Omelia domenica in albis 2012

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Domenica in Albis 2012 “Beati quelli che non hanno vistoe hanno creduto” Il problema di Tommaso è un problema molto serio. È il problema dei discepoli che, dopo aver creduto in Gesù, aver giocato la vita per Lui, aver lasciato tutto per poterlo seguire; dopo aver visto la sua bontà, i suoi segni, dopo tutto questo, si ritrovano a vedere e a vivere lo scandalo della croce. La croce aveva rovinato tutto, e in modo irreversibile; aveva rovinato questo sogno di un salvezza definitiva, di un compimento della storia. Pensavano che Gesù fosse il Messia atteso, il Figlio di Davide, e poi... E poi la croce, che non è solo la morte, è una morte infame, umiliante, la morte dei condannati. Una morte senza speranza. E questo era successo proprio pochi giorni prima, siamo nel pieno della delusione, nel lutto, nella rabbia. La reazione di Tommaso non ci deve stupire; anzi, ci dovrebbe stupire se, dopo tutto questo, uno credesse senza problema all’annuncio che quest’uomo, finito così, sia vivo. Il problema di Tommaso è quello di mettere insieme la croce e la risurrezione, di poter arrivare a capire come proprio quest’uomo, morto proprio così, ora sia vivo. Per questo vuole vedere le piaghe, vuole mettere le sue mani dentro questi segni di morte, vuole vedere come siano diventati segni di gloria. Questo problema serio non è solo di Tommaso: è il grande scandalo che l’evento di Gesù Cristo ha suscitato sia in ambito ebraico che in ambiente pagano, è la reazione del mondo intero di fronte a questa pretesa ostinata, da parte di un gruppo di povera gente, a credere e a dire che quest’uomo, finito così, fosse Dio. Perché era veramente un annuncio assurdo: - per gli Ebrei: come poteva essere che la salvezza venisse al mondo attraverso un uomo che era morto della morte dei maledetti? Questa salvezza, che veniva loro attraverso la legge, attraverso il culto, i sacrifici, l’elezione, la circoncisione...Ora avrebbero dovuto credere non solo che tutto questo non serviva più, ma che ora bastava credere in un uomo morto in un modo che la stessa loro legge diceva maledetto! - E poi per i pagani: per il mondo romano, se la legge aveva messo a morte quest’uomo, significa che era un malfattore. E da quando la salvezza viene da un brigante? Come accettare la pretesa che un Dio abbia potuto farsi uomo, e poi soffrire e addirittura morire? Perché avrebbe dovuto farlo? Gesù è uno scandalo, perché ha ucciso l’immagine di Dio che ogni uomo si porta dentro. L’immagine di un un Dio che non si coinvolge, che non soffre, un Dio lontano, un Dio chiuso dentro i limiti dell’esperienza umana. Gesù non è questo, ed è invece un Dio che ha la pretesa di amare fino alla fine, fino alla follia. Gesù ha ucciso dunque l’immagine di Dio, ma anche quella dell’uomo. Ha ucciso l’immagine di un uomo forte, ricco, capace di cavarsela sempre, di gestire la vita secondo i propri schemi. L’uomo “inaugurato” da Gesù è un uomo fallito, un perdente, uno che difficilmente farà strada, che difficilmente avrà successo. Come credergli? Ma questo “problema” non è solo di Tommaso, non è neanche solo della polemica anticristiana dei primi secoli. Il problema è anche nostro. Perché credere alla risurrezione di Gesù non è facile, e forse è meno facile di quanto pensiamo. Possiamo credere alla croce, a questo Dio che arriva a dare la vita per noi, in un eccesso di generosità. Ma che proprio da lí venga la salvezza, che proprio da lí venga la vita, questo è un abisso. Che anche dentro la nostra morte, dentro la nostra debolezza e sofferenza sia nascosta la vita vera, questo è un abisso. Eppure questa è la fede cristiana; è credere proprio attraverso la sua morte Gesù ha donato la salvezza, si è fatto solidale con ogni uomo, si è fatto morte perché anche i morti possano ricevere la vita. É credere che la vita passa attraverso la morte. A questa fede vi si arriva, come Tommaso, solo attraverso un’esperienza personale, di chi entra nella morte con Cristo e scopre che la vita vera nasce da lí. Non basta semplicemente saperlo, deve diventare un’esperienza di risurrezione, quando ti sembra che perdi tutto, che non hai più nulla, e proprio lí ti scopri vivo veramente. La fede non è dunque una garanzia che ti preserva dal male, ma è il dono di una vita che in tutto, sempre, anche nel male, è capace di donarsi, di andare oltre, di amare. Questa è una vita risorta. Chi arriva a questa fede, è beato: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20, 29) 1

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Domenica in Albis 2012 “Beati quelli che non hanno vistoe hanno creduto”

Il problema di Tommaso è un problema molto serio. È il problema dei discepoli che, dopo aver creduto in Gesù, aver giocato la vita per Lui, aver lasciato tutto per poterlo seguire; dopo aver visto la sua bontà, i suoi segni, dopo tutto questo, si ritrovano a vedere e a vivere lo scandalo della croce. La croce aveva rovinato tutto, e in modo irreversibile; aveva rovinato questo sogno di un salvezza definitiva, di un compimento della storia. Pensavano che Gesù fosse il Messia atteso, il Figlio di Davide, e poi... E poi la croce, che non è solo la morte, è una morte infame, umiliante, la morte dei condannati. Una morte senza speranza. E questo era successo proprio pochi giorni prima, siamo nel pieno della delusione, nel lutto, nella rabbia. La reazione di Tommaso non ci deve stupire; anzi, ci dovrebbe stupire se, dopo tutto questo, uno credesse senza problema all’annuncio che quest’uomo, finito così, sia vivo. Il problema di Tommaso è quello di mettere insieme la croce e la risurrezione, di poter arrivare a capire come proprio quest’uomo, morto proprio così, ora sia vivo. Per questo vuole vedere le piaghe, vuole mettere le sue mani dentro questi segni di morte, vuole vedere come siano diventati segni di gloria. Questo problema serio non è solo di Tommaso: è il grande scandalo che l’evento di Gesù Cristo ha suscitato sia in ambito ebraico che in ambiente pagano, è la reazione del mondo intero di fronte a questa pretesa ostinata, da parte di un gruppo di povera gente, a credere e a dire che quest’uomo, finito così, fosse Dio. Perché era veramente un annuncio assurdo:

- per gli Ebrei: come poteva essere che la salvezza venisse al mondo attraverso un uomo che era morto della morte dei maledetti? Questa salvezza, che veniva loro attraverso la legge, attraverso il culto, i sacrifici, l’elezione, la circoncisione...Ora avrebbero dovuto credere non solo che tutto questo non serviva più, ma che ora bastava credere in un uomo morto in un modo che la stessa loro legge diceva maledetto!

- E poi per i pagani: per il mondo romano, se la legge aveva messo a morte quest’uomo, significa che era un malfattore. E da quando la salvezza viene da un brigante? Come accettare la pretesa che un Dio abbia potuto farsi uomo, e poi soffrire e addirittura morire? Perché avrebbe dovuto farlo?

Gesù è uno scandalo, perché ha ucciso l’immagine di Dio che ogni uomo si porta dentro. L’immagine di un un Dio che non si coinvolge, che non soffre, un Dio lontano, un Dio chiuso dentro i limiti dell’esperienza umana. Gesù non è questo, ed è invece un Dio che ha la pretesa di amare fino alla fine, fino alla follia. Gesù ha ucciso dunque l’immagine di Dio, ma anche quella dell’uomo. Ha ucciso l’immagine di un uomo forte, ricco, capace di cavarsela sempre, di gestire la vita secondo i propri schemi. L’uomo “inaugurato” da Gesù è un uomo fallito, un perdente, uno che difficilmente farà strada, che difficilmente avrà successo. Come credergli? Ma questo “problema” non è solo di Tommaso, non è neanche solo della polemica anticristiana dei primi secoli. Il problema è anche nostro. Perché credere alla risurrezione di Gesù non è facile, e forse è meno facile di quanto pensiamo. Possiamo credere alla croce, a questo Dio che arriva a dare la vita per noi, in un eccesso di generosità. Ma che proprio da lí venga la salvezza, che proprio da lí venga la vita, questo è un abisso. Che anche dentro la nostra morte, dentro la nostra debolezza e sofferenza sia nascosta la vita vera, questo è un abisso. Eppure questa è la fede cristiana; è credere proprio attraverso la sua morte Gesù ha donato la salvezza, si è fatto solidale con ogni uomo, si è fatto morte perché anche i morti possano ricevere la vita. É credere che la vita passa attraverso la morte. A questa fede vi si arriva, come Tommaso, solo attraverso un’esperienza personale, di chi entra nella morte con Cristo e scopre che la vita vera nasce da lí. Non basta semplicemente saperlo, deve diventare un’esperienza di risurrezione, quando ti sembra che perdi tutto, che non hai più nulla, e proprio lí ti scopri vivo veramente. La fede non è dunque una garanzia che ti preserva dal male, ma è il dono di una vita che in tutto, sempre, anche nel male, è capace di donarsi, di andare oltre, di amare. Questa è una vita risorta. Chi arriva a questa fede, è beato: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20, 29)

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Nel Vangelo di Giovanni, troviamo solo due beatitudini. Una è questa, detta a Tommaso, ed è riferita a tutti i discepoli, ai credenti. E l’altra, ugualmente rivolta al futuro, ai discepoli, è in Gv 13, 17: “Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica”. Il contesto è quello dell’ultima cena, in cui Giovanni racconta la lavanda dei piedi, e le “cose” da sapere e da mettere in pratica sono questo atteggiamento di servizio, perché “un servo non è più grande del suo padrone”. Poi Gesù riprenderà questa frase nel grande discorso di addio, e ripete: “Ricordatevi che vi ho detto: un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15, 20). Cioé, se voi entrate in questo mio scandalo, preparatevi ad essere voi stessi scandalo, e a portarne le conseguenze. Per Giovanni è beato che crede nello scandalo e poi, a sua volta, è capace di diventare scandalo, di portare in sé, nella propria carne, lo scandalo della Pasqua. Solo cosí la Pasqua è veramente compiuta, quando vive nei credenti, cioé quando i credenti vivono di Cristo. Il fine della risurrezione è quello per cui Dio sia vivo nell’uomo, e lo sia non in senso generico, ma nel modo di Cristo, nel modo dello scandalo, dell’amore. Dunque non c’é beatitudine se non nella fede, ma in una fede che trasforma la vita in una vita pasquale, in una vita che porta in sé i segni della pasqua, che entra in quel cammino per cui anche le nostre ferite e le nostre morti diventano possibilità di vita. La beatitudine della fede è quella che trasforma la morte in vita, che si espone a questo potere trasformante del Signore risorto. L’Eucaristia che celebriamo ci trascina di nuovo dentro questo scandalo, questo mistero di morte e di vita. Anche oggi Gesù viene, e mostra anche a noi le sue piaghe gloriose. Anzi, fa di più, ci dona il Suo corpo, quello stesso corpo passato per la morte e ora vivo per sempre. Ce lo dona perché possiamo vivere in Lui, di Lui. E anche noi, di fronte a tutto questo, possiamo dire non tanto con le parole, ma con la vita questa frase scandalosa, dire “Mio Signore e mio Dio” a questo Uomo, passato attraverso la morte della Croce, e ora vivo per sempre.

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