Rn). La validita di tale proprieta segue subito dall’os-servazione che tutti gli elementi ϕ = ϕ(k) di D(Rn) sono vettori analitici dell’operatore molti-plicativo per −k2 come si verifica direttamente, valendo || − (k2)nϕ|| ≤ ||ϕ||(supk∈suppϕ |k|2)n, equindi tenendo conto del teorema 5.8 di Nelson. (c) segue immediatamente da (b) e da (a) inteorema 9.10. 2

Passiamo al seguente fondamentale classico lemma.

Lemma 9.2. Se n = 1, 2, 3 e fissato, si consideri f ∈ L2(Rn, dx)∩D(∆). In tal caso f coincide,a meno di insiemi di misura nulla, con una funzione continua e limitata e, per ogni a > 0, esisteb > 0 indipendente da f tale che:

||f ||∞ ≤ a||∆f ||+ b||f || . (9.113)

Prova. Nel seguito f := Ff . Da (a) in proposizione 3.12 e dal teorema di Plancherel (teorema3.10), la tesi e provata se si riesce a dimostrare che f ∈ L1(R3, dk) e che, per ogni fissato a > 0,esiste b ∈ R con:

||f ||1 ≤ a||k2f ||2 + b||f ||2 . (9.114)

Eseguiamo la dimostrazione di (9.114) nel caso n = 3, gli altri due casi sono analoghi. Se f ∈D(∆) allora, in base alla proposizione 5.8, f ∈ D(F∆F−1) e quindi (1+k2)f ∈ L2(R3, dk). Datoche (k1, k2, k3) 7→ 1/(1 + k2) appartiene allo stesso spazio di Hilbert, segue che f ∈ L1(R3, dk)per la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz e ancora:

||f ||1 ≤ c||(1 + k2)f ||2 ≤ c(||k2f ||2 + ||f ||2) (9.115)

dove: c :=∫

(1 + k2)−1dk. Se r > 0, definiamo fr(k) := r3f(rk). Con tale definizione risulta:||fr||1 = ||f ||1, ||fr||2 = r3/2||f ||2 e ||k2fr||2 = r−1/2||k2f ||2. Usando (9.115) per fr e tenendoconto delle tre identita trovate, si ottiene:

||f ||1 ≤ cr−1/2||k2f ||2 + cr3/2||f ||2 per ogni r > 0.

Scegliendo r opportunamente si trova cr−1/2 = a e quindi (9.114) risulta essere verificata. 2

Osservazione. Il lemma precedente si puo generalizzare (vedi il vol. II di [ReSi80]) con laseguente proposizione basata sulla disuguaglianza di Young.

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Sia f ∈ L2(Rn, dx) con f ∈ D(∆). Se n ≥ 4 e 2 ≤ q < 2n/(n − 4), allora f ∈ Lq(Rn, dk)e, per ogni a > 0, esiste b ∈ R indipendente da f (ma dipendente da q, n e a) tale che||f ||q ≤ a||∆f ||+ b||f ||.

Possiamo ora applicare il teorema di Kato-Rellich ad un caso particolare di grande interesse inMeccanica Quantistica, provando un primo teorema dovuto a Kato. Successivamente vedremoun teorema piu generale, sempre dovuto a Kato, che include il seguente teorema come caso par-ticolare.

Teorema 9.13 (Essenziale autoaggiunzione di −∆ + V ). Sia n = 1, 2, 3 fissato. Si sup-ponga che V = V2 + V∞ con V0 ∈ L2(Rn, dx) e V∞ ∈ L∞(Rn, dx) funzioni a valori reali. Valequanto segue.(a) −∆ + V e essenzialmente autoaggiunto su D(Rn) e su S(Rn).(b) L’unica estensione autoaggiunta −∆ + V degli operatori considerati in (a) coincide con l’o-peratore (autoaggiunto) −∆ + V definito su D(∆).(c) σ(−∆ + V ) e limitato dal basso.

Prova. Dato che V e reale, esso individua un operatore moltiplicativo autoaggiunto sul dominio

D(V ) := ϕ ∈ L2(Rn, dx) | V ϕ ∈ L2(Rn, dx) .

Per costruzione si ha anche, se ϕ ∈ D(Rn) oppure ϕ ∈ S(Rn):

||V ϕ||2 ≤ ||V2||2||ϕ||∞ + ||V∞||∞||ϕ||2 < +∞ (9.116)

quindi D(Rn) ⊂ S(Rn) ⊂ D(V ). Ulterioremente, dato che S(Rn) ⊂ D(∆) (per la proposizione9.9), usando (9.113) in nel lemma 9.2 (essendo n ≤ 3), troviamo allora che, per ogni a > 0, esisteun corrispondente b > 0 tale che:

||V ϕ||2 ≤ a||V2||2 || −∆ϕ||2 + (b+ ||V∞||∞)||ϕ||2 per ogni ϕ ∈ S(Rn) .

In altre parole, se a′ > 0, esiste un corrispondente b′ > 0 tale che:

||V ϕ||2 ≤ a′|| −∆ϕ||2 + b′||ϕ||2 per ogni ϕ ∈ S(Rn) (9.117)

e quindi, in particolare, anche per ogni ϕ ∈ D(Rn). Di conseguenza vale anche:

||V ϕ− V ϕ′||2 ≤ a′ ||(−∆ϕ)− (−∆ϕ′)||2 + b′||ϕ− ϕ′||2

per ϕ e ϕ′ in S(Rn). Usando il fatto che V e chiuso perche autoaggiunto e che S(Rn) e un coreper l’operatore autoaggiunto (e quindi chiuso) −∆ (per la proposizione 9.9), la disuguaglianzaappena scritta mostra che D(V ) ⊃ D(−∆). Usando ancora la chiusura degli operatori, siconclude infine che la (9.117) vale su tutto il dominio di −∆:

||V ϕ||2 ≤ a′||−∆ϕ||2 + b′||ϕ||2 per ogni ϕ ∈ D(−∆).

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Se scegliamo a′ < 1 abbiamo che tutte le ipotesi del teorema 9.12 di Kato-Rellich sono soddi-sfatte per T := −∆ con V come nelle ipotesi di questo teorema. La tesi segue immediatamentedalla tesi del teorema di Kato-Rellich usando anche il fatto che S(Rn) e D(Rn) sono core per−∆ per la proposizione 9.9. 2

Osservazione. Tenendo conto dell’osservazione precedente, il teorema si generalizza al ca-si n > 3, con un’analoga dimostrazione, modificando la richiesta su V in V = Vp + V∞ conVp ∈ Lp(Rn, dx) e V∞ ∈ L∞(Rn, dx) dove p > 2 se n = 4 e p = n/2 se n ≥ 5.

Passiamo al classico Teorema di Kato. Nel seguito f ∈ Lp(Rn, dx)+Lq(Rn, dx) si deve intepretarenel senso che la funzione f e la somma di un elemento in Lp(Rn, dx) e un elemento in Lq(Rn, dx).

Teorema 9.14 (Teorema di Kato). Sia n = 1, 2, 3 fissato. Si indichino con (y1, . . . ,yN ) glielementi di RnN , dove yk ∈ Rn per ogni k = 1, . . . , N . Se ∆ denota il laplaciano (9.110) suRnN , si consideri l’operatore differenziale −∆+V , dove V e l’operatore moltiplicativo individuatodalla funzione:

V (y1, . . . ,yN ) :=N∑k=1

Vk(yk) +N∑

i,j=1 i<j

Vij(yi − yj) . (9.118)

dove

Vkk=1,...,N ⊂ L2(Rn, dx) + L∞(Rn, dx) , Viji<j i,j=1,...,N ⊂ L2(Rn, dx) + L∞(Rn, dx)

sono due classi di funzioni a valori reali. Vale quanto segue.(a) −∆ + V e essenzialmente autoaggiunto su D(RnN ) e su S(RnN ).(b) L’unica estensione autoaggiunta −∆ + V degli operatori considerati in (a) coincide con l’o-peratore (autoaggiunto) −∆ + V definito su D(−∆).(c) σ(−∆ + V ) e limitato dal basso.

Prova. Eseguiamo la prova per n = 3, negli altri casi la dimostrazione e identica. Consideriamo ilpotenziale V12(y1−y2) e indichiamo con ∆1 il laplaciano corrispondente alle sole tre coordinate diy1. Sia ϕ ∈ S(R3N ). Fissiamo y2, . . .yN ∈ R3(N−1) e definiamo la funzione: R3 3 y1 7→ ϕ′(y1) :=ϕ(y1,y2, . . . ,yN ). ϕ′ e in D(R3N ) oppure in S(R3N ) a seconda che, rispettivamente, ϕ ∈ D(R3N )oppure ϕ ∈ S(R3N ). Definiamo analogamente: R3 3 y1 7→ V ′12(y1) := V12(y1−y2). Procedendoesattamente come nella prova del teorema precedente, decomponendo V12 = (V12)2 + (V12)∞, siarriva a scrivere, per ogni scelta di a > 0, la stima valida per ogni y2, . . . ,yN :

||V ′12ϕ′||L2(R3) ≤ a||(V12)2||L2(R3) || −∆1ϕ

′||L2(R3) + (b+ ||(V12)∞||L∞(R3))||ϕ′||2

dove b > 0 dipende da a, ma non dipende dai valori y2, . . .yN ∈ R3(N−1). Le norme sono riferiteagli spazi sul primo fattore R3 di R3N ed e fondamentale notare che, a causa dell’invarianza pertraslazioni di (y1,y2) 7→ V12(y1−y2), le norme ||(V12)k||Lk(R3) non dipendono dalla variabile y2.Per quanto osservato nelle osservazioni sotto la definizione 9.8, questa disuguaglianza equivale a

||V ′12ϕ′||2L2(R3) ≤ a

′ || −∆1ϕ′||2L2(R3) + b′||ϕ′||2L2(R3)

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per opportuni numeri, a′, b′ > 0 con a′ che puo essere reso arbitrarimente piccolo dato checio e possibile per a||V12||2. Se integriamo la disuguaglianza trovata nelle variabili y2, . . .yN ∈R3(N−1) otteniamo che, per ogni a′ > 0 esiste un corrispondente b′ > 0 tale che:

||V12ϕ||2L2(R3N ) ≤ a′ || −∆1ϕ||2L2(R3N ) + b′||ϕ||2L2(R3N ) . (9.119)

Si osservi ora che, passando in trasformata di Fourier-Plancherel su R3N

|| −∆1ϕ||2L2(R3N ) =∫

R3N

∣∣∣∣∣∣3∑r=1

k2r

∣∣∣∣∣∣2

|(Fϕ)(k1, . . . , k3N )|2dk1 · · · dkL2(R3N)

≤∫

R3N

∣∣∣∣∣∣3N∑r=1

k2r

∣∣∣∣∣∣2

|(Fϕ)(k1, . . . , k3N )|2dk1 · · · dk3N = || −∆ϕ||2L2(R3N ) .

Sostituendo in (9.119), concludiamo che, se ϕ ∈ D(R3N ) oppure S(R3N ), per ogni a > 0, esisteun corrispondente b12 > 0 tale che:

||V12ϕ||2L2(R3N ) ≤ a || −∆ϕ||2L2(R3N ) + b12||ϕ||2L2(R3N ) .

La stesso risultato si ottiene per gli altri termini Vij e per i potenziali Vk per i quali la dimostra-zione si esegue nello stesso modo, ma risulta essere ancora piu semplice. Se ϕ ∈ D(R3N ) oppureS(R3N ), per ogni scelta di a > 0, esiste un corrispondente scelta di numeri bi > 0, bij > 0 coni, j = 1, . . . , N , j > i tale che:

||Viϕ||2L2(R3N ) ≤ a || −∆ϕ||2L2(R3N ) + bi||ϕ||2L2(R3N ) i = 1, . . . , N . (9.120)

||Vijϕ||2L2(R3N ) ≤ a || −∆ϕ||2L2(R3N ) + bij ||ϕ||2L2(R3N ) i, j = 1, . . . , N , j > i. (9.121)

In ogni spazio vettoriale con prodotto scalare hermitiano, la disuguaglianza di Cauchy-Schwartzimplica: ∣∣∣∣∣∣

∣∣∣∣∣∣M∑r=1

ψr

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣2

≤(M∑r=1

||ψr||)2

.

Tenendo conto che i potenziali Vk e Vij sono in tutto N + N(N − 1)/2 = N(N + 1)/2, ladisuguaglianza menzionata e le (9.120)-(9.121) implicano che:∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣

N∑k=1

Vk +N∑

i,j=1 i<j

Vij

ϕ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣2

L2(R3N )

≤N(N + 1)

2

2

a||−∆ϕ||2L2(R3N )+N(N + 1)

2

2

b||ϕ||2L2(R3N )

dove b e il massimo nell’insieme di tutti i bk e bij . Per quanto osservato nelle osservazioni sottola definizione 9.8, il risultato trovato puo essere equivalentemente enunciato come segue. Perogni a′ > 0 esiste un b′ > 0 tale che:

||V ϕ|| ≤ a′|| −∆ϕ||+ b′||ϕ|| per ogni ϕ ∈ S(R3N ).

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Da questo punto in poi la dimostrazione procede esattamente come quella del teorema 9.13 apartire dall’equazione (9.117) rimpiazzando ovunque Rn con R3N . 2

Per concludere citiamo senza dimostrazione completa un ulteriore importante teorema dovutoa Kato che richiede ipotesi differenti (e piu deboli nel caso n = 3 rispetto a quelle nel teore-ma 9.13) sulle funzioni V affinche−∆ + V risulti essere essenzialmente autoaggiunto su D(Rn).Ricordiamo che f : Rn → C e detta essere localmente a quadrato integrabile se f · g e inL2(Rn, dx) per ogni g ∈ D(Rn).

Teorema 9.15. L’operatore −∆ + V∆ + VC in L2(Rn, dx) e essenzialmente autoaggiunto suldominio D(Rn) e la sua unica estensione autoaggiunta −∆ + V∆ + VC e limitata dal basso, sevalgono le seguenti ipotesi.(i) V∆ : Rn → R e una funzione misurabile che individua un operatore moltiplicativo (−∆)-limitato con limite relativo a < 1 (nel senso del definizione 9.8).(ii) VC : Rn → R e una funzione localmente a quadrato integrabile con VC ≥ C quasi ovunqueper qualche C ∈ R.Le ipotesi (i) sulla funzione misurabile V∆ sono soddisfatte se V∆ ∈ Lp(Rn, dx) + L∞(Rn, dx)con p = 2 se n ≤ 3, p > 2 se n = 4 e p = n/2 se n ≥ 5.

Traccia di dimostrazione. L’ultima affermazione della tesi e dimostrata nella prova del teorema9.13 nel caso n ≤ 3. La dimostrazione e analoga per n > 4 in virtu dell’osservazione sotto illemma 9.2. Se vale (i), −∆ + V∆ e essenzialmente autoaggiunto su D(Rn) e −∆ + V∆ e limitatodal basso per il teorema di Kato-Rellich. Se vale anche (ii), −∆+V∆ +(VC−C) e essenzialmenteautoaggiunto su D(Rn) per il teorema X.29 in vol.II di [ReSi80], essendo Vc − C ≥ 0. Conse-guentemente anche −∆ + V∆ + VC = (−∆ + V∆ + (VC − C)) + CI e essenzialmente autoag-giunto su D(Rn). Dato che −∆ + V∆ e VC sono entrambi limitati dal basso su tale dominio, loe−∆ + V∆ + VC e lo e anche la sua unica estensione autoaggiunta −∆ + V∆ + VC . 2

Esempi 9.3.(1) Un caso fisicamente interessante su R3 e quello in cui la perturbazione e il potenziale cou-lombiano attrattivo:

V (x) =eQ

|x|,

dove e < 0 e Q > 0 sono costanti e e |x| :=Èx2

1 + x22 + x2

3. In questo caso le ipotesi del teorema9.14 (o 9.13) di Kato sono verificate come si prova subito (m, ~ > 0 sono costanti che non creanoalcun problema nell’applicare il teorema precedente, dato che si puo moltiplicare l’operatore per2m/~2 prima di applicare il teorema senza perdere generalita ). Dunque l’operatore

H0 := − ~2

2m∆ + V (x)

risulta essere essenzialmente autoaggiunto se, indifferentemente, e definito su D(R3) oppureS(R3). L’unica estensione autoaggiunta H0, se Q = −e, corrisponde all’hamiltoniano di un

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elettrone nel campo elettrico di un protone (trascurando gli effetti dovuti allo spin e consideran-do il protone come un oggetto classico). Abbiamo in questo modo la piu semplice descrizionequantistica dell’operatore hamiltoniano dell’atomo di idrogeno. In questo caso −e e il valoreassoluto comune della carica dell’elettrone e del protone. m e la massa dell’elettrone. Infine~ > 0 e la costante di Planck divisa per 2π. Lo spettro dell’unica estensione autoaggiunta ditale operatore individua, dal punto di vista fisico, i valori dell’energia totale ammessi per ta-le sistema. Un risultato importante e che, malgrado V non sia limitato dal basso, lo spettrodell’operatore considerato lo e in ogni caso e, conseguentemente, lo sono i valori dell’energia fisi-camente permessi. Nei capitoli 10, 11 e 12 eseminaremo meglio il significato fisico degli operatoriqui rapidamente descritti.(2) Un secondo caso fisicamente interessante, sempre in R3, e quello individuato dal potenzialedi Yukawa:

V (x) =−e−µ|x|

|x|,

dove µ > 0 e ancora una costante positiva. Anche in questo caso l’operatore H0 = − ~2

2m∆+V (x)risulta essere essenzialmente autoaggiunto se, indifferentemente, definito su D(R3) oppure S(R3),come segue dal teorema 9.14 (o 9.13) di Kato. Il potenziale di Yukawa descrive, in prima appros-simazione, processi d’interazione tra un pione ed una sorgente di forza forte pensata, in questaapprossimazione, come dovuta ad una sorgente macroscopica.(3) Il terzo caso fisicamente importante e dato dall’hamiltoniano di un sistema di N particelledi vettori posizione xi ∈ R3, masse mi > 0 e cariche ei ∈ R \ 0 (i = 1, . . . , N), che inte-ragiscono con un potenziale coulombiano esterno e con potenziali coulombiani di coppia (nonnecessariamente attrattivi). In questo caso l’operatore completo e :

H0 :=N∑i=1

− ~2

2mi∆i +

N∑i=1

Qiei|xi|

+N∑i<j

eiej|xi − xj |

,

dove ∆i e l’operatore di Laplace riferito alle sole 3 coordinate di xi. Per applicare il teoremadi Kato e necessario eliminare tutti i fattori ~2

2midavanti agli operatori ∆i. Si ottiene questo

risultato semplicemente cambiando coordinate ed usando le nuove coordinate yi :=√

2mi~ xi. In

tal modo la prima delle tre somme di sopra produce il laplaciano su R3N riferito alle 3N com-ponenti di tutti gli N vettori yi. Si vede facilmente che la perturbazione V (y1, . . . ,yN ) soddisfale ipotesi del teorema 9.14 di Kato e quindi l’operatore H0 sopra definito e essenzialmente au-toaggiunto su D(R3N ) e la sua unica estensione autoaggiunta e limitata dal basso.(4) Il teorema 9.15 permette di affermare che, aggiungendo una qualsiasi funzione V ′ realelocalmente integrabile e limitata dal basso agli operatori hamiltoniani H0 visti negli esem-pi precedenti, si ottiene ancora un operatore essenzialmente autoaggiunto sul corrispondenteD(Rn). Un esempio importante e il potenziale armonico (generalmente non isotropo) V ′(x) =kx2

1 + k2x2 + k3x

23 con k1, k2, k3 ≥ 0.

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Capitolo 10

La formulazione matematica dellaMeccanica Quantistica nonrelativistica.

In questo capitolo daremo gli assiomi della Meccanica Quantistica per il sistema elementarecostituito da un particella non relativistica senza spin e discuteremo alcuni importanti risultaticonnessi alle relazione di commutazione canonica.Dopo avere riassunto, qui di seguito, i primi 4 assiomi generali formulati nel capitolo 7, nella pri-ma sezione aggiungeremo un assioma relativo alla formalizzazione della teoria quantistica dellaparticella senza spin. In particolare introdurremo le relazioni di commutazione canonica (CCR)e proveremo che non sono implementabili per mezzo di operatori limitati. Mostreremo infinecome il principio di Indeterminazione di Heisenberg risulti essere una teorema nella formulazionepresentata.La sezione successiva e dedicata al celebre teorema di Stone-von Neumann, completato da Mac-key, e relativo alla caratterizzazione delle rappresentazioni unitarie continue delle CCR. Perenunciare e provare il teorema introdurremo la nozione di ∗-algebra di Weyl, discutendone lepiu importanti proprieta . Riformuleremo infine i teoremi detti in termini di gruppo di Hei-senberg. Nell’ultima sezione discuteremo, molto brevemente il principio di corrispondenza diDirac.

Nel capitolo 7 abbiamo dato gli assiomi generali della Meccanica Quantistica. Riepiloghiamoparte del contenuto di quel capitolo alla luce della teoria spettrale sviluppata successivamente.Le proposizioni valide su un sistema quantistico sono formalizzate tramite proiettori ortogonalisu uno spazio di Hilbert.

A1. Le proposizioni riguardanti un sistema quantistico S in corrispondenza biunivoca con (unsottoinsieme de) il reticolo (rispetto all’inclusione di sottospazi) P(HS) dei proiettori ortogonalidi uno spazio di Hilbert (complesso) e separabile HS, detto spazio di Hilbert associato adS. Inoltre:

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(1) La compatibilita tra proposizioni corrisponde alla commutativia dei rispettivamente associatiproiettori ortogonali;(2) l’implicazione logica tra due proposizioni compatibili P ⇒ Q corrisponde alla relazioneP ≤ Q per i proiettori associati;(3) I (operatore identita) e 0 (operatore nullo) corrispondono rispettivamente alla proposizionesempre vera ed a quella sempre falsa;(4) la negazione di una proposizione P , ¬P corrisponde al proiettore ortogonale ¬P = I − P ;(5) solo quando le proposizioni P e Q sono compatibili le proposizioni P O Q e P E Q hannosenso fisico e corrispondono rispettivamente ai proiettori ortogonali P ∨Q e P ∧Q;(6) se Qnn∈N e un insieme numerabile di proposizioni a due a due compatibili, hanno sensofisico le proposizioni corrispondenti a ∨n∈NQn e ∧n∈NQn.

Gli stati su un sistema quantistico sono quindi rappresentati come operatori positivi di classetraccia con traccia unitaria.

A2. Uno stato ρ al tempo t su un sistema quantistico S, con spazio di Hilbert associato HS, eun operatore positivo di classe traccia con traccia unitaria su HS.La probabilita che la proposizione P ∈ P(HS) sia vera sullo stato ρ vale tr(ρP ).

Abbiamo visto che gli stati ρ sono combinazioni lineari convesse anche infinite (in tal caso laconvergenza e nella topologia operatoriale uniforme) di stati estremali dell’insieme convessoS(HS) di tutti gli stati. Gli stati estremali sono stati denominati stati puri e sono tutti deltipo ρ = ψ(ψ|·) con ψ ∈ HS tale che ||ψ|| = 1. Lo spazio degli stati puri e in corrispondenzabiunivoca con lo spazio dei raggi di HS , cioe l’insieme HS/ ∼ da cui si elimina la classe [0], dovela relazione di equivalenza ∼ e definita da φ ∼ φ′ s.se φ = aφ′ per qualche a ∈ C \ 0. Glistati non puri sono anche chiamati stati misti o miscele e gli operatori di classe traccia adessi associati sono spesso chiamati in letteratura operatori statistici o anche matrici densita.

Il processo di cambiamento di stato e descritto con una opportuna procedura di proiezione.

A3. Se il sistema quantistico S si trova nello stato ρ ∈ S(HS) al tempo t e la proposizioneP ∈ P(HS) risulta essere verificata in seguito al processo di misura allo stesso tempo t, lo statodel sistema immediatamente dopo la misura e

ρP :=PρP

tr(ρP ).

In particolare se ρ e puro ed e individuato dal vettore ψ ∈ HS con ||ψ|| = 1, lo stato del sistemaimmediatamente dopo la misura e ancora puro ed e individuato dal vettore:

ψP =Pψ

||Pψ||.

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Una nozione fisicamente importante anche dal punto di vista storico e quella di ampiezza ditransizione o di probabilita dello stato puro individuato dal vettore unitario φ sullo statopuro individuato dal vettore unitario ψ: (ψ|φ). Il modulo quadrato di essa rappresenta la pro-babilita che, essendo il sistema nello stato φ, passi allo stato ψ in seguito a processo di misura.Si osservi che possiamo scambiare il ruolo dei due stati per le proprieta del prodotto scalarehermitiano.Successivamente abbiamo definito le osservabili come misure a valori di proiezione (dette anchemisure spettrali) su R.

A4. Ogni osservabile A sul sistema quantistico S e descritta da una misura a valori di proiezionesu R, P (A), nello spazio di Hilbert del sistema HS, in modo tale che, se E e un boreliano di R, ilproiettore P (A)(E) corrisponde alla proposizione “l’esito della misura di A cade nel boreliano E”.

Il teorema spettrale per operatori autoaggiunti generalmente non limitati, enunciato e provatonella versione piu generale nel capitolo 9, consente associare univocamente ad ogni osservabileun operatore autoaggiunto definito sullo spazio di Hilbert del sistema fisico. In questo senso, seHS e lo spazio di Hilbert di un sistema fisico, lo spettro σ(A) ⊂ R di un’osservabile A, cioe unoperatore autoaggiunto A : D(A)→ HS , contiene tutti i valori possibili che si possono otteneremisurando l’osservabile A. Dal punto di vista matematico, σ(A) coincide con il supporto dellamisura a valori di proiezione P (A) associata all’osservabile.Una nozione fisicamente importante e quella di osservabili compatibili:

Definizione 10.1. Sia S un sistema quantistico descritto sullo spazio di Hilbert HS. Dueosservabili A e B per S si dicono compatibili se le misure spettrali P (A) e P (B) degli operatoriautoaggiunti rispettivamente associati a A e B commutano, ossia

P (A)(E)P (B)(E) = P (B)(E)P (A)(E) , per ogni boreliano E ⊂ R.

Due osservabili non compatibili sono dette incompatibili.

Si osservi che, dal punto di vista fisico, la compatibilita tra osservabili equivale al fatto chepossono essere misurate contemporaneamente (in armonia con l’assioma A1 e con il significatodelle misure spettrali associate ad osservabili).

Osservazione. In taluni testi di fisica si trova scritto che due osservabili sono compatibili (nelsenso scritto sopra) se gli operatori autoaggiunti associati commutano. Questo e erroneo, perchee facile trovare controesempi lavorando con operatori autoaggiunti non limitati, che sono i piufrequenti in meccanica quantistica. Una condizione per controllare se due osservabili A e B sonocompatibili e data dal teorema 9.6. Per la compatibilita e necessario e sufficiente che, per ognit ∈ R valga l’identita:

eitAeisB = eisBeitA .

La proposizione 7.9 permette di associare ad ogni coppia osservabile - stato A, ρ una misura diprobabilita su R, µAρ : E 7→ tr(ρP (A)(E)) (che coincide con (ψ|P (A)(E)ψ) nel caso di stato puro

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individuato dal vettore ψ ∈ H con norma unitaria) dove E ⊂ R e un boreliano arbitrario di R.Per costruzione il supporto di tale misura e incluso nello spettro di A. Dato che per definizioneµAρ (E) coincide con la probabilita che il valore della misura di A cada in E (cioe la probabilitache P (A)(E) sia una proposizione vera quando la valuto sullo stato ρ), ha quindi senso definireil valore medio e lo scarto quadratico medio dell’osservabile A nello stato ρ come segue.

Definizione 10.2. Sia A un’osservabile per il sistema fisico S descritto nello spazio di HilbertHS, sia ρ ∈ S(HS) uno stato del sistema S e sia µ

(A)ρ la misura di probabilita associata a ρ e

A come precisato sopra. Il valore medio e lo scarto quadratico medio dell’osservabile Anello stato ρ sono definiti, rispettivamente da:

〈A〉ρ :=∫

Rλ dµ(A)

ρ (λ) , (10.1)

∆Aρ :=Ê∫

Rλ2 dµ

(A)ρ (λ)− 〈A〉2ρ , (10.2)

e tali definizioni hanno senso nei casi in cui, rispettivamente, la funzione R 3 λ 7→ λ e le fun-zioni R 3 λ 7→ λk con k = 1, 2 sono in L1(R, µ(A)

ρ ).

Si noti che ∆Aρ e reale (non negativa) in virtu della disuguaglianza di Cauchy-Schwartz. Se lerichieste finali nella definizione 10.1 non sono soddisfatte, semplicemente, il valor medio di Ae/o il suo scarto quadratico medio non sono definibili sullo stato ρ.Vale il seguente risultato di dimostrazione immediata da (v) di teorema 9.1, dalla (9.41), e te-nendo conto del fatto che tr(ρP (A)(E)) = (ψ|P (A)(E)ψ) se ρ = ψ(ψ|·) con ||ψ|| = 1 e delleproprieta di linearita della traccia.

Proposizione 10.1. Sia A e un’osservabile per il sistema fisico S descritto nello spazio diHilbert HS.(a) Sia ψ ∈ HS normalizzato a 1 in modo da individuare uno stato puro che indichiamo an-cora con ψ. Se ψ ∈ D(A) e, rispettivamente ψ ∈ D(A2), allora esistono 〈A〉ψ e ∆Aψ e valerispettivamente:

〈A〉ψ = (ψ|Aψ) , (10.3)

∆A2ψ = (ψ|A2ψ)− 〈A〉ψ2 =

(ψ∣∣∣(A− 〈A〉ψI)2 ψ

). (10.4)

(b) Sia ρ ∈ S(HS) con rango di dimensione finita generato da vettori φi che soddisfano φi ∈D(A) e, rispettivamente φi ∈ D(A2), allora valgono rispettivamente:

〈A〉ρ = tr(ρA) , (10.5)∆A2

ρ = tr(ρA2)− 〈A〉ρ2 . (10.6)

(10.5) e (10.6) valgono entrambe anche se non si fanno ipotesi sul rango di ρ, ma l’osservabileA ha rango di dimensione finita.

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Bisogna specificare che le ipotesi in (b) non sono le uniche nelle quali valgono (10.5) e (10.6).In ogni caso queste ultime non sono le definizioni di media e scarto quadratico medio, che inve-ce sono date, in tutta generalita dalle (10.1) e (10.2), indipendentemente dalla proposizione 10.1.

Per proseguire ulteriormente nella formulazione matematica della Meccanica Quantistica dob-biamo fornire ulteriori assiomi che riguardano sistemi elementari particolari. Tali sistemi corri-spondono alle particelle della teoria non relativistica. In altre parole il gruppo di trasformazionisotto il quale la teoria e invariante e il gruppo di Galilei e non quello di Poincare. Torneremo piuavanti su questo punto. Dal punto di vista fisico, questa descrizione e una descrizione adeguatafino a quando le velocita in gioco non sono dell’ordine della velocita della luce (circa 300.000km/sec). E importante sottolineare che, comunque, alcune nozioni matematiche (algebra diWeyl) introdotte in questa descrizione non relativistica hanno validita molto piu generale, anchein regime relativistico, nella formulazione della teoria quantistica dei campi della quale non cioccuperemo.Con i sistemi elementari si costituiscono quelli complessi tramite una composizione basata sullanozione di prodotto tensoriale di spazi di Hilbert, come vedremo piu avanti studiando i sistemicomposti.

10.1 Sistemi elementari non relativistici: particella a spin 0.

Il piu semplice sistema elementare in Meccanica Quantistica non relativistica e una particellaquantistica di massa m > 0 con spin 0. Per essa vale il seguente assioma.

A5. Considerando un riferimento inerziale I relativo a coordinate cartesiane ortonormali x1, x2, x3,lo spazio di Hilbert di una particella non relativistica con spin 0 e massa m > 0 e individuatoda:(a) lo spazio di Hilbert del sistema H = L2(R3, dx) essendo R3 identificato con lo spazio di quietedi I con coordinate canoniche identificate con x1, x2, x3 e dx l’ordinaria misura di Lebesgue suR3;(b) le osservabili associate alle coordinate x1, x2, x3 della particella sono rispettivamente datedagli operatori autoaggiunti, detti operatori posizione,

(Xiψ)(x1, x2, x3) = xiψ(x1, x2, x3) , (10.7)

per i = 1, 2, 3 con domini

D(Xi) :=§ψ ∈ L2(R3, d3x)

∣∣∣∣∫R3|xiψ(x1, x2, x3)|2 dx < +∞

ª;

(c) le osservabili associate alle componenti dell’impulso della particella rispetto a I, p1, p2, p3,sono rispettivamente date dagli operatori autoaggiunti detti operatori impulso,

Pk = −i~ ∂

∂xk, (10.8)

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per k = 1, 2, 3, dove l’operatore a secondo membro e la chiusura dell’operatore differenzialeessenzialmente autoaggiunto:

−i~ ∂

∂xi: S(R3)→ L2(R3, dx)

e S(R3)spazio di Schwartz su Rn e lo spazio di Schwartz su R3 (cfr sezione 3.6).

Ricordiamo che in letteratura fisica i vettori (normalizzati a 1) di L2(R3, dx) associato ad unaparticella sono detti funzioni d’onda della particella. Le funzioni d’onda determinano (non inmodo biunivoco a causa dell’arbitrarieta nello scegliere un fattore numerico) gli stati puri dellaparticella.

Osservazioni.(1) La discussione fatta nella sezione 5.3 prova che si arriva alle stesse definizioni di sopra de-finendo gli operatori Xi sostituendo la condizione ψ ∈ L2(R3, dx) con ψ ∈ D(R3) (cfr sezione3.6). Lo stesso risultato si ottiene con la condizione ψ ∈ S(R3) nella definizione del dominiodi tali operatori. In entrambi i casi si deve prendere, alla fine, l’unica estensione autoaggiuntadell’operatore definito su D(R3) oppure S(R3).(2) La definizione di Pi puo essere equivalentemente data come (vedi definizione 5.9, la propo-sizione 5.5 e la discussione successiva)

(Pif)(x) = −i~w-∂

∂xif(x) ,

con dominio:D(Pi) :=

f ∈ L2(R3, dx)

∣∣∣ esiste w- ∂∂xif ∈ L2(R3, dx)

.

dove w- ∂∂xi

indica la derivata in senso debole. La discussione fatta nella sezione 5.3 prova ancheche la definizione di Pi (vedi proposizione 5.5) puo essere data equivalentemente sostituendo lospazio di Schwartz con D(R3) e prendendo l’unica estensione autoaggiunta dell’operatore cosıdefinito che risulta ancora essere essenzialmente autoaggiunto.(3) Ricordiamo infine che, per la proposizione 5.6, se Ki denota l’operatore posizione rispettoalla coordinata i-esima nello spazio di arrivo della trasformata di Fourier-Plancherel (cfr sezione3.6) F : L2(R3, dx)→ L2(R3, dk), vale:

Pi = ~ F−1KiF .

Questa proprieta puo essere usata come un’ulteriore definizione alternativa, ma equivalente,dell’operatore impulso.(4) Dalla discussione nella sezione 9.14, sappiamo che:

σ(Xi) = σc(Xi) = R , σ(Pi) = σc(Pi) = R per i = 1, 2, 3. (10.9)

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10.1.1 le Relazioni di Commutazione Canonica (CCR) e non implementabi-lita con operatori limitati.

La definizione degli operatori posizione ed impulso e tale che, malgrado i domini delle 6 osser-vabili siano differenti, esistono comunque sottospazi H0 ⊂ L2(R3, dx) invarianti per tutte questeosservabili, cioe Xi(H0) ⊂ H0 e Pi(H0) ⊂ H0 per ogni i = 1, 2, 3. Per esempio si puo prendere lospazio di Schwartz H0 = S(R3). La verifica di cio e immediata dalla stessa definizione di spaziodi Schwartz. Su S(R3), per computo diretto usando (10.7) e (10.8), si verifica subito che valgonole relazioni di commutazione di Heisenberg o CCR (canonical commutation relations):

[Xi, Pj ] = i~δijI ,

dove δij = 0 se i 6= j mentre δij = 1 se i = j . Piu precisamente abbiamo che vale il seguentelemma.

Lemma 10.1. Gli operatori posizione ed impulso Xi e Pj con i, j = 1, 2, 3, definiti in A5,soddisfano le relazioni relazioni di commutazione di Heisenberg:

[Xi, Pj ]ψ = i~δijψ per ogni ψ ∈ D(XiPj) ∩D(PjXi), i, j = 1, 2, 3 . (10.10)

La (10.10) continua ad essere verificata quando si sostituiscono a primo membro Xi con X ′i :=Xi + aiI e Pj con P ′j := Pj + bjI, dove ai, bj ∈ R sono costanti arbitrarie.Le relazioni (10.10) valgono in particolare se ψ appartiene al sottospazio invariante (per tuttigli operatori Xi e Pj) S(R3).

Prova. Lavoriamo con ai e bj costanti generiche, la tesi principale si ottiene nel caso ai =bj = 0. Si osservi prima di tutto che, come si verifica immediatamente: D(X ′iP

′j) ∩D(P ′jX

′i) =

D(XiPj)∩D(PjXi). Sulle funzioni ϕ ∈ D(R3), per costruzione l’operatore P ′j si riduce all’azionedi −i~∂/∂xj + bjI e pertanto, tenendo conto che X ′i coincide con la semplice moltiplicazione perla coordinata traslata xi + ai, abbiamo l’identita : P ′jX

′iϕ = −i~ϕδijϕ+X ′iP

′jϕ. Da essa segue

immediatamente che, per ogni fissato ψ ∈ L2(R3, dx):(P ′jX

′iϕ−X ′iP ′jϕ+ i~δijϕ

∣∣∣ψ) = 0 ,

per ogni ϕ ∈ D(R3). A sua volta, se ψ ∈ D(X ′iP′j) ∩D(P ′jX

′i) = D(XiPj) ∩D(PjXi) e tenendo

conto del fatto che Pj e Xi sono autoaggiunti, l’identita trovata si riscrive:(ϕ∣∣∣X ′iP ′jψ − P ′jX ′iψ − i~δijψ) = 0 .

Dato che D(R3) e denso in L2(R3, dx), quanto appena ottenuto prova che, se ψ ∈ D(XiPj) ∩D(PjXi):

X ′iP′jψ − P ′jX ′iψ − i~δijψ = 0 .

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Questa e la tesi che volevamo provare che, in particolare, vale per ψ ∈ S(R3) ⊂ D(XiPj) ∩D(PjXi). 2

Osservazione. In (1) in esercizi 10.1 si mostra come sia possibile lasciare cadere l’ipotesiψ ∈ D(XiPj) ∩ D(PjXi), sostituendola con la piu debole ψ ∈ D(Xi) ∩ D(Pj) e dimostrandoancora valide le relazioni (10.10), interpretate in un senso piu debole (nel senso delle forme qua-dratiche).

Coppie di osservabili che soddisfano le relazioni di Heisenberg (10.10) su un qualche dominioinvariante come S(R3) sono spesso dette in letteratura osservabili coniugate. Le relazionidi Heisenberg sono il caso elementare di piu generali CCR valide anche in teoria dei campiquantistici, per campi bosonici con la definizione appropriata per gli operatori corrispondentiall’operatore posizione ed all’operatore impulso. Dal punto di vista fisico si e constatato piuvolte, nella storia della Meccanica Quantistica e sue evoluzioni, che queste relazioni sono piuimportanti delle definizioni di Xi e Pi stessi.Come e evidente dalle definizioni date, gli operatori posizione ed impulso non sono limitati enon sono definiti su tutto lo spazio di Hilbert. Questo fatto e piuttosto fastidioso dal puntodi vista tecnico perche costringe ad usare la teoria spettrale per operatori non limitati che epiu complessa di quella per operatori limitati. Ci si puo chiedere se non sia possibile definirein modo alternativo Xi e Pi in modo tale che le relazioni di Heisenberg siano mantenute, matali operatori siano limitati. La risposta e negativa e questa situazione e nella natura delle cosedato che discende direttamente dalle relazioni di commutazione di Heisenberg. Vale infatti laseguente proposizione.

Proposizione 10.2. Non esistono 6 operatori autoaggiunti Xi e Pj, con i, j = 1, 2, 3 che sod-disfino [Xi, Pj ] = i~δijI su un sottospazio invariante e che siano limitati su tale sottospazio.

Prova. Supponiamo che Xi e Pi soddisfino [Xi, Pj ] = i~δijI su un sottospazio invariante D esiano limitati su di esso. Restringiamoci allora a lavorare su tale spazio (o sulla chiusura di essose non e chiuso, estendendo gli operatori in modo unico ad operatori autoaggiunti definiti sutale chiusura), considerandolo come tutto lo spazio di Hilbert. Le restrizioni di tali operatorisaranno ancora operatori autoaggiunti oltre che limitati. Da [Xi, Pj ] = i~δijI si ricava subitoche

Pi(Xi)n − (Xi)nPi = −in(Xi)n−1 ,

da cui, se n e dispari, usando ricorrentemente (a) di proposizione 3.6 (tenendo conto che (Xi)p =((Xi)p)∗ per ogni intero positivo p) e le proprieta elementari della norma:

n||Xi||n−1 = n||(Xi)n−1|| ≤ 2||Pi||||(Xi)n|| ≤ 2||Pi||||Xi||||(Xi)n−1|| = 2||Pi||||Xi||||Xi||n−1 .

Dato che ||Xi|| 6= 0 (altrimenti (10.10) sarebbe falsa), concludiamo che, per ogni n = 1, 3, 5, . . .

n ≤ 2||Pi||||Xi|| < +∞

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che e impossibile. 2

10.1.2 Il Principio di Indeterminazione di Heisenberg come teorema.

Una conseguenza positiva immediata delle relazioni di Heisenberg e di tutto il formalismo intro-dotto e che il Principio di Indeterminazione di Heisenberg per le variabili posizione ed impulso(cfr sezione 6.4) diventa un teorema.

Teorema 10.1 (Principio di indeterminazione di Heisenberg). Per ogni stato puro di unparticella classica con spin 0, descritto da un vettore ψ ∈ D(XiPi)∩D(PiXi)∩D(X2

i )∩D(P 2i )

(in particolare ψ ∈ S(R3)) con ||ψ|| = 1, valgono le relazioni

(∆Xi)ψ(∆Pi)ψ ≥~2

i=1,2,3 . (10.11)

Prova. Prima di tutto notiamo che, nelle ipotesi fatte si ha in particolare che ψ ∈ D(X2i )∩D(P 2

i )per cui gli scarti quadratici hanno senso.Usando (10.4) si vede immediatamente che (∆Xi)ψ = (∆X ′i)ψ e (∆Pi)ψ = (∆P ′i )ψ se X ′i :=Xi + aiI e P ′i := Pi + biI dove ai, bi sono costanti in R, per cui la validita di (10.11) con Xi

e Pi rimpiazzati con X ′i e P ′i rispettivamente e equivalente alla validita di (10.11). Scegliamopertanto ai = −〈Xi〉ψ e bi = −〈Pi〉ψ e dimostriamo (10.11) per i nuovi operatori X ′i e P ′i . Dalla(10.4) risulta immediatamente che, con le scelte fatte, (∆X ′i)ψ = ||X ′iψ|| e (∆P ′i )ψ = ||P ′iψ||.Quindi dobbiamo provare che

||X ′iψ||||P ′iψ|| ≥ ~/2 . (10.12)

X ′i e P ′i soddisfano ancora (10.10), per cui, dalla disuguaglianza di Schwarz ed usando il fattoche gli operatori sono autoaggiunti e le proprieta elementari del prodotto scalare, si ha:

||X ′iψ||||P ′iψ|| ≥ |(X ′iψ, P ′iψ)| ≥ |Im(X ′iψ, P′iψ)| = 1

2

∣∣∣(ψ,X ′iP ′iψ)− (ψ,X ′iP′iψ)

∣∣∣≥ 1

2∣∣(ψ, (X ′iP ′i − P ′iX ′i)ψ)

∣∣ =~2

(ψ|ψ) =~2.

Nel penultimo passaggio abbiamo usato il lemma 10.1. Abbiamo quindi provato (10.12) che eraquanto si doveva fare. 2

Osservazioni.(1) La dimostrazione rimane invariata lavorando su Rn invece che su R3 con operatori definitiestendendo nel modo piu ovvio la definizione di operatori posizione ed impulso.(2) In (2) in esercizi 10.1 si mostra come sia possibile lasciare cadere l’ipotesi ψ ∈ D(XiPj) ∩D(PjXi), sostituendola con la piu debole ψ ∈ D(Xi) ∩D(Pj) e dimostrando ancora le relazioni(10.11), interpretando le varianze in un senso piu debole (nel senso delle forme quadratiche)1.

1L’idea puo essere usata anche nel caso della relazione di indeterminazione tempo-energia come discusso in: R.Brunetti, K. Fredenhagen, Remarks on time energy uncertainty relations, Rev. Math. Phys. 14, 897-906, 2002.

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10.2 Le relazioni di Weyl, il teorema di Stone-von Neumann edil teorema di Mackey.

Von Neumann e Stone sono riusciti a provare un fatto piuttosto importante: non e necessariodare l’assioma A5 precisando il fatto che lo spazio di Hilbert sia un L2 (e nemmeno che siaseparabile) e che gli operatori posizione ed impulso siano della forma data. In qualche modoqueste informazioni sono tutte contenute nelle relazioni di commutazione di Heisenberg pur-che, detto un poco impropriamente, la rappresentazione degli operatori posizione ed impulsosia irriducibile. Questo e il contenuto essenziale del famoso teorema di Stone-von Neumann chedimostreremo in questa sezione. Se cade la condizione di irriducibilita, Mackey ha provato (comeconseguenza di teoremi molto piu generali legati alla teoria dell’imprimitivita) che lo spazio diHilbert e comunque una somma diretta ortogonale di rappresentazioni irriducibili (il numero ditali rappresentazioni e numerabile se lo spazio di Hilbert e separabile). Dimostreremo anche ilteorema di Mackey.

10.2.1 Famiglie irriducibili di operatori e lemma di Schur.

Prima di procedere sono necessarie alcune nozioni generali riguardanti il concetto di famigliairriducibile di operatori. Strettamente legato a tale nozione e il cosiddetto Lemma di Schur,che ha grande utilita nella teoria generale delle rappresentazioni unitarie di gruppi, che avremooccasione di incontrare nel prossimo capitolo.

Definizione 10.4. H e uno spazio di Hilbert e A := Aii∈J e una famiglia di operatoriAi : H → H, diremo che H e irriducibile rispetto a A, ovvero equivalentemente che A e irri-ducibile rispetto a H, se non esiste alcun sottospazio chiuso di H, diverso da 0 e da H stesso,che sia invariante per tutti gli elementi di A contemporaneamente.

In altre parole, non deve esistere alcun sottospazio chiuso H0 ⊂ H, diverso da 0 e da H stesso,per cui Ai(H0) ⊂ H0 per ogni i ∈ I.Proviamo ora un utile risultato generale sull’irriducibilita di classi di operatori, noto come Lem-ma di Schur.

Proposizione 10.3 (Lemma di Schur). Sia A := Aii∈J ⊂ B(H) una famiglia di operatorisullo spazio di Hilbert, chiusa rispetto alla coniugazione hermitiana (cioe A∗i ∈ A se Ai ∈ A).Valgono i seguenti fatti.(a) La famiglia A e irriducibile se e solo se ogni operatore V ∈ B(H) che soddisfa:

V Ai = AiV per ogni i ∈ J ,

e della forma V = χI per qualche numero complesso χ ∈ C.(b) Sia A′ := A′ii∈J ⊂ B(H′) un’altra famiglia di operatori sullo spazio di Hilbert H′, etichet-tata sullo stesso insieme di indici J , che sia chiusa rispetto alla coniugazione hermitiana. Si

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supponga infine che:

se A∗i = Aji allora A′∗i = A′ji per ogni i ∈ J ed un corrispondente ji ∈ J . (10.13)

Se A e A′ sono irriducibili, allora ogni operatore lineare limitato S : H→ H′ che verifica:

SAi = A′iS per ogni i ∈ J ,

deve essere della forma S = rU dove U : H → H′ e una trasformazione unitaria e r ∈ R (inparticolare S e l’operatore nullo quando r = 0).

Prova. Partiamo dalla dimostrazione di (b) che e piu complessa e che viene in parte utilizzataper provare (a).(b) Prendendo l’aggiunto di SAi = A′iS abbiamo A∗iS

∗ = S∗A′∗i per ogni i ∈ J . In altre paroleAjiS

∗ = S∗A′ji per ogni i ∈ J . Si osservi che ji varia in tutto J quando i varia in J , essendoA∗ji ∈ A e (A∗ji)

∗ = Aji , pertanto possiamo riscrivere l’identita trovata come AiS∗ = S∗A′i perogni i ∈ J . Per confronto con SAi = A′iS, abbiamo che AiS∗S = S∗SAi e A′iSS

∗ = SS∗A′i.Dalla prima identita trovata abbiamo che l’operatore autoaggiunto limitato V := S∗S commutacon ogni Ai e pertanto, per (c) del teorema 8.6, la misura spettrale P (V ) di V su R commuta conogni Ai. Ma allora ogni sottospazio chiuso P (V )

E (H) e invariante per ogni Ai. Essendo la famigliadegli Ai irriducibile, questo significa che P (V )

E (H) = H, cioe P (V )E = I, oppure P (V )

E (H) = 0,cioe P (V )

E = 0, per ogni boreliano E ⊂ R. Supponiamo che lo spettro di V contenga almenodue punti r 6= r′ ed usiamo i risultati in (b) del teorema 9.2. Consideriamo due intervalli apertidi R, I 3 r e I ′ 3 r′ con I ∩ I ′ = ∅ Deve essere P (V )

I 6= 0 e P (V )I′ 6= 0 perche i due intervalli

contengono punti dello spettro, e quindi deve valere il caso P (V )I = P

(V )I′ = I. D’altra parte si

deve anche avere P (V )I P

(V )I′ = 0 perche I ∩ I ′ = ∅. Abbiamo raggiunto un assurdo e pertanto lo

spettro di V (che non puo mai essere vuoto) deve contiene un unico punto che, essendo isolato,e parte dello spettro puntuale. Concludiamo che S∗S = V = λI per qualche λ ∈ [0,+∞). Conla stessa procedura si trova che vale anche SS∗ = λ′I per qualche λ′ ∈ [0,+∞). Ma allora deveessere:

λS∗ = S∗SS∗ = λ′S∗ .

Ne consegue che λ = λ′ oppure S∗ = 0 e quindi S = (S∗)∗ = 0. Nel secondo caso la dimostra-zione e conclusa. Nel primo caso, definendo U := λ−1/2S, si trova subito UU∗ = I ′ e U∗U = Idove I e I ′ sono gli operatoti identita su H e H′ rispettivamente. Ne consegue (vedi definizione3.9) che U e un operatore unitario. La tesi e provata con λ := r.(a) Supponiamo che A sia irriducibile. Se V Ai = AiV , allora A∗iV

∗ = V ∗A∗i che, nell’ipotesi diA chiuso rispetto alla coniugazione hermitiana, significa AiV ∗ = V ∗Ai per ogni i ∈ J . Alloragli operatori limitati autoaggiunti V+ := 1

2(V + V ∗) e V− := 12i(V − iV

∗) commutano con glielementi di A e questo implica che le loro misure spettrali commutano con gli elementi di A.Ragionando come nella dimostrazione di (b), si conclude subito che V± = λ±I per qualche cop-pia di reali λ±. Di conseguenza V = V+ + iV− = (λ+ + iλ−)I = χI con χ ∈ C. Supponiamo,

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viceversa che gli unici operatori che commutano con A siano del tipo χI. Se H0 e un sottospazioinvariante per A e P e il proiettore ortogonale su H0 allora deve essere PAiP = AiP per ognii ∈ J . Prendendo l’aggiunto si ha subito che: PA∗iP = PA∗i per ogni i ∈ J . Dato che laclasse A e chiusa rispetto alla coniugazione hermitiana ed i ∈ J e generico, l’identita trovatasi puo riscrivere PAiP = PAi. Per confronto con l’identita iniziale, troviamo: PAi = AiP perogni i ∈ J . Nelle ipotesi fatte, deve allora essere P = χI per qualche χ ∈ C. P ∗ = P implicache χ ∈ R, e PP = P implica che χ2 = χ. Ci sono pertanto solo due possibilita : P = 0 e quindiH0 = 0 oppure P = I e quindi H0 = H. Abbiamo verificato che A e irriducibile.2

Osservazione. Il lemma di Schur e particolarmente utile quando le due famiglie A e A′ sonorappresentazioni unitarie di uno stesso gruppo G. In tal caso, le ipotesi di chiusura rispetto allaconiugazione hermitiana e la (10.13) sono automaticamente soddisfatte usando G come insiemedegli indici I.

10.2.2 Le relazioni di Weyl dalle CCR.

Per illustrare il teorema di Stone-von Neumann procediamo a piccoli passi. Un punto tecnica-mente rilevante e che le relazioni di commutazione di Heisenberg sono troppo difficili da usarerigorosamente perche coinvolgono sottigliezze sui domini. Per liberaci dei problemi di dominiopossiamo passare dagli operatori Xi e Pi ai gruppi unitari ad un parametro da essi generati. Sipuo fare di meglio e considerare gli operatori

∑ni=1 tkXk + ukPk, con tk, uk ∈ R, che risultano

essere essenzialmente autoaggiunti su S(R3) e considerare gli esponenziali delle loro uniche esten-sioni autoaggiunte

∑ni=1 tkXk + ukPk. Un calcolo diretto e “brutale” basato sulle sole relazioni

di Heisenberg (10.10) e sullo sviluppo formale dell’esponenziale con la sua formula di Taylor(tale sviluppo non e giustificato fino ad ora), produce la seguente relazione2:

exp

in∑k=1

tkXk + ukPk

exp

in∑k=1

t′kXk + u′kPk

= exp

− i~

2

(n∑k=1

tku′k − t′kuk

)exp

in∑k=1

(tk + t′k)Xk + (uk + u′k)Pk

.

Queste relazioni dette relazioni di Weyl, sono conseguenze formali dirette delle relazioni di com-mutazione di Heisenberg.

Possiamo allora enunciare la proposizione annunciata, che dimostra tra le altre cose ed indipen-dentemente da quanto gia fatto con altre tecniche, che gli operatori Xi e Pi sono essenzialmenteautoaggiunti se ristretti a S(R3), anche lavorando in dimensione maggiore di 3. Nel seguito

2Se gli operatori negli esponenti fossero matrici n×n di C il risultato seguirebbe immediatamente dalla famosaformula di Campbell-Hausdorff-Baker: eAeB = e[A,B]/2eA+B , valida quando la matrice [A,B] commuta sia con lamatrice a A che con la matrice B.

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assumeremo, per comodita notazionale ~ = 1.

Proposizione 10.4. Si consideri lo spazio L2(Rn, dx) con n = 1, 2, · · · fissato e dx l’ordinariamisura di Lebesgue su Rn. Per k = 1, 2, · · · , n si definiscano gli operatori simmetrici:

Xk : S(Rn)→ L2(Rn, dx) e Pk : S(Rn)→ L2(Rn, dx)

come:

(Xkψ) (x) = xkψ(x) , (10.14)

(Pkψ) (x) = −i ∂ψ∂xk

(x) . (10.15)

Valgono i seguenti fatti.(a) Gli operatori simmetrici definiti su S(Rn),

∑nk=1 tkXk+ukPk ammettono S(Rn) come spazio

invariante e sono essenzialmente autoaggiunti per ogni scelta di (t,u) ∈ R2n.(b) Lo spazio L2(Rn, dx) e irriducibile rispetto all’insieme di tutti gli operatori limitati:

W ((t,u)) := exp

in∑k=1

tkXk + ukPi

, con (t,u) ∈ R2n . (10.16)

(c) Gli operatori suddetti soddisfano le relazioni, dette relazioni di Weyl:

W ((t,u))W ((t′,u′)) = e−i2

(t·u′−t′·u)W ((t+ t′,u+u′)) , W ((t,u))∗ = W (−(t,u)) . (10.17)

(d) Per (t,u) ∈ R2n fissato, ogni applicazione R 3 s 7→W (s(t,u)) soddisfa:

s- lims→0

W (s(t,u)) = W (0) . (10.18)

Prova. Lavoriamo per iniziare nel caso n = 1, la generalizzazione al caso n > 1 finito sara ovvia.In questo caso abbiamo solo l’operatore X e l’operatore P. Entrambi gli operatori sono ben defini-ti quando ristretti allo spazio di Schwartz S(R) ed ammettono un’unica estensione autoaggiuntapartendo da tale spazio come precedentemente discusso che coincide con X e P rispettivamente.Vogliamo costruire un sottospazio denso di vettori analitici per tutti gli operatori simmetriciaX + bP : S(R) → L2(R, dx), per ogni scelta di a, b ∈ R. Definiamo sul dominio denso S(R)gli operatori detti, rispettivamente, operatore di distruzione, operatore di creazione eoperatore numero di occupazione:

A :=1√2

X +

d

dx

, A? :=

1√2

X− d

dx

, N := A?A . (10.19)

Per costruzione A∗ ⊃ A?, (A?)∗ ⊃ A e N e simmetrico. Si verifica per computo diretto che leCCR (ovvero la stessa definizione data sopra) implicano che valgano le relazioni di commutazionesu S(R):

[A,A?] = I . (10.20)

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E un fatto noto della teoria dei polinomi ortogonali che il sistema ortonormale completo suL2(Rn, dx) delle funzioni di Hermite (cfr (4) in Esempi 3.2) ψnn=0,1,... ⊂ S(R) soddisfa ψ0 =π−1/4e−x

2/2 e la relazione di ricorrenza ψn+1 = (2(n+ 1))−1/2(x− ddx)ψn. Questo e equivalente

a dire che, come si prova facilmente dalla definizione di A?, assegnato ψ0 le altre funzioni diHermite si ottengono come:

ψn =

Ê1n!

(A?)nψ0 . (10.21)

D’altra parte, per computo diretto si verifica immediatamente che:

Aψ0 = 0 (10.22)

Usando (10.21), (10.22) e (10.20) si ha facilmente per induzione la seconda delle due equazioniseguenti:

A?ψn =√n+ 1ψn+1 , Aψn =

√nψn−1 , Nψn = nψn , (10.23)

dove, nella seconda formula il secondo membro e assunto nullo per definizione se n = 0 e,come si riconosce facilmente, la prima identita non e altro che la relazione di ricorrenza ψn+1 =(2(n+ 1))−1/2(x− d

dx)ψn precedentemente introdotta; la terza e invece immediata conseguenzadelle due precedenti.Tenendo conto che gli ψn sono normalizzati a 1, le prime 2 in (10.23) producono la seguentestima:

||A1A2 · · ·Akψn|| ≤√n+ 1

√n+ 2 · · ·

√n+ k ≤

È(n+ k)! . (10.24)

dove gli operatori Ai sono indifferentemente ed indipendentemente A oppure A?. Consideriamoora un operatore simmetrico su S(R) dato da una qualsiasi combinazione lineare reale T :=aX + bP con a, b ∈ R. Si ha immediatamente da (10.19) che, se z := a+ ib allora

T =zA+ zA?√

2. (10.25)

Da questa identita e da (10.24) segue subito che, per ogni funzione di Hermite ψn:

||T kψn|| = 2−k/2||(zA+ zA?)kψn|| ≤ 2−k/22k|z|kÈ

(n+ k)! = |z|kÈ

2k(n+ k)! .

Pertanto, se t ≥ 0:

+∞∑k=0

tk

k!||T kψn|| ≤

+∞∑k=0

(√

2|z|t)kÈ

(n+ k)!k!

≤+∞∑k=0

(√

2|z|t)kÈ

(n+ k)n√k!

< +∞ .

Il fatto che l’ultima serie converga si ha calcolando direttamente il raggio di convergenza r conla formula

1/r = limk→+∞

(Ê(n+ k)n

k!

)1/k

= limk→+∞

en ln(k+n)

2k− ln k!

2k = limk→+∞

e−ln k!2k = 0 .

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Concludiamo che combinazioni lineari finite delle funzioni di Hermite sono un insieme di vettorianalitici (piu precisamente vettori di A (T,+∞) con la notazione introdotta nel capitolo 9) pertutti gli operatori T := aX + bP definiti su S(R). Dato che tali operatori sono simmetrici,concludiamo che devono anche essere essenzialmente autoaggiunti su S(R) per il teorema diNelson (teorema 5.8). Questo conclude la prova di (a) per n = 1, per n > 1 la dimostrazione ela stessa, con semplici riadattamenti, tenendo conto che i polinomi di Hermite generalizzati:

ψm1,...,mn(x1, . . . , xn) := ψm1(x1) · · ·ψmn(xm)

definiscono un sistema ortonormale completo per L2(Rn, dx) (vedi (1) in Esempi 9.1). Quantoappena visto prova evidentemente (a) ma anche (d) e la seconda identita in (c). Infatti, percostruzione:

W (s(t,u)) = exp

is

n∑k=1

tkXk + ukPk

= exp

is

n∑k=1

tkXk + ukPk

,

dove abbiamo usato il risultato di verifica immediata, applicando la definizione di chiusura diun operatore chiudibile a, sA = sA per ogni s ∈ C. A questo punto, dato che

∑ni=1 tkXk + ukPk

e autoaggiunto, il punto (a) del teorema 9.6 (di Stone), prova la continuita nella topologia fortedel gruppo unitario ad un parametro R 3 s 7→ W (s(t,u)), tenendo conto del fatto che W (0) =exp

¦i0∑ni=1 tkXk + ukPk

©= I. La seconda identita in (c) e ovvia dato che R 3 s 7→W (s(t,u))

e un gruppo unitario ad un parametro come appena verificato.Per dimostrare (b) faremo uso del Lemma 10.2 enunciato e provato dopo questa dimostrazione,che si basa unicamente sulla dimostrazione del punto (a) appena data. Supponiamo che esistaun sottospazio chiuso H0 ⊆ L2(Rn) invariante per la classe degli operatori W ((t,u)) e chesia non banale, cioe contenga almeno un vettore ψ 6= 0. Sia φ ∈ H⊥0 , mostreremo che devenecessariamente essere φ = 0 e pertanto H0 = L2(Rn). Per ipotesi deve essere, dato che sia H0

che il suo ortogonale sono invarianti sotto l’azione degli operatori suddetti:

(φ|W ((t, 0)W ((0,u))ψ) = 0 , per ogni (t,u) ∈ R2n .

In altre parole: φ

∣∣∣∣ei∑ktkXkei

∑kukPk ψ

= 0 , per ogni (t,u) ∈ R2n .

Il primo membro puo essere calcolato esplicitamente usando (10.32) e (10.33) del Lemma 10.2trovando: ∫

Rneit·xφ(x)ψ(x + u) dx = 0 , per ogni t,u ∈ Rn .

Dato che la funzione x 7→ hu(x) := φ(x)ψ(x + u) e in L1(Rn, dx) essendo le due funzioni aprodotto in L2(Rn, dx), e data l’arbitrarieta di t ∈ Rn, l’identita di sopra dice semplicementeche la trasformata di Fourier di hu ∈ L1(Rn, dx) e nulla. In base a (f) in proposizione 3.12, lafunzione hu deve essere nulla quasi ovunque. In altre parole:

φ(x)ψ(x + u) = 0 quasi ovunque per ogni u ∈ Rn . (10.26)

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Sia E ⊂ Rn l’insieme su cui ψ non si annulla e F l’insieme su cui non si annulla mai φ. (No-tare che entrambi gli insiemi sono misurabili perche controimmagini dell’aperto C \ 0 secondofunzioni misurabili.) Indicando con m la misura di Lebesgue di Rn, vale m(E) > 0 per ipotesi.Affinche sia valida la richiesta (10.26) deve accadere che:

m(F ∩ (E − u)) = 0 per ogni u ∈ Rn, cioe∫

RχF (x)χE(x + u)dx = 0 per ogni u ∈ Rn .

Integrando in u abbiamo che deve anche valere:∫Rdy

∫RχF (x)χE(x + u)dx = 0 .

Dato che le funzioni integrande sono non negative e che l’integrale iterato e finito, possiamousare il teorema di Fubini-Tonelli per scambiare le integrazioni, sfruttare ancora l’invarianza pertraslazioni della misura di Lebesgue ottenendo:

0 =∫

RdxχF (x)

∫RχE(x+u)du =

∫RdxχF (x)

∫E−x

1du =∫

RdxχF (x)

∫RχE(u)dy = m(F )m(E).

Dato che m(E) > 0 deve essere m(F ) = 0. Dunque φ e nulla quasi ovunque: e il vettore nullodi L2(Rn, dx). Quindi H0 = L2(Rn, dx) e questo prova l’irriducibilita enunciata in (b).Non resta che dimostrare le identita :

W ((t,u))W ((t′,u′)) = e−i2

(t·u′−t′·u)W ((t + t′,u + u′)) . (10.27)

Per provare tali identita suddette procediamo come segue in due passaggi, introducendo glioperatori:

U((t,u)) := e−i2

(t·u)W ((t, 0))W ((0,u)) .

Per prima cosa dimostreremo che tali operatori soddisfano le identita :

U((t,u))U((t′,u′)) = e−i2

(t·u′−t′·u)U((t + t′,u + u′)) . (10.28)

Come secondo punto dimostreremo che

U((t,u)) = W ((t,u)) , (10.29)

e cio concludera la dimostrazione.Esattamente come nella dimostrazione di (b), usando il lemma 10.2 segue immediatamente che:

(U((t,u))ψ) (x) = ei2t·ueit·xψ(x + u) . (10.30)

Da questa identita reiterata segue, con qualche banale calcolo che, per ogni fissata ψ ∈ L2(Rn, dx):

U((t,u))U((t′,u′))ψ = e−i2

(t·u′−t′·u)U((t + t′,u + u′))ψ .

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Per l’arbitrarieta di ψ questo e equivalente alla (10.28) che risulta in tal modo provata. Passiamoa dimostrare (10.29). Consideriamo, per t,u fissati, la classe di operatori unitari Us := U(s(t,u))per s ∈ R. Direttamente da (10.30) si verifica per computo diretto che Us+s′ = UsUs′ e U0 = I.Dato che gli operatori sono tutti unitari abbiamo ottenuto che Uss∈R e un gruppo ad unparametro di operatori unitari. La nostra strategia sara ora quella di dimostrare che tale gruppoe fortemente continuo, calcolarne il generatore e dimostrare che esso coincide con quello diW (s(t,u))s∈R; provate queste cose il teorema di Stone (teorema 9.5) dimostra che i duegruppi ad un parametro devono coincidere provando in tal modo (10.29). Per quanto concernela continuita in senso forte, si osservi che, per ogni fissata coppia ψ, φ ∈ L2(R2, dx):

(φ|Usψ) = eis2

2t·uφ

∣∣∣∣eis∑ktkXkeis

∑kukPkψ

= e

is2

2t·ueis∑

ktkXkφ

∣∣∣∣eis∑kukPkψ

→ (φ|ψ) per s→ 0 ,

in virtu della continuita del prodotto scalare e della continuita in senso forte dei gruppi unitariad un parametro generati dagli operatori autoaggiunti

∑k ukPk e

∑k tkXk. La proposizione 9.2

assicura allora che Uss∈R e fortemente continuo. Consideriamo ora ψ ∈ S(Rn) e verifichiamoche:

lims→0

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣Usψ − ψs

− i(∑

k

tkXk + ukPk

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣2

= 0 . (10.31)

Con qualche passaggio si trova esplicitamente∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣Usψ − ψs

− i(∑

k

tkXk + ukPk

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣2

=∫

Rn

∣∣∣∣∣eis2t·u/2eistxψ(x + su)− ψ(x)

s− it · xψ(x)− u · ∇xψ

∣∣∣∣∣2

dx .

Pertanto∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣Usψ − ψs

− i(∑

k

tkXk + ukPk

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣2

≤∫

Rn

∣∣∣∣∣eis2t·u/2eistxψ(x + su)− ψ(x)s

− u · ∇xψ

∣∣∣∣∣2

dx

+2∫

Rn

∣∣∣∣∣eis2t·u/2eistxψ(x + su)− ψ(x)s

− u · ∇xψ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣eis

2t·u/2eistx − 1st · x

− i∣∣∣∣∣ |t · xψ(x)|dx

+∫

Rn

∣∣∣∣∣eis2t·u/2eistx − 1

st · x− i∣∣∣∣∣2

|t · xψ(x)|2dx .

Consideriamo i tre integrali a secondo membro. L’integrale intermedio, a causa della disugua-glianza di Schwartz, deve tende a zero quando tendono a zero i rimanenti due, dato che il suo

371

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quadrato e maggiorato dal prodotto degli altri due integrali. Per il teorema della convergenzadominata, l’ultimo integrale tende a 0 per s → 0 dato che l’integrando tende puntualmente a0 ed e uniformemente maggiorato dalla funzione L1 data da C|t · xψ(x)|2 per qualche costanteC > 0. L’integrando del primo integrale tende anch’esso puntualmente a 0 quando s → 0. Perapplicare il teorema di Lebesgue bisogna trovare una maggiorazione dell’integrando, uniformein s in un intorno di 0, data da una funzione L1 (quindi indipendente da s). Si osservi che,spezzando l’integrale e ricordando che ψ ∈ S(Rn), si vede subito che e sufficiente trovare unamaggiorazione uniforme in s ∈ [−ε, ε], da parte di funzioni L1 per:∣∣∣∣∣ψ(x + su)− ψ(x)

s

∣∣∣∣∣ e

∣∣∣∣∣ψ(x + su)− ψ(x)s

∣∣∣∣∣2

,

per avere una maggiorazione di tutto l’integrando. Assumendo ψ reale (e ci si puo semprericondurre a tale caso decomponendo ψ in parte reale ed immaginaria), possiamo stimare con ilteorema di Lagrange: ∣∣∣∣∣ψ(x + su)− ψ(x)

s

∣∣∣∣∣ = |u · ∇ψ|x+s0u| ,

dove s0 ∈ [−ε, ε]. Dato che ψ ∈ S(Rn), per ogni fissato p = 1, 2, . . . esiste Kp ≥ 0 con

|u · ∇ψ|x| ≤Kp

1 + ||x||p.

E facile vedere che se ε > 0, u ∈ Rn e p = 2, 3, . . . sono fissati, esiste Cp,ε > 0 tale che

11 + ||x + s0u||p

≤ Cp,ε1 + ||x||p−1

per ogni x ∈ Rn e s0 ∈ [−ε, ε].

In definitiva possiamo concludere che per qualche costante C ≥ 0∣∣∣∣∣ψ(x + su)− ψ(x)s

∣∣∣∣∣ ≤ C

1 + ||x||n+1per ogni x ∈ Rn e s ∈ [−ε, ε].

La funzione a secondo membro ed il suo quadrato sono funzioni L1(Rn, dx) e cio e quanto vole-vamo per poter applicare il teorema di Lebesgue. La (10.31) risulta essere provata.Abbiamo ottenuto che il generatore autoaggiunto del gruppo unitario ad un parametro fortemen-te continuo U(s(t,u))s∈R coincide con quello dell’analogo gruppo W (s(t,u))s∈R sullo spazioS(Rn). Dato che il secondo generatore e essenzialmente autoaggiunto su tale spazio, e quindiammette un’unica estensione autoaggiunta, i due generatori devono coincidere ovunque. Comeconseguenza abbiamo allora che i due gruppi devono coincidere dato che si possono entrambiscrivere esponenziando lo stesso generatore autoaggiunto. Questo conclude la dimostrazione. 2

Enunciamo e proviamo un Lemma usato nella precedente dimostrazione per provare (b) e (c)una volta provato (a). Enunciamo tale lemma separatamente in quanto e interessante come

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risultato tecnico.

Lemma 10.2. In riferimento alle ipotesi della proposizione 10.4, se ψ ∈ L2(Rn, dx) e t,u ∈ Rn,valgono le seguenti identita :

ei∑

ktkXkψ

(x) = eit·xψ(x) , (10.32)

e ei∑

kukPkψ

(x) = ψ(x + u) . (10.33)

Prova. Per computo diretto si ha che il gruppo unitario ad un parametro Uss∈R con:

(Usψ) (x) := eist·xψ(x) , ∀ψ ∈ L2(Rn, dx)

e fortemente continuo e soddisfa su S(Rn):

−i lims→0

1s

(Usψ − ψ) =

(∑k

tkXk

)ψ .

Infatti: ∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣1s (Usψ − ψ)− i

(∑k

tkXk

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣2

=∫

R3

∣∣∣∣∣eist·x − 1s

− it · x∣∣∣∣∣2

|ψ(x)|2dx

=∫

R3

∣∣∣∣∣eist·x − 1st · x

− i∣∣∣∣∣2

|t · x|2|ψ(x)|2dx→ 0 per s→ 0 ,

dove abbiamo usato il fatto che x 7→ |t · x|2|ψ(x)|2 e L1 dato che ψ ∈ S(Rn), che la funzione

R× R3 3 (s,x) 7→∣∣∣∣∣eist·x − 1st · x

− i∣∣∣∣∣2

≤ 2

e tende puntualmente in x a 0 per s → 0, ed abbiamo infine applicato il teorema della conver-genza dominata di Lebesgue.Per il teorema di Stone, il generatore del gruppo degli Us e un’estensione autoaggiunta di∑k tkXk. D’altra parte, dato che

∑k tkXk e essenzialmente autoaggiunto per (a) del teore-

ma precedente, e pertanto non ammette altre estensioni autoaggiunte eccetto la sua chiusura,concludiamo che Uss∈R e il gruppo ad un parametro generato da

∑k tkXk. In questo modo

abbiamo provato la (10.32).Passiamo alla seconda identita . In virtu di (3.58)-(3.61), del fatto che la trasformata di Fourier-Plancherel F si riduce a quella di Fourier F su S(Rn) e che quest’ultimo e uno spazio invariantesotto F: ∑

k

ukPk = F−1∑k

ukKk F ,

373

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dove Kk e l’operatore Xk al quale abbiamo cambiato nome dato che la variabile della funzionetrasformata secondo Fourier e k e non x. Dato che la trasformata di Fourier e un isomorfismodi spazi di Hilbert abbiamo anche che:∑

k

ukPk = F−1∑k

ukKk F .

Infine per il corollario 9.1 deve anche valere:

ei∑

k ukPk = F−1 ei∑

k ukKk F . (10.34)

Riducendosi al caso di ψ ∈ S(Rn), dove la trasformata di Fourier-Plancherel F e la sua in-versa si calcolano con l’integrale di Fourier e si riducono alla trasformata di Fourier F e allacorrispondente inversa (cfr definizione 3.14 in sezione 3.6), (10.34) implica che:

ei∑

kukPkψ

(x) =

F−1ei

∑kukKk ψ

(x) = ψ(x + u) , per ogni ψ ∈ S(Rn). (10.35)

Tenendo conto che S(Rn) e denso in L2(Rn, dx), che se S(Rn) 3 ψn → ψ nel senso di L2 alloravale anche ψn(·+u)→ ψ(·+u) in L2 dato che la misura di Lebesgue e invariante per traslazione,la continuita dell’operatore unitario ei

∑kukPk implica (10.33) dalla (10.35). 2

Esercizi 10.1.(1) Si provi che se ψ, φ ∈ D(Xi) ∩D(Pj) allora valgono le relazioni di commutazione canonicanel senso delle forme quadratiche:

(Xiψ|Pjϕ)− (Pjψ|Xiϕ) = i~δij(ψ|ϕ) .

Suggerimento. Si considerino le relazioni (10.17) ottenendo in particolare:

(W ((−t,0))ψ |W ((0,u))ϕ)−(W ((0,−u))ψ |W ((t,0))ϕ) = (1−e−i(t·u)/2) (W ((−t,0))ψ |W ((0,u))ϕ) .

Usando il teorema di Stone si ottiene facilmente l’identita richiesta.

(2) Si provi che se ψ ∈ D(Xi)∩D(Pj) e ||ψ|| = 1, allora vale il principio di Heisenberg nel sensodelle forme quadratiche:

(δXi)ψ(δPj)ψ ≥ ~/2 ,

dove, per ogni operatore autoaggiuntoA : D(A)→ H abbiamo definito (δA)ψ :=È

(Aψ|Aψ)− (ψ|Aψ)2

per ψ ∈ D(A).Suggerimento. Per prima cosa si provi che il risultato dell’esercizio precedente vale anche

sostituendo gli operatori Xi e Pj con Xi + aiI e Pj + bjI con ai e bj numeri reali (a tal fine nonsi deve ripetere tutta la dimostrazione, ma e sufficiente lavorare nel risultato finale). A questopunto si puo procedere analogamente a quanto fatto nella dimostrazione del teorema 10.1.

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10.2.3 Il teorema di Stone-von Neumann ed il teorema di Mackey.

Mostriamo ora come le relazioni di Weyl valide per operatori limitati W ((t,u)) con (t,u) ∈ R2n

che formino un insieme irriducibile di operatori su uno spazio di Hilbert complesso H e tali ches 7→W (s(t,u)) siano continui per s = 0 nella topologia operatoriale forte, implichino che H siaconnesso a L2(Rn, dx) tramite un isomorfismo di spazi di Hilbert che identifica ogni W ((t,u))con ei

∑k tkXk+ukPk . Si osservi che, in particolare, lo spazio di Hilbert H risulta essere separabile.

Enunceremo il teorema in forma leggermente piu generale introducendo alcune nozioni di teoriadegli spazi vettoriali simplettici.

Ricordiamo alcune nozioni elementari di teoria degli spazi simplettici. che una coppia (X, σ)e detta spazio simplettico quando X e spazio vettoriale reale e σ : X × X → R, detta formasimplettica, e un’applicazione e bilineare, antisimmetrica e non degenere (cioe vale che σ(u, v) =0 per ogni u ∈ X implica v = 0). Per un noto teorema di Darboux [FaMa94], se (X, σ) e unospazio simplettico di dimensione finita 2n, allora esiste una base (in realta un’infinita di esse),detta base canonica e1, · · · , en, f1, · · · , fn ⊂ X rispetto alla quale σ e scritta nella seguenteforma detta forma canonica:

σ(z, z′) :=

(n∑i=1

tiu′i − t′iui

)per ogni coppia z, z′ ∈ X , (10.36)

dove z =∑ni=1 tiei +

∑ni=1 uifi e z′ =

∑ni=1 t

′iei +

∑ni=1 u

′ifi. Un isomorfismo tra spazi vettoriali

reali dotati di forma simplettica e detto simplettoisomorfismo se preserva le forme simpletti-che. Si prova facilmente che un isomorfismo da uno spazio simplettico nello stesso spazio e unsimplettoisomorfismo se e solo se trasforma basi canoniche in basi canoniche.

Possiamo ora enunciare il teorema di Stone-von Neumann che proveremo piu avanti dopo avereintrodotto la nozione di ∗-algebra di Weyl. Alcuni commenti, sia di carattere matematico chefisico, sul teorema di Stone-von Neumann sono riportati in una sezione dopo la dimostrazionedel teorema.

Teorema 10.2. (Teorema di Stone-von Neumann). Si consideri uno spazio di Hilbertcomplesso H e uno spazio vettoriale simplettico (X, σ) di dimensione finita 2n. Si supponga cheH sia dotato di una classe di operatori W (z)z∈X ⊂ B(H) che goda delle seguenti proprieta .(a) H sia irriducibile rispetto all’insieme dei generatori W (z).(b) Valgano le relazioni di Weyl:

W (z)W (z′) = e−i2σ(z,z′)W ((z + z′)) , W (z)∗ = W (−z) . (10.37)

(c) Per z ∈ X fissato, ogni applicazione R 3 s 7→W (sz) soddisfa:

s- lims→0

W (sz) = W (0) . (10.38)

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Scelta una qualunque base canonica di X sulla quale z ∈ X e individuato da (t(z),u(z)) ∈ Rn×Rn,esiste un isomorfismo di spazi di Hilbert S : H→ L2(Rn, dx) tale che:

S W (z) S−1 := exp

in∑k=1

t(z)k Xk + u

(z)k Pk

, per ogni z ∈ X. (10.39)

dove gli operatori simmetrici sono Xi e Pi definiti come in proposizione 10.4.

A completamento del teorema di Stone-von Neumann enunciamo il teorema di Mackey.

Teorema 10.3. (Teorema di Mackey). Nelle stesse ipotesi del teorema Teorema 10.2.(Teorema di Stone-von Neumann) si assuma che, a parita delle altre ipotesi, l’ipotesi (a) siasostituita da una delle seguenti ipotesi equivalenti.(a1) Ogni generatore W (z) ha nucleo banale per z ∈ X.(a2) Ogni generatore W (z) e un operatore unitario per z ∈ X.(a3) W (0) e l’operatore identita su H.In tal caso lo spazio di Hilbert H si decompone in una somma diretta ortogonale (numerabile seH e separabile) di sottospazi chiusi invarianti ed irriducibili rispetto all’insieme dei generatoriW (z). In ciascuno di tali spazi e quindi valido il teorema di Stone-von Neumann per la classedi operatori W (z) ristretti al sottospazio considerato.

Osservazione importante. Tenendo conto del teorema di Darboux citato sopra, un modoalternativo di formulare il teorema Teorema di Stone-von Neumann, che si trova piu spesso inletteratura, e il seguente. Vale un’analoga riformulazione del teorema di Mackey che il lettorepuo facilmente ricavare e che omettiamo.

Teorema 10.2b. (Teorema di Stone-von Neumann in formulazione alternativa). SiaH spazio di Hilbert complesso e U(t)t∈Rn , V (u)u∈Rn ⊂ B(H) tali che valgano le seguentiproprieta .(a) H sia irriducibile rispetto a U(t)t∈Rn , V (u)u∈Rn.(b) Siano soddisfatte le relazioni (anch’esse dette di Weyl):

U(t)V (u) = V (u)U(t)eit·u per ogni t,u ∈ Rn,

U(t)U(t′) = U(t + t′) V (u)V (u) = V (u + u′) per ogni t,u, t′u′ ∈ Rn.

(c) Per ogni coppia t ∈ Rn e u ∈ Rn

s- lims→0

U(st) = U(0) e s- lims→0

V (su) = V (0) .

Allora esiste un isomorfismo di spazi di Hilbert S1 : H→ L2(Rn, dx) che soddisfa:

S1 U(t) S−11 := exp

in∑k=1

tkXk

e S1 V (u) S−1

1 := exp

in∑k=1

ukPk

.

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dove gli operatori simmetrici sono Xi e Pi definiti come in proposizione 10.4.

Mostriamo che le due formulazioni sono equivalenti. Assumiamo che gli spazi di Hilbert H dei dueteoremi siano lo stesso spazio di Hilbert. Proviamo subito che il teorema 10.2 implica il teorema10.2b. Partendo dalle ipotesi del Teorema 10.2b ed usando le relazioni di Weyl presentate in taleteorema, si verifica immediatamente che gli operatori W ((t,u)) := eit·u/2U(t)V (u) soddisfanole ipotesi del teorema 10.2 sullo spazio simplettico (Rn ×Rn, σc), dove σc e la forma simpletticagia espressa in forma canonica

σc((t,u), (t′,u′)) =

(n∑i=1

tiu′i − t′iui

)

sulla base naturale di Rn×Rn. Scegliendo la base canonica come quella naturale di Rn×Rn, lavalidita della tesi del teorema 10.2 implica la validita dalla tesi del teorema 10.2b con S1 = S.Proviamo ora che il teorema 10.2b implica il teorema 10.2. Scegliamo una base canonica in Xe identifichiamo gli elementi di X con le coppie (t,u) di Rn × Rn. Partendo dalla classe di ope-ratori W ((t,u)) soddisfacenti le ipotesi del teorema 10.2, si verifica subito che i nuovi operatoriV (t) := W ((t, 0)) e U(u) := W ((0,u)) soddisfano le ipotesi del teorema 10.2b. Per verificadiretta si ha subito che la validita della tesi del teorema 10.2b implica la validita dalla tesi delteorema 10.2 con S = S1.

10.2.4 La ∗-algebra di Weyl.

L’enunciato del teorema di Stone von Neumann contiene una nozione molto importante, nonsolo per la dimostrazione del teorema stesso, ma anche per i successivi sviluppi della MQ versola teoria quantistica dei campi. Si tratta della nozione di ∗-algebra di Weyl. Ricordiamo che(definizioni 2.4 e 3.7) che un isomorfismo di ∗-algebre α : A → B e un’applicazione lineare,biettiva, che conserva i prodotti e le involuzioni passando dalla ∗-algebra A alla ∗-algebra B. Setali ∗-algebre ammettono unita e anche richiesto che, per definizione, l’isomorfismo α trasformil’unita di A nell’unita di B (di conseguenza α trasforma l’inverso di un elemento nella primaalgebra nell’inverso del corrispondente elemento nella seconda). Nel caso in cui B e una sotto∗-algebra della C∗-algebra B(H) degli operatori limitati sullo spazio di Hilbert complesso H,α : A→ B e detta rappresentazione di A su H.

Definizione 10.5. (Algebra di Weyl). Sia X uno spazio vettoriale (non banale) di dimensionearbitraria (anche non finita) sul campo reale e σ : X× X→ R una forma simplettica su X. Una∗-algebra (definizione 3.8) W (X, σ) e detta Algebra di Weyl associata a (X, σ) se esiste inW (X, σ) una classe W (u)u∈X di elementi non nulli, detti generatori (di W (X, σ)), tale che:(i) valgano le relazioni (di commutazione) di Weyl:

W (u)W (v) = e−i2σ(u,v)W (u+ v) , W (u)∗ = W (−u) , per ogni u, v ∈ V ; (10.40)

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(ii) W (X, σ) sia generata da W (u)u∈V , cioe W (X, σ) coincida con lo spazio lineare dellecombinazioni lineari finite di prodotti finiti degli elementi in W (X, σ).

Mostriamo ora, tra le altre cose, che uno spazio simplettico (X, σ) determina in modo univoco,cioe a meno di ∗-isomorfismi, una ∗-algebra di Weyl.

Teorema 10.4. Sia X uno spazio vettoriale (non banale) di dimensione arbitraria (anche nonfinita) sul campo reale e σ : X× X→ R una forma simplettica su X.(a) Esiste sempre una ∗-algebra di Weyl, W (X, σ), associata a (X, σ).(b) Ogni ∗-algebra di Weyl W (X, σ) ammette unita I e vale:

W (0) = I , W (u)∗ = W (−u) = W (u)−1 , per ogni u ∈ X . (10.41)

i generatori W (u)u∈X sono linearmente indipendenti, in particolare W (u) 6= W (v) se u 6= v.(c) Se W (X, σ), generata da W (u)u∈X, e W ′(X, σ), generata da W ′(u)u∈X, sono alge-bre di Weyl associate a (X, σ), esiste un unico di ∗-isomorfismo α : W (X, σ) → W ′(X, σ)completamente determinato dalla richiesta

α(W (u)) = W ′(u) , per ogni u ∈ X.

(d) Ogni rappresentazione di W (X, σ) su uno spazio di Hilbert H, π : W (X, σ)→ B(H) e fedele(cioe iniettiva) oppure e la rappresentazione nulla.

Prova. (a) Si consideri lo spazio di Hilbert complesso H := L2(X, µ) dove µ e la misurache conta i punti dell’insieme X. Se u ∈ X, si consideri W (u) ∈ B(L2(X, µ)) definito da(W (u)ψ)(v) := eiσ(u,v)ψ(u + v) per ogni ψ ∈ L2(X, µ) e v ∈ X. Si verifica immediatamenteche tali operatori sono non nulli e soddisfano le relazioni di commutazione di Weyl (10.41) usan-do come involuzione la coniugazione hermitiana.(b) Dalla prima equazione in (10.40) segue che W (u)W (0) = W (0) = W (0)W (u) e ancheW (u)W (−u) = W (0) = W (−u)W (u), dato che i W (u) sono non nulli e generano tutta la ∗-algebra, segue che deve essere W (0) = I e W (−u) = W (u)−1. Quest’ultima, tenendo conto dellaseconda in (10.40), implica che W (u)∗ = W (u)−1. Passiamo a provare che i generatori W (u) sonolinearmente indipendenti. Supponiamo di avere un sottoinsieme di n generatori W (uj)j=1,...,n,con u1, . . . , un tutti distinti, e dimostriamo che i generatori W (uj) sono linearmente indipen-denti. Dato che il sottoinsieme e arbitrario (e le combinazioni lineari da usare sono suppostesempre finite) cio prova la tesi. Consideriamo la combinazione lineare nulla

∑nj=1 ajW (uj) = 0

e dimostriamo, per induzione, che aj = 0 per j = 1, . . . , n. Per n = 1 la tesi e vera dato cheper definizione ogni W (u) non e nullo. Assumiamo che la tesi sia vera per n − 1 generatori,non importa come scelti, e mostriamo che e vera anche per n generatori. Senza perdere ge-neralita possiamo pensare, per assurdo, che an 6= 0, eventualmente rietichettando i generatori.∑nj=1 ajW (uj) = 0 implica che:

W (un) =n−1∑j=1

−ajan

W (uj) .

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Di conseguenza:

I = W (un)∗W (un) =n−1∑j=1

−ajan

W (un)∗W (uj) =n−1∑j=1

−ajan

e−iσ(−un,uj)/2W (uj−un) =n−1∑j=1

bjW (uj−un),

dove bj := −ajane−iσ(−un,uj)/2. Per provare l’enunciato e evidentemente sufficiente dimostrare che

ogni bj = 0 per j = 1, 2, . . . , n − 1. Andiamo a dimostrare questo fatto. Fissiamo u ∈ Xarbitrariamente ed, usando l’identita trovata, abbiamo che:

I = W (u)IW (−u) =n−1∑j=1

bjW (u)W (uj − un)W (−u) =n−1∑j=1

bje−iσ(u,uj−un)/2W (uj − un) .

Confrontando le due espressioni ottenute per I abbiamo che deve essere:

n−1∑j=1

bjW (uj − un) =n−1∑j=1

bje−iσ(u,uj−un)/2W (uj − un) .

Moltiplicando ambo membri per W (un) ed eseguendo un’ovvia semplificazione, si trova alla fine:

n−1∑j=1

bjW (uj) =n−1∑j=1

bje−iσ(u,uj−un)/2W (uj) .

Dato che i generatori W (uj) con j = 1, 2, . . . , n−1 sono linearmente indipendenti, deve accadereche:

bj(1− e−iσ(u,uj−un)/2) = 0 .

Se fosse bj 6= 0 per qualche j avremmo che 1 = e−iσ(u,uj−un)/2 e quindi:

σ(u, uj − un)2π

= k(u) ∈ Z .

Dato pero che il primo membro dell’identita scritta e lineare in u ∈ X, la funzione X 3 u 7→ k(u)deve essere lineare. Dovendo essa assumere solo valori in Z, deve essere la funzione nulla. Diconseguenza:

σ(u, uj − un) = 0 per ogni u ∈ X.

La non degeneratezza di σ implica che uj − un = 0 che e impossibile per ipotesi.(c) Si consideri l’unica applicazione lineare α : W (X, σ) → W ′(X, σ) individuata dalla richiestaα(W (u)) = W ′(u) per ogni u ∈ X. Dato che W (u)u∈X e W ′(u)u∈X sono basi delle relative ∗-algebre, α e un isomorfismo di spazi vettoriali. Dato che i prodotti di elementi delle due ∗-algebresi scrivono come combinazioni lineari dei generatori a causa del primo set delle relazioni di Weyl,che sono le stesse per le due ∗-algebre, si verifica facilmente che α trasforma prodotti in prodotti.α(W (0)) = W ′(0) implica che α trasformi l’elemento neutro moltiplicativo della prima algebranell’elemento neutro moltiplicativo della seconda. Infine la richiesta α(W (−u)) = W ′(−u) e il

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secondo set delle relazioni di Weyl implicano che α trasformi l’involuzione nella prima algebranell’involuzione nella seconda. La procedura seguita mostra anche che α e univocamente deter-minato dalla richiesta α(W (u)) = W ′(u) per ogni u ∈ X.(d) Si consideri una rappresentazione π : W (X, σ) → B(H). Per costruzione gli operatoriπ(W (u))u∈X soddisfano le relazioni di Weyl. Se ognuno dei π(W (u)) e non nullo, essi defini-scono una ∗-algebra di Weyl associata a (X, σ). In base a (c) la rappresentazione π, quando si re-stringe il codominio a π(W (X, σ)), e uno ∗-isomorfismo e quindi π e iniettiva. Se al contrario, perqualche u ∈ X vale π(W (u)) = 0 allora π e la rappresentazione nulla. Infatti, in base alle relazio-ni di Weyl, se z ∈ X, posto z−u =: v si trova: W (z) = e

i2σ(u,v)W (u)W (v) = e

i2σ(u,v)0W (v) = 0.

Quindi π si riduce alla rappresentazione nulla dato che i W (v) sono una base per W (X, σ). 2

Osservazioni.(1) Nel senso precisato dal punti (a) e (c) del teorema di sopra, la coppia (X, σ) e le relazioni(10.40) determinano in modo universale (cioe a meno di isomorfismi) l’algebra di Weyl associataa (X, σ). Ogni concreta ∗-algebra di Weyl associata alla coppia (X, σ) e detta spesso realizzazionedella ∗-algebra di Weyl associata alla coppia (X, σ).(2) Se W (X, σ) e una rappresentazione sullo spazio di Hilbert H dell’algebra di Weyl associataa (X, σ), e in generale falso che I = I, dove I : H → H e l’operatore identita. Infatti, sup-poniamo che W (X, σ) sia una rappresentazione sullo spazio di Hilbert (H, (·|·)) dell’algebra diWeyl associata a (X, σ) dove W (0) = I = I. Consideriamo lo spazio di Hilbert H′ := H ⊕ Ccon prodotto scalare 〈(ψ, z)|(ψ′, z′)〉 = (ψ|ψ′) + zz. Una rappresentazione su H′ dell’algebradi Wayl associata a (X, σ) e immediatamente costruita come quella generata dagli operatoriW (u)′ : (ψ, z) 7→ (W (u)ψ, 0), dove gli operatori W (u) generano l’algebra di Weyl su H. Nel casoin esame

I = W (0)′ : (ψ, z) 7→ (ψ, 0)

per cui W (0)′ non e l’operatore identita su H′, ma solo il proiettore ortogonale su H. Tuttavia visono delle rappresentazioni dell’algebra di Weyl in spazi di Hilbert che risultano sempre esseretali che i generatori sono operatori unitari, siffatte rappresentazioni sono, per esempio, le co-siddette rappresentazioni GNS3 che sono fondamentali nella formulazione della teoria dei campiquantistici. Valgono inoltre le seguente proposizioni generali.(3) Se W (V, σ) e una rappresentazione sullo spazio di Hilbert H dell’algebra di Weyl associataa (V, σ) e l’insieme dei generatori W (u)u∈V e irriducibile rispetto ad H, allora I = I (e diconseguenza gli operatori W (u) sono tutti unitari).Per provare cio e sufficiente provare che I = I nelle ipotesi fatte. Se non valesse I = I, l’operatoreW (0) = I sarebbe un proiettore, diverso dall’operatore nullo e dall’operatore identita su H, checommuta con ogni operatore W (u) valendo W (u)W (0) = W (0) = W (0)W (u). Sarebbe alloraimmediato verificare che il sottospazio chiuso su cui proietta W (0) (che per ipotesi non coincidecon 0 e nemmeno con H) e invariante sotto l’azione di ogni W (u) e quindi sotto l’azione diogni elemento di W (V, σ), contraddicendo le ipotesi.

3In tal caso l’unitarieta degli operatori W (u) segue dall’esistenza del vettore ciclico e da come si costruiscematerialmente la rappresentazione.

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(4) Se W (V, σ) e una rappresentazione sullo spazio di Hilbert H dell’algebra di Weyl associata a(V, σ), vale I = I (e di conseguenza gli operatori W (u) sono tutti unitari) se e solo se ciascunodei generatori W (u)u∈V ha nucleo banale.La dimostrazione e immediata. Se ciascuno dei generatori W (u) ha nucleo non banale, il pro-iettore ortogonale W (0) = I ha nucleo non banale e quindi puo solo essere il proiettore I. Seviceversa W (0) = I allora i W (u) sono unitari e quindi hanno tutti nucleo banale.

10.2.5 Dimostrazione dei teoremi di Stone-von Neumann e di Mackey.

In questa sezione dimostriamo per primo il teorema di Stone von Neumann nella formulazionedata nel teorema 10.2. Successivamente dimostreremo il teorema di Mackey 10.3. Infine faremoalcuni commenti sia di carattere matematico che fisico sull’importanza di tali risultati e sullaloro validita in ambito piu generale.

Dimostrazione del Teorema 10.2 di Stone von Neumann. Prima di tutto notiamo che ognioperatore W (z) ∈ B(H) deve essere non nullo: se fosse W (z0) = 0, avremmo che per ogni z ∈ Xe posto z− z0 =: v:

W (z) = ei2σ(z0,v)W (z0)W (v) = e

i2σ(z0,v)0W (v) = 0 .

In questo caso lo spazio H non potrebbe essere irriducibile per la classe di tutti operatoriW (z) ∈ B(H). Concludiamo, applicando la definizione 10.5, che l’insieme dei W (z) ∈ B(H)e un sistema di generatori per una realizzazione della ∗-algebra di Weyl A associata allo spaziosimplettico (X, σ). Tale realizzazione e data dalle combinazioni lineari finite dei prodotti finitidegli operatori W (z) ed e l’immagine di una rappresentazione fedele π : A → B(H) di A .Dopo avere scelto una base canonica in X, in modo tale da associare biettivamente ad ogni z ∈ X ilvettore delle sue componenti (t(z),u(z)) ∈ Rn×Rn, consideriamo lo spazio di Hilbert L2(Rn, dx).

La classe di operatori non nulli (perche unitari)§

exp§i∑nk=1 t

(z)k Xk + u

(z)k Pk

ªªz∈X

, per la pro-

posizione 10.4 definisce un’altra realizzazione della stessa ∗-algebra A ed una corrispondenterappresentazione fedele π1 : A → B(L2(Rn, dx)). Indicheremo con az ∈ A i generatori di A ,

in modo tale che π(az) = W (z) e contemporaneamente π1(az) = exp§i∑nk=1 t

(z)k Xk + u

(z)k Pk

ªper ogni z ∈ X.Supponiamo che esistano due vettori non nulli Φ0 ∈ H e Ψ0 ∈ L2(Rn, dx) per cui D := π(A )Φ0

e un sottospazio denso in H, D1 := π1(A )Ψ0 e denso in L2(Rn, dx) e vale

(Φ0 |π(a)Φ0 ) = (Ψ0 |π1(a)Ψ0 ) , per ogni a ∈ A . (10.42)

Mostriamo che c’e di conseguenza un’applicazione lineare S : D → D1 definita completamentedalla richiesta:

Sπ(a)Φ0 = π1(a)Ψ0 per ogni a ∈ A , (10.43)

che si estende per continuita ad un isomorfismo di spazi di Hilbert da H a L2(Rn, dx) soddisfa-cendo (10.39) e quindi provando il teorema di Stone- von Neumann. Prima di tutto verifichiamo

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che l’applicazione sia ben definita: supponiamo che π(a)Φ0 = π(b)Φ0, perche l’applicazione in(10.43) sia ben definita deve accadere che π1(a)Ψ0 = π1(b)Ψ0. Da π(a)Φ0 = π(b)Φ0 abbiamoche, per ogni c ∈ A :

(π(c)Φ0|π(a)Φ0) = (π(c)Φ0|π(b)Φ0)

Usando il fatto che π e una rappresentazione di ∗-algebre e pertanto: π(c∗) = π(c)∗ e π(f)π(d) =π(fd), questa identita equivale a:

(Φ0|π(c∗a)Φ0) = (Φ0|π(c∗b)Φ0)

e quindi, valendo (10.42):(Ψ0|π1(c∗a)Ψ0) = (Ψ0|π1(c∗b)Ψ0) .

Procedendo in senso inverso troviamo infine che deve valere, per ogni c ∈ A :

(π(c)Φ0|π(a)Φ0) = (π(c)Φ0|π(b)Φ0) .

Dato che π(c)Φ0 spazia in tutto lo spazio denso D1, concludiamo che deve essere, proprio comevolevamo provare, π1(a)Ψ0 = π1(b)Ψ0. Pertanto S in (10.43) e ben definita. Si verifica imme-diatamente, usando il fatto che π e π1 sono rappresentazioni, che S e lineare. Per costruzione Spreserva il prodotto scalare ed e quindi isometrica:

Sπ(a)Φ0|Sπ(b)Φ0

= (π1(a)Ψ0|π1(b)Ψ0) = (Ψ0|π1(a)∗π1(b)Ψ0) = (Ψ0|π1(a∗)π1(b)Ψ0)

= (Ψ0|π1(a∗b)Ψ0) = (Φ0|π(a∗b)Φ0) = (Φ0|π(a∗)π(b)Φ0) = (Φ0|π(a)∗π(b)Φ0) = (π(a)Φ0|π(b)Φ0) .

Possiamo allora estendere, unicamente, per continuita la trasformazione S dal dominio denso D

ad tutto lo spazio di Hilbert ottenendo un’applicazione lineare S : H→ L2(Rn, dx). L’estensioneS sara ancora un operatore isometrico per continuita del prodotto scalare. In modo analogopossiamo costruire sullo spazio denso D1 prima e poi su tutto lo spazio di Hilbert L2(Rn, dx)una trasformazione lineare isometrica S′ : L2(Rn, dx)→ H che si ottiene estendendo unicamenteper continuita :

S′π1(a)Ψ0 = π(a)Φ0 per ogni a ∈ A , (10.44)

Dato che sugli spazi densi D1 e D vale rispettivamente SS′ = ID1 e S′S = ID, queste iden-tita continueranno ad essere verificate per le estensioni continue sui domini estesi: SS′ =IL2(Rn,dx) e SS′ = IH. In definitiva S : H→ L2(Rn, dx) e un isomorfismo di spazi di Hilbert chesoddisfa:

Sπ(a)Φ0 = π1(a)Ψ0 per ogni a ∈ A . (10.45)

Invertendo questa identita troviamo, per b ∈ A : π(b)Φ0 = S−1π1(b)Ψ0. Sostituendo questorisultato in (10.45), dopo avere rimpiazzato π(a) da π(ab) = π(a)π(b), si trova:

Sπ(a)S−1 π1(b)Ψ0 = π1(a) π1(b)Ψ0 .

Dato che i vettori π1(b)Ψ0 definiscono uno spazio denso in L2(Rn, dx), abbiamo ottenuto:

Sπ(a)S−1 = π1(a) per ogni a ∈ A .

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Scegliendo az ∈ A che corrisponde ad un generico generatore, in modo tale che π(a) = W (z) e

quindi π1(a) = exp§i∑nk=1 t

(z)k Xk + u

(z)k Pk

ª, l’identita ottenuta si riduce alla (10.39).

Per concludere la dimostrazione e ora sufficiente esibire i vettori Φ0 e Ψ0 che soddisfano (10.42)e che generino, sotto l’azione delle rispettive rappresentazioni, sottospazi densi. Se Φ0 e unqualsiasi vettore non nullo, il sottospazio chiuso π(A )Φ0 e invariante sotto l’azione di ogni π(a) e,in particolare, di ogni π(W (z)) per costruzione. Dato che H e irriducibile rispetto a tali operatori,deve accadere che D := π(A )Φ0 e un sottospazio denso in H. Con lo stesso ragionamento si hache D1 := π1(A )Ψ0 e denso in L2(Rn, dx) per ogni vettore non nullo Ψ0 ∈ L2(Rn, dx).Consideriamo, nello spazio L2(Rn, dx) il vettore Ψ0 dato da, se ψ0 e la prima funzione di Hermite:

Ψ0(x1) = ψ0(x1) · · ·ψ(xn) = π−n/4e−|x|2/2 .

Il calcolo diretto basato sul lemma 10.1 fornisce:Ψ0

∣∣∣∣∣∣exp

in∑k=1

tkXk + ukPk

Ψ0

= π−n/2

∫Rneit·xe−|x+u|2/2dx = e−|t|

2/4−|u|2/4

e quindiΨ0

∣∣∣∣∣∣exp

in∑k=1

tkXk + ukPk

Ψ0

= e−(|t|2+|u|2)/4 , per ogni (t,u) ∈ Rn × Rn. (10.46)

Se riusciamo a determinare un vettore Φ0 ∈ H che soddisfi:

(Φ0 |W (z) Φ0) = e−(|t(z)|2+|u(z)|2)/4 , per ogni z ∈ X, (10.47)

allora l’identita (10.42) risulta essere soddisfatta per linearita , tenendo conto che ogni elementoπ1(a) e una combinazione lineare di elementi π1(az) ed il corrispondente π(a) e una combinazionelineare (con gli stessi coefficienti) di elementi π(az). L’esistenza di Φ0 e garantita dalla seguenteproposizione.

Proposizione 10.5. Nelle ipotesi del teorema 10.2, se e stata scelta una base canonica inX, in modo tale da associare biettivamente ad ogni z ∈ X il vettore delle sue componenti(t(z),u(z)) ∈ Rn × Rn, esiste Φ0 ∈ H che soddisfa la (10.47).

Prova. Per prima cosa osserviamo che gli operatori W (z) sono unitari con W (0) = I in con-seguenza dell’osservazione (3) dopo il teorema 10.4 e tenuto conto del fatto che H e irriducibilerispetto alla classe degli operatori W (z). Nel seguito W ((t(z),u(z))) := W (z).Mostriamo ora che le funzioni a valori operatoriali unitari Rn 3 t 7→ W ((t, 0)) e Rn 3 u 7→W ((0, t)) sono continue nella topologia operatoriale forte (si osservi che l’ipotesi di regola-rita s-lims→0W (sz) = W (0) = I e piu debole della forte continuita in z = 0, dato che il li-mite potrebbe non essere uniforme nelle varie direzioni verso l’origine). Dimostriamo cio per

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Rn 3 t 7→ W ((t, 0)) essendo identica la dimostrazione per l’altra funzione. Le relazioni diWeyl implicano che valga la regola di additivita : W ((t, 0))W ((t′, 0)) = W ((t + t′, 0)). Inconseguenza di cio la continuita in senso forte in t = 0 implica quella in qualsiasi altro puntoe ci riduciamo pertanto a provare la continuita in senso forte in z = 0. In base alla stessaregola di additivita , se e1, . . . , en indica la parte di base canonica su cui si decompongonoi vettori come t =

∑nk=1 tkek, possiamo scrivere: W ((t, 0)) = W ((t1e1, 0)) · · ·W ((tnen, 0)).

Ognuna delle funzioni R 3 tk 7→ W ((tkek, 0)) e fortemente continua a causa dell’ipotesi diregolarita s-lims→0W (sz) = W (0) = I nel teorema 10.2. Sia ora ψ ∈ H, mostriamo che

||W ((t, 0))ψ − ψ|| → 0 se t→ 0 .

Vale infatti:

||W ((t, 0))ψ − ψ|| =

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣n∏k=1

W ((tkek, 0))ψ − ψ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣n∏k=1

W ((tkek, 0))ψ −n−1∏k=1

W ((tkek, 0))ψ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣+

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣n−1∏k=1

W ((tkek, 0))ψ −n−2∏k=1

W ((tkek, 0))ψ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣+ · · ·

+ ||W ((t1e1, 0))ψ − ψ||

= ||W ((tnen, 0))ψ − ψ||+ ||W ((tn−1en−1, 0))ψ − ψ||+ · · ·+ ||W ((t1e1, 0))ψ − ψ|| ,

dove nell’ultimo passaggio abbiamo tenuto conto del fatto che gli operatori W ((tkek, 0)) sonounitari e pertanto conservano la norma e quindi, per esempio:∣∣∣∣∣∣

∣∣∣∣∣∣n∏k=1

W ((tkek, 0))ψ −n−1∏k=1

W ((tkek, 0))ψ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ =

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣n−1∏k=1

W ((tkek, 0)) (W ((tnen, 0))ψ − ψ)

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣

= ||W ((tnen, 0))ψ − ψ|| .

La disuguaglianza:

||W ((t, 0))ψ − ψ|| ≤n∑k=1

||W ((tkek, 0))ψ − ψ||

e la continuita per tk → 0 delle funzioni W ((tkek, 0))ψ implicano che valga W ((t, 0))ψ → ψ pert→ 0 lavorando con intorni di z = 0 costruiti come prodotti di intervalli lungo gli assi cartesiani.In virtu di quanto appena provato, per ogni scelta di vettori φ1, φ2, la funzione

X 3 z 7→ (φ1 |W (z) φ2) =(W ((t(z), 0))∗φ1

∣∣∣W ((0,u(z))) φ2

)e continua. Di conseguenza e ben definito l’integrale (la misura dz e la misura di Lebesgue suRn × Rn rispetto alle coordinate (t(z),u(z))):

I(φ1, φ2) = (2π)−n∫

R2ne−|z|

2/4 (φ1 |W (z) φ2) dz .

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Dato che (φ1, φ2) 7→ I(φ1, φ2) e lineare a destra ed antilineare a sinistra e vale la stima |I(φ1, φ2)| ≤||φ1|| ||φ2||, il teorema di Riesz implica facilmente che esiste un unico operatore P ∈ B(H) chesoddisfa ||P || ≤ 1 e (φ1|Pφ2) = I(φ1, φ2) per ogni φ1, φ2 ∈ H. Abbiamo l’ulteriore risultato cheP ∗ = P che segue dall’identita :

(φ1 |P ∗φ2 ) = (φ2|Pφ1) = (2π)−n∫

R2ne−|z|

2/4(φ2 |W (z) φ1) dz ,

tenendo conto del fatto che la misura dz ed il fattore exp−|z2/4| sono invarianti per riflessionez→ −z e che vale:

(φ2 |W (z) φ1) = (W (z)φ1 | φ2) = (φ1 |W (z)∗φ2) = (φ1 |W (−z)φ2) .

L’operatore P non puo essere nullo: se fosse P = 0 avremmo:

0 =(φ1|W (z′)PW (z′)φ2

)= (2π)−n

∫R2n

e−|z|2/4 (φ1

∣∣W (z′)W (z)W (z′) φ2)dz

e cioe , usando le relazioni di Weyl:

0 = (2π)−n∫

R2ne−|z|

2/4eit(z′)·t(z)−iu(z′)·u(z)

(φ1 |W (z) φ2) dz

Questo equivale a dire che la trasformata di Fourier della funzione L1 z 7→ e−|z|2/4 (φ1 |W (z) φ2)

e nulla e quindi, per (f) di proposizione 3.12: z 7→ (φ1 |W (z) φ2) = 0 quasi ovunque. Dato chela funzione e continua questo significa che essa e nulla ovunque e quindi W (z) = 0, ma questoe impossibile come detto precedentemente. Mostriamo infine che vale l’ulteriore identita :

PW (z)P = e−|z|2/4P . (10.48)

Sappiamo che:

(φ1|PW (z)Pφ2) = (W (−z)Pφ1|Pφ2) = (2π)−n∫

Rndz′e−z′2/4 (φ1|PW (z)W (z′)φ2

)= (2π)−n

∫R2n

dz′e−z′2/4e−iσ(z,z′)/2 (φ1|PW (z + z′)φ2).

Ripetendo la procedura con il prodotto scalare rimasto abbiamo alla fine che:

(φ1|PW (z)Pφ2)

=1

(2π)2n

∫dz′∫dz′′e−(z′2+z′′2)/4e−iσ(z,z′)/2e−iσ(z′′,z+z′)/2 (φ1|W (z + z′ + z′′)φ2

). (10.49)

L’ordine d’integrazione puo essere scambiato per il teorema di Fubini-Tonelli dato che, nelle va-riabili della misura prodotto, l’integrando converge assolutamente ed esponenzialmente a zero al-l’infinito, a causa delle funzioni esponenziali e della stima | (φ1|W (z + z′ + z′′)φ2) | ≤ ||φ1|| ||φ2||.

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Cambiando variabili e passando alle nuove variabili d’integrazione ζ := z′+z′′+z e Z := z′−z′′,con qualche passaggio, in particolare integrando in dZ, l’identita (10.49) si trasforma in:

(φ1|PW (z)Pφ2) = e−|z|2/4(2π)−n

∫R2n

e−|ζ|2/4 (φ1 |W (ζ) φ2) dζ

che equivale alla (10.48). Dalla (10.48), scegliendo z = 0 si ricava: PP = P e quindi si concludeche P e un proiettore ortogonale non nullo. Se Φ0 ∈ P (H) \ 0 con ||Φ0|| = 1, dovendo esserePΦ0 = Φ0, la stessa (10.48) implica che, per ogni z ∈ X:

(Φ0|W (z)Φ0) = e−|z|2/4 = e−(|t(z)|2+|u(z)|2)/4 .

Abbiamo pertanto trovato un vettore che soddisfa l’identita (10.47) e la dimostrazione della pro-posizione e conclusa. 2

La prova della precedente proposizione conclude la dimostrazione del teorema di 10.2 (di Stone-von Neumann). 2

Dimostrazione del Teorema 10.3 di Mackey. Il fatto che le ipotesi (a1), (a2) e (a3) siano equiva-lenti e conseguenza immediata del commento (4) dopo il Teorema 10.4. Notiamo che in virtu ditali ipotesi gli operatori W (z) sono tutti unitari con W (0) = I. Usando tale fatto possiamo se-guire nuovamente la dimostrazione del teorema 10.4, che usava solo il fatto che gli operatori W (z)sono tutti unitari con W (0) = I, ma non direttamente l’irriducibilita della rappresentazione, ecostruire il proiettore ortogonale P , individuato completamente dalla richiesta che

(φ1|Pφ2) = (2π)−n∫

R2ne−|z|

2/4 (φ1 |W (z) φ2) dz , per ogni z ∈ R2n e φ1, φ2 ∈ H .

in modo tale che ogni vettore Φ0 ∈ P (H) verifichi.

(Φ0|W (z)Φ0) = e−|z|2/4 = e−(|t(z)|2+|u(z)|2)/4 .

Mostriamo ora che lo spazio H0 dato dalla chiusura dello spazio generato da tutti gli W (z)P (H),coincide con H stesso. Sia H1 l’ortogonale di tale spazio. Per costruzione H1 e invariante sottol’azione di tutti gli operatori W (z) come e facile provare. Possiamo allora lavorare nello spaziodi Hilbert H1 e, se H1 6= 0, costruire l’unico proiettore ortogonale P1 tale che

(φ′1|P1φ′2) = (2π)−n

∫R2n

e−|z|2/4 (φ′1 |W (z) φ′2

)dz , per ogni z ∈ R2n e φ1, φ2 ∈ H1 .

Ma il secondo membro vale (φ′1|Pφ′2), che a sua volta vale zero, visto che φ′2 ∈ H1 ⊥ P (H). Indefinitiva P1 = 0. Questo e impossibile H1 6= 0 dato che deve anche valere, se Φ1 ∈ P1(H),

(Φ1|W (z)Φ1) = e−|z|2/4 = e−(|t(z)|2+|u(z)|2)/4 6= 0 .

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Concludiamo che H1 = 0 e quindi H0 = H. Sia Φkk∈I una base hilbertiana di P (H) e sianoHk i sottospazi chiusi ottenuti prendendo, rispettivamente per ogni fissato k ∈ I, la chiusuradello spazio generato da tutti i vettori W (z)Φk quando z ∈ R2n. Dato che vale la (10.48), sei 6= k

(Φj |W (z)Φk) = (Φj |PW (z)PΦk) = e−|z|2/4(Φj |PΦk) = 0 .

Abbiamo trovato che gli spazi Hj sono mutuamente ortogonali (quindi in particolare, j varia inun insieme j numerabile se H e separabile). Per costruzione si ha anche che lo spazio vettorialegenerato dall’azione di tutti gli operatori W (z) su tutti i vettori Φk e denso in H. In altre parole,lo spazio delle combinazioni lineari finite di vettori negli spazi mutuamente ortogonali Hk e densoin H, cioe H e somma diretta ortogonale (o hilbertiana) dei sottospazi chiusi Hk con k ∈ I.Per concludere notiamo per ogni spazio di Hilbert Hk possiamo utilizzare nuovamente la di-mostrazione gia fatta per il teorema di Stone-von Neumann, con le stesse notazioni usate nelladimostrazione del teorema di Stone-von Neumann dove ora H e rimpiazzato da Hk e la rappresen-tazione π : A → B(H) e rimpiazzata da πk : A → B(Hk), ottenuta restringendo le immagini diciascun operatore di π(A ) al sottospazio invariante Hk. L’unica differenza con la dimostrazionecitata e che, in questo caso, la richiesta che πk(A )Φk sia denso in Hk e verificata per ipotesiinvece che come conseguenza del fatto che πk(A ) sia irriducibile. Si ottiene in questo modo chela restrizione πk(A ) di π(A ) ad ogni sottospazio invariante Hk e unitariamente equivalente allarappresentazione standard π1(A ) su L2(Rn, dx). Dato che quest’ultima e irriducibile lo deveanche essere ogni πk. Questo completa la dimostrazione. 2.

10.2.6 Commenti finali sul teorema di Stone-von Neumann: il gruppo diHeisenberg.

Il teorema di Stone-von Neumann si esprime nel gergo della fisica teorica, con l’affermazione:“tutte le rappresentazioni irriducibili dell’algebra di Weyl con un numero finito e fissato di gradidi liberta sono unitariamente equivalenti,”o anche“tutte le rappresentazioni irriducibili delle CCR con un numero finito e fissato di gradi di libertasono unitariamente equivalenti,”.Sopra unitariamente equivalenti si riferisce all’esistenza dell’isomorfismo di spazi di Hilbert S eil numero finito di gradi di liberta e riferito alla dimensione finita dello spazio simplettico X sulquale e costruita l’algebra di Weyl.

Cosa accade nel caso infinito dimensionale? Assumendo comunque l’irriducibilita e passando,da X finito dimensionale – descrivente per es. le coordinate del punto materiale nello spaziodelle fasi – a X infinito dimensionale – descrivente per es. un appropriato spazio di soluzioni diequazioni di campo bosoniche libere–, il teorema di Stone - von Neumann cessa di valere. Nellinguaggio dei fisici teorici si dice che:“Esistono rappresentazioni delle CCR con un numero infinito di gradi di liberta che non sonounitariamente equivalenti,”.In pratica, in questo caso, si trovano rappresentazioni irriducibili fortemente continue π1 e π2,

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su rispettivi spazi di Hilbert (separabili) H1, H2, della ∗-algebra di Weyl A := W (V, σ) (inquesto contesto pensata come C∗-algebra senza modificare i risultati) associata al sistema fisicoin considerazione (tipicamente un campo bosonico quantizzato) per le quali non esiste alcunisomorfismo di spazi di Hilbert S : H1 → H2 tale che:

Sπ1(a) S−1 = π2(a) , per ogni a ∈ A .

Coppie di rappresentazioni siffatte sono dette inequivalenti o anche unitariamente inequivalenti.Il passaggio da X finito dimensionale a X infinito dimensionale corrisponde al passaggio dallameccanica quantistica alla teoria dei campi quantistica (anche relativistica e su spaziotempo cur-vo). In tali contesti (ma non solo), l’esistenza di rappresentazioni inequivalenti e spesso legata aquella che si chiama rottura spontanea della simmetria. L’esistenza di rappresentazioni inequiva-lenti per uno stesso sistema fisico (individuato dalla coppia (X, σ)), mostra che la formulazionedella teoria in un fissato spazio di Hilbert e inadeguata e bisogna emanciparsi dalla struttura dispazio di Hilbert per fondare le teorie quantistiche con maggiore generalita. Questo programmae stato largamente sviluppato, a partire da lavori pionieristici dello stesso von Neumann, e sichiama oggi formulazione algebrica delle teorie di campo quantistiche. In questo ambito, peresempio, si e potuta dare una veste rigorosa alla teoria dei campi in spaziotempo curvo anchein relazione ai fenomeni quantistici connessi alla termodinamica dei buchi neri.Un altro punto da sottolineare e che la particella elementare con spin 0 e descritta da unarappresentazione irriducibile di un’algebra (quella di Weyl). Si vede che la stessa cosa accadeprendendo particelle con spin, carica ecc... allargando opportunamente l’algebra (o il gruppo) diriferimento. I sistemi elementari sono in tal modo descritti da rappresentazioni irriducibili di unacerta algebra, in genere associata ad un gruppo di simmetria del sistema. Questo punto di vistasi e rivelato fecondissimo nello sviluppo delle teorie quantistiche relativistiche – in particolaread opera di Wigner – dove l’algebra usata per definire le particelle elementari non e piu quel-la di Weyl, ma la condizione di irriducibilita rimane come caratterizzante un sistema elementare.

Facciamo ora qualche commento di carattere matematico sul teorema di Stone-von Neumann.Useremo qui alcune nozioni che discuteremo piu approfonditamente nel cap.11.Il nostro approccio si e basato sulla struttura di ∗-algebra (di Weyl) Tuttavia esiste un altropunto di vista, dovuto a Weyl e basata sul gruppo di Heisenberg, detto per tale motivoanche gruppo di Weyl-Heisenberg. Il gruppo di Heisenberg su R2n+1, H (n), e il gruppo di Liesemplicemente connesso dotato della struttura differenziabile indotta da R2n+1 e con legge dicomposizione (al solito t ∈ Rn e u ∈ Rn, mentre η ∈ R)

(η, t,u) (η′, t′,u′) =

(η + η′ +

12

n∑i=1

uit′i − u′iti , t + t′ , u + u′

).

Un calcolo diretto dell’algebra di Lie di questo gruppo mostra che esiste una base dell’algebracomposta da 2n + 1 generatori: xi, pi, e con i = 1, 2, . . . , n e tali generatori soddisfano lerelazioni di commutazione:

[xi,pj ] = δije , [xi, e] = [pi, e] = 0 , i, j = 1, 2, . . . , n .

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Di conseguenza, se definiamo l’algebra di Lie delle combinazioni lineari reali finite degli operatorianti-autoaggiunti −iI,−iXk,−iPk ristretti al dominio comune denso ed invariante S(Rn) e concommutatore [·, ·], l’applicazione lineare individuata da e 7→ −iI, xk 7→ −iXk e pk 7→ −iPk e unisomorfismo di algebre di Lie. Questo isomorfismo si estende a tutto il gruppo di Heisenberg.Infatti, se gli operatori W ((t,u)) sono definiti come in proposizione 10.4, la funzione:

R2n+1 3 (η, t,u) 7→ eiηW ((t,u)) =: H((η, t,u)) (10.50)

definisce una rappresentazione unitaria irriducibile e fedele (cioe iniettiva) del gruppo di Hei-senberg 2n + 1 dimensionale su L2(Rn, dx) come si prova facilmente per ispezione diretta.Ulteriormente vale:

s- lims→0

H(s(η, t,u)) = I per ogni fissato (η, t,u) ∈ R2n+1 . (10.51)

Viceversa, abbiamo che:

Proposizione 10.7. Se:R2n+1 3 (η, t,u) 7→ H((η, t,u))

e una rappresentazione unitaria irriducibile del gruppo di Heisenberg H (n) sullo spazio di HilbertH, che soddisfa la (10.51), allora deve essere necessariamente della forma:

H((η, t,u)) = eiηW ((t,u)) ,

dove gli operatori W ((t,u)) soddisfano le ipotesi del teorema 10.2 di Stone-von Neumann.

Prova. Il fatto che valga la (10.50) segue dal fatto che il sottogruppo abeliano R del gruppo diHeisenberg deve essere rappresentato da un sottogruppo abeliano unitario. Ora, il fatto che glielementi di R commutino con tutti gli elementi del gruppo di Weyl implica che ogni elementoH((η,0,0)) commuti con tutta la rappresentazione. Dato che la rappresentazione e irriducibile,questo implica, per il lemma di Schur, che H((η,0,0)) = χ(η)I con χ(η) ∈ C e deve valere|χ(η)| = 1 dato che H((η,0,0)) e unitario. Infine, dato che η → H((η,0,0)) e fortemente conti-nuo, il teorema di Stone implica che χ(η) = eicη per ogni η ∈ R e qualche costante c. Le relazionidi commutazione del gruppo richiedono infine che c = 1. Le stesse relazioni di commutazioneimplicano la validita delle relazioni di Weyl per gli operatori W ((t,u)). 2

In questo contesto una formulazione alternativa (la prima volta dimostrata da Weyl) del teoremadi Stone – von Neumann si enuncia dicendo che:

Teorema 10.5. Ogni rappresentazione unitaria irriducibile del gruppo di Heisenberg H (n) chesoddisfa la (10.51), e equivalente, tramite una trasformazione unitaria, alla rappresentazione suL2(Rn, dx):

R2n+1 3 (η, t,u) 7→ eiηW ((t,u)) .

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dove gli operatori W ((t,u)) sono definiti in proposizione 10.4.

Prova. Con il nostro approccio, la dimostrazione segue immediatamente dal teorema 3.10 e dallaproposizione 10.7. 2

Esistono infine formulazioni piu o meno rigorose del teorema di Stone - von Neumann basatesulle sole relazioni di commutazione di Heisenberg (10.10) senza passare agli esponenziali (vedi[CCP82] per alcune discussioni euristiche non completamente rigorose). In tal caso pero le ipotesitecniche sui domini (spazi di vettori analitici) e sull’esistenza di estensioni autoaggiunte, sononon ovvie e non hanno un diretto significato fisico. Un risultato rigoroso importante e quellodi J. Dixmier4 ed anche il fondamentale lavoro di E. Nelson5, su cui torneremo nel prossimocapitolo, in cui si prova, generalizzandolo ad un numero finito ma arbitrario di dimensioni, chese P e Q sono simmetrici su un sottospazio denso invariante su cui soddisfano le relazioni diHeisenberg e P 2 +Q2 e essenzialmente autoaggiunto su tale spazio, allora P e Q generano unarappresentazione fortemente continua dell’algebra di Weyl sullo spazio di Hilbert e quindi, ameno di isomorfismi di spazi di Hilbert hanno la solita forma su L2(R, dx).

10.3 Il principio di corrispondenza di Dirac.

Rimane fino ad ora aperto il problema di come sia possibile individuare gli operatori in H cor-rispondenti alle osservabili di interesse fisico differenti da posizione ed impulso. E stato scrittomoltissimo da parte di numerosi ed importanti autori su procedure che permettano di passare daosservabili classiche importanti ad osservabili quantistiche importanti. Bisogna dire comunqueche, in un certo senso, si tratta di una “battaglia persa in partenza”: dal punto di vista fisico,la Meccanica Quantistica e piu fondamentale di quella classica e pertanto la Meccanica Classicadovrebbe essere vista come caso limite della Meccanica Quantistica, anche se non e per nullafacile dimostrare cio a parte pochi risultati generali noti tra cui il teorema di Eherenfest la cuiformulazione rigorosa e stata data solo di recente6. Ci si aspetta di conseguenza che ci siano entifisici quantistici, in particolare osservabili, che non hanno corrispondente classico. Un esempioe sicuramente lo spin delle particelle.Fatta questa premessa, possiamo dire che, in linea di principio, per la particella senza spin, al-cune osservabili quantistiche rilevanti saranno “funzioni” delle osservabili Xi e Pi. Ci si aspettache, se F (x, p) e una grandezza classica, la corrispondente grandezza quantistica sia qualcosadel tipo F (X,P ). Tuttavia questa strada e molto piu ardua da percorrere di quanto si creda permotivi di carattere matematico. Infatti: (1) non e affatto ovvio come dare significato ad unafunzione di X e P quando questi operatori hanno misure spettrali che non commutano (nel casodi operatori con misure spettrali commutanti si possono usare procedure basate su cosiddette

4J. Dixmier, “Sur la Relation i(PQ−QP ) = I” Compos. Math. 13, (1956), 263-269.5E. Nelson,“Analytic Vectors” Ann. Math. 70, (1959), 572-614.6G.Friesecke, M.Koppen, On the Ehrenfest theorem of quantum mechanics, J. Math. Phys.50, 082102-082102-6

(2009).

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joint measures che, in pratica, corrispondono ad una misura prodotto), (2) le ricette ingenueche cercano di percorrere questa via in genere non producono operatori autoaggiunti e nemmenosimmetrici quando sono coinvolti operatori non commutati.A titolo di esempio, si consideri la grandezza classica x · p. A quale osservabile – cioe operatoreautoaggiunto – dovrebbe corrispondere? Non conviene passare per le misure spettrali degli ope-ratori perche queste non commutano. Allora proviamo ad usare gli stessi operatori ristretti aduno spazio invariante e denso su cui sono entrambi definiti. La speranza e di produrre un opera-tore essenzialmente autoaggiunto o almeno simmetrico e poi selezionarne, con qualche criterio,le estensioni autoaggiunte (se ce ne sono nel secondo caso). In quest’ottica, la risposta:“x · p corrisponde a X · P (=

∑ni=1XiPi)”

sarebbe del tutto inadeguata, anche interpretando gli operatori come definiti nello spazio inva-riante e denso S(R3). Questo perche X · P non e un operatore simmetrico su tale spazio, noncommutando Xi e Pi (lo si verifichi per esercizio). Pertanto non ha nemmeno senso cercareestensioni autoaggiunte di X · P .Un’altra possibilita e quella di associare a x · p l’operatore simmetrico (X ·P +P ·X)/2 definitosu S(R3) e quindi studiarne le estensioni autoaggiunte. Tuttavia se si prendono in considerazionecasi piu complessi, come x2

kpk, si vede che questa ricetta e fortemente ambigua, perche ci sonopiu possibilita ammissibili a priori: (X2

kPk + PkX2k)/2 e simmetrico sul dominio S(R3), ma lo e

anche Xk(XkPk + PkXk)/4 + (XkPk + PkXk)Xk/4 e ci sarebbero ancora altre possibilita.Un criterio per aiutare nella scelta, ma che non risolve in generale i problemi sollevati, e dovutoallo stesso Dirac e si chiama solitamente “principio di corrispondenza di Dirac”. Per discuterlo,Ricordiamo che un’algebra di Lie e una coppia (V, [·, ·]), dove V e uno spazio vettoriale realee [·, ·] : V × V → V, detto commutatore dell’algebra di Lie, e un’applicazione bilineare,antisimmetrica, che soddisfa l’identita di Jacobi:

[u, [v, w]] + [v, [w, u]] + [w, [u, v]] = 0 , per ogni u, v, w ∈ V.

Dirac noto che, per lo spazio delle fasi della particella classica F (in realta cio a validita deltutto generale), la coppia (G(F), ·, ·), dove G(F) e lo spazio vettoriale reale delle funzionisufficientemente regolari a valori reali definite sullo spazio delle fasi, e ·, · e la parentesi diPoisson:

f, g :∑i

∂f

∂xi

∂g

∂pi− ∂g

∂xi

∂f

∂pi, f, g ∈ G(F) ,

e un’algebra di Lie. Si noti in particolare che valgono le relazioni di commutazione canoniche

xi, pj = δij .

Queste relazioni sono le relazioni di Heisenberg quando si sostituiscono xi → Xi, pi → Pi e·, · → −i~−1[·, ·]. L’idea di Dirac e allora la seguente “Principio di Corrispondenza di Dirac”.

Se f denota il corrispondente quantistico (operatore almeno simmetrico definito su un dominiodenso invariante indipendente dalla grandezza particolare considerata) della generica grandezza

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classica f ∈ G(F), la corrispondenza deve essere tale che, se vale classicamente

h = f, g ,

allora deve valere quantisticamente:

h = −i~−1[f , g]

per ogni terna di grandezze classiche f, g, h ∈ G(F) e corrispondenti quantistiche f , g, h.

A titolo di esempio, se si considera la solita particella classica, le componenti del momentoangolare classico:

li =3∑

j,k=1

εijkxjpk ,

corrispondono agli operatori, che risultano essere essenzialmente autoaggiunti su S(R3),

Li =3∑

j,k=1

εijkXjPk ,

e le relazioni di commutazione classiche

li, lj =3∑

k=1

εijklk ,

corrispondono alle analoghe relazioni quantistiche su S(R3):

[Li, Lj ] = i~3∑

k=1

εijkLk .

Una giustificazione possibile del principio di Dirac si puo dare per le osservabili che corrispondonoad i generatori di trasformazioni unitarie che rappresentano l’azione di un gruppo di simmetriasul sistema fisico. In tal caso e naturale richiedere che (a) l’algebra di Lie del gruppo, (b)quella della rappresentazione unitaria che rappresenta le trasformazioni sul sistema quantisticoe (c) l’algebra di Lie dei generatori del gruppo delle trasformazioni canoniche classiche checorrispondono alle trasformazioni di simmetria sul sistema classico, siano tutte e tre isomorfe.Non ci addentreremo ulteriormente in questa direzione, diciamo solo che, in un certo senso, leidee di Dirac hanno trovato sviluppo rigoroso in certe procedure di quantizzazione che cadonosotto il nome di Quantizzazione a la Weyl7 nella quale non ci addentreremo.

7Vedi per esempio: C. Zachos, D. Fairlie, and T. Curtright, Quantum Mechanics in Phase Space, WorldScientific, Singapore, 2005.

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Capitolo 11

Introduzione alle SimmetrieQuantistiche.

In questo capitolo continueremo la presentazione della struttura matematica della MeccanicaQuantistica, introducendo alcune nozioni fondamentali e strumenti matematici di grande rilie-vo.La prima sezione e dedicata alla nozione e caratterizzazione di simmetra quantistica. Dopo averedato qualche esempio, ed avere discusso quallo che accade in presenza di regole di superselezione,daremo la definizione di simmetria nel senso di Kadison e poi di simmetria nel senso di Wigner.Dimostreremo poi i teoremi di Wigner e Kadison che provano che le due nozioni coincidono esono implementate da operatori unitari oppure anti unitari.Nella seconda sezione, passeremo quindi al problema della rappresentazione di gruppi di sim-metria, introducendo le nozioni di rappresentazioni proiettive, unitarie proiettive e di estensionecentrale di un gruppo (di simmetria) tramite U(1).La terza sezione sara inizialmente dedicata alla nozione di gruppo di simmetria topologico ed allostudio delle rappresentazioni unitarie proiettive fortemente continue. Esamineremo, in particola-re il caso notevole del gruppo topologico abeliano R, che ha importanti applicazioni in MeccanicaQuantistica. Successivamente, dopo avere richiamato alcune definizioni e risultati generali dellateoria dei gruppi ed algebre di Lie, presenteremo alcuni importanti risultati dovuti a Bargmann,Garding e Nelson (ed alcune generalizzazioni di tali risultati), riguardanti le rappresentazioniunitarie proiettive ed unitarie di gruppi di Lie. A titolo di esempio di grande importanza fisicastudieremo le rappresentazioni unitarie del gruppo di simmetria SO(3) in realzione allo spin.Per concludere, applicheremo tutta la teoria presentata al gruppo di Galileo fino ad enunciare eprovare la regola di Bargmann di superselezione della massa.

11.1 Nozione e caratterizzazione di simmetrie quantistiche.

Una nozione estremamente importante in meccanica quantistica, anche per gli sviluppi successivinelle teorie quantistiche dei campi, e la nozione di simmetria di un sistema quantistico. In

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realta esistono due nozioni di simmetria, una dinamica ed una piu elementare, che non coinvolgel’evoluzione temporale. In questa sezione ci occuperemo del caso piu elementare.

Consideriamo un sistema fisico S, descritto nello spazio di Hilbert HS e con spazio degli statiS(HS) e sottoinsieme degli stati puri Sp(HS). Quando agiamo con una trasformazione fisica gsul sistema S, ne alteriamo lo stato quantistico. Alla trasformazione fisica g corrispondera quindiun’applicazione γg : S(HS) → S(HS) nello spazio degli stati oppure, volendoci restringere aglistati puri: γg : Sp(HS) → Sp(HS). Il legame tra g e γg per il momento non ci interessa edammetteremo solo che sia noto; in ogni caso dipendera dalla descrizione matematica di S. Seγg soddisfa certi requisiti che preciseremo in seguito, γg viene detta simmetria del sistema. Conabuso di linguaggio diremo a volte che g stessa e una simmetria del sistema quando lo e γg. Irequisiti affinche γg sia una simmetria sono due:

(a) che γg sia biettiva,

(b) che conservi qualche struttura matematica, per il momento non ancora specificata, dellospazio degli stati S(HS) o in quello degli stati puri Sp(HS), che abbia qualche significato fisicopreciso.

Da un punto di vista fisico, il requisito (a) puo essere in realta imposto sulla trasformazionefisica g che agisce sul sistema, e corrisponde alla richiesta che g sia reversibile, cioe che (i) esistauna trasformazione fisica inversa g−1, associata all’applicazione γ−1

g : S(HS) → S(HS), cheritrasformi il sistema, rispettivamente, lo stato quantistico, nella situazione iniziale, e (ii) si devepoter raggiungere qualsiasi configurazione del sistema, rispettivamente, qualsiasi stato quanti-stico, attraverso l’azione di g, rispettivamente di γg, scegliendo opportunamente la situazione dipartenza.Le differenze tra le varie nozioni note di simmetria dipendono dalla precisazione del requisito(b), cioe dal tipo di struttura che rimane invariata sotto l’azione di γg. La struttura piu sempliceche tale applicazione puo conservare e quella convessa dello spazio degli stati, che corrispondefisicamente al fatto che uno stato si possa costruire miscelando altri stati con certi pesi statistici.Le operazioni di simmetria, in questo caso, alterano lo stato, ma non alterano i pesi statisticiusati nella miscela. Questo genere di simmetrie quantistiche sono quelle definite da Kadison1.Un seconda classe di simmetrie e quella dovuta a Wigner2 e si riferisce alle funzioni che agisconoda Sp(HS) in Sp(HS) e richiede che le simmetrie preservino la struttura di spazio metrico cheha lo spazio dei raggi. Tradotto nel linguaggio fisico, le trasformazioni modificano gli stati puri,ma lasciano invariate le probabilita di transizione tra coppie di stati puri. Una terza classe, dellaquale non ci occuperemo, e quella individuata da Segal3 che concerne la struttura di algebra diJordan delle osservabili. Nel seguito studieremo i primi due tipi di simmetrie e proveremo che, alivello matematico, sono in realta la stessa cosa, ma anche che sono sempre descritte dall’azione

1Vedi R. Kadison, Isometries of Operator Algebras, Annals of Mathematics, 54 325-338, 1951.2E. Wigner, Group Theory and its Applications to the Quantum Theory of Atomic Spectra, Academic Press,

1959.3I. Segal, Ann. Math. 48, 930-940 (1947)

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di operatori unitari oppure anti unitari (quindi le simmetrie di Wigner si possono estendere asimmetrie di Kadison su tutto lo spazio degli stati). Questo risultato di caratterizzazione dellesimmetrie in termini di operatori unitari o antiunitari e di enorme importanza in fisica ed e statoformulato in due teoremi che portano il nome di Teorema di Kadison e Teorema di Wignerrispettivamente. Il secondo e molto piu noto del primo tra i fisici, anche se il primo e almenoaltrettanto importante.

11.1.1 Qualche esempio.

Prima di entrare nei dettagli matematici, facciamo qualche esempio di operazioni fisiche cherisultano essere simmetrie di sistemi quantistici (sia di Wigner che di Kadison).Descrivendo un sistema fisico isolato S in un certo sistema di sistema di riferimento inerziale I,una trasformazione che, come ben noto, produce una simmetria di S, e ogni traslazione rigida diS secondo un fissato vettore, oppure la rotazione di un qualsiasi angolo attorno ad ogni fissatoasse asse. In altre parole le isometrie continue dello spazio di quiete dei riferimenti inerzialiproducono simmetrie quantistiche. Un’altra trasformazione e il cambiamento di sistema di rife-rimento inerziale (anche nelle teorie relativistiche) nel senso che segue. Trasformiamo il sistemaisolato S nel riferimento inerziale I, in modo tale che il sistema fisico trasformato appaia, in unaltro sistema di riferimento inerziale I′ 6= I, come appariva all’inizio in I. Infine, un altro tipodi trasformazione, per sistemi fisici isolati descritti in riferimenti inerziali, che produce simme-trie e la traslazione temporale (da non confondersi con l’evoluzione temporale) che discuteremopiu avanti.Si deve notare che questo genere di trasformazioni sono tutte attive, nel senso che cambiano ilsistema S (il suo stato quantistico).Bisogna anche avere ben chiaro che le trasformazioni di cui parliamo non avvengono in seguitoad evoluzione dello stato del sistema: sono trasformazioni ideali, cioe puramente matematiche.Tra l’altro, alcune di esse non potrebbero mai avvenire nella realta in seguito all’evoluzione tem-porale del sistema secondo la propria legge dinamica, o potrebbero avvenire molto difficilmente.Un tipico esempio e l’inversione di parita . Con questa trasformazione fisica, il sistema S vienesostituito da un nuovo sistema che corrisponde all’immagine del sistema riflessa in uno specchio.In certi casi l’unico modo di ottenere in pratica l’inversione di parita e quello, idealmente, di di-struggere il sistema e ricostruirne uno che corrisponde all’immagine speculare di quello iniziale.In taluni casi anche questa operazione astratta non e fisicamente sensata a causa della naturadelle stesse leggi fisiche. Le particelle che interagiscono tramite l’interazione debole costituisco-no, sorprendentemente, sistemi i cui stati non ammettono l’inversione di parita come simmetriain un senso molto drastico: nello spazio degli stati non vi e alcuna trasformazione γ che rappre-senti la trasformazione fisica ideale d’inversione di parita . Questo significa, semplicemente, chela presunta simmetria non e , in realta , una simmetria del sistema.Un altro genere di trasformazione che ha alcune particolarita in comune con l’inversione di pa-rita e che, talvolta, e associata a simmetrie, e l’inversione del tempo. Le simmetrie illustrate finoad ora sono relative da isometrie spaziotemporali. Benche siano sempre trasformazioni attivesugli stati, sono legate a trasformazioni passive di cambiamento di sistema di riferimento (o

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semplicemente di coordinate) per mezzo di isometrie passive dello spaziotempo. In questo casoci si aspetta (ma come visto non e sempre vero) che le trasformazioni attive sugli stati sianosimmetrie, proprio in conseguenza del fatto che, i diversi sistemi di riferimento o coordinateconnessi dalle corrispondenti trasformazioni passive (trasformazioni di Galileo o trasformazionidi Poincare ) che usiamo per descrivere la realta (almeno a livello macroscopica), sono equiva-lenti. In altre parole, se agisco sul sistema fisico S con una di queste trasformazioni attive, possocomunque annullare l’effetto della trasformazione cambiando riferimento (o semplicemente coor-dinate) e con la garanzia che il nuovo riferimento sia fisicamente equivalente al precedente.Ci sono trasformazioni associabili a simmetrie che, a differenza di tutte quelle menzionate finoad ora, non sono associate ad isometrie dello spaziotempo e non sono annullabili cambiandoriferimento. Un tipico esempio e la coniugazione di carica, attraverso la quale si cambia segno atutte le cariche (del genere considerato) presenti in S e si cambia quindi settore di superselezio-ne della carica. Esistono infine trasformazioni ancora piu astratte legate a simmetrie interne esimmetrie di gauge, sulle quali non ci soffermiamo.Per concludere vogliamo sottolineare un fatto molto importante dal punto di vista fisico. Lalezione che si impara dal caso delle interazioni deboli e che la questione se una trasformazioneagente, idealmente, su un sistema rappresenti o meno una simmetria quantistica e , in ultimaanalisi e dopo che il requisito (b) e stato specificato, un fatto da decidere a livello sperimentale.

Dopo avere enunciato e provato i teoremi di Kadison e Wigner, ci occuperemo della descrizio-ne delle simmetrie, in termini di operatori unitari o antiunitari, nella situazione in cui le trasfor-mazioni fisiche abbiano la struttura di un gruppo algebrico, topologico o di Lie [War75, NaSt84].Nel prossimo capitolo ci occuperemo delle simmetrie dinamiche, che vengono introdotte nelmomento in cui viene definita la nozione di evoluzione temporale dello stato quantistico di unsistema S. In questo contesto, si ritrovera lo stretto legame tra esistenza di simmetrie dinamicheed esistenza di associate leggi di conservazione (come ben noto, a livello classico, codificato dallevarie formulazioni del celebre teorema di Nother).

11.1.2 Simmetrie in presenza di regole di superselezione.

Se M e un sottospazio chiuso dello spazio di Hilbert H possiamo identificare in modo naturaleS(M) (Sp(M)) con un sottoinsieme di S(H) (rispettivamente di Sp(H)), pensando S(M) (risp.Sp(M)) come il sottoinsieme che contiene gli stati ρ ∈ S(H) (risp. Sp(H)), tali che Ran(ρ) ⊂M .Tale identificazione e equivalente ad estendere ogni ρ ∈ S(M) ad un operatore definito su tuttoH, imponendo che sia l’operatore nullo su M⊥. In tutto il resto del capitolo assumeremo tacita-mente tale identificazione. L’esistenza di tale identificazione risulta essere utile nella situazioneche andiamo a considerare ora.Ricordiamo che, in talune situazioni, gli stati possibili per un sistema fisico non sono tutti glielementi di S(HS) (o Sp(HS) nel caso di stati puri), ma sono in numero ridotto perche alcunecombinazioni convesse di stati sono vietate. Questo accade in presenza di regole di superselezio-ne (vedi cap.7). Senza ripetere quanto abbiamo spiegato precedentemente, diciamo solo che nelcaso di presenza di regole di superselezione si ha una decomposizione di HS nella somma diretta

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in sottospazi chiusi ortogonali detti settori coerenti:

HS =⊕k∈K

HSk .

Possiamo allora definire gli spazi degli stati e degli stati puri di ciascun settore S(HSk), Sp(HSk).Si noti che S(HSk) ∩S(HSj) = ∅ e Sp(HSk) ∩Sp(HSj) = ∅ se k 6= j. Per quanto riguarda glistati puri fisicamente ammissibili dalla regola di superselezione per il sistema fisico S descrittosu H, questi saranno tutti e soli quelli dell’insieme:⋃

k∈KSp(HSk) .

Gli stati misti fisicamente ammissibili dalla regola di superselezione per il sistema fisico S de-scritto su H saranno invece tutte e sole le possibili le combinazioni lineari convesse (anche infinitein riferimento alla topologia operatoriale forte) degli elementi dell’insieme:⋃

k∈KS(HSk) .

Quanto appena scritto e equivalente alla richiesta che gli stati fisicamente ammissibili siano glielementi ρ di S(HS) (o Sp(HS)) che ammettano ogni sottospazio HSk come spazio invariante.In questa situazione le simmetrie devono rispettare la struttura della decomposizione in staticoerenti e quello che si assume e che si possano avere simmetrie tra settori anche distinti, quindifunzioni: γkk′ : S(HSk) → S(HSk′), k, k′ ∈ K. Eventualmente puo essere k′ = k, ma ci siaspetta che le simmetrie, in generale, possano mischiare i vari settori. Ogni applicazione γkk′ :S(HSk) → S(HSk′) deve essere biettiva e soddisfare il requisito d’invarianza di Wigner o diKadison.

11.1.3 Simmetrie nel senso di Kadison.

Consideriamo un sistema fisico quantistico S descritto sullo spazio di Hilbert HS e con spaziodegli stati γ(HS). Una richiesta (fisicamente molto debole) per definire una simmetria e quellache si riferisce alla procedura di miscela degli stati quantistici. Un’operazione sul sistema de-finisce una simmetria del sistema se la costruzione di miscele e invariante rispetto ad essa. Intermini precisi:se uno stato si puo ottenere come una miscela di altri stati, con certi pesi statistici, allora, tra-sformando il sistema secondo un’operazione fisica che individua una simmetria del sistema, lostato trasformato si deve poter ottenere come miscela degli stati trasformati della miscela inizia-le, con gli stessi pesi statistici.In altre parole un’applicazione biettiva γ : S(HS) → S(HS) rappresenta una simmetria delsistema quando conserva la struttura di insieme convesso di S(HS): se ρi ∈ S(HS), 0 ≤ pi ≤ 1e∑i∈J pi = 1, allora:

γ

(∑i∈J

piρi

)=∑i∈J

piγ(ρi) .

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Nel seguito assumeremo che J sia finito. In tal caso e ovvio che, senza perdere generalita , pos-siamo ridurci ad imporre il vincolo di sopra con J composto da due soli elementi. Possiamo darela seguente definizione, che non e proprio quella dovuta a Kadison – la si ottiene comunque conuna procedura di dualita – ma e piu conforme con il nostro approccio.Diamo la definizione formalmente, tenendo conto della possibile presenza di settori coerenti disuperselezione.

Definizione 11.1 (Simmetria di Kadison). Si consideri un sistema fisico quantistico Sdescritto sullo spazio di Hilbert HS. Si supponga che HS sia decomposto in settori coerentiHS = ⊕k∈KHSk.Una simmetria (di Kadison) di S dal settore HSk al settore HSk′, con k, k′ ∈ K, e un’applicazione

γ : S(HSk)→ S(HSk′)

che goda delle due seguenti proprieta :(a) γ e biettiva;(b) γ conserva la struttura convessa di S(HSk) e S(HSk′). In altre parole:

γ (p1ρ1 + p2ρ2) = p1γ(ρ1) + p2γ(ρ2) se ρ1, ρ2 ∈ S(HS), p1 + p2 = 1 e p1, p2 ∈ [0, 1]. (11.1)

Nel caso in cui lo spazio di Hilbert H non contenga settori coerenti, ogni γ : S(H)→ S(H), chesia biettiva e conservi la struttura di insieme convesso, e detta automorfismo di Kadison su H.

Un esempio di simmetria nel senso della definizione 11.1 e quella indotta da un operatore U :HSk → HSk′ che sia unitario o antiunitario (definizione 5.10), definendo

γ(U)(ρ) := UρU−1 per ogni ρ ∈ S(HSk) . (11.2)

Dimostriamolo. Abbiamo bisogno di un lemma elementare.

Lemma 11.1 Sia U : H → H′ un operatore antiunitario dallo spazio di Hilbert H allo spaziodi Hilbert H′ e N ⊂ H una base hilbertiana. Allora U = V C, dove V : H → H′ e un operatoreunitario e C : H → H e un operatore di coniugazione (definizione 5.11) naturale associata a Ndefinita da:

Cψ :=∑z∈N

(z|ψ)z .

Prova. Definendo V ψ :=∑z∈N (z|ψ)Uz, la dimostrazione segue immediatamente dalla pro-

prieta di antiisometricita e continuita di ogni operatore antiunitario e dalle proprieta elementaridelle basi hilbertiane, in particolare si osservi che Uzz∈N e ancora una base hilbertiana. 2

Possiamo allora enunciare e provare la annunciata.

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Proposizione 11.1. Sia U : HSk → HSk′ un operatore unitario (cioe isometrico e suriettivo)oppure antiunitario, sullo spazio di Hilbert HS, associato al sistema quantistico S con spaziodegli stati S(H) e dove HSk e HSk′ sono due settori coerenti. γ(U) : S(HSk)→ B(H) definita in(11.2) e una simmetria di Kadison per S dal settore HSk al settore HSk′.

Prova. La proprieta (11.1) e banalmente vera in ciascuna delle due ipotesi per U (si osserviche non lo sarebbe se permettessimo ai coefficienti pi di essere complessi). Dimostriamo cheγ(U)(ρ) ∈ S(HSk′) se ρ ∈ S(HSk). Assumiamo inizialmente che U sia unitario. Se ρ e di classetraccia in HS lo deve essere anche UρU−1, dato che lo spazio degli operatori di classe traccia e unideale bilatero in B(HS) per (b) in teorema 4.7 interpretando UρU−1 come una composizionedi operatori di B(HS). Per fare cio e sufficiente, pensare ρ come operatore in S(HS) che e nullosull’ortogonale disHSk e ρ(HSk) ⊂ HSk quindi estendere U e U−1 come operatori nulli sull’ortogonale di HSke HSk′ rispettivamente, estendendoli in tal modo ad operatori in B(HS). Se ρ ≥ 0 allora(ψ|UρU−1ψ) = (U∗ψ|ρU∗ψ) ≥ 0 e pertanto γ(U)(ρ) ≥ 0. Infine, usando una base hilbertianadata dall’unione di una base hilbertiana in HSk e una in (HSk)⊥ si ha subito che tr

γ(U)(ρ)

=

tr(UρU−1

)= tr(U−1Uρ) = tr(ρ) = 1. Nell’ultimo passaggio, calcolando la traccia sulla base

prima menzionata, abbiamo usato l’identita U−1U HSk= I HSk ed abbiamo tenuto conto delfatto che ρ = 0 su (HSk)⊥. Pertanto γ(U)(ρ) ∈ S(HSk′) se ρ ∈ S(HSk). Passiamo al casodi U antiunitario. Decomponiamo U come detto nel lemma 5.1: U = V C, in riferimento allabase hilbertiana N ⊂ HS che preciseremo piu avanti. Mostriamo che UρU−1 e positivo, diclasse traccia e con traccia unitaria. Dato che V e unitario (nel qual caso la tesi vale per ladimostrazione appena fatta) e che UρU−1 = V (CρC−1)V −1, e sufficiente dimostrare la tesi perU = C. Specializziamo N , e quindi C, ad una base Hilbertiana N costituita di autovettori ψdell’operatore ρ (che esiste per il teorema 4.3 di Hilbert) e pertanto, se φ ∈ H:

ρφ =∑ψ∈N

pψ(ψ|φ)ψ .

Di conseguenza, usando il fatto che C e continuo ed antilineare, che vale CC = I e (f |g) =(Cf |Cg) per definizione di coniugazione, che ogni autovettore di ρ, pψ e reale (e positivo) e,infine, che Cψ = ψ, otteniamo:

CρC−1φ =∑ψ∈N

pψ(ψ|Cφ)Cψ =∑ψ∈N

pψ(CCψ|Cφ)Cψ =

=∑ψ∈N

pψ(Cψ|φ)Cψ =∑ψ∈N

pψ(ψ|Cφ)ψ = ρφ .

Abbiamo provato che CρC−1 = ρ e quindi CρC−1 e di classe traccia, positivo e con traccia paria 1 se ρ ∈ S(HSk). 2

Esempi 11.1. Nel caso in cui la regola di superselezione sia quella della carica elettrica di unsistema fisico, ci saranno (in generale infiniti) settori Hq uno per ogni valore fissato della carica

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q. La coniugazione di carica puo essere costruita come una classe di simmetrie tra settori di tipoγ(Uq) e vale che Uq : Hq → H−q per ogni valore di q.

Mostreremo piu avanti che, in realta , tutte le simmetrie di Kadison hanno la struttura (11.2) perqualche operatore unitario o antiunitario U dipendente dalla simmetria. Questo e l’enunciatodel famoso teorema di Kadison.

11.1.4 Simmetrie nel senso di Wigner.

Passiamo ora alla nozione di simmetria quantistica nel senso proposto da Wigner. Consideria-mo il solito sistema quantistico S descritto sullo spazio di Hilbert HS e con spazio degli statiS(HS). Concentriamo l’attenzione sull’insieme degli stati puri Sp(HS) (cioe sui raggi di HS).Restringiamoci a trasformazioni δ : Sp(HS)→ Sp(HS). Dal punto di vista sperimentale possia-mo controllare le probabilita di transizione |(ψ|ψ′)|2 = tr(ρρ′) tra due stati puri ρ = ψ(ψ| ) eρ′ = ψ′(ψ′| ). La richiesta di Wigner perche una funzione biettiva δ : Sp(HS)→ Sp(HS) sia unasimmetria e che preservi le probabilita di transizione. Se due stati puri hanno una certa proba-bilita di transizione, allora, trasformando il sistema secondo un’operazione fisica che individuauna simmetria del sistema, gli stati trasformati devono avere la stessa probabilita di transizionedi quelli iniziali.Possiamo dare la definizione seguente che tiene anche conto della possibile presenza di settoricoerenti.

Definizione 11.2 (Simmetria di Wigner). Si consideri un sistema fisico quantistico Sdescritto sullo spazio di Hilbert HS e con spazio degli stati S(HS). Si supponga che HS siadecomposto in settori coerenti HS = ⊕k∈KHSk.Una simmetria (di Wigner) di S dal settore HSk al settore HSk′, con k, k′ ∈ K, e un’applicazione

δ : Sp(HSk)→ Sp(HSk′)

che goda delle due seguenti proprieta :(a) δ e biettiva;(b) δ conserva le probabilita di transizione. In altre parole:

Tr (ρ1ρ2) = tr (δ(ρ1)δ(ρ2)) se ρ1, ρ2 ∈ Sp(HSk) . (11.3)

Nel caso in cui lo spazio di Hilbert H non contenga settori coerenti, ogni δ : S(H)→ S(H), chesia biettiva e che conservi le probabilita di transizione, e detta automorfismo di Wigner su H.

Un esempio di simmetria nel senso della definizione 10.2, come nel caso delle simmetrie diKadison, e quella indotta da un operatore U : HSk → HSk′ che sia unitario o antiunitario(definizione 5.10), definendo:

δ(U)(ρ) := UρU−1 per ogni ρ ∈ Sp(HSk) . (11.4)

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A differenza del caso delle simmetrie di Kadison, qui la verifica e veramente immediata.

Osservazioni.(1) Dato che gli stati puri sono tutti del tipo ψ(ψ| ) con ||ψ|| = 1, l’azione di δ(U) sugli statipuri e equivalentemente descrivibile, con una certa improprieta di linguaggio, dicendo che δ(U)

trasforma lo stato puro ψ nello stato puro Uψ. Questo e la maniera in cui, molto spesso, si de-scrivono le simmetrie indotte dagli operatori (anti)unitari nei manuali di Meccanica Quantistica.(2) Ogni simmetria di Kadison mappa stati puri in stati puri e pertanto definisce un’applicazionebiettiva sullo spazio degli stati puri. Tuttavia non e detto, a priori, che definisca una simmetriadi Wigner, perche non e affatto evidente che conservi le probabilita di transizione.Una simmetria nel senso di Wigner non si estende in modo ovvio dalla classe degli stati puria quella degli stati misti. Pertanto non e ovvio che le due nozioni di simmetria siano la stessa.Tuttavia ogni operatore unitario oppure anti unitario individua contemporaneamente una sim-metria di Wigner ed una di Kadison tramite la mappa ρ 7→ UρU−1. Questa sara l’osservazioneper provare che le due simmetrie sono in realta la stessa cosa.

Mostreremo nella prossima sezione che tutte le simmetrie di Wigner tra coppie di settori hannola struttura (11.4) per qualche operatore unitario o antiunitario U dipendente dalla simmetria.Questo e l’enunciato del famoso teorema di Wigner.

Per concludere, possiamo dare una nozione di simmetria di Wigner in senso generale, senzaprecisare i settori.

Definizione 11.3 (Simmetria di Wigner generale). Si consideri lo spazio di Hilbert HSdel sistema S e si assuma che sia decomposto in settori coerenti, in modo che gli stati purifisicamente ammissibili siano solo gli elementi dell’insieme:

Sp(HS)ammiss :=⋃k∈K

Sp(HSk) .

Una simmetria di Wigner δ (senza specificare i settori) e un’applicazione da Sp(HS)ammissin Sp(HS)ammiss biettiva che conserva le probabilita di transizione.

In realta questa definizione si puo ricondurre alla definizione di simmetria di Wigner tra coppiesettori nel modo che segue.

Proposizione 11.2. Sia δ una simmetria di Wigner del sistema S e si assuma che lo spaziodi Hilbert HS di S sia decomposto in settori coerenti, in modo che gli stati puri fisicamenteammissibili siano solo gli elementi dell’insieme:

Sp(HS)ammiss =⋃k∈K

Sp(HSk) .

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Allora esiste una funzione biettiva f : K → K e una classe di simmetrie di Wigner, con settorifissati,

δf,f(k) : Sp(HSk)→ Sp(HSf(k)) con k ∈ K,

tali che δSp(HSk)= δf,f(k) per ogni k. In questo senso δ non e altro che una classe di simmetriedi Wigner che scambiano i settori senza sovrapporsi.

Prova. Si definisca su Sp(HS) la distanza d(ρ, ρ′) := ||ρ − ρ′||1 := tr(|ρ − ρ′|), dove || ||1 e lanorma naturale nello spazio degli operatori di classe traccia. Con questa definizione risultache gli insiemi Sp(HSk) sono le componenti connesse di Sp(HS)ammiss (vedi esercizi 11.1). Lafunzione δ : Sp(HS)ammiss → Sp(HS)ammiss e un isometria biettiva in riferimento alla distanzad, in particolare e un omeomorfismo. Pertanto trasforma insiemi connessi massimali in insiemiconnessi massimali e di conseguenza si deve decomporre in isometrie biettive che operano tracoppie di settori differenti, cioe simmetrie di Wigner tra coppie di settori differenti. 2

11.1.5 Teoremi di Wigner, di Kadison.

Cominciamo ad enunciare e provare il teorema di Wigner. Successivamente, usando tale risul-tato, proveremo il teorema di Kadison. L’enunciato dei due teoremi permette di definire inmodo elementare un’azione duale delle simmetrie sulle osservabili del sistema quantistico, comevedremo dopo avere dimostrato il teorema di Kadison.La dimostrazione del teorema di Wigner che daremo ora e molto diretta. Ne esistono di piu eleganti,ma indirette, come quella dovuta Bargmann4. Quella che presenteremo ha il merito di mostrareesplicitamente come si costruisce U su una base hilbertiana.

Teorema 11.1 (Teorema di Wigner) Si consideri un sistema fisico quantistico S descrittosullo spazio di Hilbert (complesso separabile) HS. Si supponga che HS sia decomposto in settoricoerenti HS = ⊕k∈KHSk (dove eventualmente K = ∅ ed in tal caso quanto segue vale sostituendoovunque HSk e HSk′ con HS). Se la funzione:

δ : Sp(HSk)→ Sp(HSk′)

e una simmetria (di Wigner) di S dal settore HSk al settore HSk′, con k, k′ ∈ K, allora valgonoi fatti seguenti.(a) Esiste un operatore U : HSk → HSk′, unitario oppure antiunitario (e la scelta e fissata da δstessa), tale che:

δ(ρ) = UρU−1 per ogni stato puro ρ ∈ Sp(HSk). (11.5)

(b) U e determinato a meno di una fase, cioe U1 e U2 (entrambi unitari oppure entrambi antiu-nitari) soddisfano (11.5) (sostituendo separatamente ciascuno di essi a U) se e solo se U2 = χU1

dove χ ∈ C con |χ| = 1.4J. Bargamann, J. math. Phys. 5, 862-868, (1964).

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(c) Se ψnn∈N e una base hilbertiana di HSk e scegliamo i vettori ψ′n ∈ HSk′ in modo tale cheψ′n(ψ′n| ) = δ (ψ′n(ψ′n| )), allora ψ′nn∈N e base hilbertiana di HSk′, inoltre un operatore U chesoddisfa (11.5) risulta essere:

U : ψ =∑n∈N

anψn 7→∑n∈N

anψ′n nel caso unitario,

oppure:U : ψ =

∑n∈N

anψn 7→∑n∈N

anψ′n nel caso antiunitario.

Prova. (b) Prima di tutto mostriamo che U , se esiste, e unico a meno di una fase. Ovviamente,se U1 soddisfa la tesi rispetto a δ, allora U2 := χU1 la soddisfera ancora se χ ∈ C con |χ| = 1.Mostriamo che questo e l’unico caso possibile. Supponiamo che esistano U1 e U2 (entrambiunitari oppure anti unitari) che soddisfino la tesi in riferimento a δ. Deve accadere che, seρ = ψ(ψ| ), allora, posto L := U−1

1 U2, vale Lψ(ψ|L−1φ) = ψ(ψ|φ) per ogni coppia di vettorinormalizzati a 1, ψ, φ. Di conseguenza varra Lψ(Lψ|φ) = ψ(ψ|φ), dato che L e unitario. Indefinitiva, essendo Lψ(Lψ| ) = ψ(ψ| ), Lψ e ψ determinano lo stesso stato puro, per cui deveessere Lψ = χψψ e cioe U1ψ = χψU2ψ, oppure U1ψ = χψU2ψ (se gli operatori sono antiunitari)per ogni ψ ∈ HSk, e per qualche χψ ∈ C con |χψ| = 1. Moltiplicando i due membri per unnumero c ∈ C, segue che l’identita vale per ogni ψ ∈ HSk. Mostriamo χψ non dipende da ψ.Scegliendo ψ 6= ψ′ e a, b ∈ C \ 0, la linearita di L implica che:

χaψ+bψ′(aψ + bψ′) = L(aψ + bψ′) = aLψ + bLψ′ = aχψψ + bχψ′ψ′ .

Di conseguenza:a(χaψ+bψ′ − χψ)ψ = b(χψ′ − χaψ+bψ′)ψ′ .

Dato che ψ 6= ψ′, a, b 6= 0, deve essere (χaψ+bψ′ − χψ) = 0 e (χψ′ − χaψ+bψ′) = 0 e quindiχψ = χψ′ . Abbiamo ottenuto che, per qualche χ ∈ C con |χ| = 1, vale:

U2ψ = χU1ψ per ogni ψ ∈ HSk.

(a) e (c) Passiamo ora a costruire un operatore U che rappresenti δ. Sia ψnn∈N una base hil-bertiana di HSk. Ad ognuno dei vettori ψn associamo il corrispondente stato puro ρn := ψn(ψn|).Quindi facciamo agire δ su tali stati, ottenendo la classe di stati puri δ(ρn) = ψ′n(ψ′n|) ∈ Sp(HSk′),dove i vettori unitari ψ′n ∈ HSk′ sono individuati a meno di una fase. Supponiamo di fissare unavolta per tutte tale fase in modo arbitrario. Per prima cosa notiamo che ψ′nn∈N e una basehilbertiana di HSk′ . Infatti, i vettori sono ortonormali valendo: |(ψ′n|ψ′m)|2 = tr(δ(ρn)δ(ρm)) =tr(ρnρm) = |(ψn|ψm)|2 = δnm, inoltre ψ′ ⊥ ψ′n implica ψ′ = 0 come ora dimostriamo. Siaψ′ ⊥ ψ′n per ogni n ∈ N. Se ψ′ 6= 0, senza perdere generalita possiamo assumere che ||ψ′|| = 1 edefinire ρ′ := ψ′(ψ′| ) ∈ Sp(HSk′). Dato che δ e suriettiva, deve essere ρ′ = δ(ρ) con ρ = ψ(ψ| ),per qualche ψ ∈ HSk con ||ψ|| = 1. Di conseguenza:

|(ψ′|ψ′n)|2 = tr(δ(ρ′)δ(ρ′n)) = tr(ρρn) = |(ψ|ψn)|2 = 0

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e quindi deve essere ψ = 0, dato che ψnn∈N e base hilbertiana, ma questo e impossibile datoche ||ψ|| = 1. Deve dunque essere ψ′ = 0, e quindi ψ′nn∈N e base hilbertiana.Ora, usando le due basi ψnn∈N e ψ′nn∈N definiremo l’operatore U in varie tappe. Per primacosa definiamo i vettori unitari ausiliari:

Ψk := 2−1/2 (ψ0 + ψk) per k ∈ N \ 0

ed i corrispondenti stati puri: (Ψk| ) Ψk, per k ∈ N\0. Il trasformato δ(Ψk(Ψk| )) = Ψ′k(Ψ′k| )

deve soddisfare, in particolare:

|(Ψ′k|ψ′n)|2 = tr(Ψ′k(Ψ

′k| )δ(ρn)

)= tr (δ(Ψk(Ψk| ))δ(ρn)) = |(Ψk|ψn)|2 =

δ0n + δkn2

,

e deve anche essere ||Ψ′k|| = 1. Decomponendo Ψ′k =∑n anψ

′n, si vede che l’unica possibilita e :

Ψ′k = χ′k2−1/2(ψ′k + χkψ

′k)

con |χ′k| = |χk| = 1. Le fasi χk sono individuate da δ mentre le fasi χ′k si possono fissarearbitrariamente. Le fasi χk portano l’informazione di δ e ne faremo uso tra poco.Cominciamo a definire U sui vettori ψn, (ψ0 + ψk)/

√2 stabilendo che, per definizione, dove

k ∈ N \ 0:

Uψ0 := ψ′0 , Uψk := χkψ′k , U(2−1/2(ψ0 + ψk)) := 2−1/2(ψ′0 + χkψ

′k) . (11.6)

Con questa scelta siamo sicuri che, se φ e uno dei vettori nell’argomento di U scritti sopra e ρφe lo stato puro associato ad esso, allora δ(ρφ) e associato a Uφ.Ora estenderemo U su ogni vettore:

ψ =∑n∈N

anψn ∈ HSk ,

in modo che U continui a rappresentare δ. Assumiamo sopra che ||ψ|| = 1 e che a0 ∈ R \ 0.Sia poi ψ′ ∈ HSk′ con ||ψ′|| = 1, tale che ψ′(ψ′| ) = δ(ρψ). Avremo uno sviluppo:

ψ′ =∑n∈N

a′nψ′n . (11.7)

i coefficienti a′k sono individuati, a meno di una fase globale, dai coefficienti an e da δ. Nellenostre ipotesi su δ vale comunque:

|(ψ′|ψ′n)|2 = tr(δ(ρψ)δ(ρn)) = tr(ρψρn) = |(ψ|ψn)|2 .

Il risultato si puo riscrivere come |a′n| = |an|. Usando questo risultato insieme alle prime dueidentita in (11.6) nel secondo membro di (11.7), arriviamo a:

ψ′ = χ

a0Uψ0 +

∑n∈N\0

χ−1n a′nUψn

,

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dove χ, con |χ| = 1, e arbitrario. Possiamo allora definire:

Uψ := a0Uψ0 +∑

n∈N\0χ−1n a′nUψn . (11.8)

In questo modo siamo sicuri che, per costruzione, Uψ(Uψ| ) = δ(ρψ) e si verifica che ladefinizione appena data di U estende quella gia data in (11.6). Tuttavia non abbiamo ancoracompletamente definito Uψ, perche non conosciamo quanto valgono i coefficienti a′n in funzionedelle componenti an di ψ. Siamo ora in grado di determinare tale legame. Per costruzione di Ue nelle nostre ipotesi su δ, deve risultare |(Ψk|ψ)| = |(UΨk|Uψ)|, che significa, facendo uso di(11.8):

|a0 + ak|2 = |a0 + χ−1k a′k| .

Questa identita , tenendo conto che |ak| = |a′k|, implica che:

Re(a0ak) = Re(a0χ−1k a′k) .

Tenendo infine conto del fatto che a0 ∈ R \ 0, le identita di sopra sono possibili solo in uno deiseguenti casi:

a′k = χkak oppure a′k = χkak .

Di conseguenza, per ogni ψ =∑n anψn con a0 ∈ R \ 0 vale:

ψ′ = Uψ =∑n∈Aψ

anψ′n +

∑n∈Bψ

anψ′n .

Si osservi che, per il fissato vettore ψ, si puo sempre sempre scegliere uno dei due insiemi Aψ eBψ come vuoto5. Supponiamo infatti che cio non sia possibile. Allora per le componenti di ψe del corrispondente ψ′ deve succedere che a′p = χpap mentre a′q = χqaq, per qualche coppia diindici p 6= q, dove Imap, Imaq 6= 0. Se φ = 3−1/2(ψ0+ψp+ψq) deve allora essere per costruzione:

|(φ′|ψ′)|2 = |(φ|ψ)|2 ,

dove φ′ := Uφ = 3−1/2(ψ′0 + ψ′p + ψ′q). L’identita tra i moduli quadri si esplicita in:

|a0 + ap + aq|2 = |a0 + ap + aq|2 ,

cioe , con qualche calcolo:Re(apaq) = Re(apaq)

che e impossibile nelle nostre ipotesi, perche implica che Imaq = −Imaq.Se ψ =

∑n anψn ∈ HSk con ||ψ|| = 1 e se a0 ∈ R \ 0, abbiamo pertanto le due alternative per

definire Uψ:Uψ =

∑n∈N

anψn oppure Uψ =∑n∈N

anψn . (11.9)

5Si osservi che c’e una certa ambiguita nel definire gli insiemi Aψ e Bψ dato che gli indici n degli eventualicoefficienti an reali possono essere scelti come membri di An oppure Bn indifferentemente.

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Mostriamo ora che la scelta tra i due casi non dipende da ψ e quindi deve dipendere dalla naturadi δ. Consideriamo un generico vettore ψ =

∑n anψn ∈ HSk con ||ψ|| = 1 e a0 ∈ R\0. Quindi

definiamo il vettore ψ(nc) associato a c ∈ C con Imc 6= 0, per ogni n = 1, 2, . . ., dato da:

ψ(nc) :=1È

1 + |c|2(ψ0 + cψn) .

Dovendo essere valido il vincolo: |(ψ|ψ(nc))| = |(Uψ|Uψ(nc))|, si vede immediatamente che questoe possibile solo se ψ(nc) e ψ sono dello stesso tipo tra le due possibilita in (11.9). Di conseguenzatutti i vettori ψ =

∑n anψn ∈ HSk con ||ψ|| = 1 e a0 ∈ R \ 0 sono dello stesso tipo.

Definiamo ora l’operatore U : HSk → HSk′ dato da:

U : ψ =∑n∈N

anψn 7→∑n∈N

anψ′n nel caso lineare,

oppure:U : ψ =

∑n∈N

anψn 7→∑n∈N

anψ′n nel caso antilineare.

Si osservi che, per costruzione, il primo operatore e isometrico surgettivo cioe unitario, il secondoe antisometrico surgettivo, cioe antiunitario. Si deve osservare che la scelta tra il caso unitarioe quello antiunitario deve dipendere dalla natura di δ e non e possibile rappresentare lo stesso δsi con un operatore unitario che con uno anti unitario. Questo segue dal fatto che e impossibileche ψ′ :=

∑n∈N anψn 7→

∑n∈N anψ

′n e ψ′ =

∑n∈N anψn 7→

∑n∈N anψ

′n differiscano per una

sola fase per ogni scelta dei coefficienti an, cioe del vettore ψ, come dovrebbe essere se ψ′ e ψ′

individuassero lo stesso stato puro δ(ψ(ψ| )).Per costruzione, questo operatore soddisfa UρU−1 = δ(ρ) purche si possa esprimere ρ ∈ Sp(HSk)come ψ(ψ| ) dove, nello sviluppo ψ =

∑n∈N anψn, a0 6= 0. Infatti, in tal caso e possibile ridefinire

ψ cambiando una sola fase totale: ψ = χψ, senza alterare ρ = ψ(ψ| ) = ψ(ψ| ), in modo taleche, nello sviluppo di ψ, a0 ∈ R \ 0; a questo punto la costruzione che abbiamo fatto per Uimplica che:

UρU−1 = Uψ(ψ| )U−1 = Uψ(ψ| )U−1 = Uψ(Uψ| ) = δ(ρ) .

Rimane da provare che questo risultato vale anche per gli stati puri associati a vettori ψ =∑n∈N anψn con a0 = 0. A tal fine notiamo che tutta la costruzione puo essere rifatta rimpiaz-

zando ψ0 con un qualsiasi altro vettore di base ψk. In tal caso si trova banalmente che, sesi definisce U esattamente come detto sopra, vale UρU−1 = δ(ρ) per gli stati puri associati avettori ψ =

∑n∈N anψn con ak 6= 0. (Non puo accadere che, usando come vettore di riferimento

ψk invece di ψ0, il nuovo operatore U sia di tipo diverso (lineare o antilineare) di quello definitoprendendo come riferimento ψ0. Infatti, sui vettori ψ =

∑n∈N anψn con ak 6= 0 e a0 6= 0 insieme,

i due operatori si devono comportare nello stesso modo e questo ne determina il tipo come prova-to sopra.) L’osservazione fatta conclude la dimostrazione, perche se consideriamo ρ ∈ Sp(HSk)e ρ = ψ(ψ| ), con ψ =

∑n∈N anψn, e a0 = 0, ci deve essere comunque almeno un coefficiente

ak 6= 0 essendo ||ψ|| = 1. Pertanto possiamo rifare la dimostrazione di sopra rimpiazzando ψ0

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con quel ψk. 2

Passiamo ora al teorema di Kadison con una procedura di riduzione al teorema di Wigner dovutaa Roberts e Roepstorff6. Per prima cosa dimostriamo parte del teorema nel caso bidimensionale.

Proposizione 11.3. Se H e uno spazio di Hilbert bidimensionale e se γ : S(H) → S(H) e unautomorfismo di Kadison, allora esiste U : H→ H unitario oppure anti unitario tale che:

γ(ρ) = UρU−1 per ogni ρ ∈ S(H).

Prova. Per prima cosa caratterizziamo geometricamente gli stati e gli stati puri su H attraverso lacosiddetta sfera di Poincare . Uno stato ρ ∈ S(H) e , nel caso in esame, una matrice hermitianapositiva con traccia pari a 1. Lo spazio vettoriale reale delle matrici hermitiane possiede unabase costituita dall’identita I e dalle 3 matrici di Pauli:

σ1 =

0 11 0

, σ2 =

0 −ii 0

, σ3 =

1 00 −1

. (11.10)

Quindi, dovra essere per a, bn ∈ R:

ρ = aI +3∑

n=1

bnσn .

La condizione tr(ρ) = 1 fissa a = 1/2, dato che le tre matrici σn hanno traccia nulla. La richiestadi positivita , cioe la richiesta che gli autovalori di ρ siano entrambi positivi, risulta allora essereequivalente a

Èb11 + b22 + b23 ≤ 1/2. La verifica e immediata per computo diretto. In definitiva

gli elementi ρ di S(H) risultano essere in corrispondenza biunivoca con i vettori n ∈ R3 con||n|| ≤ 1 attraverso la relazione, con ovvie notazioni:

ρ =12

(I + n · σ) . (11.11)

Infine, la richiesta che ρ sia puro, e cioe che si abbia un unico autovalore pari a 1, e equivalenteal fatto che ||n|| = 1, come si prova per verifica diretta. In definitiva, gli elementi di S(H) sonoin corrispondenza biunivoca con la palla chiusa B in R3 di raggio 1 e centrata nell’origine, e glielementi del sottoinsieme degli stati puri, Sp(H), sono in corrispondenza biunivoca con i puntisulla superficie della palla ∂B. La corrispondenza biunivoca appena definita:

B 3 n 7→ ρn ∈ S(H)

e in realta un vero isomorfismo, dato che conserva le strutture convesse dei rispettivi spazi,risultando da (11.11):

ρpn+qm = pρn + qρm per ogni coppia n,m ∈ B se p, q ≥ 0 e p+ q = 1 .6J. Roberts and G. Roepstorff, Commun. Math. Phys. 11, 321-338, (1969).

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Una proprieta importante nel seguito dell’isomorfismo trovato e la seguente formula che segueimmediatamente dalle relazioni (che si provano per verifica diretta): tr(σj) = 0, tr(σiσj) = 2δij .

tr (ρmρn) =12

(1 + m · n) . (11.12)

Possiamo ora caratterizzare gli automorfismi di Kadison. Assegnare un automorfismo di Kadisonγ : S(H)→ S(H) e evidentemente equivalente ad assegnare una corrispondente funzione biettivaγ′ : B → B che soddisfi:

γ′(pn + qm) = pγ′(n) + qγ′(m) per ogni coppia n,m ∈ B se p, q ≥ 0 e p+ q = 1 .

Se l’automorfismo di Kadison γ : S(H) → S(H) individua la funzione γ′ : B → B come dettosopra, la funzione Γ : R3 → R3 definita da:

Γ(0) := 0 , Γ(v) := ||v||γ′

v||v||

, se v ∈ R3 \ 0

risulta allora essere un’estensione di γ′ e risulta anche essere lineare e biettiva. La prova dicio e diretta. (Bisogna tuttavia osservare che non tutte le funzioni lineari biettive L : R3 → R3

si restringono ad automorfismi di Kadison quando ristrette a B: deve essere soddisfatta lacondizione che L(B) = B.) Si osservi che gli automorfismi di Kadison, essendo isomorfismi,devono trasformare elementi estremali in elementi estremali e pertanto deve anche risultare:Γ(n) = γ′(n) = 1 se ||n|| = 1 e ancora, per la linearita di Γ:

||Γ(v)|| = ||v|| per ogni v ∈ R3 .

Concludiamo che la funzione lineare Γ : R3 → R3 associata all’automorfismo di Kadison γ deveessere un’isometria di R3 che ammette l’origine come punto fisso. Questo e possibile se e solo seΓ ∈ O(3), il gruppo delle matrici ortogonali reali di dimensione 3. (Viceversa, se Γ ∈ O(3), allorala sua restrizione a B individua un automorfismo di Kadison come si prova immediatamente.)Questo risultato, tenendo conto del teorema di Wigner, conclude la prova del teorema di Kadisonnel caso in esame. In effetti, il fatto che Γ ∈ O(3) implica che γSp(H) sia un automorfismo diWigner per la proprieta (11.12). Se infatti ρn e ρm sono stati puri, la probabilita di transizionead essi associata e :

tr (ρnρm) =12

(1 + n ·m) .

D’altra parte, usando il fatto che Γ e una matrice ortogonale, si ha anche:

tr (γ(ρn)γ(ρm)) =12

(1 + Γ(n) · Γ(m)) =12

(1 + n ·m) ,

e quindi:tr (γ(ρn)γ(ρm)) = tr (ρnρm) .

Tenendo conto del fatto che γ′∂B= Γ∂B: ∂B → ∂B e banalmente una biezione (cio accade pertutte le metrici ortogonali), abbiamo che γSp(H): Sp(H)→ Sp(H) e una biezione. Concludiamo

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che γSp(H): Sp(H)→ Sp(H) e un automorfismo di Wigner. Il teorema di Wigner implica allorache esiste un operatore unitario o anti unitario U : H→ H tale che

γ(ρ) = UρU−1 per ogni ρ ∈ Sp(H) .

Se ρ ∈ S(H) si potra comunque decomporre come combinazione convessa di due stati puriassociati agli autovettori di ρ. Se ρ1, ρ2 ∈ Sp(H) sono questi stati, per qualche p ∈ [0, 1]dovra essere:

ρ = pρ1 + (1− p)ρ2 .

Quindi

γ(ρ) = pγ(ρ1)+(1−p)γ(ρ2) = pUρ1U−1 +(1−p)Uρ2U

−1 = U (pρ1 + (1− p)ρ2)U−1 = UρU−1 .

Concludiamo che l’operatore unitario o antiunitario U verifica la tesi della proposizione e ladimostrazione si conclude. 2

Osserviamo che, nella dimostrazione appena conclusa, l’esistenza dell’operatore U si puo dimostrareusando la teoria delle rappresentazioni del gruppo SU(2), delle matrici unitarie 2 × 2 a deter-minante unitario, e del fatto che esso sia il rivestimento universale di SO(3), senza invocare ilteorema di Wigner. Non abbiamo seguito questa strada per non dover introdurre nuove nozioni.Passiamo ad enunciare e provare il teorema di Kadison nel caso generale. (Il contenuto originaledel teorema provato realmente da Kadison si riferisce solo ai punti (a) e (b)).

Teorema 11.2 (Teorema di Kadison) Si consideri un sistema fisico quantistico S descrittosullo spazio di Hilbert (complesso separabile) HS. Si supponga che HS sia decomposto in settoricoerenti HS = ⊕k∈KHSk (dove eventualmente K = ∅ ed in tal caso quanto segue vale sostituendoovunque HSk e HSk′ con HS). Se la funzione:

γ : S(HSk)→ S(HSk′)

e una simmetria (di Kadison) di S dal settore HSk al settore HSk′, con k, k′ ∈ K, allora valgonoi fatti seguenti.(a) Esiste un operatore U : HSk → HSk′, unitario oppure antiunitario, tale che:

γ(ρ) = UρU−1 per ogni stato puro ρ ∈ S(HSk). (11.13)

(b) U e determinato a meno di una fase, cioe U1 e U2 (entrambi unitari oppure entrambi antiuni-tari) soddisfano (11.13) (sostituendo separatamente ciascuno di essi a U) se e solo se U2 = χU1

dove χ ∈ C con |χ| = 1.(c) La restrizione di γ allo spazio degli stati puri e una simmetria di Wigner (e la scelta delcarattere unitario o anti unitario di U in (a) e fissata da γSp(HSk)).(d) Ogni simmetria di Wigner δ : Sp(HSk) → Sp(HSk′) si estende, in modo unico, ad unasimmetria di Kadison γ(δ) : S(HSk)→ S(HSk′).

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Prova. (b) Prima di tutto mostriamo che U , se esiste ed e unitario oppure e anti unitario, e unicoa meno di una fase nella corrispondente classe di operatori. Ovviamente, se U1 soddisfa la tesirispetto a γ, allora U2 := χU1 la soddisfera ancora se χ ∈ C con |χ| = 1. Mostriamo che questoe l’unico caso possibile. Supponiamo che esistano U1 e U2 (entrambi unitari oppure anti unitari)che soddisfino la tesi in riferimento a γ. Deve accadere in particolare che, se ρ ∈ S(HSk), alloraU1ρU

−11 = U2ρU

−12 e quindi: LρL−1 = ρ dove L := U−1

1 U2 e lineare ed unitario. Scegliendo unostato puro ρ = ψ(ψ| ), l’identita trovata si riscrive:

Lψ(Lψ| ) = ψ(ψ| )

e quindi Lψ deve appartenere allo stesso raggio di ψ e pertanto Lψ = χψψ per qualche numeroχψ ∈ C con |χ| = 1. Esattamente come nella dimostrazione del punto (b) del teorema di Wigner,si trova allora che χψ non dipende da ψ e questo conclude la dimostrazione di (b).Passiamo a dimostrare (a). Dividiamo la dimostrazione in alcuni passi. Per prima cosa notiamoche γ e biettiva e conserva la struttura convessa. Conseguentemente, trasforma elementi estre-mali in elementi estremali ed elementi non estremali in elementi non estremali, cioe stati puri instati puri e stati misti in stati misti. Di conseguenza, se M ⊂ HSk e un sottospazio bidimensiona-le allora esistera un analogo sottospazio bidimensionale M′ ⊂ HSk′ tale che γ (S(M)) ⊂ S(M′).(Se ψ1, ψ2 e una base di M, il generico elemento di S(M) e ρ = pψ1(ψ1| )+qψ2(ψ2| ) con p+q = 1e p, q ≥ 0. Quindi

γ(ρ) = pγ(ψ1(ψ1| )) + qγ(ψ2(ψ2| )) = pψ′1(ψ′1| ) + q(ψ′2(ψ′2| ) ,

dove, i vettori unitari ψ′1 e ψ′2 si ottengono (a meno di fasi) richiedendo che individuino gli statipuri γ(ψ1(ψ1| )) e γ(ψ1(ψ1| )) rispettivamente. Questi due stati puri devono essere differentitra di loro, altrimenti la biezione γ−1 : S(HSk′) → S(HSk) che conserva la struttura conforme,mapperebbe uno stato puro in uno stato misto. Pertanto i vettori ψ′1 e ψ′2, che devono essere dinorma unitaria, soddisfano necessariamente: ψ′1 6= aψ′2 per ogni a ∈ C e pertanto sono linear-mente indipendenti. Lo spazio M ′ e allora quello generato da ψ′1 e ψ′2.)Abbiamo ora due lemmi.

Lemma 1. Nelle nostre ipotesi su γ, esiste una simmetria di Wigner δ : Sp(HSk)→ Sp(HSk′)che soddisfa γ(ρ) = δ(ρ) per ogni ρ ∈ Sp(HSk).

Prova del lemma 1. Dato che γ e γ−1 trasformano elementi estremali in elementi estremali edelementi non estremali in elementi non estremali, γ Sp(HSk): Sp(HSk) → Sp(HSk′) e biettiva,dato che la sua inversa destra e sinistra non e altro che γ−1Sp(HSk′ )

: Sp(HSk′)→ Sp(HSk). Ladimostrazione si conclude provando che γ Sp(HSk) conserva le probabilita di transizione. Datoφ, ψ ∈ HSk supposti essere unitari e diversi, sia M lo spazio vettoriale generato da essi e siaM ′ ⊂ HSk′ lo spazio bidimensionale che soddisfa γ (S(M)) ⊂ S(M ′) menzionato sopra. Siainfine U : M ′ →M un qualsiasi operatore unitario. Definiamo:

γ′(ρ) := Uγ(ρ)U−1 per ogni ρ ∈ S(M).

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Si verifica immediatamente che γ′ e una simmetria di Kadison se ci si restringe a lavorare nellospazio di Hilbert 2-dimensionale H = M . Come provato nella proposizione 11.3, in questo casoil teorema di Kadison e vero e quindi esiste un operatore unitario o anti unitario V : M → Mtale che γ′(ρ) = Uγ(ρ)U−1 = V ρV −1. In altre parole:

γ(ρ) = UV ρ(UV )−1 per ogni ρ ∈ S(M).

In particolare, scegliendo ρ = ψ(ψ| ) e poi ρ = φ(φ| ) abbiamo che

tr (γ(ψ(ψ| ))γ(φ(φ| ))) = trUV ψ(ψ| )(UV )−1UV φ(φ| )(UV )−1

=

= trUV ψ(ψ| )φ(φ| )(UV )−1

= tr (ψ(ψ| )φ(φ| )) .

Nel caso ψ(ψ| ) = φ(φ| ) si ottiene banalmente lo stesso risultato come e immediato verificare.Abbiamo provato che γSp(HSk) conserva le probabilita di transizione ed e quindi una simmetriadi Wigner. 2

Per il lemma precedente ed applicando il teorema 11.1 di Wigner, esiste un operatore unitariooppure anti unitario U : HSk → HSk′ tale che:

γ(ρ) = UρU−1 per ogni ρ ∈ Sp(HSk). (11.14)

La dimostrazione si conclude dimostrando che l’identa trovata vale anche nel caso di ρ ∈ S(HSk).A tal fine, notiamo che (11.14) e equivalente a:

U−1γ(ρ)U = ρ per ogni ρ ∈ Sp(HSk),

e quindi Γ : S(HSk) → Sp(HSk) e ancora una simmetria di Kadison (anzi un automorfismo diKadison) che si riduce all’identita sugli stati puri. La dimostrazione del teorema di Kadison siconclude immediatamente provando il seguente lemma.

Lemma 2. Sia H uno spazio di Hilbert. Se Γ : S(H) → S(H) e un automorfismo di Kadisonche si riduce all’identita sugli stati puri, allora e l’identita .

Prova del lemma 2. Se ρ =∑Nk=0 pkψk(ψk| ) e una combinazione lineare (convessa) finita di stati

puri, allora:

Γ(ρ) = Γ

(N∑k=0

pkψk(ψk| )

)=

N∑k=0

pkΓ (ψk(ψk| )) =

(N∑k=0

pk

)I = I .

Di conseguenza, la tesi varra per ogni ρ ∈ S(H), se le combinazioni lineari (convesse) finite distati puri sono dense in S(H) in una topologia rispetto alla quale Γ e continuo. Mostriamo checio accade rispetto alla topologia degli operatori di classe traccia indotta dalla norma ||T ||1 :=

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tr(|T |) (vedi cap.4).Se ρ ∈ S(H), possiamo decomporre l’operatore nel suo sviluppo spettrale:

ρ =∑k∈N

pkψk(ψk| ) .

dove pk > 0 e∑k∈N pk = 1. La convergenza e nella topologia operatoriale forte e anche nella to-

pologia di || ||1. Mostriamo che possiamo approssimare ρ con elementi ρN ∈ S(H), combinazionilineari (convesse) finite di stati puri, in modo tale che:

||ρN − ρ||1 → 0 per N → +∞.

A tal fine definiamo:

ρN :=N∑k=0

q(N)k ψk(ψk| ) , q

(N)k :=

pk∑Nj=0 pj

, N=0,1,2,. . . .

Evidentemente ρN ∈ S(H) per ogni N ∈ N ed inoltre, tenendo conto che q(N)k < pk e che i

vettori unitari ψk (aggiungendo una base hilbertiana di ker(ρ) ⊃ ker(ρN )) formano una basehilbertiana di H, fatta di autovettori di ρ e di ρN , si trova facilmente che, per N → +∞

||ρ− ρN ||1 = tr (|ρ− ρN |) = −N∑k=0

(pk − q(N)k ) +

+∞∑k=N+1

pk =1−∑N

j=0 pj∑Nj=0 pj

N∑k=0

pk ++∞∑

k=N+1

pk → 0 ,

in virthu dei soli fatti che pn > 0 e∑+∞n=1 pn = 1.

Mostriamo ora che Γ e continua nella topologia di || ||1 e questo completa la dimostrazione.Per prima cosa estendiamo Γ da S(H) alla classe degli operatori di classe traccia positivi su Hdefinendo, se A ∈ B1(H) con A ≥ 0 (e quindi tr(A) > 0 se A 6= 0):

Γ1(A) := tr(A)Γ 1trA

A

, Γ1(0) := 0 .

Con questa definizione, segue immediatamente che Γ1(A) ∈ B1(H) e Γ1(A) ≥ 0, inoltre:

Γ1(αA) = αΓ1(A) se α ≥ 0,

etr (Γ1 (A)) = tr(A) .

Tenendo conto che Γ conserva la struttura convessa, si prova immediatamente che

Γ1 (A+B) = Γ1(A) + Γ1(B) .

Per concludere estendiamo Γ1 sulla classe degli operatori autoaggiunti di classe traccia, definen-do:

Γ2(A) := Γ1(A+)− Γ1(A−) ,

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dove A− := −∫

(−∞,0) xdP(A)(x) e A+ :=

∫(0,+∞) xdP

(A)(x). Si osservi che A+ − A− = A e|A| = A+ +A−, per definizione, essendo P (A) la PVM di A.Con questa definizione, se A ∈ B1(H) e autoaggiunto, allora Γ2(A) ∈ B1(H) ed e autoaggiunto,inoltre:

||Γ2(A)||1 ≤ ||Γ1(A+)||1 + ||Γ1(A−)||1 = tr (A+) + tr (A−) = ||A||1 .

Segue che Γ2 e continua nella topologia di || ||1 e di conseguenza lo e Γ : S(H) → S(H) che nee una restrizione. 2

Abbiamo quindi provato l’esistenza di U unitario o anti unitario che soddisfa la richiesta γ(ρ) =UρU−1 per ogni ρ ∈ S(HSk). Questo conclude la prova di (a).(c) Si osservi che, valendo: γSp(HSk) (ρ) = UρU−1, si conclude che γSp(HSk) e una simmetria diWigner come si prova immediatamente. In particolare, l’operatore U che verifica (a) (di questoteorema) soddisfa anche la tesi in (a) del teorema di Wigner per γSp(HSk). In base al teoremadi Wigner il carattere unitario o antiunitario di U che soddisfa (a) e quindi fissato da γSp(HSk).(d) Se δ e una simmetria di Wigner, per il teorema di Wigner esiste U , unitario o antiunitarioper cui δ(ρ) = UρU−1 per ogni stato puro. U definisce la simmetria di Kadison γ(δ)(ρ) =UρU−1 che estende δ su tutto lo spazio degli stati. Dimostriamo l’unicita . Se due simmetrie diKadison, γ, γ′, associate agli operatori (unitari o antiunitari) U , U ′ rispettivamente, coincidonosu Sp(HSk), allora le simmetrie di Wigner δ(U) = U · U−1 e δ(U ′) = U ′ · U ′−1 coincidono. Per ilteorema di Wigner U e U ′ devono essere entrambi unitari o entrambi antiunitari e U = χU ′ con|χ| = 1. Conseguentemente, per le simmetrie di Kadison iniziali vale

γ(ρ) = UρU−1 = χU ′ρU ′−1χ−1 = χχ−1U ′ρU ′−1 = U ′ρU ′−1 = γ′(ρ)

per ogni ρ ∈ S(HSk) e quindi γ = γ′. Questo conclude la dimostrazione del teorema di Kadison.2

Dall’ultima parte della dimostrazione estraiamo una proposizione che e interessante per sua na-tura.

Proposizione 11.4. Sia γ un automorfismo di Wigner, oppure di Kadison, sullo spazio diHilbert H, e B1(H)R ⊂ B1(H) indichi il sottospazio reale di B1(H) contenente gli operatori au-toaggiunti di classe traccia sullo spazio di Hilbert complesso H.Esiste, ed e unico, un operatore lineare γ2 : B1(H)R → B1(H)R, continuo nella norma na-turale || ||1 di B1(H), tale che si restringa a γ su Sp(H) oppure, rispettivamente, su S(H).Piu precisamente vale:

||γ2(A)||1 ≤ ||A||1 per ogni A ∈ B1(H)R

Prova. La dimostrazione di esistenza, nel caso di automorfismi di Kadison e stata data nel-la dimostrazione, del lemma 2, dimostrando l’esistenza di Γ2 (ora indicato con γ2), quandoe assegnato Γ (ora indicato con γ). L’unicita segue direttamente dalla costruzione fatta, nella

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dimostrazione del lemma 2, per ottenere Γ2 (ora indicato con γ2) da Γ (ora indicato con γ). Pergli automorfismi di Wigner, la dimostrazione segue immediatamente da quella per gli automor-fismi di Kadison, applicando (d) del teorema di Kadison.

11.1.6 Azione duale delle simmetrie sulle osservabili.

I teoremi di Wigner e Kadison consentono di definire in modo molto elementare la nozione diazione (duale) di una simmetria sulle osservabili del sistema fisico. Consideriamo un sistemafisico S descritto sullo spazio di Hilbert (complesso separabile) HS . Per semplicita ci occuperemodella situazione in cui si abbia un unico settore, dato che la generalizzazione al caso di presenza dipiu settori coerenti e immediata. Sia P(HS) l’insieme delle osservabili elementari su S, descritte,come sappiamo dai proiettori ortogonali su H. Le osservabili su S sono PVM costruite con taliproiettori, ovvero sono gli operatori autoaggiunti (non limitati in generale) associati a tali PVM.Supponiamo che γ : S(HS) → S(HS) sia una simmetria. Definiamo l’azione duale di γ sulreticolo dei proiettori, γ∗ : P(HS)→ P(HS) come:

γ∗(P ) := U−1PU per ogni P ∈ P(HS). (11.15)

Con questa scelta vale l’identita di dualita :

tr (ργ∗(P )) = tr (γ(ρ)P ) , (11.16)

come si verifica immediatamente, tenendo conto che γ(ρ) = UρU−1 per il teorema di Kadisone tenendo conto, nel calcolo della traccia e nel caso in cui U sia antinunitario, che gli operatoriantiunitari trasformano basi hilbertiane in basi hilbertiane.L’applicazione γ∗ : P(HS) → P(HS) non solo trasforma proiettori ortogonali in proiettori or-togonali, ma preserva la struttura di reticolo limitato, ortocomplementato e σ-completo. Peresempio i proiettori ortogonali P e Q di P(HS) commutano se e solo se γ∗(P ) e γ∗(Q) commu-tano. In tal caso γ∗ (P ∨Q) = γ∗(P ) ∨ γ∗(Q) e via di seguito.Se A : D(A)→ H e un operatore autoaggiunto su H con misura spettrale P (A) ⊂ P(HS), risultafacilmente (vedi (1) in esercizi 9.1 per il caso unitario, e (6) in esercizi 11.1 per il caso antiunitario)che U−1AU : U−1D(A) → HS e ancora autoaggiunto ed ha misura spettrale γ∗

P (A)

. Questa

osservazione consente di estendere l’azione di γ∗ a tutte le osservabili in modo coerente con l’ideadella decomposizione spettrale, definendo, se A : D(A) → HS e un operatore autoaggiunto cherappresenta qualche osservabile di S:

γ∗(A) := U−1AU . (11.17)

Il significato fisico di γ∗(A) e il seguente. Nel momento in cui definiamo una simmetria diKadison γ, assegniamo una serie di prescrizioni sperimentali con cui trasformare il sistemaS. Matematicamente parlando, l’azione sugli stati e descritta proprio da γ : S(HS) → S(HS).L’azione γ∗ sulle osservabili rappresenta invece una serie di prescrizioni operative sugli strumentidi misura che, in termini intuitivi, corrisponde e generalizza la nozione di trasformazione passiva

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di coordinate. Piu precisamente, tale prescrizione e tale che se attuiamo γ sul sistema oppure γ∗

sull’apparato di misura, otteniamo lo stesso risultato (valori di aspettazione, varianze, frequenzedi esiti) quando guardiamo gli esiti delle misure.Per esempio, il valore di aspettazione 〈γ∗(A)〉ρ risulta essere lo stesso di 〈A〉γ(ρ):

〈γ∗(A)〉ρ = tr (γ∗(A)ρ) = trU−1AUρ

= tr

AUρU−1

= tr(Aγ(ρ)) = 〈A〉γ(ρ) .

Questo e , in definitiva, il risultato espresso nell’equazione di dualita (11.16). Il risultato e equivalentea dire che l’azione di γ sul sistema puo essere annullata, ai fini dell’osservazione degli esiti dellemisure sul sistema, dall’azione contemporanea di (γ∗)−1 sugli strumenti. Si noti che, dal puntodi vista sperimentale non e affatto ovvio che una trasformazione agente sul sistema possa essereannullata da un’azione contemporanea sull’apparto di misura. Le simmetrie, nel senso di Kadi-son e di Wigner, hanno la proprieta che questo deve essere possibile possibile.

Esempi 11.2.(1) Consideriamo una particella quantistica senza spin descritta su R3, pensato come spazio diquiete di un sistema di riferimento inerziale descritto da fissate coordinate ortonormali destrorse.Sappiamo, dal cap 10, che in tal caso lo spazio di Hilbert della particella e L2(R3, dx). Gli statipuri sono dunque individuati, a meno di fasi arbitrarie, dalle funzioni d’onda, cioe dai vettoriψ ∈ L2(R3, dx) tali che

∫R3 |ψ(x)|2dx = 1.

Le isometrie di R3 individuano simmetrie di Wigner (e quindi di Kadison) nel modo che segue,a causa dell’invarianza della misura di Lebesgue dx sotto di esse.Alcune nozioni di teoria dei gruppi che useremo di seguito saranno richiamate piu avanti (lateoria elementare e brevemente richiamata nell’Appendice A). Indichiamo con IO(3) il gruppo(di Lie) delle isometrie di R3 che risulta essere il prodotto semidiretto (vedi Appendice A) diO(3) e del gruppo abeliano delle traslazioni R3. In pratica, ogni elemento del gruppo Γ ∈ IO(3)e una coppia Γ = (R, t) che agisce sui punti di R3 come segue: Γ(x) := t + Rx. La legge dicomposizione gruppale di IO(3) si ottiene di conseguenza come:

(t′, R′) (t, R) = (t′ +R′t, R′R) e quindi (t, R)−1 = (−R−1t, R−1) .

Sia Γ : R3 → R3 un elemento di IO(3), quindi in particolare Γ potrebbe essere una traslazionelungo un asse t, Γ : R3 3 x 7→ x + t oppure una rotazione di O(3) attorno all’origine R3 3x 7→ Rx (includendo le rotazioni improprie descritte dagli elementi di O(3) con determinantenegativo) oppure una combinazione di questi due tipi di trasformazioni. Possiamo allora definirela trasformazione delle funzioni a quadrato integrabile:

(UΓψ) (x) := ψΓ−1x

per ogni ψ ∈ L2(R3, dx). (11.18)

L’operatore U e evidentemente lineare, suriettivo (dato che ogni isometria Γ di R3 e biettiva) ede un operatore isometrico, dato che la matrice jacobiana J di ogni isometria ha determinanteche vale ±1:

||UΓψ||2 =∫

R3

∣∣∣ψ Γ−1x∣∣∣2 dx =

∫R3

∣∣ψ (x′)∣∣2 |detJ |dx′ = ∫R3

∣∣ψ (x′)∣∣2 dx′ = ||ψ||2 .415

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La trasformazione γΓ indotta dall’operatore unitario UΓ sugli stati (puri e non) e una simmetria(di Wigner o Kadison rispettivamente), che ha come significato naturale l’azione dell’isometriaΓ sul sistema S dato dalla particella in esame.Si osservi che l’applicazione IO(3) 3 Γ 7→ UΓ soddisfa, in virtu di (11.18) e dove id e l’identita diIO(3):

Uid = I , UΓUΓ′ = UΓΓ′ per ogni Γ,Γ′ ∈ IO(3).

Abbiamo quindi che IO(3) 3 Γ 7→ UΓ conserva la struttura di gruppo (in particolare UΓ−1 =(UΓ)−1) ed e pertanto una rappresentazione del gruppo IO(3) in termini di operatori unitari.Discuteremo tali rappresentazioni nella prossima sezione.Consideriamo ora una PVM su R3, che indicheremo con P (X), e che e detta misura spettralecongiunta dei tre operatori posizione ed e definita da:

(P (X)E ψ)(x) = χE(x)ψ(x) per ogni ψ ∈ L2(R3, dx).

Si dimostra facilmente che i tre operatori posizione si ottengono integrando le corrispondentifunzioni rispetto a tale PVM:

Xi =∫

R3xidP

(X)(x) per i = 1, 2, 3.

Direttamente dalla definizione (11.18) si verifica che vale la condizione di imprimitivita :

= UΓP(X)E U−1

Γ = P(X)Γ(E) . (11.19)

Infatti, per una generica funzione ψ ∈ L2(R3, dx):(UΓP

(X)E U−1

Γ ψ)

(x) = χEΓ−1(x)

ψ(ΓΓ−1(x)

)

= χΓ(E)(x)ψ(x) =(P

(X)Γ(E)ψ

)(x) .

Per l’arbitrarieta di ψ segue la (11.19). Si osservi che la condizione di imprimitivita si puo equivalentementescrivere in termini dell’azione duale della simmetria di Kadison:

γ∗Γ

(P

(X)E

)= P

(X)Γ−1(E) .

In generale, se abbiamo (i) una misura spettrale P sull’algebra di Borel dello spazio topologicoa base numerabile e localmente compatto X, (ii) un gruppo topologico G di trasformazioni di Xed (iii) una rappresentazione unitaria G 3 g 7→ Vg che sia continua nella topologia operatorialeforte, se vale la condizione:

VgPEV−1g = Pg(E) ,

si dice che si ha un sistema di imprimitivita su X. Abbiamo verificato (a parte le questionitopologiche che in ogni caso valgono dotando IO(3) della sua naturale struttura di gruppo di Liematriciale sottogruppo di GL(4)), che P (X), IO(3), U , formano un sistema di imprimitivita suR3.L’azione di γ∗Γ sugli operatori posizione si puo ottenere per computo diretto, analogamente a

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come abbiamo ricavato la condizione di imprimitivita , oppure tenendo conto di quest’ultimaed integrando la misura spettrale. Se X = (X1, X2, X3) indica il vettore colonna di operatoriX1, X2, X3 ristretti al dominio comune invariante dato dalla spazio di Schwartz S(R3) su cuisono essenzialmente autoaggiunti:

γ∗Γ (X) = U−1Γ XUΓ = RX + tI , (11.20)

in particolare, per traslazioni pure:

γ∗(t,I) (X) = U−1(t,I)XU(t,I) = X + tI , (11.21)

e per rotazioni pure:γ∗(0,R) (X) = U−1

(0,R)XU(0,R) = RX . (11.22)

L’elemento (0,−I) ∈ IO(3) definisce la riflessione rispetto all’origine. La rappresentazione uni-taria P := U(0,−I), ed anche la simmetria di Wigner o Kadison γP ad essa associata, si diceinversione di parita . Un po’ impropriamente, la stessa (0,−I) e spesso detta inversione diparita . Si verifica facilmente che P∗ = P (e quindi PP = I, dato che vale anche P−1 = P∗).Pertanto l’inversione di parita ammette un’osservabile ad essa associata che si chiama paritaed ha i due possibili autovalori ±1. Bisogna pero precisare che, in realta , l’operatore unitarioche rappresenta (0,−I) e al solito definita a meno di una fase e quindi l’osservabile P, associataalla simmetria di inversione di parita , corrisponde ad una precisa scelta di tale fase. Sono inrealta possibili due scelta, dato che −P e ancora un’osservabile e rappresenta l’inversione di pa-rita .

(2) Consideriamo ora il sistema trattato nell’esempio precedente, ma studiamo il sistema nel-la rappresentazione impulso. In altre parole, sfruttando la trasformata di Fourier-Plancherel,identifichiamo H con L2(R3, dk), in modo tale che le tre osservabili impulso (le tra componentidell’impulso riferite al sistema di coordinate cartesiane ortonormali solidali con un riferimentoinerziale) siano rappresentati dagli operatori moltiplicativi

Piψ

(k) = ~kiψ(k) ,

come discusso nel cap. 10. Abbiamo indicato con ψ = F(ψ) la trasformata di Fourier-Planchereldi ψ ∈ L2(R3, dx). Una simmetria di grande interesse fisico e l’inversione del tempo, γT ,che e descritta da operatori antiunitari (vedremo piu avanti perche ). Dal punto di vista fisicocorrisponde all’operazione che cambia segno al tempo, ma anche alle velocita delle particellequindi al loro impulso. Una scelta (l’unica a meno di fasi) per l’operatore anti unitario T chedescrive l’inversione del tempo e :

T ψ

(k) := ψ(−k) per ogni ψ ∈ L2(R3, dk). (11.23)

Si osservi che, a differenza di P nell’esempio precedente, con ogni scelta per la fase arbitrariadell’operatore T , vale sempre T T = I a causa dell’antiunitarieta di T . Tuttavia T non

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e un’osservabile perche l’operatore non e lineare. Si puo facilmente dimostrare che, tornando inrappresentazione posizione e con la scelta fatta per la fase, la simmetria γT e associata ad unoperatore antiunitario (dove F e la trasformata di Fourier-Plancherel usata come nel cap. 10):

T := F−1T F−1

tale che:(T ψ) (x) := ψ(x) per ogni ψ ∈ L2(R3, dx). (11.24)

(3) Consideriamo una particella con carica elettrica rappresentata dall’osservabile Q con spettrodiscreto di autovalori ±1. Fissando un riferimento inerziale I, dotato di un sistema di coordinatesolidali cartesiane ortonormali che identificano lo spazio di quiete del riferimento con R3, lo spaziodi Hilbert del sistema e dato, in questo caso, da

H = C2 ⊗ L2(R3, dx) ≡ L2(R3, dx)⊕ (R3, dx) ,

dove ⊕ si deve intendere come una somma diretta ortogonale. L’isomorfismo canonico tra i duespazi scritti sopra, segue dal fatto che ogni vettore Ψ ∈ C2 ⊗ L2(R3, dx) e scrivibile come

Ψ = |+〉 ⊗ ψ+ + |−〉 ⊗ ψ− ,

dove |+〉, |−〉 e la base canonica di C2, costituita da due autovettori della matrice di Pauliσ3 (vedi (11.10)) rispettivamente con autovalore +1 e autovalore −1. L’isomorfismo canonicoe dato dunque da:

L2(R3, dx)⊕ (R3, dx) 3 (ψ+, ψ−) 7→ |+〉 ⊗ ψ+ + |−〉 ⊗ ψ− ∈ C2 ⊗ L2(R3, dx) .

Si verifica subito che l’isomorfismo conserva la struttura di spazio di Hilbert (cioe il prodottoscalare), quando si pensa L2(R3, dx)⊕(R3, dx) come una somma diretta ortogonale. L’osservabiledi carica puo pensarsi come la matrice di Pauli σ3 in C2 e quindi, sullo spazio completo:

Q = σ3 ⊗ I

dove I e l’operatore identita su L2(R3, dx). La regola di superselezione della carica, in questocaso elementare, richiede che lo spazio si decomponga in due settori coerenti H = H+ ⊕ H−,dove H± sono, rispettivamente, i due autospazi di Q con autovalore ±. Per costruzione, ladecomposizione in settori coerenti coincide proprio con la decomposizione naturale:

H = L2(R3, dx)⊕ (R3, dx) .

In riferimento a tale decomposizione, gli stati puri fisicamente ammissibili sono allora solamentequelli individuati dai vettori (ψ, 0) oppure dai vettori (0, ψ) con ψ ∈ L2(R3, dx). Abbiamo

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allora che la simmetria γC+ detta coniugazione di carica dal settore H+ al settore H−erappresentata dall’operatore unitario C : H+ → H−:

C+ : (ψ, 0) 7→ (0, ψ) per ogni ψ ∈ L2(R3, dx). (11.25)

La simmetria γC− detta coniugazione di carica dal settore H− al settore H+ si definisceanalogamente

C− : (0, φ) 7→ (φ, 0) per ogni φ ∈ L2(R3, dx). (11.26)

Si noti che C− risulta essere l’inverso di C+. Possiamo infine definire la simmetria di Wigner diconiugazione di carica, che opera su tutto lo spazio di Hilbert (tenendo conto della presenzadei settori), e che si riduce alle due simmetrie tra settori definite sopra su ogni spazio coerente.

C := C+ ⊕ C− .

Si osservi che, per costruzione, CC = I e pertanto C = C∗, per cui I e autoaggiunto. Inoltre siha che:

C∗QC = −Q . (11.27)

Esercizi 11.1.(1) In riferimento all’esempio (1), e con IO(3) 3 Γ = (t, R), dimostrare che

γ∗Γ (P) = U−1Γ PUΓ = RP , (11.28)

dove P indica la terna dei tre operatori corrispondenti alle tre componenti dell’impulso e l’i-dentita di sopra vale restringendosi allo spazio di Schwartz S(R) come dominio per gli operatoriimpulso.

(2) In riferimento agli esempi (1) e (2), e con le convenzioni dell’esercizio (1) per le notazioni eriguardanti i domini degli operatori, dimostrare che:

γ∗P (X) = P−1XP = −X , γ∗P (P) = P−1PP = −P (11.29)

mentre:γ∗T (X) = T −1XT = X , γ∗T (P) = T −1PT = −P (11.30)

dove P indica la terna dei tre operatori corrispondenti alle tre componenti dell’impulso e l’i-dentita di sopra vale restringendosi allo spazio di Schwartz S(R) come dominio per gli operatoriimpulso.

(3) Considerare i tre operatori autoaggiunti L1, L2, L3 che rappresentano le tre componentidell’operatore momento angolare orbitale (vedi cap 9). Se L indica il vettore colonna contenentei tre operatori menzionati, vale:

LS(R3)= XS(R3) ∧PS(R3) .

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Dimostrare i seguenti fatti, dove i domini sono ristretti a S(R3): In riferimento all’esempio (1),e con SO(3) 3 Γ = (0, R), dimostrare che vale quanto segue.

γ∗Γ (L) = U−1Γ LUΓ = RL , (11.31)

γ∗P (L) = P−1LP = L , (11.32)

γ∗T (L) = T −1LT = −L . (11.33)

SO(3) e il sottogruppo di O(3) contenente le matrici con determinante positivo (quindi pari a+1) ed il prodotto vettoriale e definito sopra con la regola del determinante formale in riferi-mento ad una base destrorsa.

(4) Si consideri lo spazio di Hilbert HS del sistema S e si assuma che sia decomposto in settoricoerenti, in modo che lo spazio degli stati puri fisicamente ammissibili sia decomposto come:

Sp(HS)ammiss =⋃k∈K

Sp(HSk) .

Si definisca su Sp(HS) la distanza d(ρ, ρ′) := ||ρ − ρ′||1 := tr(|ρ − ρ′|), dove || ||1 e la normanaturale nello spazio degli operatori di classe traccia. Si provi che gli insiemi Sp(HSk) sono lecomponenti connesse di Sp(HS)ammiss. Puo essere utile sapere che, come proveremo in seguito,se ρ = ψ(ψ| ) e ρ′ = ψ′(ψ′| ) sono in Sp(HSk), allora ||ρ− ρ′||1 = 2

È1− |(ψ|ψ′)|2.

Traccia di soluzione. Per la prima domanda si considerino due stati puri ρ, ρ′ ∈ Sp(HSk)con ρ = ψ(ψ| ) e ρ′ = ψ′(ψ′| ) e ψ non parallelo a ψ′ (altrimenti individuano lo stesso stato),si definisca ψt = tψ + (1 − t)ψ′ ed infine la curva [0, 1] 3 t 7→ ψt

||ψt||2 (ψt| ). Si provi che talecurva e continua ed e tutta contenuta in Sp(HSk). Per la seconda domanda e sufficiente calcolare||ρ − ρ′||1 quando ρ ∈ Sp(HSk) e ρ′ ∈ Sp(HSk′) con k 6= k′. Notare che in tal caso i vettoriche individuano ρ e ρ′ sono sempre perpendicolari e pertanto ρ − ρ′ e gia la decomposizione inparte positiva e parte negativa di ρ − ρ′ e quindi |ρ − ρ′| = ρ + ρ′, per cui ||ρ − ρ′||1 = 2.Consideriamo allora un aperto Ak ⊃ Sp(HSk), unione di palle aperte di raggio 1/2 centrate suglielementi di Sp(HSk), ed un aperto Ak′ ⊃ Sp(HSk′), unione di palle aperte di raggio 1/2 centratesugli elementi di Sp(HSk′). I due aperti non possono intersecarsi a causa della disuguaglianzatriangolare e quindi Sp(HSk) e Sp(HSk′) sono sconnessi.

(5) Si dimostri che la distanza d(ρ, ρ′) tra stati puri introdotta nell’esercizio 4 soddisfa:

d(ψ(ψ| ), ψ′(ψ| )

)=∣∣∣∣ψ(ψ| )− ψ′(ψ′| )

∣∣∣∣B(H)

per ogni coppia di vettori ψ,ψ′ ∈ H con ||ψ|| = ||ψ′|| = 1 e dove la norma || ||B(H) indica lanorma operatoriale standard.

(6) Sia U : H → H un operatore anti unitario sullo spazio di Hilbert H e sia A : D(A) → H unoperatore autoaggiunto su H. Si dimostri che valgono i seguenti fatti:

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(a) U−1AU : U−1(D(A))→ H e autoaggiunto,(b) σ(U−1AU) = σ(A),(c) B(R) 3 E 7→ U−1P

(A)E U e la misura spettrale associata a U−1AU dal teorema spettrale,

cioeU−1

∫RλdP (A)(λ)U =

∫Rλd(U−1P (A)U)(λ) ,

(d) U−1eitAU = eitU−1AU .

Suggerimenti. (a) e (b) seguono dalla definizione di operatore autoaggiunto. (c) si ottieneprovando che per funzioni f : R→ C limitate, direttamente dalla definizione di integrale di fun-zioni limitate rispetto a una PVM (cap 8), vale U−1

∫R f(x)dP (A)(x)U =

∫R f(x)d(U−1P (A)U)(x);

quindi osservando che per ogni operatore autoaggiunto vale T = s-limn→+∞∫R χ[−n,n](x)dP (T )(x).

(d) si ottiene da (d) oppure, direttamente, sviluppando in serie l’esponenziale sull’insieme densodi vettori analitici di U−1AU della forma ψ ∈ U−1P

(A)[−n,n](H) con n ∈ N.

11.2 Introduzione ai gruppi di simmetria.

In questa sezione introdurremo alcuni argomenti elementari della teoria delle rappresentazioniproiettive applicata ai gruppi di simmetria quantistica. Vista la vastita e l’importanza dell’ar-gomento, rimandiamo all’esaustivo trattato [BaRa86] per approfondimenti.

11.2.1 Rappresentazioni proiettive, unitarie proiettive, estensioni centrali.

Consideriamo la situazione in cui esista un gruppo G (con prodotto gruppale indicato con · edelemento neutro e) che possa essere interpretato come gruppo di trasformazioni che possanoagire su un sistema fisico S, descritto nello spazio di Hilbert HS . Per semplicita supponiamoche HS non ammetta settori coerenti (quindi HS stesso e l’unico settore). Supponiamo infineche, a ciascuna di queste trasformazioni g ∈ G, sia associata una simmetria γg, che quindipossiamo pensare come automorfismo di Kadison (o di Wigner). Abbiamo incontrato questasituazione in (1) in esempi 11.1. In tal caso G era il gruppo delle isometrie dello spazio diquiete tridimensionale di un riferimento inerziale e S era la particella senza carica e senza spin.Gli automorfismi di Kadison da S(HS) in S(HS) formano naturalmente un gruppo rispettoalla composizione di applicazioni. Arriviamo naturalmente in questo modo all’idea che esistauna rappresentazione di G in termini di automorfismi di Kadison che rappresentino l’azionedel gruppo di trasformazioni G sugli stati quantistici del sistema S. In altre parole, possiamosupporre che l’applicazione G 3 g 7→ γg sia un omomorfismo gruppale, cioe conservi la strutturadi gruppo:

γg·g′ = γg γg′ , γe = id , γg−1 = γ−1g per ogni g, g′ ∈ G,

dove abbiamo indicato con id l’automorfismo identita . In realta non e necessario imporre la ter-za condizione, dato che essa segue dalle precedenti due in virtu dell’unicita dell’elemento inversoin un gruppo. Ci si aspetta anche che, come accade nella maggior parte dei casi concreti infisica, la rappresentazione G 3 g 7→ γg sia fedele, cioe che l’omomorfismo gruppale G 3 g 7→ γg

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sia iniettivo. La situazione descritta e molto frequente in fisica.

Definizione 11.4. Si consideri un sistema quantistico S descritto sullo spazio di Hilbert HS.Sia G un gruppo che ammette un omomorfismo gruppale iniettivo (cioe una rappresentazionefedele) G 3 g 7→ γg, in termini di automorfismi di Wigner γg ∈ Sp(HS) → Sp(HS). In talcaso diremo che G e un gruppo di simmetria di S e G 3 g 7→ γg e la sua rappresentazioneproiettiva su Sp(HS).

Osservazioni.(1) Nella definizione ci siamo riferiti solo a simmetrie di Wigner, questo non e riduttivo datoche, per il teorema di Kadison (nella formulazione che abbiamo dato noi), ogni automorfismo diWigner γg si estende, in modo unico, ad un automorfismo di Kadison γ′g : S(HS)→ S(HS). Siprova immediatamente che G 3 g 7→ γ′g e un omomorfismo gruppale iniettivo, cioe una rappre-sentazione fedele di G in termini di automorfismi di Kadison. Viceversa, ogni rappresentazionefedele di G in termini di automorfismi di Kadison individua univocamente una rappresentazionefedele di G in termini di automorfismi di Wigner, restringendo ogni automorfismo di Kadison aSp(HS).Nel seguito, anche se scriveremo prevalentemente simmetria di Wigner, penseremo indifferente-mente la rappresentazione G 3 g 7→ γg come costituita da automorfismi di Wigner o di Kadisona seconda di quello che e conveniente.(2) Il termine rappresentazione proiettiva, e appropriato perche Sp(Hs) e uno spazio proiettivocome menzionato nel capitolo 7 e l’applicazione γgSp(HS): Sp(HS)→ Sp(HS) e ben definita.(3) Dato che l’omomorfismo G 3 g 7→ γg e esplicitamente supposto essere iniettivo, possiamoequivalentemente considerare come gruppo di simmetria, o piu precisamente il gruppo di sim-metrie, l’insieme degli automorfismi γg, con g ∈ G, dotato della struttura naturale di grupporispetto alla legge di composizione dei funzioni. Tale gruppo e infatti isomorfo a G per costru-zione.

Una questione interessante e la seguente. Supponiamo ancora di avere un gruppo di simmetria,con rappresentazione proiettiva G 3 g 7→ γg. L’applicazione G 7→ γg e certamente una rappre-sentazione, ma non e una rappresentazione lineare, dato che le funzioni γg : Sp(HS)→ Sp(HS)non sono funzioni lineari. Notando pero che ad ogni automorfismo γg corrisponde un opera-tore unitario (lineare) o antiunitario Ug : HS → HS , che soddisfa γg(ρ) = UgρU

−1g per ogni

ρ ∈ Sp(HS), sorge spontanea la questione se possa accadere che l’applicazione G 3 g 7→ Ugsia una rappresentazione (anti)lineare di G cioe in termini di operatori (anti)lineari (unitari e/oantiunitari) di B(H). In altre parole ci chiediamo se sia possibile che l’applicazione G 3 g 7→ Ugsia un omomorfismo gruppale, cioe conservi la struttura di gruppo:

Ug·g′ = UgUg′ , Ue = I , Ug−1 = U−1g per ogni g, g′ ∈ G, (11.34)

dove I : HS → HS e l’operatore identita . La questione e importante anche dal punto di vista tec-nico, in quanto esistono moltissimi risultati della teoria delle rappresentazioni lineari dei gruppi

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su spazi vettoriali (di Hilbert), che possono essere usati nello studio dei gruppi di simmetria deisistemi quantistici. La risposta, in generale e negativa, dato che la condizione Ug·g′ = UgUg′ none in generale verificata. Infatti, dato che γg γg′ = γgg′ , deve essere:

UgUg′ρ(UgUg′)−1 = Ug·g′ρU−1g·g′ per ogni ρ ∈ S(HS).

Conseguentemente:

(Ug·g′)−1UgUg′ρ(UgUg′)−1Ug·g′ = ρ per ogni ρ ∈ Sp(HS).

Questi significa che, se ρ = ψ(ψ| ), allora (Ug·g′)−1UgUg′ψ e ψ devono differire al piu per una fase.Tale fase non puo dipendere da ψ (la dimostrazione e la stessa che abbiamo fatto nell’enunciatorelativo all’unicita nel teorema di Wigner), tuttavia tale fase puo dipendere da g e g′. Deve esserechiaro che e impossibile ottenere un risultato piu preciso, proprio perche gli stessi operatori Usono definiti a meno di una fase. In definitiva, se gli Ug sono gli operatori (unitari o antiunitari)associati ad una rappresentazione proiettiva di un certo gruppo di simmetria, la condizioneUg·g′ = UgUg′ , nel caso generale si indebolisce in:

UgUg′ = ω(g, g′)Ug·g′ per ogni g, g′ ∈ G,

dove ω(g, g′) ∈ C con |ω(g, g′)| = 1 sono numeri complessi che dipendono dalla scelta che abbia-mo fatto nell’associare gli operatori Ug agli automorfismo γg in rispetto della liberta permessadai teoremi di Wigner e Kadison. Quindi se U(1) indica il gruppo dei numeri complessi di mo-dulo unitario, deve accadere che ω(g, g′) ∈ U(1).Non e affatto ovvio che sia possibile riassegnare le fasi degli operatori Ug, in modo tale che risultiω(g, g′) = 1 per ogni g, g′ ∈ G.

Nota. D’ora in poi ci restringeremo a lavorare con operatori esplicitamente unitari tralasciandoil caso antiunitario. Daremo qualche motivazione alla fine di questa sezione.

Le funzioni G× G 3 (g, g′) 7→ ω(g, g′) ∈ U(1) non sono completamente arbitrarie, dato che devevalere la proprieta associativa:

(UgUg′)Ug′′ = Ug(Ug′Ug′′) .

Il calcolo prova immediatamente che la proprieta associativa e valida se e solo se e soddisfattal’identita :

ω(g, g′)ω(g · g′, g′′) = ω(g, g′ · g′′)ω(g′, g′′) (11.35)

Da questa identita seguono immediatamente le importanti proprieta (dove e e l’elemento neutrodi G):

ω(g, e) = ω(e, g) , ω(g, e) = ω(g1, e) , ω(g, g−1) = ω(g−1, g) , per ogni g, g1 ∈ G. (11.36)

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Possiamo dare la seguente definizione che prescinde dal significato fisico degli oggetti matematicicoinvolti.

Definizione 11.5. Se G e un gruppo e H uno spazio di Hilbert (complesso), una rappresenta-zione unitaria proiettiva di G su H e applicazione:

G 3 g 7→ Ug ∈ B(H) , (11.37)

in cui Ug sono operatori unitari e, definiti i moltiplicatori della rappresentazione:

ω(g, g′) := U−1g·g′UgUg′ per ogni g, g′ ∈ G, (11.38)

risulti ω(g, g′) ∈ U(1) (e di conseguenza vale la (11.35)) per ogni g, g′ ∈ G.La rappresentazione proiettiva su Sp(H) individuata da (con ovvie notazioni):

G 3 g 7→ Ug · U∗g

si dice essere indotta dalla rappresentazione unitaria proiettiva (11.37).La rappresentazione unitaria proiettiva (11.37) e detta rappresentazione (propriamente)unitaria di G su H se tutti i suoi moltiplicatori sono 1.La rappresentazione unitaria proiettiva (11.37) e detta irriducibilerappresentazione unitariaproiettiva irriducibile, se non esiste alcun sottospazio chiuso H0 ⊂ H diverso da H e da 0 taleche Ug(H0) ⊂ H0 per ogni g ∈ G.Due rappresentazioni unitarie proiettive G 3 g 7→ Ug ∈ B(H) e G 3 g 7→ U ′g ∈ B(H′), con H eH′ spazi di Hilbert (eventualmente coincidenti), si dicono equivalentirappresentazioni unitarieproiettive equivalenti se esiste un operatore unitario S : H → H′ ed una funzione χ : G 3 g 7→χ(g) ∈ U(1) tali che:

χ(g)SUgS−1 = U ′g per ogni g ∈ G. (11.39)

Nota. Il lettore deve avere ben chiara la differenza tra rappresentazioni proiettive e rappresen-tazioni unitarie proiettive e rappresentazioni unitarie. Le prime agiscono su Sp(HS) o S(HS)rappresentando gruppi di simmetria e non contengono scelte arbitrarie senza significato fisico.Quelle di secondo e terzo tipo agiscono su HS , inducono rappresentazioni proiettive, ma sonoaffette da scelte arbitrarie nella definizione delle fasi degli operatori unitari che le costituiscono.

Osservazioni.(1) La nozione data di rappresentazioni unitarie proiettive equivalenti e : transitiva, simmetri-ca e riflessiva. Pertanto individua una relazione di equivalenza tra le rappresentazioni unitarieproiettive di un fissato gruppo su un fissato spazio di Hilbert. Se G e un gruppo di simmetriaper il sistema fisico S, descritto sullo spazio di Hilbert HS , le rappresentazioni proiettive di Gsu Sp(HS) sono evidentemente in corrispondenza biunivoca con le classi di equivalenza di rap-presentazioni unitarie proiettive di G.(2) La proprieta che una data rappresentazione unitaria proiettiva G 3 g 7→ Ug sia equivalente

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ad una rappresentazione unitaria, e in realta una proprieta riguardante classe di equivalenza ditale rappresentazione unitaria proiettiva: corrisponde al fatto che la classe di equivalenza con-tenga una rappresentazione unitaria. Nel caso in cui ci riferiamo ad un gruppo di simmetrie diun sistema quantistico, e dunque una proprieta della rappresentazione proiettiva su S(HS) allaquale corrisponde tale classe di equivalenza.(3) La proprieta che una data rappresentazione unitaria proiettiva G 3 g 7→ Ug sia irriducibilee in realta una proprieta riguardante tutti gli elementi della classe di equivalenza di tale rappre-sentazione unitaria proiettiva: se un elemento e irriducibile, allora lo sono tutti gli altri, come siverifica immediatamente dalle definizioni date. L’importanza delle rappresentazioni irriducibilie dovuta al fatto che con tali rappresentazioni si costruiscono tutte le rimanenti rappresentazionicome somma diretta o come integrale diretto di rappresentazioni irriducibili [BaRa86].

La questione se un data rappresentazione proiettiva G 3 g 7→ γg di un gruppo di simmetriaG ammetta una descrizione, sullo spazio HS , in termini di una rappresentazione unitaria dig puo porsi come segue, in termini concreti. Nella classe di equivalenza di rappresentazioniproiettive unitarie associate a G 3 g 7→ γg, se ne fissa una arbitrariamente (quanto segue nondipende dal particolare elemento della classe di equivalenza per l’osservazione (2) di sopra) e siconsiderano i suoi moltiplicatori.La questione si riduce ora allo stabilire se esista o meno una funzione χ : G 3 g 7→ χ(g) ∈ C con|χ(g)| = 1 che verifichi la condizione:

ω(g, g′) =χ(g · g′)χ(g)χ(g′)

per ogni g, g′ ∈ G . (11.40)

Infatti se la suddetta funzione χ esiste, inserendo essa a primo membro in (11.39), i moltiplica-tori di G 3 g 7→ U ′g risultano essere banali per le identita (11.40). Se, viceversa i moltiplicatoridi G 3 g 7→ U ′g sono banali, la funzione χ, che appare a primo membro in (11.39), soddisfa la(11.40).Esistono vari approcci per affrontare e risolvere il problema dell’esistenza di χ suddetta [BaRa86],e si vede che ci sono gruppi, in particolare i gruppi di Lorentz e Poincare , le cui rappresenta-zioni proiettive sono descrivibili da rappresentazioni unitarie sullo spazio di Hilbert associato alsistema fisico. Altri, come il gruppo di Galileo, le cui rappresentazioni proiettive (non banali)non ammettono descrizioni in termini di rappresentazioni unitarie, ma solo unitarie proiettive enon si possono sopprimere i moltiplicatori.Esiste una vasta letteratura in proposito e le rappresentazioni unitarie proiettive irriducibili deigruppi di interesse fisico (specialmente gruppi di Lie) sono state studiate e catalogate.Come ultima osservazione vogliamo precisare che se, per un certo gruppo di simmetria G, esi-stono rappresentazioni unitarie proiettive differenti associate a classi di equivalenza disgiunte,allora si possono avere conseguenti regole di superselezione come spiegato nell’esempio 11.3 sotto.

Torniamo ora ad esaminare la questione dell’unitarieta o antiunitarieta degli operatori Ug. Sup-poniamo di avere un gruppo di simmetria, con rappresentazione proiettiva G 3 g 7→ γg. Adogni automorfismo γg corrisponde un operatore unitario oppure antiunitario, Ug : HS → HS ,

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che soddisfa γg(ρ) = UgρU−1g per ogni ρ ∈ Sp(HS), in base al teorema di Wigner. Ci sono

criteri per decidere se gli operatori Ug sono tutti unitari, tutti anti unitari oppure di tipo dif-ferente a seconda del particolare g ∈ G? Se Ug e Ug′ fossero entrambi antiunitari, il vincoloUgUg′ = χ(g, g′)Ug·g′ imporrebbe che Ug·g′ sia, al contrario, unitario. Di conseguenza rappre-sentazioni con piu di due elementi costituite da soli operatori antiunitari (a parte l’identita chee sempre unitaria) non possono esistere e la situazione in cui appaiono alcuni (piu di uno) opera-tori antiunitari e comunque non banale per l’esistenza di vincoli come quello trovato. Sussiste laseguente elementare proposizione a riguardo, che mostra che la natura stessa di G puo imporreche gli operatori siano tutti unitari.

Proposizione 11.5. Sia H uno spazio di Hilbert complesso e G un gruppo. Si supponga cheogni g ∈ G sia il prodotto di elementi g1, g2, . . . , gn ∈ G (dipendenti da g) che ammettono unaradice quadrata (cioe esiste rk ∈ G tale che gk = rk · rk per ogni k = 1, . . . , n). Allora per ognirappresentazione proiettiva G 3 g 7→ γg gli elementi γg possono essere associati solo ad operatoriunitari in base al teorema di Wigner (o Kadison).

Prova. La prova e ovvia, essendo UrkUrk lineare anche quando Urk e antilineare e valendoUgk = χ(rk, rk)UrkUrk , segue che Ugk deve essere lineare ed, infine, anche Ug deve essere li-neare. 2

Abbiamo il seguente importante caso per le applicazioni, specialmente per n = 1.

Proposizione 11.6. In riferimento alla proposizione 11.5, le rappresentazioni proiettive delgruppo additivo G = Rn possono solo essere associate ad operatori unitari.

Prova. Se t ∈ Rn allora t = t/2 + t/2. La tesi allora segue dalla proposizione 11.5. 2.

Come vedremo piu avanti, l’ipotesi della proposizione 11.5 e automaticamente soddisfatta nelmomento in cui si assume che G sia un gruppo di Lie connesso, e la presenza di operatori antiu-nitari si ha solo in presenza di gruppi discreti o discontinuita (cambiando componente connessadel gruppo di Lie). Pertanto nel seguito ci riferiremo al caso in cui tutti gli operatori Ug sianosempre unitari.

Esiste un approccio [BaRa86] che permette di studiare tutte le possibili rappresentazioni proiet-tive unitarie di un gruppo, vedendole come restrizioni di rappresentazioni unitarie di un gruppopiu grande detto estensione centrale del gruppo iniziale. Questa procedura, apparentementemacchinosa, risulta invece tecnicamente utile (anche per determinare l’esistenza di eventualirappresentazioni unitarie del gruppo iniziale G) perche permette di utilizzare tecniche propriedella teoria delle rappresentazioni unitarie (dell’estensione centrale), che e molto piu semplice diquella delle rappresentazioni proiettive. Spieghiamo brevemente l’idea fondamentale di questaprocedura. Bisogna precisare che essa e davvero utile nel caso in cui G sia un gruppo di Lie(semplicemente connesso) come vedremo piu avanti; tuttavia questa caratterizzazione non entra

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in gioco nell’idea fondamentale che stiamo per spiegare, in cui la sola struttura algebrica digruppo e sufficiente.Se G e un gruppo arbitrario, e G 3 g 7→ Ug e una rappresentazione proiettiva sullo spazio diHilbert H con moltiplicatori ω, definiamo il nuovo gruppo Gω che ha come elementi le coppie(χ, g) ∈ U(1)× G e definiamo il prodotto gruppale in Gω come:

(χ, g) (χ′, g) =(χχ′ω(g, g′) , g · g′

)per ogni (χ, g), (χ′, g′) ∈ U(1)× G.

Lasciamo al lettore la verifica che la definizione data sia ben posta, come sola conseguenza delfatto che la funzione ω soddisfi (11.35), e che individui effettivamente una struttura di gruppocon elemento neutro (χ(e, e)−1, e), essendo e l’elemento neutro di G (si tenga conto delle (11.36)).Possiamo dare la seguente definizione che prescinde da come abbiamo ottenuto la funzione ω,purche essa soddisfi (11.35).

Definizione 11.6. si consideri un gruppo G ed una funzione ω : G × G → U(1) che soddisfa(11.35). Il gruppo Gω costruito sull’insieme U(1)× G con prodotto gruppale

(χ, g) (χ′, g) =(χχ′ω(g, g′) , g · g′

)per ogni (χ, g), (χ′, g′) ∈ U(1)× G,

lo diremo estensione centrale del gruppo G tramite U(1) con funzione dei moltiplicatori ω.L’omomorfismo iniettivo U(1) 3 χ 7→ (χ, e) ∈ Gω e l’omomorfismo surgettivo Gω 3 (χ, g) 7→ g ∈G sono detti, rispettivamente, l’iniezione canonica e la proiezione canonica dell’estensionecentrale.

A giustificazione della terminologia (vedi Appendice A), notiamo che la proiezione canonicaGω 3 (χ, g) 7→ g ∈ G e un omomorfismo surgettivo, il cui nucleo e dato dal sottogruppo normaleN (immagine dell’iniezione canonica e isomorfo a U(1)) di elementi (χ, e) con χ ∈ U(1). N

e incluso nel centro del gruppo G, dato che i suoi elementi commutano con tutti gli elementi diGω (visto che ω(e, g) = ω(g, e)). In pratica, il gruppo G e stato esteso fino ad ottenere il gruppoGω, la cui parte che differisce da G (il nucleo dell’applicazione surgettiva Gω 3 (χ, g) 7→ g ∈ G)e nel centro dell’estensione. Si osservi anche che G si identifica naturalmente con il gruppoquoziente Gω/N.Ci sono ora tre importanti osservazioni che portano ad individuare una procedura per otteneretutte le rappresentazioni unitarie proiettive di G.

(1) Il primo punto importante e che, ora, l’applicazione:

Gω 3 (χ, g) 7→ V(χ,g) := χUg ,

e sempre una vera rappresentazione unitaria di Gω su H, infatti, gli operatori V(χ,g) : H → Hsono tutti unitari, risulta subito che V(1,e) = I ed infine:

V(χ,g)V(χ′,g′) = χUgχ′Ug′ = χχ′ω(g, g′)Ug·g′ = V(χ,g)(χ′,g′) .

(2) Il secondo punto importante e che la rappresentazione unitaria proiettiva di partenza, siottiene dalla rappresentazione unitaria Gω 3 (χ, g) 7→ V(χ,g) per restrizione: restringendo cioe il

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dominio di V all’insieme di elementi (1, g) con g ∈ G cioe , con un piccolo abuso di linguaggio,restringendo la rappresentazione unitaria V a G .

(3) Il terzo punto importante e che, data una qualsiasi rappresentazione unitaria

Gω 3 (χ, g) 7→ V(χ,g)

di un’estensione centrale che soddisfi la condizione (notare che Ue = χ(e, e)I nelle rappresenta-zioni unitarie proiettive):

V(χ,e) = χω(e, e)I per ogni χ ∈ U(1), (11.41)

la sua restrizione all’insieme di elementi (1, g) con g ∈ G produce sempre una rappresentazioneunitaria proiettiva.Concludiamo che vale la seguente proposizione.

Proposizione 11.7. Ogni rappresentazione unitaria proiettiva di un gruppo G si ottiene re-stringendo a G una opportuna rappresentazione unitaria di una opportuna estensione centraleGω la cui funzione dei moltiplicatori soddisfa (11.41).

In definitiva, considerando prima tutte le possibili estensioni centrali di G, ottenute tramite tuttele funzioni dei moltiplicatori G × G 3 (g, g′) 7→ ω(g, g′) ∈ U(1) (che soddisfino (11.35)), e poistudiando tutte le possibili rappresentazioni unitarie di tali estensioni che soddisfino (11.41), siottengono anche, per restrizione a G, tutte le rappresentazioni unitarie proiettive di G.Questa procedura in certi casi, in particolare considerando gruppi G che abbiano struttura digruppi di Lie, e estremamente potente e, applicando metodi di coomologia gruppale consente dicatalogare le rappresentazioni unitarie proiettive continue in un certa topologia (e le eventualirappresentazioni unitarie) di un gruppo di Lie semplicemente connesso, partendo dalla sola co-noscenza dell’algebra di Lie di G [BaRa86]. Torneremo su cio piu avanti.

Nella procedura proposta sopra per ottenere tutte le rappresentazioni unitarie proiettive di Gωrestringendo le rappresentazioni unitarie delle estensioni centrali Gω, non e necessario conosceretutte le estensioni centrali di G. In effetti, e sufficiente conoscere le estensioni centrali i cuimoltiplicatori non sono equivalenti nel senso che segue. Date due funzioni dei moltiplicatorisullo stesso gruppo, G × G 3 (g, g′) 7→ ω(g, g′) ∈ U(1) e G × G 3 (g, g′) 7→ ω′(g, g′) ∈ U(1),diremo che esse sono equivalenti, se esiste una funzione χ : G→ U(1) tale che:

ω(g, g′) =χ(g · g′)χ(g)χ(g′)

ω′(g, g′) per ogni g, g′ ∈ G.

Se due rappresentazioni unitarie proiettive U e U ′ di G sono equivalenti, allora si possono co-struire restringendo a G due rappresentazioni unitarie di estensioni centrali Gω e Gω′ che hannofunzioni dei moltiplicatori ω e ω′ equivalenti. Quindi, se conosciamo tutte le estensioni centralidi G i cui moltiplicatori non sono equivalenti e le rappresentazioni unitarie di esse, conosciamo

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tutte le classi di equivalenza di rappresentazioni unitarie proiettive di G e di conseguenza tuttele rappresentazioni unitarie proiettive di G.Si noti ancora che, se ω(e, e) 6= 1 per una certa scelta della funzione ω, attraverso una trasforma-zione di equivalenza con una funzione χ costante, possiamo sempre ridurci ad avere soddisfattala condizione χ(e, e) = 1. In questo caso, l’estensione centrale ha come elemento neutro (1, e) ela condizione (11.41) si riduce a:

V(χ,e) = χI per ogni χ ∈ U(1) . (11.42)

Di conseguenza, senza perdere generalita , possiamo sempre lavorare con rappresentazioni uni-tarie proiettive (che si ottengono restringendo a G le rappresentazioni unitarie dell’estensio-ne centrale) che soddisfano Ue(:= V(1,e)) = I. Moltiplicatori tali che ω(e, e) = 1 (e quindiω(e, g) = ω(g, e) = ω(e, e) = 1) vengono detti normalizzati.

Per concludere, facciamo qualche considerazione fisica sul significato di G, nel caso in cui nonesistano rappresentazioni unitarie di G, ma solo rappresentazioni unitarie proiettive. Supponia-mo quindi di avere un gruppo di simmetria G 3 g 7→ γg per il sistema fisico S, e quindi unasua rappresentazione proiettiva su S(HS), che non sia descrivibile tramite una rappresentazioneunitaria. Possiamo comunque fare una scelta delle fasi arbitrarie ed estendere il gruppo da Ga Gω usando i moltiplicatori trovati e pensare Gω come il vero gruppo di simmetria di S. Talegruppo esteso ammette dunque due rappresentazioni: una data dal gruppo G stesso:

Gω 3 (χ, g) 7→ g ∈ G ,

che rappresenta l’azione classica del gruppo. L’altra quantistica ed unitaria:

Gω 3 (χ, g) 7→ χUg ,

che rappresenta l’azione del gruppo sugli stati del sistema (in realta sui vettori dello spazio diHilbert del sistema e, di conseguenza, sugli stati).In quest’ottica, il gruppo Gω e a volte detto il gruppo quantistico associato a quello classico G.Si osservi che tuttavia la scelta di una precisa estensione centrale Gω non puo essere fatta conla costruzione che abbiamo presentato fino ad ora, in cui solo le rappresentazioni proiettive intermini di automorfismi di Wigner o di Kadison hanno un significato fisico. Per poter sceglieretra le varie estensioni centrali e necessario dare un significato fisico alle singole rappresentazio-ni unitarie proiettive di G oppure alle singole rappresentazioni unitarie delle possibili estensionicentrali G. Questo puo essere fatto arricchendo la struttura di G fino a farlo diventare un gruppodi Lie, come vedremo piu avanti. Nel caso delle rappresentazioni unitarie proiettive del gruppodi Galileo, i moltiplicatori hanno un diretto significato fisico perche sono legati alla massa delsistema fisico come chiariremo meglio piu avanti, dopo avere introdotto i gruppi di Lie comegruppi di simmetria.

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11.2.2 Gruppi di simmetria topologici.

Ci occupiamo ora di introdurre la nozione di gruppo di simmetria topologico, dando alcuni sem-plici risultati generali per lo piu dovuti a Wigner. Studieremo in particolare il caso del gruppotopologico additivo R che riveste un particolare significato fisico oltre ad essere tecnicamenteimportante.La maggior parte dei gruppi di simmetria quantistici, escluse in particolare le simmetrie discre-te (inversione di parita ed inversione del tempo) sono date da gruppi di Lie, di cui diremo nelprossimo paragrafo. I gruppi di Lie sono un sottocaso dei gruppi topologici.Un gruppo topologico, per definizione, e un gruppo G che e anche spazio topologico e le cuioperazioni di composizione, G×G 3 (f, g) 7→ f ·g ∈ G, e di calcolo dell’inverso G 3 g 7→ g−1, sonofunzioni continue rispetto alla topologia prodotto di G ed alla topologia di G, rispettivamente.La teoria dei gruppi topologici e delle loro rappresentazioni e un capitolo molto vasto della ma-tematica [NaSt84], noi ci limiteremo a presentare alcuni risultati elementarissimi e strettamentelegati ai nostri modelli fisici.

Esempi 11.3.(1) Il gruppo GL(n,R), ovvero GL(n,C), delle matrici n×n non singolari reali, rispettivamente,complesse, e (evidentemente) un gruppo topologico, quando lo si pensa dotato della topologiaindotta da Rn2

, rispettivamente Cn2.

(2) Sono quindi gruppi topologici tutti i sottogruppi di GL(n,R) e GL(n,C) che si incontranoin fisica, come il gruppo unitario U(n) = U ∈ GL(n,C) | UU∗ = I, il gruppo unitario specialeSU(n) := U ∈ SU(n) | detU = 17, il gruppo ortogonale O(n) := R ∈ GL(n,R) | RRt = Ied il suo sottogruppo speciale SO(n) := R ∈ O(n) | detR = 1, il sottogruppo lineare specialeSL(n,R) := SGL(n,R) := A ∈ GL(n) | detA = 1, i gruppi simplettici Sp(n,R) ecc...(3) Vi sono gruppi topologici che, apparentemente, non sono gruppi matriciali, come il gruppoadditivo R. In realta anche tale gruppo topologico, come il gruppo additivo Rn (delle trasla-zioni di Rn) o il gruppo IO(n) delle isometrie proprie di Rn, si possono realizzare come gruppimatriciali. Nel caso di Rn, la sua realizzazione matriciale e data dal gruppo – sottogruppo diGL(n+ 1,R) e dotato della topologia indotta da R(n+1)2 – delle matrici reali (n+ 1)× (n+ 1)della forma:

M(t) :=

1 0t

t I

per ogni t ∈ Rn. (11.43)

Sopra I indica la matrice identita n× n. La funzione R 3 t 7→M(t) e un isomorfismo gruppale,ma anche un omeomorfismo, dotando il gruppo di matrici suddette della topologia indotta daR(n+1)2 .(4) Il gruppo di Galileo e quello di Poincare , oltre che quello di Lorentz, sono gruppi topologici,che si possono costruire come gruppi matriciali. Esistono comunque gruppi topologici (che sono

7Ricordiamo che speciale, nella teoria dei gruppi matriciali, significa con determinante 1 e si indica con lalettera S davanti al (o all’interno del) nome del gruppo di cui il gruppo speciale e sottogruppo.

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comunque gruppi di Lie), che non ammettono nessuna realizzazione matriciale, come il rivesti-mento universale del gruppo conforme (matriciale) SL(2,R).

Vogliamo ora specializzare la nozione di gruppo di simmetria al caso in cui il gruppo sia topo-logico, imponendo requisiti topologici anche sulla rappresentazione proiettiva associata.Supponiamo dunque di avere una gruppo di simmetria quantistico G 3 g 7→ γg per il sistemafisico S descritto sullo spazio di Hilbert HS . Se G e un gruppo topologico, ci aspettiamo chel’omomorfismo gruppale g 7→ γg sia continuo in qualche senso. Dobbiamo in particolare sceglie-re una topologia per lo spazio delle funzioni γg, che possiamo pensare, indifferentemente comeautomorfismi di Kadison oppure di Wigner. Nel seguito adotteremo il punto di vista di Wigner.Diamo la nostra definizione che poi giustificheremo sia matematicamente che fisicamente.

Definizione 11.7. Si consideri un sistema fisico quantistico S descritto sullo spazio di HilbertHS. Sia G un gruppo topologico che ammette una rappresentazione proiettiva su H, G 3 g 7→ γgche soddisfa:

limg→g0

tr (ρ1γg(ρ2)) = tr (ρ1γg0(ρ2)) per ogni g0 ∈ G e ogni ρ1, ρ2 ∈ Sp(HS).

In tal caso G e detto gruppo topologico di simmetria per S e G 3 g 7→ γg, e detta rappresenta-zione proiettiva continua su Sp(HS).

Dal punto di vista fisico, la definizione e ragionevole e afferma che le probabilita di transizionetra due stati puri, di cui uno trasformato dall’azione del gruppo di simmetria, sono funzionicontinue sotto l’azione del gruppo. Nell’ottica dell’analisi di Wigner della nozione di simmetriaquantistica, questa definizione di continuita e accettabile.Tuttavia la definizione data ha anche una sua naturalezza in termini matematici come andia-mo a dimostrare. Nel seguito B1(HS)R e spazio vettoriale reale degli operatori autoaggiunti diclasse traccia dotato della norma || ||1 degli operatori di classe traccia. Come sappiamo, dal-la proposizione 11.4, ogni automorfismo di Wigner γg e individuato restringendo, sullo spazioSp(HS), un unico operatore lineare (γ2)g : B1(HS)R → B1(HS)R continuo nella norma naturaledi tale spazio || ||1. Consideriamo allora l’applicazione Γ : G 3 g 7→ (γ2)g. Usando la topologiaoperatoriale forte in B1(HS)R e quella di G nel dominio, possiamo dire che Γ e continua quando,per ogni ρ ∈ B1(HS) e g0 ∈ G vale:

limg→g0

||(γ2)g(ρ)− (γ2)g0(ρ)||1 = 0 .

Restringendoci a lavorare su Sp(HS) e tornando a alla nostra rappresentazione iniziale G 3g 7→ γg in termini di automorfismi di Wigner, diremo che G 3 g 7→ γg e continua, se per ogniρ ∈ Sp(HS) e g0 ∈ G vale:

limg→g0

||γg(ρ)− γg0(ρ)||1 = 0 .

Apparentemente, questa nozione di continuita e differente da quella usata nella definizione 11.7.In realta e esattamente la stessa, come ora proveremo. Vale a tal fine il seguente semplice risul-tato. Nella prossima proposizione l’ultima affermazione e interessante perche Sp(H) non e uno

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spazio normato, non essendo uno spazio vettoriale. Tuttavia risulta essere uno spazio metrico ela funzione distanza ha un significato fisico, essendo legata all’ampiezza di probabilita .

Proposizione 11.8. Sia H spazio di Hilbert complesso. Se ||ρ||1 = tr(|ρ|) indica norma dellospazio S(HS) degli operatori di classe traccia, allora, riducendosi a lavorare con stati puri, vale:

||ρ− ρ′||1 = 2È

1− (tr(ρρ′))2 se ρ, ρ′ ∈ Sp(H). (11.44)

Equivalentemente:

||ψ(ψ| )− ψ′(ψ′| )||1 = 2È

1− |(ψ|ψ′)|2 se ψ,ψ′ ∈ H e ||ψ|| = ||ψ′|| = 1. (11.45)

Pertanto Sp(H) e uno spazio metrico se dotato della funzione distanza:

d(ρ, ρ′) := 2È

1− (tr(ρρ′))2 per ogni ρ, ρ′ ∈ Sp(H).

Prova. Possiamo dimostrare la seconda affermazione dato che la prima e , banalmente, unatrascrizione della seconda e la terza e ovvia, se valgono le prime due, dalle proprieta generalidelle norme. Per dimostrare la seconda e sufficiente costruire una base ortonormale ψ1, ψ2 dellospazio generato da ψ e ψ′, assumendo ψ1 = ψ e decomponendo ψ′ sulla stessa base. Si vedeallora che, se b := (ψ′|ψ2), vale:

ψ(ψ| )− ψ′(ψ′| ) = −|b|ψ1(ψ1| ) + |b|ψ2(ψ2| ) .

Dato che quella ottenuta e la decomposizione spettrale di ρ− ρ′, deve essere:

|ρ′ − ρ| = |b|ψ1(ψ1| ) + |b|ψ2(ψ2| ) = |b|I ,

e quindi, dato che 1 = ||ψ′||2 = |(ψ′|ψ1)|2 + |(ψ′|ψ2)|2, vale:

||ψ(ψ| )− ψ′(ψ′| )||1 = tr(|b|I) = 2|b| = 2È

1− |(ψ′|ψ1)|2 = 2È

1− |(ψ′|ψ)|2 .

Questo completa la dimostrazione. 2

Possiamo allora concludere che vale il seguente risultato che riappacifica fisica e matematica.

Proposizione 11.9. Si consideri un sistema fisico quantistico S descritto sullo spazio di HilbertHS. Sia G un gruppo topologico. Una rappresentazione proiettiva su H, G 3 g 7→ γg e continuanel senso della definizione 11.7, e quindi G e un gruppo di simmetria topologico per S, se e solose e continua adottando:

(i) la topologia di G nel dominio,

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(ii) la topologia operatoriale forte, ristretta a Sp(HS), nel codominio,cioe :

limg→g0

||γg(ρ)− γg0(ρ)||1 = 0 per ogni ρ ∈ Sp(HS) e g0 ∈ G. (11.46)

Prova. La (11.44) implica che:

||γg(ρ)− γg0(ρ)||1 = 2È

1− tr (γg(ρ)γg0(ρ)) .

Se G 3 g 7→ γg e continua nel senso della definizione 11.7 allora limg→g0 tr (γg(ρ)γg0(ρ)) =tr (γg0(ρ)γg0(ρ)) = 1. Sostituendo nell’identita di sopra si ha che vale (11.46):

limg→g0

||γg(ρ)− γg0(ρ)||1 = 0 .

Viceversa, dalla (11.44) si ha anche che usando la proprieta ciclica della traccia:

tr (γg0(ρ)γg(ρ)) = 1− 14||γg(ρ)− γg0(ρ)||21 ,

ponendo poi ρ1 := γg0(ρ) (senza perdere generalita dato che γg0 e suriettiva), e ρ2 := ρ, abbiamo:

limg→g0

tr (ρ1γg(ρ2)) = 1− 14

limg→g0

||γg0(ρ)− γg(ρ)||21 = 1− 14||γg0(ρ)− γg0(ρ)||21 = tr (ρ1γg0(ρ2)) .

Quindi (11.46) implica la continuita della rappresentazione nel senso della definizione 11.7. 2

11.2.3 Rappresentazioni unitarie proiettive fortemente continue.

Consideriamo un sistema fisico S, descritto sullo spazio di Hilbert HS , ed un suo gruppo disimmetria topologico, G, con rappresentazione proiettiva continua G 3 g 7→ γg. Associamoal gruppo di simmetria topologico una rappresentazione unitaria proiettiva G 3 g 7→ Ug, nelsenso che γg(ρ) = UgρU

−1g per ogni stato puro ρ ∈ Sp(HS) del sistema e per ogni elemento

del gruppo g ∈ G. Un problema interessante, che si pone immediatamente, e allora quello distabilire se sia possibile fissare le fasi arbitrarie per gli operatori unitari Ug in modo da otteneruna rappresentazione unitaria proiettiva che sia fortemente continua. Cioe :

Ugψ → Ug0ψ se g → g0 e per ogni ψ ∈ H.

Il problema e molto difficile nel caso generale, benche esista un risultato generale locale dovutoa Wigner. Mostreremo infatti che, se G e un gruppo di simmetria topologico e G 3 g 7→ γg lasua rappresentazione proiettiva continua, allora e possibile fissare i moltiplicatori ω di una suarappresentazione unitaria proiettiva G 3 g 7→ Ug in modo tale che essa risulti fortemente continuain un intorno dell’elemento neutro del gruppo G ed i moltiplicatori stessi risultano continui in

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tale intorno. Tale risultato, in generale, non si estende a tutto il gruppo. Successivamenteuseremo questo risultato, restringendoci al caso di G = R, per provare che in quel caso, non soloil risultato detto si estende a tutto il gruppo, ma e possibile porre tutti i moltiplicatori uguali a1 ed ottenere una rappresentazione che e , contemporaneamente, unitaria e fortemente continua.Le conseguenze fisiche di tale risultato sono molto profonde e riguarderanno la giustificazionedel postulato di evoluzione temporale ed il legame tra l’esistenza di simmetrie e la presenza diquantita conservate sotto l’evoluzione temporale del sistema S: una formulazione quantistica delteorema di Nother. Esamineremo piu avanti tali implicazioni, ora ci concentreremo solo sugliaspetti matematici.

Proposizione 11.10. Si consideri un sistema fisico quantistico S descritto sullo spazio diHilbert HS e sia G un gruppo topologico con rappresentazione proiettiva continua γ : G 3 g 7→ γg.Esistono un intorno aperto A ⊂ G dell’elemento neutro e ∈ G ed una rappresentazione unitariaproiettiva associata a γ, G 3 g 7→ Ug che e continua su A nella topologia operatoriale forte.Infine i moltiplicatori:

ω(g, g′) =(Ug·g′

)−1 UgUg′ per ogni g, g′ ∈ G

definiscono una funzione continua in un intorno aperto A′ di e con A′ ·A′ ⊂ A.

Prova. Fissiamo φ ∈ H con ||φ|| = 1. Dato che G 3 g 7→ tr(φ(φ| )γg(φ(φ| ))) e continua e vale 1per g = 1, esiste un intorno aperto A0 di e in cui tr(φ(φ| )γg(φ(φ| ))) 6= 0. Rappresentiamo γcon una rappresentazione unitaria proiettiva V . Per essa varra allora, nell’intorno A0:

0 6= tr(φ(φ| )γg(φ(φ| ))) = (φ|Vgφ) .

Definiamo allora (e la condizione (φ|Vgφ) 6= 0 assicura che cio sia possibile):

χg :=(φ|Vgφ)|(φ|Vgφ)|

e quindi passiamo ad una nuova rappresentazione unitaria proiettiva, U , tale che, se g ∈ A0:

Ug := χgVg .

(Non importa come U venga definita fuori da A0.) Con la scelta fatta risulta immediatamenteche, in A:

0 <|(φ|Vgφ)|2

|(φ|Vgφ)|= (φ|Ugφ)

e quindi:0 < (φ|Ugφ) = |(φ|Ugφ)| = tr(φ(φ| )γg(φ(φ| ))) per ogni g ∈ A0 . (11.47)

La (11.47) ha due conseguenze, valide in qualche intorno aperto A di e con A ⊂ A0:

Ue = 1 , e Ug−1 = U−1g se g ∈ A. (11.48)

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Infatti, in generale deve essere Ue = χI per qualche χ ∈ U(1) e quindi (φ|Ueφ) = χ(φ|φ) = χ.Dato che (φ|Ueφ) > 0, l’unica possibilita e χ = 1. Per quanto riguarda la seconda proprieta ,notiamo subito che deve essere Ug−1 = χ′gU

−1g per qualche χ′g ∈ U(1), inoltre, essendo g 7→ g−1

continua e valendo e−1 = e, ci deve essere un intorno aperto di e, A ⊂ A0, per cui g−1 ∈ A0 seg ∈ A. Lavorando in A, vale, essendo (φ|Ugφ) reale per cui (φ|Ugφ) = (Ugφ|φ):

0 < (φ|Ug−1φ) = χ′g(φ|U−1g φ) = χ′g(φ|U∗gφ) = χ′g(Ugφ|φ) = χ′g(φ|Ugφ) .

Dato che (φ|Ugφ) > 0, l’unica possibilita e χ′g = 1. Abbiamo dimostrato (11.48).Fissiamo ora ψ ∈ H con ||ψ|| = 1. Dalla continutia di γ riferita allo stato puro ψ(ψ| ) segue che:

limr→s|(Urψ|Usψ)| = |(Usψ|Usψ)| = 1 . (11.49)

elimr→s|(φ|Usψ)| = |(φ|Usψ)| . (11.50)

Usando queste nelle identita generali:

||Usψ − (Urψ|Usψ)Urψ||2 = 1− |(Urψ|Usψ)|2 , (11.51)

si ottiene immediatamente che:

limr→s

(Urψ|Usψ)Urψ = Usψ (11.52)

e quindi:limr→s

(Urφ|Usφ)(φ|Urφ) = (φ|Usφ) . (11.53)

D’altra parte, con la nostra scelta della fase per U si ha:

limr→s

(φ|Urφ) = limr→s|(φ|Urφ)| = |(φ|Usφ)| = (φ|Usφ) , (11.54)

e dunque, usando la (11.54) in (11.53), si trova:

limr→s

(Urφ|Usφ) = 1 . (11.55)

Tenendo conto che:

||Urφ− Usφ||2 = (Urφ|Urφ) + (Urφ|Urφ)− (Urφ|Usφ)− (Usφ|Urφ) = 2−Re(Urφ|Usφ) ,

la (11.55) implica che, per r ∈ A, la funzione r 7→ Urφ e continua. Allora la funzione r 7→ (Ur)−1φdeve essere continua, dato che (11.53) deve valere anche per r sostituito da r−1 e s da s−1 essendola funzione g 7→ g−1 continua, e valendo infine (Ur)−1 = Ur−1 come provato in (11.48). Infine,dalla (11.52) segue allora che:

limr→s

(Urψ|Usψ)(φ|Urψ) = (φ|Usψ) cioe limr→s

(Urψ|Usψ)((Ur)−1φ|ψ) = (φ|Usψ) ,

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e dunque r 7→ (φ|Urψ) e continua. Usando questo risultato ancora nella (11.52), si ha infine

limr→s

(Urψ|Usψ)(φ|Urψ) = (φ|Usψ) , (11.56)

e dunque:

limr→s

(Urψ|Usψ) = 1 e, ragionando come per Urφ, vale limr→s||Urψ − Usψ|| = 0 . (11.57)

Abbiamo provato che A 3 g 7→ Ug e fortemente continua.Proviamo la seconda affermazione della tesi. Valendo U(e) = 1 e Ug−1 = U−1

g segue che su A:

ω(g, e) = ω(e, g) = 1 , (11.58)

Dall’uguaglianza:(U−1

r φ|Usφ) = ω(r, s)−1(φ|Ur·sφ) , (11.59)

e dal fatto che (φ|Ur·sφ) > 0 se r · s ∈ A, segue che (r, s) 7→ χ(r, s)−1 e continua se r, s, r · s ∈ A.Dato che il prodotto in G e continuo e e ·e = e, esiste sicuramente un intorno A′ ⊂ A di e per cuir, s ∈ A′ implica r · s ∈ A. Se A′ e sufficientemente piccolo, anche A′ × A′ 3 (r, s) 7→ χ(r, s) =(χ(r, s)−1)−1 sara un funzione continua, dato che l’operazione di prendere l’inverso e continua inG e e−1 = e. 2

11.2.4 Il caso notevole del gruppo topologico R.

Enunceremo e proveremo qui una risultato molto importante, che riguarda le rappresentazionicontinue del gruppo topologico additivo R. Questo risultato e di fondamentale importanza infisica come vedremo in seguito.

Teorema 11.3. Se R 3 r 7→ γr e una rappresentazione proiettiva continua del gruppo topologicoR nello spazio di Hilbert H, allora vale quanto segue.(a) Esiste un gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo (nel senso della definizione9.3) R 3 r 7→Wr tale che

γr(ρ) = WrρW−1r per ogni r ∈ R e ρ ∈ Sp(H). (11.60)

(b) Un altro gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo R 3 r 7→ Ur soddisfa (11.60)(con Ur in luogo di Wr) se e solo se esiste c ∈ R tale che:

Ur = e−icrWr per ogni r ∈ R.

(c) Esiste un operatore autoaggiunto A : D(A)→ H in H, unico a meno di una costante additivatale che:

γr(ρ) = e−irAρeirA per ogni r ∈ R e ρ ∈ Sp(H).

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Prova. (a) Sia [−b, b] ⊂ A, con b > 0 un intervallo incluso nell’intorno aperto di 0, A ⊂ R, chesoddisfa la tesi della proposizione 11.10 nel caso di G = R. Decomponiamo R come l’unione degliintervalli disgiunti (na, (n+ 1)a], con n ∈ Z, dove a = b/2. Quindi notiamo che, se r ∈ R allorar cade in uno solo degli intervalli disgiunti detti e quindi r = nra + tr con un unico tr ∈ (0, a]per un unico nr ∈ Z. Allora deve valere, dato che γxγy = γx+y:

γr = γnra+tr = (γa)nrγtr .

Di conseguenza si dovra anche avere, se R 3 r 7→ Ur e la rappresentazione unitaria proiettivaindividuata nella proposizione 11.10, e per ogni ρ ∈ Sp(HS):

γr(ρ) = ((Ua)nrUtr) ρ ((Ua)nrUtr)−1 ,

Dato che, per t ∈ (−a − ε, a + ε), per qualche ε > 0, la funzione t 7→ Ut e fortemente continua,si prova che la funzione:

R 3 r 7→ Vr

con Vr := (Ua)nrUtr dove nr ∈ Z e tr ∈ (0, a] sono determinati come detto sopra, e una funzionefortemente continua. Gli unici punti di discontinuita possono essere gli estremi degli intervalli.Consideriamo dunque r ∈ (na, (n + 1)a] e verifichiamo che Vr e continua in na. Se r− < na er+ > na abbiamo:

Vr−ψ = (Ua)(n−1)Utr−ψ e Vr+ψ = (Ua)nUtr+ψ .

Dato che (−a, a) 3 t 7→ Utψ e continua, dalla definizione di V segue immediatamente che:

limr−→na−

Vr−ψ = Vnaψ .

Per concludere non ci rimane che verificare che anche il limite destro coincide con quello sinistro.Dobbiamo cioe provare che il limite di (Ua)(n−1)Utr−ψ, per tr− → a− coincide con il limite di(Ua)nUtr+ψ per tr+ → 0−. Dimostriamo che e vero. Vale:

limt→a−

(Ua)n−1Utψ = limt−a→0−

(Ua)n−1ω(a, t− a)−1UaUt−aψ = limt−a→0−

ω(a, t− a)−1(Ua)nUt−aψ =

= limτ→0−

ω(a, τ)−1(Ua)nUτψ .

Dalla dimostrazione della proposizione precedente sappiamo che (0, a] 3 τ 7→ ω(a, τ)−1 e sicuramentecontinua, dato che a, τ, a+ τ ∈ A per costruzione. Inoltre vale χ(a, 0) = 1 da (11.58). Sappiamoanche che (0, a] 3 t 7→ Utψ e continua e pertanto:

limt→a−

(Ua)n−1Utψ = limτ→0−

ω(a, τ)−1(Ua)nUτψ = limτ→0+

ω(a, τ)−1(Ua)nUτψ = limt→0+

(Ua)nUtψ .

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Abbiamo provato che:

Vnaψ = limr−→na−

Vr−ψ = limtr−→a−

(Ua)(n−1)Utr−ψ = limtr+→0+

(Ua)nUtr+ψ = limr+→na+

Vr+ψ ,

che e quanto volevamo. Si noti ora che (Vr)−1 = (Utr)−1(Ua)−nr = U−tr(Ua)−nr dove abbiamousato la seconda identita in (11.48). Con una dimostrazione simile a quella fatta per Vr, si veri-fica che anche R 3 r 7→ (Vr)−1 e continuo nella topologia operatoriale forte.Mostriamo ora che e possibile fissare i moltiplicatori di V in modo che valgano tutti 1. Dimo-striamo che i moltiplicatori di V definiscono una funzione continua R2 3 (r, s) 7→ ω(r, s) ∈ U(1),usando il fatto che R 3 t 7→ Vtψ e R 3 t 7→ (Vt)−1ψ sono funzioni continue come appena prova-to. Poi mostreremo che tale funzione e equivalente alla funzione che vale costantemente 1. Perdefinizione:

ω(r, s)Vr+s = VrVs .

Fissiamo r0, s0 ∈ R. Devono esistere due vettori ψ, φ ∈ H per i quali (ψ|Vr0+s0φ) 6= 0, se cio nonfosse sarebbe Vr0+s0φ = 0 che e impossibile per ipotesi. Per continuita , ci sara un intorno B di(r0, s0) tale che, se (r, s) ∈ B, allora (ψ|Vr+sφ) 6= 0. Con questa scelta di vettori, vale:

ω(r, s) =((Vr)−1ψ|Vsφ)

(ψ|Vr+sφ).

Concludiamo che R2 3 (r, s) 7→ ω(r, s) ∈ U(1) e continua nell’intorno di (r0, s0), e quindie continua ovunque su R2. Possiamo scrivere ω(r, s) = eif(r,s) per qualche funzione f : R2 → R.Possiamo pensare la funzione continua ω come una funzione a valori sul cerchio di raggio unitarioS1, dato che U(1) e omeomorfo a tale sottoinsieme di R2. Dato che il gruppo fondamentale diR2 e banale, applicando il teorema 18.2 in [Ser94] (sul sollevamento delle funzioni continue airivestimenti di spazi topologici) si ha che e sempre possibile scegliere la funzione f in modo chesia continua. Abbiamo trovato che i moltiplicatori di V si possono scrivere come:

ω(r, s) = e−if(r,s) per ogni coppia (r, s) ∈ R2, dove f : R2 → R e continua.

L’equazione (11.35) diventa ora:

f(s, t)− f(r + s, t) + f(r, s+ t)− f(r, s) = 2πkr,s,t per kr,s,t ∈ Z .

Dato che le funzioni continue trasformano insiemi connessi (R3 nel nostro caso) in insiemi con-nessi (un sottoinsieme di 2πZ con la topologia indotta da R, nel nostro caso), il secondo membrodell’identia scritta deve essere costante. Dato che per r = s = t = 0 il primo membro si annulla,deve allora valere:

f(s, t)− f(r + s, t) + f(r, s+ t)− f(r, s) = 0 per ogni r, s, t ∈ R . (11.61)

Fissiamo g : R→ R differenziabile con continuita , con supporto compatto e tale che:∫Rg(x)dx = 1 e

∫R

dg

dxdx = 1 . (11.62)

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(La seconda in realta e sempre vera in virtu del fatto che f ha supporto compatto.) Definiamoinfine la funzione continua:

h(r) := −∫ r

0du

∫Rf(u, v)

dg

dvdv −

∫Rf(r, v)g(v)dv ,

e quindi poniamo χ(r) := e−ih(r). Se cambiamo la rappresentazione V , passando alla nuovarappresentazione Wr = χ(r)Vr in modo tale che:

e−if′(r,s) = ω′(r, s) := ω(r, s)

χ(r)χ(s)χ(r + s)

,

cioe :f ′(r, s) = f(r, s)− h(r + s) + h(r) + h(s) ,

il calcolo diretto di f ′(r, s), facendo uso della definizione di h e tenendo conto della (11.61) edelle (11.62), produce

f ′(r, s) = 0 cioe χ′(r, s) = 1 per ogni coppia (r, s) ∈ R2,

e quindi la nuova rappresentazione proiettiva unitaria R 3 r 7→ Wr e unitaria. Dato che la fun-zione R 3 x 7→ χ(x) e continua per costruzione e R 3 r 7→ Vr e fortemente continua, concludiamoche la rappresentazione unitaria W = χV e fortemente continua. In altre parole R 3 r 7→ Wr

e un gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo, che soddisfa (11.60) e questo con-clude la dimostrazione di (a).Per quanto riguarda (b), si osservi innanzitutto che, se esiste un altro gruppo U unitario ad unparametro fortemente continuo che rappresenta γ, deve accadere che:

U−rWrψ = χ(r)ψ per ogni ψ ∈ H. (11.63)

(L’indipendenza di χ(r) da ψ si dimostra facilmente come provato in altre simili situazioni.) Diconseguenza vale: Wr = χ(r)Ur e quindi Wr+s = χ(r + s)Ur+s e quindi:

χ(r + s)I = Wr+sUr+s .

Valendo anche U(r + s) = U(r)U(s) e Wr+s = WrWs, si conclude che Wr+s = χ(r)χ(s)Ur+s equindi:

χ(r)χ(s)I = Wr+sUr+s .

Per confronto vale allora:χ(r + s) = χ(r)χ(s) . (11.64)

L’identita (11.63) ha un’altra conseguenza:

(Urφ|Wrψ) = χ(r)(φ|ψ) .

Per il teorema di Stone (teorema 9.5), possiamo scrivere Ut = e−itB e Wt = e−itA, per dueoperatori autoaggiunti definiti su domini densi D(A) e D(B) rispettivamente. Scegliendo φ ∈

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D(B) e ψ ∈ D(A) in modo che (φ|ψ) 6= 0 (e questo e sempre possibile dato che i domini sonodensi), ed applicando il teorema di Stone, abbiamo che R 3 t 7→ χ(r) deve essere una funzionederivabile dato che:

d

dt(Urφ|Wrψ) =

d

dtUrφ

∣∣∣∣Wrψ

+Urφ

∣∣∣∣ ddt Wrψ

esiste e vale:

(−iBUrφ|Wrψ) + (Urφ| − iAWrψ) .

Tenendo conto che χ e derivabile e che vale (11.64), abbiamo immediatamente che:

d

dxχ(x) = lim

h→0

1h

(χ(x+ h)− χ(x)) = χ(x) limh→0

1h

(χ(h)− χ(0)) = χ(x)c .

Dunque χ(x) = eicx per qualche reale c ∈ R e, di conseguenza:

Wx = eicxUx .

Per computo diretto si vede subito che se, viceversa, W e come in (a) e fissiamo c ∈ R, alloraUx := e−icxWx e un gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo che rappresenta γ.(c) Il gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo R 3 r 7→Wr, che abbiamo costruitoin (a), ammette un generatore autoaggiunto A, per il teorema di Stone. Quindi Wr = e−irA.Se B : D(B) → H e un secondo operatore autoaggiunto che soddisfa la tesi in (c), allora ilsuo gruppo ad un parametro Ut = e−itB deve verificare quanto asserito in (b). Dunque deveesistere c ∈ R tale che: e−itA = e−itce−itB. Applicando il teorema di Stone si ha che il primomembro ammette derivata in senso forte, per t = 0, su D(A) ed essa vale −iA. Similmente,il secondo membro ammette derivata in senso forte, per t = 0, almeno su D(B), ed essa vale−icI− iB. Di conseguenza deve essere D(A) ⊂ D(B) e A = (cI+B)D(A). Notiamo che cI+Be autoaggiunto su D(B). Dato che A e autoaggiunto, non ammette estensioni autoaggiunte, percui deve accadere che: D(A) = D(B) e A = B + cI. 2

Esempi 11.4.(1) Consideriamo l’esempio (1) in esempi 11.2. Il sistema fisico e una particella quantisticasenza spin, descritta sullo spazio di Hilbert L2(R3, dx), nel momento in cui si fissa un sistemadi riferimento inerziale e si identifica R3 con lo spazio di quiete del riferimento, facendo uso dicoordinate cartesiane ortonormali solidali con il riferimento.Il gruppo speciale delle isometrie ISO(3) di R3 puo essere definito come il gruppo delle funzioni(t, R) da R3 in R3 del tipo:

(t, R) : R3 3 x 7→ t +Rx , (11.65)

con t ∈ R3 e R ∈ SO(3). Abbiamo qui specializzato R ∈ SO(3) invece che R ∈ O(3), e questospiega la lettera S in ISO(3).ISO(3) puo essere pensato come gruppo topologico nel seguente modo. Consideriamo il gruppomatriciale costituito dalle matrici reali 4× 4:

g(t,R) :=

1 0t

t R

per ogni t ∈ Rn e R ∈ SO(3). (11.66)

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La topologia e quella ereditata da GL(4,R) cioe da R16. Deve essere chiaro che le matri-ci g(t,R) sono in corrispondenza biunivoca con gli elementi di ISO(3) e che l’applicazioneISO(3) 3 (t, R) 7→ g(t,R) e dunque un isomorfismo gruppale oltre che una rappresentazionelineare di ISO(3). Per esplicitare, in questa realizzazione, l’azione di ISO(3) sui punti di R3,immaginiamo tali punti come i vettori colonna di R4 della forma (1, x1, x2, x3)t, dove (x1, x2x3)sono le coordinate cartesiane del punto x ∈ R3. Ritroviamo in questo modo che l’azione di g(t,R)

su R3 e esattamente quella descritta in (11.65). Possiamo indifferentemente pensare ISO(3)come gruppo di funzioni (11.65) o come gruppo di matrici (11.66). In ogni caso, d’ora in poi lopensiamo come gruppo topologico. Si osservi che possiamo realizzare tutto IO(3) come gruppotopologico matriciale, semplicemente permettendo a R di variare in tutto O(3). Nella nostracostruzione e con la topologia che abbiamo assegnato ai due gruppi, ISO(3) risulta essere unsottogruppo topologico di IO(3) che ne e anche l’unica componente connessa che include l’ele-mento neutro (0, I).La rappresentazione lineare unitaria di ISO(3) su L2(R3, dx) che abbiamo visto nell’esempio (1)in esempi 11.2:

(UΓψ) (x) := ψ(Γ−1x) per ogni Γ ∈ ISO(3) e ψ ∈ L2(R3, dx)

e fortemente continua, dato che, come si prova facilmente:

||UΓψ − UΓ0ψ|| = ||UΓ−10 Γ

ψ − ψ|| → 0 se Γ→ Γ0. (11.67)

In questo modo si ha che la rappresentazione unitaria fortemente continua ISO(3) 3 Γ 7→ UΓ,pensando l’azione di UΓ sugli stati puri di H = L2(R3, dx):

γΓ (ψ(ψ| ) := UΓψ (ψ| )U−1Γ ,

rende ISO(3) gruppo di simmetria topologico per la particella quantistica senza spin.(2) In questo esempio Pi e l’operatore autoaggiunto che individua l’osservabile impulso l’ungol’asse xi e P indica il vettore colonna di operatori (P1, P2, P3)t. In riferimento al precedenteesempio, concentriamoci ora sul sottogruppo delle traslazioni lungo l’asse, generico, t ∈ R3.Tale sottogruppo e il gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo: R 3 r 7→ U

(t)r , con:

U (t)r ψ

(x) := ψ(x− rt) per ogni t ∈ R e ψ ∈ L2(R3, dx) .

Si dimostra abbastanza facilmente che l’operatore simmetrico t · PS(R3) e essenzialmente au-toaggiunto e quindi (vedi il lemma 10.1) che:

e−i r~ t·PS(R3)ψ

(x) = ψ(x− rt) per ogni ψ ∈ L2(R3, dx). (11.68)

Pertanto concludiamo che:l’operatore autoaggiunto, richiesto esistere in (c) del teorema 11.3, che genera il gruppo unita-rio ad un parametro fortemente continuo delle traslazioni lungo l’asse t e , a parte la costante

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moltiplicativa ~−1, l’operatore impulso in tale direzione, cioe l’unica estensione autoaggiunta di1~t ·PS(R3).Si osservi che tale generatore puo comunque essere modificato con una costante additiva.

Esercizi 11.2.(1) Dimostrare la (11.67).

Traccia della soluzione. La prima identita in (11.67) segue dal fatto che UΓ e unitario edanche U−1

Γ0= UΓ−1

0ed infine UΓ′UΓ = UΓ′Γ. Pertanto, per concludere e sufficiente mostrare che,

per ogni ψ ∈ L2(R3, dx):||UΓψ − ψ|| → 0 se Γ→ (0, I).

Proviamo prima la tesi per le funzioni φ continue a supporto compatto. Se φ e una tale funzione,ISO(3) × R3 3 (Γ,x) 7→ φ(Γ−1x) e continua. Allora, se Γ e ristretto a variare in un intorno Ja chiusura compatta dell’identita , esiste K ≥ 0 tale che |φ(Γ−1x)| ≤ K se (Γ,x) ∈ J × R3.Data la natura delle Γ esiste anche un compatto S ⊂ R3 che include tutti i supporti dellefunzioni φ(Γ−1·). Pertanto esiste φ0 ∈ L2(R3, dx) che soddisfa |(UΓφ)(x) − φ(x)| ≤ |φ0(x)| se(Γ,x) ∈ J × R3, basta scegliere φ0 continua che in S e maggiore di 2K e si annulla fuori daS. Dato che (UΓφ)(x) → φ(x) puntualmente, dal teorema della convergenza dominata segueche ||UΓψ − ψ|| → 0 se Γ → (0, I), dove la norma e quella di L2. Passiamo al caso di ψgenerica in L2(R3, dx). Se ψ ∈ L2(R3, dx) e ε > 0, sia φ continua a supporto compatto tale che||ψ − φ|| < ε/3. Allora

||UΓψ − ψ|| ≤ ||UΓψ − UΓφ||+ ||UΓφ− φ||+ ||φ− ψ|| = ||UΓφ− φ||+ 2||φ− ψ||

dato che UΓ e isometrico e quindi ||UΓψ − UΓφ|| = ||ψ − φ||. Scegliendo Γ abbastanza vicino a(0, I), in base a quanto provato sopra, possiamo avere ||UΓφ−φ|| ≤ ε/3. Quindi, per ogni ε > 0,se Γ e abbastanza vicino a (0, I), vale ||UΓψ − ψ|| ≤ ε.

(2) Facendo uso di (1) in esercizi 11.1, dimostrare che t ·PS(R3) e essenzialmente autoaggiunto.Suggerimento. Se t = 0 la tesi e banale, mettiamoci dunque negli altri casi. Sappiamo che

P1S(R3) e essenzialmente autoaggiunto. Considerare l’operatore unitario UR che rappresenta unarotazione attiva che porta l’asse t/|t| sul versore e3. Provare che URt ·PS(R3) U

−1R = |t|P3S(R3)

e concludere.

(3) Facendo uso di (1) in esercizi 11.1, dimostrare che vale la (11.68).Suggerimento. Dimostrare la tesi per P3 passando da funzioni d’onda nella variabile x a

funzioni d’onda nella variabili k tramite la trasformata di Fourier. Poi estendere il risultato alcaso generale usando una procedura analoga a quella adoperata per l’esercizio precedente. Sinoto che se U e unitario e A : D(A)→ H e chiudibile, definendo UAU−1 su U(D(A)), segue cheUAU−1 e chiudibile e:

UAU−1 = UAU−1 .

(4) Si consideri un gruppo topologico G connesso e una sua rappresentazione proiettiva for-temente continua (nel senso della proposizione 11.9) G 3 g 7→ γg sullo spazio di Hilbert HS ,

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associato ad un certo sistema fisico. Si supponga che HS sia decomposto in settori coerenti HSk.Puo accadere che qualche γg trasformi un settore in un settore differente?

Suggerimento. Decomporre Sp(H) nell’unione disgiunta degli stati puri di ciascun settore edotare ciascuno spazio della topologia metrica indotta da || ||1. Ricordare, infine, che le funzionicontinue trasformano insiemi connessi in insieme connessi.

11.2.5 Richiami sui gruppi ed algebre di Lie.

In quest’ultima sezione assumeremo che il lettore sia familiare con la nozione di varieta differenziabile,includendo il caso di varieta analitica reale (le nozioni fondamentali sono richiamate con un cer-to dettaglio in Appendice B) e richiameremo di seguito alcuni risultati fondamentali [NaSt84,War75, Kir74] della teoria dei gruppi di Lie, dando qualche esempio, senza dimostrazioni.Ricordiamo che un gruppo di Lie (reale di dimensione n) e una varieta analitica reale didimensione n, G, dotata di due applicazioni analitiche reali:

G 3 g 7→ g−1 ∈ G e G× G 3 (g, h) 7→ g · h ∈ G ,

(dove G× G e dotata della struttura analitica reale prodotto) rispetto alle quali G risulti essereun gruppo con elemento neutro e.La dimensione del gruppo di Lie G e la dimensione di G nel senso delle varieta differenziabili.

Osservazione. E importante precisare che la richiesta di analiticita nella definizione di gruppodi Lie puo essere indebolita fino a considerare G come una varieta di classe C0 con operazioni digruppo continue rispetto alla topologia del della varieta (quindi gruppi topologici, di Hausdorff,paracompatti, localmente omeomorfi a Rn). In effetti, un famoso teorema di Gleason, Mont-gomery e Zippin del 1952 – che fornisce una risposta al quinto problema di Hilbert– prova che:ogni gruppo topologico, che sia anche una varieta topologica (cioe di classe C0), ammette sempreuna sotto-struttura differenziabile reale analitica rispetto alla quale le operazioni di gruppo sonofunzioni analitiche reali. Tale struttura e univocamente determinata dalla struttura C0 e dalleoperazioni gruppali.Quindi ogni gruppo di Lie e sempre pensabile, ed in modo univoco, come gruppo di Lie ana-litico, anche quando e definito usando solo la struttura di variet1a C0 e richiedendo solo lacontinuita delle operazioni gruppali.

Consideriamo due gruppi di Lie G e G′, con elementi neutri e ed e′ rispettivamente e leggi dicomposizione ·, rispettivamente.Un omomorfismo di gruppi di Lie e un’applicazione analitica f : G → G′ che e anche omo-morfismo gruppale. Nel caso in cui l’omomorfismo di gruppi di Lie f : G → G′ sia biettivo edf−1 sia a sua volta un omomorfismo di gruppi di Lie, f si dice isomorfismo di gruppi di Lie.In tal caso G e G′ si dicono isomorfi (secondo f).Un omomorfismo locale di gruppi di Lie, e un’applicazione analitica h : Oe → G′, doveOe ⊂ G e un intorno aperto di e e vale h(g1 · g2) = h(g1) h(g2) purche g1 · g2 ∈ Oe. (Questo

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implica che h(e) = e′8 ed anche h(g−1) = h(g)−1 se g, g−1 ∈ Oe.)Se l’omomorfismo locale h suddetto e anche un diffeomorfismo analitico sulla sua immagine datada un intorno aperto Oe′ di e′ in G′ e la funzione inversa f−1 : Oe′ → G e un omomorfismo locale,allora h e detto isomorfismo locale di gruppi di Lie. In tal caso G e G′ si dicono localmenteisomorfi (secondo h).

Nello stesso spirito dell’osservazione precedente si possono indebolire le richieste di differenzia-bilita nella definizione di omomorfismo locale nel senso che segue [NaSt84].

Proposizione 11.11. Siano G e G′ gruppi di Lie, e sia Oe ⊂ G un intorno aperto dell’elementoneutro e di G.Se h : Oe → G′ e una funzione continua che soddisfa h(g1 · g2) = h(g1) h(g2) se g1 · g2 ∈ Oe,allora h e analitica reale e quindi definisce un omomorfismo locale di Gruppi di Lie.

Due nozioni importanti per le nostre applicazioni sono quelle di sottogruppo ad un parametro edi algebra di Lie, che ora richiameremo.Sia G un gruppo di Lie con elemento neutro e e legge di moltiplicazione ·. Lo spazio tangente adun punto g ∈ G sara al solito indicato con TgG. Ogni elemento g ∈ G definisce un’applicazionedifferenziabile (analitica reale) Lg : G 3 h 7→ g · h. Indichiamo con dLg : ThG → Tg·hG ildifferenziale di tale applicazione. Fissato T ∈ TeG, consideriamo il problema di Cauchy delprim’ordine su G:

df

dt= dLf(t)A con f(0) = e.

La soluzione massimale del problema posto, risulta essere sempre completa, cioe con domi-nio dato da tutto R. Indicheremo tale soluzione con con R 3 t 7→ exp(tT ) e la chiameremosottogruppo ad un parametro generato da A. Si dimostra che vale:

exp(tT ) exp(t′T ) = exp((t+ t′)T ) , (exp(tT ))−1 = exp(−tT ) se t, t′ ∈ R.

Consideriamo ora T ∈ TeG fissato e la classe di applicazioni parametrizzate per t ∈ R:

Ft,T : G 3 g 7→ exp(tT ) g exp(−tT ) .

Dato che e Ft,T (e) = e, sara dFt,T |e : TeG→ TeG. Il differenziale dFt,T |e, indicato con:

Ad Ft,T : TeG→ TeG ,

e detto l’aggiunto di Ft,T . Il commutatore e l’applicazione da TeG× TeG in TeG data da:

[T,Z] :=d

dt|t=0(Ad Ft,T ) Z per ogni coppia T,Z ∈ TeG .

8Infatti vale h(e) = h(e · e) = h(e) h(e) e quindi applicando h(e)−1, si ha e′ = h(e).

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Si verificano [War75] le seguenti proprieta del commutatore.

linearita a sinistra : [aA+ bB,C] = a[A,C] + b[B,C] se a, b ∈ R e A,B,C ∈ TeG;antisimmetria : [A,B] = −[B,A] se A,B ∈ TeG;identita di Jacobi: [A, [B,C]] + [B, [C,A]] + [C, [A,B]] = 0 se A,B,C ∈ TeG.

Si osservi che la prima e la seconda identita implicano che il commutatore sia bilineare. L’iden-tita di Jacobi deriva dall’associativita del prodotto gruppale.Fissiamo un sistema di coordinate locali x1, . . . , xn compatibili con la struttura differenziabile(analitica) di G e definito in un intorno aperto U dell’elemento neutro e ed avendo cura di farecoincidere e con l’origine delle coordinate. La legge di composizione gruppale, sviluppata conTaylor fino al secondo ordine, assume la forma in coordinate su U × U :

ψ(X,X ′) = X +X ′ +B(X,X ′) +O

|X|2 + |X ′2|

3/2, (11.69)

dove X,X ′ ∈ Rn indicano i vettori colonna delle coordinate di una coppia di corrispondentielementi gruppali g, g′ ∈ U , ed il cui prodotto g · g′ appartenga ancora a U . B : Rn × Rn →Rn e un’applicazione bilineare. Si dimostra abbastanza facilmente che il commutatore di Lie,espresso nella base di TeG relativa alle coordinate dette, assume la forma:

[T, T ′] = B(T, T ′)−B(T ′, T ) , (11.70)

dove ora T e T ′ indicano (i vettori colonna di componenti di) vettori di TeG.

La struttura algebrica data da uno spazio vettoriale V con un’applicazione, detta commutatore(di Lie), , : V×V→ V che e lineare a sinistra, antisimmetrica e soddisfa l’identita di Jacobi,e detta algebra di Lie. Date due algebre di Lie (V, , ) e (V′, , ′), un’applicazione lineareφ : V → V′ e detta omomorfismo di algebre di Lie se soddisfa φ(A), φ(B)′ = φ(A,B)per ogni A,B ∈ V. Nel caso in cui φ sia biettiva, si dice isomorfismo di algebre di Lie.Se G e un gruppo di Lie, l’algebra di Lie costituita dallo spazio tangente TeG insieme al com-mutatore [ , ] e detta algebra di Lie del gruppo G.Una sottoalgebra di Lie V′ di un’algebra di Lie (V, [ , ]) e un sottospazio vettoriale che e chiusorispetto al calcolo del commutatore di Lie: [A,B] ∈ V′ se A,B ∈ V′. Un ideale J di un’algebradi Lie (V, [ , ]) e una sottoalgebra di Lie che soddisfa la proprieta :

[A,B] ∈ J se A ∈ J e B ∈ V.

Un’algebra di Lie si dice semplice se non contiene ideali, e si dice semisemplice se gli idealiche contiene non sono commutativi. Si puo dimostrare che V e un’algebra di Lie di dimensionefinita che e semisemplice, allora G e la somma diretta (finita) di sottoalgebre semplici.

Una delle proprieta dei gruppi di Lie, piu importanti per le applicazioni in fisica e che l’algebradi Lie di un gruppo di Lie determina quasi completamente il gruppo stesso, come stabilito dal

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seguente celebre risultato (la prima asserzione e un celebre risultato di Lie) [NaSt84] che spez-ziamo in due parti.

Teorema 11.4.A. Per ogni algebra di Lie (reale) di dimensione finita, V, vale quanto segue.(a) Esiste un gruppo di Lie (reale), GV, connesso, semplicemente connesso, che ammette V comealgebra di Lie del gruppo.(b) GV e determinato a meno di isomorfismi di gruppi di Lie e risulta identificarsi con il rive-stimento universale di ogni gruppo di Lie che ammette V come algebra di Lie, in modo tale chela mappa di rivestimento sia un omomorfismo di gruppi di Lie.(c) Se gruppo di Lie G ammette V come algebra di Lie allora e isomorfo ad un gruppo quozienteGV/HG, dove HG ⊂ GV e un sottogruppo normale discreto che e incluso nel centro di GV.

Teorema 11.4.B (di Lie). Per ogni algebra di Lie (reale) di dimensione finita, V, vale quantosegue.Se G e G′ sono gruppi di Lie (reali), con rispettive algebre di Lie V e V′, vale quanto segue.(a) f : V→ V′ e un omomorfismo di algebre di Lie se e solo se esiste un omomorfismo locale digruppi di Lie h : G→ G′ tale che dh|e = f . Inoltre:

(i) h e individuato unicamente da f ,(ii) f e isomorfismo di algebre di Lie se e solo se h e isomorfismo locale di gruppi di Lie.

(b) Se G e G′ sono connessi, G e semplicemente connesso, allora f : V→ V′ e un omomorfismodi algebre di Lie se e solo se esiste un omomorfismo di gruppi di Lie h : G → G′ tale chedh|e = f . Inoltre:

(i) h e individuato unicamente da f ,(ii) se f e isomorfismo di algebre di Lie allora h e suriettiva,(iii) se f e isomorfismo di algebre di Lie e G′ e semplicemente connesso allora h e isomorfismo

di gruppi di Lie.

Per enunciare il secondo teorema, dovuto a Cartan [NaSt84], diamo la seguente naturale defini-zione. Se G e un gruppo di Lie, G′ ⊂ G e una sottovarieta (embedded) di G e G′ e gruppo rispettoalle operazioni di gruppo di G ristrette a G′, allora G′ acquista naturalmente una struttura digruppo di Lie indotta da quella di G. In tal caso G′ si dice sottogruppo di Lie di G. Si dimostrache, in tal caso, l’algebra di Lie di G′ risulta essere una sottoalgebra di Lie di G, nel senso cheTeG

′ e sottospazio vettoriale di TeG e il commutatore su TeG′ e la restrizione del commutatore

di TeG a TeG′.

Teorema 11.5 (di Cartan). Se G′ ⊂ G e un sottogruppo chiuso del gruppo di Lie G, allorae anche sottogruppo di Lie di G.

Osservazioni.(1) A priori un’algebra di Lie puo non avere dimensione finita come spazio vettoriale, tuttavia ladimensione dell’algebra di Lie di un gruppo di Lie G, nel senso della teoria degli spazi vettoriali,e sempre finita perche coincide con la dimensione del gruppo di Lie G.

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(2) Il teorema 11.5 include, ovviamente, il caso degenere di un sottogruppo discreto. In tal casola varieta differenziabile del sottogruppo di Lie ha dimensione zero.(3) Sia G e un gruppo di Lie di dimensione n e T1, . . . Tn una base nella sua algebra di LieTeG. Dato che il commutatore e bilineare sull’algebra ed e a valori nell’algebra, deve essererappresentato da un tensore C. In componenti:

[Ti, Tj ] =dimTeG∑k=1

CijkTk .

Le componenti Cijk di C sono dette costanti di struttura del gruppo.La condizione di Jacobi equivale alla condizione sulle costanti di struttura (la prova e ovvia):

n∑s=1

(CijsCskr + CjksCsir + CkisCsjr) = 0 per r = 1, . . . , n. (11.71)

Se due gruppi di Lie hanno le stesse costanti di struttura, rispetto a due basi nelle rispettivealgebre di Lie, allora sono localmente isomorfi nel senso del teorema 11.4. (La prova segue dalfatto che, se le costanti di struttura sono le stesse, l’applicazione lineare che identifica le due basie un isomorfismo di algebre di Lie.) Viceversa, se due gruppi di Lie sono localmente isomorfi,allora devono avere le stesse costanti di struttura in basi corrispondenti secondo il differenzialedell’isomorfismo locale.

Se G e un gruppo di Lie l’applicazione, detta exponential map:

exp : TeG 3 T 7→ exp(tT )|t=1

e una funzione analitica reale. L’exponential map ha un’importante proprieta sancita dal se-guente teorema [NaSt84].

Teorema 11.6. Sia G un gruppo di Lie con elemento neutro e ed exponential map exp. Valgonoi fatti seguenti.(a) Esistono un intorno aperto U del vettore nullo 0 ∈ TeG ed un intorno aperto V di e ∈ G,tali che

expU : U → V

e un diffeomorfismo analitico reale (cioe una funzione biettiva analitica reale con inversa analiticareale).(b) Se G e compatto allora exp(TeG) = G.(c) Se G′ e un gruppo di Lie, con exponential map exp′, ed h : G → G′ e un omomorfismo digruppi di Lie, allora:

h exp = exp′ dh|e .

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La proprieta (a) stabilita nel teorema 11.6 ha la seguente utile conseguenza. Se fissiamo unabase T1, . . . , Tn nell’algebra di Lie di un gruppo di Lie G, l’inversa dell’applicazione:

F : (x1, . . . , xn) 7→ exp

(n∑k=1

xnTn

),

definisce una carta locale, compatibile con la struttura analitica, nell’intorno dell’elemento neu-tro. Tale sistema di coordinate si chiama sistema di coordinate normali. Le coordinatenormali, in generale, non ricoprono G. In coordinate normali, un vettore T ∈ TeG ≡ Rn in-dividua un punto di G nell’intorno di e. Pertanto la moltiplicazione gruppale tra elementi diG si esprime come una funzione ψ : Rn × Rn → Rn. Sviluppando con Taylor la funzione ψnell’intorno dell’origine di Rn × Rn, si ha:

ψ(T, T ′) = T + T ′ +12

[T, T ′] +O

|T |2 + |T ′2|

3/2, (11.72)

essendo [T, T ′] : Rn×Rn → Rn il commutatore di Lie espresso nella base di TeG×TeG associataalle coordinate normali. Lasciamo la prova come esercizio per il lettore.Il punto (a) ha anche la seguente utile conseguenza, la cui dimostrazione e lasciata per esercizio.

Proposizione 11.12. Sia G un gruppo di Lie, con elemento neutro e e legge di composizione ·.Valgono i seguenti fatti.(a) Esiste un insieme aperto A 3 e tale che, se g ∈ A, allora g = exp(tA) per qualche t ∈ R eA ∈ TeG.(b) Se G e connesso e se g 6∈ A, esiste un numero finito di elementi g1, g2, . . . , gn ∈ A tali cheg = g1 · · · · · gn.

Abbiamo infine la seguente fondamentale formula nota come Baker-Campbell-Hausdorff formula[NaSt84]. Essa vale per ogni gruppo G di Lie connesso e semplicemente connesso se X e Yappartengono all’intorno aperto U del vettore nullo sul quale exp e un diffeomorfismo localesull’intorno aperto dell’elemento neutro exp(U) ⊂ G.

exp(X) exp(Y ) = exp(Z(X,Y )) (11.73)

dove Z(X,Y ) e definito dalla seguente serie:

Z(X,Y ) =∑

N3n>0

(−1)n−1

n

∑ri+si>0 1≤i≤n

(∑ni=1(ri + si))

−1

r1!s1! · · · rn!sn![Xr1Y s1Xr2Y s2 . . . XrnY sn ] (11.74)

e[Xr1Y s1 . . . XrnY sn ] :=

[X, [X, ..(r1 volte)..[X︸ ︷︷ ︸, [Y, [Y, ..(s1 volte)..[Y︸ ︷︷ ︸, . . . [X, [X, ..(rn volte)..[X︸ ︷︷ ︸, [Y, [Y, ..(sn volte)..Y︸ ︷︷ ︸]]..]](11.75)

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ed e assunto che il secondo membro e nullo se sn > 1 oppure se sn = 0 e rn > 1.

Esempi 11.5.(1) M(n,R) indichera d’ora in poi l’insieme delle matrici reali n× n. La notazione M(n,C) hal’analogo significato, sostituendo C a R.Il gruppo GL(n,R) delle matrici reali n × n invertibili e un gruppo di Lie di dimensione n2

rispetto alla struttura di varieta differenziabile analitica indotta da Rn2. L’algebra di Lie di

GL(n,R) risulta essere data dall’insieme di matrici reali n × n, M(n,R) ed il commutatorerisulta coincidere con il commutatore di matrici standard [A,B] := AB − BA, per ogni coppiaA,B ∈M(n,R).Una caratteristica importante di GL(n,R) e che i suoi sottogruppi ad un parametro hanno laforma:

R 3 t 7→ etA :=+∞∑k=0

tk

k!Ak ,

per ogni A ∈M(n,R), dove la convergenza della serie e riferita ad ognuna delle possibili normeequivalenti che possiamo mettere su Rn2

(o Cn2) per renderlo spazio di Banach (vedi Cap.2).

(2) Tutti i sottogruppi matriciali chiusi di qualche GL(n,R), che abbiamo gia incontrato comegruppi topologici, come O(n), SO(n), IO(n), ISO(n), SL(n,R), il gruppo di Galileo, di Lorentze di Poincare , sono dunque gruppi di Lie. Dato che GL(n,C) puo essere visto come un sotto-gruppo di GL(2n,R) (banalmente decomponendo ogni elemento di ogni matrice in parte realee complessa) anche i gruppi matriciali complessi, come U(n), SU(n) sono gruppi di Lie reali. Eimportante precisare che lavorare con gruppi di Lie matriciali non e una fortissima restrizione,in quanto si puo provare [War75] che ogni gruppo di Lie compatto e isomorfo ad un gruppo diLie matriciale. Per i gruppi di Lie non compatti il teorema non vale, un controesempio tipico eil rivestimento universale del gruppo SL(2,R)).

(3) L’esponenziale di matrici A,B ∈ M(n,C) ha alcune interessanti proprieta . Prima di tuttoeA+B = eAeB = eBeA sotto l’ipotesi che AB = BA. La prova e la stessa che si fornisce nelcaso in cui A e B siano numeri, usando lo sviluppo di Taylor dell’esponenziale. C’e pero un’altrautilissima proprieta . Se A ∈M(n,C) e per ogni t ∈ C, vale:

det etA = ettrA , in particolare det eA = etrA .

Dimostriamo questa identita . Si consideri l’applicazione C 3 t 7→ det etA . Vogliamo calcolarnela derivata per t arbitrario. Ci interessa cioe

limh→0

dete(t+h)A − detetA

h= lim

h→0

det(etAehA)− detetA

h= detetA lim

h→0

detehA − 1h

purche l’ultimo limite esista. Vale ehA = I+hA+ho(h) , dove o(h)→ 0 se h→ 0 nella topologiametrica di Cn2

per cui

limh→0

det e(t+h)A − detetA

h= detetA lim

h→0

det(I + hA+ ho(h))− 1h

.

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Vale lo sviluppo (che si puo dimostrare in vari modi) det(I+hA+ho(h)) = 1+h∑ni=1Aii+h0(h).

Inserendo sopra troviamo che:ddetetA

dt= detetAtrA .

Cio prova anche che la funzione considerata e infinitamente differenziabile. Quindi la funzioneinfinitamente differenziabile fA : C 3 t 7→ det etA soddisfa l’equazione differenziale

dfA(t)dt

= (trA)fA(t) .

La funzione infinitamente differenziabile gA : C 3 t 7→ ettrA soddisfa banalmente la stessa equa-zione differenziale. Entrambe le funzioni soddisfano la condizione iniziale fA(0) = gA(0) = 1, diconseguenza per il teorema di unicita delle soluzioni massimali delle equazioni differenziali delprim’ordine, le due funzioni coincidono per ogni t ∈ C e deve essere: detetA = ettrA .

(4) Il gruppo delle rotazioni n-dimensionali O(n) := R ∈ M(n,R) | RRt = I e un gruppodi Lie importante in fisica. Il fatto che tale gruppo sia un sottogruppo di Lie di GL(n,R)e evidente dal fatto che L’insieme R ∈ M(n,R) | RRt = I e chiuso nella topologia di Rn2

come si prova immediatamente. (E chiaro che O(n) contiene i suoi punti di accumulazione: seAk ∈ O(n) e Ak → A ∈ Rn2

per k → ∞ allora banalmente Atk → At e I = AkAtk → AAt.)

L’algebra di Lie di O(n), indicata con o(n), e data dallo spazio vettoriale delle matrici n × nreali antisimmetriche. Tale spazio (e quindi il gruppo di Lie O(n)) ha dimensione n(n − 1)/2.La dimostrazione di questa affermazione segue dal fatto che gli elementi dell’algebra di Lie siottengono come i vettori R(0) tangenti all’elemento neutro del gruppo (la matrice identita ) dellecurve R = R(u) che soddisfano R(u)R(u)t = I e R(0) = I. Per definizione dunque, i vettoridetti soddisfano: R(0)R(0)t + R(0)R(0)t = 0, cioe : R(0) + R(0)t = 0. Tale spazio e con quellodelle matrici antisimmetriche reali n×n che ha dimensione n(n−2)/2 come si prova facilmente.Si osservi infine che O(n) e compatto. (E sufficiente provare che l’insieme chiuso O(n) e unsottoinsieme limitato di Rn2

in quanto, in Rk, i chiusi limitati sono compatti (e viceversa).Quindi A ∈ O(n). La limitatezza nella norma di Rn2

e ovvia. Infatti, se R ∈ O(n):

||R||2 =n∑i=1

n∑j=1

RijRij

=

n∑i=1

δii = n .)

Il gruppo di Lie matriciale di dimensione 3, O(3) ha due componenti connesse date rispettiva-mente da:il gruppo di Lie matriciale compatto (e connesso) SO(3) := R ∈ O(3) | det R = 1 e l’insiemecompatto (che non e sottogruppo)

PSO(3) := PR ∈ O(3) |R ∈ SO(3)

dove P := −I e l’inversione di parita.

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(5) Nel caso di SO(3) l’exponential map ricopre tutto il gruppo come ora precisiamo. Introdu-ciamo una base particolare di so(3) data dalle matrici (Ti)jk = −εijk, dove εijk = 1 se i, j, ke una permutazione ciclica di 1, 2, 3; εijk = −1 se i, j, k e una permutazione non ciclica di 1, 2, 3;εijk = 0 nei rimanenti casi. Esplicitamente

T1 :=

0 0 00 0 −10 1 0

, T2 :=

0 0 10 0 0−1 0 0

, T3 :=

0 −1 01 0 00 0 0

, (11.76)

Tali matrici sono antisimmetriche e quindi appartengono a so(3), inoltre e immediato provareche sono linearmente indipendenti per cui sono una base di so(3). Le costanti di strutturaassumono una forma semplice in questa base, come si prova per computo diretto:

[Ti, Tj ] =3∑

k=1

εijkTk , (11.77)

Vale la seguente rappresentazione esponenziale di SO(3). R ∈ SO(3) se e solo se esistono unversore n ∈ R3 e un numero θ ∈ R tale che

R = eθn·T , dove n ·T :=3∑i=1

niTi .

(6) Il gruppo SU(2), visto come gruppo di Lie reale, ha come algebra di Lie lo spazio vettorialereale delle matrici anti hermitiane con traccia nulla (quest’ultima condizione segue dalla richiestache il determinate valga 1). Di conseguenza, una base dell’algebra di Lie di SU(2) e data dalletre matrici − i

2σj , j = 1, 2, 3, dove le σk sono le matrici di Pauli σi definite in (11.10)-(11.10). Ilfattore 1/2 e stato introdotto perche , con tale scelta, sono verificate le relazioni di commutazione:

− iσi2

, − iσj2

=

3∑k=1

εijk

− iσk

2

. (11.78)

In base a quanto osservato sotto il teorema 11.5, questo significa che le due algebre di Lie, quelladi SU(2) e quella di SO(3) sono isomorfe. Dunque, in base al teorema 11.4 i due gruppi diLie sono localmente isomorfi. Dato che SU(2) e connesso e semplicemente connesso (si provache e omeomorfo al bordo S3 della palla unitaria di R3), mentre SO(3) non lo e , SU(2) devecoincidere con il rivestimento universale di SO(3). L’isomorfismo di algebre di Lie si deveottenere tramite il differenziale di un un omomorfismo surgettivo di gruppi di Lie da SU(2) aSO(3). Tale omomorfismo e ben noto ed e costruito come segue (vedi (5) in esercizi 11.3). Anchenel caso di SU(2) l’exponential map ricopre tutto il gruppo essendo SU(2) compatto. In praticarisulta che ogni matrice U ∈ SU(2) si scrive come, con ovvie notazioni,

U = e−iθn·σ2

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dove θ ∈ R e n e un versore di R3. L’omomorfismo surgettivo di cui sopra non e altro che lamappa suriettiva:

R : SU(2) 3 e−iθn·σ2 7→ eθn·T ∈ SO(3) .

Che l’applicazione non sia invertibile si vede chiaramente osservando che, sotto la trasforma-zione θ → θ + 2π il secondo membro non cambia, mentre il primo cambia segno (per vederlorapidamente basta ridursi al caso di n = e3 il versore della coordinata cartesiana x3). In effettisi prova che il nucleo dell’omomorfismo h contiene i due soli elementi ±I ∈ SU(2).

Esercizi 11.3.(1) Dimostrare che l’algebra di Lie di SU(2), pensato come gruppo di Lie reale, e data dallo spa-zio vettoriale reale delle matrici anti hermitiene. Dimostrare quindi che SU(2) e semplicementeconnesso.

Suggerimento. SU(2) e un sottogruppo chiuso di GL(4,R) per cui e un gruppo di Lie e quindii gruppi ad un parametro sono del tipo R 3 t 7→ etA, con A che varia in tutta l’algebra di Liedi SU(2). Si imponga che etA(etA)∗ = I e che tr(etA) = 1 per ogni t e si veda come deve esserefatta A. Viceversa se A e anti hermitiana, mostrare che le due condizioni dette sono soddisfatte.Per la seconda domanda, parametrizzare il gruppo con 4 parametri reali in modo tale che lematrici di S(2) risultino essere in corrispondenza biunivoca con i punti sulla superficie dellasfera unitaria in R4. Mostrare che la parametrizzazione e un omeomorfismo.

(2) Dimostrare che se U ∈ SU(2) se e solo se esistono un versore n ∈ R3 ed un numero reale θtale che

U = e−iθn·σ2 .

Suggerimento. Usare il teorema spettrale per l’operatore unitario U ∈ SU(2) tenendo contoche le matrici di Pauli unitamente a I formano una base dello spazio reale delle matrici hermi-tiane. Se, viceversa, U = e−iθn·

σ2 quanto valgono U∗U e detU?.

(3) Dimostrare che le tre matrici T in (11.76) soddisfano:

RTkRt =

3∑i=1

(Rt)kiTi per ogni R ∈ SO(3).

Suggerimento. Usare (Ti)jk = −εijk e scrivere la relazione di sopra in componenti. Tenereconto che i coefficienti εijk definiscono uno pseudotensore invariante sotto rotazioni proprie.

(4) Dimostrare che R ∈ SO(3) se e solo se esistono un versore n ∈ R3 ed un numero reale θ taleche

R = eθn·T .

Suggerimento. Dimostrare la relazione nel caso in cui n = e3 prendendo, come R ∈ SO(3),una rotazione attorno all’asse e3. Dimostrare che ogni R ∈ SO(3) ammette sempre un auto-vettore n. Usare una rotazione degli assi che porti n su e3 e tenere conto del risultato trovato

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nell’esercizio precedente. Se, viceversa, R = e−iθn·T quanto valgono RtR e detR?.

(5) Dimostrare che per ogni U ∈ SU(2) esiste un unica RU ∈ SO(3) tale che:

Ut · σU∗ = (RUt) · σ per ogni t ∈ R3.

Verificare poi che la funzione:SU(2) 3 U 7→ RU ∈ SO(3)

e un omomorfismo gruppale suriettivo e coincide con:

R : SU(2) 3 e−iθn·σ2 7→ eθn·T ∈ SO(3) .

Infine provare che il nucleo di tale omomorfismo e ±I ⊂ SU(2).Traccia della soluzione. Notare che |t|2 = det (t · σ) e concludere che ogni U ∈ SU(2)

individua un unica trasformazione da R3 a R3 che associa ad ogni t un nuovo vettore t′ con|t| = |t′| individuato da Ut · σU∗ = Ut′ · σU∗. La trasformazione t → t′ e dunque una matriceortogonale R(U) ∈ O(3). Il fatto che R : SU(2) 3 U 7→ R(U) ∈ O(3) sia un omomorfismogruppale e di prova immediata per costruzione. Nel caso in cui Uθ = e−iθ

σ32 si verifica in

vari modi (anche direttamente sviluppando gli esponenziali delle matrici) che R(Uθ) = eθT3 .Il caso generale si ottiene facendo allora uso del risultato nell’esercizio (3), ruotando e3 suqualunque versore n. Il fatto che R(Uθ) = eθn·T implica ovviamente che R(U) ∈ SO(3). Lasurgettivita dell’omomorfismo segue dal fatto che ogni matrice di SO(3) si puo scrivere nellaforma: eθn·T. Il calcolo del nucleo dell’omomorfismo si puo eseguire riducendosi a lavorare conil sottogruppo ad un parametro generato da σ3, tramite una rotazione del versore n. Il risultatodiventa allora ovvio per computo diretto.

11.2.6 Gruppi di simmetria di Lie, teoremi di Bargmann, Garding, Nelson,FS3.

Per concludere la trattazione dei gruppi di simmetria ci occupiamo del caso in cui G e un gruppodi Lie connesso. Per prima cosa osserviamo che ogni possibile rappresentazione proiettiva diG deve essere rappresentabile con operatori unitari e mai antiunitari. Vale infatti la seguenteproposizione.

Proposizione 11.13. Sia G un gruppo di Lie connesso. Per ogni rappresentazione proiettivaG 3 g 7→ γg gli elementi γg possono essere associati solo ad operatori unitari in base al teoremadi Wigner (o Kadison).

Prova. Per la proposizione 11.12, ogni elemento g ∈ G e il prodotto di un numero finito dielementi di forma h = exp(tT ). Allora deve essere h = r · r con r = exp(tT/2). Applicando laproposizione 11.5 segue immediatamente la tesi. 2

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Ora ci occuperemo di illustrare brevemente qualche risultato generale interessante riguardantele rappresentazioni unitarie fortemente continue dei gruppi topologici che hanno struttura diLie.Per prima cosa, dato che cio sara utile inseguito, osserviamo che ogni rappresentazione proiettivadi un gruppo topologico G si puo sempre vedere come rappresentazione proiettiva del suo gruppodi rivestimento universale G.Infatti, se π : G → G e l’omomorfismo continuo di ricoprimento (la funzione continua di rico-primento e sempre pensabile come un omomorfismo continuo per i gruppi topologici [NaSt84]),e γ : G 3 g 7→ γg e una rappresentazione proiettiva continua di G nello spazio di Hilbert H,allora γ π : G 3 h 7→ γπ(h) e evidentemente una rappresentazione proiettiva continua di G, edha la particolarita che non distingue due elementi h, h′ ∈ G se π(h) = π(h′). In altre parole, seh · h′−1 ∈ Ker(π), allora γ π(h) = γ π(h′) cioe : (γ π)(Ker(π)) = id, che equivale a direKer(π) ⊂ Ker(γ π).

Proposizione 11.14. Sia G un gruppo topologico e G il suo gruppo di rivestimento universalecon omomorfismo di ricoprimento π. Ogni rappresentazione proiettiva continua di G sullo spaziodi Hilbert H, γ : G 3 g 7→ γg, si ottiene da una opportuna rappresentazione proiettiva continuaγ : G 3 g 7→ γ′g su H che soddisfi Ker(π) ⊂ Ker(γ′), considerando la rappresentazione indottasu G ≡ G/Ker(π).

Nota. Nel seguito, quando ci fara comodo studieremo le rappresentazioni unitarie proiettive diG invece che quelle di G, dato che quelle di secondo tipo sono individuate da quelle di primo tipo.

Vogliamo ora provare un importante risultato dovuto a Bargmann9, che fornisce delle condizionisufficienti affinche una rappresentazione proiettiva continua sia descrivibile da una rappresenta-zione unitaria. L’idea che precede il teorema e quella gia discussa precedentemente (vedi sezione11.2.2), di vedere ogni rappresentazione unitaria proiettiva

G 3 g 7→ Ug

di un gruppo G come restrizioni a G di una rappresentazione unitaria

G 3 g 7→ Vg

di un’opportuna estensione centrale Gω di G. Questo e sempre possibile in virtu della proposi-zione 11.7. Assumiamo ora che G sia un gruppo di Lie e che G 3 g 7→ Ug induca una rappresen-tazione proiettiva continua. Sappiamo che possiamo scegliere le fasi degli operatori Ug in modotale che nell’intorno dell’identa di G, la rappresentazione G 3 g 7→ Ug risulti essere continuaper la proposizione 11.10. Tuttavia in generale non si riesce ad estendere questo risultato atutto il gruppo G. Usando una la rappresentazione di Gω e sfruttando la struttura di gruppodi Lie di G si ha piu fortuna, infatti sussiste il seguente importante risultato che citiamo senza

9V. Bargmann. On Unitary Ray Representations of Continuous groups, Ann. Math. 59, 1 (1954).

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dimostrazione [Kir74].

Teorema 11.7. Si consideri un gruppo di Lie connesso G ed una rappresentazione proiettivacontinua sullo spazio di Hilbert H,

G 3 g 7→ γg .

Esistono un’estensione centrale Gω ed una rappresentazione unitaria fortemente continua

Gω 3 (χ, g) 7→ V(χ,g)

con V(χ,e) = χI per ogni χ ∈ U(1) in modo tale che valgano i seguenti fatti.(a) Gω risulta essere un gruppo di Lie connesso (con struttura differenziabile differente da quellaprodotto, nel caso generale), gli omomorfismi di inclusione canonica U(1)→ Gω e di proiezionecanonica Gω → G sono omomorfismi di gruppi di Lie.(b) La struttura differenziabile di Gω in un intorno dell’identita risulta essere quella prodottodella struttura differenziabile standard di U(1) e di quella di G e la funzione ω : G× G → U(1)e ottenuta da quella in proposizione 11.10 per mezzo di una trasformazione di equivalenza inmodo che risulti C∞ in un intorno di (e, e).(c) L’applicazione (1, g) 7→ V(1,g) risulta essere una rappresentazione unitaria proiettiva forte-mente continua che induce G 3 g 7→ γg. Cioe :

γg(ρ) = V(1,g)ρV−1

(1,g) per ogni g ∈ G e ρ ∈ Sp(H).

Assumiamo dunque, in base al teorema citato, che ogni rappresentazione proiettiva fortementecontinua di un gruppo di Lie G si possa ottenere come una rappresentazione unitaria proiettivafortemente continua di un’estensione centrale G che sia a sua volta un gruppo di Lie.Questo risultato consente di provare il teorema di Bargmann menzionato sopra.Vediamo euristicamente l’idea fondamentale della dimostrazione. Consideriamo un gruppo diLie G (che nel teorema sara connesso e semplicemente connesso) ed le sue estensioni centralitramite U(1), Gω. Come detto sopra, le rappresentazione unitarie proiettive di G si possonotutte vedere come rappresentazioni propriamente unitarie delle estensioni centrali di G tramiteU(1). Ci chiediamo allora quando le rappresentazioni unitarie continue di Gω siano riconducibilia rappresentazioni unitarie continue di G stesso. L’algebra di Lie di Gω e , come spazio vettoriale,la somma diretta R⊕ TeG. Le relazioni di commutazione si possono scrivere:[

r ⊕ T, r′ ⊕ T ′]

= α(T, T ′)⊕ [T, T ′] ,

dove r⊕T indica l’elemento generico di R⊕TeG e α : TeG×TeG→ TeG e una funzione bilineareantisimmetrica. Un modo alternativo con cui si trova spesso scritta tale relazione e il seguente,fissando una base di GeT :

[Ti, Tj ] = αijI +n∑k=1

CijkTk , (11.79)

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dove, e stato scelto r = r′ = 0 ed, ovviamente, αij := α(Ti, Tj). Questi numeri soddisfano, per co-struzione, la condizione di antisimmetria αij = αji, ed un’altra condizione dovuta all’identita diJacobi (e corrispondente alla (11.83) nelle ipotesi del teorema di Bargmann sotto):

αij = αji , (11.80)n∑s=1

(Cijsαsk + Cjksαsi + Ckisαsj) = 0 . (11.81)

I numeri αij vengono spesso denominate cariche centrali. L’idea centrale del teorema diBargmann e di cercare di ridefinire l’insieme dei generatori differenti da I:

Tk → T ′k := βkI + Tk

in modo tale che che i numeri βk riassorbano le cariche centrali, riottenendo le regole dicommutazione l’algebra di Lie di G:

[T ′i , T′j ] =

n∑k=1

CijkT′k .

Se questo e possibile, ci si aspetta che una rappresentazione unitaria di Gω si possa pensare comerappresentazione unitaria di G stesso. In riferimento alla (11.79), si capisce che questo e veroquando i coefficienti βk risolvono l’equazione (si noti che le Cijk e le αij sono assegnate una voltanoto Gω):

αij =n∑k=1

Cijkβk . (11.82)

L’ipotesi del teorema di Bargmann espressa con la (11.84) non e altro che la trascrizione della(11.82), come si vedra nella dimostrazione. In effetti la funzione lineare β che appare nelle ipotesie completamente individuata dai coefficienti βk dalla richiesta β(Tk) := βk.

Teorema 11.9 (di Bargmann). Sia G un gruppo di Lie connesso e semplicemente connesso.Ogni rappresentazione proiettiva continua di G sullo spazio di Hilbert H e indotta da una rap-presentazione unitaria fortemente continua su H se la seguente richiesta e soddisfatta. Per ogniapplicazione bilineare antisimmetrica: α : TeG× TeG→ R che soddisfa

α([T, T ′], T ′′

)+ α

([T ′, T ′′], T

)+ α

([T ′′, T ], T ′

)= 0 per ogni T, T ′, T ′′ ∈ TeG, (11.83)

esiste un’applicazione lineare β : TeG→ R tale che:

α(T, T ′) = β([T, T ′]

)per ogni T, T ′ ∈ TeG. (11.84)

Prova. Consideriamo una rappresentazione proiettiva continua γ : G 3 g 7→ γg sullo spaziodi Hilbert H. Sappiamo, per il teorema 11.17, che e possibile, scegliendo opportunamente la

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funzione dei moltiplicatori, definire un’estensione centrale Gω di G tramite U(1), che sia ungruppo di Lie, ed una rappresentazione unitaria proiettiva V : G 3 g 7→ Vg su H fortementecontinua che induce γ. Gli omomorfismi di inclusione e proiezione canonica sono di gruppi diLie, la struttura differenziabile nell’intorno dell’identita di Gω e quella del prodotto U(1)×G edinfine, la funzione ω e differenziabile rispetto alla struttura differenziabile di G× G nell’intornodi (e, e).Senza perdere generalita , assumeremo che la funzione dei moltiplicatori sia normalizzata inmodo tale che χ(e, g) = χ(g, e) = 1 e quindi l’elemento neutro di Gω sia (1, e). Come sappiamo,ci si puo sempre ricondurre a tale situazione con una trasformazione di equivalenza tramite unafunzione costante, come precisato precedentemente. Dal punto di vista della struttura di spaziovettoriale reale, l’algebra di Lie di Gω e lo spazio R⊕TeG, dove ⊕ indica la somma diretta (nonortogonale, visto che non abbiamo definito alcuna nozione di prodotto scalare). Indicheremo conr⊕T gli elementi di tale spazio vettoriale, con r ∈ R e T ∈ TeG. Dalla definizione di commutatoredi Lie, con qualche calcolo e facendo uso di (11.70), si ha che, se [ , ] e il commutatore di Lie suTeG, il commutatore [ , ]ω su T1⊕eGω ha la forma:[

r ⊕ T, r′ ⊕ T ′]ω = α(T, T ′)⊕ [T, T ′] (11.85)

dove α : TeG × TeG → R e una funzione bilineare antisimmetrica che soddisfa la (11.83), invirtu dell’identitita di Jacobi per [ , ]ω. Vogliamo ora dimostrare che il rivestimento universaledi Gω e il gruppo di Lie R⊗G, dove ⊗ indica il prodotto diretto dei due gruppi di Lie (R e pensatocome gruppo di Lie additivo). Si osservi che il prodotto diretto di due gruppi di Lie e a suavolta un gruppo di Lie con la struttura analitica prodotto delle due strutture analitiche deifattori. Il gruppo di Lie R ⊗ G, come spazio topologico, e lo spazio topologico prodotto R ⊗ Ged e pertanto semplicemente connesso dato che sia R che G sono semplicemente connessi. Per ilteorema 11.4 A, deve quindi essere, a meno di isomorfismi di gruppi di Lie, l’unico gruppo di Liesemplicemente connesso con quella algebra di Lie e deve coincidere con il gruppo di rivestimentouniversale di tutti i gruppi di Lie che hanno l’algebra di Lie di R ⊗ G. Mostreremo che uno diessi e Gω. L’algebra di Lie di R⊗G e R⊕TeG come spazio vettoriale, mentre il commutatore diLie vale: [

r ⊕ T, r′ ⊕ T ′]⊗ = 0⊕ [T, T ′] (11.86)

Per dimostrare quanto detto e sufficiente provare che esiste un isomorfismo di algebre di Lie chetrasformi l’algebra di Lie di R ⊗ G nell’algebra di Lie di Gω, nell’ipotesi del nostro teorema,cioe quando esiste la funzione β : TeG → R che soddisfi (11.84). Costruiamo tale isomorfismodi algebre di Lie. Fissiamo una base nell’algebra di Lie di G: T1, . . . , Tn ed una corrispondentebase

1⊕ 0, 0⊕ T1, . . . , 0⊕ Tn ∈ T(0,e)R⊗ G

nell’algebra di Lie di R⊗ G. Consideriamo poi la nuova base nell’algebra di Lie di ÓGω, data da:

1⊕ 0, β(T1)⊕ T1, . . . , β(Tn)⊕ Tn ∈ T(1,e)ÓGω .

Che questa sia una base e evidente dal fatto che i vettori menzionati sopra sono linearmenteindipendenti se T1, . . . , Tn sono una base per l’algebra di Lie di G. Consideriamo infine l’unica

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applicazione lineare biettiva f : T(0,e)R⊗ G→ T(1,e)Gω tale che:

f(1⊕ 0) := 1⊕ 0 , f (0⊕ Tk) := β(Tk)⊕ Tk per k = 1, 2, . . . , n.

Dimostriamo che tale funzione conserva il commutatore di Lie, cioe

[f(r ⊕ T ) , f(r′ ⊕ T ′)]ω = f([r ⊕ T , r′ ⊕ T ]⊗) ,

ed e dunque un isomorfismo di Lie. Dato che f e lineare ed i commutatori di Lie sono bilinearied antisimmetrici, e sufficiente provare questo fatto su coppie di elementi di base differenti.Evidentemente si ha che [f(1 ⊕ 0) , f(0 ⊕ Tk)]ω = 0 = f ([1⊕ 0 , 0⊕ Tk]⊗). Per i rimanenticommutatori non banalmente nulli abbiamo che:

[f(0⊕Th) , f(0⊕Tk)]ω = [β(Th)⊕Th , β(Tk)⊕Tk]ω = α(Th, Tk)[Th, Tk] = β([Th, Tk])⊕ [Th, Tk] =

= β

(n∑s=1

ChksTs

)⊕

n∑s=1

ChksTs =n∑s=1

Chks (β(Ts)⊕ Ts) =n∑s=1

Chksf (0⊕ Ts) =

= f

(n∑s=1

Chks0⊕ Ts

)= f ([0,⊕Th , 0⊕ Ts]⊗) .

dove abbiamo indicato con Chks le constanti di struttura dell’algebra di Lie di G nella baseT1, . . . , Tn. Concludiamo che il gruppo di rivestimento universale di Gω e R⊗ G e che esiste unomomorfismo di gruppi di Lie surgettivo:

Π : R⊗ G 3 (r, g) 7→ (χ(r, g), h(r, g)) ∈ Gω ,

tale che (e questa condizione lo determina unicamente per il teorema 11.4 B):

dΠ|(0,g) = f . (11.87)

Ora studiamo l’omomorfismo Π in dettaglio, tenendo conto della struttura di estensione centraledi G secondo U(1) che possiede Gω. Possiamo sempre decomporre

R⊗ G 3 (r, g) = (r, e) · (0, g) ,

dove (r, e) appartiene al sottogruppo di Lie R di R⊗G e (0, g) appartiene al sottogruppo di LieG di R⊗ G. Si dimostra facilmente che Π : (r, e) 7→ (χ(r, e), e). Infatti Π trasforma (r, e) · (r, e)in (χ(r, e), h(r, e)) · (χ(r, e), h(r, e)) = (χ(r, e)χ(r, e)ω(h(r, e), h(r, e)) , h(r, e)h(r, e)). Dato che(r, e) · (r, e) = (2r, e) e che Π e un omomorfismo, deve risultare che

(χ(r, e)χ(r, e)ω(h(r, e), h(r, e)) , h(r, e)h(r, e)) = (χ(2r, e), h(r, e)) .

Moltiplicando ambo i membri per (1, h(r, e)−1) si conclude, in particolare, che deve essereh(r, e) = e. Concludiamo che, se definiamo χ(r) := χ(r, e) allora deve valere:

Π : (r, e) 7→ (χ(r), e) e χ(r)χ(r′) = χ(r + r′) per ogni r, r′ ∈ R.

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La seconda identita segue subito dal fatto che ω(h(r, e), h(r′, e)) = ω(e, e) = 1 e dal fatto che Πe un omomorfismo. Definendo h(g) := h(0, g) e φ(g) := χ(0, g), possiamo allora scrivere che:

Π : R⊗ G 3 (r, g) 7→ (χ(r)φ(g), h(g)) ∈ Gω . (11.88)

Studiamo ora l’applicazione h : (0, g) 7→ g dimostrando che e un isomorfismo di gruppi di Lie.Dato che Π e un omomorfismo gruppale abbiamo che deve trasformare il prodotto (r, g) · (r′, g′)nel prodotto delle immagini e pertanto vale:

(χ(r), h(g)) · (χ(r), h(g′)) = (χ(r + r′)φ(g)φ(g′)ω(h(g), h(g′)) , h(gg′)) .

Si osservi che questo implica che la funzione h : G 3 g ≡ (0, g) 7→ h(g) ∈ G – dove il primoG e pensato come sottogruppo di Lie di R ⊗ G – e un omomorfismo gruppale. Dato che Πe surgettiva, h deve essere surgettiva. Infine, dato che la funzione Gω(χ, s) 7→ s ∈ G e unomomorfismo surgettivo di gruppi di Lie per definizione di estensione centrale, concludiamo cheh : G 3 g 7→ h(g) ∈ G e un omomorfismo surgettivo di gruppi di Lie. Ricordando che vale la(11.87), si verifica facilmente che dh : 0⊕ Tk → Tk. Di conseguenza, per (iii) di (b) nel teorema11.4 B, dh e il differenziale, calcolato sull’identita , di un unico omomorfismo di gruppi di Lie daG (visto come sottogruppo di R⊕G) a G, che e un isomorfismo di gruppi di Lie. Per costruzione,tale isomorfismo deve coincidere con h stesso.Per concludere studiamo la funzione dei moltiplicatori ω e la funzione φ : G → U(1). Valeφ(e) = 1, dato che Π : (0, e) 7→ (1, e). Dato che Φ : (0, g) 7→ (φ(g), h(g)) e omomorfismo digruppi di Lie e la struttura differenziabile (analitica rale) di Gω e quella prodotto nell’intornodell’identita , la funzione φ sara differenziabile in un intorno dell’identita . La proiezione Πtrasforma il prodotto (0, g) · (0, g′) nel prodotto delle immagini secondo Π. Di conseguenza deveessere:

(φ(g)φ(g′)ω(h(g), h(g′)) , h(gg′)) = (φ(gg′), h(gg′)) ,

da cui:φ(g)φ(g′)ω(h(g), h(g′)) = φ(gg′) per ogni g, g′ ∈ G. (11.89)

Possiamo allora concludere esibendo una rappresentazione unitaria continua U : G 3 g 7→ Ugche induce la rappresentazione proiettiva iniziale γ. Tenendo conto del fatto che che h : G→ Ge un isomorfismo di gruppi di Lie, definiamo

Ug := φ(h−1(g))Vg per ogni g ∈ G.

Per costruzione questa rappresentazione unitaria proiettiva induce γ, dato che φ(h−1(g)) ∈ U(1).D’altra parte vale anche, per (11.89):

UgU′g = φ(h−1(g))φ(h−1(g′))VgVg′ = ω(g, g′)φ(h−1(g))φ(h−1(g′))Vgg′ = φ(gg′)Vgg′ = Ugg′ .

Pertanto la rappresentazione U e una rappresentazione propriamente unitaria. Per concluderemostriamo che tale rappresentazione e continua. Per costruzione, dato che la rappresentazioneV e continua, h−1 e continuo, h−1(e) = e e φ e continua in un intorno di e, allora g 7→ Ug =

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φ(h−1(g))Vg e sicuramente continua in un intorno A dell’elemento neutro e di G. Il fatto che U siauna rappresentazione di operatori unitari implica che sia continua (nella topologia operatorialeforte che stiamo considerando) ovunque. Infatti, se ψ ∈ H:

||Ugψ − Ug0ψ|| = ||Ug−10

(Ugψ − Ug0ψ)|| = ||Ug−10 gψ − ψ|| → 0 se g → g0.

Abbiamo usato il fatto che g−10 g ∈ A se g e in un intorno sufficientemente piccolo di g0 essendo

G un gruppo topologico. 2

Osservazioni.(1) Si osservi che, in base ad un’osservazione fatta sopra, il teorema di Bargmann fornisce in-formazioni anche per il caso in cui il gruppo di Lie connesso non sia semplicemente connesso,pensando le sue rappresentazioni proiettive come rappresentazioni del rivestimento universale,che per costruzione e sempre semplicemente connesso.(2) Esiste un modo alternativo e piu avanzato di enunciare il teorema di Bargmann facendouso della teoria della coomologia di gruppi di Lie. L’ipotesi di esistenza della funzione lineare βper ogni funzione bilineare antisimmetrica α che soddisfi la (11.83) equivale a dire che il secon-do gruppo di coomologia, H2(TeG,R), e banale [BaRa86, Kir74]. Un risultato importante chesi ottiene con tecniche di coomologia gruppale, e che le ipotesi del teorema di Bargmann sonosoddisfatte per in gruppo di Lie semplicemente connesso G, se la sua algebra di Lie e sempliceoppure semisemplice.

Ora ci occuperemo del problema opposto, cioe di come costruire delle rappresentazioni proiet-tive continue che rappresentino un gruppo di simmetria topologico individuato da un gruppodi Lie. Sappiamo che e sufficiente saper costruire delle rappresentazioni unitarie continue delleestensioni centrali del gruppo. Per cui ci concentriamo sul problema di costruire rappresenta-zioni unitarie fortemente continue di un gruppo di Lie assegnato. L’idea e quella di costruiretali rappresentazioni partendo da una rappresentazione dell’algebra di Lie del gruppo in termi-ni di operatori autoaggiunti, con una procedura simile all’esponenziazione dei generatori di ungruppo di Lie. Dal punto di vista fisico, tale procedura e interessante perche i generatori hannospesso un preciso significato fisico. Nel prossimo capitolo vederemo che tali generatori (operatoriautoaggiunti), rappresentano grandezze conservate durante il moto del sistema, se l’evoluzionetemporale e un sottogruppo del gruppo di simmetria.

Per prima cosa ci occupiamo del problema di costruire una rappresentazione operatoriale del-l’algebra di Lie di un gruppo di Lie, quando abbiamo una rappresentazione unitaria fortementecontinua del gruppo di Lie. Consideriamo una rappresentazione unitaria fortemente continuadel gruppo di Lie G:

G 3 g 7→ Ug ,

sullo spazio di Hilbert H. Fissiamo, G, un sottogruppo ad un parametro R 3 t 7→ exp(tT )associato all’elemento T ∈ TeG dell’algebra di Lie. Il teorema 9.5 di Stone ci assicura che valga:

Uexp(tT ) = e−itAU (T ) per ogni t ∈ R, (11.90)

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dove AU (T ) e un operatore autoaggiunto in H, non limitato nel caso generale (il segno − e fissatoper convenzione) con dominio D(AU (T )), completamente individuato dall’elemento T ∈ TeG.Diremo allora che che gli operatori autoaggiunti AU (T ), con T ∈ TeG sono i generatori dellarappresentazione U . Essi sono definiti, dal teorema di Stone, come:

AU (T )ψ := id

dt|t=0Uexp(tT )ψ se e solo se ψ ∈ D(AU (T )). (11.91)

Riguardo al fatto che gli operatori −iAU (T ) definiscano una rappresentazione dell’algebra di Liedi G, possiamo dunque al massimo sperare che valgano relazioni del tipo:

(AU (T )AU (T ′)−AU (T ′)AU (T ))ψ = iAU ([T, T ′])ψ (11.92)

per ψ ∈ D, dove D ⊂ D(AU (T )) e un sottospazio invariante sotto l’azione di tutti gli operatoriAU (T ). In effetti e ben noto [BaRa86] che un tale spazio D esista e sia denso in H. Una primaversione dello spazio in questione, che indicheremo con DG, si chiama spazio di Garding,ed e definito come il sottospazio di H che contiene tutti i vettori ψ tali che G 3 g 7→ Ugψ euna funzione infinitamente differenziabile, calcolando la derivata nella topologia dello spazio diHilbert ed in un qualsiasi sistema di coordinate locali su G. Si dimostra che, se ψ e nello spaziodi Garding, allora DG risulta essere denso ed invariante sotto l’azione degli operatori AU (T ),inoltre l’applicazione TeG 3 T 7→ −iAU (T )DG

e una rappresentazione dell’algebra di Lie TeG,nel senso che si tratta di un’applicazione lineare che verifica la (11.92) [BaRa86].Un risultato tecnicamente utile e il seguente dovuto a Garding [BaRa86] precisa, in particolare,che DG e un core per i generatori.

Teorema 11.10 (di Garding). Se G e un gruppo di Lie e G 3 g 7→ Ug e una rappresentazioneunitaria fortemente continua sullo spazio di Hilbert H, definito lo spazio DG e la rappresentazio-ne dell’algebra di Lie TeG 3 T 7→ −iAU (T ) sullo spazio DG come precisato sopra, ogni operatoreAU (T ) ed ogni polinomio p(AU (T )), per T ∈ TeG, e essenzialmente autoaggiunti su DG.

Esiste un secondo spazio DN con caratteristiche analoghe a quelle di DG, individuato da Nel-son [BaRa86], che risulta piu utile dello spazio di Garding per ricostruire la rappresentazione Upartendo dalla rappresentazione dell’algebra di Lie ed esponenziandola.Per definizione DN contiene i vettori ψ ∈ H tali che G 3 g 7→ Ugψ sia una funzione analiti-ca reale di g, cioe sviluppabile in serie di potenze in un sistema di coordinate della strutturaanalitica del gruppo G nell’intorno di ogni punto. I vettori di DN si dicono vettori analiticidella rappresentazione U e DN e lo spazio dei vettori analitici della rappresentazio-ne U . Dunque risulta che [BaRa86] DN ⊂ DG e, ancora, DN risulta essere invariante sottol’azione degli operatori AU (T ) ed anche sotto l’azione di ogni Ug, g ∈ G, inoltre l’applicazioneTeG 3 T 7→ −iAU (T )DN

e una rappresentazione dell’algebra di Lie TeG, nel senso che si trattadi un’applicazione lineare che verifica la (11.92) [BaRa86].C’e un importante legame tra vettori analitici nel senso di elementi di DN e vettori analitici nelsenso del cap 9. Vale infatti la seguente importante proposizione dovuta a Nelson [BaRa86],

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che tra le altre cose implica immediatamente che DN e denso in H, come detto sopra, dato chei vettori analitici di un operatore autoaggiunto formano un insieme denso come provato nellaproposizione 9.10.

Proposizione 11.14. Sia G e un gruppo di Lie e G 3 g 7→ Ug e una rappresentazione unitariafortemente continua sullo spazio di Hilbert H. Sia T1, . . . , Tn ∈ TeG una base dell’algebra di Liedi G. Definito l’operatore di Nelson su DG:

∆ :=n∑k=1

AU (Tk)2 ,

dove tutti gli operatori A(Tk) sono pensati con dominio ristretto a DG, vale quanto segue.(a) ∆ e essenzialmente autoaggiunto.(b) Ogni vettore analitico dell’operatore autoaggiunto ∆ e un vettore analitico per la rappresen-tazione U (cioe e un elemento di DN ).(c) Ogni vettore analitico dell’operatore autoaggiunto ∆ e un vettore analitico per ogni operatoreA(Tk) (che e quindi essenzialmente autoaggiunto su DN per il criterio di Nelson)10.

Possiamo enunciare il famoso teorema di Nelson che consente di associare a rappresentazionidell’algebra di Lie delle rappresentazioni dell’unico gruppo di Lie semplicemente connesso asso-ciato a tale algebra di Lie.

Teorema 11.11 (di Nelson). Si consideri un’algebra di Lie reale n-dimensionale, V , di ope-ratori −iT – con ogni T simmetrico sullo spazio di Hilbert H, definito su un comune spaziovettoriale D in denso in H invariante sotto l’azione degli elementi di V – e con commutatore diLie e dato l’ordinario commutatore di operatori.Sia T1, · · · , Tn ∈ V una base di V e si definisca l’operatore di Nelson con dominio D:

∆ :=n∑k=1

T 2k .

Se ∆ e essenzialmente autoaggiunto, allora esiste una rappresentazione unitaria fortementecontinua su H:

GL 3 g 7→ Ug

dell’unico gruppo di Lie GV semplicemente connesso che ammette V come algebra di Lie e talerappresentazione e unicamente determinata dalla richiesta che:

T = AU (T ) per ogni T ∈ V

In particolare gli operatori simmetrici T risultano essere essenzialmente autoaggiunti su D, es-sendo la loro chiusura autoaggiunta.

10Gli statements (a) e (b) costituiscono il teorema 2 nel cap. 11 sezione 3 di [BaRa86]. Lo statement (c) seguedal lemma 7 nel cap. 11 sezione 2 di [BaRa86] e da (c) in proposizione 9.8 di questo libro.

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Le ipotesi del teorema possono essere indebolite come provato da Flato, Simon, Snellman eSternheimer come segue [BaRa86].

Teorema 11.12 (FS3). Si consideri un’algebra di Lie reale n-dimensionale, V, di operatori−iT – con ogni T simmetrico sullo spazio di Hilbert H, definito su un comune spazio vettorialeD in denso in H invariante sotto l’azione degli elementi di V – e con commutatore di Lie e datol’ordinario commutatore di operatori.Sia T1, · · · , Tn ∈ V una base di V. Se gli elementi di D sono vettori analitici per ogni operatoreTk, k = 1, . . . , n, allora esiste una rappresentazione unitaria fortemente continua su H:

GL 3 g 7→ Ug

dell’unico gruppo di Lie GV semplicemente connesso che ammette V come algebra di Lie e talerappresentazione e unicamente determinata dalla richiesta che:

T = AU (T ) per ogni T ∈ V

In particolare gli operatori simmetrici T risultano essere essenzialmente autoaggiunti su D, es-sendo la loro chiusura autoaggiunta.

Esempi 11.6.Consideriamo due classi di operatori Pk e Xk, k = 1, 2, . . . , n, definiti su un sottospazio vettorialedenso D ⊂ H di uno spazio di Hilbert e supponiamo che risultino essere simmetrici su tale do-minio. Assumiamo che tali operatori soddisfino, sul dominio detto, le relazioni di commutazionedi Heisenberg discusse nel capitolo 10 (dove poniamo ~ = 1):

[−iXh,−iPk] = −iδhkI k, h = 1, . . . , n. (11.93)

Possiamo allora completare le classi di operatori detti aggiungendo −iI tra i generatori. Glioperatori −iI,−iX1, . . . ,−iXn,−iP1, . . . ,−iPn formano in tal modo una base per l’algebra diLie del gruppo di Heisenberg H (n) su R2n+1 introdotto al termine del capitolo 10. Tale gruppodi Lie e semplicemente connesso. Il teorema di Nelson ci assicura che se, su D, l’operatore:

∆− I :=n∑k=1

X2k +

n∑k=1

P2k

e essenzialmente autoaggiunto (in realta si dovrebbe considerare ∆, ma d’altra parte e evidenteche ∆ e essenzialmente autoaggiunto se e solo se lo e ∆ − I), allora esiste un’unica rappresen-tazione unitaria e fortemente continua, H (n) 3 (η, t,u) 7→ H((η, t,u)) su H, che ammette glioperatori, che risultano dunque essere autoaggiunti: I, Xh =: Xh e Ph =: Ph, h = 1, . . . , ncome generatori. Possiamo concludere che se la rappresentazione del gruppo di Heisenberg cheabbiamo determinato e irriducibile, allora, in base al teorema di Stone - von Neumann (ovveroal teorema 10.5, vedi capitolo 10), esiste una trasformazione unitaria da H a L2(Rn, dx) chetrasforma gli operatori Xh e Ph nei soliti operatori posizione ed impulso definiti nell’assioma

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A.5 del capitolo 10 (per il caso n = 3, oppure con l’ovvia generalizzazione negli altri casi).Un esempio elementare e dato dal caso n = 1, con H = L2(R, dx) e dagli operatori X, pensatocome operatore moltiplicativo per la coordinata x, e P := −i ∂∂x , definendo D come lo spaziodi Schwartz S(R). In questo caso, l’operatore ∆− I coincide con l’hamiltoniano dell’oscillatorearmonico discusso nel capitolo 9. ∆− I ammette una base di autovettori date dalle funzioni diHermite (che appartengono a S(R)), che formano una base hilbertiana di L2(R, dx). Pertanto∆−I (e quindi anche ∆, per la proposizione 9.8) ammette un insieme di vettori analitici (appun-to le funzioni di Hermite) le cui combinazioni lineari finite sono dense nello spazio di Hilbert. Peril criterio di Nelson ∆− I e essenzialmente autoaggiunto e quindi possiamo applicare il risultatodi sopra.

11.2.7 Un esempio: il gruppo di simmetria SO(3) e lo spin

Considereremo ora le rappresentazioni unitarie del gruppo SU(2), visto come gruppo di rivesti-mento universale di SO(3). Le rappresentazioni unitarie di SU(2) saranno usate per definirel’azione del gruppo di simmetria topologico (e di Lie) SO(3) – azione data da una rappresenta-zione proiettiva – sul sistema fisico dato da una particella di spin s.

Consideriamo lo spazio di Hilbert L2(R3, dx) sul quale, fino ad ora, veniva descritto il sistemaquantistico di una particella (dopo aver fissato un sistema di riferimento inerziale I, che identificalo spazio R3 con il suo spazio di quiete, in relazione ad una terna di assi cartesiani ortonormalidestrorsi solidali con I stesso). L’esperienza mostra che questa descrizione non e fisicamente ade-guata: lo spazio di Hilbert L2(R3, dx) non e sempre sufficiente a rendere conto della strutturafisica delle particelle reali. Le particelle reali possiedono una proprieta fisica che si dice spin,individuata da un numero s costante che e associato alla particella in modo simile alla massa,ma che puo assumere solo valori interi e semi interi s = 0, 1/2, 1, 3/2, . . ..Dal punto di vista fisico la proprieta di avere spin significa che la particella ha un momentoangolare intrinseco [CCP82] ed esistono osservabili, non rappresentabili tramite le osservabilifondamentali posizione ed impulso, che descrivono questo momento angolare intrinseco. Riassu-miamo la struttura matematica coinvolta, rimandando a [CCP82] per un’esauriente discussionefisica su questo importantissimo argomento.Se la particella ha spin s = 0, la descrizione e la solita di particella senza spin. Se la particellapossiede spin s = 1/2, il suo spazio di Hilbert e piu grande e coincide con il prodotto tensorialeL2(R3, dx)⊗C2, dove C2 e lo spazio (di Hilbert) dello spin. I tre operatori di spin sono lematrici hermitiane Sk := ~

2σk, k = 1, 2, 3 e dove le matrici σk sono le matrici di Pauli introdotteprecedentemente. In questo modo valgono le relazioni di commutazione:

[−iSi,−iSj ] =3∑

k=1

εijk(−iSk) . (11.94)

Le osservabili associate agli operatori di spin sono le tre componenti, rispetto agli assi delriferimento inerziale considerato, del momento angolare intrinseco della particella. Nel caso di

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spin s = 1/2, i valori possibili di ciascuna delle componenti sono solo −~/2 e ~/2, come seguesubito dal fatto che gli autovalori di ciascuna matrice di Pauli sono ±1.Nel caso di particelle con spin s generico, la descrizione e la stessa, con l’eccezione che lo spaziodi spin e ora individuato da C2s+1. In tale spazio, le matrici dei tre operatori di spin, Sk, nonsono ~

2σk, ma tre matrici hermitiane Sk che soddisfano ancora le relazioni (11.94) e tali che,ciascuna di esse, abbia 2s+ 1 autovalori pari a: −~s,−~(s− 1), . . . , ~(s− 1), ~s, con autospazidi dimensione 1. Per la costruzione delle matrici Sk e l’analisi del concetto di spin rimandiamoa [CCP82]. Le uniche tre precisazioni che facciamo sono le seguenti.(a) l’operatore S2 :=

∑3k=1 S

2k risulta sempre soddisfare, se I : C2s+1 → C2s+1 e la matrice

identita :S2 = ~2s(s+ 1)I .

(b) Lo spazio C2s+1 risulta essere irriducibile rispetto alla rappresentazione di SU(2) ottenutaesponenziando le matrici −iSk:

V (s) : SU(2) 3 e−iθ~2n·σ 7→ e−iθn·S . (11.95)

Al variare di s = 0, 1/2, 1, 3/2, . . ., a meno di equivalenza unitaria, le V (s) riproducono tutte lerappresentazioni irriducibili finito-dimensionale di SU(2).(c) La matrice S3 e scelta in modo tale che coincida con ~ diag(s, s− 1, . . . ,−s+ 1,−s). Solita-mente la base hilbertiana di autovettori di S3 che viene quindi a coincidere con la base canonicadi C2s+1 viene indicata con |s, s3〉|s3|≤s. Gli stati puri Ψ(Ψ| ) della particella con spin s sonodunque individuati da un set di 2s+ 1 funzioni d’onda ψs3 di L2(R3, dx) con norma unitaria, inmodo tale che lo stato puro sia individuato dal vettore normalizzato a 1:

Ψ =∑|s3|≤s

ψs3 ⊗ |s, s3〉 .

Dato che, in base alla decomposizione appena scritta, L2(R3, dx)⊗C2s+1 e naturalmente isomorfoalla somma diretta ortogonale di 2s+1 copie di L2(R3, dx), tali vettori si identificano con vettoricolonna di funzioni d’onda:

Ψ ≡ (ψs, ψs−1, · · · , ψ−s+1, ψ−s)t

che nel gergo della Meccanica Quantistica vengono chiamati spinori di ordine s.Se s e un numero intero, la rappresentazione SU(2) 3 e−iθ

~2n·σ 7→ e−iθn·S in C2s+1, associata alle

tre matrici di spin, risulta essere una rappresentazione fedele di SO(3), dato che il nucleo ±Idell’omomorfismo di ricoprimento SU(2)→ SO(3) e rappresentato dalla matrice I. Se s e semiintero la rappresentazione scritta sopra risulta essere una rappresentazione fedele di SU(2).

Ora mostreremo il legame che esiste tra momento angolare totale e gruppo SU(2), ovvero gruppodelle rotazioni SO(3). Nello spazio completo della particella con spin s, H = L2(R3, dx)⊗C2s+1

introduciamo gli operatori di momento angolare (totale):

Jk = Lk ⊗ I + I ⊗ Sk , (11.96)

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dove gli operatori di momento angolare orbitale, Lk, definiti in (9.82) e discussi nel capitolo 9,sono gli operatori le cui chiusure sono le osservabili associate alle tre componenti del momentoangolare orbitale. I indica l’operatore identita : il primo su C2s+1 ed il secondo su L2(R2, dx).Il dominio e dato dal sottospazio lineare invariante: D := S(R3)⊗C2s+1. Per costruzione, questioperatori soddisfano le relazioni di commutazione dell’algebra di Lie di SO(3):

[−iJi,−iJj ] =3∑

k=1

εijk(−iJk) . (11.97)

Vogliamo ora applicare il teorema 11.11 di Nelson all’algebra di Lie cha ha una base data daglioperatori Jk. Consideriamo l’operatore simmetrico:

J2 =3∑

k=1

(Lk ⊗ I + I ⊗ Sk)2

definito su D. Tale operatore ammette una base hilbertiana di autovettori che si ottiene partendodalla base hilbertiana di H data da tutti i prodotti tensoriali

|l,m, sz, n〉 := Y lmψn ⊗ |s, sz〉 ∈ D ⊂ L2(R3, dx)⊗ C2s+1

dove l = 0, 1, 2 . . . ,, m = −l,−l + 1, . . . , l − 1, l, n = 0, 1, 2, . . . e sz = −s,−s+ 1, . . . , s− 1, s e ivettori |s, sz〉 ∈ C2s+1 sono gli autovettori di S3, con norma 1 e con autovalore sz. Dato che S3

e hermitiana, i 2s+1 vettori |s, sz〉 formano una base ortonormale di C2s+1. La base hilbertiana diL2(R3, dx) di vettori Y l

mψn (9.92) e stata definita nel capitolo 9. La proposizione 9.6 assicura chei vettori Y l

mψn⊗|s, sz〉 formino una base hilbertiana per lo spazio prodotto. La base hilbertianadegli |l,m, sz, n〉 non e composta da autovettori di J2. Esiste una procedura puramente algebrica,detta procedura di Clebsch-Gordan11 [CCP82], che mostra che, prendendo combinazioni linearifinite di vettori |l,m, sz, n〉, si puo costruire una base hilbertiana di autovettori di J2, Jz, L2:

|j, j3, l, n〉 dove |l + s| ≥ j ≥ |l − s|, l = 0, 1, 2, . . . j3 = −j,−j + 1, . . . , j + 1, j, n = 1, 2, . . .,

ed e sottinteso sopra che i valori di j differiscano per numeri interi. Vale:

J2|j, j3, l, n〉 = ~2j(j + 1)|j, j3, n〉 , J3|j, j3, n〉 = ~jz|j, j3, n〉 , L2|j, j3, n〉 = ~l(l + 1)|j, j3, n〉 .

I vettori |j, j3, l, n〉 sono ancora in D essendo combinazioni lineari finite dei vettori |l,m, s, sz, n〉.Essendo autovettori di J2, tali vettori sono vettori analitici di J2. Per il criterio di Nelson, J2

e essenzialmente autoaggiunto su D. Applicando il teorema di Nelson, abbiamo anche che esisteuna rappresentazione unitaria fortemente continua di SU(2) sullo spazio H, i cui generatori sonogli operatori autoaggiunti Jk := Jk = Lk ⊗ I + I ⊗ Sk. (Si osservi che Lk ⊗ I = Lk ⊗ I dato chel’operatore I, in quel caso, e definito in uno spazio di Hilbert a dimensione finita.)

11Questa procedura e , a volte, irriverentemente menzionata dagli studenti come il calcolo dei “coefficienti diFlash Gordon”.

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Si dimostra (vedi esercizi) che la rappresentazione unitaria fortemente continua che si ottieneesponenziando gli operatori Jk, nel caso s = 0, e in realta una rappresentazione di SO(3) e coin-cide la rappresentazione che gia conoscevamo da (1) in esempi 11.2 con Γ ∈ IO(3) specializzataa Γ = R ∈ SO(3) (Tale rappresentazione e fortemente continua per quanto asserito in (1) inesempi 11.4.) Questo risultato implica facilmente che (vedi esercizi), nel caso generale di s 6= 0,la rappresentazione di SU(2) che si ottiene esponenziando i generatori Jk in base al teorema diNelson, ha la forma:

SU(2) 3 e−iθ~2n·σ 7→ e−iθn·J = e−iθn·L ⊗ V (s)

(e−i

θ2n·σ)

(11.98)

dove Lk := Lk e l’operatore autoaggiunto associato alla componente k-esima del momentoangolare orbitale, come gia definito nel capitolo 9. Inoltre vale:

e−iθn·Lψ

(x) = ψeθn·Tx

, (11.99)

doveSU(2) 3 e−iθ

~2n·σ 7→ e−θn·T ∈ SO(3)

e l’omomorfismo suriettivo di ricoprimento di SU(2) su SO(3) citato in (6) di esempi 11.5.

Dal punto di vista fisico, si assume che la rappresentazione unitaria proiettiva di SO(3) indottadalla rappresentazione unitaria di SU(2) (11.98) corrisponda all’azione di SO(3) sulla particellacon spin s, pensando SO(3) come gruppo di simmetria per tale sistema.

Concludendo, abbiamo trovato una rappresentazione proiettiva del gruppo SO(3) sulla particel-la di spin generico s = 0, 1/2, 1, 3/2, 2, . . . che si assume essere l’azione del gruppo di simmetriaSO(3) sul sistema fisico considerato. Si osservi che solo per s intero, la rappresentazione pro-iettiva di SO(3) e inducibile da una rappresentazione unitaria di SO(3), nel caso di spin semiintero, la rappresentazione proiettiva e invece indotta da una rappresentazione unitaria di SU(2).

Esercizi 11.4.(1) Dimostrare che la rappresentazione unitaria fortemente continua di SU(2) che si ottieneesponenziando gli operatori Lk coincide la rappresentazione fortemente continua SO(3) 3 R 7→UR definita in esempi 11.2 (dove ora abbiamo ristretto Γ ∈ IO(3) a Γ = R ∈ SO(3)) e chee fortemente continua (vedi (1) in esempi 11.4)

Suggerimento. Per il teorema 11.11 di Nelson e sufficiente verificare che i gruppi ad un pa-rametro θ 7→ Ueθn·Tx con n = e1, e2, e3 sono generati dagli operatori autoaggiunti L1, L2, L3.Si tratta dunque di verificare cio . Conviene lavorare in coordinate polari, usando il core per glioperatori L1, L2, L3, dato dalle armoniche sferiche moltiplicate per gli elementi di una base diL2(R+, r

2dr).

(2) Dimostrare che la rappresentazione di SU(2), che si ottiene esponenziando i generatori Jkin base al teorema di Nelson, ha la forma:

SU(2) 3 e−iθ~2n·σ 7→ e−iθn·J = e−iθn·L ⊗ V (s)

(e−i

θ2n·σ).

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Suggerimento. Usare le proprieta del prodotto tensoriale di operatori per dimostrare che vale

e−iθn·J = e−iθn·L ⊗ V (s)(e−i

θ2n·σ).

Quindi la tesi si prova verificando che la rappresentazione SO(3) 3 R 7→ UR considerata nell’e-sercizio precedente si puo esprimere come: Ueθn·T = e−iθn·L. Sappiamo che questo e sicuramentevero, per esempio per n = e3. Il caso generale si ottiene notando che, da una parte,

U∗Re−iθn·LUR = e−iθn·U

∗RLUR

e tenendo conto di (3) in esercizi 11.1; dall’altra vale il risultato in (3) di esercizi 11.3.

11.2.8 Il gruppo di Galileo e la regola di Bargmann di superselezione dellamassa

In fisica classica, le trasformazioni tra coordinate cartesiane ortonormali solidali con due diffe-renti sistemi di riferimento inerziali I e I′ sono descritte dal gruppo di Galileo, G . In questosenso le trasformazioni di Galileo sono viste come trasformazioni passive. Con ovvie notazioni,tali trasformazioni si possono scrivere:

t′ = t+ c ,

x′i = ci + tvi +3∑j=1

Rijxj , i=1,2,3. (11.100)

dove c ∈ R, ci ∈ R e vi ∈ R sono costanti arbitrarie, ed i coefficienti costanti Rij definisconouna matrice R ∈ O(3). Ogni elemento del gruppo di Galileo, G , e dunque individuato da unaquaterna (c, c,v, R) ∈ R×R3 ×R3 ×O(3). Componendo due trasformazioni di Galileo, si vedeche le quaterne dette si compongono come:

(c2, c2,v2, R2) · (c1, c1,v1, R1) = (c1 + c2, R2c1 + c1v2 + c2, R2v1 + v2, R2R1) . (11.101)

Questa legge di composizione definisce una struttura di gruppo su R×R3×R3×O(3), definendo,appunto il gruppo di Galileo. In particolare, l’elemento neutro e (0,0,0, I) e l’elemento inversoe dato da:

(c, c,v, R)−1 = (−c,R−1(cv − c),−R−1v, R−1) . (11.102)

Si puo anche interpretare il gruppo di trasformazioni di Galileo come un gruppo di trasformazioniattive, che agiscono spostando attivamente gli eventi dello spaziotempo, individuando gli eventidello spaziotempo classico come vettori colonna (x, t)t, di coordinate in un sistema di coordinatecartesiane (ortonormali destrorse) di un riferimento inerziale fissato una volta per tutte.Il gruppo G agisce come un gruppo di matrici, se identifichiamo l’elemento generico (c, c,v, R) ∈G con la matrice reale 5× 5: R v c

0 1 c0 0 1

. (11.103)

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e contemporaneamente identifichiamo l vettori colonna (x, t)t ∈ R4 con i corrispondenti vettoricolonna (x, t, 1)t ∈ R5. In questo modo G acquista naturalmente una struttura di gruppo di Lie(matriciale), indotta da quella di GL(5,R) (la struttura differenziabile analitica reale e la stessache si otterrebbe inducendola da quella di R× R3 × R3 ×O(3)).Nel seguito ci restringeremo al cosiddetto gruppo di Galileo proprio, SG , che e il sottogruppodi Lie connesso di G i cui elementi hanno matrici R con determinante positivo, cioeR ∈ SO(3).Non considereremo dunque l’inversione di parita , che e nota non essere sempre una simmetriaper i sistemi quantistici e deve essere trattata a parte, almeno a livello quantistico.Il rivestimento universale di SG , SG , si ottiene sostituendo a SO(3) il suo rivestimento univer-sale SU(2) pensato come gruppo di Lie reale di dimensione 3 (sottogruppo di Lie di GL(4,R)).Di fatto SG e il gruppo di Lie con struttura differenziabile (analitica reale) di R×R3×R3×SU(2)e con legge di composizione:

(c2, c2,v2, U2) · (c1, c1,v1, U1) = (c1 + c2, R(U2)c1 + c1v2 + c2, R(U2)v1 + v2, U2U1) ,(11.104)

dove la funzione SU(2) 3 U 7→ R(U) ∈ SO(3) , e l’omomorfismo di ricoprimento discusso in (6)di esempi 11.5 (e negli esercizi 11.3). Questo gruppo di Lie e il rivestimento universale di SGessendo semplicemente connesso (perche prodotto di spazi semplicemente connessi) ed avendola stessa algebra di Lie di SG .Una base fisicamente interessante dell’algebra di Lie di SG e costituita di 10 generatori (notareil segno − davanti al primo generatore dovuto ad una convenzione):

−h ,pi , ji ,ki i=1,2,3, (11.105)

dove accade che:(i) −h genera il sottogruppo ad un parametro R 3 c 7→ (c,0,0, I) delle traslazioni temporali,(ii) i tre pi generano il sottogruppo abeliano R3 3 c 7→ (0, c,0, I) delle traslazioni spaziali,(iii) i tre ji generano il sottogruppo SO(3) 3 R 7→ (0,0,0, R) delle rotazioni spaziali,(iv) i tre ki generano il sottogruppo abeliano R3 3 v 7→ (0,0,v, I) delle trasformazioni puredi Galileo.Abbiamo le seguenti regole di commutazione che individuano le costanti di struttura del gruppo:

[pi,pj ] = 0 , [pi,−h] = 0 , [ji,−h] = 0 , [ki,kj ] = 0 , (11.106)

[ji,pj ] =3∑

k=1

εijkpk , [ji, jj ] =3∑

k=1

εijkjk , [ji,kj ] =3∑

k=1

εijkkk , (11.107)

[ki,−h] = pi , [ki,pj ] = 0 . (11.108)

Il gruppo di Galileo e il gruppo piu importante di tutta la fisica classica, dato che tutte leleggi fisiche classiche sono invarianti sotto l’azione attiva delle trasformazioni di tale gruppo.Questo e un altro modo di affermare l’equivalenza fisica di tutti i sistemi di riferimento inerziali,interpretando in senso passivo le trasformazioni del gruppo. Ci si aspetta che il gruppo diGalileo (proprio), pensandolo d’ora in poi come gruppo di trasformazioni attive, sia un gruppo

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di simmetria per ogni sistema fisico quantistico, almeno nei regimi di basse velocita rispetto allavelocita della luce (quando gli effetti relativistici sono trascurabili).Le rappresentazioni unitarie proiettive di SG che rappresentano l’azione di SG pensato comegruppo di simmetria su un sistema fisico, sono ben note (vedi per esempio la discussione in[CCP82]). Per discuterle, cominciamo a considerare un sistema fisico dato da una particella dispin s (vedi la sezione precedente) e massa m > 0, non soggetta a forze. Fissiamo un sistemadi riferimento inerziale I dotato di una terna di assi cartesiani solidali ortonormali destrorsi, inmodo tale da poter identificare lo spazio di quiete del riferimento con R3. Lo spazio di HilbertH del sistema e allora dato dal prodotto tensoriale L2(R3, dx)⊗C2s+1. Gli stati puri del sistemasono individuati da funzioni d’onda con spin:∑

|s3|≤sψs3 ⊗ |s, s3〉

Tale prodotto tensoriale e isomorfo a L2(R3, dk)⊗C2s+1, dove le funzioni d’onda ψ in L2(R3, dk)sono nella rappresentazione impulso, connesse a quelle, ψ, nella rappresentazione posizionetramite l’operatore unitario dato dalla trasformata di Fourier-Plancherel discussa nel capitolo 3:

F : L2(R3, dx)→ L2(R3, dk) ,

in modo tale che: ψ = Fψ. In particolare (vedi la proposizione 5.6), l’osservabile impulso, Pj ,e individuata in L2(R3, dk) dall’operatore ÜPj = FP F che risulta essere l’operatore moltiplicativoper la coordinata ~kj agendo sugli elementi di L2(R3, dk). D’ora in poi porremo ~ = 1 persemplicita . Assumiamo per il momento s = 0. In questa rappresentazione di H, l’azione diciascun elemento del gruppo di simmetria SG separatamente, e quella indotta dagli operatoriunitari Z(m)

(c,c,v,U):Z(m)

(c,c,v,U)ψ

(k) := ei(cv−c)·(k−mv)ei

c2m

(k−mv)2ψR(U)−1(k−mv)

(11.109)

Nel caso in cui s 6= 0, le trasformazioni unitarie Z(m)(c,c,v,U) vanno sostituite con

Z(m)(c,c,v,U) ⊗ V (s)(U) , (11.110)

dove la rappresentazione V (s) e stata introdotta in (11.95).Tornando in rappresentazione posizione, cioe pensando gli stati puri della particella senza spincome individuati da elementi di L2(R3, dx) normalizzati a 1, gli operatori unitari Z(m)

g cor-rispondono, tramite la solita trasformata di Fourier-Plancherel, ad operatori unitari Z(m)

g :=

F−1Z(m)gF. Nel seguito useremo indifferentemente le due rappresentazioni, anche se daremo

solo nel prossimo capitolo l’espressione esplicita dell’azione degli operatori Z(m)g in rappresenta-

zione posizione.

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Osservazioni.(1) Se consideriamo l’azione di (c, c,v, U)−1 invece che di (c, c,v, U), essa ha una forma legger-mente piu illuminante:

Z(m)(c,c,v,U)−1ψ

(k) := eic·(R(U)k+mv)e−i

c2m

(R(U)k+mv)2ψ (R(U)k +mv) (11.111)

Per dare un significato fisico all’identita scritta sopra, decomponiamo (c, c,v, U)−1 come:

(c, c,v, U)−1 = (0,0,0, U)−1 · (0,0,v, I)−1 · (0, c,0, I)−1 · (c,0,0, I)−1 ,

analizziamo quindi l’azione di ciascuna di queste trasformazioni. Cominciamo dalla prima:Z(m)

(c,0,0,I)−1ψ

(k) = e−i

c2m

k2ψ (k) .

Come vedremo nel prossimo capitolo, la moltiplicazione per la fase e−iic2m

k2eseguita sopra,

corrisponde all’inversa di una traslazione temporale dell’intervallo di tempo c. Procedendo oltreabbiamo:

Z(m)(0,c,0,I)−1·(c,0,0,I)−1ψ

(k) = eic·ke−i

c2m

k2ψ (k) .

La moltiplicazione per la fase eic·k eseguita sopra, corrisponde (sotto trasformazione di Fourier-Plancherel) una traslazione attiva della funzione d’onda di un vettore −c. Procedendo oltretroviamo:

Z(m)(0,0,v,I)−1·(0,c,0,I)−1·(c,0,0,I)−1ψ

(k) = eic·(k+mv)e−i

c2m

(k+mv)2ψ (k +mv) .

Si osservi che k → k + mv e proprio la trasformazione dell’impulso, interpretando k come unvettore d’impulso, sotto una trasformazione di Galileo che altera la velocita del sistema di rife-rimento, senza traslazioni, rotazioni e traslazioni temporali. Quindi la trasformazione descrittacorrisponde ad una trasformazione attiva della funzione d’onda secondo una trasformazione puradi Galileo associata a −v. Infine, facendo agire anche la rotazione R(U), cioe eseguendo unatrasformazione attiva della funzione d’onda secondo la rotazione R(U)−1, abbiamo che:

Z(m)(0,0,0,U)−1·(0,0,v,I)−1·(0,c,0,I)−1·(c,0,0,I)−1ψ

(k) =

eic·(R(U)k+mv)e−ic

2m(R(U)k+mv)2ψ (R(U)k +mv) .

Concludiamo che il secondo membro di (11.111) corrisponde all’azione combinata (secondo lalegge di moltiplicazione del gruppo di Galileo) di tali sottogruppi di trasformazioni in mododa associate all’elemento generico (c, c,v, R(U)) del gruppo di Galileo. Tenendo conto della(11.102), la discussione giustifica anche la (11.109).

(2) Gli operatori Z(m)g (ovvero gli operatori Z(m)

g lavorando in rappresentazione posizione)sono associati al rivestimento universale SG di SG piuttosto che al gruppo stesso. Abbiamo

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fatto questa scelta, per poter applicare la teoria sviluppata nelle sezioni precedenti. Sappiamoinfatti che le rappresentazioni proiettive di un gruppo si possono ottenere comunque rappre-sentazioni proiettive del suo rivestimento universale. Questo e particolarmente comodo a causadella presenza del sottogruppo SO(3) del gruppo di Galileo. Infatti, come abbiamo visto nellasezione precedente se lo spin s e semi intero, le rappresentazioni unitarie proiettive di SO(3) chehanno interesse fisico sono rappresentazioni unitarie di SU(2).

Il calcolo diretto mostra che, con la definizione (11.109), la rappresentazione SG 3 g 7→ Z(m)g

(ovvero, equivalentemente, SG 3 g 7→ Z(m)g lavorando in rappresentazione impulso) e unitaria

proiettiva, dato che appare una funzione dei moltiplicatori, che si ottiene con un tedioso calcolo:

ω(m)(g′, g) = eim(− 12c′v2−c′(R(U ′)v)·v′+(R(U ′)v)·c′) , g = (c, c,v, U), g′ = (c′, c′,v′, U ′) . (11.112)

Il risultato permane (ovviamente) anche nel caso in cui lo spin s sia differente da 0, e gli operatori

unitari Z(m)g sono generalizzati dagli operatori unitari in (11.110), dato che la rappresentazione

U 7→ V (s)(U) nello spazio di spin C2s+1 e unitaria e quindi non contribuisce alla funzione deimoltiplicatori.Si dimostra facilmente che la rappresentazione unitaria proiettiva SG 3 g 7→ Z(m)

g (ovvero,equivalentemente, SG 3 g 7→ Z(m)

g in rappresentazione posizione) e fortemente continua. A talfine, dato che gli operatori sono unitari, che ω(m) definita sopra e continua e vale ω(m)(e, e) = 1,

e sufficiente provare che Z(m)gψ → ψ per ogni ψ ∈ H, se g → e. Questo segue facilmente dalla

forma esplicita degli operatori Z(m)g.

Non e affatto evidente se la rappresentazione unitaria proiettiva SG 3 g 7→ Z(m)g si possa o

meno ricondurre ad una rappresentazione unitaria tramite una trasformazione di equivalenza,cioe moltiplicando gli operatori Z(m)

g per opportune fasi χ(g). Il calcolo diretto dell’algebradi Lie del gruppo di Galileo dimostra che le ipotesi del teorema 11.9 di Bargmann non sonosoddisfatte. Comunque, questo fatto non porta a concludere automaticamente che la rappre-sentazione unitaria proiettiva di SG trovata non si possa ricondurre ad una rappresentazioneunitaria, dato che le ipotesi del teorema di Bargmann sono sufficienti ma non necessarie a talfine. Dimostreremo ora direttamente che le rappresentazioni trovate sono intrinsecamente uni-tarie proiettive: non e possibile ricondurle ad una rappresentazione unitaria con una modificanella scelta delle fasi.Per maggiore generalita , considereremo tutte le possibili rappresentazioni unitarie proiettiveSG 3 g 7→ Z

(m)g , su ogni possibile spazio di Hilbert, con moltiplicatori dati dalla (11.112), in-

dipendentemente dal fatto che gli operatori unitari Z(m)g abbiamo la forma (11.109) o (11.110)

sullo spazio di Hilbert L2(R3, dk)⊗ C2s+1.

Proposizione 11.15. In riferimento alle rappresentazioni unitarie proiettive SG 3 g 7→ Z(m)g

con moltiplicatori dati dalla (11.112), vale quanto segue.(a) Per m fissato, non e possibile ridefinire le fasi degli operatori Z(m)

g in modo da ottenere

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una rappresentazione unitaria di SG (il risultato vale indipendentemente dalla richiesta che lerappresentazioni considerate siano fortemente continue o meno).(b) Due rappresentazioni con m differenti non possono mai stare nella stessa classe.

Prova. Dimostriamo (a) e (b) insieme. Se due rappresentazioni, con m1 > m2, appartenesseroalla stessa classe allora esisterebbe una funzione χ = χ(g) per cui:

ω(m1)(g′, g)ω(m2)(g′, g)

−1=

χ(g′ · g)χ(g′)χ(g)

per ogni g, g′ ∈ SG . (11.113)

Data la forma scritta sopra per i moltiplicatori, se m := m1 −m2 > 0, questa identita equivalea:

ω(m)(g′, g) =χ(g′ · g)χ(g′)χ(g)

per ogni g, g′ ∈ SG . (11.114)

Dimostriamo che, per ogni fissato m > 0 non c’e alcuna funzione χ che soddisfa (11.114) e questoprova entrambi gli asserti nella tesi.Se esistesse una tale funzione, definendo:

Vg := χ(g)Z(m)g ,

i moltiplicatori della nuova rappresentazione SG 3 g 7→ Vg sarebbero tutti pari a 1 e talerappresentazione sarebbe unitaria. Consideriamo allora tutti gli elementi di SG che hanno laforma f := (0,0,v, I) e g := (0, c,0, I). Per computo diretto da (11.101), abbiamo che talielementi commutano e pertanto vale:

f−1 · g−1 · f · g = e .

Se eseguiamo il corrispondente calcolo per la rappresentazione Z(m), tenendo conto della forma(11.112) dei moltiplicatori, troviamo invece:

Z(m)f−1Z

(m)g−1Z

(m)f Z(m)

g = eimc·vZ(m)e .

Nelle nostre ipotesi, questa identita si riscrive:χ(f−1)χ(g−1)χ(f)χ(g)

−1Vf−1Vg−1VfVg = eimc·vχ(e)−1I ,

cioe , tenendo conto che i moltiplicatori di V sono banali perche tale rappresentazione e unitaria,che f · g = g · f e permutando l’ordine dei coefficienti χh:

χ(f−1)χ(f)χ(g−1)χ(g)−1

Vf−1·f ·g−1·g =χ(f−1)χ(f)χ(g−1)χ(g)

−1Ve = eimc·vχ(e)−1I .

Abbiamo trovato che:χ(f−1 · f)χ(f−1)χ(f)

χ(g−1 · g)χ(g−1)χ(g)

= χ(e)eimc·v .

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Tenendo conto di (11.114), l’identa trovata si riscrive:

ω(f, f−1)ω(g, g−1) = χ(e)eimc·v .

Il calcolo esplicito del primo membro, usando (11.112), porta subito all’identita :

1 = χ(e)eimc·v

che deve valere per ogni valore di c,v ∈ R3 e quindi deve essere m = 0 e χ(e) = 1. Ma lapossibilitam = 0 e stata esclusa all’inizio. Abbiamo trovato una contraddizione e pertanto lafunzione χ non esiste. 2

In virtu della proposizione appena provata, e dato che la grandezza m che etichetta le classidi rappresentazioni unitarie proiettive ha un preciso significato fisico, possiamo pensare cheil gruppo di simmetria di un sistema fisico quantistico non relativistico di massa m non sia

il gruppo di Galileo, ma sia proprio l’estensione centrale SGm individuata dalla funzione deimoltiplicatori relativa al valore m della massa. Ricordiamo infatti che, dalla teoria generale,la rappresentazione SG 3 g 7→ Z

(m)g si puo riottiene con i seguenti passaggi: (a) costruendo

l’estensione centrale SGm tramite U(1) individuata dalla funzione dei moltiplicatori definita

in (11.112) (e si osservi che possiamo assegnate a SGm la struttura differenziabile analitica divarieta prodotto dato che la funzione ω(m) e analitica su SG × SG ), (b) restringendo a SG larappresentazione unitaria fortemente continua:

SGm 3 (χ, g) 7→ χZ(m)

g .

In questo modo, le rappresentazioni intrinsecamente unitarie proiettive di SG sono rimpiazzate

da rappresentazioni unitarie di SGm. Il prezzo che si paga e che e necessario cambiare gruppodi simmetria quando si cambia il valore della massa. Consideriamo la rappresentazione unitariafortemente continua:

SGm 3 (χ, g) 7→ χZ(m)g .

Se ci restringiamo a lavorare sullo spazio D ⊂ L2(R3, dk) delle funzioni ψ = ψ(k) complesse,infinitesimale differenziabili, a supporto compatto, si verifica facilmente, tenendo conto della(11.109), che ogni funzione:

SGm 3 (χ, g) 7→ χZ(m)gψ

e infinitamente differenziabile se ψ ∈ D. Pertanto D e un sottoinsieme dello spazio di Garding diSGm. Con un piccolo abuso di notazione, indicheremo ancora con D il corrispondente spazio inL2(R3, dx) tramite la trasformata inversa di Fourier-Plancherel. Se consideriamo i sottogruppiad un parametro della rappresentazione unitaria

SGm 3 (χ, g) 7→ χZ(m)

g .

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associati agli undici generatori dell’algebra di Lie di SGm:

1⊕ 0, 0⊕ h, 0⊕ pi, 0⊕ ji, 0⊕ ki dove i = 1, 2, 3

e valutiamo i generatori autoaggiunti associati restringendoci a lavorare su D, troviamo facil-mente che essi sono, nello stesso ordine (notare il segno − davanti ad H):

I, −HD, PiD, LiD, KiD dove i = 1, 2, 3.

Pk ed Lk sono gli operatori autoaggiunti rappresentati l’impulso ed il momento angolare orbitalelungo l’asse k-esimo, che conosciamo gia . Gli operatori autoaggiunti H := F−1ÜHF, dettooperatore hamiltoniano, e Ki detto boost lungo l’asse i-esimo, sono definiti, rispettivamente,da:

(ÜHψ)(k) :=k2

2mψ(k) dove D(ÜH) :=

§ψ ∈ L2(R3, dk)

∣∣∣∣∫R3|k|4|ψ(k)|2dk < +∞

ª(11.115)

e:Kj := −mXj . (11.116)

Dato che D e un core per ognuno di questi operatori, i generatori autoaggiunti delle rappresen-

tazioni dei sottogruppi ad un parametro di SGm associati a:

1⊕ 0, 0⊕ h, 0⊕ pi, 0⊕ ji, 0⊕ ki dove i = 1, 2, 3 (11.117)

devono coincidere con i corrispondenti operatori autoaggiunti:

I, −H, Pi, Li, Ki dove i = 1, 2, 3.

Si osservi che ognuno di questi operatori, come osservabile, ha un significato fisico preciso. Ilsignificato dell’osservabile associata ad H lo discuteremo nel prossimo capitolo. Se passiamoa considerare le relazioni di commutazione, per esempio restringendoci a D, riscopriamo chestiamo lavorando con un estensione centrale del gruppo di Galileo, dato che l’ultima relazionedi commutazione e differente dalla corrispondente per SG , a causa di una carica centrale checoincide con la massa:

[−iPi,−iPj ] = 0 , [−iPi, iH] = 0 , [−iLi, iH] = 0 , [−iKi,−iKj ] = 0 ,

[−iLi,−iPj ] =3∑

k=1

εijk(−iPk) , [−iLi,−iPj ] =3∑

k=1

εijk(−iLk) ,

[−iLi,−iKj ] =3∑

k=1

εijk(−iKk) , [−iKi, iH] = −iPi , [−iKi,−iPj ] = −imδijI .

Osservazioni.(1) Si osservi che in virtu del fatto che Kj = −mXj , risulta che la rappresentazione unitaria

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(χ, g) 7→ χZ(m)g include degli operatori che soddisfano le realzioni di Weyl su L2(R3, dk). In

virtu di (b) nella proposizione 10.4, lo spazio L2(R3, dk) risulta essere irriducibile rispetto all’in-

sieme di tali operatori e quindi rispetto a tutta la rappresentazione: SGm 3 (χ, g) 7→ χZ(m)g.

In questo senso la particella quantistica non relativistica a spin nullo e un oggetto elementarerispetto al gruppo di Galileo.(2) Se consideriamo anche la parte di spazio di Hilbert dovuta allo spin, l’unica differenza, ri-

spetto a quanto scritto sopra, e che, per avere l’azione SGm sugli stati del sistema di dobbiamorimpiazzare Lk con Jk = Lk+Sk in tutte le formule. In altre parole, la rappresentazione unitariae ora:

SGm 3 (χ, g) 7→ χZ(m)g ⊗ V s(U) ,

dove g = (c, c,v, U). L’irriducibilita vista per il caso s = 0 si estende in questo caso al-la rappresentazione suddetta per la particella con spin s, considerando lo spazio completoL2(R3, dk)⊗ C2s+1.

Consideriamo ora sistemi piu complessi di quelli di una particella libera. Rimandando al prossi-mo capitolo per la questione generale, ci limitiamo a dire qui che, quando si studia un sistemacostituito da N particelle con masse m1, . . . ,mN che possono interagire tra di esse, ma costitui-scono un sistema complessivo isolato esternamente, lo spazio di Hilbert della teoria si decomponenel prodotto L2(R3, dx)⊗Hint⊗C2s1+1⊗· · ·⊗C2sN+1. In tale decomposizione Hint e uno spaziodi Hilbert relativo ai gradi di liberta orbitali interni del sistema (le coordinate relative tra leparticelle, per esempio in termini di coordinate di Jacobi [CCP82]). Lo spazio L2(R3, dk) e lospazio di Hilbert del centro di massa del sistema. Il centro di massa si descrive come un’unicaparticella di massa M :=

∑Nn=1mn ed individuato da osservabili posizione (del centro di massa)

Xk ed impulso (totale del sistema) Pk, con k = 1, 2, 3, della forma solita su L2(R3, dx). Infine,ogni fattore C2sn+1 corrisponde allo spazio di spin della particella n-esima. Lo spazio L2(R3, dx),passando in trasformata di Fourier, puo essere equivalentemente sostituito con L2(R2, dk), cosache supporremo d’ora in poi.In questo contesto – esattamente come accade in meccanica classica – l’azione del gruppo disimmetria SG e la seguente:

SG 3 (c, c,v, U) 7→ Z(M)(c,c,v,U) ⊗ V

(int)R(U)W

(int)c ⊗ V (2S1+1)(U)⊗ · · · ⊗ V (2SN+1)(U) .

Sopra:SO(3) 3 R 7→ V

(int)R e R 3 c 7→W (int)

c

sono due rappresentazioni – entrambe unitarie e fortemente continue – rispettivamente del sot-togruppo di SG delle rotazioni (quindi di elementi (0,0,0, R)), e del sottogruppo di SG delletraslazioni temporali (quindi di elementi (c,0,0, I)). Vale inoltre V (int)

R W(int)c = W

(int)c V

(int)R

per ogni scelta di R ∈ SO(3) e c ∈ R. Queste due rappresentazioni dipendono, rispettivamente,da come vengono definite le coordinate orbitali e dal tipo di interazioni interne tra le particel-le. La trasformazione Z(M)

(c,c,v,U) agisce solo sui gradi di liberta del centro di massa. Tenendo

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conto che tutte le rappresentazioni coinvolte sono unitarie eccetto la Z(M), si ah subito chela funzioni dei moltiplicatori, ω(M), della rappresentazione unitaria proiettiva complessiva suL2(R3, dk) ⊗ Hint ⊗ C2s1+1 ⊗ · · · ⊗ C2sN+1 e la stessa di prima, usando come parametro m lamassa totale M del sistema. Concludiamo che la proposizione precedente si estende anche aquesto caso molto piu generale di sistema quantistico.

Mettiamoci infine in un contesto ancora piu generale, considerando un sistema fisico S, ottenutomettendo insieme sistemi fisici del tipo di quelli appena descritti in quantita arbitraria finita,ma non fissata. Il sistema complessivo puo ammettere valori di massa differenti mi, con i ∈ Iinsieme che assumeremo essere al piu numerabile. In questo contesto viene naturale associare allamassa un’osservabile quantistica, cioe un operatore autoaggiunto M , il cui spettro sia l’insiemedei valori della massa. Sembra anche naturale definire uno spazio di Hilbert HS , per il sistema,che sia la somma diretta hilbertiana dei vari autospazi dell’operatore massa,

HS =⊕

m∈σ(M)

H(m)S ,

in ciascuno dei quali la massa del sistema ha un differente valore m > 0. Una tale descrizionesussiste effettivamente considerando sistemi fisici a numero non fissato di particelle.Cosa succede se agiamo sul sistema con il gruppo di Galileo proprio? In ogni sottospazio H(m)

S

agira una differente rappresentazione unitaria proiettiva dipendente da m. La rappresentazionedel gruppo di Galileo proprio sara dunque del tipo:

SG 3 g 7→ Zg :=⊕

m∈σ(M)

χ(m)(g)Z(m)g . (11.118)

Mostriamo che questa struttura della rappresentazione conduce ad una regola di superselezione.Dato che la rappresentazione deve essere unitaria proiettiva, il calcolo del moltiplicatore:

Ω(g, g′) := Z(gg′)−1Z(g)Z(g′)

con la formula (11.118) produce, dove gli ω(m) tengono conto delle eventuali nuove fasi χ(m):

Ω(g, g′)I =⊕

m∈σ(M)

ω(m)(g, g′)I .

Questa identita implica che debba necessariamente essere:

ω(m1)(g, g′) = ω(m2)(g, g′) = Ω(g, g′) per ogni m1,m2 ∈ σ(M) .

Ma questo e impossibile perche , esplicitando le eventuali fasi χ(m), questa identita implica la(11.113), che sappiamo essere falsa.Il risultato finale e che, se vogliamo che il gruppo di Galileo sia un gruppo di simmetria per ilnostro sistema fisico, siamo costretti a vietare stati puri che corrispondono a combinazioni linearidi vettori in spazi H(m)

S con valori di m differenti. Abbiamo trovato una regola di superselezione

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legata alla massa, che e nota come regola di superselezione di Bargmann della massa. Isettori coerenti di questa regola di superselezione sono gli spazi a massa fissata H(m)

S . Si osserviche la radice profonda di questo risultato risiede nel fatto che le rappresentazioni proiettive fisi-camente interessanti del gruppo di Galileo non sono inducibili da rappresentazioni unitarie e lamassa appare nella funzione dei moltiplicatori.Nel caso, fisicamente piu appropriato, in cui il gruppo di Galileo proprio venga rimpiazzato daquello di Poincare (ortocrono proprio), la regola di superselezione cessa di valere, perche le rap-presentazioni proiettive del gruppo di Poincare si possono sempre indurre da rappresentazioniunitarie [BaRa86], e sono ammessi stati con massa (relativistica) non definita.

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Capitolo 12

Alcuni argomenti piu avanzati diMeccanica Quantistica.

In questo capitolo finale ci occuperemo di completare l’elenco degli assiomi della MeccanicaQuantistica non relativistica, introducendo l’evoluzione temporale e la descrizione dei siste-mi composti. Alcune delle nozioni che introduciamo qui formalmente sono state, di fatto,gia introdotte nell’ultima parte del capitolo precedente, discutendo i gruppi di simmetria.Nella prima sezione enunceremo l’assioma di evoluzione temporale descritto da un gruppo unita-rio ad un parametro fortemente continuo generato dall’operatore di Hamilton del sistema. Nellostesso contesto, daremo la definizione di simmetria dinamica, come specializzazione della nozionedi simmetria vista nel capitolo precedente. Quindi mostreremo la vera natura dell’equazione diSchrodinger in questo contesto e discuteremo l’importante nozione, di stato stazionario. Comeclassico esempio del formalismo costruito epliciteremo l’azione del gruppo di Galileo (presentatain rappresentazione impulso nel capitolo precedente) in rappresentazione posizione. In tale sedesaranno anche discusse le proprieta di trasformazione della funzione d’onda sotto cambiamento disistema di riferimento inerziale. Faremo quindi qualche osservazione sull’esistenza dell’evolutoretemporale unitario in assenza di omogeneita temporale (esaminando le proprieta di convergen-za della serie di Dyson nel caso di Hamiltoniano in B(H)), discuteremo la natura antiunitariadella simmetria di inversione del tempo e daremo una versione del cosiddetto Teorema di Pauli,riguardante la difficolta di definire l’operatore tempo come operatore autoaggiunto coniugatoall’operatore hamiltoniano.Nella sezione successiva, introdurremo la rappresentazione di Heisenberg delle osservabili e di-scuteremo la relazione tra simmetrie dinamiche e costanti del moto, presentando la versionequantistica del teorema di Nother e studiando il caso delle costanti del moto associate ai genera-tori di un gruppo di Lie che include l’evoluzione temporale come sottogruppo ad un parametro.Come intermezzo, in tale sede discuteremo brevemente i problemi matematici legati al cosiddet-to teorema di Ehrenfest. Lo studio esemplificativo delle costanti del moto associate al gruppo diGalileo concludera la sezione.La terza ed ultima sezione sara dedicata alla teoria dei sistemi quantistici composti: sistemi con

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struttura interna e sistemi a piu particelle. Discuteremo in particolare il concetto di stati entan-gled con un accenno al cosiddetto paradosso EPR e per finire passeremo alla teoria generale deisistemi di particelle identiche, accennando al teorema di correlazione spin-statistica.

12.1 L’assioma di evoluzione temporale e le simmetrie dinami-che.

I sistemi fisici evolvono nel tempo secondo la loro dinamica. Dal punto di vista classico, nellaformulazione di Hamilton della meccanica (vedi capitolo 7), l’evoluzione nel tempo dello stato diun sistema fisico e descritto nello spaziotempo delle fasi dalle soluzioni delle equazioni di Hamil-ton. Mettiamoci nella situazione in cui la funzione hamiltoniana H non dipende esplicitamentedal tempo in coordinate canoniche associate ad un fissato sistema di riferimento inerziale I. Intal caso le equazioni di Hamilton sono di tipo autonomo quando espresse in quel sistema dicoordinate canoniche ed esiste una decomposizione naturale dello spaziotempo delle fasi in unprodotto cartesiano R × F, dove F e lo spazio delle fasi. Al variare di tutte le possibili condi-zioni iniziali, si viene a costruire un gruppo ad un parametro di diffeomorfismi φττ∈R dellospazio delle fasi F che, preservando la struttura simplettica di F, trasforma lo stato iniziale rdel sistema at tempo 0, nello stato φτ (r) al tempo τ . Tenendo conto dell’equazione di Liou-ville (vedi capitolo 7), l’evoluzione temporale degli stati descritti da densita di probabilita ρ sipuo formalizzare in maniera simile usando ancora φττ∈R, ma non ce ne occuperemo in questasede. L’oggetto matematico fondamentale per costruire l’evolutore temporale, cioe il gruppo adun parametro φττ∈R e dunque la funzione di Hamilton H del sistema fisico, che coincide conl’energia meccanica del sistema nel riferimento I.La situazione nel caso quantistico e piuttosto simile. L’evoluzione temporale di un sistemaquantistico S descritto nello spazio di Hilbert HS per un fissato sistema di riferimento inerzialeI e descritta dal seguente assioma che introduce la nozione di (operatore) hamiltoniano del siste-ma quantistico come generatore del gruppo ad un parametro di operatori unitari che descrivonol’evoluzione temporale, cioe la dinamica, dello stato quantistico. Attraverso la nozione di evo-luzione temporale e possibile trattare le simmetrie dinamiche e dare la versione quantistica delteorema di Nother, come vedremo successivamente.

A6. Sia S un sistema quantistico descritto nello spazio di Hilbert HS associato al sistema diriferimento inerziale I. Esiste un operatore autoaggiunto H detto hamiltoniano del sistemaS nel riferimento I, che corrisponde all’osservabile energia meccanica totale del sistema S nelriferimento I e che soddisfa le seguenti proprieta :

(i) σ(H) ha spettro limitato dal basso,(ii) posto Uτ := e−

iτ~ H , se lo stato del sistema al tempo t e ρt ∈ S(HS), lo stato al tempo

t+ τ e allora dato da:ρt+τ = γ(H)

τ (ρ) := UτρU−1τ . (12.1)

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Il gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo:

R 3 τ 7→ Uτ

e detto evolutore temporale del sistema S nel riferimento I e la rappresentazione proiettivacontinua di R indotta da U , R 3 τ 7→ γ

(H)τ e detto flusso dinamico del sistema S nel riferi-

mento I.

Osservazioni.(1) D’ora in poi se non e strettamente necessario per ragioni di chiarezza fisica, ometteremo discrivere esplicitamente la costante ~ nelle formule assumendo ~ = 1.(2) L’evoluzione temporale degli stati e dunque data da una rappresentazione proiettiva continuadel gruppo topologico abeliano R. Questa osservazione permette di enunciare in modo diversol’assioma A6, sfruttando dei risultati generali che abbiamo ottenuto nel capitolo precedente.Volendo indebolire al massimo le richieste nell’assioma di evoluzione temporale, pensando l’e-voluzione temporale come una funzione ρ 7→ γτ (ρ) che associa stati a stati, per ogni fissatoτ ∈ R, si puo richiedere che γτ soddisfi le seguenti ipotesi, che appaiono abbastanza ragionevolidal punto di vista fisico:

(i) l’evoluzione temporale – cioe ogni funzione γτ – conservi la struttura convessa dellospazio degli stati (simmetria di Kadison), oppure, equivalentemente, conservi le probabilita ditransizione (simmetria di Wigner),

(ii) l’evoluzione temporale sia additiva rispetto al tempo: γτ γτ ′ = γτ+τ ′ se τ, τ ′ ∈ R,(iii) l’evoluzione temporale sia continua rispetto alla topologia naturale di Sp(HS).

Il teorema 11.3 prova allora che la rappresentazione proiettiva R 3 τ 7→ γτ deve avere la struttu-ra assunta nella forma dell’assioma A6 data sopra. Uno dei possibili generatori autoaggiunti ditale rappresentazione – che esistono e differiscono per una costante additiva in base al teorema11.3 – e , per definizione, l’hamiltoniano del sistema.L’ambiguita dovuta alla possibile costante additiva e in realta un’ambiguita che esiste nella fisicastessa, dato che l’energia di un sistema fisico classico (non relativistico) e assegnata a meno diuna costante.

(2) La necessita dell’esistenza di un limite inferiore allo spettro dell’hamiltoniano dei sistemifisici reali e dovuta alla richiesta stabilita termodinamica del sistema fisico. Infatti, l’operatoreautoaggiunto H corrisponde fisicamente all’osservabile energia meccanica totale del sistema S.A meno di non considerare un sistema fisico ideale perfettamente isolato, che non esiste nellarealta anche per motivazioni teoriche molto profonde ma che richiedono la teoria quantisticadei campi per essere spiegate adeguatamente, il vincolo del limite inferiore allo spettro di He fisicamente obbligatorio. Se l’energia σ(H) non fosse limitata dal basso, si potrebbero ave-re transizioni dello stato del sistema S verso stati con energia sempre piu bassa. In pratica ilsistema collasserebbe emettendo energia infinita sotto forma di qualche tipo (particelle, ondeelettromagnetiche).

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La richiesta di limite inferiore per σ(H) ha diverse importanti conseguenze che presenteremo nelseguito.

(3) L’operazione di simmetria inversa dell’evoluzione temporale si chiama traslazione tem-porale. Abbiamo gia incontrato questa simmetria studiando il gruppo di Galileo. Dal puntodi vista fisico si tratta di una trasformazione attiva sul sistema S, cioe , per τ fissato, una sim-metria di Kadison γ

(−H)τ : S(HS) → S(HS), che ne altera lo stato ρ, al tempo generico t0

fissato, trasformandolo in un nuovo stato ττ (ρ), sempre allo stesso tempo t0, in modo tale che

γ(H)τ

(−H)τ (ρ)

)coincida con ρ. Per costruzione deve essere γ(−H)

τ =(γ

(H)τ

)−1. Evidentemente

il generatore unitario di γ(−H)τ e−H come la notazione suggerisce. Questo giustifica il segno

− che abbiamo usato nell’analisi dei generatori autoaggiunti del gruppo di Galileo, per quantoriguarda il generatore della traslazione temporale.

Mettiamoci ora nel caso in cui lo spazio HS sia decomposto in settori coerenti HSk con k ∈ K.Di conseguenza lo spazio degli stati puri fisicamente ammissibili Sp(HS)ammiss e decompostonell’unione disgiunta sugli insiemi Sp(HSk) e gli stati misti possono essere solo combinazionilineari convesse di elementi degli spazi S(HSk). Sussiste allora il seguente risultato che mostrache il flusso dinamico preserva la struttura dei settori come ci si aspetta.

Proposizione 12.1. Sia S un sistema quantistico descritto nello spazio di Hilbert HS associatoal sistema di riferimento inerziale I, con flusso dinamico γ(H). Si supponga che HS sia decom-posto in settori coerenti HSk con k ∈ K. Il flusso dinamico trasforma stati puri in stati puri estati misti in stati misti. Piu precisamente vale quanto segue.(a) Se ρ ∈ S(HSk), allora γ(H)

t (ρ) ∈ S(HSk) per ogni t ∈ R.(b) Se ρ ∈ Sp(HSk), allora γ(H)

t (ρ) ∈ Sp(HSk) per ogni t ∈ R

Prova. Deve essere chiaro che, risultando: ρ(H)t (ψ(ψ| )) = e−itHψ

(e−itHψ

∣∣∣ ), la rappresentazio-

ne γ(H) trasforma stati puri in stati puri e quindi stati misti in stati misti. Restringiamo alloraγ(H) a lavorare sugli stati puri. Fissiamo ρ ∈ Sp(HSk) e consideriamo la curva R 3 t 7→ γ

(H)t (ρ).

In base alla proposizione 11.9, essa e continua i rispetto alla norma || · ||1. Sappiamo che gliinsiemi Sp(HSk) sono le componenti connesse di Sp(HS)ammiss rispetto alla topologia associataalla norma suddetta (vedi (4) in esercizi 11.1), pertanto la curva detta deve rimanere confinatain una di tali componenti connesse, tale componente deve essere Sp(HSk), dato che la curvainterseca tale componente per t = 0. Se Ut = e−itH , quanto appena provato implica che, seψ ∈ HSk ha norma unitaria, allora Utψ ∈ HSk per ogni t. Consideriamo allora ρ ∈ S(HSk)e la sua decomposizione spettrale ρ =

∑j∈J pjψj(ψj | ), dove la serie converge nella topologia

operatoriale forte e dove, per costruzione, ψj ∈ HSk per ogni j ∈ J e un vettore di norma 1. Daquanto provato sopra possiamo scrivere, per ogni t ∈ R:

γ(H)t (ρ) = Ut

∑j∈J

pjψj(ψj | )U−1t =

∑j∈J

σ(ρ)pjUtψj(ψj |U∗t ) =∑j∈J

σ(ρ)pjUtψj(Utψj | ) ∈ S(HSk) .

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Questo conclude la dimostrazione. 2

Nota. D’ora in poi assumeremo che lo spazio di Hilbert del sistema HS non contenga setto-ri coerenti. In realta cio e una restrizione nei confronti di quanto diremo nel seguito, solo perquanto riguarda lo studio delle simmetrie dinamiche discrete. Lasciamo al lettore la facile ge-neralizzazione delle definizioni e dei risultati che seguono, al caso in cui lo spazio di Hilbertammetta settori coerenti.

La nozione di evoluzione temporale, ci consente di perfezionare la nozione di simmetria vista nelcapitolo precedente, al fine di definire il concetto di simmetria dinamica.Consideriamo un sistema quantistico S con flusso dinamico γ(H). Ammettiamo, come dettosopra, che lo spazio di Hilbert sia costituito da un unico settore coerente. Consideriamo unasimmetria σ (di Kadison o Wigner) che agisce sugli stati del sistema, prestando ora attenzioneal fatto che gli stati evolvono nel tempo secondo la dinamica prescritta dal flusso dinamico γ(H).Se applichiamo σ allo stato evoluto γ(H)

t (ρ), ottenendo ρ′t := σ(γ(H)t (ρ)), non e affatto garantito

che la funzione R 3 t 7→ ρ′t descriva ancora una possibile evoluzione secondo γ(H) di uno statodel sistema (in generale diverso da ρ).Se viceversa cio accade (per ogni scelta dello stato iniziale ρ), la simmetria σ e detta simmetriadinamica, perche , nel senso appena visto, la sua azione e compatibile con la dinamica del siste-ma.Un indebolimento della richiesta che R 3 t 7→ σ(γ(H)

t (ρ)) descriva ancora una possibile evolu-zione di uno stato sistema S si ha quando, al posto di un’unica simmetria σ, se ne consideriuna classe σ(t) parametrizzata nel tempo t ∈ R. La richiesta per avere una simmetria dinamicadipendente dal tempo e allora che R 3 t 7→ σ(t)(γ(H)

t (ρ)) sia ancora un evoluzione temporalesecondo γ(H) di uno stato del sistema S.Possiamo dare formalmente le definizioni.

Definizione 12.1. Sia S un sistema quantistico descritto nello spazio di Hilbert HS, costituitoda un unico settore coerente, associato al sistema di riferimento inerziale I con hamiltoniano He flusso dinamico γ(H). Una simmetria σ : S(HS)→ S(HS) si dice simmetria dinamica peril sistema S se vale:

γ(H)t σ = σ γ(H)

t per ogni t ∈ R. (12.2)

Una classe di simmetrie etichettata nel tempo, σ(t)t∈R, e detta simmetria dinamica dipen-dente dal tempo se:

γ(H)t σ(0) = σ(t) γ(H)

t per ogni t ∈ R. (12.3)

Abbiamo il seguente primo risultato che caratterizza le simmetrie dinamiche. Si osservi che lacaratterizzazione (c) e un effetto del limite inferiore allo spettro di H e e sussiste quando σ(H)non limitato superiormente, e questo accade nella maggior parte dei sistemi fisici reali.

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Teorema 12.1. Sia S un sistema quantistico descritto nello spazio di Hilbert HS associatoal sistema di riferimento inerziale I con hamiltoniano H (con spettro inferiormente limitatodunque) e flusso dinamico γ(H).(a) Si consideri una classe di simmetrie etichettata sul tempo σ(t)t∈R e sia V (σ(t)) : HS → HSun operatore unitario o antiunitario, per ogni t ∈ R, che induce σ(t). σ(t)t∈R e una simmetriadinamica dipendente dal tempo per S se e solo se vale:

χtV(σ(t))e−itH = e−itHV (σ(0)) per ogni t ∈ R e qualche χt ∈ C con |χt| = 1 .

(b) Si consideri un simmetria σ e siano V (σ) : HS → HS un operatore unitario o antiunitarioche induce σ. La simmetria σ e una simmetria dinamica per S se e solo se

e−iatV (σ)e−itH = e−itHV (σ) per ogni t ∈ R e qualche a ∈ R .

(c) Si consideri un simmetria σ e siano V (σ) : HS → HS un operatore unitario o antiunitarioche induce σ e si assuma infine che σ(H) non sia superiormente limitato. La simmetria σ e unasimmetria dinamica per S se e solo se:

V (σ)e−itH = e−itHV (σ) per ogni t ∈ R ,

oppure, equivalentemente, se e solo se valgono entrambe le condizioni:(i) V (σ) e unitario e(ii) V (σ)H = HV (σ).

Prova. (a) e (b) Si tenga conto del fatto che, se S : HS → HS e unitario (oppure anti unitario),allora vale Sψ(ψ|S−1·) = V ψ(ψ|S∗·) = Sψ(Sψ|·). Posto Ut := e−itH , e V (t) := V (σ(t)) especializzando l’identita di sopra all’operatore unitario S := (S(t)Ut)−1UtV

(0), la (12.3) implicaper ogni stato puro ρ = ψ(ψ| ):

(V (t)Ut)−1UtV(0)ψ

((V (t)Ut)−1UtV

(0)ψ∣∣∣ ) = ψ(ψ| ) ,

e dunque, per qualche χt ∈ C con |χt| = 1:

(V (t)Ut)−1UtV(0)ψ = χtψ per ogni ψ ∈ H.

Con la stessa dimostrazione usata per il teorema 11.1 si vede che χt non dipende da ψ. Indefinitiva abbiamo ottenuto che se σ(t) e una simmetria dinamica dipendente dal tempo, allora:

χtV(σ(t))Ut = UtV

(σ(0)) per ogni t ∈ R e qualche χt ∈ C con |χt| = 1 .

Se, viceversa, vale questa condizione allora banalmente σ(t) e una simmetria dinamica dipendentedal tempo. Il caso (b) e un sottocaso di quanto appena provato escludendo la dimostrazione delfatto che, se σ e una simmetria la fase χt di essere della forma χt = eict per qualche costantec ∈ R. Proveremo tale risultato alla fine della prova di (c).

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Passiamo a dimostrare (c). Dimostriamo prima di tutto l’equivalenza del fatto che σ sia unasimmetria dinamica e della validita di entrambe le condizioni (i) e (ii). Da (a) sappiamo che σe una simmetria dinamica se e solo se:

χtV(σ)Ut = UtV

(σ) per qualche χt ∈ C con |χt| = 1 . (12.4)

Dalla formula di sopra ricaviamo che:

χtI = (V (σ)Ut)−1UtV(σ) ,

e quindi:χt(ψ|φ) =

(V (σ)Utφ

∣∣∣UtV (σ)ψ).

Se scegliamo φ ∈ D(H) e ψ ∈ V (σ)−1(D(H)) non ortogonali (e questo e possibile percheD(H)e denso), possiamo applicare il teorema di Stone e concludere che t 7→ χt e ovunque differenzia-bile. Possiamo allora riscrivere la (12.4) come:

χtUt = e±itV(σ)−1HV σ ,

dove il segno − appare se V (σ) e unitario, se e invece autiunitario, appare il segno +. Usando ilteorema di Stone nella (12.4) per concludere che: D(V (σ)−1HV (σ)) ⊂ D(H) = D(cI +H) e valel’identita :

∓V (σ)−1HV (σ)D(H)= cI +H dove c := idχtdt |t=0 . (12.5)

Si osservi che c deve essere reale, dato che ∓V (σ)−1HV (σ) − H e simmetrico su D(H). Inrealta (12.5) deve valere anche su tutto dominio di V (σ)−1HV (σ) che, essendo autoaggiunto, nonpuo avere altre estensioni autoaggiunte (in questo caso cI + H) differenti da ∓V (σ)−1HV (σ)

stesso. Concludiamo che:V (σ)−1HV (σ) = ∓cI ∓H . (12.6)

In particolare dovra anche essere (vedi (6) in esercizi 11.1 per il caso antiunitario):

σ(H) = σ(V (σ)−1HV (σ)) = σ (∓cI ∓H) = ∓c∓ σ(H) .

Se σ(H) e limitato dal basso, ma non e limitato superiormente, questa identita e impossibile sea secondo membro appare il segno −, qualunque sia la costante c. In tal caso V (σ) deve dunqueessere unitario. Deve dunque essere inf σ(H) = inf(c+σ(H)) = c+inf σ(H) e quindi c = 0, datoche inf σ(H) e finito per ipotesi essendo σ(H) 6= ∅ ed essendo inferiormente limitato. Abbiamoottenuto che se σ e una simmetria dinamica, allora V (σ) e unitario e soddisfa V (σ)H = HV (σ).Se vale questa condizione allora vale H = V (σ)−1HV (σ). Passando agli esponenziali si ricavasubito che:

Ut = e−itV(σ)−1HV (σ)

= V (σ)−1UtV(σ) ,

da cui segue che la simmetria σ indotta da V (σ) e una simmetria dinamica.Nell’ultimo passaggio abbiamo anche provato che (i) e (ii), insieme, implicano

V (σ)e−itH = e−itHV (σ) per ogni t ∈ R .

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Il fatto che questa identita implichi entrambe le condizioni (i) e (ii) segue immediatamente dalteorema di Stone.Dobbiamo completare la dimostrazione di (b). Nel caso in cui σ sia una simmetria, ma σ(H)sia limitato superiormente, usando la dimostrazione fatta per (c) si conclude che vale ancora la(12.6), ma non si puo piu inferire anche che c = 0. Esponenziando (12.6) otteniamo comunque

V (σ)−1UtV(σ) = e−ictUt ,

da cui (dove a = ±c a seconda che V (σ) sia unitario o anti unitario):

e−iatV (σ)e−itH = e−itHV (σ) .

Questo risultato conclude la dimostrazione di (b) e del teorema. 2

12.1.1 L’equazione di Schrodinger e gli stati stazionari.

Consideriamo il caso di uno stato iniziale puro ρ ∈ Sp(HS). In questo caso, come gia notato,l’evoluzione temporale e tale che ogni stato evoluto ρt e ancora uno stato puro. Questa proprieta ,nel gergo dei fisici teorici1, viene spesso menzionata dicendo che l’evoluzione degli stati quantisticie unitaria. Se t 7→ ρt ∈ Sp(HS) e l’evoluzione temporale di uno stato puro, possiamo individuare,a meno di una fase, ogni ρt con un vettore ψt normalizzato a 1. Scegliendo nel modo piu semplicepossibile le fasi degli stati puri coinvolti, l’equazione di evoluzione temporale per stati puri siriduce quindi a (reintroducendo la costante ~):

ψt′ = e−i(t′−t)

~ Hψt .

Possiamo elaborare questa equazione per ottenerne un’altra di grande importanza storica. No-tiamo prima di tutto che la condizione ψt ∈ D(H) e equivalente a ψt′ ∈ D(H) per ogni altrotempo t′ ∈ R. Infatti, ψt ∈ D(H) significa

∫R λ

2dµ(H)ψt

< +∞, dove µ(H)ψt

(E) = (ψt|P (H)(E)ψt) =

(ψt′ |e+ iτ~ HP (H)(E)e−

iτ~ Hψt′), se t− t′ = τ . D’altra parte vale banalmente:

e+ iτ~ HP (H)(E)e−

iτ~ H = P (H)(E) ,

dato che P (H)(E) e un proiettore della misura spettrale di H. Per cui∫R λ

2dµ(H)ψt

< +∞ equivale

a∫R λ

2dµ(H)ψt′

< +∞ ossia ψt′ ∈ D(H).Assumiamo allora che ψt ∈ D(H) per un certo valore di t, da cui segue che ψt′ ∈ D(H) per ognivalore del tempo t′. Dal teorema di Stone applicato all’equazione di evoluzione:

ψt′ = e−i(t′−t)

~ Hψt ,

1Specialmente in relazione a problemi di evoluzione di stati quantistici di campo in spaziotempo che includonobuchi neri dinamici, dove l’evoluzione unitaria e molto problematica.

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interpretando la derivata che segue nel senso della topologia operatoriale forte, segue subito che:

i~d

dtψt = Hψt . (12.7)

Questa e la celeberrima equazione temporale di Schrodinger. Bisogna tuttavia notare che(12.7) vale solo se ψ ∈ D(H), mentre l’equazione di evoluzione (12.1) ha validita generale.Facciamo qualche osservazione sull’equazione di Schrodinger e poi passeremo a questioni di ca-rattere piu generale.In conseguenza della discussione sul principio di corrispondenza di Dirac al termine del capito-lo 10, ci si aspetta che l’hamiltoniano di un sistema fisico dato da una particella di massa m(per semplicita senza spin) sottoposta ad una forza associata ad un’energia potenziale V = V (x)sufficientemente regolare, nel riferimento inerziale I nel quale abbiamo fissato un sistema di coor-dinate ortonormali destrorse, corrisponda quantisticamente a qualche estensione autoaggiuntaH dell’operatore simmetrico:

H0 :=1

2m

3∑i=1

P 2i + V (X) ,

inizialmente definito in qualche spazio denso invariante in cui gli operatori Pi e Xi siano bendefiniti. Si verifica facilmente che questa scelta soddisfa formalmente il principio di corrispon-denza di Dirac, almeno considerando le relazioni di commutazione tra l’operatore scritto soprae gli operatori Xk e Pk, lavorando in domini in cui tutti gli operatori in gioco sono ben definiti.Nella realta fisica si vede che l’intuizione e corretta e le osservabili hamiltoniane hanno propriola forma detta, considerando sistemi fisici di grande interesse come atomi e molecole [CCP82].Identificheremo lo spazio di Hilbert della particella con L2(R3, dx) in modo che gli operatori posi-zione siano moltiplicativi. Se si lavora in uno spazio di funzioni abbastanza regolari, l’espressionedi partenza per H e, quindi

H0 = − ~2

2m∆ + V (x) , (12.8)

dove ∆ e il noto operatore di Laplace su R3 e l’operatore V (X) diventa moltiplicativo e cor-risponde alla moltiplicazione per la funzione iniziale V = V (x). L’equazione di Schrodingere riscrivibile in questo caso come:

− ~2

2m∆ + V (X)

ψt(x) = i~

∂tψt(x) ,

che e la forma in cui l’ha scritta Schrodinger nelle sue due memorabili comunicazioni del 1926.Tuttavia bisogna fare attenzione al fatto che l’equazione considerata non deve essere presa allalettera come un’ordinaria equazione alle derivate parziali perche: (1) la derivazione in t e relativaalla topologia dello spazio di Hilbert e non e puntuale; (2) l’equazione vale in realta a meno diinsiemi di misura nulla nella variabile x, dato che le funzioni d’onda sono elementi dello spazioL2(R3, dx). Nel caso in cui si trovano soluzioni di tale equazione nel senso “ingenuo”, bisognapoi dimostrare che tali soluzioni sono anche soluzioni in senso proprio dell’equazione (12.7) (ilpunto delicato e (1)). Non si tratta di un problema difficile in ogni caso.

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Tornando al problema della definizione dell’operatore hamiltoniano partendo dall’operatore dif-ferenziale simmetrico (12.8) definito su un dominio denso, bisogna verificare caso per caso se, sutale dominio, l’operatore ammetta estensioni autoaggiunte o se sia addirittura essenzialmenteautoaggiunto. Si osservi a tal proposito che l’operatore simmetrico H0 commuta con la coniuga-zione C : L2(R3, dx) → L2(R3, dx) che rappresenta la coniugazione complessa delle funzioni ditale spazio. Di conseguenza, per il teorema 5.7 di von Neumann, ammette sicuramente estensioniautoaggiunte. La teoria generale delle estensioni autoaggiunte di operatori della forma di H0

e stata sviluppata da T. Kato2, con importantissimi risultati. Nel caso di potenziali di grandeinteresse fisico, come il potenziale coulombiano attrattivo e l’oscillatore armonico, si dimostrache H0 e essenzialmente autoaggiunto. Abbiamo visto questi risultati nella sezione 9.6 in esempi9.3 come conseguenza di alcuni teoremi generali. Esiste una branca dell’analisi funzionale inspazi di Hilbert dedicata a questo genere di problemi. Citiamo qui solo il seguente teorema chesegue come corollario dal teorema 9.14.

Teorema 12.2 (di Kato). Si consideri l’operatore differenziale su R3:

H0 := − ~2

2m∆ + V (x) , (12.9)

definito su qualche dominio denso D(H0) ⊃ S(R3) e si supponga che:

V (x) =N∑j=1

gj|x− xj |

+ U(x) (12.10)

dove le gj sono costanti, xj ∈ R3 sono punti fissati e U : R3 → R e misurabile e (essenzialmente)limitata.In tal caso vale quanto segue.(a) H0 e essenzialmente autoaggiunto su D(H0), D(R3) e S(R3).(b) L’unica estensione autoaggiunta H0 degli operatori considerati in (a) coincide con l’opera-tore autoaggiunto −∆ + V definito su D(−∆).(c) σ(H0) e limitato dal basso.

In generale, se l’operatore hamiltoniano H di un certo sistema fisico ammette spettro puntualeσp(H), ogni autovettore ψE di H con E ∈ σp(H) ha un’evoluzione temporale banale:

UtψE = e−itE~ ψE .

In altre parole, lo stato puro ρE := ψE(ψE | ) associato a ψE (pensato normalizzato a 1) nonevolve temporalmente. Questi stati particolarissimi vengono detti stati stazionari del sistema.Studiando i sistemi microscopici atomi e molecole, in prima approssimazione si approssimanola parte piu pesante – i nuclei degli atomi – a sistemi classici che agiscono con forze elettriche

2T. Kato, Perturbation for Linear Operators, Springer Verlag, 1966.

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coulombiane sugli elettroni, pensati come particelle quantistiche. Gli stati degli quantistici deglielettroni in questi sistemi sono teoricamente stati stazionari del loro hamiltoniano. Nella realta ,dato che il sistema atomo o molecola non e isolato, ma interagisce con altri sistemi fisici come ilcampo elettromagnetico, gli elettroni saltano continuamente da uno di questi stati ad un altrodi questi stati, ricevendo o perdendo l’energia necessaria in termini di energia elettromagnetica(fotoni), ma anche di altra natura (fononi). La struttura discreta dei valori energetici ammessiper gli elettroni (E ∈ σp(H)), si riflette in una analoga struttura discreta delle frequenze spettralidelle onde elettromagnetiche emesse ed assorbite da tali atomi o molecole. L’osservazione speri-mentale di tale struttura, a partire dalla fine dell ’800, inspiegabile da parte dell’elettrodinamicaclassica, e stata una delle ragioni che ha portato alla formulazione della meccanica quantistica.

Osservazioni.(1) In riferimento alt teorema 12.2, si puo provare [CCP82] che se qualche gj e nullo, i rimanentigj sono strettamente negativi allora si ha σp(H0) 6= ∅.(2) In virtu del teorema 9.15, H0 continua ad essere essenzialmente autoaggiunto su D(R3) e lasua unica estensione autoaggiunta e limitata dal basso, se U e non negativa e limitata inferior-mente. In tal caso [CCP82], se gj = 0 per ogni j e la funzione U e sufficientemente regolare etende all’infinito per |x| → +∞, accade anche che σ(H0) = σp(H0) 6= ∅.(3) Uno degli scogli maggiori che incontrano gli studenti alle prime armi con lo studio della Mec-canica Quantistica e quello di comprendere il perche delle condizioni che si impongono sulla rego-larita delle soluzioni dell’equazione agli autovalori per l’hamiltoniano della teoria. Consideriamol’equazione agli autovalori:

H0ψE = EψE , E ∈ R , ψEL2(R3, dx)

che, rozzamemente parlando dovrebbe determina gli stati stazionari del sistema fisico il cui ha-miltoniano e determinato da H0. Consideriamo, come accade di frequente in fisica, un operatoredella forma (12.9) in cui U : R3 → R che appare in (12.10) e una funzione continua eccetto cheper alcune superficie regolari σk, k = 1, 2, . . . , N (che non si intersecano e non intersecano le altresingolarita isolate di V ) su cui possiede discontinuta finite, ed e limitata (o piu debolmente soloinferiormente limitata tenendo conto dell’osservazione (2)). Sui manuali di meccanica quantisticaviene richiesto che le funzioni ψE soddisfino ancora una certa serie di condizioni:

(1) fuori dalle singolarita di V le ψE sono funzioni C2 (in realta C∞),(2) le ψE soddisfano l’equazione H0ψE = EψE in senso proprio per qualche E ∈ R,

cioe intepretando l’operatore come un operatore differenziale, fuori dalle singolarita di V ,(3) sulle superficie di singolarita , σk, di U le ψE sono continue e lo e la derivata di ψE

normale ad esse,(4) nei punti di singolarita isolati di V esistono e sono finiti i limiti di ψE .

Queste condizioni sono spesso giustificate in modo fantasioso nei manuali di fisica (in particolarele analoghe condizioni riducendosi a lavorare su R1).A commento precisiamo che, prima di tutto H0 non e l’operatore che rappresenta l’osservabi-le hamiltoniana del sistema, percheH0 non e autoaggiunto! L’operatore in questione e invece

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qualche estensione autoaggiunta di H0. Il teorema 12.2 assicura che, nelle ipotesi dette per H0,esso e essenzialmente autoaggiunto su D(R3), per cui esiste un’unica estensione autoaggiunta checoincide contemporaneamente con la chiusura e l’aggiunto di H0: H0 = H∗0 . Gli stati stazionaridel sistema si ottengono allora determinando lo spettro di H∗0 , cioe risolevendo l’equazione:

H∗0ψE = EψE , E ∈ R , ψE ∈ D(H∗0 ) .

Questa equazione, dato che D(R3) e denso in L2(R3, dx) si puo anche scrivere come:

(ϕ|H∗0ψE) = E(ϕ|ψE) , E ∈ R , per ogni ϕ ∈ D(R3) e dove ψE ∈ D(H∗0 ) e fissato.

Ricordando la definizione di aggiunto, l’equazione di sopra si riscrive:

(H0ϕ|ψE) = E(ϕ|ψE) , E ∈ R , per ogni ϕ ∈ D(R3) e dove ψE ∈ D(H∗0 ) e fissato.

In altre parole, stiamo cercando delle funzioni ψE ∈ L2(R3, dx) tali che, per ogni ϕ ∈ D(R3):∫R3

− ~2

2m∆ϕ(x) + V (x)ϕ(x)− Eϕ(x)

ψE(x) dx = 0 . (12.11)

Dunque le funzioni ψE non devono risolvere necessariamente l’equazione H∗0ψE = EψE , ma ladevono risolvere solo in senso debole, cioe devono soddisfare la (12.11) per ogni ϕ ∈ D(R3). Aquesto punto, esiste una trattazione generale di questo genere di problemi [ReSi80] essenzialmen-te legati alla teoria della regolarita ellittica, che provano che [CCP82] ψE ∈ L2(R3, dx) soddisfa(12.11), con le condizioni dette sul potenziale V , se e solo se verifica le condizioni (1)-(4) citateprima.

Esempi 12.1.(1) L’esempio piu elementare possibile e quello della particella senza spin, libera, di massam > 0,descritta nello spazio di Hilbert L2(R3, dx) associato agli assi di un riferimento inerziale I. Glistati puri sono rappresentati da funzioni d’onda, cioe elementi ψ ∈ L2(R3, dx) con ||ψ|| = 1. Inquesto caso l’hamiltoniano e semplicemente l’operatore:

H :=1

2m

3∑k=1

Pk2S(R3) = − ~2

2m∆S(R3) . (12.12)

Discutiamo brevemente sull’autoaggiunzione di tale operatore. In realta , la discussione dovreb-be essere ovvia dal contenuto della proposizione 9.9, tuttavia e interessante ripetere qualcheosservazione. Il secondo membro della (12.12) e autoaggiunto dato che l’operatore:

H0 :=1

2m

3∑k=1

Pk2S(R3)= −

~2

2m∆S(R3)

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e essenzialmente autoaggiunto. La prova e diretta usando l’operatore unitario di Fourier-PlancherelF e notando che, nello spazio L2(R3, dk) delle funzioni trasformate ψ := F(ψ), l’operatore scrittosopra corrisponde all’operatore moltiplicativo per la funzione:

k 7→ ~2

2mk2 ,

con dominio denso D(F−1H0F) := S(R3). Per costruzione l’operatore F−1H0F e simmetrico,inoltre, si dimostra facilmente che tale operatore e essenzialmente autoaggiunto, provando diret-tamente che Ker((F−1H0F)∗ ± I) = 0, oppure mostrando che ogni vettore di D(R3) ⊂ S(R3)e un vettore analitico per F−1H0F. Le stesse proprieta sono soddisfatte da H0 dato che F

e unitario.Per costruzione se H := H0 e si definisce ÜH := F−1HF, quest’ultimo agisce ancora comeoperatore moltiplicativo: ÜHψ (k) =

~2

2mk2ψ(k) ,

doveD(ÜH) =

§ψ ∈ L2(R3, dk)

∣∣∣∣∫R3|k|4|ψ(k)|2dk < +∞

ª.

Una definizione altrenativa di H si ottiene prendendo l’unica estensione autoaggiunta dell’ope-ratore iniziale H0 definito su D(R3) invece che su S(R3):

H0 :=1

2m

3∑k=1

Pk2D(R3)= −

~2

2m∆D(R3) .

Tuttavia, anche in questo caso H0 e essenzialmente autoaggiunto e la sua unica estensione au-toaggiunta coincide con H precedentemente trovato. Infine si potrebbe definire inizialmente H0

sullo spazio F(D(R3)), trovando ancora lo stesso risultato. Tutto cio e immediata conseguenzadella proposizione 9.9.(2) Un caso fisicamente interessante su R3 e quello in cui si modifica l’hamiltoniano libero tramiteil potenziale coulombiano attrattivo3:

V (x) =eQ

|x|,

dove e < 0 e Q > 0 sono costanti. In questo caso le ipotesi del teorema 9.14 (o 9.13) di Katosono verificate come si prova subito (m, ~ > 0 sono costanti che non creano alcun problemanell’applicare il teorema detto, dato che si puo moltiplicare l’operatore per 2m/~2 prima diapplicare il teorema senza perdere generalita ). Dunque l’operatore

H0 := − ~2

2m∆ + V (x)

3Propriamente parlando come detto precedentemente, V e l’energia pontenziale classica associata alla forza diCoulomb che agisce sulla particella di carica e, tuttavia in Meccanica Quantistica si e soliti riferirsi a V come alpotenziale con una certa imprecisione di linguaggio dato che, in meccanica, il potenziale avrebbe segno oppostodi quello considerato sopra.

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risulta essere essenzialmente autoaggiunto se, indifferentemente, e definito su D(R3) oppureS(R3). L’unica estensione autoaggiunta H0, se Q = −e, corrisponde all’ hamiltoniano di unelettrone nel campo elettrico di un protone (trascurando gli effetti dovuti allo spin e consi-derando il protone come un oggetto classico di massa infinita). Abbiamo in questo modo lapiu semplice descrizione quantistica dell’operatore hamiltoniano dell’atomo di idrogeno. In que-sto caso −e e il valore assoluto comune della carica dell’elettrone e del protone. m e la massadell’elettrone. Un risultato importante e che, malgrado V non sia limitato dal basso, lo spettrodell’operatore considerato lo e in ogni caso e, conseguentemente, lo sono i valori dell’energiafisicamente permessi. Questo significa che il sistema dell’atomo di idrogeno e energeticamentestabile: non puo collassare verso livelli energetici sempre piu bassi emettendo una quantita , al-la fine infinita, di energia interagendo con il campo elettromagnetico (cioe nell’energia di fotoniemessi dall’atomo) in un modo che non discuteremo in questo libro elementare dal punto di vistafisico. Si osservi che l’analogo modello classico, pensando l’elettrone ed il centro di attrazionecome puntiformi, non avrebbe energia totale limitata dal basso4. Lo studio dello spettro di H0

[CCP82], prova che σc(H0) = [0,+∞) mentre σp(H0) = Enn=1,2,... dove, se R = me4/(4πc~3)e la costante di Rydberg e c la velocita della luce:

En = −2πR~cn2

n = 1, 2, 3, . . . (12.13)

Studiando l’interazione tra i fotoni e l’atomo di idrogeno [CCP82], si vede che l’elettrone ini-zialmente in uno stato stazionario, individuato da un autovettore di H0 con autovalore En,puo cambiare il suo stato, passando ad un nuovo stato stazionario con energia Em < En, tra-sferendo la sua energia in eccesso ad un fotone. Puo anche avvenire il processo inverso in cuil’elettrone ricevendo l’energia da un fotone passa dallo stato di energia Em allo stato di energiaEn. Si dimostra che, a causa dell’interazione con i fotoni, solo lo stato relativo alla minimaenergia E1 = 2πR~c, il cosiddetto livello fondamentale, e stabile, gli altri sono instabili el’elettrone decade sul livello fondamentale dopo un certo tempo di vita medio che puo esserecalcolato. (Pertanto il termine stato stazionario non e del tutto appropriato quando si considerail sistema complessivo di un atomo con il campo elettromagnetico, descritto dai fotoni e sarebbepiu preciso parlare semplicemente di autovalori dell’hamiltoniano dell’atomo di idrogeno.) Tuttele possibili differenze di energia En − Em determinano tutte le possibile frequenze dei fotoni,cioe della luce, che un gas di atomi di idrogeno puo emettere o assorbire, attraverso la relazionedi Einstein En−Em = hνn,m – che lega la frequenza νn,m dei fotoni emessi dall’atomo all’energianel passare dal livello En al livello Em dei fotoni stessi (vedi il cap 5). Questi valori νn,m dellefrequenze erano ben noti ed inspiegabili per i fisici spettroscopisti, molto tempo prima che fosseformulata la Meccanica Quantistica [CCP82]. Ritrovare tali valori e spiegarli per via completa-mente teorica e stato sicuramente uno dei trionfi della fisica del secolo scorso.(3) Un secondo caso fisicamente interessante, sempre in R3, e quello in cui all’hamiltoniano della

4Un tale modello classico non sarebbe comunque consistente a causa della radiazione di frenamento del-l’elettrone accelerato che, come ben noto, produce inconsistenze matematiche nel limite di raggio nullodell’elettrone.

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particella libera considerato nell’esempio (1) e aggiunto il potenziale di Yukawa

V (x) =−e−µ|x|

|x|,

dove µ > 0 e ancora una costante positiva. Anche in questo caso l’operatore H0 = − ~2

2m∆+V (x)risulta essere essenzialmente autoaggiunto se, indifferentemente, definito su D(R3) oppure S(R3),come segue dal teorema 9.14 (o 9.13) di Kato. Il potenziale di Yukawa descrive, in primaapprossimazione, processi d’interazione tra un pione ed una sorgente di forza forte pensata, inquesta approssimazione, come dovuta ad una sorgente macroscopica.(4) In riferimento all’esempio (1), l’azione dell’evolutore e allora evidente in rappresentazione diFourier:

(ÜUtψ)(k) =e−

it~ H ψ

(k) = e−

it~2m

k2ψ(k) . (12.14)

La dimostrazione si ottiene immediatamente usando le decomposizioni spettrali di ÜH e tenendoconto del fatto che le misure spettrali di P1, P2, P3 commutano, da cui:

e−it~ H = e−

it2~m P

21 e−

it2~m P

22 e−

it2~m P

23 ,

dove ogni ÜPj = F−1PjF e l’operatore moltiplicativo:ÜPjψ (k) = ~kjψ(k) .

Torniamo in rappresentazione posizione e consideriamo l’evoluzione temporale della funzioned’onda ψ – cioe una funzione d’onda che individua lo stato UtρU∗t quando ρ = ψ(ψ| ) – e :

ψ(t,x) :=(e−i

t~Hψ

)(x) =

∫R3

eik·x

(2π)3/2ψ(k)e−i

~t2m

k2dk (12.15)

dove:

ψ(x) = ψ(0,x) :=∫

R3

eik·x

(2π)3/2ψ(k) dk , (12.16)

quando ψ ∈ S(R3), altrimenti, in generale i due integrali si devono intendere nel senso dellatrasformata di Fourier-Plancherel.

12.1.2 L’azione del gruppo di Galileo in rappresentazione posizione.

La discussione in (4) in esempi 12.1 consente di esplicitare in rappresentazione posizione l’azionedel gruppo di Galileo, discussa alla fine del capitolo 11 in rappresentazione impulso per la par-ticella libera di spin s generico. Se (τ, c,v, U) e il generico elemento del rivestimento universaleSG del gruppo speciale di Galileo, la rappresentazione menzionata sopra e quella indotta daglioperatori unitari Z(m)

(τ,c,v,U) che, in rappresentazione impulso, agiscono come (11.109):Z(m)

(τ,c,v,U)ψ

(k) := ei(τv−c)·(k−mv)ei

τ2m

(k−mv)2ψR(U)−1(k−mv)

.

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Passando in rappresentazione posizione, eseguendo la trasformata di Fourier-Plancherel inversaψ = F−1ψ, si ottiene facilmente che, se ψ ∈ L2(R2, dx), allora:(

UtZ(m)(τ,c,v,U)ψ

)(x) = eim(v·x−v2t/2)ψ

t− τ,R(U)−1(x− c)− (t− τ)R(U)−1c)

.

In altre parole, se ψ′(t,x) :=(UtZ

(m)(τ,c,v,U)ψ

)(x) e la funzione d’onda sulla quale ha agito a

t = 0 l’elemento (τ, c,v, U) del (rivestimento universale del) gruppo di Galileo e poi e stata fattaevolvere fino al tempo t, tenendo conto di (11.102), abbiamo:

ψ′(t,x) = eim(v·x−v2t/2)ψ(τ, c,v, U)−1(t,x)

. (12.17)

Nel caso di particelle con spin s, come precisato nel capitolo precedente, fissando un riferimentoinerziale, lo spazio di Hilbert e L2(R3, dx)⊗C2s+1 e le funzioni d’onda sono i vettori normalizzatia 1 della forma:

Ψ =s∑

sz=−sψsz ⊗ |s, sz〉 ,

dove i vettori |s, sz〉 individuano la base canonica di C2s+1 rispetto alla quale l’operatore di spinSz e diagonale ed ha gli sz come autovalori.Come gia osservato, in base alla decomposizione appena scritta, L2(R3, dx)⊗C2s+1 risulta esserenaturalmente isomorfo alla somma diretta ortogonale di 2s+1 copie di L2(R3, dx); di conseguenzali vettori Ψ si identificano con spinori di ordine s, cioe con vettori colonna di funzioni d’onda diparticella senza spin:

Ψ ≡ (ψs, ψs−1, · · · , ψ−s+1, ψ−s)t .

Se definiamo Ψ′(t,x) :=(UtZ

(m)(τ,c,v,U) ⊗ UΨ

)(x), l’azione attiva del gruppo di Galileo e allora:

Ψ′(t,x) = eim(v·x−v2t/2)s∑

sz=−sψsz

(τ, c,v, U)−1(t,x)

⊗ U |s, sz〉 . (12.18)

Ovvero, in termini di componenti spinoriali:

ψ′s′z(t,x) = eim(v·x−v2t/2)s∑

sz=−sUs′zszψsz

(τ, c,v, U)−1(t,x)

, (12.19)

dove Uij e l’elemento matriciale di U sulla base canonica di C2s+1.A parte la fase5 eim(v·x−v2t/2), questa e la trasformazione che ci si aspetta in termini intuitivi,immaginando che la funzione d’onda a spin s = 0 e ciascuna delle componenti di quella a spins 6= 0, sia campo scalare nello spaziotempo della fisica classica e che l’azione del gruppo sia ditipo attivo. L’interpretazione della funzione d’onda in rappresentazione posizione come un cam-po scalare sullo spaziotempo e un’interpretazione non ovvia a priori, che si rivela profondamente

5Si osservi che questa fase non puo essere rimossa cambiando il rappresentate del raggio considerato, dato chedipende dalla variabile x.

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falsa (non solo per una fase) nelle teorie relativistiche, dove si vede che le funzioni d’onda inrappresentazione posizione (nel cosiddetto formalismo di Newton-Wigner [BaRa86]) sono oggettialtamente non locali6.

Il risultato ottenuto, pensando le trasformazioni di Galileo in senso passivo e pensando quindile trasformazioni Z(m)

(τ,c,v,U) come operatori unitari tra differenti spazi di Hilbert associati a duedifferenti sistemi di riferimento per descrivere lo stesso sistema fisico, consente di descrivere letrasformazioni degli stati quantistici tra due differenti sistemi di riferimento. L’idea di basee che, se agisco su uno stato con una trasformazione attiva di Galileo e quindi cambio sistemadi riferimento e passo ad un nuovo sistema di riferimento che e legato al precedente esattamentecon la stessa trasformazione di Galileo con cui ho trasformato lo stato, nel nuovo riferimentolo stato trasformato deve apparire come quello iniziale non trasformato. Pertanto la legge ditrasformazione passiva degli stati (cambiamento di coordinate) deve corrispondere alle inversedelle trasformazioni attive viste sopra, nel senso che e necessario rimpiazzare (τ, c,v, U) con(τ, c,v, U)−1 in (12.19).Si considerino, a tal fine, due sistemi di riferimento inerziali I e I′ con coordinate solidali carte-siane ortogonali destrorse, rispettivamente, x1, x2, x3 e x′1, x

′2, x′3 e coordinate temporali, rispet-

tivamente, t e t′. Si supponga che la legge di trasformazione tra le coordinate sia data dallatrasformazione di Galileo speciale:

t′ = t+ τ ,

x′i = ci + tvi +3∑j=1

Rijxj , i=1,2,3. (12.20)

dove τ ∈ R, ci ∈ R, vi ∈ R e R ∈ SO(3). Considerando una particella di spin s, lo spaziodi Hilbert della teoria, per il riferimento I si identifica con H := L2(R3, dx) ⊗ C2s+1, mentreper il riferimento I′ si identifica con H′ := L2(R′3, dx′) ⊗ C2s+1′ . Gli spazi R3 e R′3 sonoidentificati con gli spazi di quiete dei rispettivi riferimenti usando le coordinate cartesiane detteprima. Le basi canoniche degli spazi C2s+1 e C2s+1′ sono identificate con basi hilbertiane diautovettori degli operatori di spin rispetto al terzo asse: S3 e S3′ . Scegliamo una matriceU ∈ SU(2) tale che la sua immagine secondo l’omomorfismo di ricoprimento di SU(2) su SO(3)coincida con R. (U e determinata a meno del segno come notato nel capitolo precedente, matale segno puo al piu alterare i vettori che rappresentano stati puri per un segno che non alteralo stato rappresentato dal vettore.) Consideriamo poi uno stato puro del sistema, descrittonel riferimento I, dal vettore di norma unitaria Ψ. Consideriamo l’evoluzione temporale ditale stato nel riferimento I. Lo stato Ψ corrispondera ad uno stato Ψ′ nel riferimento I′ ed aduna sua evoluzione temporale. Il legame tra gli spinori Ψ e Ψ′, al variare del tempo e quindi,rimpiazzando (τ, c,v, U) con (τ, c,v, U)−1 in (12.19) (tenendo conto del fatto che i parametri

6Bisogna non confondere la funzione d’onda in rappresentazione posizione con il campo di secondaquantizzazione che e invece un oggetto locale.

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τ, c,v, U appaiono anche nella fase):

ψ′s′z(t′,x′) = eim(v·R(U)x−v2t/2)

s∑sz=−s

Us′zszψsz (t+ τ,R(U)x + τv + c) , (12.21)

e, in particolare, nel caso di spin s = 0:

ψ′(t′,x′) = eim(v·R(U)x−v2t′/2)ψ (t+ τ,R(U)x + τv + c) , (12.22)

dove le coordinate (t,x) e (t′,x′) sono legate tra di esse dalla relazione (12.20). In effetti con lescelte fatte, si verifica subito che, se il vettore iniziale ψ e rimpiazzato dal vettore ψ sul qualeha agito una trasformazione del gruppo di Galileo attiva, lo stato

12.1.3 L’evolutore temporale in assenza di omogeneita temporale e la seriedi Dyson.

Torniamo un momento sulla nozione di evolutore temporale per presentarne una generalizzazio-ne legata all’equazione di Schrodinger. Un’osservazione importante sulla nozione di evolutoretemporale che abbiamo dato nell’assioma A.6, e che l’evolutore Uτ e in realta indipendente dal-l’istante iniziale. Se fissiamo lo stato ρ al tempo iniziale t, UτρU∗τ sara lo stato al tempo t+τ . Seavessimo fissato lo stesso stato ρ al tempo iniziale t′ 6= t, UτρU∗τ sarebbe stato lo stato al tempot′ + τ . Questa situazione implica che la dinamica del sistema non si modifichi nell’intervallotemporale [t, t′]. In altre parole l’assioma A6 presuppone che per il sistema fisico S descrittonel riferimento I valga la proprieta omogeneita temporale. Dal punto di vista classico questasituazione corrisponde alla situazione in cui la funzione di Hamilton non dipende esplicitamentedal tempo in coordinate canoniche solidali con un certo sistema di riferimento.Esistono situazioni dinamiche piu generali, in cui questa ipotesi non e valida per un certo sistemafisico S. Questo accade quando il sistema S interagisce con un esterno che si modifica nel tempo,viceversa se S e isolato (ma questo non e l’unico caso) e la descrizione avviene in un sistema diriferimento inerziale, viene assunta l’omogeneita del tempo come accade in meccanica classica.Nel caso generale di assenza di omogeneita temporale, l’evoluzione temporale viene assiomatiz-zata come segue.

A6’. Descrivendo il sistema fisico quantistico S in un riferimento inerziale I, con spazio deglistati HS, si assume che esista una famiglia di operatori unitari su HS, U(t2, t1)t2,t1∈R, dettievolutori temporali da t1 a t2, che soddisfano le proprieta :

(i) U(t, t) = I,(ii) U(t′′, t′)U(t′, t) = U(t′′, t),(iii) U(t′, t) = U(t, t′)∗.

Si assume infine che, se ρ e lo stato del sistema al tempo t0, lo stato evoluto al tempo t1 (chepuo anche precedere t0) e U(t1, t0)ρU(t1, t0)∗.

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La differenza fondamentale rispetto al caso descritto dall’assioma A6 e che ora non si puo piu associareun generatore autoaggiunto alla famiglia U(t2, t1)t2,t1∈R e, in generale, non ha senso parlare dihamiltoniano del sistema. Tuttavia esso puo ancora essere introdotto (come hamiltoniano dipen-dente dal tempo) generalizzando l’equazione di Schrodinger e definendo gli operatori U(t′, t) comesoluzioni operatoriali di tale equazione. Dal punto di vista formale, l’evolutore Uτ dell’assiomaA6 soddisfa l’equazione (ponendo ~ = 1)

s-d

dτUτ = −iHUτ .

Nel caso dell’evolutore generalizzato U(t′, t), si puo assumere che sussista un’analoga equazione:

s-d

dτU(τ, t) = −iH(τ)U(τ, t) , (12.23)

quando ad ogni istante di tempo τ e assegnata un’osservabile, detta hamiltoniano al tempoτ , che si identifica con l’energia del sistema fisico (nel riferimento considerato) all’istante τ .L’equazione (12.23) presenta alcuni delicati problemi tecnici per essere trattata rigorosamentea causa dei domini differenti dei vari operatori H(τ), tuttavia e utilissima in varie applicazionipratiche. La cosiddetta serie di Dyson, fondamentale in elettrodinamica quantistica ed in teoriaquantistica dei campi, e una soluzione formale di tale equazione. Riportiamo a tal propositola seguente proposizione che illustra una situazione semplificata in cui ogni hamiltoniano H(τ)e supposto limitato e definito su tutto lo spazio di Hilbert. In questo caso la classe degli opera-tori H(τ) determina effettivamente una classe di evolutori temporali U(t′, t) tramite l’equazione(12.23) e tali evolutori sono espressi dalla serie di Dyson.

Proposizione 12.2. Sia H spazio di Hilbert e R 3 t 7→ H(t) ∈ B(H) continua nella topologiaoperatoriale forte. Si considerino gli operatori U(t, s) espressi dalla serie di Dyson:

U(t, s) := I +∞∑n=1

(−i)n∫ t

sdt1H(t1)

∫ t1

sdt2H(t2) · · ·

∫ tn−1

sdtn−1H(tn) (12.24)

dove gli integrali iterati sono definiti nel senso della proposizione 9.4 e la serie converge nellatopologia uniforme. Vale quanto segue.(a) Gli U(t, s) soddisfano le condizioni (i) e (ii) di A6’ e (iii) vale se tutti gli operatori H(t)sono autoaggiunti, in qual caso ogni U(t, s) e unitario.(b) La funzione R 3 (t, s) 7→ U(t, s) e continua nella topologia uniforme.(c) Vale l’equazione di Schrodinger generalizzata:

s-d

dtU(t, s) = −iH(t)U(t, s) per ogni t, s ∈ R. (12.25)

Prova. Prima di tutto notiamo che ogni termine dello sviluppo di Dyson

Un(t, s) = (−i)n∫ t

sdt1H(t1)

∫ t1

sdt2H(t2) · · ·

∫ tn−1

sdtn−1H(tn) ,

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ha senso dato che – per (c) in proposizione 9.4 – ogni funzione integrale che appare a secondomembro, a partire da quella piu a destra (tn−1, s) 7→

∫ tn−1

s dtn−1H(tn), definisce una funzionea valori in B(H) fortemente congiuntamente continua nella coppia di estremi di integrazione (equindi anche nell’estremo superiore separatamente) ed il prodotto (nel senso della composizioneoperatoriale puntuale) di due funzioni di tale tipo e ancora una funzione a valori in B(H) forte-mente continua, che puo essere a sua volta integrata. Usando le proprieta dell’integrale definitoin proposizione 9.4, dove ora la funzione L1 e data dalla funzione caratteristica del consideratointervallo [s, tk], si dimostra facilmente che l’n-esimo termine della serie di Dyson Un(t, s), cont, s ∈ [T, S], soddisfa la stima:

||Un(t, s)|| ≤ Aa,b :=|b− a|n

n!

(supτ∈[a,b]

||H(τ)||)n

, (t, s) ∈ [a, b]2 . (12.26)

Come osservato nella dimostrazione della proposizione 9.4, dato che τ 7→ H(τ) e continuo nel-la topologia operatoriale forte, supτ∈[a,b] ||H(τ)|| < +∞ per il teorema di Banach-Steinhaus.Pertanto 0 ≤ Aa,b < +∞. Dato che la serie di termine positivo generico Aa,b converge, conclu-diamo che la serie di Dyson converge nella topologia uniforme, uniformemente in (s, t) su ognicompatto. Di conseguenza, assumendo che ogni termine della serie di Dyson sia continuo nellatopologia uniforme (come dimostreremo sotto) segue anche che (t, s) 7→ U(t, s) e continuo nellatopologia uniforme. Per mostrare che i termini dell serie di Dyson sono continui nella topologiauniforme, si deve tenere conto della loro evidente relazione di ricorrenza:

Un(t, s) = −i∫ t

sH(τ)Un−1(τ, s)dτ . (12.27)

Da essa segue facilmente che, lavorando nel compatto [a, b]× [a, b]

||Un(t, s)− U(t′, s′)|| ≤∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∫ t

t′H(τ)Un−1(τ, s)dτ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣+

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∫ t′

sH(τ)(Un−1(τ, s)− Un−1(τ, s′))dτ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣

+

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣∫ s′

sH(τ)Un−1(τ, s′)dτ

∣∣∣∣∣∣∣∣∣∣ ,

e quindi, in base ad (a) in proposizione 9.4:

||Un(t, s)− U(t′, s′)|| ≤ |t− t′| sup(τ,σ)∈[a,b]2

||H(τ)||||Un−1(τ, σ)||

+ (b− a) supτ∈[a,b]

||H(τ)||||Un−1(τ, s)− Un−1(τ, s′)||+ |s− s′| sup(τ,σ)∈[a,b]2

||H(τ)||||Un−1(τ, σ)||

Si conclude che se (t, s) 7→ Un−1(t, s) e continua nella topologia uniforme, allora lo deve ancheessere (t, s) 7→ Un(t, s): in particolare, supτ∈[a,b] ||H(τ)||||Un−1(τ, s) − Un−1(τ, s′)|| → 0 se s →s′ dato che (oltre ad esistere supτ∈[a,b] ||H(τ)|| < +∞ come osservato sopra), la continuita di(t, s) 7→ Un−1(t, s) sul compatto [a, b]2 implica l’uniforme continuita sullo stesso compatto. Inbase al principio di induzione e allora sufficiente provare che U1(t, s) = −i

∫ ts dt1H(t1) e continuo.

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Ma sappiamo che cio e vero da (i) in (c) in proposizione 9.4. Abbiamo dimostrato (b) e partedi (a). Concludiamo la prova di (a). Per costruzione U(t, t) = I e, se ogni H(τ) e autoaggiunto:U(t, s)∗ = U(s, t). La relazione (ii) si prova similmente a eA+B = eAeB quando le matrici A e Bcommutano, moltiplicando le serie di Dyson e raccogliendo opportunamente il risultato, lasciamoi dettagli al lettore. Nel in cui ogni H(τ) e autoaggiunto, abbiamo allora che U(s, t)U(s, t)∗ =U(s, t)U(t, s) = U(s, s) = I e, similmente U(s, t)∗U(s, t) = I che implicano che U(s, t) siaunitario. Passiamo a provare (c). Applicando (b) di proposizione 9.4 ai singoli termini dellaserie di Dyson calcolata su un vettore ψ, differenziando termine a termine la serie e tenendoconto delle relazioni di ricorrenza (12.27), si arriva immediatamente a:

d

dtU(t, s)ψ = −iH(t)U(t, s)ψ ,

peruche sia possibile scambiare il segno di derivata con quello di serie. Usando ancora la stima(12.26) unitamente a supt∈[a,b] ||H(t)|| < +∞ si ha che serie delle derivate converge uniforme-mente sui compatti nella topologia uniforme e quindi, uniformemente, anche in quella forte.Pertanto la serie di Dyson puo essere derivata in t (nella topologia forte) sotto il simbolo disomma provando che:

s-d

dtU(t, s) = −iH(t)U(t, s) .

2

Osservazioni.(1) Lasciamo al lettore la prova del fatto che la serie di Dyson (12.24) per l’evolutore U(t, s)puo essere riscritta come

U(t, s) =+∞∑n=0

(−i)n

n!

∫ t

s

∫ t

s· · ·∫ t

sT [H(t1)H(t2) · · ·H(tn)] dtndtn−1 · · · dt1 , (12.28)

Dove abbiamo introdotto l’ordinatore cronologico di prodotti di operatori:

T [H(t1)H(t2) · · ·H(tn)] := H(τn)H(τn−1) · · ·H(τ1)

dove τn e il piu grande tra t1, . . . , tn, mentre τn−1 ≤ τn e il piu grande tra i rimanenti valori dit1, . . . , tn dopo avere eliminato τn e via di seguito. La serie di Dyson scritta nella forma (12.28)assomiglia allo sviluppo in serie dell’esponenziale, ma con il riordinamento temporale. Per talemotivo la serie di Dyson si trova scritta alternativamente, ripristinando la costante ~:

U(t, s) = T

e−

i~

∫ tsH(τ)dτ

. (12.29)

Si osservi che nel caso di H non dipendente dal tempo, il secondo membro si riduce proprio ae−i

(t−s)~ H come ci si aspetta.

(2) Come gia osservato, l’uso della serie di Dyson e di centrale importanza in teoria quantistica

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dei campi e comunque in teoria delle perturbazioni, quando l’hamiltoniano e decomposto comeH = H0 + V , dove V rappresenta una correzione a H0 ed alla dinamica da esso generata. Inquesta situazione si usa una procedura che si basa sulla cosiddetta rappresentazione d’interazionedi Dirac [CCP82] in cui la serie di Dyson gioca un ruolo centrale. In generale, nelle applicazioniconcrete, la serie di Dyson viene comunque adoperata in contesti in cui H non e un operatorelimitato. Per tale motivo il teorema provato sopra non puo essere applicato e la serie deve essereintesa in qualche senso debole [ReSi80].

12.1.4 Inversione del tempo antiunitaria. Teorema di Pauli.

Ritorniamo ora a questioni di carattere piu generale in riferimento all’assioma di evoluzionetemporale e mostriamo altre due importanti conseguenze della richiesta di esistenza di un limiteinferiore allo spettro dell’hamiltoniano H.Sappiamo dal capitolo precedente che se un sistema fisico ammette una certa simmetria (se diKadison o Wigner e irrilevante per il teorema 11.2), essa e descritta da una trasformazione uni-taria oppure anti unitaria. Se un sistema fisico S con hamiltoniano H ammette come simmetrial’inversione del tempo γT (vedi (2) in esempi 11.2), individuata dall’operatore T : HS → HSunitario oppure anti unitario (ammettiamo che lo spazio di Hilbert sia costituito da un unicosettore coerente), questo operatore deve soddisfare, per definizione, l’ovvia richiesta (poniamo~ = 1 nel seguito):

γT

(H)t (ρ)

)= γ

(H)−t (γT (ρ)) .

In altre parole, deve valere:

e−itHT ρT −1e−itH = T e+itHρe−itHT −1 per ogni ρ ∈ S(HS). (12.30)

Si osservi che dunque l’inversione del tempo, quando esiste, non e una simmetria dinamica nelsenso della definizione 12.1 a causa dell’inversione del segno del tempo nel flusso dinamico. Ab-biamo tuttavia il seguente risultato che, in parte, ripropone la tesi della proposizione 12.1.

Teorema 12.3. Si consideri un sistema fisico S con hamiltoniano H (dunque con spettrolimitato dal basso) sullo spazio di Hilbert HS. Se lo spettro di H e illimitato superiormente,allora ogni operatore T : HS → HS unitario oppure anti unitario che soddisfi la (12.30) – equindi in particolare l’operatore che rappresenta la simmetria di inversione temporale, se esiste– deve essere anti unitario e deve soddisfare:

T −1HT = H .

Prova. Si tenga conto del fatto che, se V : HS → HS e unitario (oppure anti unitario), alloravale V ψ(ψ|V −1·) = V ψ(ψ|V ∗·) = V ψ(V ψ|·). Da cui, posto Ut := e−itH , per ogni stato puroρ = ψ(ψ| ), specializzandoci all’operatore unitario V := (T U−t)−1UtT

(T U−t)−1UtT ψ(

(T U−t)−1UtT ψ∣∣∣ ) = ψ(ψ| ) ,

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e dunque, per qualche χt ∈ C con |χt| = 1:

(T U−t)−1UtT ψ = χtψ per ogni ψ ∈ H.

Con la stessa dimostrazione usata per il teorema 11.1 si vede che χt non dipende da ψ. Inoltrela funzione R 3 t 7→ χt e differenziabile come si prova subito, scegliendo φ ∈ D(H) \ 0,ψ ∈ T −1D(H) \ 0 con (φ|ψ) 6= 0 (e questo e possibile percheD(H) e denso) e calcolando laderivata di ambo membri dell’identita seguente, se T e unitario:

(T U−tφ|T −1UtT ψ) = χt(φ|ψ) .

oppure, T e anti unitario:(T U−tφ|T −1UtT ψ) = χt(φ|ψ) .

Il teorema di Stone assicura che le derivate esistono. Concludiamo che esiste una funzioneR 3 t 7→ χt ovunque derivabile e tale che:

e−itHT = T χteitH

Di conseguenza:T −1e−itHT = χte

itH

e quindi, dove il segno − appare se T e unitario e + appare se T e antiunitario (vedi (6) inesercizi 11.1 per il caso antiunitario):

e∓itT−1HT = χte

itH .

Si osservi che T −1HT e un operatore autoaggiunto e pertanto il primo membro, al variare dit ∈ R, definisce un gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo. Applicando il teoremadi Stone si ha subito che, D(T −1HT ) ⊂ D(H) = D(cI +H) e vale l’identita :

∓T −1HT D(H)= cI +H dove c := −idχtdt |t=0 . (12.31)

Si osservi che c deve essere reale, dato che∓T −1HT −H e simmetrico suD(H). In realta (12.31)deve valere anche su tutto dominio di ∓T −1HT che, essendo autoaggiunto, non puo avere altreestensioni autoaggiunte (in questo caso cI + H) differenti da ∓T −1HT stesso. Concludiamoche:

T −1HT = ∓cI ∓H .

In particolare dovra anche essere (vedi (6) in esercizi 11.1 per il caso antiunitario):

σ(H) = σ(T −1HT ) = σ (∓cI ∓H) = ∓c∓ σ(H) .

Se σ(H) e limitato dal basso ma non e limitato superiormente, questa identita e impossibile sea secondo membro appare il segno −, qualunque sia la costante c. In tal caso T deve dunqueessere antiunitario. Deve dunque essere inf σ(H) = inf(c+ σ(H)) = c+ inf σ(H) e quindi c = 0,

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dato che inf σ(H) e finito per ipotesi essendo σ(H) 6= ∅ ed essendo inferiormente limitato. 2

Un’ulteriore conseguenza dell’esistenza del limite inferiore allo spettro di H riguarda la pro-blematicita dell’esistenza di una osservabile quantistica che corrisponda alla grandezza classicatempo, che soddisfi relazioni di commutazione canoniche con l’hamiltoniana. L’esistenza diun tale operatore potrebbe essere suggerita dalla relazione d’indeterminazione di Heisenbergtempo-energia discussa nel capitolo 5. Nel capitolo 10 abbiamo dedotto il principio di indeter-minazione di Heisenberg per la posizione e l’impulso, come teorema, conseguenza delle relazionidi commutazione canonica

[X,P ] = i~I .

Ci si potrebbe aspettare che esista un operatore autoaggiunto T che corrisponde all’osserva-bile tempo, che soddisfi un’analoga relazione di commutazione, su qualche dominio, rispettoall’operatore hamiltoniano:

[T,H] = i~I ,

ed, in conseguenza di cio , esattamente come fatto per il caso posizione-impulso (vedi cap. 10),esista la relazione di indeterminazione tempo-energia:

(∆H)ψ(∆T )ψ ≥ ~/2 .

Abbiamo visto nel capitolo 10 che, nel caso delle relazioni di commutazione canonica posizione-impulso, interpretando in senso forte tali relazioni, cioe passando dagli operatori all’algebra degliesponenziali di essi, le relazioni di commutazione di questi ultimi determinavano gli operatoristessi a meno di trasformazioni unitarie, in virtu del teorema di Stone-von Neumann. Nel casoin esame le relazioni dette sarebbero e−i

h~T e−i

t~H = ei

ht~ e−i

t~He−i

h~T Nel caso in esame questo

non e possibile: non c’e alcun modo di definire in modo univoco l’operatore tempo e quindi dareun senso preciso e generale alle relazioni di indeterminazione tempo-energia. Tuttavia e possibilecercare di definire l’osservabile tempo, caso per caso ed anche usando altri approcci (come lePOVM introdotte alla fine del capitolo 7). Questo risultato negativo cade sotto il nome di teore-ma di Pauli. Enunciamo e proviamo la nostra versione del teorema di Pauli, mettendo insiemediversi risultati provati nei capitoli precedenti.

Teorema 12.4 (di Pauli). Si consideri un sistema fisico S con hamiltoniano H (dunquecon spettro limitato dal basso) sullo spazio di Hilbert HS. Si supponga che esista un operatoreautoaggiunto T : D(T ) → HS ed un sottospazio D ⊂ D(H) ∩ D(T ) sul quale TH e HT sianoben definiti e valgono le relazioni di commutazione canoniche (ponendo ~ = 1):

[T,H] = iI .

Nessuno dei fatti seguenti puo essere vero.(a) D e denso ed invariante per T e H e l’operatore simmetrico T 2 + H2, definito su D,e essenzialmente autoaggiunto.

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(b) D e denso ed invariante per T e H ed e costituito da vettori analitici per T e H contempo-raneamente.(c) Sussistono le relazioni di commutazione canoniche per gli operatori esponenziali:

eihT eitH = eiht eitHeihT per ogni t, h ∈ R.

Prova. Se valesse (a), in virtu del teorema 10.10 di Nelson H D e T D sarebbero essenzial-mente autoaggiunti (e quindi D sarebbe un core per entrambi gli operatori autoaggiunti H eT ) ed esisterebbe una rappresentazione unitaria fortemente continua dell’unico gruppo di Liesemplicemente connesso la cui algebra di Lie e individuata dalle relazioni di commutazione ca-noniche e da quelle banali [T, I] = [H, I] = 0, che ammette I, H e T come generatori. Talegruppo e quello di Heisenberg H (2) come visto nel capitolo precedente, e questo implicherebbela validita di (c). Se valesse (b) arriveremmo alla stessa conclusione applicando il teorema 11.11.Supponiamo quindi che valga (c). In tal caso, seguendo la discussione che segue il teorema 11.2bsi prova subito che gli operatori W (t, h) := eiht/2eitHeihT soddisfano le regole di commutazio-ne di Weyl e soddisfano le ipotesi del teorema 10.3 di Mackey. Ne consegue che lo spazio diHilbert HS si decompone in una somma diretta ortogonale di sottospazi chiusi HS = ⊕kHk,che sono invarianti rispetto a eitH e eihT per ogni valore di t e di h; infine, per ogni k, esisteun operatore unitario Sk : Hk → L2(R, dx) per cui, in particolare SkeitH Hk S

−1k = eitX , dove

X e l’operatore posizione standard su R. Applicando il teorema di Stone alla condizione diinvarianza eitHHs ⊂ Hs si ricava che che H(Hk ∩D(H)) ⊂ Hk, che HHk∩D(H) e autoaggiuntocome operatore sullo spazio di Hilbert Hk, ed infine eitH Hk= eitHHk∩D(H) . A questo punto, lacondizione soddisfatta dall’operatore Sk si puo scrivere: eitHHk∩D(H) = S−1

k eitXSk. Applicandonuovamente il teorema di Stone, si ottiene: HHk∩D(H)= S−1

k XSk e dunque (dove, per avere laprima inclusione e sufficiente usare la definizione di spettro):

σ(H) ⊃ σ(HHk∩D(H)) = σ(S−1k XSk) = σ(X) = R ,

che e impossibile dato che σ(H) e inferiormente limitato. 2

12.2 Relazione tra simmetrie dinamiche e costanti del moto.

In questa sezione ci occuperemo di estendere alla Meccanica Quantistica i risultati dimostratidalle varie formulazioni del teorema di Nother che, nella teoria classica, legano simmetrie di-namiche e costanti del moto. In Meccanica Quantistica questo legame e il piu diretto possibile.Per enunciare il teorema che corrisponde a tale relazione e necessario introdurre la cosiddettarappresentazione di Heisenberg delle osservabili.

12.2.1 La rappresentazione di Heinsenberg e le costanti del moto.

Consideriamo il sistema quantistico S descritto nel riferimento inerziale I e con evolutore tem-porale R 3 τ 7→ e−iτH . Fissiamo una volta per tutte un tempo di riferimento che corrisponde

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al tempo in cui fissiamo le condizioni iniziali. Possiamo sempre scegliere tale tempo comet = 0. Consideriamo quindi la rappresentazione proiettiva continua di R ad esso associatoR 3 t 7→ γ

(H)t := e−itH · eitH e la sua azione duale sulle osservabili. Se A e un’osservabile, che

include il caso in cui A sia un proiettore ortogonale che rappresenta una proprieta elementaredel sistema S,

AH(t) := γ(H)∗t (A) = eitHAe−itH

si dice rappresentazione di Heisenberg dell’osservabile A al tempo τ . Si osservi che, percostruzione σ(AH(τ) = σ(A) e le misure spettrali soddisfano P (AH(t))E = γ

(H)∗t (P (A)

E ) per ogniE ∈ B(R). Lavorando con la rappresentazione di Heisenberg delle osservabili, in coerenza conl’idea dell’azione duale delle simmetrie introdotta nel capitolo 11, gli stati quantistici non evolvo-no temporalmente e la dinamica agisce sulle osservabili. In particolare, il valore di aspettazionedell’osservabile A sullo stato ρt, evoluzione temporale fino al tempo t dello stato iniziale ρ,puo essere indifferentemente calcolato come 〈A〉ρt oppure 〈AH(t)〉ρ, dato che

〈A〉ρt = trAUtρU

−1t

= tr

U−1τ AUtρ

= 〈AH(τ)〉ρ .

La stessa cosa accade per la probabilta che il risultato della misura di A eseguita al tempo τcada nel boreliano E, se lo stato era ρ al tempo 0:

tr(P (A)E ρt) = tr(P (AH(t))

E ρ) .

Osservazioni.(1) Per distinguere la rappresentazione di Heisenberg da quella standard, in cui evolvono glistati e non le osservabili, si chiama la prima rappresentazione di Schrodinger. Noi seguire-mo questa convenzione.(2) Si deve notare che puo accadere che un’osservabile dipenda dal tempo anche in rappresenta-zione di Schrodinger. Piu precisamente, e spesso comodo considerare una famiglia di operatoriautoaggiunti Att∈R dipendenti parametricamente dal tempo t e pensare tale famiglia comeun’unica osservabile che dipende dal tempo, indicandola con At. Si dice in tal caso che l’os-servabile dipende esplicitamente dal tempo. In tal caso, passando in rappresentazione diHeisenberg, la dipendenza temporale, tiene conto di entrambe le dipendenze:

AHt(t) := eitHAte−itH . (12.32)

Per non sovraccaricare la notazione, nel seguito non indicheremo esplicitamente la prima dipen-denza temporale e scriveremo H in luogo di Ht se cio non dara luogo ad ambiguita .Dopo aver introdotto l’evoluzione temporale delle osservabili nel senso della rappresentazione diHeisenberg di esse, possiamo introdurre la nozione di costante del moto, che ricalca la definizioneclassica.

Definizione 12.2. Sia S un sistema quantistico descritto nello spazio di Hilbert HS associatoal sistema di riferimento inerziale I con hamiltoniano H. Un’osservabile A – eventualmente

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esplicitamente dipendente dal tempo, At – si dice essere una costante del moto o anche unintegrale primo, se la sua rappresentazione di Heisenberg e indipendente dal tempo, cioe :

AH(t) = AH(0) per ogni t ∈ R, (12.33)

ovveroAHt = AH0(0) per ogni t ∈ R, (12.34)

nel caso in cui l’osservabile dipenda esplicitamente dal tempo.

Osservazioni.(1) Affermare che un’osservabile, che non dipende esplicitamente dal tempo, sia una costantedel moto, e del tutto equivalente a dire che la sua rappresentazione di Heisenberg e la suarappresentazione di Schrodinger coincidono.(2) Si puo estendere la definizione di rappresentazione di Heisenberg e di costante del moto alcaso in cui non valga l’omogeneita temporale e dunque l’evolutore temporale abbia strutturaU(t2, t1). Noi non ce ne occuperemo.(3) L’identita (12.34) si trova spesso scritta sui testi di fisica come:

∂AHt∂t

+ i[H,AHt(t)] = 0 , (12.35)

dove la derivata parziale e riferita alla sola dipendenza esplicita dal tempo, cioe a quella rappre-sentata dall’indice Ht. In effetti, se non si presta attenzione ad i problemi di dominio, questaequazione deriva banalmente dalla (12.34), ed implica immediatamente la (12.34), se si tieneconto della (12.32). Tuttavia vi sono diversi problemi a voler provare rigorosamente questaequivalenza che, nel caso generale, non sussiste. In ogni caso, fisicamente parlando, e chiaroche la nozione di costante del moto e perfettamente formalizzato dall’identita (12.34), senza al-cuna necessita di dover passare alle derivate temporali imbattendosi in problemi tecnici artificiali.

Mostriamo ora, come preannunciato, lo stretto legame che esiste tra costanti del moto e simme-trie dinamiche. In fisica classica e noto che i gruppi ad un parametro di simmetrie corrispondono,nelle varie versioni del teorema di Nother, a costanti del moto. Vogliamo mostrare che lo stessolegame sussiste in Meccanica Quantistica.Cominciamo con il notare che se un operatore autoaggiunto e unitario, V (σ), rappresenta unasimmetria dinamica, allora deve essere una osservabile costante del moto, come segue immedia-tamente da (c) del teorema 12.1. Non e rarissimo che un operatore, di interesse fisico, sia insiemeunitario e autoaggiunto (e quindi rappresenti contemporaneamente una simmetria ed un’osser-vabile). Esiste, in particolare, il caso dell’operatore unitario ed autoaggiunto che rappresental’inversione di parita , di cui si e accennato negli esempi 11.2. Questa situazione e del tutto dif-ferente da quanto accade in meccanica classica, in cui un sistema invariante sotto l’inversione diparita (o un’altra simmetria discreta) non ha automaticamente una costante del moto associata.Occupiamoci del caso di gruppi ad un parametro di simmetrie continue dove il legame tra sim-metrie dinamiche e costanti del moto risulta essere molto piu diretto.

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Per iniziare consideriamo una costante del moto esplicitamente dipendente dal tempo Att∈R,per un certo sistema fisico S con hamiltoniano H. Avremo allora che, in base alle definizionidate:

eitHAte−itH = A0 .

Se esponenziamo gli operatori autoaggiunti che appaiono nei due membri, abbiamo immediata-mente che:

e−iaeitHAte−itH = e−iaA0 ,

che, per le note proprieta dell’esponenziale, equivale a:

eitHe−iaAte−itH = e−iaA0 ,

e cioe :e−iaAte−itH = e−itHe−iaA0 per ogni a ∈ R e ogni t ∈ R.

Questa identita ha un’interpretazione importante in termini di simmetrie dinamiche. Infattiafferma che, per ogni fissato a ∈ R, le simmetrie σ(At)

a t∈R con σ(At)a (·) := e−iaAt · eiaAt ,

costituiscono una simmetria dinamica dipendente dal tempo per il sistema S in base al teorema12.1. Si osservi che, se ci restringiamo al caso in cui At = A non dipenda dal tempo, lastessa dimostrazione prova che σ(A)

a (·) := e−iaA · eiaA e una simmetria dinamica per ogni a ∈ R.Tutto questo dimostra che le costanti del moto individuano simmetrie dinamiche. Il problemache ora ci poniamo e se sia valido anche il risultato inverso. Ci chiediamo dunque se, datauna classe di simmetrie dinamiche dipendenti dal tempo σ(t)

a t∈R dove, per ogni t ∈ R, lafunzione R 3 a 7→ σ

(t)a sia una rappresentazione proiettiva continua del gruppo topologico R,

allora sia possibile scrivere ognuna di queste rappresentazioni come σ(At)a (·) := e−iaAt · eiaAt , in

modo tale che gli operatori autoaggiunti At individuino una costante del moto dipendente daltempo. Per il teorema 11.3, e sempre possibile trovare operatori autoaggiunti At per cui valgaσ

(At)a (·) := e−iaAt · eiaAt per ogni a ∈ R. Tuttavia tali operatori sono indeterminati a meno di

una costante additiva reale. Quindi la questione e , in definitiva, se sia possibile fissare tutte lecostanti in modo tale che:

eitHAte−itH = A0 .

La risposta e positiva ed e stabilita dal seguente teorema, che corrisponde alla versione quanti-stica del teorema di Nother.

Teorema 12.5 (Teorema di Nother quantistico). Sia S un sistema quantistico descrittonello spazio di Hilbert HS associato al sistema di riferimento inerziale I con hamiltoniano H.Valgono i seguenti fatti.(a) Sia A una costante del moto e definiamo la rappresentazione proiettiva continua del gruppotopologico R:

R 3 a 7→ σ(A)a (·) := e−iaA · eiaA .

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Allora, per ogni a ∈ R, σ(A)a e una simmetria dinamica.

(b) Sia Att∈R una costante del moto che dipende esplicitamente dal tempo e, per ogni t ∈ R,definiamo la rappresentazione proiettiva continua del gruppo topologico R:

R 3 a 7→ σ(At)a (·) := e−iaAt · eiaAt .

Allora σ(At)a t∈R e una simmetria dinamica dipendente dal tempo per ogni a ∈ R,.

(c) Sia R 3 a 7→ σa una rappresentazione proiettiva continua del gruppo topologico R tale che,σa e una simmetria dinamica per ogni a ∈ R. Allora esiste una costante del moto, A, tale che:

σa(·) := e−iaA · eiaA per ogni a ∈ R

(d) Se, per ogni t ∈ R, R 3 a 7→ σ(t)a e una rappresentazione proiettiva continua del gruppo

topologico R tale che, per ogni a ∈ R la classe σ(t)a t∈R e una simmetria dinamica dipendente dal

tempo di S, allora esiste una costante del moto che dipende esplicitamente dal tempo, Att∈R,che soddisfa:

σ(t)a (·) := e−iaAt · eiaAt per ogni a ∈ R e ogni t ∈ R.

Prova. L’unica cosa che rimane da provare e (d), dato che (a) e (b) sono stati provati sopra,mentre (c) e un ovvio sottocaso di (d) ponendo σ

(t)a = σa e quindi At = A per ogni t ∈ R.

Dimostriamo dunque (d). In base al teorema teorema 12.1, per ogni t ∈ R possiamo scrivere:σ

(t)a (·) := e−iaA

′t · eiaAt per ogni a ∈ R, dove gli operatori autoaggiunti A′t sono individuati dal

corrispondente gruppo R 37→ σ(t)a , e possono essere ridefiniti tramite costanti additive reali c(t)

arbitrarie: A′t + c(t)I = At. Immaginiamo di avere fatto una scelta iniziale di tali operatori elavoriamo con tale scelta. Per (a) del teorema 12.1 deve allora valere, per opportuni numericomplessi χ(t, a) con |χ(t, a)| = 1:

χ(t, a) = e−iaA′te−itHeiaA

′0eitH , (12.36)

da cui: χ(t, 0) = 1 per ogni t ∈ R. Dunque vale anche:

χ(t, a)(ψ|φ) =(eitHeiaA

′tψ∣∣∣eiaA′0eitHφ) .

Scegliendo, per t ∈ R fissato, ψ ∈ (D(A′t)) e φ ∈ eitH(D(A′0)) non ortogonali (questo e possibileperche i due domini sono densi essendo At autoaggiunto e eitH unitario), ed applicando il teoremadi Stone al secondo membro rispetto alla variabile a, si ha che esiste la derivata in a del primomembro, per ogni a ∈ R. D’altra parte da (12.36) si ricava anche che, sempre per t ∈ R fissato:

χ(t, a+ a′) = e−i(a+a′)A′te−itHei(a+a′)A′0eitH = e−iaA′t

e−ia

′A′te−itHeia′A′0eitH

e−itHeiaA

′0eitH

e−iaA′tχ(t, a′)e−itHeiaA

′0eitH = χ(t, a′)χ(t, a) .

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Quindi, per t ∈ R fissato, la funzione R 3 a 7→ χ(t, a) e differenziabile, soddisfa χ(t, a + a′) =χ(t, a)χ(t, a′) e dunque ∂χ(t,a)

∂a = ∂χ(t,a)∂a |a=0χ(t, a). Tenendo conto dei vincoli |χ(t, a)| = 1 e

χ(t, 0) = 1 per ogni t ∈ R, l’equazione differenziale ha soluzione: χ(t, a) = eic(t)a con c(t) =−i∂χ(t,a)

∂a |a=0 ∈ R. Abbiamo trovato che:

eic(t)a = e−iaA′te−itHeiaA

′0eitH ,

e quindie−ia(A′t+c(t)I)e−itH = e−itHe−iaA

′0 .

Dalla (12.36) abbiamo anche che eic(0)a = 1 per ogni valore di a ∈ R e questo e possibile solo sec(0) = 0. Ma allora l’identita trovata sopra puo essere riscritta:

e−ia(A′t+c(t)I)e−itH = e−itHe−ia(A′0+c(0)I) .

Dato che, come detto all’inizio, siamo liberi di ridefinire gli operatori A′t aggiungendo costantireali arbitrarie, ridefinendo At := A′t + c(t)I, otteniamo la tesi:

e−iaAte−itH = e−itHe−iaA0 .

Questo risultato conclude la dimostrazione. 2

12.2.2 Un accenno al teorema di Ehrenfest ed ai problemi matematici adesso connessi.

Prima di esaminare le costanti del moto associate al gruppo di Galileo, vogliamo soffermarcisu un argomento in qualche modo legato a questo genere di problematiche, cioe all’evoluzionetemporale delle osservabili. Nei trattati di meccanica quantistica esiste un enunciato dettoTeorema di Ehrenfest, riconosciuto di enorme importanza euristica, specie nel rapportare lameccanica quantistica al suo limite classico. L’idea del teorema di Ehrenfest, dal punto di vistaformale, e molto diretta. Consideriamo un sistema fisico quantistico S descritto sullo spaziodi Hilbert HS , un’osservabile rappresentata dall’operatore autoaggiunto A (per semplicita nondipendente esplicitamente dal tempo), fissiamo infine uno stato puro rappresentato dal vettoreunitario ψ e consideriamone l’evoluzione temporale secondo l’evolutore temporale e−itH delsistema. Lavorando del tutto formalmente, senza prestare alcuna attenzione ai domini, se ψt :=e−itHψ, troviamo:

d

dt〈A〉ψt =

d

dt

(e−itHψ

∣∣∣Ae−itHψ) = i (Hψt|Aψt)− i (ψt|AHψt) .

In altre parole, vale la relazione di Ehrenfest nella forma generale:

d

dt〈A〉ψt = 〈i[H,A]〉ψt . (12.37)

Per ottenere la (12.37) abbiamo tralasciato importanti dettagli matematici. In ogni caso, sidimostra facilmente (lo si provi per esercizio) che condizioni sufficenti affinche valga la relazione

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trovata sono le seguenti: (i) A ∈ B(H), (ii) ψτ ∈ D(H) in un intorno di t – che equivale arichiedere ψ ∈ D(H) dato che D(H) e invariante sotto l’azione dell’evolutore temporale – e (iii)ψτ ∈ D(HA) in un intorno di t. Si deve osservare che non e affatto facile dare ipotesi sui soli H,Ae ψ, che abbiano qualche utilita nelle applicazioni fisiche, affinche tali richieste siano soddisfatteintorno a qualche t. Si possono comunque indebolire le richieste (i),(ii) e (iii), assumendo, oltrea A ∈ B(H), solo che ψ ∈ D(H), pur di intepretare il termine 〈i[H,A]〉ψt , che appare a secondomembro di (12.37), nel senso delle forme quadratiche:

〈i[H,A]〉ψt := i(Hψt|Aψt)− i(Aψt|Hψt) ,

da cui abbiamo una forma indebolita di teorema di Ehrenfest:

d

dt〈A〉ψt = i(Hψt|Aψt)− i(Aψt|Hψt) . (12.38)

Anche in questa versione l’enunciato del teorema di Ehernfest rimane comunque ad un livellotroppo astratto dato che, in Meccanica Quantistica, praticamente ogni osservabile A di interessefisico non e rappresentata da un operatore limitato. In effetti l’importanza dell’enunciato diEherenfest appare evidente proprio quando lo si applica agli operatori, non limitati, posizioneed impulso.Consideriamo a tal fine un sistema fisico costituito da una particella di massa m, senza spin e sot-toposta ad un potenziale V , in un sistema di riferimento inerziale. L’hamiltoniano sara qualcheestensione autoaggiunta dell’operatore differenziale H0 := − ~2

2m∆ + V . Assumendo di lavorarecon τ 7→ ψτ che , nell’intorno di t, appartiene a qualche dominio incluso in D(XiH0)∩D(H0Xi),su cui l’hamiltoniano H0 agisce come operatore differenziale, si trova che (ripristinando lacostante ~ ovunque):

[H0, Xi]ψ = − ~2m

3∑j=1

[∂2

∂x2j

, xi

]ψ = − ~

m

∂ψ

∂xi,

da cui, usando (12.37):

md

dt〈Xi〉ψt = 〈Pi〉ψt . (12.39)

Nello stesso modo, assumendo di lavorare con τ 7→ ψτ che, nell’intorno di t, appartiene anche aqualche dominio incluso in D(PiH0)∩D(H0Pi), su cui l’hamiltoniano H0 agisce come operatoredifferenziale, si trova che:

[H0, Pi]ψ = −i−V, ∂

∂xi

ψ = −i ∂V

∂xiψ ,

da cui, usando (12.37):d

dt〈Pi〉ψt = −

­∂V

∂xi

·ψt

. (12.40)

L’enunciato classico del teorema di Ehrenfest consiste proprio nella coppia di identita (12.39)e (12.40), da cui si evince che i valori medi di posizione ed impulso hanno un comportamente

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simile a quello classico. Piu precisamente, se si assume che il gradiente del potenziale V varipoco sull’estensione spaziale della funzione d’onda ψt(x), si puo stimare il secondo membro di(12.40) con­

∂V

∂xi

·ψt

'∫

R3ψt(x)

∂V

∂xi

∣∣∣∣〈X〉ψt

ψt(x) dx =∫

R3ψt(x)ψt(x)dx

∂V

∂xi

∣∣∣∣〈X〉ψt

=∂V

∂xi

∣∣∣∣〈X〉ψt

,

che, sostituito in (12.40) produce l’equazione classica:

d

dt〈Pi〉ψt ' −

∂V

∂xi

∣∣∣∣〈X〉ψt

. (12.41)

In questo modo giungiamo ad una importante conclusione: assumendo la validita delle equazio-ni di Ehrenfest (12.39) e (12.40), quanto piu i pacchetti d’onde sono concentrati attorno al lorovalore medio, assumendo una forza associata al potenziale che vari lentamente sull’estensionedel pacchetto, tanto piu i valori medi di impulso e posizione si comportanto secondo la legge dievoluzione della meccanica classica.Purtroppo tutta questa discussione e piuttosto formale, dato che stabilire condizioni matemati-che fisicamante sensate su H0 affinche tutti i passaggi fatti sopra che conducono alle (12.39) e(12.40) siano pienamente giustificati e ancora un problema largamente aperto.

Osservazioni.(1) Recentemente sono state date condizioni sull’hamiltoniano H e l’operatore A affinche (12.38)sia soddisfatta per A non limitato e nemmeno autoaggiunto, includendo il caso in cui A sial’operatore posizione e l’operatore impulso. Riportiamo di seguito l’enunciato del teorema a cuici stiamo riferendo.Teorema7. Siano, sullo spazio di Hilbert H, H : D(H) → H e A : D(A) → H densamentedefiniti tali che:(H1) H e autoaggiunto e A e hermitiano (quindi e simmetrico);(H2) D(A) ∩D(H) e invariante sotto R 3 t 7→ e−itH per ogni t ∈ R;(H3) se ψ ∈ D(A) ∩D(H) allora supI ||Ae−itHψ|| < +∞, per ogni intervallo I ⊂ R limitato.Allora, per ogni ψ ∈ D(A)∩D(H) e definito ψt := e−itHψ, la funzione t 7→ 〈A〉ψt e differenziabilecon continuita e vale:

d

dt〈A〉ψt = i(Hψt|Aψt)− i(Aψt|Hψt) .

Come preannunciato, le ipotesi scritte sopra includono il caso in cui A sia l’operatore posizionee l’operatore impulso su H = L2(Rn, dx), anche se non e affatto ovvio provarlo (vedi il corollario1.2 nell’articolo citato). Affinche questo accada e sufficiente che H sia l’unica estensione autoag-giunta di H0 = −∆ + V definito su D(Rn) in cui V e reale e (−∆)-limitato con limite relativoa < 1, nel senso della definizione 9.8.

7Teorema 1.1. in G. Friesecke, M. Koppen, On the Ehrenfest theorem of quantum mechanics J.Math.Phys 50,082102-082102-6 (2009).

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(2) Dal punto di vista fisico e impossibile costruire un apparato sperimentale in grado di va-lutare tutti i possibili valori di un’osservabile. Per esempio, nel caso dell’osservabile posi-zione, cio richiederebbe di riempire tutto l’universo di detectors! Pertanto ci si aspetta cheogni osservabile rappresentata dall’operatore autoaggiunto non limitato A sia – fisicamenteparlando – indistinguibile dall’osservabile rappresentata dall’operatore autoaggiunto AN :=∫σ(A)∩[−N,N ] λdP

(A)(λ) ∈ B(H), con N > 0 molto grande, ma finito. Il teorema di Ehren-fest nella sua forma generale (12.37) si puo applicare a tali classi di osservabili, assumendo lecondizioni (ii) e (iii) oppure molto piu debolmente solo che ψ ∈ D(H) per avere (12.38). Inquesta situazione pero non si possono sfruttare tanto facilmente le relazioni di commutazioneformali degli operatori posizione ed impulso con un hamiltoniano della forma − ~2

2m∆ + V cheporterebbero facilmente alle (12.39) e (12.40).

12.2.3 Costanti del moto associate a gruppi di Lie di simmetria ed il caso delgruppo di Galileo.

Consideriamo un sistema fisico quantistico S, descritto sullo spazio di Hilbert HS , con hamilto-niano H. Supponiamo che esista gruppo di Lie G che ammetta una rappresentazione G 3 g 7→ Ugunitaria fortemente continua sullo spazio di Hilbert del sistema HS e che l’evolutore temporaleR 3 t 7→ e−itH coincida con la rappresentazione di un sottogruppo ad un parametro di G. Inquesto caso G e un gruppo si simmetria topologico per S, dato che la rappresentazione U indiceuna rappresentazione proiettiva dello stesso gruppo, e il flusso dinamico e parte di tale rappre-sentazione. Il risultato importante che vogliamo dimostrare e che, in questo caso, ogni elementoT ∈ TeG individua una simmetria dinamica ed una costante del moto (in generale dipendenteesplicitamente dal tempo). Infatti vale il seguente teorema.

Teorema 12.6. Sia S un sistema quantistico descritto sullo spazio di Hilbert HS, con hamilto-niano H. Sia G 3 g 7→ Ug una rappresentazione unitaria fortemente continua su HS del gruppodi Lie G di dimensione n e si supponga che l’evolutore temporale R 3 t 7→ e−itH coincida con larappresentazione di un sottogruppo ad un parametro generato da qualche −h ∈ TeG:

e−itH = Uexp(th) per ogni t ∈ R.

Valgono i fatti seguenti.(a) Ad ogni elemento T ∈ TeG, e associata una costante del moto, in generale dipendente espli-citamente dal tempo ÒTtt∈R ed una corrispondente simmetria dinamica.(b) Se [h, T ] = 0 allora la costante del moto ÒTtt∈R e in realta indipendente esplicitamente daltempo.

Prova. (a) Consideriamo la funzione:

R 3 a 7→ exp(th) exp(aT ) exp(−th) .

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Essa e sicuramente un sottogruppo ad un parametro per ogni valore di t ∈ R, pertanto sipotra scrivere, se T1, . . . Tn e una base di T ∈ TeG e per opportune funzioni reali cj = cj(t):

exp(th) exp(aT ) exp(−th) = exp(an∑j=1

cj(t)T ) .

Applicando la rappresentazione U , e passando alla rappresentazione dell’algebra di Lie del grup-po G associata alla rappresentazione unitaria del gruppo stesso, TeG 3 T 7→ AU [T ] := AU (T )DG

dove lo spazio di Garding DG e invariante ed anche un core per gli operatori autoaggiunti AU (T )(vedi capitolo 11, in particolare il teorema 11.10), segue che:

e−itHe−iaAU [T ]eitH = e−ia∑n

j=1cj(t)AU [Tj ] . (12.42)

Se ora definiamo la classe di operatori autoaggiunti parametrizzati nel tempo,

ÒTt :=n∑j=1

cj(t)AU [Tj ] ,

l’identita (12.42) mostra che: ÒTt e una costante del moto che dipende esplicitamente dal tempo.Infatti (12.42) implica:

eitHÒTte−itH = AU [T ] = ÒT0 per ogni t ∈ R .

La stessa (12.42) mostra anche che: per ogni a ∈ R, la classe di simmetrie σ(t)a := e−iaTt · e−iaTt

una simmetria dinamica dipendente dal tempo. Infatti (12.42) implica:

e−iaTte−itH = e−itHe−iaT0 per ogni t ∈ R,

e quindi il teorema 12.1 prova quanto asserito.(b) Assumendo che [T,h] = 0, facendo uso della formula di Baker-Campbell-Hausdorff (11.73),si trova subito che deve valere:

exp(τh) exp(aT ) = exp(aT ) exp(τh) (12.43)

purche |a|, |τ | < ε con ε > 0 sufficientemente piccolo da poter applicare la formula di Baker-Campbell-Hausdorff. In realta queste formule valgono per qualunque valore di a, τ ∈ R. Perprovarlo e sufficiente notare che, qualunque sia il valore di a e τ , possiamo sempre decomporrea =

∑Nr=1 ar e τ =

∑Nr=1 τr in modo tale che |ar|, |τr| < ε per ogni valore di r. Quindi, per

esempio:

exp(τh) exp(aT ) = exp(τNh) · · · exp(τ2h) exp(τ1h) exp(a1T ) exp(a2T ) · · · exp(aNT )

= exp(τNh) · · · exp(τ2h) exp(a1T ) exp(τ1h) exp(a2T ) · · · exp(aNT )

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· · ·

= exp(a1T ) exp(τNh) · · · exp(τ2h) exp(a2T ) · · · exp(aNT ) exp(τ1h)

· · ·

= exp(a1T ) exp(a2T ) · · · exp(aNT ) exp(τNh) · · · exp(τ2h) exp(τ1) = exp(aT ) exp(τh) .

Di conseguenza, applicando la rappresentazione U , si ricava che:

e−itHe−iaAU [T ]eitH = e−iaAU [T ] ,

da cui la tesi. 2

Per esemplificare il risultato generale trovato, torniamo a considerare il gruppo di Galileo e le suerappresentazioni unitarie proiettive considerate alla fine del precedente capitolo. Mostreremoche ci sono 10 costanti del moto per un sistema che ammette il gruppo di Galileo proprioSG come gruppo di simmetria topologico (descritto da una rappresentazione unitaria di unaestensione centrale del suo rivestimento universale SG ). In particolare consideriamo il casodella particella a spin zero di massa m e riferiamoci alla rappresentazione unitaria del gruppo

di Lie dato dall’estensione centrale SGm che abbiamo visto nel capitolo 11. L’algebra di Liedi questo gruppo si ottiene estendendo quella del gruppo SG la quale ammette i 10 generatori−h ,pi , ji ,ki i=1,2,3, tali che:(i) −h genera il sottogruppo ad un parametro R 3 c 7→ (c,0,0, I) delle traslazioni temporali,(ii) i tre pi generano il sottogruppo abeliano R3 3 c 7→ (0, c,0, I) delle traslazioni spaziali,(iii) i tre ji generano il sottogruppo SO(3) 3 R 7→ (0,0,0, R) delle rotazioni spaziali,(iv) i tre ki generano il sottogruppo abeliano R3 3 v 7→ (0,0,v, I) delle trasformazioni puredi Galileo.Questi generatori verificano le relazioni di commutazione (11.108). Il passaggio dall’algebra

di Lie di SG a quella di SGm si ottiene aggiungendo un generatore che commuta con quelligia visti ed aggiungendo cariche centrali per le relazioni di commutazione tra i generatori ki epj di valore pari alla massa m (vedi (11.117) e la discussione seguente). La rappresentazione

unitaria fortemente continua di cui noi ci occupiamo qui e quella di SGm:

SGm 3 (χ, g) 7→ χZ(m)

g ,

indotta dagli operatori unitari Z(m)(c,c,v,U) (11.109):

Z(m)(c,c,v,U)ψ

(k) := ei(cv−c)·(k−mv)ei

c2m

(k−mv)2ψR(U)−1(k−mv)

.

Si osservi che il gruppo di Lie SGm include il sottogruppo ad un parametro generato da h, checorrisponde all’evolutore temporale quando rappresentato nello spazio di Hilbert del sistema HS .Le relazioni di commutazione che ci interessano qui tra quelle listate in (11.108) che individuano

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l’algebra di Lie SG e che rimangono immutate passando all’algebra di Lie dell’estensione centraleSGm, sono solo le seguenti tre, che coinvolgono direttamente il generatore h:

[pi,h] = 0 , [ji,h] = 0 , [ki,h] = −pi per i = 1, 2, 3. (12.44)

Dalle prime due identita , specializzando la dimostrazione del teorema teorema 12.6 alla rappre-

sentazione unitaria SGm 3 (χ, g) 7→ χZ(m)g si trova:

e−iτHe−iaPi = e−iaPie−iτH (12.45)

ee−iτHe−iaLi = e−iaLie−iτH . (12.46)

Queste due identita , applicando il teorema 12.1 e la definizione 12.2, in conformita con il teorema12.6, dicono che:

(a) le tre componenti dell’impulso e le tre componenti del momento angolare orbitale sonocostanti (indipendenti dal tempo) del moto,

(b) le simmetrie generate da tali costanti del moto cioe , rispettivamente, le traslazioni lungoi tre assi (vedi esempi 11.4 per l’azione esplicita sulle funzioni d’onda) e rotazioni attorno aitre assi (vedi la (11.99) per l’azione esplicita sulle funzioni d’onda), sono simmetrie dinamiche(indipendenti dal tempo).Passiamo all’analisi della terza identita in (12.44). L’uso diretto della formula di Baker-Campbell-Hausdorff non e tecnicamente ovvio, anche se si potrebbe applicare, nel caso generale, con qual-che sforzo. Per stabilire a cosa corrisponda la terza identita in (12.44) per i sottogruppi ad unparametro associati ai generatori considerati, studiamo direttamente la questione nel gruppo diGalileo. Il sottogruppo ad un parametro generato da −h e la traslazione temporale:

exp(τh) = (−τ,0,0, I) τ ∈ R .

Il sottogruppo ad un parametro generato da kj e una trasformazione pura di Galileo lungo l’assej-esimo, di versore ej :

exp(akj) = (0,0, aej , I) a ∈ R : .

Ne consegue subito, usando la legge di composizione del gruppo di Galileo (11.101), che:

exp(τh) exp(akj) exp(−τh) = exp(a(τpj + kj)) .

Applicando la rappresentazione unitaria, queste relazioni diventano:

e−iτHe−aKjeiτH = e−ia(τPjDG+KjDG) .

Ne consegue che, se definiamo gli operatori autoaggiunti

Kjt := tPj DG +Kj DG per j = 1, 2, 3

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ognuna di queste osservabili e una costante del moto dipendente esplicitamente dal tempo edinoltre ciascuna di esse definisce una simmetria dinamica per ogni a ∈ R essendo:

e−iaKjte−itH = e−itHe−iaKj0

Il significato fisico della simmetria dinamica e−iaKjt e quello di una trasformazione di Galileopura nella direzione ej eseguita al tempo t.

Osservazioni.(1) Puo essere interessante chiedersi il significato della legge di conservazione di Kit, che none affatto ovvia. Ricordiamo che il boost e definito come (vedi la (11.116)) Kj = −mXj . Sce-gliendo ψ ∈ DG e facendolo evolvere con l’evolutore temporale: ψt := e−itHψ, la legge diconservazione di Kjt implica:

t(ψt|Pjψt)−m(ψt|Xjψt) = cost.

In altre parole:

〈Pj〉ψt = md

dt〈Xj〉ψt . (12.47)

Dunque abbiamo ritrovato che l’impulso medio della particella e , in un certo senso, dato dalprodotto della massa per la velocita della particella. Dove la velocita e in realta quella della po-sizione media della particella. Si tratta di un risultato a priori non ovvio, dato che in meccanicaquantistica l’impulso non e il prodotto della massa per la velocita .(2) Nel caso in cui si lavori con sistemi a piu particelle che ammettono il gruppo di Galileo co-me gruppo di simmetria topologico descritto da una rappresentazione unitaria di un’estensionecentrale associata alla massa totale M del sistema (vedi discussione nel capitolo 11), l’iden-tita (12.47) e ancora valida e si prova nello stesso modo. In tal caso pero , Pj rappresenta lacomponente lungo ej dell’impulso totale del sistema e Xj la componente lungo ej delvettoreposizione del centro di massa del sistema. Infine un’analoga relazione vale per sistemi fisici chesiano invarianti sotto il gruppo di Poincare ed e conseguenza dell’invarianza sotto trasformazionipure di Lorentz. In tal caso pero il termine corrispondente alla massa totale del sistema tiene con-to dei contributi energetici dei singoli componenti (per esempio le energie cinetiche dei punti checostituiscono il sistema, se e costituito da punti isolati), in conformita con l’equazione M = E/c2.

Abbiamo esibito 9 costanti del moto, ma le costanti del moto sono 10 come detto sopra.Il lettore attento si sara accorto che esiste ancora una simmetria dinamica e corrispondente leggedi conservazione. Si tratta dell’energia! Infatti sussiste anche la banale relazione di commuta-zione: [h,h] = 0 a livello di algebra di Lie, che corrisponde a [H,H] = 0 a livello di generatoriautoaggiunti, ovvero [e−iτH , e−iτ

′H ] = 0 a livello di esponenziali. Quest’ultima identita , inconformita con la tesi del teorema 12.6, dice che, applicando il teorema 12.1 e la definizione12.2:

(a) l’hamiltoniano e una costante del moto,

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(b) la simmetrie generata da −H cioe la traslazione temporale, e una simmetria dinamica.Ovviamente questo risultato e del tutto generale e non dipende dal fatto che il sistema che ab-biamo considerato avesse il gruppo di Galileo come gruppo di simmetria topologico, e sufficienteche esista l’hamiltoniano del sistema.

12.3 Sistemi composti: sistemi con struttura interna e sistemia piu particelle.

Abbiamo gia incontrato nel capitolo 11 sistemi composti da sottosistemi ed abbiamo visto chelo spazio di Hilbert del sistema complessivo e individuato da un prodotto tensoriale di spazidi Hilbert relativi ai sottosistemi. Questo e in realta un assioma generale della teoria. Possia-mo qui enunciare il settimo assioma della MQ concernente i sistemi quantistici composti (Peril contenuto matematico ci riferiamo alle definizioni teoriche ed ai risultati dati nella sezione 9.4.)

A7. Quando un sistema quantistico e composto da un numero N finito di sottosistemi, descritticiascuno di essi nello spazio di Hilbert Hi, con i = 1, 2, . . . , N , il sistema complessivo vienedescritto nello spazio di Hilbert

⊗ni=1 Hi.

Ogni osservabile per il sottosistema i-esimo (incluse le osservabili elementari definite da proiet-tori ortogonali)

Ai : D(Ai)→ Hi

si identifica con l’osservabile

I ⊗ · · · ⊗ I ⊗Ai ⊗ I ⊗ · · · ⊗ I

del sistema complessivo.

Ci sono due tipi di sistemi composti che abbiamo gia incontrato: i sistemi composti costituitida particelle elementari con struttura interna e i sistemi a piu particelle elementari (con o senzastruttura interna). Nel primo caso lo spazio di Hilbert ha la struttura L2(R3, dx)⊗H0, dove H0 euno spazio di Hilbert finito dimensionale che descrive gradi di liberta interni alla particella: spine cariche di vario genere (vedi capitolo 10). L’elementarita della particella con struttura internasi riferisce al fatto che lo spazio interno e finito dimensionale. In letteratura fisica, riferendosia tali sistemi di particelle elementari con spazio H0, L2(R3, dx) viene detto spazio orbitale ospazio dei gradi di liberta orbitali e H0 viene detto spazio interno o spazio dei gradidi liberta interni.Ricordiamo che, nel caso in cui lo spazio dei gradi di liberta interni descriva la (un tipo di) caricadella particella, e necessario tenere conto di eventuali regole di superselezione.

Vogliamo infine fare qualche commento sull’operatore hamiltoniano di sistemi a piu particelle,nel caso in cui lo spazio di Hilbert di ciascuna particella sia semplicemente L2(R3, dx), una

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volta fissato un sistema di riferimento inerziale ed identificando R3 con lo spazio di quiete delriferimento tramite coordinate cartesiane ortonormali. In questo lo spazio di Hilbert di unsistema di N particelle, con masse m1, . . ., mN sara descritto da un prodotto tensoriale di Ncopie di tale spazio di Hilbert. Sappiamo, da (1) in esempi 9.2, che questo prodotto tensorialee isomorfo naturalmente a L2(R3N , dx). Indichiamo con (x1, . . . ,xN ) l’elemento generico di R3N ,dove, quindi xk = ((xk)1, (xk)2, (xk)3) individua una terna di coordinate cartesiane ortonormalinel k-esimo fattore di R3N = R3×· · ·×R3. L’isomorfismo tra spazi di Hilbert sopra menzionatoe tale che (il lettore lo dimostri) gli operatori posizione ed impulso della k-esima particella sono:gli operatori moltiplicativi della corrispondente terna di coordinate xk = ((xk)1, (xk)2, (xk)3) el’unica estensione autoaggiunta, per esempio presa su D(R3N ), delle derivate (moltiplicate per−i~) rispetto alle stesse coordinate. Gli operatori hamiltoniani di ciascuna particella, pensatacome libera, coincidono con l’unica estensione autoaggiunta, per esempio presa su D(R3N ), delcorrispondente operatore di Laplace −∆k =

∑3i=1

∂2

∂(xk)2imoltiplicato per −~2/(2mk). Basandosi

sulle idee presentate nella sezione 10.3, nel caso in cui le particelle scambiano interazioni, descritteclassicamente da un potenziale V = V (x1, . . . ,xN ), ci si aspetta che l’hamiltoniano sia qualcheestensione autoaggiunta dell’operatore:

H0 :=N∑k=1

− ~2

2mk∆k + V (x1, . . . ,xN ) .

Per esempio, nel caso di particelle con cariche ek che interagiscono tra di esse con forze cou-lombiane ed interagiscono anche con cariche esterne Qk, ci si aspetta che l’hamiltoniano siaun’estensione autoaggiunta dell’operatore:

H0 :=N∑k=1

− ~2

2mk∆k +

N∑k=1

Qkek|xk|

+N∑i<j

eiej|xi − xj |

.

Come chiarito nella sezione 9.6 e negli esempi 9.3, in conseguenza di importanti risultati do-vuti principalmente a Kato, sotto naturali ipotesi su V , non solo l’operatore H0 risulta essereessenzialmente autoaggiunto su domini standard come D(R3N ) o S(R3N ), ma l’unica estensio-ne autoaggiunta ammessa risulta essere limitata dal basso, rendendo energeticamente stabile ilsistema. In particolare questo accade per l’operatore con interazione coulombiana presentatosopra (vedi esempi 9.3).Se le N particelle del sistema possiedono una struttura interna, descritta da un corrispondentespazio di Hilbert interno H0k, lo spazio di Hilbert del sistema complessivo sara comunque iso-morfo a L2(R3N ) ⊗Nk=1 H0k e la descrizione dei possibili operatori hamiltoniani sara in generalepiu complicata. Rimandiamo alla letteratura specifica per esempi di questo genere [CCP82,Pru81, ReSi80].

12.3.1 Stati entangled ed il cosiddetto “paradosso EPR”.

Un apparato di misura non e necessariamente localizzato in un punto dello spazio. Anzi, sevogliamo misurare grandezze definite nello spazio, prima fra tutte la posizione di una particella

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quantistica, dobbiamo riempire lo spazio di strumenti di misura: rivelatori di particelle nel casodella posizione. Il processo di riduzione dello stato descritto dall’assioma A3 e “istantaneo”.Questo significa che una volta che uno degli strumenti ha rivelato la particella in un punto pe in un istante t, a partire dall’istante successivo, non c’e piu alcuna possibilita che un altrostrumento di misura, arbitrariamente lontano da quello che ha rivelato la particella, possa rive-lare ancora la particella. La riduzione dello stato sembra quindi essere un processo non locale:implica la trasmissione “istantanea” di informazioni tra luoghi lontani nello spazio. Cio sem-brerebbe violare la teoria della relativita. In realta la questione e molto piu complessa e quantoappena detto e non implica automaticamente violazioni di assunti fondamentali della teoria dellarelativita. Tuttavia, come compresero Einstein, Podolski e Rosen [Des80, Bon97, Ghi97, Alb00],considerando sistemi fisici composti da due particelle, la questione puo essere messa in terminifisicamente operativi per cui tale violazione sembra effettivamente comparire.L’assioma A7 descrive i possibili stati di un sistema quantistico composto. Consideriamo il casodi un sistema S composto da due sottosistemi A e B. Lo spazio di Hilbert di S sara dato daHS = HA ⊗ HB con ovvie notazioni. I vettori di HA ⊗ HB non sono solo del tipo fattorizzatoψA ⊗ ψB in cui compare un unico prodotto tensoriale elementare, ma ci sono vettori dati dacombinazioni lineari di vettori fattorizzati, per esempio:

Ψ =ψA ⊗ ψB − ψ′A ⊗ ψ′B√

2. (12.48)

Gli stati (puri) corrispondenti a vettori di norma unitaria che non sono un unico prodotto tenso-riale elementare, ma sono combinazioni lineari di tali vettori elementari, sono detti stati (puri)entangled.Consideriamo lo stato entangled associato al vettore Ψ scritto in (12.48) e facciamo l’ipotesiche ψA e ψ′A siano autostati normalizzati a 1 di qualche osservabile GA a spettro discreto sulsistema A corrispondenti, rispettivamente, a due autovalori distinti: a e a′. Facciamo un’analogaipotesi per quanto riguarda i vettori ψB e ψ′B: assumiamo che siano autostati normalizzati a1 di qualche osservabile GB a spettro discreto sul sistema B, corrispondenti a due autovaloridistinti: b e b′ rispettivamente.Le osservabili a spettro discreto GA e GB sono, per esempio, relative a gradi di liberta internirispettivamente del sistema A e B. Tipicamente possono essere componenti dello spin o dellapolarizzazione di ciascuna particella. In tal caso gli spazi HA e HB sono a loro volta fattorizzatiin spazio orbitale e spazio interno.Fino a quando non misuriamo GA, la la grandezza GA non e definita sul sistema, se questo enello stato individuato dal vettore Ψ, ma sono possibili due valori a e a′ con probabilita 1/2 perciascuno di essi. La stessa situazione sussiste per l’osservabile GB.Nel momento della misura diGA, con esito (imprevedibile per principio a priori) diciamo a, lo sta-to del sistema cambiera, in conformita con l’assioma A3, diventando lo stato puro rappresentatodal vettore unitario:

ψA ⊗ ψB .Il punto cruciale e che, se lo stato iniziale e lo stato entangled descritto da Ψ, la misura di GAdetermina anche l’esito della misura di GB: nello stato puro associato a ψA ⊗ ψB il valore di

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GB e definito ed vale, con le nostre convenzioni, b. Una sua misura puo unicamente produrre ilrisultato b.Consideriamo ora, secondo la celebre analisi di Einstein Podolsky e Rosen, sistemi composti dadue particelle A e B, preparate nello stato puro entangled individuato dal vettore Ψ definitoin (12.48), che si allontanano reciprocamente a grande velocita. In linea di principio possiamoeseguire le misure di GA e GB sulle rispettive particelle in luoghi distanti e in intervalli di tempotanto brevi che nessun segnale fisico, che viaggi con velocita non superiore a quella della luce,possa trasmettersi dal luogo di uno dei due esperimenti all’altro in tempo utile.Se l’assioma A3 e comunque valido, si dovra comunque riscontrare una correlazione tra gli esitidell misure: tutte le volte che la misura di GA ha esito a (rispettivamente a′), la misura di GBavra esito b (rispettivamente b′).Come puo il sistema A comunicare al sistema B l’esito della misura di GA in tempo utile perprodurre le correlazioni dette, senza violare gli assunti di base della teoria della relativita?Queste situazioni sono comuni anche per sistemi classici ed in tal caso la spiegazione e moltosemplice: non c’e alcuna comunicazione superluminare tra i due sistemi, le correlazioni esistonoin quanto sono dovute ad uno stato di cose gia esistente prima delle misurazioni. Per esempio,supponiamo che le grandezza osservate GA e GB siano qualche tipo di “carica” delle due parti-celle e supponiamo di sapere che il sistema complessivo S abbia carica 0 nello stato in cui e statopreparato, mentre le due particelle possano avere ciascuna carica ±1 corrispondenti ai numeria, a′ e b′, b visti sopra. In questa situazione, se ragioniamo con particelle classiche, dobbiamoconcludere che una particella deve avere carica 1 e l’altra carica −1. Se i valori delle cariche sonopreesistenti, prima ed indipendentemente dal fatto che si esegua un esperimento per osservarela carica, possiamo essere certi che, se una particella risulta avere carica 1 quando la sua caricae misurata, l’altra dovra avere carica −1 quando la si osservera, indipendentemente dal luogo edal tempo in cui si misurano le cariche. Perche tali valori devono essere stati fissati prima dellemisure.Tuttavia la situazione descritta dalla MQ e differente: anche se lo stato associato a Ψ ha caricatotale G = GA + GB definita pari a 0, le cariche dei due sottosistemi non sono definite nellostato associato ad Ψ e vengono fissate al momento della misura (di una delle due). Dunque lecorrelazioni previste dalla MQ non possono essere imputate ad uno stato di cose preesistente alprocesso di misura, se si accetta l’interpretazione standard della MQ.L’idea di Einstein, Podolsky e Rosen era che, se tali correlazioni si dovessero effettivamenteosservare (come richiesto dalla stessa Meccanica Quantistica), l’impossibilita di violare l’ipotesidi localita relativistica implicherebbe che la ragione delle correlazioni sia dovuta ad uno stato dicose preesistente alle operazioni di misura sulle due particelle. Essendo tale stato di cose inde-scrivibile all’interno della formulazione standard della Meccanica Quantistica, cio dimostrerebbeche la formulazione standard della Meccanica Quantistica e per sua natura incompleta. (Inoltrele probabilita usate in meccanica quantistica si ridurrebbero a mere probabilita epistemiche).J. Bell, in un geniale articolo del 1963 [Bon97, Ghi97], dimostro che, con un misurazioni dialmeno tre tipi di“cariche” (nella realta si misurano le tre componenti dello spin di particellemassive o stati di polarizzazione di fotoni) che danno luogo alle correlazioni suddette, e possibiledistinguere sperimentalmente tra le due situazioni in cui i valori delle due cariche:

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(i) sono fissate prima delle misure,oppure(ii) vengono fissate al momento delle misure.Bell dimostro che, in presenza delle correlazioni previste dalla Meccanica Quantistica, la situa-zione (i) vale solo se sono verificate una serie di disuguaglianze tra gli esiti delle misure: lefamose disuguaglianze di Bell.E importante precisare che le disuguaglianze di Bell valgono indipendentemente dal fatto chesi assuma come vera o falsa la formulazione standard della Meccanica Quantistica e quindiindipendentemente dalla natura delle correlazioni che, se osservate, potrebbero, in linea di prin-cipio, essere spiegate senza l’uso della Meccanica Quantistica. Rimane il fatto che la MeccanicaQuantistica prevede la presenza di tali correlazioni. La Meccanica Classica invece, almeno inriferimento alla nozione usuale di particella, non le prevede.A partire dal 1972 sono stati fatti diversi esperimenti (in particolare l’esperimento decisivo estato fatto nel 1982 da A. Aspect, J. Dalibard e G. Roger [Bon97, Ghi97]) per testare l’esistenzadelle correlazioni suddette insieme alla validita o alla violazione delle disuguaglianze di Bell.Gli esperimenti hanno dimostrato, nell’ambito degli errori sperimentali, che (a) le correlazionisuddette esistono, (b) le disuguaglianze di Bell sono violate.Quindi, a meno di non voler negare la validita degli esperimenti suddetti, indipendentementedall’accettare o meno la formulazione standard della Meccanica Quantistica, si deve concludereche le correlazioni previste dalla Meccanica Quantistica esistono e gli esiti delle misure sonofissati al momento delle misurazioni.Rimane ancora la domanda posta sopra: come puo il sistema A comunicare al sistema B l’esitodella misura di GA in tempo utile per produrre le correlazioni dette senza violare gli assunti dibase della teoria della relativita?La risposta e abbastanza complessa. Chiariamo prima di tutto che la domanda e malposta,perche presuppone che l’esito della misura di GA sia la causa dell’esito della misura di GB.Tuttavia bisogna notare che le regioni spaziotemporali in cui avvengono (o possono avvenire) ledue distinte misurazioni sono, con linguaggio relativistico, causalmente separate: non possonoessere connesse da curve di tipo tempo o luce orientate verso il futuro. Come ben noto dal-la teoria della relativita, in tale situazione, esiste un sistema di riferimento inerziale in cui lamisura di A avviene prima della misura di B, mentre ne esiste un altro in cui la situazione siinverte: la misura di B precede temporalmente quella di A. In questo modo non ha alcun sensodire che l’esito dell’esperimento su A sia la causa dell’esito dell’esperimento su B, ma neppureche l’esito dell’esperimento su B sia la causa dell’esito dell’esperimento su A. Le correlazionitra eventi causalmente separati sono generalmente pericolose nelle teorie relativistiche perchepossono essere fonte di paradossi temporali: con una catena di eventi a due a due causalmenteseparati si puo congiungere una coppia di eventi causalmente connessi (uno nel cono di lucefuturo dell’altro). Se queste correlazioni tra eventi causalmente separati possono essere usateper trasmettere informazione nei due sensi, si potrebbe in definitiva comunicare con il passato

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(all’interno del cono di luce!), costruendo alla fine paradossi temporali 8.

12.3.2 Impossibilita di trasmettere informazione tramite le correlazioni EPR.

E possibile provare (vedi [Bon97] e le referenze citate in esso per un’analisi dettagliata) che, sesi accetta la formulazione standard della Meccanica Quantistica per sistemi composti in statientangled come (12.48) (ma anche stati misti entangled del tutto generali), non e possibile tra-smettere alcun tipo di informazione dal luogo (piu precisamente l’evento) X in cui avviene unamisura di una parte del sistema al luogo (l’evento) Y in cui avviene una misura sull’altra partedel sistema, misurando coppie di grandezze qualsiasi e sfruttando le correlazioni quantistiche tragli esiti delle misure. Non solo, ma osservando gli esiti delle misure su una parte di sistema, none possibile nemmeno stabilire se sull’altra parte sono state fatte o si stanno facendo misure.Consideriamo due possibilita per trasmettere informazione da X a Y tramite le correlazioniEPR.(a) In primo luogo consideriamo le singole coppie di misure su A e B delle osservabili GA e GBrispettivamente, che sappiamo avere esiti correlati. Non e possibile trasmettere informazione daX a Y sfruttando tale correlazione, perche l’esito delle misure, anche se correlato e del tuttocasuale. E come avere due monete A e B che presentano la notevole proprieta che ogni qual-volta una di esse fornisce l’esito “testa” oppure “croce” sotto un lancio, l’altra fornisca l’esitoopposto, cioe “croce” o rispettivamente “testa”, indipendentemente dal fatto che le due monetesiano lontanissime una dall’altra e che i lanci durino tempi brevi e che, rispetto ad un fissatoriferimento, avvenga prima il lancio di A e dopo quello di B, oppure accada il viceversa rispet-to ad un altro riferimento. Le monete pero sono di natura quantistica per cui e fisicamenteimpossibile costringere una di esse a fornire un esito voluto dal lanciatore: l’esito dei lanci esolo probabilisticamente determinato in completa indipendenza dalla volonta del lanciatore. Inquesto modo le due monete, ovvero il nostro sistema quantistico composto dalle due parti A eB non puo essere usato come telegrafo Morse per trasmettere informazione tra X e Y .(b) Come seconda possibilita possiamo considerare non le singole misure di GA e GB, ma ungran numero di esse e valutare le proprieta statistiche delle distribuzioni degli esisti. Potrebbeaccadere che la statistica degli esiti delle misure di GA, sia differente a seconda che sia anchemisurato GB oppure non lo sia, oppure sia invece misurata una nuova grandezza G′B. In questomodo, misurando oppure non misurando GB (e misurando G′B o non misurando nulla) in Y ,possiamo inviare un segnale elementare in X, di tipo “si” oppure “no”, che ricaviamo control-lando sperimentalmente la statistica degli esiti delle misure di A. Mostriamo che, anche conquesta procedura, non e possibile trasmettere alcuna informazione, visto che la statistica degliesisti delle misure di GA e esattamente la stessa nel caso in cui si misuri anche GB (o qualsiasi

8Si potrebbe cercare di risolvere il problema dichiarando che esiste un sistema di riferimento privilegiato, nellaclasse tutti i sistemi inerziali della relativita speciale, nel quale l’ordine temporale coincide con l’ordine causa-effetto per la propagazione e gli effetti di segnali superluminari (tachioni) usati per descrivere il processo dicollasso a distanza di stati quantistici entangled. Tuttavia questa soluzione appare, almeno all’autore di questolibro, in diretto contrasto con il postulato relativistico e non puo pertanto essere accettato, se non in presenza diforti evidenze sperimentali, che d’altra parte minerebbero alla base la teoria della relativita .

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altra G′B) oppure nel caso in cui non si misuri GB. Consideriamo lo stato ρ ∈ S(HA ⊗ HB) delsistema composto di A e B. Supponiamo che GA = G(A) ⊗ IB, dove G(A) e un operatore au-toaggiunto in HA, abbia spettro discreto e finito g(A)

1 , g(A)2 , . . . , g

(A)n associato ai corrispondenti

autospazi Hg(A)k

⊂ HA⊗HB immagine dei proiettori ortogonali P (GA)k := PG

(A)

k ⊗IB. Similmente

GB = IA ⊗ G(B), dove G(B) e un operatore autoaggiunto in HB, abbia spettro discreto e finitog(B)

1 , g(B)2 , . . . , g

(B)m associato ai corrispondenti autospazi H

g(B)k

⊂ HA ⊗HB immagine dei pro-

iettori ortogonali P (GB)k := IA ⊗ PG

(B)

k . Se misuriamo GB sullo stato ρ ottenendo l’esito dellamisura g(B)

k , lo stato successivo alla misura e , come sappiamo:

1

tr(P

(GB)k ρP

(GB)k

)P (GB)k ρP

(GB)k .

Tenendo conto di tutti i possibili esiti della misura di B, nel caso in cui misuriamo B e poi A,il sistema sottoposto alla misura di A sara la miscela

ρ′ =m∑k=1

pk

tr(P

(GB)k

)P (GB)k ρP

(GB)k

dove pk = tr(P (GB)k ρP

(GB)k ) e la probabilita di esito g(B)

k per la misura di B. In definitiva:

ρ′ =m∑k=1

P(GB)k ρP

(GB)k .

Lo probabilita di avere l’esito g(A)h per la misura di A quando e stata misurata B e allora:

P(g(A)h |B) = tr(ρ′P (GA)

h ) = tr

(m∑k=1

P(GB)k ρP

(GB)k P

(GA)h

)

Dalle proprieta di linearita e di ciclicita della traccia abbiamo che:

P(g(A)h |B) =

m∑k=1

tr(P (GB)k ρP

(GB)k P

(GA)h ) =

m∑k=1

tr(ρP (GB)k P

(GA)h P

(GB)k )

=m∑k=1

tr(ρP (GB)k P

(GB)k P

(GA)h ) .

Nell’ultimo passaggio abbiamo tenuto conto del fatto che P (GB)k P

(GA)h = P

(GA)h P

(GB)k a causa

della loro struttura di tali proiettori. D’altra parte P (GB)k P

(GB)k = P

(GB)k e

∑k P

(GB)k = I per il

teorema spettrale. In definitiva:

P(g(A)h |B) =

m∑k=1

tr(ρP

(GB)k P

(GA)h

)= tr

m∑k=1

P(GB)k P

(GA)h

)= tr

(ρP

(GA)h

)= P(g(A)

h ) .

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Il risultato finale e che: la probabilita di ottenere g(A)h misurando A quando e stato misurata anche

la grandezza B (ottenendo qualsiasi risultato possibile), coincide con la probabilita di ottenereg

(A)h misurando A senza che sia stato misurato B.

Dunque, anche considerando la statistica degli esiti delle misure di A, non vi e alcun modo ditrasmettere informazione tramite le correlazioni EPR: eseguendo misure sulla parte B del siste-ma, la presenza o l’assenza di tali correlazioni e del tutto irrilevante osservando solo la parte Adi sistema.

Osservazioni. In questo modo la Meccanica Quantistica e la Relativita sembrano coesisterepacificamente. In realta la discussione di sopra prescinde completamente dal fatto che lo spazio-tempo sia quello classico oppure quello relativistico. La lezione che si impara e , essenzialmente,che i processi riguardanti i sistemi quantistici composti non sono descrivibili nello spaziotempo.Solo gli esisti delle misure, interpretati come stati di sistemi macroscopici (deterctors, contatori,ecc...) sono descrivibili nello spaziotempo in termini di eventi. Lo spaziotempo e una struttu-ra a posteriori sulla quale si registrano fenomeni macroscopici, in taluni casi legati a fenomenimicroscopici. Deve essere chiaro che questo punto di vista puo solo essere un punto di partenzae non un punto finale, almeno fino a quando non si chiarira cosa sia un sistema macroscopico ecosa sia un sistema microscopico e quali siano le ragioni della transizione da un regime all’altro.Il chiarimento, a parere dell’autore dovra essere, prima di tutto, di carattere sperimentale.

12.3.3 Sistemi di particelle identiche.

Le particelle elementari della meccanica quantistica sono particelle identiche. L’indistiguibilitadi esse viene formalizzata nella formulazione della Meccanica Quantistica in modo molto precisoe tenendo conto dell’assioma A7 come ora illustriamo.Per fare cio consideriamo il gruppo delle permutazioni di n oggetti Pn. Ricordiamo che talegruppo e semplicemente l’insieme delle funzioni biettive da 1, 2, . . . , n in 1, 2, . . . , n, che inquesto contesto sono dette permutazioni (di n oggetti), con l’operazione di composizionegruppale data dall’ordinaria composizione di funzioni. σ ∈ Pn e detta permutazione di dueoggetti se e l’identita oppure se la restrizione di σ ad un sottoinsieme di 1, 2, . . . , n contenenten− 2 elementi coincide con la funzione identita su tale insieme. Ricordiamo anche che ad ogniσ ∈ Pn viene associato un numero in −1,+1, detto la parita (−1)σ, come segue: se σ ecomposizione di un numero pari di permutazioni di due oggetti (−1)σ := 1, se σ e composizionedi un numero dispari di permutazioni di due oggetti (−1)σ := −1. Malgrado il numero di permu-tazioni di due oggetti in cui si decompone una permutazione non sia univocamente determinato,la parita e invece univocamente determinata.Consideriamo ora uno spazio di Hilbert H ed il prodotto tensoriale di n copie di tale spazio:H⊗n :=

⊗ni=1 H. σ ∈ Pn induce un operatore unitario Uσ : H⊗n → H⊗n come segue. Scegliamo

una base hilbertiana N per H. Come sappiamo dalla proposizione 9.6, i vettori ψ1 ⊗ · · · ⊗ ψncon ψk ∈ N per k = 1, 2, . . . , n, formano una base hilbertiana per H⊗n. E ovvio che, se σ a unapermutazione arbitraria, anche gli elementi ψσ(1) ⊗ · · · ⊗ ψσ(n) con ψk ∈ N per k = 1, 2, . . . , nformeranno una base hilbertiana per H⊗n. Anzi, tale base, a parte un riordinamento degli ele-

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menti, e proprio la stessa di prima data la natura della funzione σ. Definiamo Uσ : H⊗n → H⊗n

come l’unico operatore unitario che soddisfa:

Uσ(ψ1 ⊗ · · · ⊗ ψn) := ψσ(1) ⊗ · · · ⊗ ψσ(n) , con ψk ∈ N per k = 1, 2, . . . , n.

E immediato verificare che se φ1, . . . φn ∈ H sono vettori arbitrari (non necessariamente in N)allora risulta ancora, per l’operatore unitario Uσ:

Uσ(φ1 ⊗ · · · ⊗ φn) := φσ(1) ⊗ · · · ⊗ φσ(n) .

Di fatto abbiamo provato meta della seguente proposizione.

Proposizione 12.3. Si consideri lo spazio H⊗n :=⊗n

i=1 H, dove H e un arbitrario spazio diHilbert, ed il gruppo delle permutazioni di n oggetti Pn. Vale quanto segue.(a) Per ogni σ ∈ Pn esiste un unico operatore unitario Uσ : H⊗n → H⊗n che soddisfa

Uσ(φ1 ⊗ · · · ⊗ φn) := φσ(1) ⊗ · · · ⊗ φσ(n) . (12.49)

per ogni scelta di φ1, . . . φn ∈ H.(b) L’applicazione U : Pn 3 σ 7→ Uσ e una rappresentazione unitaria fedele del gruppo Pn.

Prova. La parte (a) e immediata conseguenza della discussione fatta prima di enunciare la pro-posizione. Dato che gli operatori Uσ sono unitari, per provare (b) e sufficiente mostrare cheUσUσ′ = Uσσ′ – ma questo e immediato da (12.49) assumendo che i vettori φ1, . . . , φn appar-tengano ad una base Hilbertiana di H – e che l’applicazione U e iniettiva (quest’ultimo fattocorrisponde a provare che la rappresentazione e iniettiva), ossia che UσI implica σ = id (funzio-ne identica). Questo fatto e nuovamente evidente da (12.49). 2

Dal punto di vista fisico, se Ψ ∈ H⊗n rappresenta uno stato puro di un sistema costituito dan sottosistemi identici descritti ciascuno separatamente sullo spazio di Hilbert H, lo stato puroassociato a UσΨ ha la naturale interpretazione dello stato del sistema fisico in cui i ruoli deisottosistemi siano stati scambiati secondo la permutazione σ. L’azione di Uσ si estende agli statigenerici ρ ∈ S(H⊗n) tramite la trasformazione che associa ρ a UσρU−1

σ . Si verifica facilmenteche, dato che Uσ e unitario, questa trasformazione preserva la positivita di ρ e la sua traccia(UσρU−1

σ e di classe traccia se lo e ρ dato che gli operatori di classe traccia sono un idealebilatero), per cui UσρU−1

σ ∈ S(H⊗n) se ρ ∈ S(H⊗n).L’azione del gruppo delle permutazioni sugli stati del sistema ha un’azione duale sulle proposi-zioni P ∈ P(H⊗n) sul sistema descritta dalla trasformazione che associa P a U−1

σ PUσ. Si osserviche essendo Uσ unitario, U−1

σ PUσ e un proiettore ortogonale se P e un proiettore ortogonale.Si osservi che dalle proprieta della traccia ((c) in proposizione 4.7) risulta che

trU−1σ PUσ ρ

= tr

P UσρU

−1σ

.

Per cui fare agire il gruppo delle permutazioni sugli stati oppure sulle proposizioni sul sistema efisicamente equivalente ai fini del calcolo delle probabilita che le proposizioni siano verificate in

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seguito a misura di esse.L’interpretazione naturale della trasformazione che associa P a U−1

σ PUσ e quella di trasformarela proposizione P scambiando il ruolo dei sottosistemi secondo la permutazione σ. L’azione diUσ sulle proposizioni induce un’azione su ogni misura a valori di proiezione P (A)(E)E∈T(R)

(associata all’osservabile A), che viene trasformata in una corrispondente misura a valori diproiezione U−1

σ P (A)(E)UσE∈T(R). Si verifica subito, dal teorema spettrale, che questa azionecorrisponde alla trasformazione dell’osservabile A nell’osservabile U−1

σ AUσ. Tale trasformazioneha un ovvio significato fisico alla luce delle osservazioni precedenti. Possiamo ora enunciarel’assioma relativo a sistemi composti da sottosistemi identici.

A8. Se un sistema fisico e composto da n < +∞ sottosistemi identici, ciascuno descritto in unacopia dello spazio di Hilbert H, le proposizioni fisicamente ammissibili sul sistema corrispondonoal sottoinsieme di P(H⊗n) contenente i proiettori ortogonali invarianti sotto l’azione del gruppodelle permutazioni definita nella proposizione 12.3.In altre parole P ∈ P(H⊗n) ha senso fisico sul sistema solo se

U−1σ PUσ = P , per ogni σ ∈ Pn.

Conseguentemente le osservabili A fisicamente ammissibili sul sistema sono quelle le cui misurespettrali soddisfano il requisito detto che equivale a dire

U−1σ AUσ = P , per ogni σ ∈ Pn.

A titolo di esempio, se si lavora con un sistema di due particelle identiche di massa m di coordi-nate x(1)

i e x(2)i rispettivamente, un’osservabile fisicamente ammissibile e la componente i-esima

della posizione media: (X(1)i + X

(1)i )/2. Senza entrare nei dettagli diciamo solo che, usando

le misure spettrali di X(1)i e X(2)

i , si puo, per esempio, costruire una proposizione ammissibili(proiettore ortogonale che commuta con ogni Uσ) che corrisponde all’affermazione “una delledue particelle ha coordinata i-esima che cade nel boreliano E”. Viceversa proposizioni del tipo“la particella 1 ha coordinata i-esima che cade nel boreliano E” non risultano essere ammissibili.

Vogliamo infine mostrare una conseguenza notevole dell’assioma A.7. Consideriamo per il solitosistema costituito da n sottosistemi identici, per σ ∈ Pn, i sottospazi di H⊗n:

(H⊗n)(σ)S := Ψ ∈ H⊗n | UσΨ = Ψ , (H⊗n)(σ)

A := Ψ ∈ H⊗n | UσΨ = (−1)σΨ

Il fatto che gli insiemi suddetti siano sottospazi e evidente dalla linearita degli operatori Uσ; ilfatto che siano chiusi e conseguenza immediata del fatto che tali operatori siano continui. Inrealta gli spazi suddetti sono autospazi di Uσ.

Osservazione. La proprieta di un vettore Ψ di appartenere allo spazio (H⊗n)(σ)S oppure allo

spazio (H⊗n)(σ)A e in realta una proprieta dello stato puro Ψ(Ψ| ) visto che, essendo gli spazi

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considerati sottospazi, vale, per α ∈ C \ 0, αΨ ∈ (H⊗n)(σ)S/A se e solo se Ψ ∈ (H⊗n)(σ)

S/A.

Ogni proposizione fisicamente sensata deve commutare con Uσ, pertanto se inizialmente Ψ ∈(H⊗n)(σ)

S , in seguito ad una misura secondo la proposizione ammissibile P (che risulta essereverificata), lo stato successivo alla misura sara descritto da PΨ/||PΨ|| che apparterra ancora a(H⊗n)(σ)

S :

UσPΨ||PΨ||

=UPΨ||PΨ||

=PUΨ||PΨ||

=PΨ||PΨ||

.

Vale l’analogo risultato se inizialmente Ψ ∈ (H⊗n)(σ)A . Quindi eseguendo misure non e possibile

“fare uscire il sistema” dallo spazio (H⊗n)(σ)S/A se era, immediatamente prima della misura, in

uno stato puro descritto da un vettore in (H⊗n)(σ)S/A. Nemmeno l’evoluzione temporale permette

di “fare uscire il sistema” dallo spazio (H⊗n)(σ)S/A se era, al tempo iniziale, in uno stato puro de-

scritto da un vettore in (H⊗n)(σ)S/A. Infatti l’osservabile hamiltoniana H avra, essendo fisicamente

ammissibile, una misura spettrale che commuta con Uσ. Di conseguenza

e−itHUσ =∫σ(H)

e−ih dP (H)(h)Uσ = Uσ

∫σ(H)

e−ih dP (H)(h) = Uσe−itH .

Per esempio se Ψ ∈ (H⊗n)(σ)A , per cui UσΨ = (−1)σΨ, allora

UσΨt = Uσe−itHΨ = e−itHUσΨ = e−itH(−1)σΨ = (−1)σΨt ,

e quindi Ψt ∈ (H⊗n)(σ)A , per ogni tempo t ∈ R. Concludiamo che:

Proposizione 12.4. Se un sistema fisico e composto da n < +∞ sottosistemi identici, ciascunodescritto in una copia dello spazio di Hilbert H ed al tempo t0 arbitrario il sistema si trova in unostato puro rappresentato da un vettore nel sottospazio (H⊗n)(σ)

S (oppure (H⊗n)(σ)A ) per qualche

σ ∈ Pn, in seguito ad evoluzione temporale ovvero a processo di misura, il sistema continueraad essere descritto da uno stato puro rappresentato da un vettore nel sottospazio (H⊗n)(σ)

S (ri-spettivamente (H⊗n)(σ)

A ).

Osservazione. Lo spazio H⊗n ha due sottospazi chiusi interessanti dal punto di vista fisico chesi ottengono intersecando rispettivamente i sottospazi di tipo (H⊗n)(σ)

S e (H⊗n)(σ)A . Questi due

spazi sono il sottospazio simmetrico (H⊗n)S , costituito da tutti i vettori Ψ ∈ H⊗n tali cheUσΨ = Ψ per ogni σ ∈ Pn; ed il sottospazio anti simmetrico (H⊗n)A, costituito da tutti ivettori Ψ ∈ H⊗n tali che UσΨ = (−1)σΨ per ogni σ ∈ Pn.La rilevanza fisica di questi due spazi e nel fatto che tutti i sistemi di particelle identiche notihanno stati puri descritti da vettori in (H⊗n)S oppure in (H⊗n)A. Risulta inoltre che le particelledella prima classe, dette Bosoni, hanno sempre spin intero, viceversa, le particelle della secondaclasse, dette Fermioni, hanno sempre spin semi intero. Questo risultato viene spesso indicato

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come correlazione spin statistica. Non esiste una dimostrazione di questa correlazione all’internodella formulazione non relativistica della meccanica quantistica. In essa si riesce solo a provare,come visto sopra, che se un sistema di particelle ha comportamento fermionico oppure bosonicoad un tempo t0 lo avra per sempre (fino a quando e descritto da stati puri). Tuttavia, all’internodella formulazione non relativistica, sono compatibili con la proposizione 12.4, stati per sistemidi particelle identiche che non sono simmetrici e nemmeno antisimmetrici. Si dice, in gergo, chetali particelle soddisfano una parastatistica. Particelle che soddisfano parastatistiche non sonomai state osservate.La formulazione relativistica della meccanica quantistica ha prodotto ad opera di varia autori(principalmente W. Pauli) un famoso teorema, detto appunto teorema di correlazione spin stati-stica, in cui si dimostra che la correlazione spin statistica osservata sperimentalmente e in realtauna delle conseguenze del requisito della teoria di essere invariante sotto il gruppo di Poincareinvece che quello di Galileo.

Esercizi 12.1.(1) Considerare uno stato misto ρ ∈ S(H) ed una somma diretta ortogonale di sottospazi diH: H = ⊕k∈KHk, con K finito o numerabile, associata a corrispondenti proiettori ortogonaliPkk∈K .Dimostrare che, se definiamo, usando la topologia operatoriale forte:

ρ′ := s-∑k

PkρPk

allora ρ′ e be definito e vale: ρ′ ∈ S(H).Suggerimento. Notare che PkPh = 0 se k 6= h, s-

∑k Pk = I, ed infine ||ρ2|| ≤ 1 e questo

consente di dimostrare che la serie converge nella topologia operatoriale forte sfruttando pro-prieta note di serie di vettori ortogonali.Il fatto che ρ′ sia positivo e che ||ρ′|| ≤ 1 segue facilmente dalla costruzione e dalle analogheproprieta per ρ. Infine, usando una base Hilbertiana N di H che e unione di analoghe basi hilber-tiane di ciascuno dei sottospazi Hk, si dimostra, dalla proposizione 4.5 che ρ′ e di classe tracciae che trρ′ = trρ = 1.(2) In riferimento alla discussione della sezione 11.3.2, in cui si prova che la probabilita di mi-surare il valore g(A)

k per la grandezza GA sulla parte A di un sistema quantistico e indipendentedal fatto che sia misurata o meno la grandezza GB sulla parte B 6= A del sistema, dimostrareche il risultato e valido anche per osservabili arbitrarie (con spettro anche continuo ed illimita-to). Assumere che lo strumento di misura di GB ammetta come risultati possibili una classenumerabile di boreliani E(GB)

k a due a due disgiunti e tali che la loro unione coincide con σ(GB).(3) Provare che (H⊗n)S e (H⊗n)A sono ortogonali.(4) Provare che se n = 2, vale

H⊗2 = (H⊗2)S ⊕ (H⊗2)A .

(5) Provare che gia con n = 3 la relazione in (2) risulta essere falsa.

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Appendice A

Relazioni d’ordine, topologia, gruppi.

A.1 Relazioni d’ordine, insiemi parzialmente ordinati, lemma diZorn.

Se X e un insieme arbitrario, una relazione ≥ su X viene detta relazione d’ordine parzialequando e riflessiva (per x ∈ X, x ≥ x), transitiva (per x, y, z ∈ X, se x ≥ y e y ≥ z allora x ≥ z)e antisimmetrica (per x, y ∈ X, se x ≥ y e y ≥ x allora x = y). In tal caso (X,≥) si dice insiemeparzialmente ordinato.Al posto di a ≥ b si puo scrivere equivalentemente b ≤ a.La relazione d’ordine parziale ≥ si dice relazione d’ordine totale se vale ulteriormente laproprieta: per ogni coppia x, y ∈ X, x ≥ y oppure y ≥ x.Se (X,≥) e un insieme parzialmente ordinato:

(i) Y ⊂ X si dice limitato superiormente (inferiormente) se ammette un maggiorante(minorante), cioe un elemento x ∈ X tale che x ≥ y (y ≥ x) per ogni y ∈ Y ;

(ii) elemento x0 ∈ X tale che non esiste in X alcun x 6= x0 con x ≥ x0, si dice elementomassimale di X. (Si noti che se x0 e massimale e in generale falso che ogni x ∈ X soddisfix0 ≥ x cioe un elemento massimale di X non e in generale un maggiorante di X).

Se (X,≥) e un insieme parzialmente ordinato, Y ⊂ X si dice ordinato se ≥ ristretta a Y × Y euna relazione d’ordine totale.Ricordiamo il lemma di Zorn equivalente all’Assioma della Scelta (o di Zermelo):

Lemma di Zorn. Se in un insieme parzialmente ordinato (X,≥) ogni sottoinsieme ordinato elimitato superiormente, allora X ammette almeno un elemento massimale.

Tra le nozioni utili nella teoria degli insiemi parzialmente ordinati ci sono anche quelle diestremo superiore ed estremo inferiore. Se (X,≥) e un insieme parzialmente ordinato:

(i) a e detto estremo superiore dell’insieme A ⊂ X e si scrive a = supA, se a e unmaggiorante di A e se ogni altro maggiorante di A, a′, soddisfa a ≤ a′;

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(ii) a e detto estremo inferioredell’insieme A ⊂ X e si scrive a = inf A, se a e un minorantedi A e se ogni altro minorante di A, a′, soddisfa a′ ≤ a;

E immediato verificare che ogni sottoinsieme A ⊂ X ammette al piu un unico estremo superioreed un unico estremo inferiore.

A.2 Richiami di topologia generale elementare.

Ricordiamo qui alcuni elementi di topologia generale.Una coppia (X,T ), dove X e un insieme e T una classe di sottoinsiemi di X, si dice spaziotopologico se valgono i seguenti fatti:

(i) ∅,X ∈ T ,(ii) l’unione di elementi (in quantita arbitraria) di T e ancora un elemento di T ,(iii) l’intersezione di una quantita finita di elementi di T e ancora un elemento di T .

In questo caso gli insiemi di T vengono detti (insiemi) aperti, T viene detta topologia suX.Gli insiemi chiusi di X sono, per definizione, i complementi rispetto a X degli aperti. Si osserviche, di conseguenza, l’intersezione di una classe di insiemi chiusi e un insieme chiuso.La chiusura, S, di un sottoinsieme S ⊂ X, e definita come l’insieme chiuso

S := ∩A ⊃ S ,A ⊂ X |A e chiuso .

Se A ⊂ X e un insieme arbitrario e (X,T ) e uno spazio topologico, e possibile indurre su Auna topologia TA tramite T . Ponendo infatti: TA := B ∩ A | B ∈ T , si verifica subito che(A,TA) e ancora uno spazio topologico. TA e detta topologia indotta (da T ) su A.

Se (Xi,Ti)i∈F e una classe di spazi topologici, si definisce una topologia, T , su loro prodottocartesiano X := ×i∈FXi che viene detta topologia prodotto. Tale topologia e definita nelmodo che segue. Si tratta dell’unica i cui aperti sono fatti come segue. Per ogni per ogni i ∈ Fprendiamo un aperto di Xi che coincida con tutto l’insieme Xi per quasi tutti gli indici (cioe ,tranne che per un numero finito di indici). Il prodotto di questi aperti e un aperto della topologiaprodotto T per definizione.Per costruzione, le proiezioni canoniche πi : X → Xi sono continue e la topologia prodottoe meno fine fra tutte quelle che rendono le proiezioni canoniche continue (cioe e inclusa in tuttele topologie con quella proprieta ). La topologia standard di Rn e la topologia prodotto dovutaai fattori R dotati delle topologia standard.

Se p ∈ X, dove (X,T ) e uno spazio topologico, un intorno aperto di p e un qualsiasi Ap ∈ Ttale che p ∈ Ap.

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Un sottoinsieme U di uno spazio topologico X e detto essere denso in X, se per ogni x ∈ X eper ogni intorno aperto Ax di x, vale U ∩Ax 6= ∅.

Un punto x ∈ A e detto essere interno ad A ⊂ X, quando esiste un intorno aperto Ux di x chesoddisfa Ux ⊂ A. L’interno, Int(A) di un insieme A ⊂ X, e definito come:

Int(A) := x ∈ X | x e interno ad A .

Se (X,T ) e (X′,T ′) sono spazi topologici, una funzione f : X→ X′ e detta continua, se e taleche f−1(A) ⊂ T quando A ∈ T ′ (cioe la controimmagine di un aperto dello spazio di arrivoe un aperto nello spazio di partenza). Se (X,T ) e (X′,T ′) sono spazi topologici e p ∈ X, unafunzione f : X → X′ e detta continua in p se, per ogni intorno aperto Bf(p) di f(p), esiste unintorno aperto Ap di p tale che f(Ap) ⊂ Bf(p). Si verifica facilmente che f : X→ X′ e continuase e solo se e continua in ogni punto p ∈ X.

Si prova che se i due spazi X,X′ usati sopra sono Rn ed Rm rispettivamente, oppure sottoinsiemidi tali spazi, dotati delle rispettive topologie euclidee (vedi sotto), la definizioni classiche difunzione continua e continua in un punto sono equivalenti a quelle generali date sopra.Se (X,T ) e (X′,T ′) sono spazi topologici, una funzione f : X → X′ e detta omeomorfismoquando e continua, biettiva e l’inversa e continua.

Uno spazio topologico (X,T ) e detto spazio di Hausdorff o spazio T2 o spazio separabiledi secondo tipo, se per ogni coppia di punti p, q ∈ X ci sono due intorni aperti Up 3 p e Vq 3 qcon Up ∩ Vq = ∅.

Uno spazio topologico (X,T ) e detto essere a base numerabile o numerabile di secondotipo se esiste una classe numerabile B ⊂ T (appunto la “base numerabile”) tale che ogni in-sieme aperto di X si possa ottenere come unione di elementi di B.Se (X,T ) e a base numerabile vale il lemma di Lindelof: se Uαα∈I e una classe di apertiche ricopre l’insieme B ⊂ X, cioe ∪α∈IUα ⊃ B, allora e possibile estrarre un sotto ricoprimentonumerabile da Uαα∈I . In altre parole esiste una scelta di indici αn ∈ I, con n ∈ N tale che∪n∈NUαn ⊃ B.Rn e Cn, dotati della topologia standard, sono sia di Hausdorff che a base numerabile.

Un sottoinsieme K ⊂ X dello spazio topologico X e detto essere compatto, se da ogni classe diaperti Aαα∈I tale che ∪α∈IAα ⊃ K e possibile estrarre una sottoclasse finita Aαii=1,2,...,n

tale che ∪i=1,...,nAαi ⊃ K. In uno spazio topologico di Hausdorff ogni insieme compatto e chiuso.Viceversa, in ogni spazio topologico ogni sottoinsieme chiuso di un insieme compatto e compatto.Le funzioni continue tra due spazi topologici trasformano insiemi compatti in insiemi compatti.Un insieme K ⊂ Y con Y ⊂ X dotato della topologia indotta da X, e compatto rispetto a Y see solo se lo e rispetto ad X.In Rn e Cn, dotati della topologia standard (nel secondo caso, tale topologia e quella di R2n),

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i compatti sono tutti e soli gli insiemi chiusi e limitati (cioe contenuti in palle aperte di raggioarbitrario ma finito) per il teorema di Heine-Borel.

Vale il Teorema di Tychonoff che afferma che il prodotto (in quantita arbitraria) di spazi topo-logici compatti e compatto nella topologia prodotto.

Uno spazio topologico si dice localmente compatto, se per ogni punto x, esiste un intornodi x, Bx, tale che Bx e compatto. Ovviamente Rn e Cn, dotati della topologia standard, sonolocalmente compatti.

Uno spazio topologico X si dice connesso se non e l’unione di due aperti disgiunti.Un sottoinsieme A ⊂ X si dice insieme connesso se e tale rispetto alla topologia indotta da X.

I sottoinsiemi connessi massimali di uno spazio topologico X sono detti le componenti con-nesse di X. In altre parole, un sottoinsieme di X una componente connessa se e connesso e none contenuto in nessun altro sottoinsieme connesso. Le componenti connesse di X sono disgiuntee la loro unione e X.

Risulta che le funzioni continue tra due spazi topologici trasformano insiemi connessi in insiemiconnessi.

Un sottoinsieme A di uno spazio topologico X e detto connesso per archi se, per ogni coppiap, q ∈ A esiste un’applicazione continua γ : [0, 1] → A tale che γ(0) = p, γ(1) = q. Ogni insie-me connesso per archi e necessariamente connesso. Risulta che un insieme aperto connesso nonvuoto di Rn e connesso per archi.

Un sottoinsieme insieme A di uno spazio topologico X e detto semplicemente connesso se,per ogni coppia p, q ∈ A e per ogni coppia di curve continue γi : [0, 1] → A, i = 0, 1, tali cheγi(0) = p, γi(1) = q, esiste una funzione continua (detta omotopia) γ : [0, 1] × [0, 1] → A taleche γ(0, t) = γ0(t), γ(1, t) = γ1(t) per t ∈ [0, 1].

Si dimostra che lo spazio topologico prodotto di due spazi topologici semplicemente connessie a sua volta semplicemente connesso.Uno spazio metrico e un insieme X dotato di una funzione d : X × X → R detta distanza ometrica, soddisfacente:

(i) d(x, y) = d(y, x),(ii) d(x, y) ≥ 0 dove = vale se solo se x = y,(iii) d(x, z) ≤ d(x, y) + d(y, x) per x, y, z ∈ X.

Una palla aperta di raggio δ > 0 e centro x0 ∈ X, Bδ(x0) ⊂ X e definita come:

Bδ(x0) := x ∈ X | d(x, x0) < δ .

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Una funzione f : X → X′ con X,X′ spazi metrici con distanze, d e d′ rispettivamente e dettaisometria se conserva le distanze, cioe: d(x, y) = d′(f(x), f(y)) per ogni coppia x, y ∈ X.

Uno spazio metrico (X, d) ha una struttura naturale di spazio topologico di Hausdorff, quandosi definiscono gli aperti come l’insieme vuoto e tutti i sottoinsiemi di X costruiti unendo unaquantita arbitraria di palle aperte di raggio arbitrario e centro arbitrario. Questa topologia edetta topologia metrica indotta da d.

In uno spazio metrico (X, d), una successione xnn∈N ⊂ X e detta convergere a x ∈ X, se valelimn→+∞ xn = x rispetto alla topologia metrica di (X, d); in altre parole, per ogni ε > 0 esisteNε ∈ N tale che, se n > Nε allora d(xn, x) < ε.

In uno spazio metrico (X, d), una successione xnn∈N ⊂ X e detta essere di Cauchy se accadeche, per ogni ε > 0 esiste Nε ∈ N tale che, se n,m > Nε allora d(xn, xm) < ε. Ovviamenteogni successione che converge e anche una successione di Cauchy, ma non vale il viceversa. Unospazio metrico (X, d) e detto essere completo quando ogni successione di Cauchy converge aqualche elemento di X.Rn e Cn sono uno spazi metrici quando si doti della distanza euclidea o distanza standard:

d((x1, . . . , xn), (y1, . . . , yn)) :=

Ìn∑k=1

|xk − yk|2 .

Rn e Cn ammettono quindi una topologia naturale detta topologia euclidea o anche topologiastandard, i cui aperti sono, oltre all’insieme vuoto, gli insiemi dati dalle unioni arbitrarie di palleaperte di centro e raggio arbitrario. Tali spazi topologici sono completi. Le nozioni topologicheelementari di Rn e Cn studiate nei corsi di analisi sono sottocasi delle nozioni generali date sopra.

A.3 Richiami di teoria dei gruppi.

In gruppo e una struttura algebrica, (G, ), dove G e un insieme e : G× G→ G e una funzionedetta prodotto (gruppale). Inoltre le seguenti tre condizioni devono essere soddisfatte.(1) e associativo, cioe :

g1 (g2 g3) = (g1 g2) g3 , per ogni g1, g2, g3 ∈ G .

(2) Esiste l’elemento neutro, cioe esiste e ∈ G tale che:

e g = g e = g , per ogni g ∈ G .

(3) Ogni elemento g ∈ G ammette un elemento inverso, cioe :

per ogni g ∈ G esiste g−1 ∈ G con g g−1 = g−1 g = e .

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L’elemento neutro e l’elemento inverso risultano essere unici come si prova facilmente.Un gruppo (G, ) e detto essere commutativo oppure, equivalentemente, abeliano se g g′ =g′ g per ogni coppia di elementi g, g′ ∈ G; altrimenti e detto non commutativo o non abe-liano.

Un sottoinsieme G′ ⊂ G di un gruppo e chiamato sottogruppo se e un gruppo rispetto allarestrizione a G′×G′ del prodotto gruppale. Un sottogruppo N di un gruppo G e detto normalese e invariante sotto coniugazione, cioe , per ogni elemento n ∈ N ed ogni elemento g ∈ G,l’elemento g n g−1 appartiene a N .Se N e un sottogruppo normale del gruppo G, G/N e l’insieme delle classi di equivalenza in Gquando la relazione di equivalenza e g ∼ g′ se e solo se g = ng′ per n ∈ N . Si prova facilmenteche G/N acquista naturalmente una struttura di gruppo da quella di G.

Il centro, Z, di G e sottogruppo commutativo G, costituito da tutti gli elementi z che commu-tano con tutti gli elementi di G – in altre parole z g = g z per ogni g ∈ G.

Se (G1, 1) e (G2, 2) sono gruppi, un omomorfismo (gruppale) detto anche da G1 a G2,rappresentazione di G1 in (termini di) G2 e una funzione h : G1 → G2 che preserva le strutturedi gruppo, cioe vale la seguente richiesta:

h(g 1 g′) = h(g) 2 h(g′) per ogni g, g′ ∈ G1 ,

Di conseguenza, con ovvie notazioni, vale:

h(e1) = e2 ,

ed inoltre vale anche:h(g−11) = (h(g))−12 per ogni g ∈ G1 .

Infatti, se g ∈ G1, allora h(g)e2 = h(g) = h(g e1) = h(g)h(e1). Applicando h(g)−1 a sinistrasi trova: e2 = h(e1). D’altra parte h(g)−1 h(g) = e2 = h(e1) = h(g−1 g) = h(g−1) h(g)implica h(g)−1 = h(g−1).Il nucleo di un omomorfismo, h : G → G′, e il sottogruppo Ker(h) ⊂ G i cui elementi g ve-rificano h(g) = e′, dove e′e l’elemento neutro di G′. Si osservi che Ker(h) e un sottogrupponormale. Ovviamente, h e iniettivo se e solo se il suo nucleo contiene solo l’elemento neutro diG. Risulta che l’immagine h(G) di un omomorfismo h : G→ G′ sia un sottogruppo di G′ isomorfoa G/Ker(h).

Un isomorfismo gruppale e un omomorfismo biettivo di gruppi. Un isomorfismo h : G → Ge detto automorfismo su G. L’insieme, Aut(G), degli automorfismi sul gruppo G risulta essereun gruppo rispetto alla legge di composizione delle funzioni da G in G.

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Se G1 e G2 sono gruppi, il loro prodotto diretto, G1 ⊗ G2, e un altro gruppo definito comesegue. Gli elementi di G1 ⊗ G2 sono, come la notazione suggerisce, sono gli elementi (g1, g2) delprodotto cartesiano dei due insiemi G1 e G2. Infine, la legge di composizione e

(g1, g2) (f1, f2) := (g1 1 f1, g2 2 f2) (g1, g2), (f1, f2) ∈ G1 × G2 .

Ovviamente l’elemento neutro di G1 ⊗ G2 e (e1, e2), dove e1 e e2 sono gli elementi neutri di G1

e G2 rispettivamente. Si osservi che G1 e G2 risultano essere sottogruppi normali del gruppoG1 ⊗ G2.

La struttura di prodotto diretto si indebolisce nella seguente struttura, che risulta essere moltoimportante per le applicazioni fisiche. Siano (G1, 1) e (G2, 2) gruppi e si supponga che, perogni g1 ∈ G1, esista un isomorfismo gruppale ψg1 : G2 → G2 che soddisfa le seguenti proprieta :

(i) ψg1 ψg′1 = ψg11g′1 e(ii) ψe1 = idG2 ,

dove e la solita legge di composizione di funzioni e e1 e l’elemento neutro di G1. (in altre parole,ψg ∈ Aut(G2) per ogni g ∈ G1 e la funzione G1 3 g 7→ ψg e un omomorfismo gruppale da G1

a Aut(G2).) In questo caso una struttura naturale di gruppo puo essere assegnata al prodottocartesiano G1 × G2, semplicemente definendo la legge di composizione gruppale di due elementi(g1, g2), (f1, f2) ∈ G1 × G2, come:

(g1, g2) ψ (f1, f2) := (g1 1 f1, g2 2 ψg1(f2)) .

Si dimostra facilmente che la definizione e ben posta e che (G1 ⊗ψ G2, ψ) e un gruppo, che sichiama il prodotto semidiretto di G1 e G2. Notare che l’ordine con cui vengono elencati i duegruppi ha rilevanza.Considerando il prodotto semidiretto (G⊗ψ N, ψ), si dimostra che N e un sottogruppo normaledi G⊗ψ N e che:

ψg(n) = g ψ n ψ g−1 per ogni g ∈ G e n ∈ N.

La proprieta puo essere invertita nel senso che segue. Consideriamo un gruppo (H, ), sia Nun sottogruppo normale di H e sia infine G un generico sottogruppo di H. Supponiamo cheN ∩ G = e, dove e e l’elemento neutro di H, e che H = GN , nel senso che, per ogni h ∈ H,esistono g ∈ G e n ∈ N tali che h = gn. Si riesce allora facilmente a dimostrare che (g, n)e unicamente determinato da h e che H e isomorfo a G×ψ N , dove

ψg(n) := g h g−1 per ogni g ∈ G e n ∈ N .

Se V e uno spazio vettoriale (reale o complesso), GL(V) indica il gruppo delle funzioni linearibiettive f : V → V. La legge di composizione gruppale e la solita composizione di funzioni.GL(V) e detto gruppo lineare su V.Se V := Rn o C2 allora GL(V) si indica con GL(n,R) o GL(n,R), rispettivamente.

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Diamo la definizione di rappresentazione lineare di un gruppo. Sia (G, ) un gruppo e V uno spa-zio vettoriale. Una rappresentazione (lineare) di G su V e un omomorfismo ρ : G→ GL(V).Se ρ : G→ GL(V) e una rappresentazione, essa si dice:(1) fedele se e iniettiva,(2) libera se, per ogni v ∈ V, il sottogruppo di G costituito dagli elementi hv che ρ(hv)v = vcontiene solo l’elemento neutro di G,(3) transitiva se, per ogni coppia v, v′ ∈ V esiste g ∈ G con v′ = ρ(g)v,(4) irriducibile se non esiste alcun sottospazio proprio S ⊂ V che e invariante sotto l’azionedi ρ(G), cioe che soddisfa ρ(g)S ⊂ S per tutti i g ∈ G.Nel caso in cui V sia spazio di Hilbert o spazio di Banach e la rappresentazione ρ sia data intermini di operatori limitati e definiti su tutto V, l’irriducibilita e definita richiedendo che nonesistano sottospazi chiusi di V che siano invarianti sotto l’azione di ρ(G).

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Appendice B

Elementi di geometria differenziale.

Se n,m = 1, 2, . . . e k = 0, 1, . . . sono fissati, sia Ω ⊂ Rn un insieme aperto e non vuoto.Una funzione f : Ω → Rm e detta essere di classe Ck, e si scrive in tal caso f ∈ Ck(Ω; Rn), setutte le derivate parziali (incluse quelle miste) delle componenti di f esistono e sono continuefino all’ordine k incluso. Si pone Ck(Ω) := Ck(Ω; R).f : Ω→ Rm edetta di classe C∞ se edi classe Ck per ogni k = 0, 1, . . . e si definisce:

C∞(Ω; Rn) :=⋂

k=0,1,...

Ck(Ω; Rn) .

Si pone C∞(Ω) := C∞(Ω; R).Infine f : Ω → Rm e detta di classe Cω o anche analitica reale, se e di classe C∞ ed inoltre,per ogni punto p ∈ Ω, f puo essere sviluppata in serie di Taylor in una palla aperta di raggiofinito centrata in p ed inclusa in Ω.Solitamente quando non e menzionata esplicitamente la classe di differenziabilita k di una fun-zione (oppure di una varieta ) si sottointende che k =∞.

Notazione. In questa sezione, come di consueto nella geometria differenziale, enumereremo conindici alti le coordinate di Rn e le componenti dei vettori (controvarianti). In questo modo, peresempio, le coordinate standard di Rn saranno indicate con x1, . . . , xn invece di x1, . . . , xn.

B.1 Varieta differenziabili, varieta differenziabili prodotto, fun-zioni differenziabili.

Lo strumento matematico piu generale e potente atto a descrivere le proprieta generali dello spa-ziotempo, dello spazio fisico tridimensionale e dello spazio astratto in cui descrivere i sistemi fisicidelle teorie classiche, e la nozione di varieta differenziabile. Si tratta in essenza di un insieme dioggetti arbitrari, indicati con il nome generico di punti, che puo essere ricoperto localmente consistemi di coordinate i quali identificano i punti dell’insieme con n-ple di Rn.

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Definizione B.1. Una varieta differenziabile di dimensione n e classe Ck, con n =1, 2, 3, · · · e k = 1, 2, ...,∞, ω fissati, e un insieme M i cui elementi sono detti punti, dotato dialcune strutture geometriche con proprieta che precisiamo di seguito.(1) L’insieme M deve essere dotato di una struttura differenziabile di classe Ck e dimen-sione n, A = (Ui, φi)i∈I cioe , una collezione di coppie (Ui, φi), dette carte locali o sistemidi coordinate locali, in cui Ui e sottoinsieme di M e φi e un’applicazione con dominio Ui avalori in Rn e vale:

(i) ∪i∈IUi = M , ogni φi e iniettiva e φi(Ui) aperto in Rn;(ii) le carte locali in A devono essere Ck-compatibili a due a due. Due applicazioni iniettive

φ : U → Rn e ψ : V → Rn con U, V ⊂ M sono dette Ck-compatibili (o piu brevemente k-compatibili) se vale U ∩ V 6= ∅ e le funzioni φ ψ−1 : ψ(U ∩ V ) → φ(U ∩ V ) e ψ φ−1 :φ(U ∩ V )→ ψ(U ∩ V ) sono entrambe di classe Ck, oppure se vale U ∩ V = ∅;

(iii) A e massimale ossia soddisfa: se U ⊂M e aperto e φ : U → Rn e compatibile con ognicarta di A , allora (U, φ) ∈ A .(2) Dal punto di vista topologico, si richiede che:

(i) M sia uno spazio topologico di Hausdorff a base numerabile;(ii) lo spazio topologico M sia, tramite le carte di A , localmente omeomorfo a Rn. In altre

parole, se (U, φ) ∈ A , allora U e aperto e φ : U → φ(U) e un omeomorfismo.Una varieta differenziabile di ordine ω e , equivalentemente, detta varieta analitica (reale).

Osservazioni.(1) Ogni carta locale (U, φ) permette di assegnare biunivocamente una n-pla di numeri reali(x1p, · · · , xnp ) = φ(p) ad ogni punto p di U . Gli elementi della n-pla sono le coordinate di p nella

carta (U, φ). I punti in U sono quindi in corrispondenza biunivoca con le n-ple di φ(U) ⊂ Rn.Una carta locale con dominio dato da tutto M e detta carta globale o sistema di coordinateglobale.(2) Nell’ipotesi U ∩V 6= ∅, la k-compatibilita di carte locali (U, φ) e (V, ψ) implica che la matricejacobiana di φ ψ−1, essendo invertibile, abbia determinante ovunque non nullo. Viceversa, seφψ−1 : ψ(U ∩V )→ φ(U ∩V ) e biettiva, di classe Ck, con determinante della matrice jacobiananon nullo su ψ(U ∩V ), allora ψφ−1 : φ(U ∩V )→ ψ(U ∩V ) e anch’essa Ck e quindi le due cartelocali sono k-compatibili. La prova di cio si basa sul noto [GiustiII]: (Teorema della funzioneinversa )Sia f : D → Rn, con D ⊂ Rn aperto non vuoto, una funzione di classe Ck, con k = 1, 2, . . . ,∞fissato. Se la matrice jacobiana di f , valutata in p ∈ D, ha determinante non nullo allora esi-stono un intorno aperto U ⊂ D di p ed un intorno aperto V di f(p) tali che: (i) f U : U → Vsia biettiva (ii) la sua inversa f −1

U : V → U sia di classe Ck. ♦(3) Le due richieste sul tipo di topologia in (2)(i) (che valgono per la topologia standard diRn) sono di carattere tecnico e assicurano, rispettivamente, l’unicita delle soluzioni di problemibasati su equazioni differenziali su M (necessaria dal punto di vista fisico quando queste equa-zioni descrivono l’evoluzione di sistemi fisici) e la fattibilita della teoria dell’intergazione su M .La richiesta in (2)(ii) corrisponde invece al requisito intuitivo che M “sia continuo come” Rn

nell’intorno di ogni punto. Classici controesempi mostrano che la proprieta di Hausdorff di Rn

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non e trasportata su M dagli omeomorfismi locali dati e pertanto deve essere imposta separata-mente.(4) Sia M spazio topologico di Hausdorff a base numerabile. Una collezione di carte locali Asu M che soddisfi (i) e (ii) in (1) ma non necessariamente (iii), e che soddisfi (ii) in (2), e dettoatlante su M di dimensione n e classe Ck. Si dimostra facilmente che per ogni atlante A suM esiste un unico atlante massimale che lo include. Si osservi che due atlanti su M tali che ognicarta di uno sia compatibile con ogni carta dell’altro, inducono la stessa struttura differenzia-bile su M . Quindi per assegnare una struttura differenziabile e sufficiente assegnare un atlantenon massimale, uno dei possibili che la individua. L’unica struttura differenziabile associata nelmodo detto ad un fissato atlante si dice essere indotta dall’atlante.(5) Si deve comunque notare che possono esistere piu strutture differenziabile inequivalenti sul-la stesso spazio topologico di Hausdorff a base numerabile1. Cio accade in dimensione ≥ 4.Pertanto, per assegnare una varieta differenziabile N di dimensione n ≥ 4 non e sufficiente spe-cificare il solo insieme N , anche se e stata specificata la topologia appropriata. Fanno eccezionei casi in cui N e un sottoinsieme di una varieta di dimensione maggiore M assegnata, di cui Ne sottovarieta embedded, come specificato sotto.(6) Si puo provare che se 1 ≤ k <∞, si possono eliminare alcune carte dalla struttura differen-ziabile (un numero infinito di carte!), in modo tale che l’insieme risultate sia ancora un atlantecon k = ∞. Si possono considerare varieta analitiche (in simboli si scrive Cω), in cui tutte lefunzioni φ ψ−1 e ψ φ−1 sono assunte essere funzioni analitiche reali.

Esempi B.1.1. L’esempio piu semplice di varieta differenziabile, di classe C∞ e dimensione n, e ogni sottoin-sieme non vuoto e aperto di Rn (includendo Rn stesso) con una struttura differenziabile standardindividuata dalla funzione identita (che da sola definisce un atlante).2. Si consideri sfera unitaria S2 (dotata della topologia ereditata da R3) in R3, centratanell’origine e quindi di equazione, in coordinate canoniche x1, x2, x3 di R3:

S2 :=

(x1, x2, x3) ∈ R3∣∣∣ (x1)2 + (x2)2 + (x3)2 = 1

.

S2 acquista una struttura di varieta differenziabile, di dimensione 2 e classe C∞, da quella diR3, definendo un atlante su S2 costituito da 6 carte locali (S2

(i)±, φ(i)± ) (i = 1, 2, 3) ottenute come

segue. Considerato l’asse xi (i = 1, 2, 3) e la coppia di emisferi aperti S2(i)± con asse sud-nord

dato dall’asse xi, si considerano le carte locali φ(i)± : S2

(i)± → R2 che associano ad ogni p ∈ S2(i)± le

coordinate di esso sul piano a xi = 0. Si puo provare (vedi sotto) che e impossibile dotare S2 diuna carta globale a differenza di R3 (o di ogni suo sottoinsieme aperto). Questo fatto dimostrache la classe delle varieta differenziabili non si riduce ai soli sottoinsiemi non vuoti aperti degliRn ed e pertanto interessante. Un’esempio analogo e quello di una circonferenza in R2.

1Tecnicamente parlando strutture, differenziabili non diffeomorfe. Si rimanda ai corsi di geometria differenzialeper approfondimenti.

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Date due varieta differenziabili M ed N , di dimensione m ed n rispettivamente, ed entrambedi classe Ck, si puo costruire una terza varieta differenziabile di classe Ck e dimensione m + nsull’insieme di punti M × N dotato della topologia prodotto. (Tale spazi topologico e quindiancora di Hausdorff ed a base numerabile.) Tale varieta e detta varieta prodotto di M e N esi indica semplicemente con M × N . La struttura differenziabile di M × N , detta strutturadifferenziabile prodotto, e quella che si ottiene come segue. Se (U, φ) e (V, ψ) sono due cartelocali su M ed N rispettivamente, e immediato verificare che

U × V 3 (p, q) 7→ (φ(p), ψ(q)) =: φ⊕ ψ(p, q) ∈ Rm+n (B.1)

e un omeomorfismo locale. Inoltre, se (U ′, φ′) e (V ′, ψ′) sono altre due carte locali su M ed N ri-spettivamente, k-compatibili con le rispettive precedenti, le carte (U×V, φ⊕ψ) e (U ′×V ′, φ′⊕ψ′)risultano essere banalmente k-compatibili. Infine, al variare delle carte (U, φ) e (V, ψ) nelle strut-ture differenziabili di M e N , le carte (U×V, φ⊕ψ) definiscono un atlante su M×N . La strutturadifferenziabile da esso generata e , per definizione, la struttura differenziabile prodotto.Possiamo dunque dare la seguente definizione.

Definizione B.2. Date due varieta differenziabili M ed N , di dimensione m ed n rispettivamen-te, ed entrambe di classe Ck, la varieta prodotto M×N e la varieta sull’insieme M×N , dotatodella topologia prodotto, e con struttura differenziabile indotta dalle carte locali (U × V, φ ⊕ ψ)definite in (B.1), quando (U, φ) e (V, ψ) variano nelle strutture differenziabili di M e N .

Dato che una varieta differenziabile, localmente e indistiguibile da Rn, la struttura di varieta differenziabilepermette di dare senso alla nozione di funzione differenziabile definita su un insieme che non siaun Rn oppure un suo sottoinsieme, ma che abbia la struttura di varieta differenziabile. L’ideae banalmente quella di ridursi, localmente, alla definizione standard in Rn di funzione differen-ziabile, usando la struttura di carte locali che ricoprono ogni varieta differenziabile. Se M e unavarieta differenziabile di dimensione n e classe Ck, diremo che f : M → R e differenziabile concontinuita fino all’ordine ordine p ≤ k, oppure piu brevemente, che f e di classe Cp, se le fun-zioni f φ−1 sono di classe Cp come funzioni da Rn in R per ogni carta locale (U, φ) su M .Tenendo conto che R e una varieta differenziabile, possiamo dare la seguente definizione del tuttogenerale che include il caso appena considerato (se N = R con struttura differenziabile standard).

Definizione B.3. Siano M,N varieta differenziabili di dimensione m,n e classe Cp e Cq

(p, q ≥ 1). Una funzione continua f : M → N e di classe Ck (0 ≤ k ≤ p, q eventualmentek =∞oppure k = ω) se ψ f φ−1 e di classe Ck, come funzione da Rm in Rn, per ogni sceltadelle carte locali (U, φ), (V, ψ), rispettivamente in N e M .La classe delle funzioni differenziabili di classe k = 0, 1, 2, . . . ,∞, ω da M ad N e indicata conCp(M ;N); se N = R si scrive semplicemente Ck(M).Un k-diffeomorfismo f : M → N tra due varieta M,N e una funzione di classe Ck, biettiva,con inversa di classe Ck. Se M ed N sono connesse da un k-diffeomorfismo f si dicono varieta k-diffeomorfe (tramite f).

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Osservazioni.(1) Si noti che abbiamo ammesso il caso di funzioni differenziabili di classe C0, che in realta corrispondea funzioni solamente continue ed a omeomorfismi nel caso di 0-diffeomorfismi. Ovviamente ognik-diffeomorfismo e anche un omeomorfismo per cui, per esempio, non ci possono essere diffeomor-fismi tra S2 e R2 (oppure ogni suo sottoinsieme non vuoto e aperto), essendo il primo compattoed il secondo no. Questo fatto prova, come menzionato sopra, che non possono esistere carteglobali su S2.(2) Si dimostra facilmente che, affinche f : M → N sia Cp, e sufficiente che ψ f φ−1 sianofunzioni Ck al variare delle carte locali (U, φ), (V, ψ) in due atlanti, rispettivamente su M ed N ,senza dover controllare la validita di tale condizione per tutte le possibile carte locali delle duevarieta .(3) Se f : M → N e una funzione differenziabile (di classe Ck) e sono assegnate carte locali(U, φ), (V, ψ), rispettivamente in N e M , la funzione ψ f φ−1 e detta rappresentazione incoordinate di f .

Un altro utile concetto e quello di sottovarieta embedded. Rn e una sottovarieta embedded di Rm

con m > n. In coordinate canoniche x1, · · · , xm di Rm, Rn si identifica con il sottoinsieme indi-viduato dalle condizioni xn+1 = · · · = xm = 0 e le prime n coordinate di Rm, x1, · · · , xn, sonoidentificate con le coordinate standard di Rn. L’idea e quella di generalizzare, in senso locale,questa situazione usando coordinate locali e considerando varietaN ed M in luogo di Rn e Rm.Possiamo dare la seguente definizione.

Definizione B.4. Sia data una varieta differenziabile M , di dimensione m > n e classe Ck

(k ≥ 1). Una sottovarieta embedded di M di dimensione n e classe Ck, N , e unavarieta differenziabile (di dimensione n e classe Ck) costituita come segue.(a) N e un sottoinsieme di M dotato della topologia ereditata da M .(b) La struttura differenziabile di N e quella generata da un atlante (Ui, φi)i∈I in cui:

(i) Ui = Vi ∩N e φi = ψVi∩N per una opportuna carta locale (Vi, φi) su M ;(ii) nelle coordinate x1, · · · , xm associate a (Vi, φi), l’insieme Vi ∩N e individuato dalla ri-

chiesta xn+1 = · · · = xm = 0 e le rimanenti coordinate x1, · · · , xn sono coordinate locali associatea φi.

Osservazioni.(1) La topologia di N e ancora, per costruzione, di Hausdorff ed a base numerabile.(2) La struttura di sottovarieta embedded su N , se puo essere assegnata, e univocamente indi-viduata dalla struttura di varieta differenziabile di M .

Per concludere citiamo (vedi per es. [doCarmo92, Westenholtz78]), un importante teorema chepermette di stabilire quando un sottoinsieme di una varieta differenziabile puo essere dotato del-la struttura di sottovarieta embedded. La dimostrazione del teorema e una diretta conseguenzadel teorema del Dini [GiustiII].

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Teorema (dei valori regolari) B.1. Sia M una varieta differenziabile di dimensione m eclasse Ck. Si consideri l’insieme N determinato da c(< m) costanti, vj, e da c funzioni diclasse Ck, fj : M → R

N := p ∈M | fj(p) = vj , j = 1, · · · , c .

Se, nell’intorno di ogni punto p ∈ N , esiste una carta locale (U, φ) di M tale che la matricejacobiana di coefficienti ∂(fj φ−1)/∂xi|φ(p) (con j = 1, · · · , c e i = 1, · · · ,m) abbia rango r,allora l’insieme N puo essere dotato della struttura di sottovarieta differenziabile embedded di Mdi dimensione n := m− c e classe Ck.Se in particolare, la matrice quadrata c× c di elementi

∂fj φ−1

∂xk, j = 1, . . . , c e k = m− c+ 1,m− c+ 2, . . . ,m

e non singolare in φ(p) con p ∈ N , le prime n coordinate x1, . . . , xn definiscono un sistema dicoordinate della struttura differenziabile di N in un intorno di p in N .

B.2 Spazio tangente e cotangente. Campi vettoriali covariantie controvarianti.

Consideriamo la varieta differenziabile M di dimensione n e classe Ck (k ≥ 1). Consideriamoogni fissato spazio Ck(M), come uno spazio vettoriale sul campo R rispetto alle combinazionilineari di funzioni definite come, se a, b ∈ R e f, g ∈ Ck(M):

(af + bg)(p) := af(p) + bg(p) , per ogni p ∈M .

Fissato un punto p ∈ M , una derivazione in p, e un’applicazione R-lineare Lp : Ck(M) → Rche gode della proprieta di Leibniz:

Lp(fg) = f(p)Lp(g) + g(p)Lp(f) , per ogni f, g ∈ Ck(M). (B.2)

Evidentemente una combinazione lineare di derivazioni in p, aLp + bL′p (a, b ∈ R) dove

(aLp + bL′p)(f) := aLp(f) + bL′p(f) , per ogni f, g ∈ Ck(M),

e ancora una derivazione. Pertanto le derivazioni in p formano uno spazio vettoriale sul campoR, che indichiamo con Dk

p. Ogni carta locale (U, φ) con U ∈ p definisce automaticamenten derivazioni in p come segue. Se x1, . . . , xn sono le coordinate associate a φ, definiamo laderivazione rispetto alla coordinata k-esima:

∂xk

∣∣∣∣p

: f 7→ ∂f φ−1

∂xk

∣∣∣∣∣φ(p)

, per ogni f, g ∈ C1(M). (B.3)

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Le n derivazioni in p, ∂∂xk

∣∣∣p, sono linearmente indipendenti: se 0 indica la derivazione nulla e

c1, c2, · · · , cn ∈ R sono tali che:n∑k=1

ck∂

∂xk

∣∣∣∣p

= 0 ,

allora scegliendo una funzione differenziabile che coincide con la funzione coordinata xl in unintorno aperto di p (la cui chiusura e inclusa in U) e si annulla fuori di esso, la richiesta

n∑k=1

ck∂

∂xk

∣∣∣∣pf = 0 ,

implica che cl = 0. Dato che possiamo scegliere l arbitrariamente, concludiamo che ogni coef-ficiente cr e nullo per r = 1, 2, . . . , n. In definitiva le n derivazioni ∂

∂xk

∣∣∣p

formano una base per

un sottospazio di Dkp di dimensione n (si puo in realta provare che, nel caso di k = ∞, questo

sottospazio coincide con D∞p stesso). Cambiando carta locale ed usando (V, ψ) con V 3 p e concoordinate y1, . . . , yn, le nuove derivazioni rispetto alle nuove coordinate sono legate alle vecchidalla relazione

∂yi

∣∣∣∣p

=n∑k=1

∂xk

∂yi

∣∣∣∣∣ψ(p)

∂xk

∣∣∣∣p. (B.4)

La dimostrazione di questo fatto e immediata dalle definizioni date. Dato che la matrice jacobia-na di coefficienti ∂xk

∂yi

∣∣∣ψ(p)

e biettiva per definizione di carte locali, concludiamo che il sottospazio

di Dkp generato dalle derivazioni ∂

∂yi

∣∣∣p

coincide con quello generato dalle derivazioni ∂∂xk

∣∣∣p. Tale

sottospazio e quindi un oggetto intrinseco.

Definizione B.5. Data una varieta differenziabile di dimensione n e classe Ck (k ≥ 1), siconsideri un punto p ∈M .Il sottospazio vettoriale delle derivazioni in p ∈ M generato dalle n derivazioni ∂

∂xk

∣∣∣p, con

k = 1, 2, . . . , n, riferite ad un qualsiasi sistema di coordinate locali (U, φ) con U 3 p, e dettospazio tangente in p ad M e si indica con TpM . Gli elementi dello spazio tangente in p didicono vettori tangenti in p ad M o vettori controvarianti in p.

Ricordiamo che se V e uno spazio vettoriale sul campo R, lo spazio V ∗ delle funzioni lineari daV in R e detto spazio duale di V . Se la dimensione di V e finita, e tale anche quella di V ∗ ele due dimensioni coincidono. In particolare, se eii=1,...,n e una base per V , la base dualein V ∗ e la base di V ∗, e∗jj=1,...,n, completamente individuata dal requisito di linearita e dallerichieste:

e∗j(ei) = δji , per i, j = 1, . . . , n .

Se f ∈ V ∗ e v ∈ V , si usa la notazione:

〈v, f〉 := f(v) .

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Definizione B.6. Data una varieta differenziabile di dimensione n e classe Ck (k ≥ 1), siconsideri un punto p ∈M .Lo spazio duale di TpM e detto spazio cotangente in p ad M e si indica con T ∗pM . Gli elementidello spazio cotangente in p di dicono vettori cotangenti in p a M o vettori covarianti inp o 1-forme in p. Per ogni base di elementi ∂

∂xk

∣∣∣p

in TpM , gli n elementi della base duale in

T ∗pM vengono indicati con dxi|p. Per definizione:­∂

∂xk|p, dxi|p

·= δik .

Possiamo ora dare la nozione di campo vettoriale differenziabile sulla varietaM .Se M e una varieta differenziabile di classe Ck (incluse le possibilita k =∞ e k = ω) e dimensionen, un campo vettoriale di classe Cr o campo vettoriale controvariante di classe Cr, conr = 0, 1, . . . , k e un assegnazione di un vettore v(p) ∈ TpM per ogni p ∈ M , in modo tale che,per ogni carta locale (U, φ) con coordinate x1, . . . , xn, per cui

v(q) =n∑i=1

vi(x1q , . . . , x

nq )

∂xi

∣∣∣∣q,

le n funzioni vi = vi(x1, . . . , xn) sono di classe Cr su φ(U). un campo covettoriale di classeCr o campo vettoriale covariante di classe Cr con r = 0, 1, . . . , k e un assegnazione di uncovettore ω(p) ∈ TpM per ogni p ∈ M , in modo tale che, per ogni carta locale (U, φ) concoordinate x1, . . . , xn, per cui

ω(q) =n∑i=1

vi(x1q , . . . , x

nq ) dxi

∣∣∣q,

le n funzioni ωi = ωi(x1, . . . , xn) sono di classe Cr su φ(U).Osservazione. Sia v ∈ TpM e si considerino due carte locali (U, φ) e (V, ψ) con U ∩ V 3 p econ coordinate, rispettivamente, x1, . . . , xn e x′1, . . . , x′n. In tal caso deve valere:

v =n∑i=1

vi∂

∂xi

∣∣∣∣p

=n∑j=1

v′j ∂

∂x′j

∣∣∣∣p.

Pertanton∑i

vi∂

∂xi

∣∣∣∣p

=n∑

j,i=1

v′j ∂x

i

∂x′j

∣∣∣∣∣ψ(p)

∂xi

∣∣∣∣p,

da cuin∑i=1

vi −

n∑j=1

∂xi

∂x′j

∣∣∣∣∣ψ(p)

v′j

∂xi

∣∣∣∣p

= 0 .

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Dato che le derivazioni ∂∂xi

∣∣∣p

sono linearmente indipendenti, concludiamo che vale la legge ditrasformazioni delle componenti di uno stesso vettore in TpM , al variare delle coordinate,

vi =n∑j=1

∂xi

∂x′j

∣∣∣∣∣ψ(p)

v′j, (B.5)

Con la stessa procedura si ottiene l’analoga formula per i vettori covarianti

ωi =n∑j=1

∂x′j

∂xi

∣∣∣∣∣ψ(p)

ω′j , (B.6)

quando

ω =n∑i=1

ωi dxi∣∣∣p

=n∑j=1

ω′j dx′j∣∣∣p.

B.3 Differenziali, curve e vettori tangenti.

Consideriamo un campo scalare f : M → R di classe Cr sulla varietaM di classe Ck e dimensionen. Supponiamo esplicitamente che k ≥ r > 1. Se assegnamo su un atlante e per ogni cartadell’atlante le n funzioni ∂f

∂xi si verifica subito che sono rispettate le condizionidette sopra, di

conseguenza abbiamo definito un campo vettoriale covariante.Consideriamo un campo scalare f : M → R di classe Cr sulla varietaM di classe Ck e dimensionen e valga k ≥ r > 1. Il differenziale di f , df e il campo vettoriale covariante di classe Cr−1

individuato, in ogni carta locale (U,ψ) da:

df |p =n∑i=1

∂f

∂xi

∣∣∣∣ψ(p)

dxi|p .

Consideriamo una curva di classe Cr nella varietaM di classe Ck, cioe un’applicazione di classeCr (r = 0, 1, . . . , k), γ : I → M , dove I ⊂ R e un intervallo aperto pensato come sottova-rieta differenziabile di R. Supponiamo esplicitamente che r > 1. Se p ∈ γ(I), possiamo definireil vettore tangente a γ in p come, se γ(tp) = p:

γ(p) :=n∑i=1

dxi

dt

∣∣∣∣∣tp

∂xi

∣∣∣∣p,

in una qualsiasi carta locale definita nell’intorno di p. La definizione in realta non dipende dallacarta scelta. Infatti, se definissimo

γ′(p) :=n∑j=1

dx′j

dt

∣∣∣∣∣tp

∂x′j

∣∣∣∣p,

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in riferimento ad un secondo sistema di coordinate definite nell’intorno di p, attraverso la (B.5)otterremmo subito che:

γ(p) = γ′(p) .

Possiamo allora dare la seguente definizione.

Definizione B.7. Una curva di classe Cr, r = 0, 1, . . . , k nella varieta differenziabile M didimensione n e classe Ck, e un’applicazione di classe Cr, γ : I →M , dove I ⊂ R e un intervalloaperto (pensato come sottovarieta differenziabile embedded di R). Se r > 1, il vettore tangentea γ in p = γ(tp) per qualche t ∈ I, e il vettore γ(p) ∈ TpM definito da

γ(p) :=n∑i=1

dxi

dt

∣∣∣∣∣tp

∂xi

∣∣∣∣p, (B.7)

in una qualsiasi carta locale definita nell’intorno di p.

B.4 Pushforward e pullback.

Siano M ed N sono varieta differenziabili (almeno di classe C1), di dimensione m e n rispetti-vamente, e f : N →M una funzione differenziabile (almeno di classe C1). Per un punto p ∈ Nconsideriamo carte locali (U, φ) in N e (V, ψ) in M rispettivamente attorno a p e f(p). Indi-chiamo con (y1, . . . , yn) le coordinate definite in tal modo in U e con (x1, . . . , xm) le coordinatedefinite in tal modo in V . Definiamo ancora fk(y1, . . . , yn) = yk(f φ−1) per k = 1, . . . ,m. Sidefiniscono allora:(i) il pushforward dfp : TpN → Tf(p)M , data in coordinate da:

dfp : TpN 3n∑i=1

ui∂

∂yi

∣∣∣∣p

7→m∑j=1

n∑i=1

∂f j

∂yi

∣∣∣∣∣φ(p)

ui

∂xj

∣∣∣∣p, (B.8)

e(ii) il pullback f∗p : T ∗f(p)M → T ∗pN , data in coordinate da:

f∗p : T ∗f(p)M 3m∑j=1

ωjdxj |f(p) 7→

n∑i=1

m∑j=1

∂f j

∂yi

∣∣∣∣∣φ(p)

ωj

dyi|p . (B.9)

Si verifica immediatamente che le definizioni non dipendono dalle coordinate usate attorno a pe f(p). Il pushforward e anche indicato con fp∗ : TpN → Tf(p)M .

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Appendice C

Teoria della misura, integrale difunzioni a valori spazi di Banach.

In questa sezione, nella prima parte, richiameremo le nozioni ed i risultati piu elementari del-la teoria della misura astratta [Rud82, Hal69]. Nella seconda parte dimostreremo la formapiu elementare del teorema che permette lo scambio del simbolo di integrale con quello di deri-vata. La terza parte riguardera alcune estensioni della teoria della misura per funzioni a valoriin spazi di Banach.

C.1 Richiami di teoria della misura.

Una σ-algebra sull’insieme X, Σ(X), e una collezione di sottoinsiemi di X che soddisfa le richiesteseguenti:

(a) X ∈ Σ(X),(b) se E ∈ Σ(X) allora X \ E ∈ Σ(X),(c) se Ekk∈N ⊂ Σ(X) allora

⋃k∈NEk ∈ Σ(X) (si noti che questo include il caso dell’unione

di un numero finito di insiemi, quando solo un numero finito di Ek sono distinti).X dotato di una σ-algebra su X, Σ(X), individua uno spazio misurabile o spazio con misura,(X,Σ(X)). Dalla definizione di σ-algebra, risulta subito che se Σ1(X) e Σ2(X) sono σ-algebre suX, allora l’intersezione Σ1(X) ∩ Σ2(X) e una σ-algebra su X. Inoltre, l’insieme dei sottoinsiemidi X forma una σ-algebra su X. Pertanto se A e una collezione di sottoinsiemi di X, e ben defi-nita l’intersezione di tutte le σ-algebre su X che includono A . Tale σ-algebra e detta σ-algebragenerata da A .

Nel caso particolare in cui X e uno spazio topologico con topologia T , la σ-algebra su X genera-ta da T e detta σ-algebra di Borel su X e la indicheremo con B(X) sottintendendo la topologia.

Se (X,Σ(X)) e (Y,Σ(Y)) sono spazi misurabili, una funzione f : X → Y e detta misurabile(rispetto alla due σ-algebre) quando f−1(E) ∈ Σ(X) per ogni E ∈ Σ(Y).

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Nel caso in cui Y sia R o C, se non si precisa altrimenti, si suppone tacitamente che Σ(Y) sia laσ-algebra di Borel B(Y), individuata dalla topologia standard su Y (che e quella di R2 nel casodi C). In questo caso f : X → Y risulta essere misurabile, se e solo se f−1(E) ∈ Σ(X) per ogniE ∈ T (Y), dove T (Y) indica la topologia di Y .In questo caso, risulta che le funzioni misurabili da X a Y = R o C formano uno spazio vetto-riale, chiuso rispetto alla moltiplicazione punto per punto delle funzioni e chiuso rispetto allaconiugazione complessa (se Y = C), al calcolo del valore assoluto, all’estrazione di parte realeed immaginaria. Inoltre il limite puntuale di una successione di funzioni misurabili e, se Y = R,l’estremo superiore di tale successione, l’estremo inferiore di tale successione, e una funzionemisurabile.

Nel seguito considereremo il caso in cui Y = [−∞,∞] := R := R∪ −∞,+∞, dove R e quindiesteso aggiungendo i simboli ±∞, estendendo l’ordinamento in modo che −∞ < r < +∞ perogni r ∈ R e definendo su R la topologia generata che ammette come base gli intervalli apertidi R e gli insiemi (con ovvie notazioni) [−∞, a), (a,+∞] per ogni a ∈ R. Inoltre si definiscono:| −∞| := |+∞| =: +∞.Nel caso in cui Y = R, risulta che f : X→ R e misurabile se e solo se f−1((a,+∞]) e misurabileper ogni a ∈ R (e sono vere le analoghe proposizioni in cui si sostituisce (a,+∞] con [a,+∞],oppure con [−∞, a), oppure con [−∞, a].)

Introduciamo ora la nozione di misura positiva. Nell’insieme [0,+∞] := [0,+∞) ∪ +∞ sidanno le seguenti definizioni: ∞± r := +∞, +∞ · 0 := 0, +∞ · r := +∞ se r 6= 0.Se (X,Σ(X)) e uno spazio misurabile, una misura positiva (σ-additiva) su X (rispetto aΣ(X)), e un’applicazione µ : Σ(X)→ [0,+∞] tale che:

(a) µ(∅) = 0(b) µ (

⋃n∈NEn) =

∑n∈N µ(En) se Enn∈N ⊂ Σ(X) e En ∩ Em = ∅ quando n 6= m

(proprieta di σ-additivita ).(Si osservi che la serie e ben definita e riordinabile a piacimento essendo una serie di termini nonnegativi.) In tal caso (X,Σ(X), µ) e detto spazio con misura (positiva σ-additiva).Risulta che µ(E) ≤ µ(F ), se E ⊂ F con E,F ∈ Σ(X) (proprieta di isotonia) e µ (∪n∈NEn) ≤∑n∈N µ(En) se Enn∈N ⊂ Σ(X) (proprieta di sub additivita )).

Se (X,Σ(X), µ) e uno spazio con misura, tale spazio e la sua misura µ sono detti, rispettivamente:finiti se µ(X) < +∞, σ-finiti) se X = ∪n∈NEn con En ∈ Σ(X) e µ(En) < +∞ per ogni n ∈ N,di probabilita se µ(X) = 1,) di Borel se X ha una struttura di spazio topologico di Hausdorff,localmente compatto e Σ(X) = B(X).

Una misura di Borel µ su X (quindi con X di Hausdorff e localmente compatto) e detta inter-namente regolare se, per ogni E ∈ B(X) vale:

µ(E) = supµ(K) | K ⊂ E , K e compatto ,

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ed e detta esternamente regolare se, per ogni E ∈ B(X) vale:

µ(E) = infµ(V ) | V ⊃ E , V e aperto .

La misura di Borel µ su X di Hausdorff e localmente compatto, si dice regolare quando risultaessere contemporaneamente internamente ed esternamente regolare.

Se (X,Σ(X), µ) e uno spazio con misura, un insieme E ∈ Σ(X) e detto di misura nulla, seµ(E) = ∅.Uno spazio con misura (X,Σ(X), µ) e la sua misura µ sono detti completi, se per ogni E ∈Σ(X) di misura nulla, ogni sottoinsieme di E appartiene a Σ(X) (e quindi ha misura nulla perl’isotonia). Ogni spazio con misura ammette un completamento, cioe un nuovo spazio conmisura (X,Σ′(X), µ′) che e completo e dove Σ′(X) ⊃ Σ(X) e µ′Σ(X)= µ. Σ′(X) si ottiene comela collezione di tutti gli E ⊂ X tali che esistono A,B ∈ Σ(X) con B ⊂ E ⊂ A e µ(A \ B) = 0.Infine µ′(E) := µ(A).

Si dimostra facilmente che, per quanto riguarda la costruzione di Σ′(X), questa procedurae equivalente a definire Σ′(X) come la piu piccola σ-algebra generata dalla classe di sottoinsiemidi X formata da Σ(X) e da tutti i sottoinsiemi di insiemi in Σ(X) di misura nulla rispetto a µ.

Se (X,Σ(X), µ) e uno spazio con misura una proprieta P si dice che vale quasi ovunque (ri-spetto a µ), e si scrive q.o., se P vale per ogni punto di X, escluso un insieme E di misuranulla. Si dimostra che se f(x) = limn→+∞ fn(x) q.o. su X, dove fn : X→ R o C sono funzionimisurabili, allora f e misurabile.

Passiamo a definire l’integrale di una funzione rispetto ad una misura positiva σ-additiva. Unafunzione s : X → R e detta funzione semplice, se e misurabile ed assume un numero finito divalori in [0,+∞]. Si vede che puo allora essere scritta come, per certi s1, . . . , sn ∈ [0,+∞) ∪+∞:

s =∑

i=1,...,n

siχEi

dove E1, E2, . . . En sono elementi di Σ(X) e χEi le corrispondenti funzioni caratteristiche. Ognifunzione scrivibile in questo modo, viceversa, e una funzione semplice. L’integrale di s rispettoa µ e per definizione: ∫

Xs(x)dµ(x) :=

∑i=1,2,...,n

siµ(Ei) .

La definizione non dipende da altre eventuali decomposizioni di s differenti da s =∑i=1,...,n siχEi .

Risulta che, se f : X → [0,+∞] e misurabile, e f ≥ 0, allora esiste una successione di funzionisemplici 0 ≤ s1 ≤ s2 ≤ · · · ≤ sn ≤ f con sn → f puntualmente.La definizione di integrale si estende a tutte le funzioni misurabili non negative come segue. Sef : X→ [−∞,+∞] e misurabile e vale f ≥ 0, si definisce l’integrale di f rispetto a µ:∫

Xf(x)dµ(x) := sup

§∫Xsn(x)dµ(x)

∣∣∣∣ s ≥ 0 e semplice e s ≤ fª.

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Si noti che l’integrale puo risultare +∞.

Se (X,Σ(X), µ) e uno spazio con misura (positiva σ-additiva), una funzione f : X → C oppuref : X→ [−∞,+∞] e detta integrabile rispetto a µ o µ-integrabile, se e misurabile e vale:∫

X|f(x)|dµ(x) < +∞ .

In tal caso si definisce l’integrale di f rispetto a µ e il numero complesso che risulta esseresempre finito (e la definizione si prova essere un’estensione delle definizioni gia date):∫

Xf(x)dµ(x) =

∫XRe(f)+dµ(x)−

∫XRe(f)−dµ(x) + i

∫XIm(f)+dµ(x)−

∫XIm(f)−dµ(x)

,

dove, se g : X→ R e misurabile, abbiamo definito le funzioni misurabili e non negative:

g+(x) := supg(x), 0 e g−(x) := − infg(x), 0 per ogni x ∈ R.

Si dimostra che se f = g q.o. su X e le funzioni sono misurabili, allora sono entrambe µ-integrabilioppure entrambe non sono µ-integrabili e, nel primo caso:∫

Xf(x)dµ(x) =

∫Xg(x)dµ(x) .

L’integrale riferito a (X,Σ(X), µ) soddisfa le seguenti proprieta , per f, g : X→ C, a, b ∈ C.(1) se f, g sono integrabili, allora lo e anche af + bg e vale:∫

Xaf(x) + bg(x)dµ(x) = a

∫Xf(x)dµ(x) + b

∫Xg(x)dµ(x) ,

(2) se f ≥ 0 q.o. e integrabile, allora:∫Xf(x)dµ(x) ≥ 0 ;

(3) se f e integrabile, allora:∣∣∣∣∫Xf(x)dµ(x)

∣∣∣∣ ≤ ∫X|f(x)|dµ(x) .

I tre teoremi fondamentale della teoria della misura sono i seguenti [Rud82].

Teorema (della convergenza monotona di Beppo-Levi). Sia (X,Σ(X), µ) e uno spaziocon misura (positiva σ-additiva) e fnn∈N una successione di funzioni misurabili X → R taliche:

(i) fn ≥ 0,

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(ii) fn(x) ≤ fn+1(x) q.o. su X per ogni n ∈ N.Allora X 3 x 7→ limn→+∞ f(x) e una funzione misurabile e vale (dove l’integrale e quello perfunzioni non negative):∫

Xlim

n→+∞f(x)dµ(x) = lim

n→+∞

∫Xfn(x)dµ(x) ≤ +∞ .

Lemma (di Fatou).. Sia (X,Σ(X), µ) uno spazio con misura (positiva σ-additiva) e fnn∈Nuna successione di funzioni misurabili X→ R tali che fn ≥ 0.Allora X 3 x 7→ liminfn→+∞ f(x) e una funzione misurabile e vale (dove l’integrale e quello perfunzioni non negative):∫

Xliminfn→+∞

f(x)dµ(x) ≤ liminfn→+∞

∫Xfn(x)dµ(x) ≤ +∞ .

Teorema (della convergenza dominata di Lebesgue).. Sia (X,Σ(X), µ) uno spazio conmisura (positiva σ-additiva) e fnn∈N una successione di funzioni misurabili X → C, confn(x)→ f(x) q.o. su X per n→ +∞.Se esiste g : X→ C tale che:

(i) g e µ-integrabile,(ii) |fn| ≤ |g| q.o. su X per ogni n ∈ N,

allora f e µ-integrabile e vale:∫Xf(x)dµ(x) = lim

n→+∞

∫Xfn(x)dµ(x) .

Inoltre vale anche:lim

n→+∞

∫X|f(x)− fn(x)| dµ(x) = 0 .

Su Rn esiste un’unica misura di Borel positiva µ che soddisfi le seguenti condizioni:(i) µ(K) < +∞ per ogni insieme compatto K ⊂ Rn,(ii) µ (×nk=1[ak, bk]) = (b1−a1)(b2−a2) · · · (bn−an) per ogni scelta della cella ×nk=1[ak, bk] ⊂ R(iii) µ e invariante per traslazioni, cioe , con ovvie notazioni: µ(E + t) = µ(E) per ogniE ∈ B(Rn) e per ogni vettore t ∈ Rn.

Si dimostra che e possibile rendere completo lo spazio con misura (Rn,B(Rn), µ) estendendo laσ-algebra e la misura stessa, in modo tale che (vedi il teorema 2.20 in [Rud82]) la misura otte-nuta alla fine sia, oltre che completa, regolare e continui ad essere invariante per traslazioni. Lamisura che si ottiene in questo modo si chiama misura di Lebesgue su Rn e risulta essere inva-riante sotto tutto il gruppo delle isometrie di Rn. Nel testo abbiamo indicato con dx tale misura.

Un risultato classico e che, se f : Rn → R e una funzione nulla fuori dal compatto K e continuasu di esso, allora ∫

Rnf(x)dx =

∫Kf(x)dxR(x) ,

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dove l’integrale a secondo membro e quello nel senso di Riemann.

Passiamo alle misure prodotto. Se (X,Σ(X), µ) e (Y,Σ(Y), ν) sono spazi con misura, indichiamocon Σ(X) Σ(Y) la σ-algebra su X × Y generata dalla famiglia di tutti i rettangoli E × Fcon E ∈ Σ(X) e F ∈ σ(Y). Se G ∈ Σ(X) Σ(Y), definiamo Gx := y ∈ Y | (x, y) ∈ G eGy := x ∈ X | (x, y) ∈ G. Si dimostra che tali insiemi sono sempre misurabili nei rispettivispazi. Se f : X×Y → C e misurabile, allora risulta che X 3 x 7→ f(x, y) e Y 3 y 7→ f(x, y) sonofunzioni misurabili comunque fissiamo y ∈ Y e x ∈ X rispettivamente. Se µ e ν sono σ-finite, sipuo allora definire una misura σ-finita su X× Y, µ ν, definendo per ogni G ∈ Σ(X) Σ(Y):

(µ ν)(G) :=∫Xν(Gx)dµ(x) ,

che, si dimostra coincidere con: ∫Yν(Gy)dν(y) .

Il completamento dello spazio (X× Y,Σ(X) Σ(Y), µ ν) si indica con

(X× Y,Σ(X)⊗ Σ(Y), µ⊗ ν)

e µ⊗ ν si chiama misura prodotto diretto di µ e ν.Valgono i teoremi di Fubini e Tonelli che noi citiamo insieme.

Teorema (di Fubini-Tonelli). Se (X,Σ(X), µ) e (Y,Σ(Y), ν) sono spazi con misura σ-finita ecompleta, in riferimento alla misura prodotto diretto µ⊗ ν su X×Y, vale quanto segue per ognifunzione f : X× Y → C.(a) Se f e µ⊗ ν-integrabile, allora:

(i) fx : Y 3 y 7→ f(x, y) e fy : X 3 x 7→ f(x, y) sono integrabili per quasi tutti gli x ∈ X equasi tutti gli y ∈ Y, rispettivamente,

(ii) F : X 3 x 7→∫Y fy(x)dν(y) e G : Y 3 y 7→

∫X fx(y)dµ(x) sono integrabili su X e su Y,

rispettivamente, e vale:∫X×Y

f(x, y)dµ⊗ ν(x, y) =∫X

∫Yf(x, y)dν(y)

dµ(x) =

∫Y

∫Xf(x, y)dµ(x)

dν(y)

(b) Se f e misurabile, allora:(i) fx : Y 3 y 7→ f(x, y) e fy : X 3 x 7→ f(x, y) sono misurabili per quasi tutti gli x ∈ X e

quasi tutti gli y ∈ Y, rispettivamente;(ii) se vale ulteriormente:∫

X

∫Y|f(x, y)|dν(y)

dµ(x) < +∞ , oppure

∫Y

∫X|f(x, y)|dµ(x)

dν(y) < +∞

allora f e µ⊗ ν-integrabile.

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C.2 Derivazione sotto il segno di integrale.

In questa sezione enuncimo e proviamo il teorema fondamentale riguardante la derivazione sottoil segno di integrale per una misura positiva generale.

Teorema (derivazione sotto il segno di integrale). In riferimento allo spazio misurabile(X,Σ(X), µ), si consideri una famiglia di funzioni ftt∈A ⊂ L1(X, µ) dove A ⊂ Rm e un insiemeaperto e t = (t1, . . . , tm). Se valgono le seguenti due condizioni:

(i) per un certo valore k in 1, 2, . . . , n esistono le derivate:

∂ht(x)∂tk

, per ogni x ∈ X e t ∈ A

(ii) esiste g ∈ L1(X, µ) con g ≥ 0 quasi ovunque su X e tale che:∣∣∣∣∣∂ht(x)∂tk

∣∣∣∣∣ ≤ g(x) , quasi ovunque su X, per ogni t ∈ A ,

allora seguono i seguenti risultati.(a) X 3 x 7→ ∂ht

∂tk∈ L1(X,Σ(X), µ),

(b) si possono scambiare i simboli di integrale con quello di derivata per ogni t ∈ A:

∂tk

∫Xht(x)dµ(x) =

∫X

∂ht(x)∂tk

dµ(x) . (C.1)

Se infine:(iii) per una fissata g la condizione in (ii) vale contemporaneamente per tutti i valori di

k = 1, 2, . . . ,m, quasi ovunque in x ∈ X e tutte le funzioni (per ogni t ∈ A fissato):

A 3 t 7→ ∂ht(x)∂tk

sono continue, allora(c) la funzione:

A 3 t 7→∫Xht(x)dµ(x)

ein C1(A). ♦

Prova. Notiamo che, per ogni t ∈ A, le funzioni X 3 x 7→ ∂ht∂tk

sono sicuramente misurabili essendolimite (usando la definizione di derivata come limite del rapporto incrementale) di funzionimisurabili. Inoltre sono µ-integrabili dato che sono maggiorate, in valore assoluto, da unafunzione integrabile per l’ipotesi (ii). Fissiamo t′ ∈ A. Considerando il rapporto incrementale siha, dove scriviamo, un po’ impropriamente, t′+ τk al posto di (t′1, . . . , t

′k−1, t

′k + τk, t

′k+1, . . . , t

′m):

∂tk

∣∣∣∣t′

∫Xht(x)dµ(x) = lim

τk→0

∫X

ht′+τk(x)− ht′(x)τk

dµ(x) .

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D’altra parte, per il teorema di Lagrange (restringendosi a lavorare in un intorno aperto econvesso di t0) e tenendo conto dell’ipotesi (ii) abbiamo:∣∣∣∣∣ht′+τk(x)− ht′(x)

τk

∣∣∣∣∣ =

∣∣∣∣∣∣ ∂ht(x)∂t

∣∣∣∣∣t(τk,x)

∣∣∣∣∣∣ ≤ g(x) ,

dove t(τk, x) e un punto che si trova tra t′ e (t′1, . . . , t′k−1, t

′k + τk, t

′k+1, . . . , t

′m) sul segmento che

unisce tale coppia di punti. Possiamo allora applicare il teorema della convergenza dominataper:

fτk(x) :=ht′+τk(x)− ht′(x)

τk,

ottendo che esiste il limite

limτk→0

∫X

ht′+τk(x)− ht′(x)τk

dµ(x) =:∂

∂tk

∣∣∣∣t′

∫Xht(x)dµ(x) ,

e vale: ∫X

limτk→0

ht′+τk(x)− ht′(x)τk

dµ(x) =:∫X

∂ht(x)∂tk

∣∣∣∣∣t′dµ(x) .

La tesi e stata provata per quanto riguarda (a) e (b). La dimostrazione di (c) e immediata: dalteorema della convergenza dominata tenendo conto dell’ipotesi (ii) si ha che ogni funzione, perk = 1, . . . ,m,

A 3 t 7→ ∂

∂tk

∫Xht(x)dµ(x)

e continua, da cui la tesi. 2

osservazioni.(1) Nell’ipotesi di validita di (c) la funzione

A 3 t 7→∫Xht(x)dµ(x)

risulta essere C1(A) e quindi differenziabile su A come funzione di piu variabili.(2) L’enunciato del teorema e vero anche rimpiazzando la misura positiva µ con una misuracomplessa (o con segno). La prova e diretta.

C.3 Integrale di funzioni a valori spazi di Banach.

Assumeremo nota la teoria della misura (positiva) per funzioni a valori complessi sviluppatacome in [Rud82, Hal69]. Vogliamo qui mostrare come si possa estendere [DiUh77] la teoriadell’integrazione al caso di funzioni a valori in spazi di Banach, f : X→ B, dove (X,Σ, µ) e unospazio con misura positiva σ-additiva arbitrario. E chiaro che il problema maggiore risiede nel

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fatto che, in generale, in uno spazio di Banach B non esiste un ordinamento come in R, percui non possiamo definire l’integrale di una funzione f : X → B prendendo l’estremo superioredegli integrali delle funzioni semplici maggiorate da f . Bisogna elaborare un’altra procedura chepero si dimostra essere equivalente alla procedura standard quando dimB < ∞ (in particolareB = C) e la misura e completa (cioe ogni sottoinsieme di un insieme di misura nulla appartienealla σ-algebra Σ) e σ-finita (cioe lo spazio X e unione numerabile di elementi della σ-algebra Σciascuno con misura finita).

Nel seguito di questa appendice (B, | |) e sempre uno spazio di Banach sul campo C (anche sequanto diremo funzionera anche se il campo e R) e (X,Σ, µ) e uno spazio con misura positiva.

Diremo che s : X → B e una funzione a gradino se e solo se e una funzione semplice (ossial’immagine e costituita da un numero finito di valori le cui controimmagini sono insiemi misu-rabili) e le controimmagini dei valori assunti da s sono insiemi di misura finita. Indichiamo conSt(X, µ)B lo spazio vettoriale sul campo K delle funzioni a gradino.

Diremo che f : X→ B e µ-misurabile se solo se esiste una successione snn∈N ⊂ St(µ,X)B taleche sn → f , quasi ovunque rispetto a µ, per n → +∞. Indicheremo con M(µ,X)B lo spaziovettoriale su K delle funzioni su X a valori in B µ-misurabili.

Nota. Si puo provare che se dimB < ∞ (in particolare B = C) e se µ e completa e σ-finita,allora f : X → B e µ-misurabile se e solo se e misurabile (e quindi la nozione non dipendedalla scelta di µ).

Definiamo l’integrale su Y ⊂ Σ della della funzione a gradino s =∑ni=1 aiχAi (dove χE e la

funzione caratteristica dell’insieme E e Ai := s−1(ai)) come∫Ys dµ :=

n∑i=1

aiµ(Ai ∩ Y ) .

Ovviamente risulta ∫Ys dµ =

∫XχY · s dµ .

Indicheremo con L1(X, µ)B il sottospazio vettoriale di M(X, µ) costituito dalle f : X → B perle quali esiste una successone sn ⊂ St(X, µ)B che tende a f quasi ovunque rispetto a µ e chesoddisfi:

limm→+∞

∫X|f − sm| dµ = 0 , (C.2)

Le funzioni di L1(X, µ)B si dicono funzioni integrabili secondo Bochner .Si prova che in tal caso esiste il limite

limn→+∞

∫Xsn dµ =:

∫Xf dµ ,

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che viene detto essere l’integrale di f rispetto a µ. La definizione e ben posta in quanto, sesn e s′n sono successioni in St(X, µ)B che tendono alla stessa f ∈ L1(X, µ)B, allora:

limn→+∞

∫Xsn dµ = lim

n→+∞

∫Xs′n dµ .

L’integrale di f su Y ∈ Σ viene definito al solito come:∫Yfdµ :=

∫XχY · f dµ .

Si puo definire una seminorma || ||1 su L1(X, µ)B ponendo:

||f ||1 :=∫X|f | dµ .

Questa seminorma ha la proprieta che se f ∈ L1(X, µ)B allora:∣∣∣∣∫Xf dµ

∣∣∣∣ ≤ ∫X|f | dµ .

Si prova che la seminorma || ||1 e tale che ||f ||1 = 0 se e solo se f = 0 quasi ovunque rispetto aµ. Definendo quindi L1(X, µ)B esattamente come nel caso in cui B = C si puo provare che talespazio risulta essere spazio di Banach.

La teoria definita consente di generalizzare il teorema della convergenza dominata di Lebesguecome segue.

Teorema (della convergenza dominata generalizzato). Sia (X,Σ, µ) spazio con misurapositiva e B spazio di Banach su C.Se fnn∈N e una successione di funzioni in L1(X, µ)B tali che esiste g ∈ L1(X, µ)C non negativacon

|fn(x)| ≤ g(x) quasi ovunque rispetto a µ su X

e tale chefn(x)→ f(x) quasi ovunque rispetto a µ su X se n→ +∞ ,

allora:(a) f ∈ L1(X, µ)B;(b) ||fn − f ||1 → 0 per n→ +∞;(c) vale che: ∫

Xf dµ = lim

n→+∞

∫Xfn dµ .

Questo teorema ha una serie notevole di conseguenze:(1) se g ∈ L1(X, µ)C, f ∈ L1(X, µ)B e |f(x)| ≤ g(x) quasi ovunque rispetto a µ su X allora

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f ∈ L1(X, µ)B;(2) f ∈ L1(X, µ)B se e solo se |f | ∈ L1(X, µ)C;(3) se fnn∈N e una successione di funzioni in L1(X, µ)B tali che fn(x)→ f(x) quasi ovunquerispetto a µ su X se n→ +∞ ed esiste c <∞ con ||f ||1 ≤ c per ogni n ∈ N, allora f ∈ L1(X, µ)Be ||f ||1 ≤ c;(4) se B1 e un secondo spazio di Banach e T ∈ B(B1, B), allora se f ∈ L1(X, µ)B1 valeT f ∈ L1(X, µ)B. Ulteriormente, l’applicazione

T : L1(X, µ)B1 3 f 7→ T f ∈ L1(X, µ)B

e lineare e continua e soddisfa.(i) ||T|| ≤ ||T ||,(ii) T (

∫X f dµ) =

∫X T f dµ .

I teoremi di passaggio del simbolo di limite e di derivata sotto il segno di integrale ed il teore-ma di Fubini-Tonelli non cambiano forma rispetto alla formulazione standard della teoria dellamisura per funzioni a valori in C.

Nota. Si puo verificare che la definizione data di integrale coincide con quella ordinaria quandoB = C. Piu precisamente f ∈ L1(X, µ)C se e solo se f e integrabile nel senso della teoria dellamisura ordinaria. In tal caso i due tipi di integrale forniscono lo stesso risultato e lo spazioL1(X, µ) definito secondo la teoria ordinaria coincide con L1(X, µ)C definito sopra.

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Indice analitico

AHt(t), 504⊕α∈AHα, 270∑i∈I con I di cardinalita arbitraria, 57

(A|B)2 con A,B operatori di Hilbert-Schmidt,118

( | ), 52(a,+∞], 547∗-ideale bilatero, 104< K >, 53< K1, · · · ,Kn >, 42A, A?, N, 303, 367A⊗B con A e B operatori, 328A∗∗···∗, 141Aut(G), 533C(X), 21C∗-algebra, 72C∞(A) con A operatore, 157Ck(Ω), 536Ck(Ω; Rn), 536Cb(X), 21Cc(X), 21D(T ), 135G(T ), 43, 135GL(V ), 534GL(n,C), 430GL(n,R), 430, 449Hn polinomio di Hermite, 68IO(3), 415IO(n), 430J2, 466Jk, 467K⊥, 49K1 ⊕ · · · ⊕Kn, 42Ki, 475

Ker(T ), 70L(X), 21L2, 332L2(Rn, dx), 144L2(X, µ), 53L∞(X, µ), 23Lp(X, µ), 22L3, 333M(X), 241M(X,Σ), 21M(n,C), 449M(n,R), 449O(3), 408O(n), 430, 450P

(A)E , 216P

(A)E , 215P (T ) con T operatore autoaggiunto non neces-

sariamente limitato, 293P (T ) con T operatore limitato normale, 262P

(f)E , 183Pi, 147, 306, 331, 359Rλ(A), 228Ran(T ), 70S(X), 249SL(n,R), 430SO(3), 451, 464SO(n), 430, 451SU(2), 409, 451, 464SU(n), 430SG , 469T ≥ U con T,U operatori limitati su uno spazio

di Hilbert, 74T ∗, 70

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T ∗ con T operatore non limitato, 137U(n), 430U(t, t′), 496W ((t,u)), 367W (z), 375Xi, 144, 306, 331, 359Y ml , 333

[−∞,∞], 547[−∞, a), 547[−∞, a], 547[a,+∞], 547∆Aρ, 358∆ Operatore di Laplace, 348∆f , 283ΦT , 239⇒ (implicazione materiale), 182A (A, t), 336B(X), 546DG, 461DN , 461G1 ⊗ψ G2, 534G1 ⊗ G2 con G1, G2 gruppi, 534H (n), 388Jk, 466L2, 332Li, 332M′, 73G , 468a (negazione logica), 182δij , 361exp per un gruppo di Lie, 447B(X), 24B(X,Y), 24B0(X), 104B0(X,Y), 104B1(H), 127B2(H), 116L(X), 24L(X,Y), 24P(H), 189S(H), 205Sp(H), 209

B(X), 215γ∗ se γ e una simmetria (automrofismo di Ka-

dison o di Wigner), 414inf, 529∫X f(x) dP (x) con f misurabile limitata, 251∫X f(x)dP (x) con f funzione misurabile non

necessariamente limitata, 283, 290∫X s(x) dP (x) con s funzione semplice, 249∫R f(t)Vt dt con Vtt∈R classe di operatori for-

temente continua in t, 312〈A〉ρ, 358ess sup, 23ran ess(f), 301µψ, 257µAρ , 358µψ,φ, 256¬, 186A con A operatore, 136R, 547X, 53⊥, 137φT , 239ρ(A), 228H⊗n, 523H1 ⊗ · · · ⊗ Hn con Hi spazi di Hilbert, 325HS , 198Hψ, 157X′, 24X∗, 24σ-additivita , 547σ-algebra, 546σ-algebra di Boole, 186σ-algebra di Borel, 546σ-algebra generata, 546σ-finito, 547σ(A), 228σc(A), 228σd(T ), 298σi, i = 1, 2, 3, 204σp(A), 228σr(A), 228σess(T ), 298

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σpa(T ), 298σrp(T ), 298√A, 83, 343

sup, 528τ , 137∨ (disgiunzione logica), 182|A|, 86, 345|µ| con µ misura complessa, 27||A||1 con A operatore di classe traccia, 127||A||2 con A operatore di Hilbert-Schmidt, 116|| ||, 52|| ||2, 53|| ||∞, 28∧ (congiunzione logica), 182Gω, 427F, 95SG , 469A′ con A operatore, 140f, g, 391∗-algebra, 72∗-isomorfismo, 72∗-omomorfismo, 72, 240a ∨ b (nella teoria dei reticoli), 185a ∧ b (nella teoria dei reticoli), 185d±(A), 153f(T ) con T autoaggiunto non necessariamente

limitato e f misurabile non necessaria-mente limitata, 297

f(T ) con T limitato normale e f misurabilelimitata, 243

p( ), 18q.o., 548r(T ), 232s- lim, 38sing(A), 112supp(P ), 247trA con A operatore di classe traccia, 130v1 ⊗ · · · ⊗ vn con vi vettori, 323w-∂α, 146w- lim, 38w∗- lim, 38W (X, σ), 377

D(Rn), 89Ff , 90F, 180Ft, 180F−g, 90Hn+1, 180Lp(X, µ), 22Pn, 523S(Rn), 89

funzione integrabile secondo Bochner, 554

algebra, 20algebra commutativa o abeliana, 20algebra con unita , 20algebra di Banach, 20, 72algebra di Boole, 186algebra di Lie, 391, 445algebra di von Neumann, 74algebra di von Neumann generata da un ope-

ratore, 141algebra di Weyl, 377algebra normata con unita , 20algebre isomorfe, 20ampiezza di probabilita , 210ampiezza di transizione, 210, 357arminiche sferiche, 333Assioma della scelta, 528Assioma di Zermelo, 528atlante, 537atomo di idrogeno, 492automorfismo di Kadison, 398automorfismo di Wigner, 400automorfismo gruppale, 533autospazio, 75autovalore, 75autovettore, 75azione duale di una simmetria sulle osservabili,

414

base canonica di uno spazio simplettico, 375base hilbertiana, 57, 59base numerabile, 530

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boost lungo l’asse i-esimo, 475bosoni, 526

carica centrale, 456, 475carta locale, 537CCR, 361centro di un gruppo, 533chiusura di un insieme, 53, 529chiusura di un operatore, 136collasso della funzione d’onda, 212commutante, 73commutante di un operatore, 140commutatore di un algebra di Lie, 444compatto, 102, 530compatto sequenzialmente, 102completamento di una misura, 548componenti connesse, 531condizioni di imprimitivita , 416congiunzione logica, 182coniugazione di carica, 419conseguenza logica (implicazione materiale), 182core di un operatore, 143correlazione spin statistica, 527costante del moto, 505costante di Planck, 165costanti di struttura del gruppo di Galileo, 469costanti di struttura di un algebra di Lie, 447

decomposizione polare di un operatore limita-to, 86, 88

derivata in senso debole, 146diffeomorfismo, 539disgiunzione logica, 182distanza, 18, 531distanza euclidea (o standard), 532disuguaglianza di Bessel, 59disuguaglianza di Cauchy-Schwartz, 49disuguaglianze di Bell, 519dominio di un operatore, 135dominio naturale, 135duale algebrico, 24duale topologico, 24

effetto Compton, 168effetto fotoelettrico, 167elementi separanti, 32elemento estremale di un insieme convesso, 205elemento hermitiano, 72elemento massimale, 528elemento normale, 72equazione di Liouville, 180equazione di Schrodinger, 172equazione di Schrodinger temporale, 487equazione di Volterra, 123equazione risolvente, 229estensione centrale di un gruppo tramite U(1)

tramite una funzione dei moltiplicato-ri, 427

estensione di un operatore, 135estremo inferiore, 529estremo superiore, 528estremo superiore essenziale, 23evolutore temporale, 481evolutore temporale in assenza di omogenerita temporale,

496exponential map di un gruppo di Lie, 447

famiglia di operatori irriducibile, 364famiglia equicontinua di operatori, 34fermioni, 526flusso dinamico, 481forma bilineare non degenere, 375forma canonica di una forma simplettica, 375forma simplettica, 375formula di Campbell-Hausdorff-Baker, 366, 448formula di Gelfand del raggio spettrale, 233formulazione hamiltoniana della meccanica clas-

sica, 180funzionale continuo, 26funzionale limitato, 24funzione µ-integrabile, 549funzione a gradino, 554funzione continua, 530funzione d’onda, 210, 360funzione d’onda di Schroedinger, 171

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funzione di classe Ck, 536funzione essenzialmente limitata, 23funzione localmente a quadrato integrabile, 353funzione localmente integrabile, 146funzione localmente lipschitziana, 299funzione misurabile, 546funzione semplice, 219, 249, 549funzioni di Hermite, 68, 304, 368

generatore (autoaggiunto) di un gruppo ad unparametro fortemente continuo di ope-ratori unitari, 318

generatori di una ∗-algebra di Weyl, 377generatori di una rappresentazione unitaria di

un gruppo di Lie, 461grafico di un operatore, 43, 135grandezze compatibili ed incompatibili, 175, 178gruppo, 532gruppo ad un parametro debolmente continuo

di operatori, 309gruppo ad un parametro di operatori, 308gruppo ad un parametro di operatori unitari,

309gruppo ad un parametro fortemente continuo

di operatori, 309gruppo commutativo o abeliano, 533gruppo delle isometrie di R3, 415gruppo delle permutazioni di n oggetti, 523gruppo di Galileo, 430, 468, 493, 511gruppo di Galileo proprio, 469gruppo di Lie, 443gruppo di Lorentz, 430gruppo di Poincare , 430gruppo di simmetria, 421, 422gruppo di Weyl-Heisenberg, 388gruppo quantistico associato ad un gruppo, 429gruppo topologico, 416, 430

hamiltoniano dell’oscillatore armonico, 302

identita del parallelogramma, 49identita di De Morgan, 187indici di difetto, 153

iniezione canonica di un’estensione centrale, 427insieme aperto, 529insieme assorbente, 35insieme bilanciato o equilibrato, 35insieme chiuso, 529insieme connesso, 531insieme convesso, 35, 53insieme denso, 530insieme di misura nulla, 548insieme di prima categoria, 39insieme di seconda categoria, 39insieme limitato inferiormente, 528insieme limitato superiormente, 528insieme magro, 39insieme non magro, 39insieme ordinato, 528insieme ortogonale, 59insieme ortonormale, 59insieme ortonormale completo, 59insieme parzialmente ordinato, 528insieme risolvente, 228integrale di funzioni a valori spazi di Banach,

553integrale di una funzione misurabile limitata

rispetto ad una PVM, 251integrale di una funzione misurabile, non ne-

cessariamente limitata, rispetto ad unaPVM, 290

integrale di una funzione rispetto ad una misu-ra, 549

integrale di una funzione semplice rispetto auna PVM, 249

integrale primo, 505interno, 530interpretazione di Copenaghen, 179interpretazione di Copenhagen, 173inversione del tempo, 417, 500inversione di parita , 417involuzione, 72isometria, 18, 51, 151, 532isomorfismo di σ-algebre di Boole, 186isomorfismo di algebre, 20

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isomorfismo di algebre di Boole, 186isomorfismo di algebre di Lie, 445isomorfismo di gruppi di Lie, 443isomorfismo di spazi con prodotto scalare, 51isomorfismo di spazi di Hilbert, 52isomorfismo di spazi normati, 18isomorfismo gruppale, 533isomorfismo locale di gruppi di Lie, 444

Lemma di Du Bois-Reymond, 146Lemma di Fatou, 550Lemma di Lindelof, 530Lemma di Nussbaum, 157Lemma di Schur, 364Lemma di Zorn, 528livello fondamentale dell’atomo di idrogeno, 492logica quantistica, 196lunghezza d’onda si De Broglie, 171

maggiorante, 528matrice densita , 356matrici di Pauli, 204, 407, 464metrica, 531minorante, 528miscela, 209misura a valori di proiezione, 247misura a valori di proiezione limitata, 247misura a valori di proiezione su R, 218misura a valori operatoriali positivi, 226misura che conta i punti, 23misura complessa, 27misura completa, 548misura con segno, 28misura di Borel, 547misura di Dirac, 181misura di Lebesgue su Rn, 550misura di probabilita , 182, 547misura di Radon, 68misura esternamente regolare, 548misura finita, 547misura internamente regolare, 547misura positiva σ-additiva, 547

misura prodotto, 551misura regolare, 28, 548misura separabile, 68misura spettrale associata ad un vettore, 257misura spettrale su R, 218misura spettrale su X, 247misure non distruttive o indirette, 212molteplicita di un valore singolare, 112moltiplicatori di una rappresentazione unitaria

proiettiva, 424momento angolare orbitale, 331momento angolare totale di una particella con

spin, 465

negazione logica, 182norma, 18norma operatoriale, 25norme equivalenti, 45nucleo di un omomorfismo gruppale, 533nucleo di un operatore, 70numerabile di secondo tipo, 530

omeomorfismo, 530omomorfismo di σ-algebre di Boole, 186omomorfismo di algebre, 20omomorfismo di algebre di Boole, 186omomorfismo di algebre di Lie, 445omomorfismo di gruppi di Lie, 443omomorfismo gruppale, 422, 533omomorfismo locale di gruppi di Lie, 443omotopia, 531operatore aggiunto (caso generale), 137operatore aggiunto o coniugato hermitiano, 70operatore antiunitario, 155, 398operatore autoaggiunto, 74operatore autoaggiunto (caso generale), 140operatore chiudibile, 136operatore chiuso, 135operatore compatto, 103operatore completamente continuo, 103operatore continuo, 26operatore degenere, 124

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operatore di classe traccia, 127operatore di coniugazione, 156, 398operatore di creazione, 303, 367operatore di distruzione, 303, 367operatore di Hilbert-Schmidt, 116operatore di Volterra, 123operatore essenzialmente autoaggiunto, 140operatore hamiltoniano, 480operatore hermitiano, 139operatore impulso, 147, 306, 331, 359operatore isometrico, 74operatore limitato, 24operatore momento angolare orbitale, 331operatore normale, 74operatore normale (caso generale), 140operatore nucleare, 127operatore numero di occupazione, 303, 367operatore positivo, 74operatore posizione, 145, 306, 331, 359operatore risolvente, 228operatore simmetrico, 140operatore statistico, 356operatore unitario, 52, 74operatori commutanti, 83, 357operatori commutati (caso generale), 140operatori di spin, 464ordinatore cronologico, 499ortocomplemento, 186osservabile, 215, 216, 357osservabili compatibili, 357osservabili coniugate, 362osservabili incompatibili, 357ovunque non denso, 39

paradosso EPR, 517parastatistica, 527parentesi di Poisson, 391particelle identiche, 523polinomio di Hermite, 68polinomio di Laguerre, 69potenziale coulombiano attrattivo, 353, 491potenziale di Yukawa, 354, 493

POVM, 226preparazione di uno stato puro, 212principio di corrispondenza di Dirac, 390Principio di indeterminazione di Heisenberg, 173principio di sovrapposizione degli stati, 210probabilita di transizione, 210procedura di ortogonalizzazione di Gram-Schmidt,

66prodotto diretto gruppale, 534prodotto scalare hermitiano, 49prodotto semidiretto gruppale, 415, 534prodotto tensoriale di operatori, 328prodotto tensoriale di vettori, 323prodotto tensoriale hilbertiano di spazi di Hil-

bert, 325proiettore, 43proiettore ortogonale, 78proiezione canonica di un’estensione centrale,

427Proposizione sulle misure e spazi Lp separabili,

68Proposizione sulle misure di Borel e spazi Lp

separabili, 68proposizioni compatibili ed incompatibili, 189proprieta di ciclicita della traccia, 131pullback, 545pushforward, 545PVM su R, 218PVM su X, 247

Quantizzazione a la Weyl, 392quasi ovunque, 548

radice quadrata di un operatore, 81radice quadrata positiva, 83raggio spettrale, 232rango di un operatore, 70rango essenziale, 301rappresentazione (propriamente) unitaria di un

gruppo di simmetria, 424rappresentazione di Heisenberg, 503rappresentazione di Schrodinger, 504

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rappresentazione di un’algebra di Weyl, 380rappresentazione fedele, 422, 535rappresentazione GNS, 380rappresentazione gruppale, 533rappresentazione impulso, 417rappresentazione irriducibile, 535rappresentazione libera, 535rappresentazione lineare di un gruppo, 535rappresentazione proiettiva continua, 431rappresentazione proiettiva di un gruppo di sim-

metria, 422rappresentazione transitiva, 535rappresentazione unitaria proiettiva di un grup-

po di simmetria, 424rappresentazioni irriducibili unitariamente equi-

valenti delle CCR, 387rappresentazioni unitarie proiettive del gruppo

di Galileo, 472rappresentazioni unitarie proiettive fortemente

continue, 434regola di superselezione del momento angolare,

214regola di superselezione della carica elettrica,

213regola di superselezione di Bargmann della mas-

sa, 478regole di superselezione, 213, 396relazione d’ordine parziale, 528relazione d’ordine totale, 528relazioni (di commutazione) di Weyl, 377relazioni di commutazione canonica, 361relazioni di Heisenberg, 361, 463relazioni di Weyl, 367reticolo, 185reticolo σ-completo, 186reticolo distributivo, 186reticolo limitato, 186reticolo ortocomplementato, 186

scarto quadratico, 358semi prodotto scalare hermitiano, 49

semigruppo fortemente continuo di operatori,319

seminorma, 18serie di Dyson, 497settori coerenti (di superselezione), 213, 397sfera di Poincare , 407simmetria di Wigner in senso generale, 401simmetria dinamica, 483simmetria dinamica dipendente dal tempo, 483simmetria nel senso di Kadison, 398simmetria nel senso di Wigner, 400simmetria quantistica, 393simplettoisomorfismo, 375sistema di coordinate normali, 448sistema di imprimitivita , 416sistema di riferimento inerziale, 359sistema quantistico composto, 516somma diretta, 42sottogruppo, 533sottogruppo delle rotazioni spaziali, 469sottogruppo delle trasformazioni pure di Gali-

leo, 469sottogruppo delle traslazioni spaziali, 469sottogruppo delle traslazioni temporali, 469, 482sottogruppo normale, 533sottospazio invariante, 535sottospazio irriducibile rispetto ad una famiglia

di operatori, 364sottovarieta embedded, 540sovrapposizione corerente, 210sovrapposizione incorerente, 210spazi di Hilbert anti isomorfi, 57spazio con misura, 22spazio con prodotto scalare, 49spazio connesso, 531spazio connesso per archi, 531spazio cotangente, 541spazio dei vettori analitici di una rappresen-

tazione unitaria di un gruppo di Lie,461

spazio delle fasi, 180spazio di Banach, 19

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spazio di Frechet, 36spazio di Garding, 316, 461spazio di Hausdorff (o T2 o separabile di secon-

do tipo), 530spazio di Hilbert, 52spazio di Hilbert associato ad un sistema fisico,

198spazio di Hilbert di una particella non rela-

tivistica con spin 0 e massa m > 0,359

spazio di Hilbert separabile, 65spazio di proiezione, 43spazio di Schwartz su Rn, 89spazio duale topologico, 57spazio localmente compatto, 531spazio localmente convesso, 35spazio metrico, 531spazio metrico completo, 532spazio misurabile completo, 548spazio misurabile o spazio con misura, 546spazio normato, 18spazio ortogonale, 49spazio proiettivo, 205spazio riflessivo, 33, 56spazio semplicemente connesso, 531spazio simplettico, 375spazio tangente, 541spazio topologico, 529spazio vettoriale topologico, 35spaziotempo delle fasi, 180spettro continuo di un opeatore, 228spettro dell’hamiltoniano dell’atomo di’idroge-

no, 492spettro di un opeatore, 228spettro discreto, 298spettro essenziale, 298spettro puntuale approssimato, 298spettro puntuale di un opeatore, 228spettro residuo puro, 298spin, 176, 464stati entangled, 517stato misto, 209, 356

stato puro, 209, 356stato quantistico, 198, 205, 356struttura differenziabile, 537struttura differenziabile prodotto, 539sub additivita , 547successione convergente, 532successione di Cauchy, 532supporto di una misura a valori di proiezione,

247

Teorema corrispondende al Principio di inde-terminazione di Heisenberg, 363

Teorema dei valori regolari, 541Teorema del completamento per spazi di Hil-

bert, 52Teorema del doppio commutante di von Neu-

mann, 74Teorema del grafico chiuso, 43Teorema dell’applicazione aperta (di Banach-

Schauder), 40Teorema dell’operatore inverso di Banach, 41Teorema della convergenza dominata di Lebe-

sgue, 550Teorema della convergenza dominata generaliz-

zato, 555Teorema della convergenza monotona di Beppo-

Levi, 549Teorema di Fuglede, 278Teorema di Baire, 39Teorema di Banach-Steinhaus, 34Teorema di Bargmann, 456Teorema di caratterizzazione delle misure com-

plesse, 28Teorema di Cartan, 446Teorema di Darboux, 375Teorema di decomposizione polare di un ope-

ratore limitato, 87Teorema di decomposizione polare per opera-

tori chiusi e densamente definiti., 344Teorema di decomposizione spettrale per ope-

ratori autoaggiunti non limitati, 293

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teorema di decomposizione spettrale per ope-ratori normali, 262

Teorema di derivazione sotto il segno di inte-grale, 552

Teorema di Eherenfest, 508Teorema di Fubini-Tonelli, 551Teorema di Garding, 461Teorema di Gleason, 202Teorema di Gleason-Montgomery-Zippin, 443teorema di Hadamard, 234Teorema di Hahn-Banach, 30Teorema di Heine-Borel, 103Teorema di Hellinger-Toeplitz, 140Teorema di Hene-Borel, 531Teorema di Hilbert sugli operatori compatti,

108Teorema di Hilbert sullo sviluppo spettrale de-

gli operatori compatti, 109Teorema di Hille-Yoshida, 319Teorema di Kadison, 409Teorema di Kato, 351, 488Teorema di Kato-Rellich, 347Teorema di Lie, 446Teorema di Liouville, 181Teorema di Mackey, 376Teorema di Nother quantistico, 506Teorema di Nelson, 335Teorema di Nelson per l’essenziale autoaggiun-

zione (criterio di Nelson), 158Teorema di Nelson sull’esistenza di rappresen-

tazioni unitarie di gruppi di Lie, 462Teorema di Nelson sulla commutativita di mi-

sure spettrali, 322Teorema di Neumark, 226Teorema di Paley-Wiener, 98Teorema di Pauli, 502Teorema di Plancherel, 95Teorema di Radon-Nikodym, 28Teorema di rappresentazione spettrale per ope-

ratori autoaggiunti non limitati, 307Teorema di rappresentazione spettrale per ope-

ratori in B(H) normali), 270

Teorema di Riesz per misure complesse regola-ri), 28

Teorema di Riesz per misure complesse su Rn,29

Teorema di Riesz per spazi di Hilbert, 55Teorema di Stone, 314, 460Teorema di Stone-von Neumann, 375Teorema di Stone-von Neumann in formulazio-

ne alternativa, 376Teorema di Stone-Weierstrass, 21, 67Teorema di sviluppo di un operatore compatto

rispetto ai suoi valori singolari, 112Teorema di Tychonoff, 531Teorema di von Neumann per l’esistenza di esten-

sioni autoaggiunte (criterio di von Neu-mann), 156

Teorema di von Neumann sulla continuita digruppi ad un parametro di operatoriunitari, 311

Teorema di Wigner, 402Teorema FS3 (di Flato, Simon, Snellman e Ster-

nheimer) sull’esistenza di rappresenta-zioni unitarie di gruppi di Lie, 463

Teorema sull’essenziale autoaggiunzione di−∆+V , 350

Teorema sulla commutativita di misure spet-trali, 319

toplogia indotta, 529topologia, 529topologia operatoriale ∗-debole, 37topologia operatoriale debole, 36topologia operatoriale forte, 37topologia operatoriale uniforme, 37topologia prodotto, 529topologia standard, 532traccia di un operatore di classe traccia, 131trasformata di Cayley, 151trasformata di Fourier, 90trasformata di Fourier-Plancherel, 95trasformata inversa di Fourier, 90trasformazione attiva, 395trasformazione passiva, 395

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trasformazione unitaria, 52

valore assoluto di un operatore, 86valore medio, 358valori singolari di un operatore compatto, 112variazione totale di una misura, 27varieta analitica, 537varieta differenziabile, 537vettore analitico, 156, 335vettore controvariante, 542vettore covariante, 543vettore di unicita , 157vettore normale, 49vettori ortogonali, 49

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