Ombre cinesi DOSSIER La Rivoluzione culturale, V atto secondo · ro dal Partito comunista cinese,...

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Alla Cina non basta affermarsi come grande poten- za economica, attraverso una crescita prorompen- te. Vuole essere compresa dal resto del mondo. Co- sì il Partito progetta riforme che assicurino in futu- ro un’efficace penetrazione culturale in Occidente. Finanzia istituti che promuovono l’insegnamento del mandarino nel mondo e raccomanda ai propri funzionari di dialogare con i mezzi di informazione esteri. DOSSIER I cinesi li temiamo perché ci appaiono una comunità misteriosa e impenetrabile, dedita a loschi e fumosi af- fari”. Lo scrittore italiano Tommaso Pincio usò questa espressione per spiegare come concepì Cinacittà (Einau- di, 2008), un romanzo nella quale Roma è in mano ai ci- nesi, una civiltà in dissoluzione assediata dagli elemen- ti – considerati peggiori – di un’altra, di cui si conosce po- co e di cui si acquisiscono informazioni, adulterate pe- raltro da assurde leggende metropolitane. Anche Philip K. Dick si era servito dell’espediente del pericolo cinese – in Paradiso maoista del 1994 (ma originariamente scrit- to tra il 1948 e il 1950, edizione italiana, Fanucci 2007) – a conferma di quanto “l’ansia gialla” fosse una sottile paura che abita l’inconscio collettivo da molto tempo. E se – a partire sostanzialmente dalla fine del secondo conflitto mondiale – con il prevalere della cultura made in Usa nell’immaginario e nelle abitudini dell’Occiden- te, si affermarono un certo modello di vita, oggetti di uso quotidiano, abiti e cibi di provenienza o di stampo tipica- mente americano, è lecito chiedersi se oggi, con la Cina seconda potenza economica globale, è davvero possibile immaginare un futuro prossimo in cui il mondo venga in- vaso dai prodotti e dalle tradizioni del Paese del Drago. Cominceremo a mangiare spaghetti di soia a colazione, a girare con magliette a strisce bianche e blu e occhiali senza lenti, a sputacchiare qua e là, o a urlare anche du- rante normali conversazioni, integrando uno dei tanti luoghi comuni con i quali spesso semplifichiamo la no- stra immagine dei cinesi? Come abbiamo imparato a masticare chewing gum ea indossare i jeans, chissà che un domani i qipao – gli abi- ti mandarini – o magari le caramelle di carne di maiale, o di pesce secco, non possano diventare elementi comuni della nostra vita di ogni giorno. Nel Novecento il soft power americano è riuscito a vei- colare, dunque, una serie di elementi culturali che han- no informato di sé l’intera civiltà occidentale. Per quan- to riguarda la Cina – seppure con esiti di ben altra porta- ta e in un arco temporale meno ampio – non si può nega- re l’impatto, ad esempio, della Rivoluzione culturale – e il fascino di talune istanze ideologiche che ne promana- rono – su, un’intera generazione di intellettuali. Basti pensare ai tanti gruppi maoisti sorti negli anni Settanta o a quante espressioni sono entrate nel nostro gergo stori- co: “Colpirne uno per educarne cento”, “Ribellarsi è giu- sto”, o “La non è un pranzo di gala”. Oggi, però, il soft power – per come lo intendono i ci- nesi – agisce forse in maniera diversa: la Cina è un anima- le proteiforme, in grado – storicamente – di mimetizzar- si, di fare suoi anche modelli non necessariamente affini alle proprie radici confuciane (comunismo, ad esempio, o capitalismo), ma soprattutto straordinariamente capa- ce di mutare le proprie sembianze mantenendo sempre un’identità riconoscibile. La Cina profila la programma- zione economica ancora attraverso piani quinquennali, ma allo stesso tempo sa operare svolte repentine nel mo- mento in cui fiuti la necessità del cambiamento che non può attendere. V ediamo, ad esempio, quanto è recentemente accadu- to nell’ambito dell’industria cinematografica. La Ci- na nel 2010 ha prodotto oltre 520 film, a fronte dei 100 al- l’anno prima del 2003. I film proiettati in Cina nel 2011 hanno rastrellato 10 miliardi di yuan (1,57 miliardi di dollari) al box office, dieci volte di più rispetto alle ven- dite al botteghino di dieci anni prima. Una spinta confer- mata anche dalle autorità, che hanno chiesto al compar- to di aumentare la produzione – in vista magari di uno sbarco massiccio sugli schermi occidentali – ma senza per questo snaturarne le tradizionali caratteristiche. I film cinesi infatti – secondo quanto riportato da una nota uf- ficiale del governo – “non devono danneggiare l’onore e l’interesse nazionale, incitare all’odio etnico, sviluppare culti malvagi o superstizione, diffondere oscenità, gioco d’azzardo, droga, violenza o terrore”. Vincoli che secon- do molti rischiano di imbavagliare la creatività, mentre secondo il professor Zhou Xing, della Beijing Normal University, Pechino starebbe invece dimostrando «la sua 75 numero 41 . aprile 2012 74 east . rivista europea di geopolitica Ombre cinesi Soldati e civili con il Libretto rosso di Mao a un convengno nell’aprile del 1967. La Rivoluzione culturale, atto secondo di Simone Pieranni Keystone-France / Gamma-Keystone via Getty Images

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Alla Cina non basta affermarsi come grande poten-

za economica, attraverso una crescita prorompen-

te. Vuole essere compresa dal resto del mondo. Co-

sì il Partito progetta riforme che assicurino in futu-

ro un’efficace penetrazione culturale in Occidente.

Finanzia istituti che promuovono l’insegnamento

del mandarino nel mondo e raccomanda ai propri

funzionari di dialogare con i mezzi di informazione

esteri.

DOSSIER

I cinesi li temiamo perché ci appaiono una comunitàmisteriosa e impenetrabile, dedita a loschi e fumosi af-

fari”. Lo scrittore italiano Tommaso Pincio usò questaespressione per spiegare come concepì Cinacittà (Einau-di, 2008), un romanzo nella quale Roma è in mano ai ci-nesi, una civiltà in dissoluzione assediata dagli elemen-ti – considerati peggiori – di un’altra, di cui si conosce po-co e di cui si acquisiscono informazioni, adulterate pe-raltro da assurde leggende metropolitane. Anche PhilipK. Dick si era servito dell’espediente del pericolo cinese– in Paradiso maoista del 1994 (ma originariamente scrit-to tra il 1948 e il 1950, edizione italiana, Fanucci 2007) –a conferma di quanto “l’ansia gialla” fosse una sottilepaura che abita l’inconscio collettivo da molto tempo.

E se – a partire sostanzialmente dalla fine del secondo

conflitto mondiale – con il prevalere della cultura madein Usa nell’immaginario e nelle abitudini dell’Occiden-te, si affermarono un certo modello di vita, oggetti di usoquotidiano, abiti e cibi di provenienza o di stampo tipica-mente americano, è lecito chiedersi se oggi, con la Cinaseconda potenza economica globale, è davvero possibileimmaginare un futuro prossimo in cui il mondo venga in-vaso dai prodotti e dalle tradizioni del Paese del Drago.

Cominceremo a mangiare spaghetti di soia a colazione,a girare con magliette a strisce bianche e blu e occhialisenza lenti, a sputacchiare qua e là, o a urlare anche du-rante normali conversazioni, integrando uno dei tantiluoghi comuni con i quali spesso semplifichiamo la no-stra immagine dei cinesi?

Come abbiamo imparato a masticare chewing gum e aindossare i jeans, chissà che un domani i qipao – gli abi-ti mandarini – o magari le caramelle di carne di maiale, odi pesce secco, non possano diventare elementi comunidella nostra vita di ogni giorno.

Nel Novecento il soft power americano è riuscito a vei-colare, dunque, una serie di elementi culturali che han-no informato di sé l’intera civiltà occidentale. Per quan-to riguarda la Cina – seppure con esiti di ben altra porta-ta e in un arco temporale meno ampio – non si può nega-re l’impatto, ad esempio, della Rivoluzione culturale – eil fascino di talune istanze ideologiche che ne promana-rono – su, un’intera generazione di intellettuali. Bastipensare ai tanti gruppi maoisti sorti negli anni Settanta oa quante espressioni sono entrate nel nostro gergo stori-co: “Colpirne uno per educarne cento”, “Ribellarsi è giu-sto”, o “La non è un pranzo di gala”.

Oggi, però, il soft power – per come lo intendono i ci-nesi – agisce forse in maniera diversa: la Cina è un anima-le proteiforme, in grado – storicamente – di mimetizzar-si, di fare suoi anche modelli non necessariamente affinialle proprie radici confuciane (comunismo, ad esempio,o capitalismo), ma soprattutto straordinariamente capa-ce di mutare le proprie sembianze mantenendo sempreun’identità riconoscibile. La Cina profila la programma-zione economica ancora attraverso piani quinquennali,ma allo stesso tempo sa operare svolte repentine nel mo-

mento in cui fiuti la necessità del cambiamento che nonpuò attendere.

Vediamo, ad esempio, quanto è recentemente accadu-to nell’ambito dell’industria cinematografica. La Ci-

na nel 2010 ha prodotto oltre 520 film, a fronte dei 100 al-l’anno prima del 2003. I film proiettati in Cina nel 2011hanno rastrellato 10 miliardi di yuan (1,57 miliardi didollari) al box office, dieci volte di più rispetto alle ven-dite al botteghino di dieci anni prima. Una spinta confer-mata anche dalle autorità, che hanno chiesto al compar-

to di aumentare la produzione – in vista magari di unosbarco massiccio sugli schermi occidentali – ma senzaper questo snaturarne le tradizionali caratteristiche. I filmcinesi infatti – secondo quanto riportato da una nota uf-ficiale del governo – “non devono danneggiare l’onore el’interesse nazionale, incitare all’odio etnico, sviluppareculti malvagi o superstizione, diffondere oscenità, giocod’azzardo, droga, violenza o terrore”. Vincoli che secon-do molti rischiano di imbavagliare la creatività, mentresecondo il professor Zhou Xing, della Beijing NormalUniversity, Pechino starebbe invece dimostrando «la sua

75numero 41 . aprile 201274 east . rivista europea di geopolitica

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Soldati e civili con il Libretto rosso di Mao

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determinazione a promuovere l’industria cinematografi-ca come un pilastro per lo sviluppo dell’industria cultu-rale, rivelando l’intenzione dei policymakers di usare va-lori sociali nei film».

Hu Shuli, reporter indipendente, liberale, sul SouthChina Morning Post 1 ha scritto che “la riforma culturaleè stato il tema principale della sesta sessione plenaria delXVII Comitato centrale del Partito comunista, dove si èdeciso l’approfondimento delle riforme del sistema cul-turale al fine di promuovere lo sviluppo e la prosperitàdella cultura socialista. È la prima volta che la riformaculturale viene posta sullo stesso piano delle riforme eco-nomiche, politiche e sociali. Questo contribuisce a chia-rire il ruolo della cultura nelle politiche cinesi. Ci si aspet-ta che nei prossimi anni la riforma culturale acceleri e in-neschi un’ondata di nuovi cambiamenti”.

La Cina è rinata, riformata, riverniciata con un rossopiù acceso ancora di quello maoista, confermando la

centralità del Partito e l’importanza di fare girare denaro,e di generarne di nuovo, per aumentare il livello di vitadella società. Portare oltre 300 milioni di persone al difuori della soglia di povertà era il primo obiettivo. Quin-di, all’accresciuto potere economico è corrisposto il mag-

DOSSIER

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TIBET, LA REPRESSIONE CONTINUA

I l Losar, il capodanno tibetano, è arrivato anche quest’an-no. Una celebrazione in tono minore, segnata dai tragici

avvenimenti del 23 febbraio scorso. Da mesi, nelle regioniabitate da tibetani del Sichuan e Qinghai, sono in corsoscontri e proteste contro la polizia cinese, mentre il nume-ro delle persone (monaci e suore) che si sono autoimmola-te è salito a ventidue. Di questi, ventuno solo dal marzo del-lo scorso anno. Gli autori di questi gesti estremi sono qua-si sempre giovani: solo sei dei monaci avevano più di tren-t’anni e, a parte tre donne, si è trattato sempre di uomini.Quindici di loro sono certamente morti, mentre gli altri sa-rebbero stati presi in consegna dalle autorità cinesi. L’ulti-ma autoimmolazione risale allo scorso 17 febbraio, quandoun monaco di quarant’anni si è dato fuoco a Themchen, nel-la regione del Qinghai.

Il passaggio al nuovo anno non ha attutito le tensioni, an-che perché questo periodo è da tempo considerato “sensi-bile” nelle aree tibetane: il 10 marzo cade l’anniversario del-la fuga in India del Dalai Lama, avvenuta nel 1959; il 14 è ladata simbolo dalla repressione di Lhasa, che nel 2008 ave-va segnato col sangue l’anno dei Giochi olimpici pechinesi;infine, il 28 è la data della festa imposta dal governo cineseper celebrare l’annessione del Paese al resto della Cina.

Bowo

MonteKailash

Everest

LagoNamco

INDIA

NEPAL

INDIA

CINACINA

BANGLADESH BIRMANIA

BHUTAN

B rahmap u traG ange

LhasaGyantse

Shigatse

Territoriamministratidalla Cina

Sakia

KHAMTSANG-U

QUINGHAI

T I B E T

0 250

500 km

TIBET

ETÀ MEDIA 64,3% tra i 15 ed i 64 anni

RELIGIONE Buddisti tibetani 99%, altre 1%

FORMA DI GOVERNO Comunista (dopo occupazione cinese 1959,

sotto il controllo della Repubblica Popolare

Cinese). Il “Governo tibetano in esilio”

(sede Dharamsala/India) la considera

“occupazione militare illegittima”

CAPO DI STATO Hu Jintao (marzo 2003)

CAPO DI GOVERNO Wen Jiabao (marzo 2003)

CAPO DI STATO/GOVERNO

“GOVERNO TIBETANO IN ESILIO”

Tenzin Gyatso, 14° Dalai Lama

1. South China Morning Post del 27 ottobre 2011.

Attivisti tibetani durante una protesta di fronte

all’ufficio delle Nazioni Unite a Nuova Delhi il 6 marzo 2012.

AREA 2.500.000 km2

POPOLAZIONE 6 milioni di tibetani (circa)

e 7,5 milioni di coloni cinesi

STABILITÀ POLITICA Il Tibet è governato col pugno di fer-ro dal Partito comunista cinese, con il sostegno attivo dell’eserci-to. Il Tibet è “autonomo” solo a parole; in realtà la Regione autono-ma tibetana (Tar) ha meno autonomia delle province cinesi. La mas-sima carica della Tar, il segretario di partito, non è mai stata ricoper-ta da un tibetano. Il governo tibetano in esilio considera il dominiocinese come un’occupazione militare illegittima. Ha il suo quartiergenerale a Dharamsala, ed è guidato da Tenzin Gyatso, il 14° DalaiLama, che lo descrive come l’unico e legittimo governo del Tibet.

EFFICACIA GOVERNATIVA Malgrado il Partito comunistacontinui a controllare il Tibet, il suo controllo comincia a svigorirsi.Corruzione e inefficienza hanno indebolito alcune operazioni di go-verno, al punto da renderle quasi inefficaci e da causare un ingen-te spreco di fondi governativi.

SICUREZZA La Cina mantiene in Tibet un contingente mi-litare di occupazione di almeno 250mila uomini. L’esercito rivesteun ruolo più importante nell’amministrazione del Tibet che in qual-siasi provincia cinese, e nessun tibetano è mai stato nominato trai quadri del distretto militare che governa il Tibet.

DIRITTI UMANI Il governo cinese limita fortemente i dirit-ti dei tibetani all’esercizio dei diritti umani previsti dalla Costituzio-ne cinese, tra cui libertà di parola, di stampa, di associazione e direligione.

MALCONTENTO SOCIALE Nel 2010 nella Regione autono-ma tibetana e nelle adiacenti aree di Qinghai, Sichuan, Gansu eYunnan è perdurata una situazione di tensione. Il governo cinesenon ha dato alcun segno di voler andare incontro alle aspirazionidel popolo tibetano a una maggiore autonomia, neppure entro ilpiù ristretto ambito della legge di autonomia del Paese sulle areea minoranza etnica. Non si sono verificati arresti di massa come inseguito alle proteste della primavera 2008, ma il governo mantie-ne un pesante contingente di sicurezza sull’intero altopiano tibe-tano e continua a limitare gran parte degli accessi esterni alle areetibetane.

TASSO DI ALFABETISMO Il tasso di alfabetismo è aumentato fino aun 98,8% (dati di fine 2011) e la durata media del percorso scolasti-co della popolazione al di sopra dei 15 anni ha raggiunto i 7,3 anni.

UTENTI INTERNET Nel 2010 nella Regione autonoma tibetana il nu-mero di utenti internet ha raggiunto 1,2 milioni (dati 2011).

Nei giorni che hanno preceduto le celebrazioni per il ca-podanno tibetano la Cina ha messo a punto un sistema

di sicurezza che ha di fatto bloccato le comunicazioni tele-foniche e via internet della regione, invitando inoltre i fun-zionari a compiere adeguatamente il proprio dovere, ondeevitare che eventi esterni potessero turbare l’armonia delPaese. Ad inizio febbraio 2012 la commissione regionale delPartito comunista per l’ispezione disciplinare in Tibet hapubblicato un avviso dai toni molti duri, in cui richiedeva atutti i funzionari di salvaguardare la stabilità nella remotaregione himalayana, in particolare mediante l’attuazione dimisure preventive e “tenendo d’occhio le persone che pos-sono causare problemi”, come riferito dal Tibet Daily.

“Tutti i quadri – diceva la nota – a prescindere da chi sia-no o quale sia la loro posizione, verranno rimossi immedia-tamente, prima di essere soggetti a punizioni disciplinari,se non adempiranno al loro lavoro in modo corretto”.

Le preoccupazioni per un’escalation militare nelle regio-ni tibetane è stata stigmatizzata anche da Lobsan Sangay,il primo ministro del governo tibetano in esilio: “Lo schiera-mento di militari – ha detto al Financial Times – sta aumen-tando rapidamente. Abbiamo visto le immagini di centina-ia di convogli pieni di forze paramilitari con mitragliatrici au-tomatiche che si spostano verso diverse zone tibetane. Sia-mo davvero preoccupati – ha aggiunto – e temiamo che ilgoverno cinese si stia preparando per qualcosa di moltodrastico, imprevedibile e tragico”.

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gior peso a livello internazionale, la possibilità di seder-si al tavolo dei grandi dettando, al momento opportuno,la propria agenda. Non restava, allora, che ricordare almondo quanto la Cina possa essere una potenza anchedal punto di vista culturale, quanto abbia da offrire e svi-luppare pure sotto questo profilo.

Nell’ottobre scorso il Comitato centrale del Partito co-munista cinese ha diramato le linee guida di una riformaculturale che deve attendere, principalmente, a due com-piti: da un lato operare una forma di controllo nei con-fronti della cultura “interna” al Paese, indirizzandola do-ve ha stabilito l’establishment del partito, che peraltroquest’anno si prepara ad affrontare il delicato, rituale,passaggio congressuale e dunque un momento che segnaun parziale, ma sempre significativo, ricambio politico.Sul fronte interno le dinamiche sono sempre le stesse, eil partito sa bene come agire e le strategie da adottare, qua-si fosse un giocatore di go che deve muovere con pazien-te abilità le proprie pedine. Un esempio: la televisione.Via le fiction e i programmi frivoli, fuori dai palinsesti lamaggior parte delle serie straniere, spinta su contenutitradizionali e tipicamente cinesi.

Ben più interessante appare il “fronte esterno”, dove laCina ravvisa la necessità doversi spiegare e far meglio

comprendere al resto del mondo, partendo dalla consa-pevolezza di non aver fatto, finora, un sapiente lavoro dipublic relations. Lo ha affermato il Comitato centrale nel-la “Riforma culturale della Nuova Cina”. E hanno prova-to anche a comprarsi Newsweek, ma ben presto hanno ca-pito che i soldi non significano necessariamente culturae che era dunque necessario utilizzare un’altra tattica.

All’esterno, infatti, le pedine del go immaginario spes-so danno l’impressione di poter creare una sorta di accer-chiamento (che poi è lo scopo del gioco) che provoca uncerto allarme nelle menti dei leader politici cinesi. Eccoallora che la mossa, quella successiva, è la chiave peruscirne. Mai stare fermi: anche il più piccolo e impercet-tibile movimento della pedina lontana dal centro del gio-co può diventare un elemento scardinante, perché co-stringe tutto il resto a cambiare. E si procede a tentativi.

Ombre cinesi

78 east . rivista europea di geopolitica

DOSSIER

79numero 41 . aprile 2012

Il regista americano Joel Coen,

il produttore della serie televisiva americana Frontline,

David Fanning, i registi cinesi Lu Chuan e He Ping

insieme al critico Jia Leilei

e al moderatore Damian Woetzel

durante il Forum Usa-Cina sulle arti e la cultura.

Il nuovo quartier generale

della China Central Television

a Pechino.

Come prima mossa si è deciso di offrire un’altra imma-gine del Paese all’Occidente: basta con stereotipi ed allu-sioni che descrivono la Cina come misteriosa, quandonon addirittura pericolosa per il benessere del mondo oc-cidentale. Ora, secondo i cinesi, è giunto il momento diintervenire direttamente nei dibattiti stranieri: con voci– anche di politici di primo piano – in grado di cambiarela percezione degli stranieri nei confronti del colossoasiatico.

Non è un caso, infatti, che i funzionari cinesi sono orapiù disponibili a pubblicare articoli su riviste o quotidia-ni stranieri. Gli analisti ritengono che questa manovramostri la volontà da parte di Pechino di rendere le pro-prie politiche comprensibili al resto del mondo. «Il go-verno cinese ormai vuole mandare i suoi messaggi in mo-do diretto», ha detto James McGregor, un consulente del-la società di pubbliche relazioni Apco Worldwide, ag-giungendo che i sospetti nei confronti della Cina da par-te dei media occidentali sono il risultato dell’ascesa delPaese, che ha finito per spingere i funzionari ad essere piùreattivi.

Uno degli ultimi esempi è arrivato dal consigliere diStato Dai Bingguo, che ha scritto sul Daily Telegraph unarticolo sulla crescita pacifica della Cina. Dai Bingguo ha

spiegato in modo molto nettoche “i cinesi hanno soffertol’aggressione straniera e nonsono intenzionati ad infligge-re tali sofferenze ad altri po-poli”.

Il 23 giugno scorso anche ilpremier Wen Jiabao ha scrittoun articolo sul Financial Ti-mes durante la sua visita inUngheria, Regno Unito e Ger-mania, spiegando di essere si-curo in merito alle possibilità

cinesi di contenere l’inflazione interna. Lai Hongyi, pro-fessore di Storia contemporanea cinese presso l’univer-sità di Nottingham, ha confermato come la Cina sia ormaiconcentrata seriamente in “una campagna internaziona-le di pubbliche relazioni”, che si esplica attraverso lamaggiore propensione che viene richiesta ai suoi funzio-nari all’estero nell’essere più interattivi con i media in-ternazionali.

Inoltre non bisogna dimenticare gli investimenti per lacultura, primi fra tutti gli Istituti Confucio , vera e propriopietra angolare del soft power cinese all’estero. I primiaprirono nel 2005 (in Francia, Gran Bretagna, Germaniae Italia), fino ad arrivare alla invidiabile quota di ben 315in 94 Paesi solo cinque anni dopo.

Vi operano oltre 5mila insegnanti e l’obiettivo è di ar-rivare ad aprire 1000 istituti entro il 2015. Non solo, per-ché oltre alla lingua la Cina è ormai pronta ad esportareanche altri prodotti culturali – come cinema e televisio-ne (da qualche mese in Italia, su un canale Sky, va in on-da la prima fiction cinese in italiano) – e le tecnologie. Nel2010 la cultura ha fruttato 1,1 miliardi di yuan, ovvero173 miliardi di dollari (il 2,8% del Pil nazionale): entro il2016 dovrà fruttare il doppio. E dovrà sapere conquista-re anche il mondo occidentale. .

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