Onde d'urto acollisionali -...

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F 4 sistono onde d'urto che risuonano da un capo all'altro del sistema solare, proprio come il bang di un aereo supersonico rimbomba su una città. In questo secondo caso si ha una perturbazione di tipo aerodinamico, una variazione improvvisa nelle proprietà del gas che si propaga a una velocità su- periore a quella del suono. Si sa da molto tempo che, perché si formi un'onda d'ur- to in un gas neutro come l'atmosfera ter- restre, è necessaria una collisione fra particelle. A partire dagli anni cinquanta assieme ad alcuni colleghi ipotizzam- mo che, contrariamente a quanto molti scienziati si aspettavano, si possono for- mare analoghe onde d'urto anche nel vuoto quasi perfetto dello spazio ester- no, dove le collisioni tra particelle sono estremamente rare. In questo caso le on- de d'urto potrebbero costituire un fatto- re di modificazione estremamente im- portante dell'ambiente dello spazio. Gli urti «acollisionali» non si verifica- no in condizioni naturali sulla Terra per- ché qui la materia è costituita in massima parte da atomi e molecole elettricamen- te neutri. Nello spazio invece le tempe- rature elevate e la radiazione ultraviolet- ta delle stelle calde decompongono gli atomi in nuclei ed elettroni, generando un plasma, ossia un «brodo» di particelle cariche. I fisici dei plasmi hanno avanza- to l'ipotesi che le proprietà elettriche e magnetiche collettive dei plasmi possano dar luogo a interazioni capaci di prende- re il posto delle collisioni e permettere la formazione di onde d'urto. La prima conferma sperimentale di queste speculazioni teoriche giunse nel 1964, quando Norman F. Ness e colle- ghi del Goddard Space Flight Center della NASA, analizzando i dati della sonda spaziale IMP-1, rilevarono chiare indicazioni dell'esistenza di un fronte d'urto acollisionale nella regione dove il vento solare incontra la magnetosfera terrestre. (Il vento solare è un flusso con- tinuo di particelle cariche emesso dal So- le.) Ricerche successive hanno eviden- 58 LE SCIENZE n. 274, giugno 1991 ziato che le onde d'urto acollisionali si manifestano in una gamma stupefacente di contesti astronomici: per esempio, se ne è riscontrata la presenza nel vento solare a monte (cioè verso il Sole) di tutti i pianeti e le comete avvicinati da una sonda spaziale; brillamenti solari molto intensi producono onde d'urto che si propagano fino ai limiti estremi del siste- ma solare, mentre certe enormi esplosio- ni che si verificano a livello galattico pro- ducono nel mezzo interstellare perturba- zioni migliaia di miliardi di volte più grandi. Molti astrofisici ritengono inol- tre che siano onde d'urto generate da esplosioni di supernova nella nostra ga- lassia ad accelerare i raggi cosmici (par- ticelle e nuclei atomici di energia eleva- tissima che bombardano la Terra da tut- te le direzioni). J o studio dei plasmi ebbe inizio nel 'XIX secolo, con le ricerche di Mi- chael Faraday sulle scariche elettriche nei gas, ma la ricerca moderna sull'argo- mento si può far risalire al 1957-1958, quando le sonde spaziali Sputnik, sovie- tiche, ed Explorer, statunitensi, scopri- rono che lo spazio vicino alla Terra è pervaso di plasma. Nel frattempo alla Atoms for Peace Conference di Ginevra venivano rese pubbliche le ricerche, fino ad allora segrete, sulla fusione termonu- cleare controllata svolte negli Stati Uni- ti, in Unione Sovietica e in alcuni paesi europei, aumentando notevolmente la quantità di informazioni liberamente ac- cessibili sui plasmi. Lo studio della fusione nucleare è vol- to prevalentemente al tentativo di otte- nere plasmi a temperature estremamen- te elevate e di confinarli in «bottiglie» magnetiche in modo da generare le con- dizioni necessarie perché si verifichino reazioni nucleari che producono ener- gia. Nel 1957 uno di noi (Sagdeev), men- tre cercava un metodo per riscaldare i plasmi, si rese conto che una compres- sione magnetica istantanea può propa- garsi attraverso un plasma, in cui non si verificano collisioni, con modalità ana- loghe a quelle con cui un'onda d'urto si propaga in un comune fluido. I campi magnetici che permeano i pla- smi conferiscono al comportamento di questi caratteristiche in qualche modo analoghe al comportamento di un fluido ordinario. Un campo magnetico esercita una forza (la forza di Lorentz) su una particella carica in moto. Si può rappre- sentare il campo come una serie di linee che attraversano il plasma, così come è possibile rendere visibili con limatura di ferro le linee di forza intorno a una bar- retta magnetica. La forza di Lorentz agi- sce sempre perpendicolarmente sia alla direzione delle linee di forza del campo sia a quella di moto della particella. Se la particella si muove perpendicolar- mente al campo, quindi, la forza agisce come un elastico, richiamandola e vin- colandola a muoversi in cerchio intorno alla linea di forza del campo magnetico; la particella può invece muoversi libera- mente nella direzione della linea di for- za. La combinazione di moto libero pa- rallelo al campo e di rotazione vincolata in senso perpendicolare al campo fa sì che la particella segua una traiettoria eli- coidale intorno alla linea di forza. Quando il vento solare - il flusso di parti- celle cariche proveniente dal Sole - incontra la magnetosfera terrestre si forma un'onda d'urto acollisionale. I fenomeni a essa asso- ciati dipendono dalla direzione del campo magnetico interplanetario a monte dell'on- da d'urto. Nella zona dove l'onda è quasi- parallela al campo (regioni in alto) gli elet- troni (in giallo) e gli ioni (in rosso) di alta energia sfuggono verso monte dando origi- ne a onde microscopiche nel vento solare e a perturbazioni magnetiche di torsione, le cosiddette onde di Alfvén (linee ondulate). Nella regione in cui l'onda è quasiperpen- dicolare al campo magnetico (in basso) lo spessore del fronte d'urto è molto minore. Onde d'urto acollisionali Per quanto appaia sorprendente, persino nella materia estremamente rarefatta dello spazio interstellare si formano onde d'urto, di enormi dimensioni, responsabili di tutta una serie di fenomeni astrofisici di Roald Z. Sagdeev e Charles F. Kennel La forza di Lorentz rende difficile la dispersione del plasma in direzione per- pendicolare al campo magnetico. La massima distanza dal campo che una particella può raggiungere, denominata raggio di Larmor, è inversamente pro- porzionale all'intensità del campo stes- so. Nel debole campo magnetico inter- planetario , il raggio di Larmor è pari ad alcuni chilometri per gli elettroni e a di- verse centinaia di chilometri per gli ioni, che hanno massa assai maggiore: si tratta di distanze in apparenza grandi, ma mi- nime rispetto alle dimensioni della regio- ne dove avviene l'incontro tra il vento solare e il campo magnetico terrestre. Il fronte d'urto che vi si forma, detto onda d'urto di prua, ha la stessa forma para- bolica delle onde che precedono un mo- toscafo e si estende per più di 100 000 chilometri. Quando la scala della strut- tura è più grande del raggio di Larmor per gli ioni, il moto collettivo delle par- ticelle di plasma attraverso il campo ma- gnetico trascina con sé le linee di forza. In queste condizioni si dice che il campo magnetico è «congelato» nel plasma.

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F4 sistono onde d'urto che risuonano

da un capo all'altro del sistema solare, proprio come il bang diun aereo supersonico rimbomba su unacittà. In questo secondo caso si ha unaperturbazione di tipo aerodinamico, unavariazione improvvisa nelle proprietàdel gas che si propaga a una velocità su-periore a quella del suono. Si sa da moltotempo che, perché si formi un'onda d'ur-to in un gas neutro come l'atmosfera ter-restre, è necessaria una collisione fraparticelle. A partire dagli anni cinquantaassieme ad alcuni colleghi ipotizzam-mo che, contrariamente a quanto moltiscienziati si aspettavano, si possono for-mare analoghe onde d'urto anche nelvuoto quasi perfetto dello spazio ester-no, dove le collisioni tra particelle sonoestremamente rare. In questo caso le on-de d'urto potrebbero costituire un fatto-re di modificazione estremamente im-portante dell'ambiente dello spazio.

Gli urti «acollisionali» non si verifica-no in condizioni naturali sulla Terra per-ché qui la materia è costituita in massimaparte da atomi e molecole elettricamen-te neutri. Nello spazio invece le tempe-rature elevate e la radiazione ultraviolet-ta delle stelle calde decompongono gliatomi in nuclei ed elettroni, generandoun plasma, ossia un «brodo» di particellecariche. I fisici dei plasmi hanno avanza-to l'ipotesi che le proprietà elettriche emagnetiche collettive dei plasmi possanodar luogo a interazioni capaci di prende-re il posto delle collisioni e permetterela formazione di onde d'urto.

La prima conferma sperimentale diqueste speculazioni teoriche giunse nel1964, quando Norman F. Ness e colle-ghi del Goddard Space Flight Centerdella NASA, analizzando i dati dellasonda spaziale IMP-1, rilevarono chiareindicazioni dell'esistenza di un fronted'urto acollisionale nella regione dove ilvento solare incontra la magnetosferaterrestre. (Il vento solare è un flusso con-tinuo di particelle cariche emesso dal So-le.) Ricerche successive hanno eviden-

58 LE SCIENZE n. 274, giugno 1991

ziato che le onde d'urto acollisionali simanifestano in una gamma stupefacentedi contesti astronomici: per esempio, sene è riscontrata la presenza nel ventosolare a monte (cioè verso il Sole) di tuttii pianeti e le comete avvicinati da unasonda spaziale; brillamenti solari moltointensi producono onde d'urto che sipropagano fino ai limiti estremi del siste-ma solare, mentre certe enormi esplosio-ni che si verificano a livello galattico pro-ducono nel mezzo interstellare perturba-zioni migliaia di miliardi di volte piùgrandi. Molti astrofisici ritengono inol-tre che siano onde d'urto generate daesplosioni di supernova nella nostra ga-lassia ad accelerare i raggi cosmici (par-ticelle e nuclei atomici di energia eleva-tissima che bombardano la Terra da tut-te le direzioni).

Jo studio dei plasmi ebbe inizio nel'XIX secolo, con le ricerche di Mi-

chael Faraday sulle scariche elettrichenei gas, ma la ricerca moderna sull'argo-mento si può far risalire al 1957-1958,quando le sonde spaziali Sputnik, sovie-tiche, ed Explorer, statunitensi, scopri-rono che lo spazio vicino alla Terra èpervaso di plasma. Nel frattempo allaAtoms for Peace Conference di Ginevravenivano rese pubbliche le ricerche, finoad allora segrete, sulla fusione termonu-cleare controllata svolte negli Stati Uni-ti, in Unione Sovietica e in alcuni paesieuropei, aumentando notevolmente laquantità di informazioni liberamente ac-cessibili sui plasmi.

Lo studio della fusione nucleare è vol-to prevalentemente al tentativo di otte-nere plasmi a temperature estremamen-te elevate e di confinarli in «bottiglie»magnetiche in modo da generare le con-dizioni necessarie perché si verifichinoreazioni nucleari che producono ener-gia. Nel 1957 uno di noi (Sagdeev), men-tre cercava un metodo per riscaldare iplasmi, si rese conto che una compres-sione magnetica istantanea può propa-garsi attraverso un plasma, in cui non si

verificano collisioni, con modalità ana-loghe a quelle con cui un'onda d'urto sipropaga in un comune fluido.

I campi magnetici che permeano i pla-smi conferiscono al comportamento diquesti caratteristiche in qualche modoanaloghe al comportamento di un fluidoordinario. Un campo magnetico esercitauna forza (la forza di Lorentz) su unaparticella carica in moto. Si può rappre-sentare il campo come una serie di lineeche attraversano il plasma, così come èpossibile rendere visibili con limatura diferro le linee di forza intorno a una bar-retta magnetica. La forza di Lorentz agi-sce sempre perpendicolarmente sia alladirezione delle linee di forza del camposia a quella di moto della particella. Sela particella si muove perpendicolar-mente al campo, quindi, la forza agiscecome un elastico, richiamandola e vin-colandola a muoversi in cerchio intornoalla linea di forza del campo magnetico;la particella può invece muoversi libera-mente nella direzione della linea di for-za. La combinazione di moto libero pa-rallelo al campo e di rotazione vincolatain senso perpendicolare al campo fa sìche la particella segua una traiettoria eli-coidale intorno alla linea di forza.

Quando il vento solare - il flusso di parti-celle cariche proveniente dal Sole - incontrala magnetosfera terrestre si forma un'ondad'urto acollisionale. I fenomeni a essa asso-ciati dipendono dalla direzione del campomagnetico interplanetario a monte dell'on-da d'urto. Nella zona dove l'onda è quasi-parallela al campo (regioni in alto) gli elet-troni (in giallo) e gli ioni (in rosso) di altaenergia sfuggono verso monte dando origi-ne a onde microscopiche nel vento solare ea perturbazioni magnetiche di torsione, lecosiddette onde di Alfvén (linee ondulate).Nella regione in cui l'onda è quasiperpen-dicolare al campo magnetico (in basso) lospessore del fronte d'urto è molto minore.

Onde d'urto acollisionaliPer quanto appaia sorprendente, persino nella materia estremamenterarefatta dello spazio interstellare si formano onde d'urto, di enormidimensioni, responsabili di tutta una serie di fenomeni astrofisici

di Roald Z. Sagdeev e Charles F. Kennel

La forza di Lorentz rende difficile ladispersione del plasma in direzione per-pendicolare al campo magnetico. Lamassima distanza dal campo che unaparticella può raggiungere, denominataraggio di Larmor, è inversamente pro-porzionale all'intensità del campo stes-so. Nel debole campo magnetico inter-planetario , il raggio di Larmor è pari ad

alcuni chilometri per gli elettroni e a di-verse centinaia di chilometri per gli ioni,che hanno massa assai maggiore: si trattadi distanze in apparenza grandi, ma mi-nime rispetto alle dimensioni della regio-ne dove avviene l'incontro tra il ventosolare e il campo magnetico terrestre. Ilfronte d'urto che vi si forma, detto ondad'urto di prua, ha la stessa forma para-

bolica delle onde che precedono un mo-toscafo e si estende per più di 100 000chilometri. Quando la scala della strut-tura è più grande del raggio di Larmorper gli ioni, il moto collettivo delle par-ticelle di plasma attraverso il campo ma-gnetico trascina con sé le linee di forza.In queste condizioni si dice che il campomagnetico è «congelato» nel plasma.

A

SOLITONEDI COMPRESSIONE

(DISPERSIONE NEGATIVA)

TRENO D'ONDE

La formazione di onde d'urto acollisionali

a

INNALZAMENTO VISCOSITÀ MOLECOLARE INCURVAMENTO

Un'onda diventa più ripida perché la sua parte di ampiezza maggiore si propagapiù velocemente del resto. Al passare del tempo l'onda (a) si fa più alta e ripida.In un'onda sonora le collisioni tra singole molecole d'aria (che generano laviscosità molecolare) trasferiscono la quantità di moto in avanti (b) e impedi-scono all'onda di superare la materia più lenta antistante. Nelle onde d'urtoacollisionali più intense il processo può portare all'incurvamento dell'onda (c).

DISPERSIONE POSITIVA

•••n•

DISPERSIONE NEGATIVA \

ONDE LUNGHE

LUNGHEZZA D'ONDA ONDE CORTE

PIÙELEVATA

VELOCITÀDELL'ONDA

P ÙBASSA

La dispersione di un'onda è determinata dalla dipendenza della sua velocitàdalla lunghezza d'onda. Questo effetto diventa significativo per le onde d'urtoacollisionali nei plasmi («gas» formati da elettroni e nuclei atomici). L'illustra-zione mostra come la velocità di un'onda possa crescere (dispersione positiva)o diminuire (dispersione negativa) al crescere della lunghezza d'onda. La di-spersione tende a «sfumare» un'onda netta e ben definita in una lunga serie diarmoniche componenti.

Le onde solitarie, o solitoni, si formano a causa dell'effetto concorrente dell'in-nalzamento dell'onda e della dispersione. A seconda del segno della disper-sione i solitoni possono essere regioni di compressione (a) o impulsi di rarefa-zione (b). Una successione ordinata di solitoni, detta treno d'onde, costituisceun fronte d'urto il cui spessore è determinato dalla lunghezza della successione.Questa dipende a sua volta dal meccanismo di smorzamento che fa perdereenergia ai solitoni fino a che si dissipano in calore.

V

SOLITONEDI RAREFAZIONE

(DISPERSIONE POSITIVA)

TRENO D'ONDE

Riassumendo, dunque, un campo ma-gnetico conferisce ai plasmi acollisio-nali proprietà elastiche analoghe a quel-le di un gas denso, così che un'onda diplasma che attraversi un campo magne-tico si comporta in maniera per certiaspetti analoga a una comune onda so-nora. Lo studio teorico delle onde d'urtoacollisionali ha quindi preso le mossedalle ipotesi formulate nel corso di ricer-che svolte in precedenza sulle onde d'ur-to aerodinamiche.

Si consideri per esempio una compres-sione improvvisa che crei un'onda sono-ra nell'aria. Nel corso della propagazio-ne la forma dell'onda - ossia il suo pro-filo di pressione e di densità - varia: datoche le regioni più compresse si muovonopiù rapidamente delle altre, l'onda si fasempre più intensa e il suo fronte di sa-lita più ripido. Fu il grande matematicotedesco Bernhard Riemann a dimostra-re come questo fenomeno dia origine aonde d'urto.

Alla fine l'aria più densa che segueraggiunge quella meno densa che la pre-cede; a questo punto l'onda sonora co-mincia a comportarsi in modo analogo aun'onda marina che, approssimandosialla costa, diventa più ripida, si incurvae infine si frange in spuma. Un'onda so-nora va incontro a un destino simile, manon identico: quando diventa tanto ripi-da da cominciare a incurvarsi, divieneimportante l'azione delle singole mole-cole di gas che trasportano quantità dimoto tra punti limitrofi; le molecole del-la regione più densa e veloce dell'ondasuperano il fronte , si scontrano con quel-le più lente della regione antistante e ce-dono loro quantità di moto, acceleran-dole fino alla velocità di propagazionedell'onda.

Questo trasferimento di quantità dimoto è dovuto alla viscosità molecolare.Nello svolgersi del processo la quantitàdi moto viene trasmessa dalla cresta del-l'onda che si incurva alla regione anti-stante ancora non perturbata, come untestimone viene passato da un corridoreall'altro in una staffetta. La viscosità mo-lecolare risulta particolarmente efficien-te quando lo spessore del fronte d'ondasi riduce fino a divenire uguale alla di-stanza media che una particella può per-correre prima di subire una collisione,distanza denominata cammino liberomedio della particella. (Il cammino libe-ro medio di una molecola dell'aria è paria circa un millesimo di millimetro.)Quando l'onda raggiunge questo spesso-re, il suo innalzamento e la viscosità mo-lecolare si equilibrano e si forma un'on-da d'urto stazionaria. Il fronte risultanterappresenta una variazione quasi a gra-dino della velocità, della densità e dellapressione.

Prima che i fisici scoprissero un mec-canismo capace di sostituire nei plasmila viscosità molecolare, discutere di urtiacollisionali aveva ben poco senso; l'ar-gomento quindi rimase più o meno mi-sconosciuto per molti anni. Poi, verso la

60 LE SCIENZE n. 274, giugno 1991

DIREZIONEDELLA PROPAGAZIONE

PRIMOINCONTRO

TERZOINCONTRO

QUARTOINCONTRO

Quando l'energia viene trasferita dai solitoni alle singole particelle cariche del plasma(elettroni o ioni) si verifica uno smorzamento dell'onda. Le particelle in moto a velocitàcirca pari a quella del plasma interagiscono intensamente con i solitoni. Il campo elettricodel solitone costringe infatti le particelle in risonanza con esso a fermarsi e a invertire ilcammino, sottraendo loro energia. La forza magnetica di richiamo (forza di Lorentz) piegala traiettoria delle particelle riconducendole più e più volte presso il medesimo solitone.Ciascun incontro fa aumentare l'energia della particella a spese di quella del solitone.

fine degli anni cinquanta, uno di noi(Sagdeev) e, indipendentemente, Ar-thur R. Kantrowitz e Harry E. Petschek,che allora lavoravano presso l'Avco--Everett Research Laboratory, vicino aBoston, ipotizzarono che anche in unplasma rarefatto possa svolgersi una«corsa a staffetta» di tipo analogo, nellaquale però siano onde e non singole par-ticelle a passarsi il testimone.

La staffetta dipende dal fatto che lavelocità di un'onda nel plasma cambiacon la lunghezza d'onda, un effetto cheprende il nome di dispersione. In effetti,mentre nei gas ordinari la velocità diun'onda sonora è pressoché indipenden-te dalla sua frequenza. in un plasma acol-lisionale un'onda risulta estremamentedispersiva. La velocità aumenta o dimi-nuisce col variare della lunghezza d'ondaa seconda dell'angolo tra la direzione dipropagazione dell'onda e l'orientazionedel campo magnetico.

Secondo il teorema di Fourier, un pro-filo d'onda è costituito dalla sovrappo-sizione di numerose componenti, le ar-moniche, di lunghezza d'onda diversa.(Una situazione analoga a quella dellaluce bianca, composta da molti coloridifferenti, ciascuno corrispondente a u-na lunghezza d'onda diversa.) Quantopiù ripido è il profilo dell'onda, tanto piùalta è la frequenza delle armoniche chelo compongono.

Se la propagazione delle onde non èesattamente perpendicolare al campomagnetico, la dispersione fa sì che le ar-moniche di lunghezza d'onda minoresiano più veloci di quelle di lunghezzad'onda maggiore (si parla in questo caso

di dispersione negativa). L'effetto delladispersione appare significativo quandoun fronte d'urto, divenendo sempre piùripido, si assottiglia fino a raggiungereuno spessore paragonabile al raggio diLarmor degli ioni. A questo punto le ar-moniche di lunghezza d'onda più brevesuperano il fronte addentrandosi nel pla-sma antistante non perturbato; sonoqueste armoniche a trasferire quantità dimoto, in maniera analoga alle molecoleveloci di un'onda sonora.

Il conflitto tra l'effetto dell'innalza-mento dell'onda e quello della dispersio-ne dà origine a una serie di impulsi on-dulatori che si propagano nella direzionedel fronte d'urto, facendogli assumere laforma di un treno d'onde. Le prime ondeche annunciano l'arrivo del treno sonoquelle più deboli (di ampiezza minima),seguite da oscillazioni sempre più inten-se che si susseguono fino all'arrivo del-la brusca transizione corrispondente alfronte d'urto vero e proprio. La lun-ghezza del treno d'onde, ovvero lo spes-sore del fronte d'urto, dipende dalla ra-pidità di dissipazione dell'energia del-le onde.

Nel caso di onde che si propagano indirezione esattamente perpendicolare alcampo magnetico, invece, la dispersionefa diminuire la velocità delle armonicheal decrescere della lunghezza d'onda. Learmoniche di lunghezza d'onda breve«arrancano» così dietro il fronte princi-pale senza riuscire a influenzare l'anda-mento dell'onda complessiva. In questasituazione l'onda d'urto passa il testimo-ne della quantità di moto a una serie diimpulsi di compressione, i solitoni.

I solitoni nelle onde d'urto perpendi-colari al campo magnetico, che hannouno spessore approssimativamente parial raggio di Larmor per gli elettroni, siformano quando lo spessore del profilod'onda si riduce fino a quella dimensio-ne. Via via che diventa più ripido, il fron-te emette una successione ordinata di so-litoni. aperta dal più grande (quello diampiezza maggiore) e costituita da soli-toni via via più piccoli, i quali alla fine sidisperdono nello stato uniforme che se-gue l'onda d'urto. La lunghezza del tre-no di solitoni dipende dalla rapidità concui la loro energia è dissipata in calore.

Le onde che si formano sulla superfi-cie di uno specchio d'acqua poco profon-do presentano un comportamento moltosimile alle onde di dispersione in un pla-sma acollisionale. Lo studio delle ondein propagazione nell'acqua bassa ebbe isuoi inizi nella seconda metà del XIXsecolo e culminò nel lavoro, rimastoclassico, di Diederik i. Korteweg e G.DeVries, i primi a descrivere le onde iso-late o solitoni che talvolta si propaganolungo i canali dei Paesi Bassi. L'analogiaapparentemente azzardata tra solitoninell'acqua poco profonda e solitoni nelplasma esprime in realtà un concetto fi-sico di validità generale: si possono for-mare solitoni ovunque l'innalzamentodelle onde e la dispersione entrino inconcorrenza.

Una conseguenza di ciò è che i solitonisi formano anche nelle onde d'urto chenon si propagano in direzione esatta-mente perpendicolare al campo magne-tico. Anche gli impulsi ondulatori ci-tati in precedenza possono essere consi-derati solitoni, con la differenza che sitratta di solitoni di rarefazione anzichédi compressione. In questo caso le armo-niche di piccola lunghezza d'onda simuovono a velocità relativamente bassa(la dispersione si dice positiva) e i soli-toni di rarefazione si propagano tantopiù lentamente quanto maggiore è la lo-ro ampiezza. Il treno d'onde termina co-sì con il solitone più intenso. La ten-sione superficiale nell'acqua dà origineanch'essa a onde con dispersione positi-va e a solitoni di rarefazione; dunque lafisica delle onde che si propagano nel-l'acqua offre analogie per entrambi i tipidi dispersione riscontrabili nei plasmiacollisionali.

La teoria dei solitoni, così elegante, èun risultato notevolissimo della moder-na fisica matematica. Nel 1967 Mar-tin Kruskal e colleghi della PrincetonUniversity dimostrarono che qualunqueprofilo d'onda in un mezzo dispersivonel quale l'onda possa divenire ripi-da si evolve in una successione di soli-toni. Collegando la teoria dei solitoni alproblema delle collisioni tra particel-le fondamentali, studiato approfondita-mente in fisica quantistica fin dagli an-ni venti, essi dimostrarono inoltre che isolitoni, proprio come le particelle, con-servano la propria individualità in casodi collisione.

62 LE SCIENZE n. 274, giugno 1991

NI-z ceW WD00W wCr OW o

9

6

3

8.<00(7)b_ CL O Li) 6 -(7) I= 7, é

Z <w ZH _i 0')z W <

4

2

-

- h m,v

o

o

60-60 -30 0 30

TEMPO (SECONDI)

Queste oscillazioni magnetiche (in alto) sono state registrate da Voyager I nell'attraversarel'onda d'urto acollisionale nel vento solare di fronte a Giove. Le perturbazioni che prece-dono il fronte d'urto sono dovute alla riflessione degli ioni verso il vento solare. Le misu-razioni delle onde microscopiche di plasma (in basso) rivelano che gli ioni riflessi generanoonde di bassa frequenza dette onde ioniche o pseudosonore. Gli elettroni riscaldati dal-le onde ioniche sfuggono controcorrente, generando oscillazioni di frequenza più elevata.

DISTANZA RELATIVA

DISTANZA RELATIVA

Questa simulazione al calcolatore chiarisce il comportamento degli ioni all'altezza dell'on-da d'urto di Giove (in alto). Ciascun puntino rappresenta una particella avente una de-terminata posizione e velocità istantanea all'interno di un'onda che si innalza, si incurvae si frange. Il flusso di ioni del «vento solare» (a sinistra) è riflesso dal fronte d'urto mentregli ioni che si trovano più a valle (a destra) si propagano in maniera caotica. Il picco benmarcato e le successive oscillazioni del campo magnetico visibili nella simulazione in bassoassomigliano a quelli presenti nell'onda d'urto reale. La simulazione è stata realizzata daDennis Papadopoulos e Peter Cargill dell'Università del Maryland a College Park.

per comprendere esaurientemente gliurti dispersivi, però, è necessario ca-

pire anche come fa l'energia di un'ondao di un solitone a dissiparsi in calore. Senon fosse per l'effetto della dissipazioneil treno di strutture ondulatorie che co-stituisce un fronte d'urto avrebbe lun-ghezza infinita. In pratica il problemafondamentale di come le onde d'urtoacollisionali trasportino energia e quan-

tità di moto riappare sotto altra forma.Nel 1945 il grande fisico sovietico Lev

D. Landau scoprì un meccanismo di dis-sipazione che non richiede collisioni traparticelle. Tra le particelle in moto ca-suale all'interno di un plasma, alcune sitrovano a muoversi a una velocità pari aquella dell'onda e si dice che sono inrisonanza con l'onda. Tra l'onda e le par-ticelle che viaggiano in risonanza con

essa possono a volte verificarsi scambi dienergia assai intensi.

All'inizio degli anni settanta uno dinoi (Sagdeev) e Vitalj Shapiro, anch'eglidell'Istituto di ricerche spaziali di Mo-sca, dimostrarono che il meccanismoscoperto da Landau può smorzare i so-litoni accelerando gli ioni risonanti. Siconsideri per esempio un treno di solito-ni di compressione che si propaga in di-rezione perpendicolare al campo magne-tico. Ciascun solitone genera un campoelettrico parallelo alla direzione del suomoto: gli ioni che si propagano a velocitàprossima a quella di risonanza sono lentirispetto ai solitoni e il campo elettrico diun solitone riesce a fermarli e a invertir-ne il moto. Durante questa interazioneil solitone perde parte della propriaenergia cedendola agli ioni in risonanzacon esso.

Il processo non si ferma qui perché laforza magnetica di Lorentz curva latraiettoria di uno ione riflesso facendolotornare a incontrare il medesimo solito-ne più e più volte. In ogni incontro l'e-nergia della particella aumenta finché laforza di Lorentz, che cresce al cresceredella velocità dello ione, non riesce ascagliarlo al di là del primo solitone.L'accelerazione continua via via che loione incontra i solitoni successivi deltreno d'onde. Gli ioni risonanti quindiguadagnano energia con un processo si-mile a quello con cui si guadagna velocitàcavalcando le onde con una tavola dasurf; questa analogia ha ispirato a JohnM. Dawson dell'Università della Cali-fornia a Los Angeles il progetto di unnuovo tipo di acceleratore per particel-le cariche, battezzato appropriatamentesurfatrone.

Il riscaldamento degli ioni a opera deisolitoni può dar luogo a un fronte d'urtose il numero di ioni in risonanza è abba-stanza elevato. Questa circostanza si ve-rifica quando il plasma è caldo; in casocontrario i solitoni trovano un altro si-stema per dissipare energia: generanoessi stessi nel plasma onde microscopi-che che lo riscaldano. Gli elettroni delplasma scorrono sugli ioni producendola corrente elettrica responsabile del ca-ratteristico profilo del campo magneticodei solitoni. Se gli ioni sono freddi glielettroni riescono facilmente a muoversia una velocità relativa supersonica e, inquesto caso, amplificano le oscillazionidel campo elettrico a piccolissima sca-la dette onde ioniche o pseudosonore.Queste onde, che non influenzano ilcampo magnetico, presentano una cre-scita a valanga. Le particelle del plasmanon collidono allora le une con le altre,ma con queste onde ioniche. Dopo chele onde si sono sviluppate il plasma entrain uno stato di microturbolenza.

D obert W. Fredericks e collaboratoridel TRW di Los Angeles furono i

primi, nel 1968, a rilevare onde ionichenelle onde d'urto. La scoperta avvennegrazie agli strumenti a bordo della sonda

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Un'onda d'urto interplanetaria si origina contemporaneamente aun'eruzione solare e percorre miliardi di chilometri accompagnan-do il vento solare. Gli strumenti della sonda ISEE-3 hanno potutomisurare il passaggio di una grande onda d'urto, quasiparallelarispetto al campo magnetico interplanetario, immediatamente pri-ma che superasse la Terra. Le strutture caratteristiche dell'onda

d'urto di prua della Terra si sovrapponevano a strutture similicorrelate all'onda interplanetaria, molto più grande (in alto). Leonde microscopiche di plasma (in basso), assieme alle onde di Alf-vén e a particelle accelerate, raggiunsero la sonda diverse ore pri-ma dell'onda d'urto interplanetaria. La regione sede di questeturbolenze aveva uno spessore di circa un milione di chilometri.

— ONDE IONICHE (LOGARITMO DELL'INTENSITÀ)

—2 0

TEMPO (ORE)

spaziale OGO-5 che erano stati proget-tati specificamente per lo studio delleonde nel plasma. Da allora quasi tutte lemissioni spaziali che si sono occupate deiplasmi nel sistema solare, in particolarele sonde International Sun-Earth Explo-rer (ISEE) 1, 2 e 3 in orbita terrestre e lemissioni Voyager 1 e 2 dirette verso ipianeti esterni, sono state dotate di rive-latori di onde del plasma. Il compiantoFred Scarf del TRW e i suoi colleghiascoltavano spesso le registrazioni deicampi elettrici microturbolenti realizza-te da queste sonde con un normale alto-parlante: alla maggior parte degli ascol-tatori questi suoni sarebbero parsi caco-fonici, ma per i nostri orecchi si trattavadi una vera sinfonia spaziale.

La microturbolenza si è rivelata moltopiù facile da registrare che non da com-prendere completamente. Per megliochiarire il comportamento di un plasmacaratterizzato da intensa microturbolen-za i fisici teorici hanno dovuto ricorrere

al calcolo numerico. Le simulazioni alcalcolatore, risolvendo milioni di equa-zioni del moto di altrettante particelle,mostrano in che modo le onde ioniche sisviluppino e riscaldino il plasma. Gli at-tuali supercalcolatori cominciano appe-na a offrire agli scienziati un'immaginecompleta dei numerosi tipi diversi dimicroturbolenza.

Anche senza conoscere nei particolarila natura della microturbolenza nel pla-sma, però, i fisici sono in grado di dedur-ne il comportamento nelle linee genera-li. Gli elettroni del plasma trasferisconola propria quantità di moto alle onde io-niche, che a loro volta la cedono agliioni. Questo processo rallenta il motodegli elettroni generando resistenza allacorrente elettrica. In alcuni casi la resi-stenza dovuta alle onde ioniche diventaabbastanza intensa da impedire la for-mazione di solitoni; quando ciò accadenon si forma alcun treno d'onde e l'ondad'urto viene definita resistiva.

Nello spazio si sono rilevate onded'urto semplici, sia di tipo dispersivosia di tipo resistivo, ma quasi tutte leonde osservate presentano caratteristi-che completamente diverse da quelle finqui discusse. Pressoché tutte le onded'urto, infatti, sono abbastanza intenseda far sì che né la dispersione né la resi-stenza riescano a impedire che l'onda siincurvi, dando origine a tutta una seriedi fenomeni nuovi.

Aiche per descrivere come un'onda siincurvi è utile un esame del com-

portamento delle onde in acqua pocoprofonda. Quando un'onda marina inacqua bassa si innalza sufficientemente,l'estremità della cresta si piega in avantifino a cadere sotto l'azione della gravità.Il flusso d'acqua proveniente da dietro lacresta si scontra con quello antistante,originando la schiuma della risacca. Cosìuna grossa onda che raggiunga la riva sirovescia, o si «frange», più volte.

Anche un'onda che si incurva nel pla-sma dà luogo a una sovrapposizione diflussi a velocità diverse. Il più veloce,che proviene dalla cresta dell'onda, ir-rompe nel plasma antistante il fronted'urto, ma la forza di Lorentz richiamagli ioni che costituiscono questo flussoall'indietro, dove essi finiscono per me-scolarsi con quelli che seguono il fronte.Se l'onda d'urto è debole la sua strutturarimane stazionaria, mentre se è forte lariflessione degli ioni contrasta tempo-raneamente l'innalzamento dell'onda.Presto però quest'ultima riprende a in-nalzarsi facendo ricominciare il ciclo.Recenti simulazioni numeriche realizza-te da Kevin B. Quest e colleghi del LosAlamos National Laboratory conferma-no l'ipotesi che le onde d'urto più intensesiano costituite da un ciclo ripetuto diinnalzamento, incurvamento e riflessio-ne degli ioni.

Anche le interazioni fra ioni riflessi eavanzanti possono produrre microtur-bolenza. Le sonde Voyager hanno rile-vato onde ioniche generate da ioni rifles-si dall'onda d'urto di prua di Giove (siveda l'illustrazione a pagina 64 in alto).Presso la Terra gli ioni riflessi generanonel vento solare onde di frequenza parialla media geometrica delle frequenze dirotazione degli ioni e degli elettroni in-torno al campo magnetico terrestre:questo valore è detto frequenza inferioredi risonanza ibrida. Nel 1985 la sondarusso-cecoslovacca Intershock ha com-piuto le prime misurazioni precise dellaturbolenza alla frequenza inferiore di ri-sonanza ibrida nell'onda d'urto di pruadella Terra. Sia nel caso del nostro pia-neta sia in quello di Giove le onde ioni-che sottraggono energia agli ioni e la tra-sferiscono agli elettroni. Parte degli elet-troni così riscaldati sfugge in avanti, nelflusso del vento solare, mentre altri tor-nano nella zona dell'onda d'urto.

pino a questo punto si sono discusse1- soprattutto le onde d'urto quasiper-pendicolari, ossia che si propagano più omeno ad angolo retto con il campo ma-gnetico, ma la turbolenza del plasmarisulta ancora più importante quandol'onda d'urto si muove in direzione quasiparallela al campo magnetico. In questocaso il campo non può più trattenere leparticelle veloci che superano il fronted'urto, le quali vengono quindi a costi-tuire una fonte importante di instabilitàturbolenta.

La capacità del campo magnetico diincanalare il moto delle particelle lun-go le linee di forza crea una situazioneanaloga a quella di una manichetta del-l'acqua abbandonata a terra con il rubi-netto aperto. I meandri del tubo tendo-no a diventare sempre più pronunciati acausa della forza centrifuga dell'acquache vi scorre, finché a un certo punto lamanichetta inizia a contorcersi in manie-ra incontrollabile.

Il campo magnetico che incanala iflussi sovrapponentisi di plasma davanti

a un'onda d'urto quasiparallela presentaun'instabilità analoga, detta appunto tal-volta «instabilità a manichetta dell'ac-qua». La forza centrifuga che piega lelinee di forza del campo è proporzionalealla densità di energia del moto del pla-sma lungo il campo magnetico: si verifi-ca instabilità quando questa densità dienergia supera quella del campo magne-tico stesso. Molti fisici ipotizzarono in-dipendentemente l'esistenza nei plasmidi questo tipo di instabilità, ma la versio-ne della teoria elaborata nel 1961 da Eu-gene N. Parker dell'Università di Chica-go si riferiva specificamente alle onded'urto quasiparallele.

L'instabilità a manichetta dell'acquanel plasma fa flettere in maniera casualele linee di forza del campo magnetico;questa forma di turbolenza magneticapuò essere interpretata come un insiemecaotico di onde «di torsione», che piega-no le linee di forza e prendono il nomedi onde di Alfvén, in onore di colui chele descrisse per primo, Hannes Alfvéndel Politecnico reale di Stoccolma, pre-mio Nobel per la fisica nel 1970.

Le onde di Alfvén, come quelle ioni-che, possono scambiare energia e quan-tità di moto con gli ioni che risuo-nano con esse. Per quanto riguarda gliioni, questa interazione ha un effettoequivalente a quello delle collisioni.Sono dunque le onde di Alfvén a limita-re la distanza alla quale possono giun-gere gli ioni che sfuggono al fronte d'ur-to e a determinare lo spessore delle on-de d'urto nel caso della propagazionequasiparallela.

Secondo la teoria, le collisioni traioni e onde di Alfvén dovrebbero esserequasi elastiche, cioè dovrebbero dar luo-go a uno scambio di energia ridotto, adispetto della variazione notevole dellaquantità di moto. (Per esempio, quandouna palla di gomma rimbalza elastica-mente su un muro, il verso della suaquantità di moto cambia, ma l'energiarimane virtualmente la stessa.) La turbo-lenza di Alfvén all'interno di un fronted'urto dovrebbe quindi dissolversi abba-stanza lentamente, il che ci indusse aconcludere, nel 1967, che le onde d'ur-to quasiparallele potessero avere unospessore molto maggiore di quelle quasi-perpendicolari.

Erano state le primissime misurazionidell'onda d'urto di prua della Terra, ef-fettuate per mezzo della sonda IMP-1nel 1964, a indicare l'esistenza di sostan-ziali differenze tra le onde d'urto paral-lele e quelle perpendicolari. Inizialmen-te i dati inviati dalla sonda parvero unpoco strani, perché l'onda d'urto sem-brava a volte sottile e a volte più spessa.Tre anni più tardi avanzammo l'ipotesiche la struttura dell'onda dipendessedall'orientazione del campo magneticointerplanetario. Nel 1971 Eugene W.Greenstadt del TRW e colleghi raccol-sero le prime prove del fatto che lo spes-sore dell'onda d'urto di prua della Terravariasse in effetti al variare della direzio-

MUSICAE STRUMENTI

MUSICALI

LE SCIENZE edizione italiana di

SCIENTIFIC AMERICAN

ha dedicato all'argomentodiversi articoli:

La fisica degli ottonidi A. H. Benade

(n. 63, novembre 1973)

La dinamica musicaledi B.R. Patterson

(n. 78, febbraio 1975)

Illusioni musicalidi D. Deutsch

(n. 96, agosto 1976)

Le corde accoppiatedel pianofortedi G. Weinreich

(n. 127, marzo 1979)

L'acusticadei piani armonici di violino

di C. Maley Hutchins(n. 160, dicembre 1981)

La fisica dei timpanidi T. D. Rossing

(n. 173, gennaio 1983)

La fisica delle canne d'organodi N. H. Fletcher e S. Thwaites

(n. 175, marzo 1983)

La tromba baroccadi D. Smithers, K. Wogram

e J. Bowsher(n. 214, giugno 1986)

Il calcolatore e la musicadi P. Boulez e A. Gerzso

(n. 238, giugno 1988)

L'acustica del clavicembalodi E. L. Kottick, K. D. Marshall

e T. J. Hendrickson(n. 272, aprile 1991)

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Le onde d'urto cometarie si hanno quando molecole e atomi neutridel nucleo di una cometa sfuggono nel vento solare prima di ve-nire ionizzati dalla radiazione ultravioletta. L'arrivo di ioni pesantiprovenienti dalla cometa rallenta il flusso del vento solare, per ilprincipio di conservazione della quantità di moto, e produce un'on-

da d'urto. Dato che gli ioni pesanti generano onde di Alfvén estre-mamente intense, le onde d'urto cometarie sono più spesse e tur-bolente e accelerano le particelle più di quanto non facciano le ondenei pressi dei pianeti (a sinistra). L'onda d'urto è molto più ampiadel nucleo della cometa e anche della lunga coda visibile (qui sopra).

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ne del campo magnetico del vento sola-re. Dal momento che questo campo ma-gnetico cambia continuamente la sua di-rezione, le regioni dove l'onda è local-mente quasiperpendicolare e quelle do-ve è quasiparallela si spostano costante-mente, anche se l'onda in sé si mantienepressoché stazionaria. Nei punti doveè quasiperpendicolare al campo l'ondad'urto è sottile, mentre dove è quasipa-rallela è più spessa (si veda l'illustrazionea pagina 59).

All'inizio degli anni settanta le sondecominciarono a rilevare piccoli flussi diparticelle di alta energia, onde ioniche eonde di Alfvén molto più a monte dellaposizione presunta dell'onda d'urto diprua della Terra. Il programma ISEE,avviato nel 1977, dimostrò che tutta l'at-tività a monte dell'onda fa in realtà partedell'onda d'urto quasiparallela estesa.Quest'onda è così spessa che la Terraappare minuscola al suo confronto, co-sicché risulta impossibile misurarne ledimensioni per mezzo di satelliti in orbi-ta terrestre.

Un'altra ampia classe di onde d'urtosi presta invece molto bene allo studioda parte delle sonde. I brillamenti nellacorona solare scagliano di tanto in tantoonde d'urto gigantesche che si propaga-no fino agli estremi limiti del sistema so-lare e che possono essere osservatequando oltrepassano una sonda oppor-tunamente attrezzata. Uno di noi (Ken-nel), assieme ad alcuni colleghi del pro-getto ISEE, ha scoperto che la regio-ne di turbolenza dovuta alle onde ioni-che e di Alfvén a monte di un fron-te d'urto interplanetario quasiparallelopuò avere uno spessore di più di un mi-lione di chilometri.

Ie onde di Alfvén svolgono un ruolo particolarmente rilevante nelle onded'urto che si formano di fronte alle co-mete quando queste attraversano il ven-to solare nel sistema solare interno. Ilnucleo di una cometa è di gran lungatroppo piccolo per dare origine a unaperturbazione fisica rilevabile nel flussodel vento solare (il nucleo della cometadi Halley, per esempio, misura solo unaquindicina di chilometri) e possiede uncampo magnetico trascurabile; per que-sti motivi le comete non riescono a ge-nerare onde d'urto alla stessa manieradei pianeti. Eppure gli scienziati hannoscoperto che avvicinandosi al Sole le co-mete danno origine a una grande ondad'urto acollisionale.

La luce solare fa evaporare atomi emolecole dalla superficie del nucleo diuna cometa. Gran parte del gas così pro-dotto viene ionizzata dalla radiazione ul-travioletta del Sole e forma una nube diplasma simile alla ionosfera terrestre.Il vento solare però non arriva mai adattraversare la ionosfera cometaria, equindi non è questa a formare l'ondad'urto. I protagonisti principali dello svi-luppo di onde d'urto cometarie sono ipochi atomi e molecole neutri che rie-scono in qualche modo a sfuggire allaionosfera della cometa: alla fine anchequesti vengono ionizzati, ma più lonta-no, quando sono già penetrati nel ventosolare.

Le particelle appena ionizzate reagi-scono ai campi elettrico e magnetico delvento solare unendosi al flusso e accre-scendone la densità di massa, il che, con-formemente al principio di conservazio-ne della quantità di moto, fa diminuirela velocità del vento. Dato che gli ioni

emessi dalla cometa sono molto più pe-santi dei protoni del vento solare, ne ba-sta un numero relativamente piccolo perfar rallentare il vento solare in manierapercettibile.

Più di due decenni or sono, LudwigBiermann del Max Planck Institut fili.Astrophysik di Monaco di Baviera avan-zò l'ipotesi che una simile decelera-zione del flusso del vento solare potesseprodurre un'onda d'urto analoga all'on-da di prua di un pianeta. Nel suo incon-tro del 1986 con la cometa di Halley, lasonda sovietica Vega-1 ha percepito lacacofonia delle onde di plasma che se-gnala l'esistenza di un'onda d'urto a cir-ca un milione di chilometri dal nucleo,proprio la distanza prevista dalla teoriadi Biermann.

Le sonde sovietiche Vega, la giappo-nese Suisei e l'europea Giotto hanno in-contrato nei pressi della cometa di Hal-ley onde d'urto sia quasiperpendicolarisia quasiparallele. Le onde quasiparalle-le erano simili a quelle osservate neipressi dei pianeti; tuttavia gli ioni pe-santi a monte delle onde quasiperpendi-colari cometarie generavano una intensaturbolenza dovuta a onde di Alfvén, unfenomeno che non si verifica nel caso deipianeti.

Le onde d'urto che generano onde diAlfvén possono anche accelerare un pic-colo numero di particelle fino a un'ener-gia molto elevata. La «collisione» conun'onda di Alfvén può infatti respinge-re verso il fronte d'urto una particellache ne sia già sfuggita e ogni attra-versamento del fronte ottiene il risultatodi aumentare l'energia della particella.Questo meccanismo di accelerazione sibasa su un'ipotesi già proposta da Enrico

Fermi nel 1954. Nel 1986 uno di noi(Kennel), insieme con alcuni collabora-tori del gruppo dell'isEE, ha compiutoosservazioni che hanno confermato lateoria dell'accelerazione, basata sull'i-potesi di Fermi, elaborata per le onded'urto interplanetarie da Martin A. Leedell'Università del New Hampshire. Varicordato, tuttavia, che il processo sisvolge con una tale lentezza che i protoniaccelerati dalle onde d'urto quasiparal-lele interplanetarie raggiungono energiedi non più di alcune centinaia di migliaiadi elettronvolt nelle 24 ore circa neces-sarie perché l'onda d'urto partita dal So-le arrivi sulla Terra. Per confronto, siconsideri che l'energia dei raggi cosmici- le particelle subatomiche e i nuclei ato-mici di alta energia provenienti dallospazio profondo - raggiunge i 100 bilionidi elettronvolt.

Le esplosioni di supernova generanoonde d'urto particolarmente intense chesi propagano attraverso il plasma inter-stellare a decine di migliaia di chi-lometri al secondo. Non si può inviareuna sonda spaziale a studiare l'ondad'urto di una supernova, quindi non èpossibile essere certi che essa generi ve-ramente onde di Alfvén e acceleri gli ioninello spazio interstellare. Quello che sipuò fare, però, è applicare a queste ondela teoria dell'accelerazione di particelleche oggi viene verificata per mezzo delleonde d'urto interne al sistema solare.

Dal momento che l'onda d'urto di unasupernova dura circa un milione di anniprima di estinguersi, le particelle hannotempo di raggiungere energie estrema-mente elevate anche tramite il proces-so di Fermi. Nel 1977 Germogen F.Krymskii dell'Istituto di ricerca di fisicaspaziale e aeronomia di Yakutsk inUnione Sovietica, Roger D. Blandforddel California Institute of Technology eIan W. Axford del Max Planck Institutfiir Aeronomie di Katlenburg-Lindau inGermania, assieme ai rispettivi colle-ghi, hanno indipendentemente dimo-strato che la distribuzione di energia del-le particelle accelerate da un'onda d'urtoacollisionale è virtualmente identica aquella dei raggi cosmici.

L'origine dei raggi cosmici costituisceda lungo tempo un enigma: oggi peròmolti astrofisici ritengono che essi sianogenerati dall'accelerazione di particelleda parte delle onde d'urto prodotte dauna supernova, anche se non è ancoraben chiaro come queste particelle possa-no raggiungere le energie elevatissimeosservate.

Probabilmente esistono onde d'urtoacollisionali anche nei pressi di alcunegalassie lontane. I processi dinamici chesi verificano al centro di certe galassieattive (con la probabile partecipazionedi un buco nero di grande massa) produ-cono getti supersonici lunghi centinaia dimigliaia di anni luce. E verosimile chel'interazione di questi getti con il plasmaintergalattico dia luogo a onde d'urto.Le emissioni radio dei getti indicano che

gli elettroni vi vengono accelerati fino aenergie estremamente elevate. AlbertA. Galeev, attualmente direttore dell'I-stituto di ricerche spaziali dell'UnioneSovietica, ritiene che una teoria elabo-rata da lui insieme ad alcuni colleghiper spiegare l'accelerazione di elettroninell'onda d'urto di prua della Terra daparte di onde alla frequenza inferiore dirisonanza ibrida possa essere valida an-che per l'accelerazione di elettroni neigetti galattici.

La ricerca che viene condotta attual-mente sulle onde d'urto acollisionali vaa comprendere fenomeni che si estendo-no su una gamma amplissiína di dimen-sioni e di cause. Le ipotesi che noi e al-tri ricercatori andavamo elaborando duedecenni or sono hanno finito col rivelarsiuna base accettabile per la conoscenza diqueste onde, mentre le sonde spazialihanno individuato esempi specifici diquasi tutti i tipi di onde d'urto descrittidalla teoria. Il futuro ci riserva misura-zioni e calcoli numerici più precisi, chepermetteranno di simulare fin nei parti-colari la varietà straordinaria di onded'urto riscontrata in natura. Nella mag-gior parte dei casi i meccanismi abba-stanza semplici qui descritti si intreccia-no in combinazioni affascinanti. Ma già

oggi la teoria delle onde d'urto acol-lisionali permette ai fisici di formularecon una certa fiducia ipotesi sui pro-cessi che stanno alla base di alcuni deifenomeni più grandiosi e violenti del-l'universo.

BIBLIOGRAFIA

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SAGDEEV R. Z., USIKOV D. A. e ZA-SLAVSKY G. M., Nonlinear Physics: Fromthe Pendulum to Turbulence and Chaos,Harwood Academic Publishers, 1988.

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