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Fondamenti di teoria della politica economica

Mario Tirelli

6 aprile 2014

Indice

1 Teoria classica della programmazione di politica economica 1

1.1 I presupposti generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1

1.2 La teoria classica della politica economica con obiettivi �ssi . . . . . . . . . . . . . . 3

1.3 La teoria classica della politica economica con obiettivi �essibili . . . . . . . . . . . . 6

1.4 Obiettivi �ssi o �essibili? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

2 I principali limiti della teoria di Tinbergen 11

2.1 Come correggere la teoria classica per la critica di Lucas . . . . . . . . . . . . . . . . 14

2.2 Quali prescrizioni di politica economica: le regole �semplici�. . . . . . . . . . . . . . . 15

2.3 Alcuni elementi di insoddisfazione rispetto alle premesse e alle conclusioni dei teorici

delle aspettative razionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

2.4 La teoria positiva della politica economica come ulteriore critica all'approccio classico

di Tinbergen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

3 [Facoltativo] Un approfondimento del contenuto pratico e teorico della regola

aurea di Tinbergen 24

3.1 Illustrazione della soluzione di un modello con obiettivi �ssi sottodeterminato . . . . 26

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1 Teoria classica della programmazione di politica economica

1.1 I presupposti generali

La teoria della programmazione della politica economica si fonda principalmente sul lavoro del-

l'economista olandese Jan Tinbergen degli anni `950.1 Per Tinbergen, programmare la politica

economica vuole dire trovare il valore delle variabili strumento compatibili con il raggiungimen-

to degli obiettivi di politica economica, nel contesto economico esistente. La compatibilità viene

valutata sulla base delle relazioni esistenti tra le variabili economiche rilevanti (inclusi obiettivi e

strumenti di politica economica) che vengono rappresentate da un modello matematico.

In concreto, Tinbergen costruisce una teoria della programmazione di politica economica mu-

tuandone i principi essenziali e la logica sottostante, dalla programmazione matematica. In questa

costruzione, la programmazione di politica economica poggia su tre pilastri:

1. l'esistenza di un modello che rappresenti in forma stilizzata il funzionamento dell'economia,

attraverso relazioni funzionali tra le variabili di principale interesse per il policy maker (ad

es. il modello IS-LM, oppure il modello di domanda e o�erta aggregata, oppure il modello di

equilibrio generale di una economia walrasiana);

2. la de�nizione di obiettivi di politica economica, sotto forma

• di target numerici �ssi di una o più variabili di interesse (ad es. la domanda aggregata,

il tasso di disoccupazione, il tasso di in�azione), o

• di soluzioni di un problema di massimizzazione (o di minimizzazione) di una funzione

obiettivo, che dipende da tali variabili di interesse (ad es. il raggiungimento del massimo

reddito reale o del massimo benessere sociale, o della minima perdita sociale associata

all'in�azione);

3. la de�nizione di strumenti, cioè di variabili che il policy maker può i) controllare, ii) de-

terminare e quindi utilizzare indipendentemente l'una dall'altra iii) utilizzare e�cacemente

per conseguire gli obiettivi. In seguito diremo che una variabile di policy è uno �strumen-

to� se possiede tutte e tre le caratteristiche appena enunciate: controllabilità, indipendenza,

e�cacia.

In un contesto economico statico, l'unico che sarà oggetto della nostra analisi, la programmazione

segue due logiche generali: con obiettivi �ssi e con obiettivi �essibili. Nel caso di obiettivi �ssi,

le variabili obiettivo assumono valori dati (ad es. un certo livello di domanda aggregata, un certo

tasso di disoccupazione o di in�azione). Quindi, la programmazione si riduce a trovare il valore

delle variabili strumento (ad es. i livelli di spesa pubblica, tassazione, e/o o�erta di moneta) che,

dato il modello economico, consentono di raggiungere i livelli �ssati per le variabili obiettivo. In

1Jan Tinbergen, Principi e Metodi per la Politica Economica, Angeli, Milano 1969.

1

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pratica, il programma ha soluzione se il modello può essere risolto negli strumenti, per dati obiettivi

e altre variabili esogene. Il caso di obiettivi �essibili è invece assimilabile ad un problema nel

quale il policy maker sceglie contestualmente il valore di strumenti e obiettivi che massimizzano

una funzione obiettivo di politica economica (ad es. una funzione che misura il benessere sociale

in termini di tasso di disoccupazione e in�azione), dato il modello economico. Il programma di

politica economica ha soluzione, se tale problema di massimo ha soluzione.

Il modello economico Il modello economico rappresenta le relazioni funzionali esistenti tra le

variabili di interesse. La sua costruzione ri�ette una determinata concezione teorica del funziona-

mento dell'economia, che può essere veri�cata empiricamente secondo un processo a due stadi. Un

primo stadio nel quale si tende a veri�care la capacità della teoria e quindi del modello di rappre-

sentare qualitativamente il funzionamento dell'economia di riferimento. Il secondo stadio, nel quale

ci si propone di speci�care le relazioni funzionali in modo da ottenere indicazioni quantitative sul

comportamento delle variabili economiche.

A titolo illustrativo, supponiamo che il seguente modello macroeconomico dia una rappresenta-

zione qualitativa corretta della parte reale dell'economia, il mercato dei beni e servizi.

Y = ρN (1)

AD = C + I +G

C = c(Y − T )

Y = AD

d = G− T

Una descrizione completa del modello è la seguente.

Equazioni: la prima è un'equazione tecnica che de�nisce l'o�erta di beni (�funzione di produ-

zione aggregata�), N indica il numero di lavoratori impiegati nel ciclo produttivo e ρ è una misura

della produttività media del lavoro; la seconda è una de�nitoria (de�nisce domanda aggregata);

la terza è di comportamento, rappresenta la domanda di consumo delle famiglie; la quarta denota

l'equilibrio domanda-o�erta; la quinta de�nisce il disavanzo (o saldo da �nanziare) del bilancio

pubblico (d > 0 denota un disavanzo).

Variabili: In generale, possiamo suddividere le variabili in esogene (indipendenti) e endogene

(dipendenti). Tale divisione dipende in larga misura dall'uso che vogliamo fare del modello. Se il

modello serve a descrive il funzionamento del settore privato dell'economia, dato ciò che avviene in

altri settori, allora si assumerà che le variabili di decisione del settore pubblico (G,T ) esogene: (G,T )

assumano valori determinai al di fuori del (esogenamente al) modello, in base al comportamento del

governo che non è in esso rappresentato, fatta eccezione per l'equazione che de�nisce il disavanzo

pubblico. Ciò spiega, nel nostro esempio, la seguente de�nizione delle variabili.

esogene (o variabili indipendenti): T,G, I

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endogene (o variabili dipendenti): Y,N,AD,C, d

parametri: ρ, c

Il modello si dice in forma strutturale quando le equazioni esprimono variabili endogene in

funzione di altre variabili, sia endogene che esogene. La forma ridotta del modello strutturale

si ottiene esprimendo le variabili endogene in funzione delle sole esogene (e dei parametri). Per

sostituzione,

Y = AD = C + I +G = c(Y − T ) + I +G

Y (1− c) = −cT + I +G

Y =1

1− c(−cT + I +G)

AD =1

1− c(−cT + I +G)

N = Y/ρ = 1ρ(1−c)

(−cT + I +G

)N =

1

ρ(1− c)(−cT + I +G) (2)

C = c(Y − T ) = c(

11−c

(−cT + I +G

)− T

)C =

c

1− c

(−T + I +G

)d = G− T è già in forma ridotta.

Per valutare quantitativamente le relazioni tra le variabili economiche è necessario conoscere il

valore dei parametri. Questi li posso determinare, ad esempio, ricorrendo a una stima econometrica

del modello in forma ridotta.

Date le esogene e i parametri, una soluzione del modello (se esiste) determina un equilibrio

dell'economia considerata; ovvero i valori di equilibrio delle variabili Y,N,AD,C, d.

1.2 La teoria classica della politica economica con obiettivi �ssi

Qui la logica di utilizzo del modello, in un certo senso, si inverte. La sua soluzione deve fornire

indicazioni utili al decisore di politica economica; deve servire a de�nire il suo comportamento

coerentemente alle leggi che regolano l'economia di mercato e agli obiettivi pre�ssati. In altre

parole, il policy maker è interessato a trovare il valore degli strumenti che gli consente di conseguire

un certo valore degli obiettivi �ssi come valori di equilibrio economico. Da questo nuovo punto

di vista, quindi, gli strumenti non costituiscono delle esogene, ma delle endogene che il decisore

pubblico vuole determinare risolvendo il modello. Per contro, gli obiettivi essendo �ssi (determinati

a priori e esogenamente al modello) rappresentano ora delle variabili esogene.

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Ilmodello di politica economica con obiettivi �ssi è costituito quindi dal modello economico

(ad es. (1)) rispetto al quale vengono ride�nite le variabili in modo da considerare gli strumenti

come endogene (da determinare risolvendo il modello) e gli obiettivi �ssi come delle variabili esogene

(i cui valori sono �ssati al di fuori del modello).

Con riferimento al modello (1), Siano G,T gli strumenti di politica economica e N, d i livelli

�ssati per gli obiettivi. Il modello di politica economica presenta le seguenti,

variabili:

esogene (o variabili indipendenti): I,N, d

endogene (o variabili dipendenti): G,T, Y,AD,C

parametri: ρ, c

Osservate che alcune variabili che nel modello economico erano endogene, come N e d, ora sono

esogene e variabili che nel modello economico erano esogene, come G,T, ora sono esogene. [è chiaro

perché?]

Dalla forma ridotta del modello (1) trovo

N =1

ρ(1− c)(−cT + I +G) (3)

d = G− T

Le forme ridotte del modello economico originario sono utili, tra l'altro, per determinare l'e�cacia

degli strumenti, una delle tre caratteristiche che tali variabili devono possedere per chiamarsi stru-

menti. L'e�cacia la posso misurare calcolando l'elasticità della variabile obiettivo rispetto a quella

controllata dal decisore pubblico; oppure, per i modelli a equazioni lineari, semplicemente con il

coe�ciente di variazione, tipicamente, in valore assoluto. Ad esempio, l'e�cacia di G e T , nel-

la determinazione dell'obiettivo occupazione, è misurata calcolando la variazione di N a seguito,

rispettivamente, di una variazione unitaria di G e T :

efficaciaN,G →∣∣∣∣dNdG

∣∣∣∣ = 1

ρ(1− c)

efficaciaN,T →∣∣∣∣dNdT

∣∣∣∣ = c

ρ(1− c)

Osservate, che G è più e�cace di T , sapreste spiegare perché ciò avviene economicamente?

Esiste una regola generale, detta regola aurea di Tinbergen, per stabilire se il modello di politica

economica con obiettivi �ssi ha una soluzione e se si, per stabilire se tale soluzione è unica. In altri

termini, è una regola di controllabilità del modello di politica economica con obiettivi �ssi.

Nell'esempio precedente, risolvere il modello di politica economica sembra molto facile. Guar-

dando la forma ridotta del modello economico, in particolare la (3), ho due equazioni che esprimono

il legame tra i due strumenti e i due obiettivi. Esplicitandole rispetto agli strumenti (le variabili

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endogene del modello di politica economica) posso determinarne il valore compatibile con quello

degli obiettivi �ssi (variabili esogene del modello di politica economica). In pratica dalla prima

equazione in (3), esplicitando rispetto a G,

G = ρ(1− c)N + cT − I, d = G− T implica T = G− d; quindi, G = ρ(1− c)N + c(G− d

)− I

G∗ =1

1− c[ρ(1− c)N − cd− I] (4)

Dalla seconda equazione in (3), scrivo T = G− d = 11−c [ρ(1− c)N − cd− I]− d,

T ∗ =1

1− c[ρ(1− c)N − d− I] (5)

G∗ e T ∗ sono la soluzione del modello di politica economica; in particolare T ∗ ≥ G∗ se e solo se vi

è un obiettivo di avanzo di bilancio, d ≤ 0. Possiamo anche determinare il corrispondente valore di

equilibrio delle altre variabili endogene (Y,AD,C) sostituendo nelle loro forme ridotte G∗ e T ∗.

Il procedimento di soluzione appena descritto determina la forma ridotta del modello di

politica economica considerato e consente di rappresentare le endogene, tra cui gli strumenti di

policy, in funzione delle sole esogene e dei parametri. Anche se nell'esempio il modello aveva una

soluzione, ci serve una regola più generale che ci consenta di veri�care quando una soluzione del

modello di politica economica con obiettivi �ssi esiste (ovvero, quando il modello è controllabile).

Sia n il numero di strumenti e m il numero di obiettivi �ssi di politica economica.

Enunciato della regola aurea (Tinbergen):

Un modello di politica economica con m obiettivi �ssi ammette (almeno) una soluzione

se il numero di strumenti di politica economica n non è inferiore al numero di obiettivi,

n ≥ m. Il modello di politica economica si dice determinato (quando ammette un'unica

soluzione) se il numero di strumenti è uguale a quello degli obiettivi, m = n. Il modello

si dice sotto-determinato (quando ammette più di una, ∞n−m, soluzioni) se n > m. Il

modello si dice sovra-determinato (quando non ammette soluzione) se n < m.

Cosa avviene se il numero di strumenti è inferiore a quello degli obiettivi? vediamolo, ad esempio,

nell'ambito del modello (1), assumendo vi siano due obiettivi, l'aumento di un'unità del numero

degli occupati, ∆N = 1, e il mancato aggravio del bilancio pubblico, ∆d = 0, supponendo che vi sia

una sola variabile di policy, la variazione della spesa pubblica ∆G (T = T deve rimanere costante).

Con riferimento all'equazione (4), espressa nelle variazioni abbiamo la forma ridotta inversa:

∆G∗ =1

1− c[ρ(1− c)∆N − c∆d−∆I]

Dato che ∆N = 1, ∆I = ∆d = 0 (essendo la seconda una variabile esogena, il cui valore è dato, e

la prima e terza gli obiettivi di politica economica), otteniamo:

∆G∗ =1

1− c[ρ(1− c)]

= ρ

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ρ > 0 è il valore ∆G∗ necessario a perseguire l'obiettivo occupazionale; tuttavia esso non è compa-

tibile con il conseguimento dell'altro obiettivo (∆d = 0), che richiederebbe una manovra di politica

�scale nulla, ∆G∗ = 0 (o un aumento dell'imposizione �scale di pari entità ρ).

L'interpretazione della regola è semplice e si rifà alle regole generali di risoluzione dei sistemi

di equazioni lineari. Potete osservare che estraendo dalla forma ridotta del modello di politica

economica le equazioni che determinano gli strumenti in funzione degli obiettivi e di altre esogene,

si ottengono tante equazioni quanti sono gli obiettivi. Condizione necessaria perchè un tale sistema

di equazioni abbia soluzione e che il numero delle equazioni (cioè degli obiettivi) non superi quello

delle incognite (cioè degli strumenti). Una trattazione precisa dell'analogia tra la regola aurea e le

regole di risoluzione dei sistemi di equazioni lineari è rimandata al paragrafo 3, di lettura facoltativa.

1.3 La teoria classica della politica economica con obiettivi �essibili

Parleremo di obiettivi �essibili se l'obiettivo della politica corrisponde, ad esempio, al

massimo reddito reale pro capite, lasciando alle circostanze il compito di determinare

che cosa signi�chi numericamente questo massimo.[Jan Tinbergen, op. cit. p.8]

In astratto, il modello economico può essere scritto come una funzione che dipende da y e

x, ad esempio h(y, x) = 0 (nell'esempio precedente, rappresenta il modello (1), riscritto in modo

da lasciare lo zero nel membro di destra di ciascuna equazione), con y = (y1, y2)′, x = (x1, x2)

che rappresentano de vettori di variabili. In particolare, chiamiamo con y1 gli obiettivi e x1 gli

strumenti. Supponiamo che il modello economico comprenda altre variabili endogene y2 e esogene

x2. Sempre, in astratto, il policy maker potrebbe avere una funzione obiettivo f che dipende dagli

obiettivi y1, o più in generale ancora da y e da x, che desidera massimizzare (o minimizzare, se si

tratta di una funzione di perdita).

Il problema di programmazione, o modello di politica economica, con obiettivi �essibili può

essere scritto come

maxy1,x1

f(y, x) sotto il vincolo h(y, x) = 0 (6)

In parole, il policy maker sceglie il valore degli strumenti x1 e degli obiettivi y1 che massimizzano

la propria funzione obiettivo, dati i vincoli che emergono dal funzionamento del sistema economico,

h(y, x) = 0.

Esempio 1 Questa illustrazione è tratta dall'esempio 1.4 nel testo,2 Quindi, l'economia è ca-

ratterizzata da una sola tipologia di consumatori (per semplicità, un consumatore), e due beni

X = farina, Y = pane; le preferenze del consumatore sono rappresentate dalla funzione di utilità

u(X,Y ), continua, strettamente crescente nel consumo di entrambi i beni e concava. L'econo-

mia ha una dotazione iniziale di farina ωx e una funzione di produzione del pane dalla farina

Y = F (Z), Z = ωx −X; con F strettamente crescente (F ′ > 0) e concava (F ′′ ≤ 0). Il problema di

2Tirelli M., Politica economica e Fallimenti del Mercato, Giappichelli, 2010.

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politica economica è quello di ottenere l'e�cienza paretiana: il massimo benessere del consumatore

controllando l'allocazione della risorsa farina da attribuire al consumo e alla produzione di pane.

In tal caso f = u e h = Y − F (·), e il problema di programmazione è

maxX,Y

u(X,Y ) sotto il vincoloY − F (ωx −X) = 0

che posso anche riscrivere come

maxX

u(X,F (ωx −X))

La soluzione determina il paniere, X∗ e Y ∗ = F (ωx −X∗), che massimizzano il benessere sociale

(l'utilità dell'unico consumatore) sotto il vincolo che tale paniere sia ottenibile a partire da ωx

utilizzando la tecnologia esistente F.

Esempio 2 Le autorità di politica economica hanno come funzione obiettivo la stabilità dei prezzi

(il contenimento del tasso di in�azione π) intorno al 2 per cento annuo, e la stabilizzazione del tasso

di disoccupazione u, come scostamento dal livello di occupazione di equilibrio di lungo periodo, pari

a 0. Supponiamo che la funzione di perdita associata attribuisca peso relativo di 0 < α ≤ 1 al

primo obiettivo rispetto al secondo e che abbia la forma seguente,

α

2(π − 2)

2+

1

2(u− 0)

2 (7)

Tale funzione di perdita assume valore 0 se non c'è bisogno di interventi di stabilizzazione, (u, π) =

(2, 0). Altrimenti assume valore positivo; inoltre, geometricamente (si veda �gura seguente), all'al-

lontanarsi di (u, π) dai target, la funzione di perdita è descritta da cerchi concentrici (curve di

iso-perdita) via via più ampi. Al �ne di minimizzare la funzione di perdita, le autorità controllano

(ad es. attraverso la politica monetaria) la domanda aggregata: y = yn + δ(m − π), con yn che

indica il (logaritmo del) livello di equilibrio di lungo periodo e m − π il tasso di variazione delle

scorte monetarie rispetto al livello di equilibrio di lungo periodo.3 In �ne, possiamo riscrivere la

AD in funzione delle variazioni del tasso di disoccupazione u rispetto al livello di equilibrio di lungo

periodo (tasso di disoccupazione naturale) un, invece che dell'output gap, utilizzando la relazione

inversa esistente tra queste variabili: y − yn = −a(u− un).4 La AD diventa quindi,

π = m+ a(u− un), 0 < a < 1, (per seplicità, δ = 1). (8)

3Osservate che, come ad esempio nel modello IS-LM, la domanda aggregata cresce al crescere del valore reale

dello stock di moneta; questa rappresentazione logaritmica è una linearizzazione della domanda aggregata ricavata

nel modello IS-LM.4In genere, una tale relazione viene giusti�cata sulla base dell'evidenza empirica. Su tale base, ad esempio, la legge

di Okun indica un valore di a stabilmente positivo, negli USA, tra il 2 e il 3; a indicare che una riduzione (aumento)

dell'1% del tasso di disoccupazione si traduce in un incremento (riduzione) del PIL del 2-3%. Da un punto di

vista concettuale, tale relazione empirica si giusti�ca prevalentemente facendo riferimento alla relazione occupazione-

produzione che si determina sul mercato del lavoro, per e�etto delle forze dell'o�erta e della domanda. Il segno della

relazione può essere semplicemente spiegato osservando che, tipicamente, un incremento della produzione richiede

un aumento delle ore lavorate (un problema meramente tecnologico). Per capire l'intensità, tuttavia, si può far

riferimento a altre ragioni:

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L'andamento dell'o�erta aggregata è rappresentata dalla curva di Phillips, π = b−c(u−un), quindi,

π = b− c(u− un), b, c > 0 (9)

Quindi, x1 = m è l'unico strumento e y1 = (π, u) sono gli obiettivi (inoltre, y = y1, x = x1, cioè

non ci sono altre variabili endogene o esogene). Conseguentemente,

f(y, x) =α

2(π − 2)

2+

1

2(u− 0)

2

h (y, x) =

(π − (m+ a(u− un))

π − (b− c(u− un))

)

Sempli�cando, con ovvie sostituzioni, la programmazione consiste nel risolvere

minu

α

2(b− cu− 2)

2+

1

2(u)

2 (10)

La soluzione (u∗, π∗,m∗) del problema, se esiste, soddisfa le seguenti condizioni del primo ordine,

u∗ =cα(b− 2 + cun)

1 + c2απ∗ = b− c(u∗ − un)

m∗ = π∗ − a(u∗ − un)

La prima condizione uguagliando a zero la derivata prima di (10) e risolvendo rispetto a u. Le altre

due, sostituendo u∗ nei vincoli del problema di minimo h(u, p,m) = 0.

Ad esempio, prendendo i parametri, a = α = 1/2, b = 7, c = 2 e supponendo un = 0, si trova

(u∗, π∗,m∗) =(1 + 2

3 , 3 +23 , 2 +

56

). In tal caso, u∗ è anche lo scostamento della disoccupazione dal

suo livello naturale. I valori dell'esempio e le funzioni relative sono rappresentate nel gra�co che

segue. La soluzione corrisponde al punto (u∗, π∗) di tangenza tra la più bassa curva di iso-perdita

del policy maker (il minimo assoluto�cioè in assenza di vincoli�si trova nel punto (0, 2) in cui la

perdita è zero). m∗ si determina in modo da portare la AD a intersecare tale curva (e la curva di

Phillips) nel punto (u∗, π∗); la politica monetaria, infatti, attraverso m aumenta o diminuisce la

AD, modi�candone l'intercetta.

• un aumento della disoccupazione comporta per qualche individuo, un'uscita dalla forza lavoro (è il fenomeno

degli 'scoraggiati');

• gli occupati potrebbero lavorare meno ore (ad es. cassa integrazione, riduzione volontaria delle ore lavorate);

• la produttività del lavoro potrebbe calare, ad esempio, nei periodi di recessione, per e�etto di un sottoutilizzo

dei lavoratori nel processo produttivo.

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0 1 2 3 4 5

-2

0

2

4

6

disoccupazione u

infl

azio

neΠ

La regola di risoluzione dei modelli di politica economica con obiettivi �essibili La

domanda alla quale rimane da rispondere è: sotto quali condizioni il modello con obiettivi �essibili

ammette almeno una soluzione (cioè è controllabile)? Essendo tale modello descritto come un

problema di massimo (o di minimo), posso usare le regole generali per la soluzione di tali problemi.

A tal �ne, riscriviamo il modello (6) nella forma analoga,

maxy1,x1

f(y, x) sotto il vincolo (y1, x1) ∈ H (11)

dove H è un sottoinsieme dei numeri reali, de�nito come segue:

H = {y1, x1 : h(y, x) = 0}

Secondo il teorema di Weierstrass, il modello (11) ha soluzione se f è una funzione continua rispetto

all'insieme ottenibile H e tale insieme H è non-vuoto, chiuso e limitato (compatto). La soluzione dà

luogo a un vettore (x∗, y∗) che massimizza f e tale da essere compatibile con il modello economico

di riferimento, rappresentato da h(x∗, y∗) = 0. Tra gli elementi di una soluzione (x∗, y∗) vi è un

sistema di valori per gli strumenti e gli obiettivi, (x∗1, y

∗1).

5 Inoltre, la soluzione (x∗, y∗) è

• un massimo locale se esiste un intorno B(x∗,y∗) di (x∗, y∗) in H tale che f(x∗, y∗) ≥ f(x, y)

per tutti gli (x, y) in B(x∗,y∗);

5Notate che tale problema è analogo a uno nel quale si assume che il policy maker controlli solo strumenti e

obiettivi (x1, y1) in modo che, date le altre variabili esogene, chiamiamole x∗2, esista un vettore delle altre variabili

economiche endogene y∗2 tale che h(x∗1, x

∗2, y

∗1 , y

∗2) = 0.

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• un massimo globale se f(x∗, y∗) ≥ f(x, y) per tutti gli (x, y) in H;

In �ne,

• ogni massimo locale è anche globale se f è concava e H convesso;

• un punto di massimo locale è l'unico punto di massimo (globale) se f è strettamente concava

e H convesso, oppure se f è concava e H strettamente convesso.

Nell'ultimo caso si esclude l possibilità che il massimo sia costiuito da un intervallo di valori, in

luogo di un punto isolato.

1.4 Obiettivi �ssi o �essibili?

Quale delle due logiche di intervento utilizzare, tra una con obiettivi �ssi e una con obiettivi �essibili?

La questione può essere anzi tutto a�rontata guardando alla controllabilità dei modelli. Se in un

modello con obiettivi �ssi la regola aurea non è soddisfatta, il policy maker potrà decidere di rivedere

il modello di politica economica essenzialmente in due modi: riducendo il numero degli obiettivi,

oppure riformulando il problema di programmazione come uno con obiettivi �essibili.

Nel caso della scelta di un modello con obiettivi �essibili, di fatto, il policy maker si autoimpone

una logica di coerenza nella scelta degli obiettivi rispetto agli strumenti, dato il modello economico

di riferimento. Per cui, tanto minore è il numero di strumenti rispetto a quello delle variabili

obiettivo, tanto minore sarà la regione dei valori ammissibili delle variabili obiettivo; ammissibili

nel senso di valori ottenibili usando gli strumenti a disposizione. Da tale regione di valori, il policy

maker sceglierà quelli che massimizzano la sua funzione obiettivo (o la minimizzano, se si tratta di

una funzione di perdita).

Se invece il policy maker vuole mantenere una logica di programmazione con obiettivi �ssi, dovrà

scegliere un qualche criterio di selezione degli obiettivi, in modo da ridurli al numero degli strumenti.

Il criterio di selezione può emergere da una preferenza sociale o individuale, caratteristica del policy

maker, oppure, equivalentemente, da una qualche funzione obiettivo che consenta di ordinare tra loro

i diversi esiti ottenibili utilizzando modelli di politica economica alternativi (per obiettivi �ssati)

e indirizzare la selezione. Ordinare gli obiettivi può anche implicare il procedere assegnando un

ordine di priorità agli obiettivi da conseguire, sempre in base a qualche criterio di scelta sociale.

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2 I principali limiti della teoria di Tinbergen

Un intervento di politica economica determina variazioni della domanda aggregata, della produzione

e del reddito, dei prezzi (assoluti e relativi) e dei tassi di interesse. Ciò determina un mutamento del

quadro economico nel quale gli operatori privati compiono le proprie scelte; ad esempio, sappiamo

che le variazioni dei prezzi e dei tassi di interesse possono modi�care il vincolo di bilancio dei

consumatori e le condizioni di accesso ai mercati delle imprese. È allora opportuno chiedersi se

tale mutamento del quadro economico induca gli operatori a signi�cative variazioni delle proprie

decisioni di spesa per consumi, risparmio, investimento, e produzione. Questa è la domanda che

pone Lucas. Se la risposta è a�ermativa, l'uso dei modelli macroeconomici ai �ni di valutazione

degli e�etti delle politiche economiche può produrre indicazioni molto imprecise. Nella Teoria

classica di Tinbergen, questi modelli includono fra i parametri variabili chiave che dipendono dal

comportamento degli operatori, come la propensione al consumo, al risparmio e all'investimento.

Da tali parametri dipende proprio la valutazione dell'e�cacia delle politiche, cosicché trattarli come

dati, invarianti, può indurre a errori di valutazione dell'impatto degli interventi.

Ad esempio, con riferimento alle equazioni (3), abbiamo misurato l'e�cacia di una manovra

della spesa pubblica con un moltiplicatore che dipendeva dalla propensione al risparmio (1 − c).

Ora, se l'aumento della spesa pubblica si traduce, in un aumento del reddito disponibile delle

famiglie, è ragionevole pensare che i consumi di alcune di queste possano non aumentare in maniera

esattamente proporzionale, traducendosi in un incremento più che proporzionale del risparmio; ciò

avviene, appunto se c si riduce. Per Lucas, una spiegazione di ciò potrebbe essere legata al fatto

che le famiglie potrebbero rendersi conto se una tale politica �scale espansiva è insostenibile nel

tempo e quindi che porterà prima o poi a un periodo di maggior rigore con una contrazione della

spesa e un aumento dell'imposizione �scale. In tal caso, modi�cando la propensione al risparmio

l'individuo riesce a stabilizzare il reddito disponibile (cioè al netto delle tasse) e quindi i consumi,

nel tempo. Se invece di tener conto di questi aggiustamenti, si procedesse considerando c invariante

rispetto alla politica �scale (un parametro del modello), si tenderebbe a sovrastimarne gli e�etti

positivi di tale politica sulla domanda aggregata.

La critica di Lucas giunge all'estremo di giudicare ine�cace qualsiasi politica macroeconomica

di stabilizzazione sistematica della domanda aggregata (e più in generale qualsiasi politica basata su

una regola deterministica di intervento) in un'economia nella quale gli operatori formano le proprie

aspettative secondo il modello delle aspettative razionali. Per comprendere meglio il problema,

supponiamo che l'economia sia descritta dal modello basato sulla curva di Phillips corretta per le

aspettative.

Il modello basato sulla curva di Phillips corretta per le aspettative descrive il �breve periodo�

dell'economia con un fascio di curve di Phillips (di breve periodo) ciascuna de�nita per un certo

tasso di in�azione atteso πe,

π = πe − a (u− un) , a > 0 (12)

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Il breve periodo considera quindi un orizzonte temporale nel quale il tasso di disoccupazione u

può scendere sotto il livello naturale un se gli operatori (ad esempio i lavoratori) non predicono

correttamente il tasso di in�azione (che gli serve per determinare l'andamento del salario reale

e, in ultimo, per decidere se o�rirsi sul mercato del lavoro): u ≤ un ⇔ π ≥ πe. Nel �lungo

periodo�, tuttavia, l'equilibrio del mercato è tale che nessun operatore voglia rivedere le proprie

scelte; di conseguenza esso comporta l'assenza di errori di previsione e, conseguentemente, un

tasso di disoccupazione al livello naturale un. L'equilibrio di lungo periodo, per contro, lascia

indeterminato il tasso di in�azione che può assumere qualsiasi livello π = πe, senza per questo

modi�care le grandezze reali dell'economia (la disoccupazione rimane �ssa al livello un): l'equilibrio

di lungo periodo è quindi rappresentato da una curva di Phillips verticale nel punto u = un.

Questo elemento di errore nella previsione della variazione del livello dei prezzi e dei prezzi

relativi è presente in molti modelli economici a partire dai lavori di Milton Friedman degli anni

sessanta �no a quelli di Edmund Phelps e Robert Lucas dell'inizio degli anni settanta.

un

curva di Phillipslungo periodo

u

πe= 2

π

0

1

2

πe = 1

πe = 0

Figura 1: Curva di Phillips aumentata delle aspettative

Nulla abbiamo sin qui detto su come si formano le aspettative. Distinguiamo ora tra due versioni

del modello precedente, uno con aspettative adattive l'altro con aspettative razionali.

Aspettative adattive. Nel modello della curva di Phillips di scuola monetarista, proposto da

Friedman, le aspettative sull'andamento dei prezzi di alcuni operatori (i lavoratori) si formano in

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modo adattivo, sono cioè funzione dei valori passati dei prezzi; ad esempio, P e = P−1 (e quindi

πe = π−1). Così, tali operatori possono essere indotti in errore al variare dei prezzi correnti. Con

riferimento alla �gura 1, partendo da un livello di disoccupazione-in�azione (un, 0), una manovra

di politica �scale espansiva, volta a ridurre la disoccupazione a u < un, ha l'e�etto di far spostare

il sistema lungo la curva di Phillips passante per il punto suddetto, connotata da πe = 0, riducendo

u �no a u ed accrescendo proporzionalmente, ad esempio, �no a π. Se l'intervento non viene

ripetuto, nel periodo successivo, gli operatori rivedono le proprie aspettative, �ssando πe = 1, e

dato che �se nulla accade� le aspettative sono nuovamente corrette, la disoccupazione torna al livello

naturale, un (ricordate che quando π = πe, u = un). Se invece l'intervento espansivo di politica

economica viene reiterato nel tempo, l'autorità riesce nuovamente a sorprendere alcuni operatori e

a mantenere il livello u < un; ciò tuttavia al costo di un aumento ulteriore del tasso di in�azione.

Questo dimostra che, con aspettative adattive, politiche di stimolo della domanda aggregata sono

e�caci nel breve periodo; nel lungo periodo invece tali politiche sono ine�caci: in equilibrio πe = π,

e l'unica soluzione possibile è con u = un (la curva di Phillips è verticale nel lungo periodo).

Osservate che nel modello di Friedman è già in nuce la critica di Lucas all'uso dei modelli

macroeconomici per la valutazione degli e�etti delle politiche economiche. È evidente infatti che gli

interventi di politica economica modi�cano il comportamento degli operatori, che aggiornando le

proprie aspettative in base a quanto accade sul mercato si comportano, di fatto, in base a un diverso

modello di comportamento (curva di Phillips) di breve periodo. Se le aspettative costituissero

un parametro del modello macroeconomico, in luogo di un indice di molteplicità di modelli di

comportamento, avremmo una sola curva di Phillips di riferimento e la valutazione di e�cacia della

manovra ipotizzata sarebbe decisamente maggiore di quella esposta.

Aspettative razionali. Nel modello di Lucas, l'ipotesi che le aspettative degli operatori siano

�razionali� implica l'ine�cacia di qualsiasi regola certa di politica economica volta a stabilizzare l'e-

conomia a livelli di attività incompatibili con quelli di equilibrio di lungo periodo, u < un: la curva

di Phillips tende ad essere verticale anche nel breve periodo. L'intuizione di base per capire questo

risultato sta nel fatto che avere aspettative razionali vuole dire formare le aspettative utilizzando

tutte le informazioni a disposizione: le aspettative su una variabile si formano calcolando la media

aritmetica di quella variabile condizionata a tutta l'informazione (corrente e passata) disponibile;

quindi non solo π−1, ma eventualmente l'informazione che riguarda variabili come, ad esempio,

l'o�erta di moneta, la variazione della domanda aggregata, che possono rivelare informazione sul-

l'andamento futuro del tasso di in�azione. L'idea è che se esiste una correlazione (un legame di

dipendenza statistica) tra la variabile π che si vuole prevedere e altre variabili che osserviamo oggi,

m−1, π−1 e magari eventuali variazioni del saggio di salario, allora dovremmo sfruttarla per calcola-

re l'aspettativa su π. Questo implica, nell'esempio, che l'operatore razionale dovrebbe anche usare

l'informazione in suo possesso circa il modello di politica monetaria; quindi, ad esempio, l'eventuale

conoscenza della regola ottimale di policy che lega strumenti, m−1, a obiettivi, u (�ssi o variabili).

Per comprendere meglio il problema, supponiamo che l'obiettivo delle autorità sia proprio que-

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st'ultimo e che venga perseguito attraverso variazioni dello stock di moneta. I lavoratori, una volta

appreso tale modello di intervento, di fronte a un aumento dell'o�erta di moneta e del saggio di

salario o�erto dalle imprese potrebbero comprendere che ciò non può che tradursi in un aumento

del tasso di in�azione π, rispetto al livello precedente πe. Cosicché, ne terranno conto nel formare

le aspettative, propendendo per un tasso πe > π−1. Se il segnale informativo estratto dalle variabili

osservate è perfetto, πe = π, e si produrrà l'e�etto di neutralizzare la manovra politica monetaria,

congelando il tasso di disoccupazione al livello naturale.

La questione importante, e nuova, è che con il modello di aspettative razionali gli operatori

privati non cadono più in errori di previsione sistematici (le loro aspettative sono -per de�nizione-

corrette in media), al contrario di quanto avveniva con aspettative adattive. Più precisamente, sia

et = πt − πet l'errore di previsione commesso al tempo t-1 rispetto al tasso di in�azione al tempo

t. Con aspettative razionali, per de�nizione le aspettative sono calcolate come media aritmetica

condizionata all'informazione disponibile al tempo t-1: πet = Et−1(πt). L'errore di previsione è

quindi et = πt − Et−1(πt); in media, tale errore è nullo,

Et−1(et) = Et−1(πt − Et−1(πt)) = Et−1(πt)− Et−1(πt) = 0.

Questo vuol dire che , l'errore di previsione non è �sistematico�. Viceversa, con aspettative adattive

del tipo πet = πt−1, l'errore di previsione può essere è sistematico, ovvero ripetuto identicamente

nel tempo, anche da un operatore che conosce l'esistenza di una relazione deterministica tra m−1

e π e la potrebbe utilizzare ai �ni previsivi. Per cui, se il tasso di in�azione aumenta da un periodo

al successivo ripetutamente, anche in base a una regola deterministica, l'errore di previsione può

essere persistentemente positivo.

Conclude Lucas che l'unica possibilità che, nel modello con aspettative razionali un intervento

espansivo riesca a modi�care le grandezze reali dell'economia, è che sia, almeno in parte, inatteso. È

come dire che l'autorità di politica economica, invece di procedere con una logica di programmazione

deterministica alla Tinbergen, come quella ipotizzata precedentemente, cambi modello e regola di

intervento in modo inatteso (ad esempio, casuale) per gli operatori.

2.1 Come correggere la teoria classica per la critica di Lucas

Supponete di utilizzare la teoria di Tinbergen nel contesto di un modello economico come quello

di equilibrio generale analizzato per un'economia walrasiana. In tal caso, il modello oltre che con-

sentire un'analisi delle grandezze di domanda e o�erta aggregata, rappresenta in modo dettagliato

il contesto microeconomico di riferimento: le decisioni di consumo, risparmio, investimento e pro-

duzione dei singoli operatori, all'interno di ciascun mercato. In questo modo, per costruzione, esso

consente di valutare gli e�etti di politiche alternative, tenendo conto dell'eventuale risposta indivi-

duale degli operatori (inclusa la variazione della propensione al consumo, all'investimento etc.). Più

in generale, modelli macroeconomici che rappresentano i meccanismi di scelta individuali si dicono

microfondati. Anche a �ni di utilizzo pratico, i primi modelli microfondati, rappresentavano il

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comportamento individuale ricorrendo all'operatore (consumatori e produttori) rappresentativo; un

unico individuo il cui comportamento potesse rappresentare quello dell'individuo medio.

La microfondazione dei modelli macroeconomici serve quindi a consentire valutazioni degli e�etti

degli interventi di politica economica più precisi. Tuttavia, essa non comporta il superamento della

critica di Lucas circa l'ine�cacia delle regole di controllo della domanda aggregata, che anzi può

far emergere in modo chiaro. In altre parole, dobbiamo tenere distinti due aspetti della critica

di Lucas. Il primo riguarda la capacità della teoria classica di Tinbergen di utilizzare dei modelli

economici per predire correttamente gli e�etti di interventi alternativi di politica economica e può

essere superato con la micorfondazione degli stessi (modello di formazione delle aspettative incluso).

Il secondo aspetto riguarda il giudizio �nale sull'e�cacia di determinate strategie di intervento di

politica economica. Sull'ine�cacia sono state mosse diverse critiche. Nel prossimo paragrafo ne

menzioneremo alcune.

2.2 Quali prescrizioni di politica economica: le regole �semplici�.

La teoria neoclassica-monetarista di Friedman, Lucas e degli altri esponenti della scuola di Chicago

a�erma il principio che l'economia tenda naturalmente verso posizioni di equilibrio walrasiano (di

lungo periodo), le cui determinanti principali sono costituite dai fondamentali dell'economia: dota-

zioni di risorse, tecnologia, preferenze individuali, caratteristiche istituzionali/operative dei mercati

e delle autorità di politica economica. Come nell'economia walrasiana, in equilibrio il livello di atti-

vità economica, il tasso di occupazione, i prezzi relativi, i tassi di interesse reali e altre variabili reali

dipendono unicamente dai fondamentali. Il tentativo di stabilizzare l'economia su valori diversi da

quelli di equilibrio �a parità di fondamentali� risulta al più destabilizzante, innescando fenomeni di

aggiustamento più o meno complessi e lunghi che producono e�etti negativi sulla stabilità dei prezzi

e sugli equilibri di �nanza pubblica. Ciò costituisce una critica esplicita all'attivismo (o alla discre-

zionalità) delle politiche keynesiane di stabilizzazione della domanda aggregata e dell'occupazione

degli anni '960-'970.

Gli esponenti della scuola di Chicago basano su queste considerazioni, con enfasi diversa, la tesi di

una superiorità dell'utilizzo delle regole semplici di intervento sulle politiche discrezionali di matrice

keynesiana. Stabilire regole semplici signi�ca indicare trend di evoluzione o tassi di variazione di

una o più variabili di politica economica, rispetto a un periodo di riferimento, compatibili con un set

di obiettivi limitato, determinato e annunciato in modo chiaro. Le regole semplici, proprio perché

annunciano un determinato comportamento del policy maker, possono essere intese come un vero

impegno improrogabile che egli si assume. In questi casi le regole hanno l'e�etto di legare le mani

al policy maker, di fatto, forzandolo a seguire uno schema di intervento rigido e prevedibile.

Ad esempio, una regola semplice di politica monetaria consiste nello stabilire un obiettivo �nale

chiaro e facilmente veri�cabile come il livello di un certo tasso di in�azione e una condotta di in-

tervento basata sul mantenimento di un tasso di crescita annuo di un certo aggregato monetario,

ritenuto compatibile con il raggiungimento del predetto obiettivo �nale. Obiettivo rispetto al quale

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l'autorità di politica monetaria potrà comunicare si atterrà inderogabilmente (cioè in maniera incon-

dizionata) o solo in maniera prioritaria (cioè potrà derogarvi, ad esempio, in ragione dell'evolversi

del contesto economico complessivo).

La superiorità di queste regole rispetto a logiche di intervento più discrezionali e �essibili è stata

argomentata in modo diverso dagli esponenti della scuola di Chicago. Per Milton Friedman essa

derivava dalla tesi che gli interventi di politica economica (come osservato nell'esempio precedente)

innescano processi di aggiustamento delle variabili economiche lunghi e incerti; lo stesso e�etto

degli interventi è quindi incerto per intensità e tempi. Tale incertezza inoltre aumenta tanto più

gli obiettivi perseguiti dalle autorità di politica economica risultano istituzionalmente indetermi-

nati (o non determinati in modo esplicito e vincolante), oppure, potenzialmente in con�itto con

altri obiettivi pure percepiti dagli operatori privati come rilevanti per l'autorità. Per Friedman, la

conseguenza di questa situazione è che spesso una condotta discrezionale è di�cile da interpretare

e prevedere e �nisce per produrre i suoi e�etti in tempi lunghi e incerti; perché complesso sarà il

processo di revisione delle decisioni degli operatori del mercato e di riequilibrio dell'economia. La

conseguenza di ciò è che, ad esempio, in presenza di un peggioramento congiunturale, interventi di

stimolo alla domanda aggregata possano esplicare i propri e�etti quando ormai il sistema economico

ha imboccato il sentiero della ripresa; con e�etti addirittura pro-ciclici, indesiderati. Questa inef-

�cacia e potenziale indesiderabilità delle politiche discrezionali, spinge a concludere la superiorità

delle regole semplici.

Lucas motiva diversamente la superiorità delle regole semplici. Per Lucas la questione centrale

è la razionalità degli operatori. L'economia si aggiusta comunque verso posizioni di equilibrio di

lungo periodo e qualsiasi intervento volto a cercare di modi�carle è ine�cace se risulta con esse

incoerente. Quindi, nella migliore delle ipotesi, un intervento temporaneo di politica economica,

ovvero che non modi�ca i fondamentali,

• avrà e�etti �nali solo sull'in�azione e sulla �nanza pubblica,

• nel breve periodo, se produrrà degli e�etti imprevisti dagli operatori privati (errori di previ-

sione), potrà avere e�etti reali (su occupazione, reddito, prezzi relativi).

Tuttavia, Lucas aggiunge che un eccessivo attivismo, volto a sfruttate gli 'e�etti sorpresa', porta

a modi�care il comportamento stesso degli operatori. Ad esempio, una politica monetaria molto

attiva che determina un aumento del tasso di in�azione, tende a ridurre la capacità informativa

stessa dei prezzi in merito all'evolversi delle condizioni dei mercati. Sicché si modi�ca anche la

risposta degli operatori, u− un, agli errori di previsione, πe − π. Gra�camente, quello che avviene

e che le curve di Phillips aumentate delle aspettative diventano più pendenti nel piano (u, π) (il

coe�ciente a aumenta) all'aumentare della varianza di m e dell'in�azione π. Il che ovviamente

implica una riduzione dell'e�cacia delle politiche di stabilizzazione. In conclusione, in presenza

di shock di natura ciclica (quindi temporanea) un intervento di stabilizzazione diviene risulta più

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e�cace se basato su una regola semplice che, resa nota agli operatori, li aiuti a coordinare le proprie

aspettative e azioni verso il raggiungimento di situazioni coerenti con l'equilibrio di lungo periodo.

Queste ultime considerazioni e, in particolare, il fatto che l'azione di politica economica possa

modi�care il comportamento degli operatori, illustra il contenuto della critica di Lucas all'utilizzo

dei modelli macroeconomici per la programmazione di politica economica.

La posizione forse più interessante a sostegno delle regole semplici è, tuttavia, quella che si

fonda sulla teoria della consistenza dinamica o intertemporale delle scelte di politica economica.6

Le regole risultano essere massimalmente e�caci nello stabilizzare l'economia (quindi ottimali) e

per questo preferibili a forme di intervento discrezionale, nella misura in cui esse sono:

• coerenti con i valori di equilibrio di tali variabili economiche (e quindi con i fondamentali);

• sostenibili e quindi credibili.

Sulla coerenza ci siamo già so�ermati menzionando la posizione di Lucas: in presenza di uno

shock inatteso (della domanda o dell'o�erta) l'introduzione di tali regole indica agli operatori il

sentiero corretto di aggiustamento, aiutandoli a coordinare le proprie aspettative e decisioni verso

l'equilibrio. Rimane quindi da chiarire cosa si intende per sostenibilità. Una regola è sostenibile

nel tempo se si ritiene che l'autorità che la propone non abbia interesse (o non si trovi costretta)

a disattenderla, modi�cando il proprio comportamento. La sostenibilità dipende quindi, in primo

luogo, dalle preferenze (o dalla funzione obiettivo) del policy maker, che (come motiveremo in

seguito) potrebbero non coincidere con quelle degli operatori privati e in secondo luogo da vincoli

operativi o di mercato che possano limitarne la manovra. Per garantire la sostenibilità si possono

sostanzialmente sfruttare tre tipologie di meccanismi:

• un sistema di regole istituzionali che vincoli operativamente il policy maker;

• un sistema di deleghe ad autorità che per caratteristiche istituzionali possono garantire l'at-

tuazione delle regole;

• meccanismi reputazionali.

I primi due punti sono nella sostanza analoghi. Una regola proposta da un policy maker è

sostenibile se egli è istituzionalmente votato e vincolato a perseguirla. Ciò implica che determi-

nate funzioni e obiettivi che sono tra loro incompatibili rendano le regole di�cilmente sostenibili.

Ad esempio l'autorità di politica monetaria europea (il Sistema Europeo delle Banche Centrali)

è vincolata per statuto (art. 105) a perseguire come obiettivo prioritario la stabiltà dei prezzi e

collabora all'attuazione degli indirizzi generali di politica economica della Comunità solo ove ciò

non pregiudichi la stabilità dei prezzi.

Per illustrare meglio questo aspetto, riprendiamo l'esempio 2.

6Per citare solo alcuni dei contributi più signi�cativi, Kydland e Prescot (1977), Barro e Gordon (1983), Rogo�

(1985).

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Esempio 3 (esempio 2 cont.)7 Osserviamo che il policy maker, in base alla funzione di perdita

(7), persegue due obiettivi: la stabilizzazione dell'in�azione e quella della disoccupazione. Tali

obiettivi comportano il controllo di due variabili economiche, in�azione e disoccupazione, tra le

quali (nell'economia considerata) esiste un trade-o�. Questo trade-o� implica che una riduzione

dell'in�azione possa avvenire solo al costo di un aumento della disoccupazione. Supponiamo che la

regola di politica monetaria proposta sia la stabilizzazione del tasso di in�azione al 2 per cento. In

tal caso, l'equazione (9) indica che ciò possa avvenire solo accettando un tasso di disoccupazione

u = 5/2 (l'equazione (8) ci dice che questo richiede un m = 3/4). Ma una tale regola di politica

monetaria non è sostenibile, dato che il policy maker, le cui preferenze sono caratterizzate dalla

funzione (7) può ottenere un risultato migliore (minor perdita) deviando dalla regola, nella direzione

ottimale (u∗, π∗,m∗) =(1 + 2

3 , 3 +23 , 2 +

56

)calcolata precedentemente. Quindi, facendo nei fatti

una politica monetaria più espansiva di quella richiesta dalla regola per contenerne gli e�etti negativi

sulla disoccupazione. Possiamo generalizzare e concludere: qualsiasi regola che indichi target di

in�azione o di disoccupazione diversi da quelli ottimali (u∗, π∗) non è sostenibile. Supponiamo però

che vengano modi�cate le funzioni istituzionali del policy maker (o che, equivalentemente, venga

delegata la politica monetaria a un policy maker) in modo che ora la sua funzione obiettivo sia

quella di minimizzare una funzione di perdita che dipende solo dallo scostamento dell'in�azione dal

target del 2 per cento; più semplicemente, supponiamo che il livello di perdita sia

1

2(π − 2)2 (13)

Gra�camente, nel piano (u, π), la funzione di perdita è una retta orizzontale con intercetta pari allo

scostamento dal target di in�azione.

La regola è ora sostenibile in quanto nessun altro livello di in�azione e manovra di politica mone-

taria, consente al policy maker di ridurre la perdita rispetto al target di 2.

La sostenibilità delle regole può essere garantita anche da meccanismi reputazionali.8 In con-

testi nei quali il policy maker sa di dover misurare l'e�cacia dei propri interventi in un orizzonte

temporale lungo, magari di durata inde�nita, sa che la deviazione da una regola annunciata gli può

costare cara. L'idea di fondo sul rapporto policy maker-operatori di mercato è simile a quella che

sussiste tra creditori e debitori. Il debitore �a parità di altre caratteristiche� riesce ad avere accesso

al credito a condizioni complessive di costo tanto più vantaggiose, quanto più lunga e specchiata è la

sua storia creditizia. Il fatto che egli abbia rispettato puntualmente i suoi impegni gli ha consentito

di costruirsi la reputazione di soggetto a�dabile. La reputazione acquisita diventa per il debitore

un vero e proprio asset il cui valore può svanire rapidamente ove egli, a un tratto, decidesse di non

rispettare più i suoi impegni. Similmente, il policy maker che si è costruito una reputazione circa

7Questo esempio è stato costruito sugli argomenti di Rogo� (1985).8Questo è il contributo principale di Barro e Gordon (1983).

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0 2 4 6 8

-5

0

5

disoccupazione u

infl

azio

neΠ

l'attuazione di determinate regole, sa che disattenderle avrà l'e�etto di ridurre l'e�cacia futura

dei propri interventi e di accrescerne il costo. Ad esempio, negli impegni di �nanza pubblica, la

reputazione di uno Stato rispetto all'attuazione di una regola di riduzione del debito pubblico, ha

l'e�etto di contenere i costi connessi alla gestione presente del debito (ad esempio, i costi di rinnovo

dei titoli in scadenza in termini di interesse e durata). Ancora, una banca centrale che si è costruita

una reputazione di rigore nella lotta all'in�azione, riuscirà a perseguire tale obiettivo con interventi

restrittivi, di aumento dei tassi di interesse, tanto più contenuti quanto più consolidata sarà tale

reputazione.

In questi esempi è evidente il ruolo che possono giocare le aspettative degli operatori. Repu-

tazione implica sostenibilità e quindi credibilità delle regole. Gli operatori razionali, una volta

compreso ciò, adegueranno i propri comportamenti nel senso di garantire un più rapido e�etto degli

interventi. Per riprendere l'esempio precedente, se la regola di politica monetaria è sostenuta dalla

reputazione della banca centrale, una volta annunciata, indicherà agli operatori il comportamento

futuro della banca centrale. Quindi, se l'annuncio riguarda una stretta monetaria per contenere

l'in�azione, essi cercheranno di anticiparne gli e�etti, accrescendo la propria domanda di liquidità

e riducendo quella di titoli, soprattutto a medio-lungo termine. Ciò tende a spingere al ribasso il

corso dei titoli (in circolazione a tasso �sso) e a far lievitare i tassi di interesse (sui titoli di nuova

emissione). L'e�etto �nale è quello di contenere la domanda aggregata e il tasso di in�azione, anche

con interventi restrittivi moderati sul mercato monetario.

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2.3 Alcuni elementi di insoddisfazione rispetto alle premesse e alle con-

clusioni dei teorici delle aspettative razionali

Per completezza, è bene mettere in guardia sul fatto che la tesi della totale ine�cacia delle politiche,

1. non si estende a qualsiasi contesto o modello economico e

2. non si riferisce a qualsiasi misura di intervento di politica economica.

In merito al primo punto, la critica non vale, ad esempio, per modelli nei quali la curva di

Phillips (o curva di o�erta) non è lineare; non vale inoltre quando la curva di o�erta è forward

looking, contiene cioè aspettative (non solo sul valore presente, ma anche) sul valore futuro di

alcune variabili economiche.

Inoltre, la tesi della totale ine�cacia di politiche di controllo della domanda aggregata non vale

in un contesto nel quale l'economia è caratterizzata da costi di aggiustamento dei prezzi, da mercati

non-concorrenziali o da mercati incompleti (qualunque ne sia la causa�esternalità, asimmetrie infor-

mative o altra).9 In questi contesti il processo di aggiustamento dei prezzi da parte degli operatori

a seguito di uno shock macroeconomico è più lento e contenuto. Cosicché�in analogia col modello

IS-LM di base� il conseguente riequilibrio, di breve periodo, dei mercati avviene principalmente per

e�etto di un aggiustamento delle quantità (occupazione, produzione, consumo, reddito) piuttosto

che per e�etto di un aggiustamento dei prezzi. Shock macroeconomici, anche di natura nominale,

possono quindi avere e�etti reali sull'economia potenzialmente persistenti. Un intervento di sta-

bilizzazione dell'economia, volto a contrastarli e a stabilizzare la domanda aggregata risulterebbe

quindi e�cacie, oltre che opportuno. Tuttavia, riconoscere tale opportunità rappresenta una tesi

a favore del mantenimento di un certo grado di discrezionalità nelle scelte di intervento di politica

economica. In altri termini, se una regola semplice viene utilizzata essa deve comunque prevedere

che le autorità la possano modi�care in presenza di situazioni nelle quali ciò risulta opportuno, in

tempi e con procedure rapide. Il punto di compromesso diventa quindi quello di regole condizio-

nate o basate su chiari indicatori di priorità tra obiettivi potenzialmente discordanti; ad esempio

si può stabilire che la banca centrale persegua prioritariamente l'obiettivo di stabilità dei prezzi e

secondariamente (in situazioni nelle quali il tasso di in�azione è sotto controllo) sostenga le poli-

tiche �scali del governo.10 Di ciò si dovrebbe tener conto nel momento nel quale si stabiliscono

le caratteristiche istituzionali del sistema di intervento. In �ne, sull'opportunità di mantenere una

certa discrezionalità o �essibilità istituzionale incidono le valutazioni dei bene�ci di tali politiche,

sia in termini di e�cacia nel controllo degli obiettivi, sia in termini di e�etti che tale controllo ha

sul benessere sociale.

Per oltre due decenni, dalla �ne degli anni ottanta a oggi, gli economisti si sono confrontati

sui costi dell'instabilità economica e quindi sui bene�ci potenziali delle politiche di stabilizzazione

9Questo è il caso dei modelli neokeynesiani.10Un esempio di questo tipo è proprio quello della Banca Centrale Europea.

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ciclica.11 Questi costi sono connessi alla variabilità indesiderata del consumo aggregato e individuale

nel tempo; in altri termini, gli shock macroeconomici che sono alla base degli andamenti ciclici sono

una fonte di rischio rispetto al quale i consumatori potrebbero avere di�coltà ad assicurarsi. In

estrema sintesi, i risultati principali, anche se non de�nitivi e univoci, sono i seguenti. L'instabilità

ciclica tende a produrre e�etti diversi in funzione della natura degli shock, delle caratteristiche

istituzionali dell'economia considerata, della fascia socio-economica di appartenenza degli operatori.

Le economie dei paesi sviluppati, nel complesso, si difendono piuttosto bene dagli e�etti delle

�uttuazioni cicliche. Diversi meccanismi assicurativi, che vanno dal risparmio precauzionale delle

famiglie agli ammortizzatori sociali e ad altre tutele o�erte dal mercato del lavoro, consento a molte

famiglie di ridurre l'e�etto delle �uttuazioni cicliche del proprio reddito sui consumi. Tuttavia,

primo, ciò non avviene per tutte le famiglie nella stessa misura; in particolare, la fascia degli

individui a più basso reddito tende a godere in misura inferiore di queste tutele assicurative ed è

quindi più esposta agli e�etti del ciclo. Inoltre, la quasi totalità dei meccanismi di assicurazione

dal rischio ciclico disponibili alle famiglie hanno natura temporanea: è sicuramente così per il

risparmio precauzionale che �ove disponibile� si esaurisce naturalmente al protrarsi di una situazione

di riduzione del reddito individuale; è anche così per molti ammortizzatori sociali che hanno natura

temporanea. Quindi, se gli shock macroeconomici hanno e�etti duraturi, il loro costo crescerà in

misura considerevole. Ad esempio, shock persistenti al reddito come la perdita del posto di lavoro,

senza un reintegro a breve, lascia il lavoratore esposto a ovvie e pesanti ripercussioni sul suo livello

di consumo. Inoltre, anche dopo il reintegro, il lavoratore può dover impiegare diversi anni per

ricostituire la sua situazione economica; la perdita del lavoro può ad esempio portare a insolvenze

�nanziarie con e�etti di far perdere al lavoratore stesso beni di consumo durevoli (come la casa)

o beni strumentali necessari alla sua attività o deprezzare il suo capitale umano di conoscenze

professionali.

Alcune altre argomentazioni sono state sollevate, più in generale, contro le posizioni della scuola

di Chicago.

Per almeno due decenni gli economisti si sono scontrati cercando di confutare la critica (o le

critiche) di Lucas e della scuola di Chicago (che poi va ben oltre i con�ni di quella prestigiosa

istituzione). Lavori empirici e di metodologia econometrica sono stati utilizzati per veri�care la

portata e�ettiva di tale critica, raggiungendo risultati tutt'altro che univoci.

In �ne, risulta discutibile anche una delle ipotesi centrali, comuni, alla teoria macroeconomica

di questa scuola: l'ipotesi che l'economia sia popolata da operatori con aspettative razionali. Nei

modelli con aspettative razionali si suppone che ciascun operatore conosca il modello statistico che

e�ettivamente genera i dati economici. In altre parole, se vi è incertezza circa l'andamento delle

variabili economiche future, non vi è alcuna incertezza in merito alla distribuzione statistica che

caratterizza tali variabili. Di conseguenza, gli operatori saranno in grado di anticipare corretta-

mente la loro media, varianza etc. Hansen e Sargent (anch'essi esponenti della cosiddetta scuola di

11Il dibattito origina da un libro di Robert Lucas, Models of Business Cycles, Basi Blackwell, 1987.

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Chicago) hanno recentemente messo in discussione tale ipotesi, osservando che negli studi empirici,

ad esempio econometrici, si ammette vi sia un certo grado di incertezza su quale sia il vero modello

statistico che genera i dati. In altre parole, l'analista non è sicuro che i dati siano caratterizzati da

una certa distribuzione statistica, ovvero abbiano una certa media, varianza etc. L'econometrico,

in genere, si pone il problema di valutare se il modello usato per spiegare un dato fenomeno (ad

esempio la determinazione del tasso di in�azione e di disoccupazione di equilibrio) sia �speci�cato

correttamente�. Essi concludono quindi che sarebbe naturale assumere che gli operatori privati

so�rano degli stessi limiti dell'econometrico; ovvero, possano essere incerti rispetto al modello che

genera i dati economici e quindi si pongano il problema di una sua corretta speci�cazione.

L'analisi di Hansen e Sargent si collega ad un problema più generale, già rilevato da Keynes e

Knight, di distinguere tra �rischio� e mera �incertezza�. Per �rischio�, si intende l'esistenza di una

situazione sì incerta, ma i cui esiti si distribuiscono secondo una funzione di distribuzione, o modello

statistico, noti. Ad esempio, un lavoratore nell'anno a venire a�ronta il �rischio� di cambiamento

del suo status, 1 =mantiene la sua posizione, 2 =viene promosso, 3 =viene retrocesso, se egli

è a conoscenza di potersi trovare nei tre stati con una certa distribuzione di probabilità (ad es.,

rispettivamente, con probabilità 3/5 e 1/5 e 1/5). Ciò con�gura appunto un �rischio�, perchè il

lavoratore conosce la probabilità (a priori, oggettiva) del veri�carsi degli eventi. In altre parole egli

conosce il modello statistico che genera i dati sul suo status di lavoratore. Viceversa, alcuni eventi

possono risultare �incerti� per l'individuo; questi sono eventi rispetto ai quali non è noto il modello

statistico di riferimento (ovvero sussiste una situazione di ambiguità). Ad esempio, il lavoratore può

non essere proprio in grado di attribuire una probabilità ad alcuni eventi, oppure può essere incerto

su quale sia la distribuzione associata al suo status di lavoratore; a titolo illustrativo, egli potrebbe

essere incerto rispetto al fatto che le probabilità dei tre eventi siano 3/5 e 1/5 e 1/5, oppure 1/3 e

1/3 e 1/3, oppure essere solo in grado di dire che la probabilità di non essere retrocesso è compresa

tra 1/3 e 2/3.12 L'esistenza di incertezza/ambiguità ha e�etti sulle scelte e il comportamento degli

operatori. In particolare, se gli individui sono avversi (ovvero patiscono) l'ambiguità nella quale si

trovano tenderanno a pesare in misura relativamente maggiore la possibilità che si veri�chino eventi

negativi, come il peggioramento delle prospettive economiche in caso di recessione e di crisi. Di

conseguenza essi e la collettività nel suo insieme, valuteranno più consistenti i bene�ci di interventi

di stabilizzazione ciclica che oltre a ridurre il rischio nel consumo, attenuino gli e�etti dell'ambiguità

riducendo le conseguenze derivanti dagli eventi negativi.

Per concludere, ci rimane da chiarire il punto 2. La critica di Lucas in merito all'ine�cacia degli

interventi di politica economica si riferisce alle politiche di controllo della domanda aggregata. Si

tratta di politiche basate su regole di stabilizzazione di tipo keynesiano, sul tipo di quelle esaminate

nell'esempio costruito sul modello della curva di Phillips. Un'alternativa, suggerita anche dalla

scuola di Chicago sono le politiche dell'o�erta ; in estrema sintesi, interventi volti a migliorare

12Il tasso di ambiguità su un evento può essere misurato dalla di�erenza tra la probabilità massima e la minima

di un suo veri�carsi (nell'ultimo esempio, l'ambiguità circa l'evento di non essere retrocesso è 2/3− 1/3 = 1/3).

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i fondamentali dell'economia, incluso l'assetto istituzionale. Questi, possono accrescere il reddito

prodotto e l'occupazione, sostanzialmente, attraverso il conseguimento di un maggior grado di

e�cienza produttiva e allocativa. La domanda aggregata aumenterebbe, all'equilibrio, per l'e�etto

di un aumento dell'o�erta aggregata, non il viceversa.

In un modello standard di o�erta-domanda aggregata (AS-AD), una politica dell'o�erta che, ad

esempio, riesce a accrescere l'e�cienza produttiva, avrebbe l'e�etto di far traslare verso sud-est la

AS, nel piano (Y, P ). Tale guadagno di e�cienza, infatti, avrebbe l'e�etto di renderebbe possibile e

conveniente per le imprese produrre di più allo stesso prezzo. Data la posizione della AD, quindi, si

determinerebbe un nuovo equilibrio nel quale si produce e si consuma di più, a un più basso livello

dei prezzi.

Analogamente, nell'esempio basato sulla curva di Phillips, le politiche dell'o�erta potrebbero

avere come obiettivo la riduzione del tasso naturale di disoccupazione; garantendo così un accre-

scimento permanente dell'occupazione e del reddito reale, a parità di domanda aggregata. Ciò

potrebbe essere ottenuto attraverso interventi regolamentari e/o infrastrutturali volti a migliorare

il funzionamento del mercato del lavoro, con l'accorciamento dei tempi di ricerca di lavoro (disoc-

cupazione frizionale) e il contenimento degli oneri del lavoro diversi dal salario (ad esempio oneri

contributivi o contrattuali). Ancora, politiche volte a ridurre i costi produttivi o ad accrescere la

produttività dei fattori (ad esempio, con infrastrutture pubbliche e incentivi alla ricerca e svilup-

po) e del capitale umano (ad esempio, con politiche volte ad alzare il tasso di istruzione). Tra le

misure di riduzione dei costi produttivi, vi sono anche quelle volte ad alleggerire la pressione �scale

e sempli�care le procedure burocratiche alle quali sono sottoposte le imprese.

2.4 La teoria positiva della politica economica come ulteriore critica

all'approccio classico di Tinbergen

Esiste una teoria positiva della politica economica che studia le modalità con le quali vengono

assunte le decisioni dei policy maker. Questi ultimi sono spesso portatori di interessi propri, o

rappresentano gli interessi di una parte della popolazione. Il processo decisionale che è alla base

delle scelte di politica economica si basa in larga parte su un meccanismo di delega politica. Nei

regimi democratici i cittadini-elettori concorrono in modo più o meno diretto alla nomina di organi

di governo locale e centrale ai quali delegano l'esercizio di funzioni di politica economica. La delega

è un mandato generale a governare, che lascia ampia autonomia decisionale ai delegati che spesso

gli esercitano perseguendo obiettivi che non coincidono con il benessere sociale. Di questo tratta il

capitolo 5 di Acocella N., Politica economica e strategie aziendali Carrocci, 2006.

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3 [Facoltativo] Un approfondimento del contenuto pratico e

teorico della regola aurea di Tinbergen

Illustriamo il contenuto pratico e teorico della regola aurea di Tinbergen con l'esempio usato sin

qui e con un po' di formalizzazione in più. Il sistema completo delle forme ridotte del modello

economico (1) è

d = G− T

N =1

ρ(1− c)(G− cT + I)

Y =1

1− c(G− cT + I) (14)

AD =1

1− c(G− cT + I)

C =c

1− c(G− T + I)

Sia β = (1−c)−1 il moltiplicatore keynesiano; posso scrivere tale sistema in forma matriciale, come

segue: d

N

Y

AD

C

=

1 −1 0

β/ρ −cβ/ρ β/ρ

β −cβ β

β −cβ β

cβ −cβ cβ

G

T

I

x = (x1, x2)′ ≡

((G,T ) , I

)′, x1 sono gli n = 2 strumenti e x2 le z = 1 altre esogene;13

y = (y1, y2)′ ≡

((d,N

), (Y,AD,C)

)′, y1 sono gli m = 2 obiettivi �ssi e y2 le altre k = 3

endogene; Γ è la matrice dei parametri del modello. Usando tali de�nizioni, possiamo scrivere il

sistema delle forme ridotte (14) usando una delle due seguenti forme:14

y = Γx y1m×1

y2k×1

=

Γ1m×n

Γ2m×z

Γ3k×n

Γ4k×z

x1n×1

x2z×1

13(·)′ indica la trasposizione. Per un vettore di m elementi, a = (a1, .., am)′ denota che a è un vettore colonna,

m× 1.

14Γ1 =

(1 −1

β/ρ −cβ/ρ

),Γ2 =

(0

β/ρ

),Γ3 =

β −cβ

β −cβ

cβ −cβ

,Γ4 =

β

β

.

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La seconda rappresentazione è particolarmente utile perchè isola le forme ridotte che contengono

gli obiettivi, y1, tra le endogene da quelle che contengono le altre endogene y2.

y1 = Γ1x1 + Γ2x2 (15)

y2 = Γ3x1 + Γ4x2

Come abbiamo detto, il policy maker è interessato a trovare il valore degli strumenti che è compa-

tibile con un certo valore degli obiettivi �ssi e delle esogene (diverse dagli strumenti). Ciò consiste

nel risolvere il sistema rispetto alle variabili strumento, in x1. Dato che si tratta di un sistema di

equazioni lineari, posso fare riferimento alle regole di risoluzione per tali sistemi e in particolare al

teorema di Rouché-Capelli. Nello speci�co, posso risolvere il sistema in x1 in modo da garantire

il raggiungimento di tutti gli obiettivi �ssati se Γ1 ha rango pieno di riga, m;15 il che richiede un

numero di obiettivi (le m righe di Γ1 e le m equazioni in (15)) che non superi le variabili di policy

controllabili (le n colonne di Γ1, le variabili strumento che voglio determinare). Inoltre, per avere

rango m è necessario che Γ1 abbia m colonne indipendenti, ovvero che vi siano m ≤ n variabili di

policy indipendenti (un requisito essenziale per gli �strumenti�. Analizziamo due casi,

(m = n) Se n = m, la matrice Γ1 è quadrata; così, se invertibile (cioè se il suo determinante è diverso

da zero�nell'esempio è uguale a 1/ρ), allora, la soluzione del modello di politica economica è

unica e posso scriverla come segue,16

x1 = Γ−11 y1 − Γ−1

1 Γ2x2 (16)

Tale equazione indica, univocamente, il valore che deve assumere ciascuna variabile strumento

in x1 per dati obiettivi y1 e altre esogene x2 del modello. E' la forma ridotta del modello di

politica economica (anche detta �forma ridotta inversa�). Nell'esempio, x1 = (G,T )′ sono gli

strumenti, y1 =(d,N

)′sono gli obiettivi e x2 = I è l'unica esogena addizionale del modello.

Quindi, sostituendo nel sistema di equazioni (16),(G

T

)=

(− c

1−c , ρ

− 11−c , ρ

)((d

N

)−

(0

β/ρ

)I

)

=

(− c

1−c , ρ

− 11−c , ρ

)(d

N − (β/ρ) I

)15La condizione necessaria e su�ciente per risolvere il sistema, secondo il teorema di Rouché-Capelli è che il rango

della matrice Γ1 sia uguale a quello della matrice completa(

Γ1 b)dove b ≡ y1 − Γ2x2. Infatti, esplicitando

il sistema y1 = Γ1x1 + Γ2x2 rispetto agli strumenti: Γ1x1 = y1 − Γ2x2, dove quest'ultimo termine (uguale a b)

costituisce la componente esogena del sistema.16Posso premoltiplicare l'equazione y1 = Γ1x1 + Γ2x2 per Γ−1

1 (invertibile perchè di rango pieno n) e usare il

fatto che Γ−11 Γ1 coincide con la matrice diagonale indentità, In, Inx1 = x1:

Γ−11 y1 = Γ−1

1 Γ1x1 + Γ−11 Γ2x2

Γ−11 y1 = x1 + Γ−1

1 Γ2x2

da cui, esplicitando rispetto a x1 si ottiene il risultato.

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Ovvero, (G∗, T ∗), in (4) e (5), è la soluzione unica che consente di perseguire entrambi gli

obiettivi.

(m < n) Osservate che la condizione per la quale Γ1 ha rango pieno di riga equivale a dire che al più m

colonne di tale matrice sono indipendenti fra loro, ovvero che delle n variabili di policy solo m

possono essere e�ettivamente determinate, dati i valori delle altre variabili strumenti (e dati

gli obiettivi e le altre esogene); in questo consiste il requisito di �indipendenza� delle �variabili

strumento�: le m equazioni che possiamo estrarre dal sistema originario e che risolviamo

per determinarli, sono fra loro indipendenti. Analizziamo meglio questo punto. Nel caso di

m < n, Γ1 è una matrice (m× n) con al più rango m. Se essa è di rango pieno m, possiamo

selezionare m strumenti (colonne della matrice) che possono essere determinati esattamente,

come soluzione del modello, per dati valori delle altre variabili di policy rimanenti, delle

esogene e degli obiettivi. Per non appensantire l'esposizione ulteriormente rimandiamo questo

esercizio alla sezione che segue. Nel caso speci�co del modello considerato, assumendo che vi

sia un solo obiettivo (m = 1) d e n = 2 strumenti G,T ,

x = (x1, x2)′=((G,T ) , I

)′, x1 sono gli (n = 2) strumenti e x2 le esogene (diverse dagli

obiettivi);

y = (y1, x2)′=(d, (N,Y,AD,C)

)′, y1 sono gli obiettivi e y2 le altre endogene (diverse dagli

strumenti);

Essendo y1 = d, x1 = (G,T )′, x2 = I,Γ1 = (1,−1),Γ2 = 0, sostituendo nella (15) troviamo

d =(

1, −1)( G

T

)− 0× I

= G− T

Quindi, banalmente, G∗ = d+ T ; possiamo considerare l'uso del solo strumento G, e Γ11 = 1

(Γ12 = −1), trovare così un valore di G per ogni valore di T (∞1 soluzioni). Analogamente,

nel caso usassi T come strumento, avrei una soluzione per ogni valore �ssato di G.

In generale, come illustrato nell'appendice, se m < n, possiamo estrarre da Γ1 una sottoma-

trice quadrata di dimensione m, invertibile, che ci consente di determinare una soluzione per

m strumenti in funzione degli m obiettivi e degli n −m strumenti rimanenti. Dato che tale

soluzione dipenderà dal valore assunto dai rimanenti n −m strumenti, possiamo concludere

che avrò ∞n−m soluzioni (ciascuno strumento dei rimanenti può assumere in�niti valori e di

questi strumenti ve ne sono n−m).

3.1 Illustrazione della soluzione di un modello con obiettivi �ssi sotto-

determinato

Con riferimento al sottosistema (15), partizioniamo Γ1 in due sottomatrici delle quali la prima,

Γ11, è quadrata (m×m) e contiene le prime m colonne di Γ1, l'altra contiene le n − m colonne

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rimanenti. Per semplicità, ipotizziamo che Γ11 sia di rango pieno m;17 quindi abbiamo

Γ1m×n

≡(

Γ11m×m

Γ12m×(n−m)

)con Γ11 che è una matrice invertibile. In tal caso possiamo riscrivere la (15) come,

y1 = Γ11x11 + Γ12x12 + Γ2x2

con x1 = (x11, x12)′, dove x11 raccoglie i primi m strumenti e x12 i rimanenti n − m strumenti.

Possiamo quindi risolvere per gli m strumenti in x11,

x11 = Γ−111 y1 − Γ−1

11 (Γ12x12 + Γ2x2)

Tale equazione è la soluzione di m strumenti x11 in m obiettivi y1, per dati valori delle esogene x2

e (questa è la novità) per dati valori degli n−m strumenti rimanenti x12..

17Nel caso quest'ultima ipotesi non valga e avessi un'altra sottomatrice quadrata di rango pieno, diversa dalla

prima, possiamo semplicemente riscrivere in un ordine diverso le equazioni del sistema in modo da ottenere una

formulazione equivalente a quella presentata.

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