OMEGA n 3 Maggio-Giugno 2010

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ME ME GA GA The last but non the least The last but non the least LAVORI IN CORSO? Una città stanca, disillusa e senza entusiasmo. Ecco come si pre- senta Lentini agli occhi delle nuove generazioni: incapace di nuo- vi slanci sociali e politici o di sognare di nuovo in grande. Ma c’è ancora una speranza. Vi raccontiamo, con uno speciale reporta- ge, perché Lentini può tornare ad essere quella di un tempo.

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Periodico a cura degli studenti del Liceo Classico Gorgia - Lentini (SR)

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MEME GA GA

The last but non the leastThe last but non the least

LAVORI IN

CORSO? Una città stanca, disillusa e senza entusiasmo. Ecco come si pre-senta Lentini agli occhi delle nuove generazioni: incapace di nuo-vi slanci sociali e politici o di sognare di nuovo in grande. Ma c’è ancora una speranza. Vi raccontiamo, con uno speciale reporta-ge, perché Lentini può tornare ad essere quella di un tempo.

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THE THE FIRSTFIRST Giuseppe

Portonera

DOVE VUOLE ARRIVARE QUESTO

GIORNALE Pare che a qualcuno il nostro modo di

fare giornalismo non sia piaciuto.

Troppo ambizioso, esagerato e soprat-

tutto extra-locale. Pare che qualcuno

non abbia apprezzato le tematiche che

abbiamo scelto di affrontare nei due

numeri precedenti, ritenute dei volgari

copia e incolla delle testate nazionali.

Pare che addirittura qualcuno abbia

rimandato indietro delle copie, lamen-

tando la presenza di refusi negli arti-

coli. Di tutto questo ci scusiamo viva-

mente, per carità! Ci dispiace, tuttavia,

che la volontà di creare un prodotto

nuovo che potesse andare oltre i confi-

ni della spiccio-

la cronaca e

dell‟attualità,

che si potesse

leggere in ogni

momento, non

sia stata gradita

ed apprezzata

sino in fondo.

Ci piaceva mol-

to pensare che

dei ragazzi po-

tessero confron-

tarsi liberamen-

te tra di loro su

argomenti che

esulassero, per

una volta, dalla quotidianità di ciascu-

no di noi, attraverso analisi, interviste

e editoriali di vario taglio. Per parlare

di quello che succede a scuola, basta la

ricreazione; per parlare di quello che

accade in città, basta andare in piazza;

ma per parlare di cultura, di società, di

politica, dove bisogna andare? A molti,

specie ai ragazzi della nostra età, pos-

sono sembrare argomenti troppo lonta-

ni e indefiniti. E invece non è affatto

così: sono proprio quelle cose lontane

a influenzare la nostra vita quotidiana

più di ogni altra cosa. Dove sta dunque

il nostro errore? Nell‟aver tentato di

gettare il germoglio del dialogo e del

confronto tra ragazzi spesso troppo

impegnati in altro per accorgersi che

nel nostro mondo, ormai in costante

evoluzione, c‟è bisogno di loro? Come

si potrà mai pretendere che ragazzi

della nostra età si impegnino attiva-

mente per cambiare le cose, se non si

forniscono loro i mezzi primari per

farlo? E tra questi mezzi, qual è il prin-

cipale, se non

un‟informazione

sana e corretta? Ci

rincuora il fatto,

però, che ci sia an-

che qualcuno

(anche più) che la

pensa diversamente

e che sia rimasto

positivamente col-

pito dal nostro mo-

do di far giornali-

smo. E poi, le criti-

che sono il sale

della vita! Ecco

perché noi di Ome-

ga le accettiamo

ben volentieri, consci che queste pos-

sano essere solo uno stimolo per fare

sempre meglio. Perché, non dimenti-

chiamolo mai, la nostra meta finale è

sempre quella: soddisfare i nostri letto-

ri e fornire loro una lente

d‟ingrandimento critica e diversa, per

capire al meglio ciò che ci circonda.

Ecco dove vuole arrivare questo gior-

nale.

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Quello da leggere,Quello da leggere,

Quello da guardareQuello da guardare SOMSOM

MARIOMARIO

The First 2

FuoriClasse 4

Il Biondo 5

IN COPERTINA

La bella addormentata 6

AAA Castrum Fest cercasi 8

Alla ri-scoperta dell’altro 10

L’inviato speciale e i riflessi

della luce dell’Est 11

Ayrton Senna, sedici anni dopo 12

MEGA

The last but non the least

Periodico a cura degli studenti del Liceo Classico Gorgia

Direttore editoriale: Giuseppe Portonera

Grafica e Impaginazione: Alessandro Vinci

Distribuzione: Gaetano Ingaliso

L’1 Maggio di 16 anni fa, Ayrton Senna moriva schiantandosi con la sua auto. Noi, però, lo abbiamo intervistato per voi. Provare per credere. Gianluca Sequenzia a pagina 12

Il viaggio è il mez-zo migliore per riscoprire la bel-lezza del mondo che ci circonda e conoscere davvero chi siamo. Kapu-scinski docet. Giulia Cristiano e Nancy Cannizzo a pag 10

Tenuto per l’ultima volta nel 2005, il Castrum Fest sembra essere caduto nel dimen-ticatoio. Ma per-ché? Noi abbiamo fatto le nostre ri-cerche. Gioele Scrofani a pag 8

AI LETTORI

Per quest’anno siamo arrivati all’ultimo nu-

mero. Per tutta la redazione questo significa

molto e vi ringraziamo per tutto il sostegno e

l’attenzione che ci avete accordato. Un grazie

particolare va anche alla nostra tutor, prof.

Melania La Rocca, al Preside e alla scuola

tutta. Grazie e all’anno prossimo!

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FUORIFUORI CLASSECLASSE

Nancy Cannizzo

all‟aeroporto di Fontanarossa dove pochi minuti più tardi avrei trovato una cinquantina di

ragazzi che, come me, erano assonnati ma entusiasti per il viaggio oltreoceano che ci atten-

deva. Si parte. Dopo uno scalo a Roma, un ritardo pazzesco e dieci ore di volo finalmente ci

siamo: New York. La Grande Mela, giganteschi grattacieli, le colazioni da Starbucks, i ne-

gozi sulla 5th Avenue, le luci di Times Square, il tecnologico centro della Apple e poi, il

PALAZZO DI VETRO: la sede della Nazioni Unite, dove è stato a dir poco emozionante

poter ascoltare il discorso di benvenuto del segretario dell‟ONU Ban Ki Moon. Millecin-

quecento ragazzi da tutto il mondo hanno partecipato al progetto Model United Nations. Il

Model United Nations consiste in una simulazione durante la quale a ciascuno viene asse-

gnato uno stato diverso da quello al quale appartiene nella vita reale; noi, del gruppo di

Lentini, infatti, eravamo delegati dalla Namibia, e successivamente, divisi per commissioni

nelle quali si trattano argomenti differenti si cerca di trovare soluzioni a problematiche su

scala mondiale alleandosi con altri stati, rigorosamente in inglese. La definirei senza dubbio

un‟esperienza educativa, proprio perché durante i lavori ci si mette completamente a con-

fronto con il resto del mondo. Si impara a trattare concordando, viene messa a dura prova

la propria capacità di coordinare un gruppo e di parlare in pubblico, superando paure e

timidezze. Si richiedono, insomma, lavoro, fatica, diplomazia, e buone capacità di relazio-

narsi con gli altri, misti ad una discreta conoscenza di una lingua universale che ormai è

diventata fondamentale. Uno dei punti centrali della simulazione è proprio quello di com-

portarsi rispettando le posizioni prese dallo Stato di cui si è delegati riguardo ad ogni argo-

mento, anche incorrendo nel rischio di andare contro le proprie convinzioni. È emozionan-

te, tuttavia, essere parte di qualcosa di così coinvolgente. Si fa un salto fuori dalla quotidia-

nità lontani 4500 chilometri da casa e si diventa cittadini del mondo.

PICCOLI DIPLOMATICI CRESCONO Volo ore 6:25. Una bella sfida considerando che il 12 maggio a Lentini è noto

come “la giornata del sonno”. Così, mentre i colori sfavillanti dei fuochi piro-

tecnici delle 4:15 illuminavano il cielo di Piazza Duomo, io ero diretta

Il gruppo dei diplomatici in

missione davanti al Palazzo di

Vetro a New York, sede dell’ONU

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ILIL BIONDOBIONDO

Alessandro Vinci

WORTH SEEING

L‟ospedale di Lentini è stato nei mesi scorsi set per un nuovo film: “Le ultime 56 ore”. Pro-

tagonisti delle vicende sono molti membri dell'esercito italiano, reduci della spedizione in

Kosovo, che hanno riportato gravi malformazioni e malattie tumorali. Di fronte all'agonia

del marito, la dottoressa Ferri fa giurare a un altro reduce, il Colonnello Moresco, che farà

qualunque cosa per far emergere la verità sulle implicazioni fra l'uranio degli armamenti bel-

lici e la proliferazione dei tumori nell'esercito. Nel cinema di genere vige una regola non

scritta: non c'è niente che perori una causa umanitaria con più forza e disperazione di un se-

questro condotto in nome di una battaglia civile. Ecco perché nel film il regista ha tutto il

tempo per rievocare il gusto del vero cinema d'azione incentrato sulle forze dello Stato che si

ribellano contro le ingiustizie e i silenzi delle più alte autorità. Tuttavia, il paradosso di tale

solennità sia civica che ludica è che, fra l'esplosione di una granata e un testamento biologi-

co, fra una scarica di mitra e un sequestro condotto in nome di una giusta causa, diviene dif-

ficile sciogliere ogni ambiguità in merito alla portata effettiva del messaggio del film. Non ci

riesce, infatti, a capire chi sia veramente il “cattivo”, contro chi si stiano dirigendo il peso

delle accuse e la forza di tale grido. Il finale del film parrebbe tentare di definire in extremis

questo aspetto, ma è l'abbraccio irrimediabile di cinema e istituzioni politiche a non permet-

tere tali libertà e a far sì che ogni accusa precisa rimanga ben confinata nella zona franca del-

la drammaturgia.

(a cura di Gioele Scrofani)

Le ultime 56 ore

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lentini Abbiamo girato quartiere per quartiere la nostra città, scoprendone punti deboli e zone

d’ombra. Abbiamo incontrato la gente che vive in condizioni disagiate e in quartieri di-

menticati. Abbiamo parlato con le autorità, cercando risposte alle nostre domande.

Dopo una lunga settimana, vi raccontiamo cosa abbiamo scoperto.

IN COPERTINA

“Leonti-noi “ è lo speciale realizzato dagli studenti

del Liceo Classico Gorgia a conclusione di una

tranche del corso tenuto dalla Dottoressa Irene Privi-

tera “Sulle vie dell‟InFormAzione”. Tale videogior-

nale, presentato in occasione del Workshop tenutosi

presso l‟Antica Pescheria di Lentini, ha permesso alla

cittadinanza e soprattutto ai ragazzi editori di tale

lavoro, di comprendere le vere problematiche che

amareggiano il nostro piccolo paese. Tale speciale si

focalizza sul degrado verso cui verte il paese dove,

quartieri come il Roggio ,Santa Mara Vecchia, San

Paolo, una volta considerati il cuore della città, adesso

diventano i veri protagonisti della periferia; una peri-

feria non di carattere geografico ma antropologico.

Negli ultimi anni i quartieri sopra elencati,infatti,

sono divenuti sede di occupazioni abusive, di atti di

vandalismo,di giri di prostituzione e di droga. Tutto

questo ha causato un notevole aumento del tasso di

criminalità e tale trasformazione ha portato a uno

spopolamento sempre più eccessivo di tali zone e,

conseguentemente, ha determinato l‟edificazione di

nuovi quartieri ben lontani dalla sede iniziale del cen-

tro storico. Ci troviamo così di fronte a una realtà che

apparentemente sembra molto lontana dalla nostra e

più vicina a quelle delle grandi città ma che ,invece,

ci riguarda in prima persona. Forse a causa della pau-

ra, dell‟omertà o di chissà quali valori assurdi non ci

si trova a dialogare della bassissima situazione cultu-

rale che assedia i nostri luoghi natii. In Piazza si par-

la di scandali e notizie che tutti conosciamo ma che

[Lorenza Di Giorgio | Chiara Conversano]

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IN COPERTINA

non sapere e soprattutto ignora. La piazza si manifesta, quindi, come una landa deserta popolata solo da pochi

anziani che ancora “vivono” il centro storico … ma ancora per poco. Da alcuni anni, infatti, raccontano, che sia

diventato centro di ritrovo per gli immigrati e testimoniano che proprio a causa di questi ultimi ,vi sia stato un

ulteriore incremento del tasso di criminalità. Le aggressioni sembrano moltiplicarsi di giorno in giorno, il caso

del Macellaio minacciato da un grosso coltello da un extracomunitario ubriaco non è facilmente dimenticabile

o quello ancora più grave dell‟anziana signora trovatasi sfregiata a causa di un immigrato che desiderava esclu-

sivamente la catenina che portava al collo; casi eclatanti per un piccolo paese di provincia ma accompagnati da

quasi giornalieri atti di bullismo, vandalismo, stalking, pizzo, droga e prostituzione. “La città sembra divisa da

un muro di Berlino - riferisce uno degli anziani intervistati -che impedisce la diffusione degli eventi”. Una

situazione disastrosa quella che si presenta oggi ai nostri occhi, dove bambini non sono più liberi di giocare in

cortile o per le strade con i loro coetanei ma costretti ad essere rinchiusi in casa a giocare con playstation, wii e

computer. E ciò accade per il semplice motivo che la piazza ha perso la propria identità, che non vi sono suffi-

cienti iniziative affinché la nostra città possa avere un risvolto positivo. Situazione ancora più preoccupante, il

menefreghismo dei giovani di fronte a tale problema, solo lamentele ma nessuna soluzione al problema, anzi,

si preferisce andare fuori città il sabato sera piuttosto che cercare di far rivivere, una volta per tutte, la nostra

amata città. Iniziative come il Castrum Fest vengono quindi messe da parte poiché comportano una spesa trop-

po elevata per le povere casse del comune. Ma allora come far rivivere la nostra città? Come far sì che Lentini

possa diventare un nuovo centro commerciale e culturale della Sicilia? Per adesso solo tanta povertà e corruzio-

ne che, ahimè, fanno di Lentini una cittadina corrotta come tante altre.

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IN COPERTINA/L’INCHIESTA

LA FESTA Ovvero il Castrum Fest. Tenuto

per l’ultima volta nel 2005

sembra essere caduto nel di-

menticatoio. Ma perché? Ce lo

spiegano il Sindaco, l’assessore

Rossitto e la dott.ssa Pisano.

PERDUTA Era il 2005 quando l‟allora sindaco di Lentini Nello Neri dichiarava conclusa

quella che sarebbe stata l‟ultima edizione della festa medievale di Lentini, la

Castrum Fest, una festa che andava oltre le tipiche sagre paesane, con ricrea-

zioni di ambienti storici dell‟epoca come locande, in cui venivano servite

pietanze del „400, armerie o botteghe artigianali dove venivano realizzati

quelli che noi conosciamo con il nome dialettale di “panara”. Molti i turisti

che venivano coinvolti in questi momenti particolari e di vanto che Lentini

non ben conosce e che forse non ha intenzione di conoscere. Infatti, dal 2006,

con l‟elezione della nuova amministrazione, la Castrum Fest è sparita dal

calendario d‟eventi del circondario e non si ha la ben che minima intenzione

di reintegrarla. L‟assessore alle Politiche giovanili Armando Rossitto ha

così dichiarato in una recente intervista rilasciata in occasione del progetto

PON “Sulle vie dell‟InFormAzione”: “Il Castrum Fest è troppo costoso e non

ci sono più le condizioni affinché un comune come Lentini possa organizzare

un evento simile”. A sostituzione di questa viene proposto il Carnevale

dell‟arancia rossa, meno dispendioso. Il problema dei molti cittadini intervi-

stati è quello di trovare delle belle qualità del Carnevale lentinese confrontan-

dolo con la festa medievale. “Una festa bella e voluta dalla gente – ricorda la

dott.ssa Elena Pisano, organizzatrice artistica delle precedenti edizioni- che

serviva anche a riqualificare un quartiere dimenticato e degradato, cioè il

Roggio, con il successo della festa e con le riparazioni di strade, impianti luce

o persino con l‟utilizzo di case disabitate che venivano riadattate a botteghe.

[Gioele Scrofani]

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Tutto era molto apprezzato dai cittadini del

quartiere che vedevano delle migliorie nei

giorni precedenti all‟evento”. Era così tanta

l‟affezione dei cittadini per la festa che nel

2000 fu affrontata una raccolta firme affinché

venisse celebrata ancora la festa che aveva

subito un‟ iniziale battuta d‟arresto: ebbe un

successo, circa 4000 firme raccolte in sole

due settimane. A parte la grandiosa festa del

santo patrono, il Castrum Fest sarebbe potuto

essere ancora un evento che avrebbe potuto

lanciare in alto il nome di Lentini e che a-

vrebbe potuto stimolare ancora più turisti a

visitare il Castrum Vetus, o meglio conosciu-

to come “Castellaccio” (da cui la festa prende

il nome), che era il punto centrale in cui si

svolgeva la festa perduta. Non esiste ancora

una data certa che veda la realizzazione di un

nuovo Castrum Fest ma Lentini necessita di

feste ed eventi come questa che servano a

rianimare il cuore spento della città. Abbiamo

anche parlato con il sindaco che non prende

ciò nemmeno in considerazione: “Il Castrum

Fest l‟ultima volta è stato organizzato soltan-

to pensando al marketing. Io non ho proposto

tale attività perché questo tipo di iniziativa

celebrata in due o tre giorni non serva a chi

viene da fuori, che deve avere la possibilità di

conoscere il territorio e tornare nel resto dei

365 giorni. La festa verrà riorganizzata solo

quando le si darà un forte senso di turismo”.

IN COPERTINA/L’INCHIESTA

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CULTURA

Se Kapuscinki ritiene Erotodo il padre del giornalismo e il primo degli inviati speciali, noi possiamo ritenere

Kapuscinski il primo inviato speciale della nostra epoca. Anzi, colui che ha assistito ad eventi storici e cam-

biamenti sociali che hanno segnato l‟inizio di un'altra fase storica, “il terzo Millennio”. Kapuscinki nasce in

Polonia negli anni 30 e opera come giornalista e reporter in giro per il mondo, dagli anni 50 fino a pochi gior-

ni prima la morte nel marzo 2007. Erodoto vive nella Grecia del V sec a.c , dopo la grande distruzione delle

Guerre Persiane. È il primo a rendersi conto che per comprendere un fatto storico è necessario innanzitutto

comprendere le cause che lo scatenano. Entrambi “inviati speciali”, impegnati a raccogliere dati, informazio-

ni, denunce, segnalazioni, mentre assistostono ad eventi epocali, seguono da vicino e si documentano su

complesse vicende economiche o giudiziarie. Con lo scopo ultimo di provare a comprendere, a trovare un

filo conduttore che porti, o almeno si avvicini, alla realtà e alla verità dei fatti per raccontarla ai lettori, agli

ascoltatori, che dalle loro lontane poltrone, dalle loro case o scrivanie non hanno meno diritto di essere infor-

mati rispetto a chi assiste o fa parte di una vicenda. Le dinamiche del mondo sono sempre le stesse: singoli

uomini che compiono grandi decisioni e migliaia a subirne, nel bene e nel male, le conseguenze. Ad un invia-

to speciale interessa sia, in un primo momento, conoscere la vicenda pubblica, che (però?) essendo annuncia-

ta innumerevoli volte finisce in seguito per perdere il suo iniziale impatto comunicativo, sia provare a entrare

nelle storie di vita dei singoli uomini, tanto dei “grandi” quanto di quei migliaia che spesso vengono raccon-

tati come masse uniformi di esseri senza distinzione. Per secoli è stata tramandata la figura quasi mitica dell‟

“inviato speciale”, sempre pronto a partire, entusiasta della ricerca e della scoperta. Poiché in epoche in cui a

pochissimi era concesso viaggiare era il Conoscitore di realtà cui a lui solo era permesso accostarsi. Non ra-

ramente la figura dell‟inviato si sovrapponeva a quella del letterato, a cui è più simile nel lessico prosastico,

accattivante che a un giornalista di cronaca. Se la diffusione dell‟informazione era in mano ai giornali,

l‟inviato speciale aveva sia il compito di trovare fatti nuovi e esclusivi da raccontare, sia farlo in modo da

entusiasmare il suo pubblico. Via via negli anni lo scenario del mondo è mutato e con esso anche i metodi e i

ruoli del mondo dell‟informazione. Oggi non abbiamo bisogno di giornali e telegiornali per venire a cono-

scenza di un fatto, non si fa in tempo ad accendere la tv o leggere il giornale, che internet ci ha già detto tutto.

Tuttavia i giornali stessi ci appaiono indispensabili se vogliamo essere “informati”. Bombardati da continui

aggiornamenti online, notizie in tempo reale, non ci soffermiamo su “una notizia ”ma viviamo nella moltepli-

cità di versioni di uno stesso fatto. In questo groviglio di informazioni il ruolo del giornalista si fa sempre più

difficile e proporzionalmente più indispensabile. Ad accostarsi alla “verità” ci provano per noi gli inviati spe-

ciali. Oggi sono redattori-inviati che si trasferiscono in un paese straniero per seguire avvenimenti di loro

competenza nel settore dello sport, dello spettacolo, della politica e della guerra. Talvolta negli ultimi due

settori, che spesso diventano scenari di scomode verità, la figura dell‟inviato assume una difficile posizione:

Ryszard Kapuściński Alla ri-scoperta dell‟Altro

[Giulia Cristiano]

Il viaggio è il modo più efficace per scopri-

re gli altri e noi stessi. Come ci ha inse-

gnato il grande Kapuscinski. Di seguito, vi

proponiamo i testi che hanno vinto il se-

condo e terzo posto al Concorso nazionale

“Maria Grazia Cutuli”, indetto dalla Fida-

pa di Vittoria. Complimenti da parte della

redazione a Nancy e Giulia!

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CULTURA da una parte l‟attenzione alla discrezio-

ne nel cercare informazioni e dall‟altra

la ricerca di dati da poter elaborare e,

eventualmente, denunciare. Oggi le

distanze non esistono più, ma i popoli,

per fortuna, continuano a conservare le

loro caratteristiche che un pc non è in

grado di raccontare. Così sono loro che

Entrano a far parte della vita di un altro

paese, a contatto con i loro uomini e le

loro abitudini. Che sia per raccontare di

una sfilata di moda, di una partita di

calcio o di un bombardamento, essi non

si limitano a mai ad esporre il fatto.

Hanno il compito di comunicare lo

stesse enfasi della sfilata, l‟entusiasmo

della una partita o il dolore del bombar-

damento. […] Altri come Maria Grazia

Cutuli, la nostra giornalista catanese

uccisa in un attentato in Afghanistan o

Ingrid Betancourt, la giornalista france-

se rimasta prigioniera per 6 anni, scel-

gono perfino di mettere in gioco la loro

stessa vita al fronte di guerra pur di

entrare nella vita di un paese che vive

un dramma come la guerra. Loro come

Erotodo, viaggiano , si spostano, forse

di più e con meno difficoltà, raccolgono

le testimonianze direttamente da chi

assiste ai fatti. Ma se Erotodo scriveva

le “storie” raccontando la cronologia

dei grandi eventi e le loro cause, i nostri

inviati speciali pensano più a “tradurre

” per noi , con un linguaggio semplice,

i vissuti segnati degli uomini che incon-

trano. Si soffermano sul singolo uomo e

per farlo è necessario che anche loro si

mettano allo stesso livello di coloro che

hanno di fronte, accettando compro-

messi che talvolta costano la vita stessa.

“Certe volte, ripensando a tutti i miei

viaggi, ho l‟impressione che il proble-

ma principale non siano stati i confini, i

fronti di guerra, le difficoltà e i pericoli,

ma la continua incertezza su come sa-

rebbe stato l‟incontro con gli altri, con

quelli che avrei trovato strada facendo.

Ho sempre saputo che da questo ele-

mento dipendeva tutto, o quasi tutto.

Ogni nuovo incontro era un‟incognita:

come sarebbe cominciato, come si sa-

rebbe svolto, come si sarebbe conclu-

so”. È proprio questa incognita ad aver

mosso Kapusninki, la stessa che ha

mosso Erotodo, e le stessa che muove

tutti i giornalisti adesso: l‟incontro con

gli altri. Senza uomini, non ci sarebbero

neppure storie da raccontare.

Da Erodoto a Dietlinde Gruber, da Fabio Pittore a Maria Gra-

zia Cutuli. Cercare, redigere, indagare, interrogare, curiosare,

intervistare e scrivere verità. Giornalisti. Tanti nomi potremmo

citare e tante abilità potremmo trascrivere, abilità necessarie

alla formazione di un giornalista professionale. E così gli arti-

coli,che siano di cronaca o di commento, hanno ancora il sapo-

re della scoperta, la polvere del viaggio, i colori e i suoni di

mille popoli diversi. E così il giornalista, armato del suo baga-

glio, inseparabili carta e penna, parte per un’avventura passo

dopo passo. Perfino Cesare nella stesura dei suoi commentari

aveva come fine ultimo quello di rendere note le imprese, tra-

sponendo i fatti in parole quasi in tempo reale. Certamente era

un po’ di parte, altrimenti le continue lodi al suo esercito e a lui

stesso, risulterebbero inspiegabili. Questo favoritismo è soprat-

tutto dovuto al fatto che egli sia stato protagonista degli eventi

narrati; per questa ragione, infatti, la sua opera sembra essere

più vicina a un diario di bordo che a un vero e proprio articolo,

tuttavia non mi sentirei di escluderlo dalla lista dei giornalisti

che hanno messo in pericolo la vita pur di riportare eventi e

notizie. È qui che la storia nasce, è qui che la storia viene rac-

contata per la prima volta: Oriente. Cupole d’oro, pietre intar-

siate, mattoni rosati, immersi nelle foreste di acacie e tamerindi.

Il fascino del vecchio continente. Il Medio Oriente, purtroppo,

non è solo culla di bellezze esemplari, ma appare ,nella maggior

parte dei casi, svuotato e seriamente danneggiato da crude tra-

dizioni, fanatismo religioso ,non per niente, nell’arco di 240

anni, sono stati costruiti oltre 4400 templi, patriottismo esage-

rato e determinante povertà. Bastano pochi chilometri per la-

sciarsi alle spalle questo luogo lieve e naturale ispirato dai la-

ghi ricoperti di ninfee che riempiono l’acqua di rosee sfumatu-

re. Ma bastano pochi chilometri per raggiungere la sede di

spietati combattimenti, animati da odio e istintività. Oggi, come

2500 anni fa, la situazione ci si presenta sempre uguale. E

l’inviato speciale rischia. Ma la voglia di conoscere e racconta-

re è più forte di qualsiasi paura. Resta il cielo rosso che incen-

dia lo scenario. In alto scie d’azzurro. Il reporter è testimone di

eventi, consapevole di vivere la storia, si sente responsabile del

tramandarli,facendosi strumento di conoscenza per la società.

Superando confini, abbattendo le barriere della distanza ,

l’inviato speciale è fondamentale per un tipo di comunicazione

che caratterizza il nostro secolo. Una diffusione in tempo reale

in un’era nella quale vogliamo (sapere) tutto e subito. È proprio

a causa di questa dedizione per il giornalismo che Maria Grazia

Cutuli ci lasciò. Era il 19 novembre del 2001 quando un gruppo

di talebani causarono un attentato del quale, la stessa reporter,

rimase vittima. Una voce spezzata, annientata, da coloro che,

oltre a vedersi negata la libertà, hanno deciso, quel giorno, di

strapparla per sempre anche a lei.

L‟inviato speciale tra

luci e riflessi dell‟Est

[Nancy Cannizzo]

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Mi informano che da pochi giorni la leg-

genda vivente della formula 1 ha compiuto

cinquant‟anni e mi affidano l‟esclusiva per

un‟intervista. Parto per il Brasile entusia-

sta, arrivo a San Paolo con alcune ore di

anticipo e mi reco direttamente a casa Sen-

na. Lì trovo un energico neo cinquantenne

che gioca con due bambini, correndo insie-

me a loro come se fossero in un gran pre-

mio e si stessero sorpassando: la moglie

mi annuncia e lui con la cortesia che lo ha

sempre caratterizzato e reso amato da mass

-media, mi accoglie. Lo saluto e dolce-

mente ricambia, indicando un sofà dove

potermi sedere. Iniziamo subito

l‟intervista.

Buongiorno Sig.Senna, come si

sente ad avere raggiunto la soglia

dei cinquant’anni? Buongiorno a lei. Le posso assicurare che

questo traguardo è il più importante che io

abbia mai tagliato in tutta la mia vita. Do-

po quell‟incidente ad Imola, non pensavo

potessi arrivare a una certa età ma Dio mi

ha voluto donare questa seconda possibili-

tà.

Si sente un miracolato?

Da un certo punto di vista si. Dopo

quell‟episodio non credevo potessi risalire

su un‟auto da corsa, anche se in cuor mio

AYRTON SENNA

la mia intervista immaginaria a

[Gianluca Sequenzia]

L’1 MaggiO deL 1994, iL brasiLiaNO

Ayrton Senna moriva schiantandosi a

327 all’ora ConTro Il mureTTo della

tamburello, nel circuito di Imola. A

distanza di 16 noi di Omega vogliamo

ricordarlo così: con una lunga

chiacchierata sulla sua vita, la sua

carriera e sulla società dei giorni

nostri.

L’INTERVISTA IMMAGINARIA

Page 13: OMEGA n 3 Maggio-Giugno 2010

13

ero fermamente convinto che da un giorno all‟altro sarei

tornato almeno nel mondo della formula 1, invece eccomi

qui, direttore sportivo Williams. La vita a volte riserva

sorprese inattese.

Quindi, a quanto vedo, è felice dei suoi

traguardi?

Felice è dir poco, sono entusiasta. Mi reputo un uomo mol-

to fortunato, e tutto questo è merito non solo della mia for-

za di volontà ma anche della mia fede. Se non avessi avuto

fede, la mia vita sarebbe finita quel primo maggio del ‟94 e

forse sarei diventato ancor più una leggenda. Non amo

pensare a quel momento, benché comunque io non abbia

alcuna paura di morire, solo che preferisco rendere grazie

per ciò che ho ricevuto. Nella mia vita, ho lottato tanto in

pista, a differenza di molti altri piloti: la mia vita era la

pista e non il contrario, vivevo per lei.

Si spieghi meglio.

Sin da bambino passavo le mie giornate sui go-kart, a dif-

ferenza dei miei coetanei che giocavano a pallone. In Bra-

sile lo sport per eccellenza è il calcio, siamo famosi per

questo. Non si era mai visto un brasiliano correre come un

diavolo su di un circuito vincendo spesso, e questo eccita-

va la folla; non pensavo potessi portare tanto onore alla

mia nazione, ho sempre lottato e corso invece per far sape-

re al mondo quanto il Brasile avesse da dare, nel mio caso

dimostrando che non tutti sappiamo correre dietro ad una

palla.

Si ritiene quindi l’esempio del saper fare

brasiliano?

No. Tutt‟altro. Mi sento solo un brasiliano che sa usare il

bene cambio quando va in macchina. Volevo, e grazie a

Dio ci sono riuscito, far sapere al mondo intero tramite le

mie vittorie che la mia terra, anche se povera, aveva del

talento e grazie a me molti ragazzi hanno avuto una possi-

bilità.

Ci è ben noto come lei sia arrivato in F1,

quanto sia stato difficile, quanto abbia dovuto

lottare. Ritiene che adesso sia più facile far

parte del paradiso delle corse?

Ai miei tempi era diverso. Tutto era diverso, ogni singolo

aspetto era diverso: non c‟erano tutti questi sponsor, non

c‟erano tutti questi soldi, non c‟era tutta questa cattiveria.

Si correva per la gloria non per il premio: lottavamo per

avere un posto nella storia non per vedere le nostre facce

sulle magliette. Sembra ieri la prima volta che vidi Eccle-

stone offrirmi la possibilità di firmare per la McLaren e

ricordo ancora quanto fui felice. Quella macchina mi ha

dato tutto: fama, denaro e la forza di farmi conoscere in

tutto il globo, ma le assicuro che era lo stesso diverso. A-

desso bastano due anni di Formula 3 e una buona racco-

mandazione e diventare pilota di F1 diventa uno scherzo.

Tenere in pista quelle bestie da 700 cv era un‟impresa, non

sono di certo i computer motorizzati che adesso sgasano

sui circuiti, non tutti riuscivano a farlo; vinceva chi aveva

coraggio, freddezza, prontezza di spirito e un po‟ di follia:

io rispetto agli altri avevo un pò troppa follia, diciamo che

mi reputo un più pazzo di Lauda e ai miei tempi Niki, le

posso assicurare, veniva considerato uno squilibrato

VITA, MORTE E MIRACOLI

DI AYRTON EL CAMPEOR

L’INTERVISTA IMMAGINARIA

Ayrton Senna alla guida della

sua Lotus nel 1986.

Senna al Gran Premio del

Canada del1988.

Senna al Gran Premio di

Imola del1988.

Page 14: OMEGA n 3 Maggio-Giugno 2010

14

quando correva. La mia follia era cre-

dere in quello che facevo e soprattutto

non fermarmi mai alle apparenze, in

particolar modo quando si trattava

della mia monoposto. Utilizzavo ogni

secondo libero per vederla, prepararla

insieme agli ingegneri e correggere gli

errori. Ai tempi Prost diceva in giro

che dormissi nei paddock durante i

gran premi e qualche volta non aveva

torto: per me era il paradiso, sentire il

motore che spingeva dietro la schiena,

la strada che scorreva veloce… era

diventato placebo e ringraziavo il cielo

ogni giorno per avermi fatto scegliere

le quattro ruote alle scarpette, è stato

un sogno e continua ad esserlo.

I suoi fans la ricordano so

prattutto per la sua cattive

ria in pista, lei cosa ne pen sa?

Non la definirei cattiveria, ma per lo

più voglia di vivere: non tutti provano

l‟ebbrezza del correre a 300 km/h e

giocare con la vita allo stesso tempo. I

giovani d‟oggi preferiscono drogarsi e

bere, io quando ero ragazzo andavo a

correre sui kart e studiavo, quando

potevo mi allenavo e mi divertivo sen-

za bisogno di rovinarmi, adesso se non

eccedi non ti diverti e soprattutto non

si è nessuno.

La sua non è una buona

impressione, come mai è ar

rivato a questa conclusio

ne? Si guardi attorno: al giorno d‟oggi i

giovani corrono, si ubriacano, muoio-

no per strada e quando non lo fanno

causano incidenti. Ai miei tempi acca-

deva, ma non con questa cadenza. Non

parlo solo della crisi di valori che vie-

ne a mancare, né tantomeno della

mancanza di fede in Dio, che ormai è

fuori moda, parlo di educazione, di

rispetto per se stessi: tutto ciò adesso

manca e la colpa non so a chi attribuir-

la.

Mi scusi se insisto, ma cosa

intende dire?

Le faccio un esempio: prenda un gio-

vane neo patentato, e gli domandi cosa

voglia dire per lui avere la patente; le

risponderà che per lui è solo

l‟autorizzazione a guidare, a correre

con un macchina che di certo non è

una mo nop os to , a sp remere

l‟acceleratore come se fosse all‟ultimo

giro di Spa. Questa convinzione lo

Mi reputo un uomo molto fortunato, e

tutto questo è merito non solo della mia

forza di volontà ma anche della mia fe-

de. Se non avessi avuto fede, la mia vita

sarebbe finita quel primo maggio del ’94

e forse sarei diventato ancor più una

leggenda.

I giovani d’oggi preferiscono drogarsi e

bere, io quando ero ragazzo andavo a

correre sui kart e studiavo, quando pote-

vo mi allenavo e mi divertivo senza biso-

gno di rovinarmi, adesso se non eccedi

non ti diverti e soprattutto non si è nes-

suno.

Mi scende una lacrima, penso a quanto

ancora potesse dare al mondo

quell’uomo, l’icona della rivalsa,

l’unico esempio vivente di cosa voglia

dire venire dal nulla ed essere il centro

della fiamma per 7 anni nella bolgia

della Formula 1.

L’INTERVISTA IMMAGINARIA

Page 15: OMEGA n 3 Maggio-Giugno 2010

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porta a fare stupidaggini, a credersi un piccolo clone di me

stesso o di Lauda o Mansell, autoconvincendosi di poter

sfidare la morte. Io non correvo sfidando la morte, sfidavo

la vita, lottavo contro lei per dimostrare a me stesso che

valevo qualcosa e che mi meritavo ciò che mi ero costrui-

to; domandi a lui se è così, le dirà che lui corre per il piace-

re del rischio. Le faccio presente che il rischio che correvo

io era ben diverso, certo ormai anche una semplice utilita-

ria ha più sistemi di sicurezza della mia Williams dell‟94,

ma quando si gioca con la morte, lei vince: è come cercare

di rubare ad un ladro e come si suol dire “non si ruba a

casa del ladro”. Capisce?

Sì, intendo perfettamente. Ritornando alla

domanda di prima, come vede adesso l’Ayrton

Senna degli anni d’oro della Formula uno? Di solito non sono un ottimo critico di me stesso, tendo ad

elogiarmi, ma di sicuro posso dire con fermezza che il no-

stro “mondo” era diverso: eravamo una grande famiglia,

lottavamo e allo stesso tempo eravamo tutti amici, a parte

qualche screzio tra me e Prost nel circo della F1 non vi

erano lotte esterne alla pista, è vero a volte oltrepassavo il

limite lasciandomi guidare dal brivido dello spettacolo, ma

anch‟io un tempo fui giovane e come tutti i giovani benché

qualcuno mi ritenesse un piccolo genio tattico peccavo di

superbia. Se rivede le registrazioni di Suzuka, una volta di

troppo io e il francese ci siamo fatti compagnia sul selciato

solo perché la mia “saudade” si era eccessivamente gonfia-

ta [ride].

Concludendo, l’Ayrton Senna del 2010 cosa si

prospetta davanti a sé?

Nel mio futuro vedo solo questi due angeli davanti a me,

qualche altro anno dentro alla F1 e poi ritirarmi a vita pri-

vata e aiutare i giovani brasiliani a crearsi un futuro, che

sia nel mondo delle corse o altrove, purché lavorino sodo e

facciano di se stessi la propria vittoria. La mia è stata avere

una seconda possibilità e sfruttarla al meglio, voglio lavo-

rare per loro dando ad essi la sicurezza di averne una simi-

le alla mia.

E invece è soltanto un sogno: non potevo aver intervistato

Senna, visto che è morto da ormai 16 anni. Mi torna in

mente il momento in cui la sua Rothmans si schianta a 327

all‟ora sul muretto della tamburello, nel circuito di San

Marino, e in quel momento il mondo si rende conto che il

“pibe de oro” dei motori vola via verso il cielo, correndo

alla stessa velocità con cui vinceva ogni domenica. Mi

scende una lacrima, penso a quanto ancora potesse dare al

mondo quell‟uomo, l‟icona della rivalsa, l‟unico che possa

vantarsi di dire “mi sono fatto da solo”, l‟unico che Enzo

Ferrari aveva desiderato, l‟unico esempio vivente di cosa

voglia dire venire dal nulla ed essere il centro della fiamma

per 7 anni nella bolgia della Formula 1. Chissà cosa sareb-

be adesso quel mondo se lui fosse ancora vivo, chissà se si

sarebbe trasferito in Italia… Lo vedrei bene a fare educa-

zione stradale nei licei, a far capire ai ragazzi che le pro-

vinciali non sono sessioni di cronoscalate e che le vie citta-

dine non sono autodromi So di certo una cosa: se Ayrton

Senna fosse ancora vivo sarebbe diverso, tutto.

L’INTERVISTA IMMAGINARIA

Ayrton Senna posa nel circuito

di Imola, 1989

Il casco di Ayrton Senna con i

colori brasiliani

I tecnici e i medici estraggono il

corpo di Senna, subito dopo

l‟impatto mortale

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SIETE TUTTI INVITATI AL GRAN BALLO

DEL NOSTRO LICEO!

GIORNO 11 ALLE ORE 21.30

NON MANCATE!