Oltre Lo Statuto. La Vendetta Nella Letteratura Toscana Del Due-Trecento - Andres

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Laboratoire italien (2005) Droit et littérature ................................................................................................................................................................................................................................................................................................ Stefano Andres Oltre lo statuto. La vendetta nella letteratura toscana del Due-Trecento ................................................................................................................................................................................................................................................................................................ Avertissement Le contenu de ce site relève de la législation française sur la propriété intellectuelle et est la propriété exclusive de l'éditeur. Les œuvres figurant sur ce site peuvent être consultées et reproduites sur un support papier ou numérique sous réserve qu'elles soient strictement réservées à un usage soit personnel, soit scientifique ou pédagogique excluant toute exploitation commerciale. La reproduction devra obligatoirement mentionner l'éditeur, le nom de la revue, l'auteur et la référence du document. Toute autre reproduction est interdite sauf accord préalable de l'éditeur, en dehors des cas prévus par la législation en vigueur en France. Revues.org est un portail de revues en sciences humaines et sociales développé par le Cléo, Centre pour l'édition électronique ouverte (CNRS, EHESS, UP, UAPV). ................................................................................................................................................................................................................................................................................................ Référence électronique Stefano Andres, « Oltre lo statuto. La vendetta nella letteratura toscana del Due-Trecento », Laboratoire italien [En ligne], 5 | 2005, mis en ligne le 07 juillet 2011, consulté le 20 août 2012. URL : http:// laboratoireitalien.revues.org/426 ; DOI : 10.4000/laboratoireitalien.426 Éditeur : ENS Éditions http://laboratoireitalien.revues.org http://www.revues.org Document accessible en ligne sur : http://laboratoireitalien.revues.org/426 Ce document est le fac-similé de l'édition papier. © ENS Éditions

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Laboratoire italien5  (2005)Droit et littérature

................................................................................................................................................................................................................................................................................................

Stefano Andres

Oltre lo statuto. La vendetta nellaletteratura toscana del Due-Trecento................................................................................................................................................................................................................................................................................................

AvertissementLe contenu de ce site relève de la législation française sur la propriété intellectuelle et est la propriété exclusive del'éditeur.Les œuvres figurant sur ce site peuvent être consultées et reproduites sur un support papier ou numérique sousréserve qu'elles soient strictement réservées à un usage soit personnel, soit scientifique ou pédagogique excluanttoute exploitation commerciale. La reproduction devra obligatoirement mentionner l'éditeur, le nom de la revue,l'auteur et la référence du document.Toute autre reproduction est interdite sauf accord préalable de l'éditeur, en dehors des cas prévus par la législationen vigueur en France.

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Référence électroniqueStefano Andres, « Oltre lo statuto. La vendetta nella letteratura toscana del Due-Trecento », Laboratoireitalien [En ligne], 5 | 2005, mis en ligne le 07 juillet 2011, consulté le 20 août 2012. URL : http://laboratoireitalien.revues.org/426 ; DOI : 10.4000/laboratoireitalien.426

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Laboratoire italien 5–2004

Droit et littérature

Oltre lo statuto.

La vendetta nella letteratura toscana

del Due-Trecento

Stefano Andres

Università di Pisa

Lo studio scientifico del sistema vendicatorio attraverso le fonti letterarie

della Toscana comunale due-trecentesca iniziò tra tardo Ottocento e

primo Novecento, in pieno clima giuridico-istituzionale, in concomitanza

con il fiorire degli studi danteschi, quando le riflessioni interdisciplinari

tra diritto e letteratura erano ancora agli inizi. Le incursioni degli storici

sono state, in definitiva, appena marginali 1 ; ben più sostanziosi si sono

rivelati i contributi dei dantisti, nonostante i risultati, spesso incerti, a

causa di oggettive difficoltà interpretative dei passi dell’opera del « Divino

Poeta » dedicati all’argomento 2. Nel corso degli anni a noi più vicini, paral-

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1. Cfr. I. Del Lungo, Una vendetta in Firenze il giorno di San Giovanni del 1295, « Archivio storico

italiano », XVIII, 1886, pp. 355-409 ; P. Santini, Appunti sulla vendetta privata e sulle rappresaglie in

occasione di un documento inedito, « Archivio storico italiano », XVIII, 1886, pp. 162-176 ; U. Dorini,

Il Diritto penale e la delinquenza a Firenze nel sec. XIV, Lucca, Corsi, 1923 ; R. Davidsohn, Firenze ai

tempi di Dante, Firenze, Bemporad, 1929, in particolare pp. 676-684 ; U. Dorini, La vendetta privata

ai tempi di Dante, « Giornale dantesco », XXIX, 1933, pp. 105-124 ; A. M. Enriques Agnoletti, La ven-

detta nella vita e nella legislazione fiorentina, « Archivio storico italiano », XCI, 1933, pp. 85-146 e

181-223. Fuori dell’area toscana : A. Checchini, Un giudice nel secolo decimoterzo : Albertano da

Brescia, in Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, LXXI, 1911-1912, pp. 185-235.

2. Si ricorda : M. Scherillo, Alcuni capitoli della biografia di Dante, Torino, Loescher, 1896,

pp. 82-115 ; G. Arias, Le Istituzioni giuridiche medievali nella « Divina commedia », Firenze,

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lelamente al declino (almeno sotto il profilo quantitativo) degli studi dan-

teschi che così tanta linfa avevano fornito alla questione 3, non sono man-

cati sporadici interventi, fino ad arrivare ad un recente saggio di Andrea

Zorzi nel quale vengono riaffrontate alcune delle fonti letterarie più note 4.

Non è casuale che la vendetta abbia attirato le attenzioni proprio in

relazione al Due-Trecento. Vi sono, probabilmente, ragioni di carattere sia

storico, sia meramente letterario-documentale. Da un punto di vista sto-

rico-politico, la variegata realtà comunale toscana di questo periodo fu per-

corsa da grandi fermenti : il sistema podestarile, la legislazione antima-

gnatizia, il ricambio dei gruppi dirigenti, le prime affermazioni signorili 5.

La giustizia e, più in generale, il diritto criminale risentirono della mag-

matica situazione politica. All’interno di questa società dalla complessa

struttura, perennemente immersa in una situazione conflittuale, vivevano

fianco a fianco – spesso combinandosi tra loro – varie forme di giustizie :

non solo strumenti compromissori (accordi privati, arbitrati, paci) e

metodi processuali (non ancora egemonizzati dalla procedura inquisito-

ria), ma anche sistemi violenti come la rappresaglia, il duello giudiziario e,

appunto, la vendetta 6. La vendetta rappresentava quindi uno degli stru-

menti, normativamente disciplinati, cui poter ricorrere per riparare le

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Lumache, 1901, pp. 31-62 ; C. Giani, La vendetta di Dio non teme suppe, « Il Giornale dantesco »,

XXIII, 1915, pp. 53-117 e 141-171 ; M. Barbi, La tenzone di Dante con Forese, « Studi danteschi », IX,

1924, pp. 5-149 ; Id., Ancora della tenzone con Forese, « Studi danteschi », XVI, 1932, pp. 69-105.

3. Si segnala : G. Diurni, Vendetta, in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto dell’enciclopedia ita-

liana, 1970-1978, vol. V, pp. 915-918.

4. A. Zorzi, La cultura della vendetta nel conflitto politico in età comunale, in Le Storie e la

memoria. In onore di Arnold Esch, a cura di R. Delle Donne e A. Zorzi, Firenze, Firenze Univer-

sity Press, 2002, pp. 135-170.

5. Cfr. G. Tabacco, Egemonie sociali e strutture del potere nel Medioevo italiano, Torino,

Einaudi, 1979 ; O. Capitani, Dal comune alla signoria, in Storia d’Italia, a cura di G. Galasso,

Torino, UTET, 1981, vol. IV, pp. 137-175.

6. Cfr. M. Vallerani, Conflitti e modelli procedurali nel sistema giudiziario comunale. I registri

di processi di Perugia nella seconda metà del XIII secolo, « Società e storia », XIII, 1990, pp. 267-

299, in particolare pp. 271-272 ; Id., I processi accusatori a Bologna fra due e trecento, « Società

e storia », XX, 1997, pp. 741-788, in particolare pp. 741-749 ; A. Zorzi, Giustizia e società a Firenze

in età comunale : spunti per una prima riflessione, « Ricerche storiche », XVIII, 1988, pp. 449-

495 ; Id., Negoziazione penale, legittimazione giuridica e poteri urbani nell’Italia comunale,

in Criminalità e giustizia in Germania e in Italia. Pratiche giudiziarie e linguaggi giuridici

tra tardo Medioevo ed età moderna, a cura di M. Bellabarba, G. Schwerhoff e A. Zorzi, Bologna,

Il Mulino, 2001, pp. 13-34. Per i metodi compromissori : L. Martone, Arbiter-arbitrator. Forme

di giustizia privata nell’età del diritto comune, Napoli, Jovene, 1984. Sulla pace privata :

A. Padoa Schioppa, Delitto e pace privata nel pensiero dei legisti bolognesi, « Studia gratiana »,

XX, 1976, pp. 271-287 ; M. Vallerani, Pace e processo nel sistema giudiziario del comune di Peru-

gia, « Quaderni storici », XXXIV, 1999, pp. 315-353. Per una prima analisi dei metodi giudiziali :

G. Alessi, Il Processo penale. Profilo storico, Roma-Bari, Laterza, 2001. Sulla rappresaglia : G. Pene

Vidari, Rappresaglia, in Enciclopedia del diritto, Roma, Giuffrè, 1987, vol. XXXVIII, pp. 403-410.

Sul duello giudiziario : Fiorelli, Duello (storia), in Enciclopedia del diritto, Roma, Giuffrè, 1965,

vol. XIV, pp. 88-93.

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offese. Tuttavia, proprio nel corso del periodo da noi preso in esame essa

entrò a poco a poco in conflitto con le logiche costituzionali del comune

maturo, in concomitanza con il passaggio del sistema cittadino da una fase

consociativa ad una più marcatamente istituzionale 7.

Gli ordinamenti giuridici toscani due-trecenteschi, come quelli di molte

altre realtà comunali coeve, pur riservandosi la possibilità di provvedere

per proprio conto a punire i delitti del primo offensore, riconoscevano e

disciplinavano la vendetta attraverso un reticolo di norme alluvionali e

disomogenee tra loro, mirate, se non altro, a salvaguardare l’ordine pub-

blico.

In questa sede possiamo limitarci ad osservare che gli statuti dei prin-

cipali comuni toscani prevedevano una disciplina sostanzialmente

uniforme. Il diritto alla vendetta era consentito esclusivamente all’offeso e

ai suoi congiunti e consorti, ma comunque solo per lesioni personali

accertate ; la vendetta doveva essere adeguata e non sproporzionata all’of-

fesa ; i congiunti o consorti non potevano porgere aiuto a colui che era

stato oggetto di una legittima vendetta ; la vendetta poteva essere fatta solo

sull’offensore e, lui morto, sui suoi discendenti maschi più prossimi ; una

pena capitale o una mutilazione fisica eseguita sull’offensore in seguito al

provvedimento di un magistrato avrebbe dovuto impedire l’esercizio della

vendetta. Per la trasgressione di tali norme erano contemplate sanzioni di

carattere pecuniario, salva l’ipotesi in cui la vendetta fosse stata eseguita

sulla principalem personam perché, in tal caso, il responsabile avrebbe

dovuto essere condannato a morte, con la contestuale confisca dei beni 8.

Da un punto di vista letterario, l’abbondanza di fonti due-trecentesche

di area toscana, nonché la vasta applicazione che qui il sistema vendicato-

rio ebbe 9, spingono a individuare in questa regione un laboratorio d’in-

dagine di primaria importanza. Cronache, novelle, poemi didattici, trattati,

sonetti, prediche, esempi, opere di argomento cavalleresco forniscono tes-

sere utili a ricostruire, almeno parzialmente, un grande mosaico che le

semplici norme giuridiche coeve – per limiti intrinseci – non riuscireb-

bero a fare rivivere.

Oltre lo statuto…

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7. M. Sbriccoli, « Vidi communiter observari. » L’emersione di un ordine penale pubblico nelle

città italiane del secolo XIII, « Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico », XXVII,

1998, pp. 231-268 ; Id., Giustizia criminale, in Lo Stato moderno in Europa. Istituzioni e diritto,

a cura di M. Fioravanti, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 163-205, in particolare pp. 163-169.

8. Per un breve esame delle norme statutarie toscane disciplinanti la vendetta cfr. P. Santini,

Appunti…, art. cit., pp. 162-176 ; U. Dorini, Il Diritto..., op. cit., pp. 185-200 ; Id., La vendetta..., art.

cit., pp. 105-124 ; A. M. Enriques Agnoletti, La vendetta..., art. cit., pp. 181-191 ; A. Zorzi, La cul-

tura..., art. cit., pp. 164-170 ; J.-C. Maire Vigueur, Osservazioni sugli statuti pistoiesi del sec. XII,

« Bullettino storico pistoiese », XCIX, 1997, pp. 3-12.

9. Varie fonti evidenziano il carattere vendicativo dei fiorentini e dei toscani in generale, cfr.

G. Arias, Le Istituzioni..., op. cit., p. 38.

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In questa sede non ci occuperemo – se non marginalmente – di certi

preziosi riscontri che le fonti letterarie offrono : la tipologia dei soggetti

che ricorrono alla vendetta, le modalità e gli strumenti con cui la vendetta

può essere esercitata, gli accorgimenti utili per riuscire nell’intento, gli

errori che deve evitare chi decide di vendicarsi, le motivazioni che spin-

gono a farsi giustizia. La presente indagine sarà essenzialmente volta ad

esplorare la base di consenso intorno al sistema vendicatorio, cercando di

aprire degli squarci sulle idee dei contemporanei intorno a questa pratica

e sugli insanabili contrasti ideologici che ne sono alla base.

Tentando di ricostruire l’atteggiamento dei contemporanei nei con-

fronti della vendetta, ci troviamo di fronte ad una situazione complessa

che ci conferma l’ambiguità di questo istituto, legittimato normativa-

mente, invocato, apprezzato come forma perfetta di giustizia umana, ma

anche temuto per i suoi effetti imprevedibili e incontrollabili, o addirittura

vituperato per la sua immoralità.

Secondo un luogo comune il sistema vendicatorio fu un terreno di

scontro ideologico tra due culture, una di origine aristocratico-cavallere-

sca – fondata sul valore e sul senso dell’onore 10 – e l’altra di matrice cri-

stiana, fondata sull’amore verso il prossimo e sul perdono 11. Da un punto

di vista puramente ideologico emergerebbe quindi una lacerazione insa-

nabile tra concezioni opposte : la cultura della colpa contro la cultura della

vergogna. A ben analizzare le fonti letterarie, si nota tuttavia che queste

ideologie vengono di volta in volta presentate e fatte proprie dall’autore in

modo più sfumato e problematico. Gli scrittori sovente prescindono dalle

ideologie e approvano o sconsigliano la vendetta come mezzo di risolu-

zione delle controversie affidandosi piuttosto al proprio senso pratico. Il

pensiero medievale apprezzò sempre il perdono cristiano come una delle

massime virtù, ma perdono e amore del prossimo da una parte e vendetta

e odio dall’altra convivevano spesso in lucida contraddizione. Nell’epoca

in esame, non solo il ceto aristocratico inurbato ed i magnati erano depo-

sitari della cultura della vendetta, ma – come dimostrano le fonti – essa

veniva condivisa anche dai « nuovi » che in quei decenni di fermento riu-

scirono a partecipare al potere, fino a divenire un valore corrente per larga

parte della popolazione 12.

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10. Cfr. L. H. Halkin, Pour une histoire de l’honneur, « Annales Économies, Société, Civilisa-

tions », IV, 1949, pp. 433-444.

11. Per la vendetta nel pensiero teologico-canonico medievale, cfr. D. Schiappoli, Svolgimento

storico del diritto penale canonico, in Enciclopedia di diritto penale italiano, a cura di E. Pes-

sina, Milano, Società Editrice Libraia, 1905, vol. I, 2, p. 616 e ss. ; M. Michel, Vengeance, in Dic-

tionnaire de théologie catholique, Parigi, Letouzey et Ané, 1920, vol. XV, coll. 2613-2623.

12. Cfr. E. Cristiani, Nobiltà e popolo nel comune di Pisa. Dalle origini del podestariato alla

signoria dei Donoratico, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, 1962, in particolare pp. 78-

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Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, nelle cronache citta-

dine e nella novellistica, che rappresentano i generi letterari qualitativa-

mente più importanti della Toscana del Due-Trecento, non troviamo

riscontri determinanti per intendere l’atteggiamento dei contemporanei

nei confronti del sistema vendicatorio. Per quanto riguarda le cronache,

possiamo osservare che solo in rari casi, qualora la vendetta sia stata ese-

guita in modo sproporzionato, lo scrittore interviene, data l’eccezionalità

dell’evento, per sbilanciarsi in un giudizio 13. Anche nella novellistica gli

autori sono fondamentalmente estranei rispetto ai fatti narrati ; quasi mai,

in modo diretto, fanno trasparire il proprio pensiero intorno al sistema

vendicatorio 14. Di solito i personaggi vengono descritti con distacco ;

appare problematico capire se, e in che misura, la posizione dello scrit-

tore possa identificarsi con quella dei personaggi. A prescindere dallo

specifico contenuto delle novelle è comunque possibile estrapolare iso-

lati riferimenti alla vendetta dai dialoghi e dai pensieri dei protagonisti.

Non mancano prese di posizione a favore o contro il sistema vendicato-

rio, anche se la loro decontestualizzazione appare metodologicamente

infida.

Le possibili giustificazioni, ma anche le contraddizioni, legate alla cul-

tura della vendetta emergono tuttavia con maggior chiarezza in un altro

genere letterario : la letteratura didattico-morale 15. Gli autori di queste

opere nella maggior parte dei casi sono giuristi-letterati, notai, giudici, assi-

stenti del podestà ; si tratta quindi di soggetti attivi nella vita politico-isti-

tuzionale del proprio comune 16. L’obiettivo dichiarato è quello di ammae-

strare la cerchia di amici, i familiari, il ceto di appartenenza o addirittura

l’intera cittadinanza, facendo leva sugli insegnamenti tramandati dalle auc-

toritates ma talvolta anche sulla propria esperienza personale. In certi casi

gli ammaestramenti vengono dispensati in prima persona, in altri, gli

autori ricorrono a personificazioni di entità astratte che richiamano la

prassi allegorica 17.

Oltre lo statuto…

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88 ; A. Zorzi, Politica e giustizia a Firenze al tempo degli ordinamenti antimagnatizi, in Ordi-

namenti di giustizia fiorentini. Studi in occasione del VII centenario, a cura di V. Arrighi,

Firenze, Edifir, 1995, pp. 105-147 ; J.-C. Maire Vigueur, Osservazioni..., art. cit., pp. 9-12.

13. A. M. Enriques Agnoletti, La vendetta..., art. cit., pp. 128-137.

14. Cfr., ad es., Giovanni Sercambi, Novelle, a cura di G. Sinicropi, Bari, Le Lettere, 1995,

nov. 118, 8 : « O sciocchi, che credete che colui che è stato diservito non tegna sempre a mente

il diservigio a lui fatto ! Né mai del cuore li esce […]. »

15. C. Segre, Le forme e le tradizioni didattiche, in Grundriss der romanischen Literaturen des

Mittelalters, Heidelberg, Winter, 1968, vol. VI, 1, pp. 58-145.

16. M. Montorzi, « Fides in rem publicam. » Ambiguità e tecniche del diritto comune, Napoli,

Jovene, 1984, pp. 206-207 e 269-303.

17. R. Tuve, Allegorical Imagery. Some Medieval Books and their Posterity, Princeton, Prince-

ton University Press, 1966.

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Uno degli scopi principali di tali trattati è quello di offrire un vero e

proprio codice di comportamento, sviluppando quelle regole di « buone

maniere » che già l’ambiente delle corti, in particolare quelle provenzali,

aveva iniziato a codificare 18. Per quel che ci interessa, si nota in questo

genere letterario la conflittualità latente della società comunale, emer-

gendo un mondo governato dalla diffidenza 19 e dal pericolo. La pace, l’or-

dine e la concordia, la giustizia, il bene comune sono gli ideali citati in

modo più ricorrente. In quest’ottica vanno interpretati i continui richiami

alla prudenza, all’onestà e alla misura. Solo tenendo individualmente com-

portamenti del genere, la collettività può aspirare a quegli ideali. In questo

quadro si inseriscono le valutazioni sulla vendetta di cui, però, non sem-

pre, viene considerata l’intrinseca pericolosità sociale.

La maggior parte dei trattati didattico-morali toscani che si occupa-

rono del sistema vendicatorio contrassero forti debiti con il Liber conso-

lationis et consilii, racconto allegorico in forma dialogica, che Albertano

da Brescia scrisse negli anni quaranta del secolo XIII 20. Segno eloquente

della grande diffusione di quest’opera in area toscana sono, tra l’altro, i

volgarizzamenti che, pochi anni dopo la sua redazione, ne fecero Andrea

da Grosseto ed il pistoiese Soffredi del Grazia. Come ha evidenziato

Andrea Zorzi (superando la vecchia impostazione del Checchini che

interpretava il trattato come un’apologia della giustizia pubblica nei con-

fronti della faida), la riflessione di Albertano verterebbe piuttosto sull’or-

dinarietà dei conflitti nonché sui modi di conduzione e di risoluzione 21.

Sotto questo profilo, meglio si comprende il motivo per cui il trattato del

giudice bresciano – volto a educare il cittadino alla gestione consiliare del

conflitto valutando le risorse in campo – costituì, per gli scrittori didat-

tico-morali successivi, una miniera di notizie sulla vendetta e sulle relative

pratiche protocollari.

Stefano Andres

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18. A. Roncaglia, Le corti medievali, in Letteratura italiana, a cura di A. Asor Rosa, Torino,

Einaudi, 1982, vol. I, pp. 105-122 ; D. Romagnoli, Cortesia nella città : un modello complesso. Note

sull’etica medievale delle buone maniere, in Le Città e la corte. Buone e cattive maniere tra

Medioevo ed età moderna, a cura di D. Romagnoli, Milano, Guerini e Associati, 1991, pp. 21-70.

19. B. Garofani, Geografia della diffidenza. Parola e letteratura didattica fra Due e Trecento,

« Nuova rivista storica », LXXXIV, 2000, pp. 317-336.

20. Mentre il giovane Melibeo (che incarna l’uomo comune) è assente da casa, la moglie Pru-

denza (allegoria personificata) e la figlia subiscono un’aggressione ad opera di alcuni malin-

tenzionati. Al suo ritorno Melibeo, riuniti amici e parenti, espone l’accaduto e chiede consiglio,

senza celare la propria predisposizione alla vendetta. Nonostante nell’assemblea prevalgano i

sostenitori della vendetta, Prudenza dissuade il marito dalla decisione, invitandolo a rinunciare

alla violenza ed a riconciliarsi con i nemici : l’umiliazione degli aggressori, che si dichiarano

pronti a fare pace, reintegrerà Melibeo dell’onore violato. Per l’edizione latina del trattato, cfr.

Albertano da Brescia, Liber consolationis et consilii ex quo fabula gallica de Melibeo et Pru-

dentia, a cura di T. Sundby, Havniae, 1873.

21. A. Zorzi, La cultura..., art. cit., pp. 143-158.

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Nel Tesoretto di Brunetto Latini 22 troviamo una convinta esaltazione

del sistema vendicatorio espressa per bocca di Prodezza, chiara allegoria

di una delle principali virtù dell’ethos cavalleresco. Quest’opera enciclo-

pedica ha una forte impronta laica, anche se non mancano saldi richiami

alla teologia ed alla morale cristiana (espressi soprattutto per bocca di altre

figure allegoriche protagoniste del poemetto, Natura e Lealtà). Nella

sezione del Tesoretto riservata agli insegnamenti di Prodezza (vv. 1981-

2170) sparisce tuttavia ogni riferimento a Dio, alla Chiesa ed ai suoi pre-

cetti morali.

Le esortazioni di carattere pratico espresse da Prodezza hanno essen-

zialmente ad oggetto i rapporti interpersonali. La regolamentazione ideale

di tali rapporti è improntata sul concetto di misura, recuperato dall’etica

di corte d’oltralpe. In quest’ottica vanno lette le esortazioni alla devozione

verso il comune, alla solidarietà cittadina, alla pace ed alla concordia.

Senno e follia rappresentano i due poli opposti intorno ai quali si snodano

i vari insegnamenti impartiti 23. La violenza fine a se stessa viene espressa-

mente stigmatizzata in quanto in chiara antitesi con il senso di misura e

con la ragionevolezza (vv. 1995-1997). Si invita a usare la ragione anche

dinnanzi ad un’ingiustizia subita, suggerendo la ricerca di un accomoda-

mento pacifico, magari ricorrendo all’aiuto di un uomo di legge (vv. 2004-

2014). Si raccomanda inoltre di soprassedere sulle offese di poco conto, in

particolare se verbali :

che se ti fosse ofeso

di parole o di detto,

non rizzar lo tu’ petto,

né non sie più corrente

che porti ’l convenente (vv. 2106-2110).

Se tuttavia la ragione non basta ad appianare i contrasti ed a ristabilire la

giustizia, se il proprio onore è in pericolo, allora bisognerà necessaria-

mente mettere da parte la prudenza :

[…] se ’l senno non vale,

metti mal contra male,

né già per suo romore

non bassar tuo onore (vv. 2017-2020).

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22. Su Brunetto : T. Sundby, Della vita e delle opere di Brunetto Latini, Firenze, Le Monnier,

1884 ; F. Mazzoni, Latini Brunetto, in Enciclopedia dantesca, op. cit., vol. III, pp. 579-588.

23. Sul senno : vv. 1611, 2016, 2022, 2195 ; sulla follia/mattezza : vv. 1640, 1916, 1987, 1990, 1991,

2049, 2574. Le citazioni del Tesoretto sono tratte dall’edizione a cura di M. Ciccuto, Milano, BUR,

1995.

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Prodezza inizia poi a dispensare tutta una serie di consigli sul migliore

esercizio della vendetta. In questa prospettiva, il sistema vendicatorio si

delinea come uno dei normali strumenti di giustizia, sicuramente il più

soddisfacente 24, non per questo di più facile attuazione.

Come già Brunetto Latini aveva evidenziato nel Tresor, chi si vendica

non deve mai farsi trascinare dall’ira provocata dal torto subito : « la mali-

ziosa ira addimanda grande vendetta per piccola offesa 25 ». L’accosta-

mento tra ira e vendetta risulta saldamente attestato in varie fonti 26. L’ira

è « maliziosa » : non solo chi è in preda a tale sentimento può compiere un

gesto spropositato, contrario alla normativa statutaria secondo cui la ven-

detta doveva sempre essere proporzionata all’offesa, ma rischia addirittura

di pregiudicare l’esito. Secondo Tommaso d’Aquino esiste, accanto all’ira-

vizio un’ira positiva, che si dirige contro la colpa e che punta alla restaura-

zione della giustizia 27. Brunetto Latini oltrepassa questo principio 28, rite-

nendo positiva l’ira che procede alla riparazione del torto e quindi

all’esercizio della vendetta, a suo giudizio legittima forma di giustizia :

« colui che non si commuove e non si adira per ingiurie o per offesa che

sia fatta a lui o ai suoi parenti è uomo lo cui sentimento è morto 29 ».

La precipitazione rappresenta una delle maggiori insidie del vendica-

tore (vv. 2126-2129), così come l’eccessivo indugio (v. 2130) 30. Viceversa il

fattore sorpresa aiuta chi intende vendicare un torto ; infatti dopo tanto

tempo l’offensore potrebbe aver dimenticato il fatto, e quindi aver abbas-

sato le proprie difese. Come attesta Prodezza :

i’ ho già veduto

ben fare una vengianza,

Stefano Andres

64

24. Per un’interpretazione antropologica della soddisfazione che la vendetta arreca, cfr.

R. Motta, Teoria del diritto primitivo, Milano, Unicopoli, 1986, pp. 60-65.

25. Brunetto Latini, Il Tesoro di Brunetto Latini volgarizzato da Bono Giamboni, Venezia, Gon-

dohive, 1839, VI, 32. Cfr. anche Il Tesoretto, op. cit., vv. 2683-2690.

26. C. Casagrande e S. Vecchio, I Sette Vizi capitali. Storia dei peccati nel Medioevo, Torino,

Einaudi, 2000, pp. 54-77.

27. M. Michel, Vengeance, art. cit., coll. 2613-2623.

28. Secondo C. Segre (introd. a Bono Giamboni, Il Libro de vizi e delle virtudi e Il Trattato di

virtù e di vizi, Torino, Einaudi, 1968, p. XXVII), queste opere toscane duecentesche di carattere

didattico sarebbero state scarsamente influenzate dalla scolastica ed avrebbero addirittura igno-

rato il pensiero di Tommaso d’Aquino.

29. Brunetto Latini, Il Tesoro…, op. cit., VI, 32.

30. Esiste una salda tradizione, da Cicerone (De officiis, a cura di W. Miller, Londra-New York,

Loeb, 1951, I, 25, 89) al Moralium dogma philosophorum (attribuito a Guglielmo di Conches,

in P. L. CLXXI, coll. 1008-1056, cap. XIII) fino ad Albertano da Brescia (Liber consolationis et con-

silii…, op. cit., XII e XIV), che mette in guardia chi deve fare giustizia (e quindi, in alternativa,

farsi giustizia) contro l’ira e la festinantia. Brunetto Latini non fa quindi che appoggiarsi ad un

luogo comune.

Page 10: Oltre Lo Statuto. La Vendetta Nella Letteratura Toscana Del Due-Trecento - Andres

che quasi rimembranza

no ’nd’ era tra la gente (vv. 2078-2081).

Quest’idea di « ’ndugiar vendetta » (v. 2101 31), cioè che la vendetta doveva

essere consumata lentamente, non solo è attestata in alcuni proverbi

coevi 32, ma risulta documentata perfino in alcuni dei più celebri episodi

di vendetta dell’epoca 33. Prima che la vendetta venga consumata, è addi-

rittura preferibile occultare le vere intenzioni, mascherando la propria

ira e il proprio dolore, specie se si è di fronte al nemico (vv. 2082-2090 34).

L’esperienza dimostra quindi che l’indugio e la dissimulazione rappre-

sentano le strategie migliori per riuscire nella vendetta :

i’ ho già veduto

omo ch’è pur seduto,

non facendo mostranza,

far ben dura vengianza (vv. 2117-2120).

L’importante comunque è che « lenta o ratta, / sia la vendetta fatta »

(vv. 2133-2134). L’offeso deve vivere aspettando il momento opportuno,

pensando a come agire per conseguire il risultato voluto 35. Se la vendetta

va preparata accuratamente, il desiderio di vendicarsi deve diventare un

pensiero fisso : « di notte e di giorno / pensa de la vendetta » (vv. 2124-

2125).

Viceversa si raccomanda all’offensore di esser circospetto, di andare in

giro armato e mai da solo :

Se tu hai fatto offesa

altrui, che sia ripresa

in grave nimistanza,

sì abbi per usanza

di ben guardarti d’esso,

ed abbi sempre apresso

Oltre lo statuto…

65

31. Anche se l’eccessivo indugio può essere ugualmente dannoso (v. 2130).

32. Così, secondo un proverbio del poeta umbro Garzo (Proverbi, in Poeti del Duecento, a cura

di G. Contini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, t. II, 1, nr. 227 p. 312), « vendetta s’indugia, / ma

non si trangugia » ; secondo un proverbio riportato dall’Ottimo (Ottimo commento della

« Divina Commedia », a cura di A. Torri, Pisa, Capurro, 1827-1829, vol. I, p. 498) : « vendetta di

cento anni tiene denti lattaiuoli », la reazione ad un’offesa è sempre fresca e può esser fatta in

qualsiasi momento. Cfr. anche Publilio Siro, Sententiae, a cura di E. Woelfflin, Leipzig, Teubner,

1869, n. 254.

33. Cfr., ad es., la nota vendetta consumata a Firenze dalla famiglia dei Velluti su quella dei Man-

nelli vari decenni dopo l’offesa : I. Del Lungo, Una vendetta..., art. cit.

34. Cfr., in proposito, Giovanni Sercambi, Novelle, op. cit., nov. 125, 10-16.

35. Cfr. Publilio Siro, Sententiae, op. cit., nn. 510 e 525.

Page 11: Oltre Lo Statuto. La Vendetta Nella Letteratura Toscana Del Due-Trecento - Andres

e arme e compagnia

a casa e per la via

[…]

l’occhio ti guidi e porti,

e lo cor ti conforti (vv. 2055-2070).

Il nemico non va mai disprezzato o sottovalutato, specie se non sembra in

grado di nuocere per il suo status sociale :

se questo tuo nemico

fosse di basso afare,

non ce t’asecurare,

perchè sie più gentile ;

no llo tenere a vile,

ch’ogn’omo ha qualch’aiuto (vv. 2072-2077) 36.

Come emergeva anche nel trattato di Albertano 37, la vendetta è affare

per chi ha i mezzi economici e materiali per poterla eseguire. Nel Tesoretto

se ne sconsiglia quindi l’esercizio a chi ha subito l’offesa da uno più

potente (vv. 2024-2025). È questo un aspetto topico della precettistica

sulla vendetta che verrà ripreso, ad esempio, anche da Boccaccio (Deca-

merone, VII, 9) e da Graziolo de’ Bambaglioli (v. infra).

La vendetta non è quasi mai una questione individuale ma di gruppo.

Come in parte riconoscevano le norme statutarie, la famiglia, gli amici e la

consorteria d’appartenenza avevano il dovere morale di intervenire e di

fornire i mezzi necessari all’esercizio della vendetta. Il loro intervento non

era finalizzato solo a proteggere il membro che avesse ricevuto l’offesa

(ovviamente nel caso in cui fosse sopravvissuto) o, addirittura, che avesse

offeso (circostanza questa normativamente non prevista), ma soprattutto

a tutelare l’onore, sia di lui che del gruppo nella sua interezza 38. Osservava

in proposito Jacopo Dalla Lana :

Stefano Andres

66

36. Cfr. ibid., n. 255. Sulla necessità, nei conflitti, di predisporre adeguate difese cfr. Albertano

da Brescia, Liber consolationis et consilii…, op. cit., XXXII, XXXIII, XXXV nonché il suo De

amore et dilectione Dei et proximi et aliarum rerum et de forma vitae, a cura di S. L. Hiltz, Penn-

sylvania, University of Pennsylvania, 1980, IX-XII.

37. Albertano da Brescia, Liber consolationis et consilii…, op. cit., XLI, XLV, XLVI sulla necessità

di possedere, per realizzare la vendetta, mezzi materiali ; XL, XLI sui nemici più potenti di chi

ha subito l’offesa. Cfr. anche A. Checchini, Un giudice..., art. cit., p. 230.

38. Si rinvia a : F. Niccolai, I consorzi nobiliari ed il comune nell’alta e media Italia, « Rivista

di storia del diritto italiano », XIII, 1940, pp. 116-147, 292-342 e 397-410 ; J. Heers, Il Clan fami-

liare nel Medioevo, Napoli, Liguori, 1976. Cfr. anche le annotazioni di G. Arias, Le Istituzioni…,

op. cit., pp. 35-38, 63-69, 217-223 e di A. M. Enriques Agnoletti, La vendetta..., art. cit.,

pp. 102-122.

Page 12: Oltre Lo Statuto. La Vendetta Nella Letteratura Toscana Del Due-Trecento - Andres

i fiorentini hanno tale uso che tutto il parentando si reputa l’offesa, e così la

si imputa a tutti li parenti dell’offenditore : e però ciascun parente della parte

offesa s’appronti di fare vendetta in lo offenditore o in li suoi parenti 39.

Proprio in virtù di questi vincoli reciproci, che nell’ambito del sistema ven-

dicatorio costituiscono un aspetto fondamentale, nel Tesoretto si racco-

manda di assistere sempre gli amici e di appoggiarli incondizionatamente :

e se ’l tuo buono amico

ha guerra di nemico,

tu ne fa’ quanto lui (vv. 2135-2137).

Secondo Andrea Zorzi, sarebbe stato un fautore della vendetta anche il

giudice-letterato fiorentino Bono Giamboni 40, il quale, contestualizzan-

dola nell’ambito delle relazioni sociali ordinarie, ne avrebbe esplicita-

mente riconosciuto la liceità giuridica. Il favore mostrato nei confronti

della vendetta emergerebbe in alcuni passi del Libro de’ vizi e delle vir-

tudi, un’opera di carattere didattico-morale, strutturalmente (ricorso all’al-

legoria e alla forma dialogica, presenza dell’autore tra i protagonisti del dia-

logo) e cronologicamente vicina al Tesoretto 41.

Questa sicurezza sembra tuttavia incrinarsi approfondendo il signifi-

cato che Bono Giamboni dà al termine vendetta. Preliminarmente pos-

siamo osservare il modo in cui essa viene inquadrata nel Libro de’ vizi e

delle virtudi, sotto forma di una delle numerose allegorie che compaiono

nel trattato. Non prende mai la parola, è un personaggio muto che rimane

sempre sullo sfondo ; la sua presentazione è affidata ad altre figure allego-

riche (Filosofia e Giustizia), che direttamente interloquiscono con l’autore.

Filosofia rivela che Vendetta è una virtù, strettamente connessa con Giusti-

zia, addirittura una dei capitani delle schiere che Giustizia comanda 42. Trat-

tando poi dei vari tipi di relazioni sociali, Giustizia afferma che l’uomo è

« per tre ragioni obligato : per ragione scritta », cioè secondo la legge, « per

ragione non scritta », cioè secondo le norme consuetudinarie, e « per

ragione naturale » cioè secondo il diritto naturale. « Per ragione naturale è

Oltre lo statuto…

67

39. Comedia di Dante degli Allagherii. Col commento di Jacopo di Giovanni Dalla Lana, a cura

di L. Scarabelli, Milano, Civelli-Moretti, 1865, p. 133, n. 33.

40. Cfr. S. Debenedetti, Bono Giamboni, « Studi medievali », IV, 1912-1913, pp. 271-278 ; C. Segre,

Bono Giamboni, in Dizionario critico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1986, vol. I,

pp. 377-379 ; A. Zorzi, La cultura…, art. cit., pp. 140-142.

41. Buona parte del Libro, compresi i passi relativi alla vendetta, era già stata sviluppata dall’au-

tore nel Trattato di virtù e di vizi, sull’anteriorità del quale, cfr. C. Segre, Sul testo del « Libro de’

vizi e delle virtudi » di Bono Giamboni, « Studi di filologia italiana », XVII, 1959, pp. 5-96, in par-

ticolare pp. 6-8.

42. Bono Giamboni, Libro de’ vizi e delle virtudi, op. cit., cap. XXXVI, 1.

Page 13: Oltre Lo Statuto. La Vendetta Nella Letteratura Toscana Del Due-Trecento - Andres

l’uomo obligato in sei modi, cioè per via di religione, per via di pietà, per via

d’amore, per via di vendetta, per via d’osservanza, per via di verità 43. »

Questi inquadramenti sistematici di Vendetta non sono in realtà inno-

vativi : Bono Giamboni attinge alla tradizione letteraria retorica, in parti-

colare al De inventione ciceroniano ma, soprattutto, al Fiore di rettorica,

opera da lui stesso rimaneggiata presumibilmente prima di porre mano al

Libro de’ vizi e delle virtudi, nonché al Trattato di virtù e di vizi che del

Libro fu una sorta di prima stesura.

Tanto Filosofia che Giustizia presentano Vendetta in termini molto

simili. Per Filosofia : « Vendetta è virtù per la quale l’uomo contrasta al

nimico, che no li faccia né forza né ingiuria, difendendosi da lui 44. » Per

Giustizia la vendetta costituisce uno dei modi attraverso cui l’uomo è

obbligato « per ragione naturale » :

quando il nemico vuole offendere al suo nemico, questi che vuol [scil. sta

per] essere offeso si può naturalmente difendere da lui e non lasciarsi fare

né forza né ingiuria ; e questo cotale difendere è appellato vendetta, e la

ragione che ’l nemico contra ’l nemico puote usare, cioè di difendersi da lui,

acciò che forza né ingiuria no li faccia. E avegna che per questa via si possa

redder naturalmente ragione al nemico 45.

Da tali contesti si evince con piena evidenza che Bono Giamboni non

fa riferimento alla vendetta intesa come riparazione ad un’offesa attraverso

un’altra offesa. Per una migliore comprensione del testo, bisogna tenere

presente che già in latino e poi in volgare il lemma vindicta/vendetta rico-

priva un valore semantico assai più ampio rispetto a quello attuale, signi-

ficando non soltanto vendetta nell’accezione sopravvissuta nel linguaggio

moderno ma potendo, a seconda dei casi, essere sinonimo di sanzione

(poena) irrogata da un’autorità fornita di iurisdictio – come attestavano le

fonti romanistiche ben note a Bono Giamboni – ovvero di reazione difen-

siva di fronte ad un torto imminente 46.

Stefano Andres

68

43. Ibid., cap. LXXI, 2-3. Cfr. Il Trattato di virtù e vizi, op. cit., XI, 1-4.

44. Bono Giamboni, Libro de’ vizi e delle virtudi, op. cit., cap. XXXVI, 17.

45. Ibid., cap. LXXI, 18. Cfr. Il Trattato di virtù e di vizi, op. cit., XV,1-3.

46. Sovente nel lessico giuridico romano ultio e vindicta sono usati come sinonimo di pena ;

cfr. C. Ferrini, Esposizione storica e dottrinale del diritto penale romano, in Enciclopedia del

diritto penale, op. cit., vol. I, p. 26. Le disposizioni statutarie confermano quest’uso : cfr., ad es.,

R. Celli, Studi sui sistemi normativi delle democrazie comunali. Secoli XII-XIV, I, Pisa, Siena,

Firenze, Sansoni, 1976, pp. 104, 107 e 109-112 ; J.-C. Maire Vigueur, Osservazioni..., art. cit., p. 9.

I molteplici significati del lemma risultano poi ampiamente attestati tanto presso i giuristi che

i letterati dell’età medievale. Per il lessicografo Papias (Vindicta, in Vocabolarium, Venetiis,

1496, p. 370) : « vindicta : punitio, poena, supplicium ». Per i giuristi, è sufficiente ricordare la

voce vindicta, contenuta nel Dictionarium iuris di Alberico da Rosciate (Vindicta, in Dictio-

narium iuris, Venetiis, 1573, pp. 581-582). Con riferimento all’opera dantesca, cfr. A. Niccoli,

Page 14: Oltre Lo Statuto. La Vendetta Nella Letteratura Toscana Del Due-Trecento - Andres

Bono Giamboni, nei passi citati, intende piuttosto con « vendetta » una

sorta di legittima difesa che, in certe forme, l’ordinamento giuridico

coevo contemplava, dopo averla ereditata dal diritto romano 47. In propo-

sito, appaiono significativi i continui accostamenti alle parole : « difen-

dere », « difendersi », « difensione », « difendendosi ». Rimanendo nel

genere dei trattati morali, lo stesso Albertano, nel Liber consolationis,

aveva elaborato un complicato concetto di legittima difesa, riconoscendo

in capo al singolo individuo la facoltà di respingere con la forza aggres-

sioni ingiuste 48.

Proprio in virtù della polisemìa del lemma vendetta, non è del tutto

chiara nemmeno l’accezione che di questa parola viene fatta in XXXVI, 16,

dove Filosofia definisce Sicurtà, una delle nove virtù che nascono da Giu-

stizia : « Sicurtà è virtù per la quale si fa del malificio vendetta e non si

lascia neuna cosa a punire. » Senza voler caricare di troppi significati il ter-

mine « malificio » di cui, dal contesto, emerge tutta la valenza giuridica,

merita attenzione la stessa parola Sicurtà. Come ha evidenziato Cesare

Segre 49, essa corrisponde, forse attraverso errori di trascrizione o di let-

tura, alla severitas, cui fanno riferimento altre fonti ben note a Bono Giam-

boni. Come spiegava l’autore del Moralium dogma philosophorum, la

severitas è una virtù connessa alla giustizia e contrapposta alla liberalitas.

Tali concetti possono indifferentemente riferirsi a ciascuna (o per lo meno

a gran parte) delle variegate forme della giustizia medievale (processuale

ovvero violenta, come appunto la vendetta 50). In questa circostanza, pur-

troppo non meglio sviluppata dall’autore, Bono Giamboni potrebbe anche

aver voluto riferirsi alla severitas del giudice che « fa vendetta », cioè puni-

sce, il maleficio commesso.

In conclusione, non solo le opere di questo poliedrico autore non con-

terrebbero alcun elogio del sistema vendicatorio, ma addirittura non vi

Oltre lo statuto…

69

Vendetta, in Enciclopedia dantesca, op. cit., pp. 914-915. Lo stesso Albertano da Brescia, Liber de

consolationis et consilii…, op. cit., XXXIX, usa vindicta per definire la sanzione che lo iudex

irroga.

47. Cfr. C. Pecorella, Cause di giustificazione, circostanze attenuanti e aggravanti del reato

dalla glossa alla c.d. riforma del diritto penale, in Studi e ricerche di storia del diritto, Torino,

Giappichelli, 1995, pp. 33-85 ; L. Aru, Difesa legittima. Diritto romano, in Novissimo Digesto

italiano, Torino, Istituto dell’enciclopedia italiana, 1957, vol. V, p. 619.

48. Albertano da Brescia, Liber consolationis et consilii…, op. cit., XLIX. Di contro a A. Zorzi che

sfuma la questione (La cultura..., art. cit., p. 153), cfr. A. Checchini, Un giudice..., art. cit.,

pp. 219-222 e J.-C. Maire Vigueur, L’ufficiale forestiero, in Ceti, modelli, comportamenti nella

società medievale (secc. XIII-metà XIV), Pistoia, Centro italiano di studi di storia dell’arte, 2001

p. 95.

49. C. Segre, introd. a Bono Giamboni, Il Libro dei vizi e delle virtudi..., op. cit., p. XVII, n. 1.

50. Ps. Guglielmo di Conches, Moralium…, op. cit., cap. IX. Cfr. anche Albertano da Brescia, De

amore et dilectione Dei..., op. cit, XV. La vasta applicabilità del lemma severitas è confermata

anche da Alberico da Rosciate (Severitas, in Dictionarium iuris, op. cit., p. 754).

Page 15: Oltre Lo Statuto. La Vendetta Nella Letteratura Toscana Del Due-Trecento - Andres

sarebbero nemmeno tracce della vendetta nell’accezione che in questa

sede principalmente ci interessa. Venendo a mancare appigli sicuri nelle

opere, non appare quindi agevole capire cosa Bono Giamboni davvero

pensasse del sistema vendicatorio, della sua utilità e del suo contradditto-

rio meccanismo. In linea generale, possiamo osservare che i precetti cri-

stiani hanno un peso superiore nel suo sistema etico che in quello di Bru-

netto Latini. Nei trattati di Bono Giamboni traspare un severo moralismo ;

egli, in un’epoca di forti mutamenti, preferisce ancorarsi al sistema ideale

del buon tempo antico, piuttosto che ai fermenti laici d’oltralpe di cui pro-

prio Brunetto Latini si stava facendo portavoce. In ogni modo, pur rico-

noscendo Sicurtà e Vendetta come virtù, Bono Giamboni (attraverso Filo-

sofia e Giustizia) non nasconde che si tratta di virtù sui generis :

Ma pare che Vendetta e Sicurtà non sian virtù, perché ogni virtù intende

d’operare alcuna cosa buona, perché hanno cominciamento dalla natura ; e

per queste non si fa bene, ma puniscesi il male 51.

La perfezione evangelica è incompatibile con ogni forma di violenza. Il

vero cristiano dovrebbe rinunciare sia a Sicurtà che a Vendetta, scegliendo

piuttosto Innocenzia. Inoltre,

Dio volle che colui che vuol esser perfetto questa cotale ragione contra ’l

nemico non usi, né si difenda da lui. Onde dice il Vangelio di colui che vuole

essere perfetto : « Chi ti dà nell’una gota, para l’altra ; e chi ti vuol torre la

gonnella, dagli con essa la guarnacca 52. »

Francesco da Barberino ebbe forse da giovane contatti culturali con

Brunetto Latini, tuttavia il severo moralismo che traspare dalle sue opere

appare assai lontano dal razionale positivismo latiniano 53. Nel monumen-

tale Documenti d’amore, zibaldone didattico privo di ordine logico, non

troviamo soltanto generiche esortazioni alla concordia, alla pace, alla sop-

portazione delle ingiurie. L’autore prende espressamente posizione con-

tro la vendetta e contro i Toscani che si distinguono, « più chaltro paese »,

proprio per l’abitudine di riparare le offese arrecando altre offese 54. L’au-

tore batte poi il tasto su una delle maggiori incongruenze del sistema ven-

dicatorio : vittima della vendetta può essere non solo il primo offensore,

ma indiscriminatamente qualsiasi altro membro della sua famiglia.

Stefano Andres

70

51. Bono Giamboni, Libro de’ vizi e delle virtudi, op. cit., cap. XXXVI, 18.

52. Ibid., cap. LXXI, 19-20. Per la citazione evangelica, cfr. Mt. 5, 39-40.

53. E. Pasquini, Francesco da Barberino, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto

dell’enciclopedia italiana, 1961-, vol. XLIX, pp. 687-691.

54. Francesco da Barberino, I Documenti d’amore, a cura di F. Egidi, Roma, Società filologica

romana, 1912, Doc. XXIV, pp. 318-319.

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Nel commentario latino che lo stesso Francesco Da Barberino aggiunse

all’opera viene inoltre specificato che la vendetta è incompatibile con i

precetti evangelici. Ad adiuvandum, l’autore riporta alcuni passi, tra cui

quello di Matteo già citato da Bono Giamboni : « si quis percusserit te in

unam maxillam, prebe ei alteram ». In definitiva, come si evince dal corpus

giustinianeo e dalla disciplina canonistica, solo in casi limite è lecito ricor-

rere alla violenza : in guerra, ovvero per respingere offese imminenti che

stanno mettendo in pericolo la propria persona o le proprie cose ; diver-

samente « ulciscendi vindicta non licet » se non a Dio.

Il Libro di buoni costumi di Paolo di Messer Pace da Certaldo è un’opera

ben diversa da quelle sopra esaminate, trattandosi di un manuale redatto

senza ordine sistematico e in stile sentenzioso, contenente ammaestra-

menti ed esortazioni di carattere comportamentale. L’autore attinge alla tra-

dizione di stampo moralistico, che egli adatta alla mentalità dell’agiato ceto

mercantile cui del resto apparteneva 55.

Il favore di questo scrittore verso il sistema vendicatorio è stato a più

riprese segnalato sulla base del seguente passo :

Abbi a mente che cinque sono l’allegrezze del mondo principali, e così sono

cinque i dolori principali e maggiori che l’uomo può avere in questo mondo

vivendo. La prima allegrezza si è fare sua vendetta : il dolore si è essere

offeso da uno suo nimico (276).

In realtà, l’affermazione si pone in contrasto con il contenuto del resto del-

l’opera. Anche Paolo individua nella cortesia, nella misura e nella diffi-

denza nei rapporti interpersonali i cardini del proprio sistema etico-com-

portamentale. La diffidenza assume in lui addirittura contorni ancor più

negativi, tanto da tradire una visione pessimistica del mondo e dell’uma-

nità. Il pessimismo, se da un lato lo spinge verso posizioni egoistiche e

opportuniste, specie se si tratta di conseguire il proprio bene personale,

dall’altro lo porta a trovare delle certezze nella fede religiosa. Nei rapporti

interpersonali la morale cristiana – fondata sull’amore, sul perdono e sul-

l’umiltà – costituisce, a suo modo di vedere, un freno alle intemperanze

umane e alle violenze.

Molti sono i passaggi in cui si raccomanda la concordia, l’autocontrollo,

la sopportazione dei nemici ed il perdono 56. In quest’ottica, acquistano

evidenza nette prese di posizione contro il sistema vendicatorio :

Oltre lo statuto…

71

55. Su Paolo da Certaldo : S. Foà, Paolo di Messer Pace da Certaldo, in Letteratura italiana. Gli

autori. Dizionario bio-bibliografico e indici, Torino, Einaudi, 1991, vol. II, p. 91. Cfr. Paolo da

Certaldo, Libro di buoni costumi, a cura di A. Schiaffini, Firenze, Le Monnier, 1945.

56. Sulla concordia e la pace : nn. 7, 122, 132, 199, 281, 353 ; sull’autocontrollo : nn. 197, 198, 343 ;

sui rapporti con i nemici : nn. 31, 38, 67, 96, 101, 131, 191 ; sul perdono : n. 44.

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Fuggi quanto puoi la guerra del tuo comune e le brighe tue speziali (122).

Se se’ ingiuriato, aiutati co la ragione, e vincerai ogni superbo (119).

Abbi a mente che niuna cosa è di grande animo e di grande virtude

tanto quanto perdona[re l’offese] : e però sempre perdona a chi t’offende

anzi diece volte ch’una ne prendessi vendetta, però che nel perdonare

acquisti merito da Dio, lodo da chi l’ode e amore da chi t’à offeso (334).

Al di là di queste esortazioni astratte, una mente pratica come quella

di Paolo riesce bene a cogliere problemi collaterali che il sistema vendi-

catorio si trascina dietro. La vendetta, oltre ad essere un problema di

coscienza e possibile causa di danni fisici, è anche motivo di depaupera-

mento di patrimoni : « mai non fare né fa fare vendetta, però che le ven-

dette disertano l’anima e ’l corpo e l’avere » (119). Le guerre di fazione

sono onerose da sostenere e espongono il patrimonio a eventuali azioni

di danneggiamento da parte del nemico. La vendetta dovrebbe essere poi

proporzionale all’offesa, così come dispongono le norme statutarie. In

pratica però è quasi impossibile rendere male per male esattamente in

modo identico. Il restituire l’offesa in modo sproporzionato (per eccesso

o per difetto) espone a giuste critiche che potrebbero intaccare la pro-

pria buona fama (334) 57. Ma se in 276 la vendetta dà « allegrezza », vice-

versa, in 307, mentre si ribadisce il divieto di offendere il prossimo, si

esorta a non mostrarsi lieti se, per avventura, si è arrecata un’offesa a qual-

cuno.

Dinnanzi a queste insistite esortazioni alla moderazione e alla pace, la

citata attestazione a favore della vendetta appare decisamente incon-

gruente e non del tutto spiegabile. Non vi è dubbio che dietro tale affer-

mazione vi siano principi inspirati all’ethos cavalleresco. In realtà la men-

talità di Paolo appare molto lontana da tali principi ; il concetto di valore

gli è del tutto estraneo ; l’onore e la buona fama, che lui più volte racco-

manda, appaiono fondarsi sulle qualità morali, piuttosto che sulla forza.

Il sospetto è che l’incongruenza sia dovuta alla poco sapiente armoniz-

zazione delle fonti. Questo manuale, per quanto importantissimo come

fonte storica, non risulta mai aver avuto diffusione ; è il frutto di letture di

massime di esperienza, di aforismi e proverbi che l’autore assimilò nel

corso della vita. Forse, nonostante le dichiarazioni contenute nelle pre-

messe, Paolo non rivide l’opera in vista della sua divulgazione. Non si può

escludere che alcune massime qui confluite non rispecchiassero il pensiero

dell’autore e che magari furono inserite solo per essere successivamente

Stefano Andres

72

57. Sul concetto di fama e sulla sua rilevanza, anche giuridica, nella società medievale, cfr.

F. Migliorino, Fama e infamia. Problemi della società medievale nel pensiero giuridico dei

secoli XII e XIII, Catania, Giannotta, 1985.

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sviluppate o addirittura contestate. Avremmo quindi di fronte un’opera

ancora aperta.

Andando oltre, le contraddizioni si estendono ad altre affermazioni

contenute nel passo in questione, comunque slegate dal tema della ven-

detta. Se in 276 si afferma che è un’allegrezza anche essere molto ricco, in

altri contesti l’arricchimento è sì considerato un valore positivo, però tra

molti distinguo : mai comunque la ricchezza rappresenta un valore fine a

se stesso (305, 342). Nonostante tale passo getti delle ombre sul pensiero

genuino di Paolo riguardo alla vendetta, il Libro di buoni costumi, con la

sua pragmaticità, preso nel suo complesso, conferma le ambiguità ideolo-

giche che avviluppavano il sistema vendicatorio.

Risale probabilmente negli anni trenta del secolo XIV il breve Trattato

delle volgari sentenze sopra le virtù morali di Graziolo de’ Bambaglioli,

bolognese per nascita ma tenacemente toscano per cultura, come dimo-

strano la sua opera più nota, un commento all’Inferno dantesco nonché il

forte attaccamento al sistema ideologico-culturale di Brunetto Latini.

Come l’Alighieri, Graziolo partecipò alla vita politica e, rimasto invischiato

in faide di comune, fu costretto all’esilio 58.

Il trattato risente molto, nell’impostazione e nei contenuti, del Teso-

retto e delle sue fonti. Anche qui il modello comportamentale proposto

ruota intorno al concetto cortese di misura ; morale laica e morale cri-

stiana convivono stratificate, talvolta in lucida contraddizione. Il modello

ideale di vita pubblica si fonda sul concetto di bene comune (vv. 17, 133,

135-138, 511) che si consegue attraverso una condotta di vita individuale

improntata all’insegna della prudenza e dell’onestà.

La giustizia è la fonte dell’ordine. Per questo ogni maleficio commesso

all’interno di una comunità non può rimanere impunito :

uom che a mal far ceco è per suo difetto

degno è che pena gli apra l’intelletto :

però che ’l mal punito

esemplo dà di non esser fallito (vv. 241-244).

Proprio trattando della giustizia, troviamo un primo richiamo alla ven-

detta. In questo caso, tuttavia, il termine viene utilizzato come sinonimo di

sanzione e serve per richiamare il principio di proporzionalità intercor-

rente tra condotta illecita e conseguente punizione :

Oltre lo statuto…

73

58. Su Graziolo : F. Mazzoni, Bambaglioli Graziolo, in Enciclopedia dantesca, op. cit., vol. I,

pp. 506-507. Cfr. Trattato delle volgari sentenze sopra le virtù morali di Graziolo Bambagiuoli

cancellier di Bologna, Modena, Soliani, 1821.

Page 19: Oltre Lo Statuto. La Vendetta Nella Letteratura Toscana Del Due-Trecento - Andres

a grave iniquità crudel vendetta,

ed a leggier peccato lieve pena :

e questa è legge piena

d’ogni valor perfetta (vv. 235-238).

A ulteriore conferma della polisemìa di questo termine, affermazioni

analoghe le ritroviamo nella cosiddetta letteratura del podestà, una serie

di opere comprendenti ammaestramenti e precetti cui il podestà ed i suoi

collaboratori avrebbero dovuto uniformarsi nell’esercizio delle proprie

funzioni ; genere letterario, questo, che a metà del Duecento aveva cono-

sciuto la sua massima fioritura 59. Così Orfino da Lodi :

vindictam teneant crimina queque suam

optima vindicta rationis sit benedicta

congrua si pena fuerit, tunc fertur amena

non superet culpas ulcio queque suas 60.

Ad ogni modo, Graziolo ammette tra le possibili forme di giustizia

anche il sistema vendicatorio. Addirittura, a suo giudizio, questo mezzo di

riparazione è in assoluto quello più satisfattivo per l’offeso. Anche qui

« vendetta » è associata a « allegrezza » : lenisce il dolore per la lesione subita

e permette di recuperare l’onore perduto (vv. 417-419).

Come suggeriva una vasta corrente di pensiero che va da Publilio Siro

ad Albertano fino a Brunetto Latini, non bisogna però essere precipitosi

nel vendicarsi, perché vi è il rischio di agire male :

ma faccia sì ciascun che scorsa in fretta

per nuovo danno non gravi il suo stato

chè peggiorando è l’uom mal vendicato (vv. 420-422).

Anche Graziolo sottolinea che non tutti possono aspirare a riparare in

modo diretto i torti subiti : è necessario disporre di mezzi idonei (morali

e materiali) per potersi vendicare, soprattutto se l’offensore appartiene ad

un ceto superiore. Per questo :

speri ciascuno offeso in basso stato

veder, se il tempo aspetta,

contra il possente altier giusta vendetta,

Stefano Andres

74

59. Cfr. E. Artifoni, I podestà professionali e la fondazione retorica della politica comunale,

« Quaderni storici », LXIII, 1986, pp. 687-719.

60. Orfino da Lodi, De regimine et sapientia potestatis, a cura di A. Ceruti, in Miscellanea di sto-

ria italiana, Torino, Stamperia Reale, 1869, vol. VII, p. 77.

Page 20: Oltre Lo Statuto. La Vendetta Nella Letteratura Toscana Del Due-Trecento - Andres

perché fortuna non tien fermo stato,

ma tosto fa cader uomo esaltato (vv. 412-416).

Nella circostanza emerge tuttavia una visione decisamente laica ; non si sug-

gerisce a chi è privo di mezzi di fare affidamento su Dio, bensì sulla fortuna.

Parallelamente alla giustizia umana convive comunque quella divina, la

quale appare quasi un sistema alternativo, solo astrattamente migliore :

savio è chi lassa al cielo ogni vendetta,

perch’ei fa degno onore

a quell’alto Signore,

il quale sopra ogni altra providenza

corregge giustamente ogni fallenza (vv. 407-411).

Possiamo quindi concludere che le incongruenze ideologiche sottese

al sistema vendicatorio emergono in modo paradigmatico in questo trat-

tato di Graziolo de’ Bambaglioli, indeciso tra esortazioni alla clemenza

(vv. 480-483), all’umiltà (vv. 491-494) e alla pazienza (vv. 431-435) e, paral-

lelamente, richiami al valore e all’onore (vv. 54-55, 330-340).

Alcune tematiche precedentemente affrontate riaffiorano pure in un’o-

peretta di carattere didattico-morale composta dal fiorentino Filippo Ceffi

verosimilmente negli anni Trenta del XIV secolo. Come già con Albertano,

Brunetto Latini, Bono Giamboni, Francesco da Barberino, Graziolo de’

Bambaglioli, ci troviamo di fronte ad un giurista-letterato (operò come

notaio), attivo nella vita politica del proprio comune 61.

Anche qui, accanto alla vendetta intesa come punizione di un crimine

esercitata dall’autorità (pp. 20-23), è contemplata e legittimata l’altra spe-

cie di vendetta, quella che direttamente pone in essere chi ha subito il

torto, ovvero i parenti e gli amici. È difficile dire se questo secondo tipo « si

pone come modello centrale della cultura e del discorso politico 62 »,

ovvero, come sembrerebbe emergere dalla lettera del testo, se si tratta sol-

tanto di una delle varie possibili forme di giustizia tra loro parallele, con-

cettualmente equivalenti. Quello che è certo è che la cinquantina di arrin-

ghe e di discorsi che compongono l’opera (e che dovevano fungere da

modello di eloquenza politica) sono tra loro slegati e frammentari, forse al

punto da impedire la ricostruzione del vero pensiero di questo scrittore.

Se i richiami alla solidarietà nell’esercizio della vendetta e l’invito al

sostegno degli amici offesi (XII; XXXVIII; XXXVI; XLI) ci riconducono al

Oltre lo statuto…

75

61. Su questo personaggio : M. Palma, Ceffi Filippo, in Dizionario biografico degli italiani, op.

cit., vol. XXIII, pp. 320-321. Le Dicerie sono edite da G. Giannardi, Le « Dicerie » di ser Filippo

Ceffi, « Studi di filologia italiana », VI, 1942, pp. 5-63.

62. A. Zorzi, La cultura..., art. cit., p. 160.

Page 21: Oltre Lo Statuto. La Vendetta Nella Letteratura Toscana Del Due-Trecento - Andres

trattato di Albertano e a Brunetto Latini, la valutazione preventiva dello

status sociale del nemico rievoca Paolo da Certaldo e, appunto, Graziolo

de’ Bambaglioli. Dal contesto, sembra proprio che le ricchezze e le amici-

zie rappresentino le due condizioni che rendono l’esercizio della vendetta

possibile.

Passando ai componimenti comico-realistici, la latente animosità nelle

lotte tra fazioni affiora in alcuni sonetti del mercante letterato fiorentino

Rustico Filippi 63. Nel sonetto A voi, messer Iacopo comare il poeta si

rivolge ad un certo messer Iacopo, come lui di fede ghibellina. Sottoli-

neando il legame di amicizia che lo lega a Iacopo, Rustico offre al compa-

gno la propria disponibilità incondizionata a vendicarlo di un torto subito

dal guelfo Fastello :

A voi, messer Iacopo comare,

Rustico s’accomanda fedelmente :

e dice, se vendetta avete a fare,

che la farà di buon cuor lealmente (vv. 1-4).

La vendetta è per il poeta un mezzo naturale e auspicabile per la risolu-

zione delle controversie e per la restaurazione dell’ordine. È ovvio che gli

amici e in particolare i compagni di fazione si debbano aiutare vicende-

volmente. Come sovente emerge dalla letteratura didattico-morale, è un

insensibile chi non avverte come propria l’offesa patita da un congiunto o

amico. Rustico disapprova la condotta eccessivamente fraternizzante che

Iacopo sta tenendo con i nemici e lo invita ad avere meno confidenza ; i

nemici si comportano con cautela, preferiscono accattivarsi anziché ini-

micarsi gli altri. Anche nel trattato di Albertano i peggiori consiglieri del-

l’offeso si rivelano gli ex nemici da lui ingenuamente interpellati per deci-

dere se vendicarsi o meno del torto subito 64.

In un altro sonetto della raccolta – Fastel, messer fastidio della cazza –

emerge invece il confronto tra la vendetta umana e la vendetta divina.

Secondo la chiave interpretativa che appare più corretta, sembra che per

Rustico non vi sia una via preferenziale. L’importante è che lo scopo sia

raggiunto, che una punizione venga in qualche modo irrogata, non

importa se a opera dell’offeso, o direttamente a opera di Dio. Vi è comun-

que una differenza fondamentale rispetto a quella che è la visione provvi-

denzialistica cristiana : la vendetta divina che Rustico invoca deve avere

tempi umani, non procrastinata al giorno del giudizio. Si potrebbe dire che

Stefano Andres

76

63. Su Rustico Filippi, cfr. T. Casini, Un cronista del secolo decimoterzo, in Scritti danteschi, Città

di Castello, Lapi, 1913, pp. 225-255. Cfr. Rustico Filippi, Sonetti, a cura di P. V. Mengaldo, Torino,

Einaudi, 1971.

64. Albertano da Brescia, Liber consolationis et consilii…, op. cit., XX.

Page 22: Oltre Lo Statuto. La Vendetta Nella Letteratura Toscana Del Due-Trecento - Andres

il Dio vendicatore del poeta è alla stregua dei parenti e degli amici, che

nella prassi affiancano l’offeso nel riparare un torto.

Rimanendo in questo genere letterario, in alcuni sonetti Cecco Angio-

lieri ridicolizza conoscenti e amici che si sono rivelati pusillanimi dinnanzi

alle ingiurie subite e si sono astenuti dal replicare 65. Merita particolare

attenzione il sonetto Per Die, Min Zeppa, or son giunte le tue, ove l’Angio-

lieri vitupera Mino Zeppa che si è affrettato a far pace con il nemico dopo

essere stato violentemente percosso.

[…] ti fu dato d’un matton biscotto

nel capo, che e’ ne saria mort’un bue ;

e tu, com’uom, che non volesti piue,

non ch’una pace n’hai fatta, ma otto (vv. 3-6).

I più accaniti oppositori di questo istituto militavano sul fronte eccle-

siastico. Sebbene le norme statutarie prevedessero e disciplinassero la ven-

detta, gli uomini di Chiesa non esitarono a denunciarne l’inconciliabilità

con la morale cristiana. Per quanto riguarda il periodo e la zona geografica

in esame, proprio a cavallo tra Due e Trecento vi fu un interessante incro-

cio culturale tra coloro che furono i principali stigmatizzatori del sistema

vendicatorio, della faida e, più in generale, della latente conflittualità

comunale. Ci riferiamo a Remigio de’ Girolami, Giordano da Rivalto,

Domenico Cavalca e Bartolomeo di San Concordio, tutti monaci dell’or-

dine domenicano, in quei decenni in forte espansione. Se Remigio de’

Girolami, nel primo decennio del secolo XIV, fu superiore conventuale di

Giordano da Rivalto nella città di Firenze, lo stesso Giordano con Dome-

nico Cavalca e Bartolomeo da San Concordio ebbero la ventura, in gio-

ventù, di entrare nel convento pisano di Santa Caterina quasi nello stesso

periodo, alla cui vivace scuola ricevettero la prima formazione 66.

Costoro concentrarono tutte le proprie energie sull’attività pastorale,

cercando di aggredire culturalmente il mondo cittadino, portandolo a

meditare sugli aspetti etici della vita cristiana. Domenico Cavalca e Barto-

lomeo da San Concordio si affidarono principalmente alla redazione di

scritti edificanti non sempre originali, talvolta compilativi, talvolta addi-

rittura a volgarizzamenti. Remigio de’ Girolami e Giordano da Rivalto affi-

narono invece lo strumento della predicazione che, anche grazie a loro, in

Oltre lo statuto…

77

65. Su Cecco Angiolieri : M. Marti, Angiolieri Cecco, in Dizionario biografico degli Italiani,

op. cit., vol. III, pp. 28-283. I sonetti citati sono i nn. 120-122 dell’edizione : Sonetti burleschi e

realistici dei primi due secoli, a cura di A. F. Massera, Bari, Laterza, 1920, vol. I, pp. 128-129.

66. M. Petrocchi, Scrittori di pietà nella spiritualità toscana e italiana del Trecento, « Archivio sto-

rico italiano », CXXV, 1967, pp. 3-33 ; C. Delcorno, Nuovi testimoni della letteratura domenicana

del Trecento : Giordano da Pisa, Cavalca, Passavanti, « Lettere italiane », XXXVI, 1984, pp. 577-590.

Page 23: Oltre Lo Statuto. La Vendetta Nella Letteratura Toscana Del Due-Trecento - Andres

quegli anni visse l’epoca d’oro 67. In proposito, non va dimenticato che pro-

prio i frati predicatori – tra Due e Trecento – portarono a termine con suc-

cesso, in diverse città del centro-nord, importanti campagne di pacifica-

zione, favorendo la riconciliazione generale.

Con Remigio de’ Girolami la questione della vendetta viene affrontata

in modo indiretto, a margine di più vaste meditazioni intorno alla pace cit-

tadina. Egli scrisse il De bono pacis e il De bono communi nei primi anni

del Trecento, in concomitanza con la grave crisi che stava attraversando

l’ordinamento politico fiorentino 68. In queste opere, caratterizzate da un

forte anti-individualismo, si sottolinea che la sopravvivenza stessa del

comune dipende dalla pacificazione tra le fazioni cittadine. Per raggiun-

gere questo fine, le fazioni devono riporre gli odi impegnandosi in reci-

proche concessioni. Per avere la pace bisogna che il bene individuale

venga postposto a quello sociale ; le offese e i danni privati devono essere

cancellati anche a dispetto della volontà di coloro che li hanno ricevuti.

Proprio in questo clima Giordano da Rivalto 69 iniziava il suo periodo

di predicazione a Firenze. Il modo in cui Giordano affronta il tema dell’or-

dine e della pace e dei mezzi per raggiungerli si pone a metà strada tra

quello adottato da Remigio de’ Girolami e quello adottato da Domenico

Cavalca. Pur non disdegnando – come il conterraneo pisano – di attingere

al patrimonio agiografico per individuare i corretti modelli comporta-

mentali, egli individua nel pensiero tomistico e nei trattati di Remigio le

chiavi per leggere e per correggere i mali di carattere politico e sociale

della società del suo tempo. Realisticamente, comprende che le divisioni

politiche ed i continui episodi di violenza impediscono il raggiungimento

del bene comune e della pace.

Significative appaiono le prediche rivolte ai fiorentini nei giorni di qua-

resima del 1304. Giordano rileva mestamente che molti suoi contempora-

nei non si vergognavano di uccidere pubblicamente e addirittura si vanta-

vano degli omicidi, delle violenze e delle vendette compiute. L’accento

batte sul senso del peccato :

quanti peccati avrà colui che sarà stato talotta dieci anni e più in odio del

nemico suo, che non ha pensato altro né di né notte se non com’egli l’uc-

cida ; e sarà stato in quest’odio molto tempo ! Quanta colpa hae costui !

Quanta pena hae meritato il cattivo ! Tutta la vita sua è peccato 70 !

Stefano Andres

78

67. R. Rusconi, Predicazione e vita religiosa nella società italiana, Torino, Loescher, 1981.

68. M. C. de Matteis, La « Teologia politica comunale » di Remigio de’ Girolami, Bologna, Patron,

1977.

69. C. Delcorno, Giordano da Pisa e l’antica predicazione volgare, Firenze, Olschki, 1975.

70. Giordano da Rivalto, Prediche del beato fr. Giordano da Rivalto dell’Ordine dei Predicatori,

a cura di M. Manni, Firenze, Viviani, 1739, pp. 280-281.

Page 24: Oltre Lo Statuto. La Vendetta Nella Letteratura Toscana Del Due-Trecento - Andres

È forte il contrasto con coloro che raccomandavano di pensare continua-

mente a come vendicare il torto subito, senza tuttavia essere affrettati nel-

l’esecuzione. La visione è qui diametralmente opposta : il solo meditare

vendette così a lungo è di per sé motivo di grave peccato. In più occasioni

egli si abbandona con fiducia alla giustizia divina. Sulla scia della patristica

e della scolastica, reputa giusto invocare la vendetta di Dio, purché però

tale invocazione non sia mossa da sentimenti di odio, bensì di giustizia 71.

Domenico Cavalca, che rappresenta invece la corrente più popolareg-

giante della scuola domenicana in Toscana, a più riprese raccomanda il

perdono e l’amore reciproco ; i figli di Dio hanno l’obbligo morale di sop-

portare le ingiurie. Solo Dio, seguendo i suoi imperscrutabili disegni, eser-

cita la vendetta per punire i malvagi. Il vero cristiano deve guardarsi per-

fino dall’invocare la divina vendetta. Il pensiero dell’autore si identifica

con quello dei santi protagonisti delle sue narrazioni. Dice san Cristoforo :

« io piglierei di te vendetta se non fusse ch’io son cristiano ». Infatti « a cri-

stiano non si conviene di turbare di nulla, ma d’essere sempre dolce

secondo la dolcezza di Cristo 72 ».

Bartolomeo da San Concordio raccolse negli Ammaestramenti degli

antichi varie sentenze, estrapolate dagli autori antichi, che invitano a sop-

portare e perdonare le offese 73. Come evidenzierà nella Summa de casi-

bus conscientiae 74, l’unica vendetta legittima e virtuosa è quella pubblica,

cioè la sanzione irrogata dal giudice o comunque dall’autorità, secondo le

leggi. Non è peccato desiderare la vendetta se la si intende come giusta

punizione dei mali commessi ; lo è se il desiderio deriva dall’odio o sot-

tende altri fini malvagi. Gli scopi della vendetta pubblica sono quelli di

restaurare la pace e di emendare il peccatore.

Sempre trattando di questo frate pisano, va ricordato che unita agli

Ammaestramenti è stata tramandata una Giunta a lui certamente non

attribuibile per stile e contenuto 75. Molti degli insegnamenti di questa

appendice sono decisamente di matrice laica ; certi passaggi risultano

addirittura di contenuto opposto rispetto a quanto espresso negli Ammae-

Oltre lo statuto…

79

71. Giordano da Rivalto, Medicina del cuore, 3 ; Id., Esempi, 9, 120, 167, in Racconti esemplari di

predicatori del Due e Trecento, a cura di G. Varanini e G. Baldassarri, Roma, Salerno, vol. II, 1993.

72. Cfr. C. Delcorno, Cavalca Domenico, in Dizionario biografico degli Italiani, op. cit.,

vol. XXII, pp. 577-586 ; Domenico Cavalca, Esempi, 3, 25, 30, 34, 78, 92, in Racconti esemplari

di predicatori…, op. cit., vol. III.

73. C. Segre, Bartolomeo da San Concordio, in Dizionario biografico degli Italiani, op. cit.,

vol. VI, pp. 768-770 ; Bartolomeo da San Concordio, Ammaestramenti degli antichi raccolti e

volgarizzati per Fra Bartolomeo da San Concordio pisano, a cura di V. Nannucci, Firenze,

Ricordi, 1840, pp. 11, 323, 605, 609 e 631.

74. Bartolomeo da San Concordio, Summa aurea Armilla, Venetiis, 1582, pp. 1004-1005.

75. Per qualche accenno a questa Giunta, cfr. I. Del Lungo, Una vendetta..., art. cit. p. 385 ;

A. M. Enriques Agnoletti, La vendetta..., art. cit., p. 145.

Page 25: Oltre Lo Statuto. La Vendetta Nella Letteratura Toscana Del Due-Trecento - Andres

stramenti. Per quanto riguarda i riferimenti alla vendetta, i passi contenuti

costituiscono una pedissequa traduzione di alcune sentenze di Publilio

Siro. Non ci si limita a caldeggiare il sistema vendicatorio ; addirittura

viene considerato allo stesso modo ingiurioso il comportamento di chi

offende e di chi tralascia di vendicare l’offesa : « ingiuria fa quegli che

ingiuria non vendica ». Ma l’omessa vendetta non è solo una questione di

onore bensì anche di sicurezza, perché chi ha paura di vendicarsi dà un

segnale di debolezza, attira su di sé altri nemici : « chi di vendicarsi teme

molti ne farà malvagi ». In linea con i trattati didattico-morali, vengono

anche dispensati consigli per una migliore attuazione della vendetta.

Come là dove si invita alla dissimulazione per depistare il nemico : « chi

bene dissimula l’ingiuria meglio si può vendicare ». L’esaltazione della ven-

detta assume toni quasi raccapriccianti : se per Paolo da Certaldo, Boccac-

cio e Graziolo de’ Bambaglioli la vendetta dà allegrezza, per l’anonimo

scrittore addirittura « gioiosa è la macula del sangue del nimico 76 ».

Con Dante Alighieri poniamo termine a questa rassegna. Come

abbiamo anticipato, il ruolo della vendetta nell’opera di Dante, e soprat-

tutto la concezione che egli ne ebbe, sono stati lungamente studiati ;

eppure, almeno per quanto riguarda il secondo aspetto, sono state offerte

soluzioni non del tutto soddisfacenti, o addirittura contraddittorie.

Che Dante avesse ben presente il sistema vendicatorio risulta in primo

luogo dall’importanza che nella Commedia riveste il sistema del contrap-

passo, la più perfetta delle vendette ; nel mondo ultraterreno Dio infatti

punisce e premia i defunti proporzionatamente alla condotta tenuta in

vita. Inoltre, in ultima analisi, lo stesso poema rappresenta « una sublime

vendetta contro i numerosi avversari 77 » politici del poeta.

Alcuni episodi della Commedia hanno esplicitamente ad oggetto sto-

rie di vendette, casi paradigmatici ormai fissati nella memoria collettiva.

Proprio per la loro esemplarità questi episodi non possono essere suffi-

cienti a darci un’idea precisa di che cosa il poeta pensasse della vendetta.

Dante si limita ad approvare per la loro santità ovvero condannare per la

loro ferocia i protagonisti di questi fatti ormai remoti 78. Due sono i passi

dell’opera dantesca sui quali si è maggiormente puntato l’attenzione per

tentare di ricostruire l’opinione del poeta intorno alla vendetta : il sesto

sonetto della Tenzone con Forese Donati e l’episodio di Geri del Bello

Stefano Andres

80

76. Cfr. Publilio Siro, Sententiae, op. cit., nn. 285, 394, 510 e 275.

77. G. Diurni, Vendetta, in Enciclopedia dantesca, art. cit., vol. V, p. 917.

78. Cfr. S. Saffioti Berardi, Buondelmonti Buondelmonte, in Enciclopedia dantesca, op. cit.,

vol. I, pp. 722-723 ; P. Camporesi, Montfort Guido di, in ibid., vol. III, pp. 1022-1023 ; V. Presta,

Alberigo frate, in ibid., vol. I, pp. 94-95 ; M. Luberti, Pisistrato, in ibid., vol. IV, p. 536 ;

G. R. Sarolli, Stefano Santo, in ibid., vol. V, p. 426 ; R. Piattoli, Scornigiani Marzucco, in ibid.,

vol. V, pp. 87-88.

Page 26: Oltre Lo Statuto. La Vendetta Nella Letteratura Toscana Del Due-Trecento - Andres

(Inferno, XXIX). In entrambi i casi, infatti, si allude a circostanze in cui

Dante si sarebbe dovuto confrontare con il sistema vendicatorio.

La Tenzone ha da sempre creato alla critica grossi problemi interpreta-

tivi, sia a causa dell’impervio linguaggio gergale utilizzato che dell’oscurità

di molte circostanze a cui i poeti fanno riferimento. Tali difficoltà sono

rilevabili specialmente nel sesto sonetto, quello che tratta di una presunta

vendetta che, almeno indirettamente, avrebbe coinvolto Dante.

Secondo l’interpretazione classica, che appare preferibile, Forese 79,

con tono pungente, prenderebbe in giro l’amico contestandogli il man-

cato esercizio della vendetta per un’offesa subita dal padre e che Dante,

per viltà, non avrebbe voluto vendicare. I critici si sono arrovellati per sco-

prire che tipo di offesa avesse subito il padre di Dante. Appare da condivi-

dere la lettura del sonetto di Michele Barbi che prudentemente evitò di

forzare il testo 80. A suo parere non emergerebbe alcun chiaro particolare

sulla natura dell’offesa ; si deduce soltanto che Alighiero avrebbe subito

una non meglio precisata offesa in occasione di un cambio di aguglini,

cioè di monete. Più in generale, tutte le accuse rivolte da Forese sarebbero

soltanto scherzose, sia nel tono che nella sostanza. L’offesa subita riguar-

dava verosimilmente una piccola questione, che Dante, ereditandola, pre-

ferì con buon senso dimenticare. Tra l’atro, se in caso di ingiurie gravi era

la stessa opinione pubblica ad esigere la vendetta, per le questioni da poco,

come evidenziava ad esempio Brunetto Latini 81, appariva consigliabile

non tenerne sufficientemente conto. Nonostante gli sforzi interpretativi,

non vi sono qui elementi sufficientemente sicuri per poter asserire, sulla

base del componimento, che Dante approvasse la vendetta e ne fosse un

fautore.

Ben diverso è il contesto dell’episodio di Geri del Bello, uno dei più

drammatici della Commedia, in cui Dante, prendendo spunto da una que-

stione che direttamente riguardava la famiglia, apre un interessante squar-

cio sul tema delle vendette fiorentine 82.

Il poeta all’inferno sta attraversando il ponte di Malebolge, sotto il

quale sono puniti i seminatori di scandali. Improvvisamente intravede

un’ombra familiare ed ha un sussulto. A Virgilio che lo sollecita ad accele-

rare il passo per proseguire il viaggio Dante risponde accennando a ciò

che aveva catturato la sua attenzione, inizialmente senza spiegarlo in modo

esplicito :

Oltre lo statuto…

81

79. Cfr. A. Jenni, Donati Forese, in Enciclopedia dantesca, op. cit., vol. II, pp. 560-563 ; E. Chia-

rini, Tenzone con Forese, in ibid., vol. V, pp. 561-563.

80. M. Barbi, La tenzone..., art. cit., pp. 168-176.

81. Brunetto Latini, Il Tesoro…, op. cit., VI, 32.

82. Inferno, XXIX, vv. 1-37. Cfr. S. Saffioti Bernardi e R. Piattoli, Alighieri Geri, in Enciclopedia

Dantesca, op. cit., vol. I, pp. 141-142.

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« Se tu avessi », rispuos’io appresso,

« atteso a la cagion perch’io guardava,

forse m’avresti ancor lo star dimesso » (vv. 13-15).

Poi, fatto qualche passo dietro al maestro, aggiunge :

[…] « Dentro a quella cava

dov’io tenea or li occhi sí a posta,

credo ch’un spirto del mio sangue pianga

la colpa che là giù cotanto costa » (vv. 18-21).

A questo punto Virgilio conferma di aver già visto quell’ombra mentre

Dante era ancora preso dall’aspetto e dalle parole del personaggio prece-

dentemente incontrato, Bertram dal Bornio :

ch’io vidi lui a piè del ponticello

mostrarti e minacciar forte col dito,

e udi’ ’l nominar Geri del Bello (vv. 25-27).

Geri era cugino di Alighiero, padre di Dante, e la sua storia è stata varia-

mente narrata dai commentatori antichi, non senza accenni romanze-

schi 83. Per vendicare l’omicidio subito dal padre, si era finto lebbroso e

così travestito era penetrato nella casa della famiglia nemica. Incontratovi

il figlio maggiore dell’offensore lo aveva ucciso, riuscendo poi a fuggire.

Molto tempo dopo sarebbe stato riconosciuto a Fucecchio da uno degli

avversari e quindi finito a coltellate. La sua morte meritava ancora una

riparazione. Virgilio biasima l’interessamento del discepolo per costui e

aggiunge un duro rimprovero :

[…] non si franga

lo tuo pensier da qui innanzi sovr’ello.

Attendi ad altro, ed ei là si rimanga (vv. 22-24).

In un crescendo d’intensità, Dante, di solito così obbediente, ribatte rive-

lando alla propria guida il suo vero animo :

« O duca mio, la violenta morte,

che non li è vendicata ancor, diss’io,

per alcun che dell’onta sia consorte,

fece lui disdegnoso ; ond’el sen gio

senza parlarmi, sí com’io estimo :

e in ciò m’ha el fatto a sé più pio » (vv. 31-36).

Stefano Andres

82

83. M. Scherillo, Alcuni capitoli…, op. cit., pp. 82-115.

Page 28: Oltre Lo Statuto. La Vendetta Nella Letteratura Toscana Del Due-Trecento - Andres

L’anima di Geri, è quindi sdegnata poiché la sua morte è stata lasciata

invendicata dalla discendenza a cui Dante stesso apparteneva.

Sostanzialmente i critici moderni si sono divisi in due schiere. Secondo

alcuni dall’episodio si evince che Dante prova pietà per Geri e condivide il

suo cruccio. Secondo altri il poeta respinge il desiderio di vendetta. Dante,

indubbiamente commosso e angosciato, sentendo forte il legame di sangue

vorrebbe fermarsi a parlare con il parente, giustificarsi e forse addirittura

promettere : quella situazione lo ha reso « più pio », cioè più pietoso.

Virgilio, dal canto suo, vuole fargli presente che altro è il suo dovere di

uomo e di cristiano. L’incertezza di Dante, dovuta alla paura di un’infamia

legata ad un’offesa lasciata invendicata, è vinta grazie all’energico richiamo

morale di Virgilio che rappresenta la Ragione (« attendi ad altro »).

Come sottolinea il Sapegno, dall’episodio si ricaverebbe un atteggia-

mento mutato nei confronti della vendetta da parte di Dante :

È lecito supporre che anche in Dante la meditazione del messaggio cristiano

e l’alto senso della giustizia e della pace, maturato attraverso le amare vicende

dell’esilio, e la susseguente meditazione politica, avessero determinato,

quando scriveva il poema, un atteggiamento di distacco e di superiorità nei

riguardi di certe superstiti usanze barbariche dei suoi contemporanei 84.

D’altronde, a questa interpretazione inclinano anche i commentatori anti-

chi, i quali negano che da questi versi emerga il consenso di Dante verso la

vendetta 85.

In definitiva Dante era a conoscenza dei rituali protocollari del sistema

vendicatorio ; condannava gli eccessi e rimaneva affascinato dagli esempi

di religiosa pietà. Pur riconoscendo l’importanza dei legami di sangue,

almeno nel momento in cui scriveva l’episodio di Geri del Bello, riteneva

la morale cristiana più efficace della logica della vendetta.

Oltre lo statuto…

83

84. La Divina Commedia, a cura di N. Sapegno, Firenze, Le Monnier, 1955, Inferno, XXIX,

p. 326.

85. Ottimo commento della « Divina Commedia », a cura di A. Torri, op. cit., vol. I, p. 499 ; Cri-

stoforo Landino, Comento sopra la Comedia, a cura di P. Procaccioli, Roma, Salerno, 2001,

vol. II, p. 942 ; F. da Buti, Commento di Francesco da Buti sopra la « Divina Commedia » di

Dante Alighieri, a cura di C. Giannini, Pisa, Nistri, 1860, vol. I, Inferno, XXIX, vv. 22-30, p. 472.