Vendetta Fra Le Dune

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Trish Morey VENDETTA FRA LE DUNE Prologo Aveva ogni motivo per festeggiare. Gli affari andavano a gonfie vele, il dollaro australiano era alle stelle, e i manufatti arabi erano richiesti come non mai sul mercato. Considerata anche la brusca impennata dei prezzi degli immobili, Rafiq Al’Ramiz poteva affermare senza timore di essere smentito che l’azienda di importazione di sua proprietà e i vari investimenti immobiliari in quel momento davano il massimo del rendimento. Dunque, avrebbe dovuto festeggiare. Borbottando, spinse la poltrona girevole sulla quale era seduto, preferendo la bellissima vista del porto di Sydney, che poteva ammirare dalla finestra del lussuoso ufficio, situato al quarantesimo piano del suo grattacielo, agli innumerevoli rapporti che affollavano la sua scrivania. Non aveva alcuna voglia di festeggiare. Perché avrebbe dovuto? In fin dei conti, non aveva mai trovato soddisfazione nelle imprese troppo facili. Sospirò e intrecciò le mani dietro la nuca. La sua passione per le sfide era stata ciò che lo aveva sostenuto durante gli ultimi dieci anni, ciò che gli aveva dato la forza per vincere ogni battaglia. Aveva ritrovato nella sua capacità di risolvere a proprio vantaggio ogni conflitto l’entusiasmo che gli era servito per mettere in piedi dal nulla un vero e proprio impero finanziario. Guadagnare mentre tutti gli altri guadagnavano non gli dava alcuna soddisfazione. Ma avere successo in un momento di crisi

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Trish MoreyVENDETTA FRA LE DUNE

Prologo

Aveva ogni motivo per festeggiare. Gli affari andavano a gonfie vele, il dollaro australiano era alle stelle, e i manufatti arabi erano richiesti come non mai sul mercato. Considerata anche la brusca impennata dei prezzi degli immobili, Rafiq Al’Ramiz poteva affermare senza timore di essere smentito che l’azienda di importazione di sua proprietà e i vari investimenti immobiliari in quel momento davano il massimo del rendimento.

Dunque, avrebbe dovuto festeggiare. Borbottando, spinse la poltrona girevole sulla quale era seduto, preferendo la

bellissima vista del porto di Sydney, che poteva ammirare dalla finestra del lussuoso ufficio, situato al quarantesimo piano del suo grattacielo, agli innumerevoli rapporti che affollavano la sua scrivania.

Non aveva alcuna voglia di festeggiare. Perché avrebbe dovuto? In fin dei conti, non aveva mai trovato soddisfazione

nelle imprese troppo facili. Sospirò e intrecciò le mani dietro la nuca. La sua passione per le sfide era stata

ciò che lo aveva sostenuto durante gli ultimi dieci anni, ciò che gli aveva dato la forza per vincere ogni battaglia. Aveva ritrovato nella sua capacità di risolvere a proprio vantaggio ogni conflitto l’entusiasmo che gli era servito per mettere in piedi dal nulla un vero e proprio impero finanziario. Guadagnare mentre tutti gli altri guadagnavano non gli dava alcuna soddisfazione. Ma avere successo in un momento di crisi

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generale, quello sì che per lui era raggiungere un traguardo. Al di là degli spessi vetri delle finestre il mare del porto di Sydney scintillava

sotto i raggi del sole. Per la prima volta da quando riuscisse a ricordare, provò il desiderio di abbandonare l’ufficio durante l’orario di lavoro per salire a bordo del suo yacht e concedersi una breve crociera.

In effetti, nulla gli impediva di farlo, ragionò. Allentò il nodo della cravatta, già impaziente di passare all’azione. Avrebbe potuto chiedere a Elaine di telefonare alla splendida donna che aveva conosciuto la settimana precedente a una serata benefica. Non ricordava quale fosse stata la buona causa, e in verità neanche il nome della donna – era invitato a così tanti ricevimenti del genere e conosceva così tante donne simili – ma rammentava perfettamente gli sguardi languidi che la bionda fasciata in un vestito rosso così stretto da sembrare una seconda pelle gli aveva lanciato. La sua segretaria sicuramente sapeva chi fosse. E, forse, se si fosse allontanato per qualche giorno, al suo ritorno l’economia avrebbe conosciuto un momento di crisi e la sua vita avrebbe ripreso a essere interessante.

Girò di nuovo la poltrona, pronto a spingere il pulsante dell’interfono per comunicare con la segretaria, quando il telefono squillò.

Vero, pensò inarcando un sopracciglio, Elaine era dotata di una sorta di sesto senso, prevedeva ogni sua richiesta, ma se davvero aveva già in linea quella bomba sexy bionda le avrebbe regalato una vacanza nel più lussuoso albergo delle Bahamas.

Sollevò il ricevitore e rimase in ascolto. Non era la bionda, e non ci sarebbe stato nessun viaggio alle Bahamas per

Elaine, ma la vita era già diventata più interessante.

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Il sole era basso sulla pista dell’aeroporto Internazionale del Qusay, e l’afa quasi soffocante mentre Rafiq scendeva dal proprio jet. I suoi occhi impiegarono qualche istante per abituarsi alla luce abbagliante. Respirò a fondo l’inconfondibile profumo della sua terra, profumo di mare combinato a quello di mille spezie diverse che saturava l’aria, resa opaca dalla sabbia portata dal vento dal deserto che occupava gran parte dell’isola.

«Rafiq!» Sorrise guardando suo fratello scendere dalla prima delle due limousine che

attendevano a bordo pista. Su ogni vettura e sulle quattro motociclette di scorta sventolavano le bandiere

bianche con lo stemma reale, un dettaglio che conferì finalmente una qualità di realtà alla notizia che aveva ricevuto per telefono pochi giorni prima. Il futuro re Xavian aveva rinunciato al trono dopo aver scoperto di essere il principe Zafir di Calista, scomparso quando era solo un bambino. Di conseguenza Kareef, suo fratello, presto sarebbe stato incoronato re del Qusay. Il che rendeva lui, Rafiq, un principe.

Una nota di amarezza tinse i suoi pensieri – magari fossi stato un principe allora... – ma svelto la ignorò. Quella era storia. Storia vecchia.

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Adesso c’erano cose molto più importanti cui pensare, decise scendendo gli ultimi gradini della scaletta quasi di corsa, incurante dell’aria bollente che sembrava bruciargli i polmoni.

«È bello rivederti, fratellone» esordì quando raggiunse Kareef. Lo abbracciò con slancio, poi gli batté una mano sulla spalla. «Oppure dovrei chiamarti sire?»

Kareef minimizzò con un cenno della mano e lo spinse verso la limousine. L’autista attese che i due prendessero posto, poi richiuse la portiera. Il corteo si mise in moto, lasciandosi alle spalle la pista di atterraggio.

«Sono felice che tu sia venuto» commentò Kareef. «Pensavi per caso che mi sarei perso la tua incoronazione?» «Ma hai quasi perso il matrimonio di Xavian» ragionò Kareef. «Per quanto

tempo ti sei trattenuto al ricevimento? Due ore? Forse tre?» «Esatto» ammise Rafiq, perché proprio non avrebbe potuto negarlo. Il lavoro

era stato molto pressante qualche settimana prima – due nuovi centri commerciali inaugurati contemporaneamente a Perth e ad Auckland – ma era riuscito comunque a intervenire alle nozze, solo però per essere costretto a ripartire molto prima del previsto a causa di un incendio che era divampato in uno dei magazzini di sua proprietà e che aveva messo in serio pericolo la vita di alcuni suoi dipendenti. «Anche se poi si è scoperto che Xavian non è nostro cugino» aggiunse. «Ma nulla mi avrebbe impedito di assistere alla tua incoronazione, e se c’è una cosa di cui sono assolutamente certo, è che tu sei davvero mio fratello» sottolineò.

E nessuno avrebbe potuto dubitarne. I due condividevano la stessa imponente altezza, le stesse spalle ampie e muscolose, ed erano entrambi bellissimi. Anche se questi particolari sarebbero stati sufficienti per dichiarare la loro consanguineità, erano gli occhi blu, occhi che potevano essere caldi come la più bollente delle giornate estive, o glaciali come i ghiacciai eterni, a sancire in modo evidente l’appartenenza alla stessa famiglia.

«A proposito di fratelli» continuò Rafiq, «dov’è Tahir? Il nostro vagabondo germano ci onorerà con la sua presenza questa volta?»

Una ruga solcò la fronte di Kareef. «Ho parlato con lui...» esitò, come se avesse bisogno di qualche istante per riordinare le idee. «... ieri sera» concluse sorridendo.

«Incredibile.» «Ma vero. Anche se non è stato facile rintracciarlo a Montecarlo. Verrà per

l’incoronazione.» «Tutti e tre qui, nello stesso momento?» domandò Rafiq con tono sorpreso,

appoggiandosi allo schienale di morbida pelle del sedile.Kareef annuì. «È passato molto tempo dall’ultima volta.» Il tragitto dall’aeroporto attraverso la vivace città di Shafar, così affascinante

per il contrasto fra i vecchi edifici di mattoni rossi e i moderni grattacieli con le pareti di vetro, trascorse velocemente mentre i due fratelli si aggiornavano reciprocamente sulle ultime novità, e presto la limousine varcò i pesanti cancelli di ferro battuto che davano accesso al giardino che circondava il Palazzo Reale. La Reggia offriva uno spettacolo davvero mozzafiato, con le sue mura incastonate di pietre preziose,

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costruita sulla cima di un promontorio che si allungava verso il mare, perfettamente visibile da ogni angolazione e a ogni ora del giorno e della notte.

E quando la vettura si fermò davanti al grande portico e un valletto in uniforme si affrettò ad aprire lo sportello per poi scattare sull’attenti, di nuovo Rafiq ebbe la precisa sensazione di ciò che stava accadendo. Ora non stava per entrare al Palazzo in qualità di componente minore della Famiglia Reale. Adesso era lui stesso un Reale. Un principe, per la precisione.

Ironico, considerando che aveva costruito per se stesso un impero, un impero del quale lui era re. Invece adesso era solo a un passo dall’essere re del paese che gli aveva dato i natali, un paese al quale aveva volontariamente voltato le spalle tanti anni prima.

La vita, a volte, cambiava così all’improvviso... E, di nuovo, un’improvvisa quanto indesiderata traccia di amarezza portò nella

sua mente pensieri avvelenati. Se fosse già stato il fratello del re a quel tempo, lei lo avrebbe aspettato? Se

fosse stato un principe, le cose avrebbero preso una piega diversa? Scosse la testa come per cancellare quegli interrogativi. Decisamente il caldo

asfissiante stava avendo la meglio su di lui se continuava a riflettere su eventi che ormai non potevano più essere cambiati, si disse. A quel tempo non era stato un principe e lei aveva fatto la sua scelta. Fine della storia.

Suo fratello gli appoggiò una mano sulla spalla. «Ora devo lasciarti» gli comunicò. «Ho molte faccende di cui occuparmi. Akmal ti accompagnerà al tuo appartamento.»

L’appartamento si rivelò essere un insieme di stanze immense riccamente arredate, le pareti decorate da quadri di enorme valore, i mobili antichi e finemente intagliati, il pavimento coperto da morbidi tappeti orientali.

«Spero che si troverà a suo agio qui, Altezza» commentò Akmal prima di inchinarsi e di arretrare verso la porta.

«Sono sicuro di sì» confermò Rafiq, perché non era possibile il contrario nonostante la drammatica differenza che esisteva fra l’ambiente opulento e lussuoso del Palazzo e lo stile minimalista con il quale aveva arredato la sua casa di Sydney. La villa a cinque piani costruita sul lungomare del più esclusivo quartiere della città era un monumento alla moderna architettura e all’uso dell’acciaio e del cristallo, gli interni semplici e lineari.

Strano, ragionò, si era arricchito grazie alle persone che desideravano emulare lo stile del Medio Oriente di cui lui era rappresentante, eppure aveva scelto una tipologia completamente opposta per la sua casa.

«Akmal» chiamò, interrompendo quella linea di pensiero prima di dare a se stesso la possibilità di spingersi oltre, «prima che tu vada...»

«Sì, Altezza?» replicò il visir chinando il capo. «Possiamo lasciar perdere le formalità? Il mio nome è Rafiq.» Sul viso dell’anziano uomo apparve un’espressione incerta. «Ma Altezza, qui

in Qusay lei è... appunto... Altezza...» ragionò. Rafiq annuì. Come nipoti del re, lui e i suoi fratelli erano stati molto bassi nella

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linea di successione al trono e, anche se in realtà era sempre esistita la possibilità che qualcosa impedisse all’erede diretto che loro avevano conosciuto come Xavian, il figlio del re, di essere incoronato, nessuno aveva davvero mai dato troppo peso a quella eventualità. La loro infanzia di conseguenza era stata totalmente diversa da quella del cugino, nonostante l’incombenza di un padre troppo autoritario e dispotico. Avevano avuto degli obblighi, vero, ma anche una grande libertà, quella stessa libertà che aveva permesso a lui di lasciare il Qusay all’età di diciannove anni.

Ne aveva fatto di strada da allora, combattendo con le unghie e con i denti per diventare qualcuno in una città dall’altra parte del mondo. Non aveva avuto bisogno di un titolo nobiliare per avere successo, e non ne aveva adesso anche se, grazie all’abdicazione di Xavian, all’improvviso era diventato principe.

In ogni caso, sarebbe ripartito per Sydney, per la sua vita, subito dopo l’incoronazione. Poteva sopportare di essere trattato come un Reale per un periodo così breve, decise. «Naturalmente, Akmal» replicò. «Capisco. E, Akmal?»

«Sì, Altezza?» «Per favore, fai sapere a mia madre che andrò a farle visita questo

pomeriggio.» Il visir chinò di nuovo la testa. «Come desidera» confermò. Rafiq trascorse la seguente ora nella piscina olimpionica costruita accanto alla

palestra. Un tetto la proteggeva dagli implacabili raggi del sole del deserto, ma non bloccava il passaggio di una piacevole brezza che si levava dal mare.

Si tuffò, e l’acqua si richiuse su di lui, piacevolmente refrigerante. Con poderose bracciate percorse la vasca diverse volte, mettendo sotto sforzo i muscoli rimasti inattivi durante il lungo viaggio. Non aveva mai tempo per concedere al suo corpo di adattarsi ai cambiamenti di fuso orario, e l’esercizio fisico era un modo per restare vigile. Quando poi quella sera avrebbe appoggiato la testa sul guanciale, sarebbe caduto immediatamente in un sonno profondo e ristoratore.

Solo quando lo spostamento del sole nel cielo gli comunicò che ormai sua madre doveva essersi svegliata dal suo riposino pomeridiano, uscì dall’acqua. Tornato nel suo appartamento, fece una doccia e aprì il guardaroba.

Qualcuno aveva provveduto a stirare e ad appendere le sue giacche e le sue camicie. C’erano anche altri tipi di indumenti, tuniche bianche piegate su una mensola, i sirwal, larghi pantaloni che erano indossati insieme alle vesti larghe e lunghe tipiche del deserto, su un’altra. Sollevò un bisht, il copricapo preferito dagli uomini del Qusay, e osservò la corda nera che lo rifiniva.

Senza dubbio opera di sua madre, pensò, che aveva voluto assicurarsi che lui avesse abiti adatti ora che si trovava nel Qusay.

Erano trascorsi due anni da quando aveva indossato l’ultima volta la tradizionale tunica bianca, e lo aveva fatto solo per partecipare al funerale di suo padre. Ma prima di allora già da tempo aveva smesso di usare quei vestiti, esattamente da quando i suoi sogni adolescenziali erano stati infranti e lui aveva lasciato la sua terra per costruirsi una vita nella parte opposta del Continente.

E un suo proprio stile. Le creazioni di Armani erano quelle che preferiva, abiti dal taglio perfetto che simboleggiavano il successo che aveva raggiunto lontano da

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quel paese che invece lo aveva soltanto deluso. Con un sospiro, rimise il copricapo al suo posto e prese una camicia e una

giacca. Forse adesso era in Qusay, ragionò, ma non era ancora pronto per ritornare alle vecchie abitudini.

Il Palazzo ferveva di attività quando uscì dalla suite e si incamminò lungo il corridoio, diretto alle stanze di sua madre. Servitori lucidavano i lampadari di cristallo e gli oggetti di argento, giardinieri si prendevano cura dei begli alberi di agrumi che crescevano al centro del chiostro. L’atmosfera era una di anticipazione mentre tutti i residenti della reggia si preparavano all’imminente cerimonia dell’incoronazione.

Stava percorrendo uno dei balconi coperti quando vide una donna uscire dall’appartamento della regina, richiudere la porta alle sue spalle e avviarsi verso di lui, i sandali che calzava che non producevano alcun rumore sul pavimento di marmo. Una lunga veste nera le celava tutto il corpo. La sciarpa dello stesso colore che le fasciava la testa lasciava scoperti solo gli occhi. Una delle dame di compagnia di sua madre, dedusse.

Ma poi, avvicinandosi, notò qualcosa in lei, un’aria familiare che gli fece correre un brivido lungo la schiena.

Non era possibile... Lei era sposata e viveva una vita scintillante a Parigi o a Roma, o in un’altra

capitale europea. Quella donna invece aveva le spalle chine in un atteggiamento di sconfitta. Un atteggiamento triste, dimesso.

Probabilmente stava risentendo più del previsto degli effetti del cambiamento di fuso orario, decise, ma in quel momento la donna, come se avesse percepito il suo sguardo, sollevò la testa, mostrandogli gli occhi pieni di dolore.

Fu questione di un istante. L’aria smise di arrivargli ai polmoni. L’adrenalina si diffuse nelle sue vene, insieme al flusso di un odio mai sopito.

Serah!

2Nei grandi occhi scuri e sgranati, scorse la sorpresa e l’incredulità, e un’onda

crescente di panico. Poi la donna chinò subito la testa, concentrandosi di nuovo sulle mattonelle di marmo che lastricavano il balcone, i passi più svelti adesso, come se la sua intenzione fosse quella di allontanarsi il più in fretta possibile. La veste che indossava le fluttuava intorno smossa dal lieve vento, e il suo profumo resisteva al suo passaggio, un profumo di incenso e gelsomino che lo riportò di colpo al passato, a un tempo diverso e a un mondo diverso.

Rafiq si girò per guardarla, incapace di ignorarla, e allo stesso tempo in collera con se stesso perché invece lei lo aveva ignorato senza sforzo alcuno. Tanti anni erano passati, eppure Serah non aveva reputato opportuno rivolgergli la parola. Ma non gli doveva almeno quello? In realtà, gli doveva molto di più.

«Serah!» Il richiamo riecheggiò sotto la volta della passeggiata coperta, imperioso come un ordine, tuttavia lei non si girò, non interruppe la propria corsa. E, onestamente, non immaginava cosa avrebbe fatto in caso contrario, ammise Rafiq a

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se stesso. Non immaginava nemmeno perché avesse appena scandito ad alta voce quel nome che aveva evitato di pronunciare durante gli ultimi dieci anni. Senza dubbio lei lo aveva sentito, ragionò. Aveva sollevato l’ampia gonna in modo da poter procedere più in fretta senza correre il rischio di inciampare.

«Serah!» chiamò di nuovo, anche se lei ormai era sparita dietro a un angolo. C’era stato un tempo in cui la sua voce l’avrebbe fermata, un tempo in cui

Serah non avrebbe potuto allontanarsi da lui più di quanto avrebbe potuto decidere volontariamente di smettere di respirare... Stupido!

Riprese a camminare verso l’appartamento di sua madre. Quei giorni appartenevano al passato, si disse, così come la ragazza che lui aveva conosciuto. Una ragazza che forse non era neanche esistita, una fantasia nella quale aveva scelto di credere perché era stata l’unica luce in un mondo buio, dominato da un padre tiranno e spietato.

Era ancora perso nei suoi pensieri quando entrò nella suite di sua madre. Un’ancella gli fece strada fino a una delle stanze più interne, arazzi ricamati a mano sulle pareti, morbidi tappeti orientali dai vibranti colori che coprivano il pavimento. La regina era seduta fra decine di cuscini con la schiena dritta. Sul vassoio accanto a lei erano stati sistemati piatti di datteri e di fichi, due tazze e un bricco di caffè fumante.

Indossava una veste di seta turchese, e un sorriso le illuminò il volto quando lo vide entrare.

Un sorriso che per un attimo – solo per un attimo – gli fece dimenticare il motivo del suo malumore.

«Rafiq» esordì lei, alzandosi per andargli incontro. «È passato troppo tempo» aggiunse, stringendolo fra le braccia.

«Sono stato qui solo poche settimane fa» le rammentò lui mentre entrambi prendevano posto sul basso divano. «Per il matrimonio del cugino Xavian» precisò.

«Ma non sei rimasto abbastanza a lungo» sottolineò sua madre. Vero, era stato l’incendio divampato nel deposito a costringerlo ad andare via

in tutta fretta e prima del previsto. Solo ora capiva però quanto avesse deluso sua madre con la sua partenza, ragionò Rafiq. I due anni trascorsi dal funerale del marito non avevano lasciato segni evidenti sul suo volto, ma era ovvio che stesse invecchiando. I capelli adesso erano completamente grigi, e piccole rughe che non ricordava di avere mai visto le sottolineavano gli occhi. Occhi tristi, si rese conto, che parlavano di una vita vissuta in modo sbagliato. Occhi tristi che gliene ricordarono altri dall’espressione del tutto simile.

Ignorò il paragone. Ora era con sua madre, e avrebbe pensato soltanto a lei, decise. «Questa volta resterò di più» promise, stringendole una mano fra le sue.

Sorseggiarono il caffè e assaggiarono la frutta secca mentre sua madre lo tempestava di domande. Come andavano gli affari? Per quanto tempo sarebbe rimasto in Qusay? Era venuto da solo? Quali erano gli oggetti che si vendevano meglio in Australia? C’era una persona speciale che lo aspettava a casa?

Rafiq tatticamente selezionò le domande alle quali non desiderava rispondere, consapevole che avrebbero condotto ad altre domande. Tre figli, tutti sui trent’anni, e

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nessuno era ancora sposato. Naturalmente sua madre era ansiosa di festeggiare un matrimonio in famiglia. Ma, anche se non poteva parlare a nome dei suoi fratelli, era del tutto inutile che sua madre rivolgesse quel tipo di aspettative a lui.

Non ora, né mai. Una volta, in quella che adesso gli sembrava un’altra vita, si era innamorato.

Aveva sognato come tutti i suoi coetanei, aveva programmato il suo futuro. Ma era stato così giovane, e così ingenuo da non capire che i suoi sogni erano come la sabbia del deserto, che il più lieve dei venti sollevava per disperderla.

Non era stato tutto negativo però, ammise a se stesso. Se c’era qualcosa che gli aveva garantito il successo nel mondo degli affari, era stata la sua capacità di imparare dagli errori commessi.

Per nessun motivo infatti sarebbe caduto due volte nello stesso errore. Dunque i suoi due fratelli avrebbero dovuto provvedere ad ampliare la famiglia

e, per quanto gli riuscisse davvero impossibile immaginare che il più piccolo e inquieto decidesse un giorno di mettere radici, ora che Kareef stava per salire al trono sarebbe stato costretto a dare un erede alla corona. Perfetto.

«Arrenditi, mamma» le consigliò infine, stanco di quella sorta di interrogatorio. «Tu sai come la penso al riguardo. Non mi sposerò. Ci penserà Kareef a darti quei nipoti che apparentemente desideri tanto.»

Sua madre sorrise, ma ovviamente non si sarebbe lasciata distogliere così facilmente. In effetti, continuò a porgli domande mentre sorseggiavano caffè e mangiavano pasticcini, e lui continuò a rispondere in modo evasivo, la mente concentrata su altro. Perché in quel momento tra i suoi pensieri c’era spazio solo per una donna dai capelli neri come l’ala del corvo, e per l’amarezza che non lo aveva abbandonato per tutti quegli anni.

Lei era lì, a Shafar. La donna che lo aveva abbandonato per sposare un altro. Serah era lì. «Rafiq? Non mi stai ascoltando. C’è qualcosa che ti preoccupa?» Rafiq scosse la testa e cercò di arginare la marea di emozioni che dilagava in

lui. Ma non c’era modo di riuscire nell’impresa, non prima di aver avuto la risposta alla domanda che lo aveva tormentato da quando l’aveva vista. «Perché lei è qui?» dunque chiese, con una voce roca che a stento riconobbe come sua.

Sua madre sbatté le palpebre e, in silenzio, riempì di nuovo le tazze. Lui appoggiò una mano sulla sua. «L’ho vista» insistette. «Ho visto Serah. Nel

cortile. Perché è qui?» Sua madre sospirò, rimise il bricco sul vassoio, e si appoggiò allo schienale del

divano. «Abita qui. È la mia dama di compagnia.» «Cosa?» La donna che lo aveva tradito adesso era la dama di compagnia di sua madre?

Era una notizia incredibile, troppo difficile da accettare, tutto in lui, il suo corpo, il suo cuore, la sua mente, si oppose a quello che apparentemente era un concetto molto semplice. Rafiq si alzò e cominciò a camminare in lungo e in largo nella stanza, ma il movimento non era sufficiente per dare sfogo alla sua tensione. Si passò le dita fra i

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capelli, arrivò fino al bancone, tornò sui suoi passi, inquieto come una belva in gabbia. Si fermò, si girò verso la finestra, ma lo splendido giardino gli apparve solo come una macchia confusa di colori.

E poi sua madre gli fu accanto. «Non l’hai ancora dimenticata, vero?» «Ovvio che l’ho dimenticata!» tuonò Rafiq. «Lei non significa più nulla per

me.» «Sì, capisco.» Rafiq osservò attentamente il viso di lei, cercando nei suoi occhi un segno di

comprensione. «Davvero? Allora sarai consapevole dell’odio che nutro nei suoi confronti. E tuttavia la trovo qui, non solo al Palazzo, ma con mia madre! Perché? Perché non è in giro per il mondo con suo marito? Oppure il poveraccio si è finalmente reso conto di che razza di donna perversa e diabolica sia? Direi che ci ha impiegato un bel po’ di tempo.»

«Allora non hai saputo» replicò sua madre. «Hussein è morto, circa diciotto mesi fa.»

Hussein era morto? Lo shock per un istante lo paralizzò. Era quello il motivo della tristezza che aveva letto negli occhi di Serah, ragionò Rafiq. Soffriva ancora per la morte del marito.

«Questo non spiega perché è qui» incalzò. «Serah ha fatto la sua scelta. Il suo posto adesso è con la famiglia del marito.»

Sua madre scosse la testa. «La madre di Hussein l’ha messa alla porta ancor prima che fossero celebrati i funerali.»

«Ovviamente la donna possiede una capacità di giudizio più acuta di quella che aveva il figlio.»

«Non devi essere troppo duro con Serah» lo ammonì sua madre. «Non è più la ragazza che conoscevi.»

«No, immagino di no. Non dopo aver passato tanti anni girando il mondo nelle vesti della moglie dell’ambasciatore del Qusay.»

«La vita non è stata facile per lei come tu credi» insistette sua madre. «I suoi genitori sono morti poco prima di Hussein. Non ha più un posto dove andare.»

«E allora? Ritieni forse che dovrei provare pena per lei? Mi dispiace, mamma, ma io provo per Serah solo odio. Non la perdonerò mai per quello che mi ha fatto. Mai!»

Un suono riecheggiò alle loro spalle, come di un gemito soffocato. Rafiq si voltò. Lei era lì, lo sguardo fisso sul pavimento, fra le mani uno scampolo di seta il cui scintillio ricordava quello delle lucciole che si aggiravano in una grotta oscura.

«Regina Rihana» mormorò Serah, con voce così bassa che a stento Rafiq riuscì a sentirla.

Una volta aveva amato quella voce, quel tono musicale e gentile che rispecchiava la sua perfetta educazione. Ora quella voce suscitava in lui solo amarezza.

«Ho portato la stoffa, come lei ha chiesto» continuò Serah. «Grazie» replicò Rihana. «Vieni pure avanti» aggiunse. «Portala più vicino, in

modo che anche mio figlio possa vederla. Tu ricordi Serah, vero?» chiese poi a Rafiq,

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rivolgendogli uno sguardo di monito. «Sai bene che la ricordo» replicò Rafiq. E sicuramente Serah si ricordava di

lui, decise, a giudicare da come evitava il suo sguardo. Doveva aver sentito le sue ultime parole, perché le mancava il coraggio per guardarlo in viso. «Serah» riprese, «è passato molto tempo.»

«Principe Rafiq» mormorò lei annuendo, la testa sempre china, gli occhi che si soffermavano ovunque – su Rihana, sulla seta che stringeva in mano, sul pavimento – ma non su di lui.

E più a lungo evitava il suo sguardo, più incontrollabile diventava la sua collera, capì Rafiq. Dannazione, doveva guardarlo! Doveva vedere quanto la detestava. Doveva rendersi conto della profondità del rancore che nutriva nei suoi confronti, con la consapevolezza di essere stata lei l’unica a causare quel sentimento.

La gola stretta da un nodo di apprensione, il cuore che le martellava nel petto, Serah mosse un passo. Sapeva che Rafiq la odiava. Lo aveva saputo sin da quel giorno lontano, quando lui era rientrato inaspettatamente dal deserto e aveva scoperto che stava per diventare la moglie di Hussein. Aveva visto il dolore nei suoi occhi, un’angoscia che aveva ridotto in pezzi il suo già sofferente cuore, un’angoscia che si era trasformata in gelido disprezzo quando Rafiq l’aveva supplicata di annullare i preparativi per il matrimonio solo per sentirsi dire che mai avrebbe sposato lui, perché non lo amava, e non lo aveva mai amato.

Dapprima non le aveva creduto. Ma poi era stato costretto ad accettare la realtà, quando lei lo aveva messo di fronte al fatto compiuto. Chiuse gli occhi. In quel giorno maledetto una parte di lei era morta, così come era morto l’amore di Rafiq, un amore che lei aveva ucciso con le sue bugie e con le sue azioni.

Tuttavia quando pochi istanti prima era entrata nella camera e lo aveva sentito dichiarare il suo odio, era stato come ricevere uno schiaffo in pieno viso.

E non aveva altri da colpevolizzare se non se stessa. Con mani tremanti, gli porse la seta, in modo poi da potersi ritirare in un posto

sicuro, lontana da quel disprezzo così forte da essere tangibile. «Cosa ne pensi?» domandò Rihana al figlio. «Hai mai visto un tessuto più

bello? Ritieni che potrebbe essere apprezzato in Australia?» Adesso che era libera di andare, non riuscì a resistere alla tentazione che

l’aveva assalita fin da quando aveva incrociato Rafiq sul balcone. Solo un’occhiata, pensò Serah. Una veloce occhiata al viso dell’uomo che una volta aveva amato con tutta se stessa.

Non era troppo da chiedere. Lentamente alzò la testa e trattenne il fiato. Rafiq non stava guardando la stoffa. I suoi occhi erano fissi su di lei, occhi blu, freddi come i ghiacciai eterni. Così

gelidi e taglienti che un solo sguardo le lacerò l’anima. Quello non era l’uomo che aveva amato, si rese conto Serah. Non era il Rafiq

che aveva conosciuto, il ragazzo dal cuore generoso e dagli occhi buoni, occhi che un tempo avevano rispecchiato un amore profondo. L’amore per lei. Oh, i suoi lineamenti erano pressappoco immutati, il naso era sempre dritto e aristocratico, la

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linea della mascella forte, e i capelli neri così folti che sembravano invitare chi li vedeva ad affondarvi le dita dentro. Ma gli occhi erano schegge di vetro, privi di qualsiasi sentimento se non di odio.

Quell’uomo era uno sconosciuto. «Cosa ne pensi, Rafiq?» insistette sua madre. «Vieni, mia cara, siediti qui con

noi» la invitò poi, indicandole il posto vuoto sul divano accanto a sé. E, mentre la fuga sarebbe stata un’opzione decisamente migliore, le ginocchia

le tremavano così tanto che tutto quello che Serah riuscì a fare fu di lasciarsi andare sui morbidi cuscini e fingere di non essere stata turbata dalla silenziosa aggressione che gli occhi blu di Rafiq le avevano sferrato.

Rafiq cercò di concentrarsi sulla seta. Al principio della sua carriera aveva visionato personalmente ogni singolo oggetto prima di comprarlo per poi venderlo nei suoi negozi in Australia. I tempi erano cambiati, adesso aveva alle sue dipendenze degli acquisitori molto capaci che giravano nel mondo Arabo alla continua ricerca di merce in grado di attirare l’attenzione dei suoi clienti. Tuttavia, era ancora in grado di riconoscere qualcosa di molto speciale, e anche in quel momento, con il sangue che gli ribolliva nelle vene, la mente ottenebrata, avvertì quella familiare scintilla di interesse mentre l’istinto gli suggeriva che la stoffa che aveva in mano era davvero straordinaria.

«Un ricamo esclusivo» annunciò sua madre con tono orgoglioso, quasi fosse stata lei l’artefice dello splendido disegno. «Ognuna di queste minuscole gemme è stata cucita a mano» sottolineò.

Non era necessario che fingesse di essere interessato solo per compiacere sua madre, capì Rafiq. Era genuinamente affascinato mentre lasciava scorrere la punta di un dito sull’elaborato disegno, quasi stesse cercando di carpirne il segreto. «Smeraldi» mormorò sorpreso. Le minuscole pietre erano state tagliate esattamente con la stessa cura riservata a quelle di diversi carati. Il lavoro che era stato necessario per applicarle con infinitesimali punti alla seta doveva essere stato enorme.

«Non è magnifica?» insistette sua madre. «Le perline sono state ricavate dallo sfrido delle migliori gemme estratte dalle miniere e destinate alla manifattura di gioielli. La seta è delle più lievi, adatta per gonne e vestiti, ma ci sono stoffe anche più pesanti, appropriate per delle tende, o dei cuscini. Secondo te, qualcosa di così bello potrebbe essere venduto nei tuoi negozi?»

«È possibile» rispose Rafiq. Mise da parte la stoffa e tornò a rivolgere la sua attenzione alla figura ammantata di nero seduta accanto a sua madre. Apparentemente Serah aveva ripreso il suo studio del pavimento, la testa china, le palpebre che le nascondevano gli occhi, l’aria sottomessa. Ma di certo non si sarebbe lasciato ingannare da quella recita, si disse. Quella era una donna che si era sposata per denaro, e per acquisire una posizione sociale di prestigio. Forse sembrava mite e innocente, ma lui la conosceva bene. Sapeva che era tanto bella quanto infida...

Sì, perché era davvero bella. Lo era stata dieci anni prima e lo era ancora adesso. Nonostante l’aura di tristezza che la circondava, il fascino dei suoi occhi neri non poteva essere negato. Bella e pericolosa, come una serpe velenosa pronta a

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colpire. Si girò verso sua madre e la colse nell’atto di osservarlo. Per un attimo ebbe

l’impressione che stesse per dirgli qualcosa, quasi avesse la capacità di leggergli la mente. Ma poi Rihana scosse la testa e indicò lo scampolo di stoffa.

«Perché mai sarebbe solo possibile?» gli chiese. «È una seta unica, eppure tu ritieni che sia solo possibile venderla in Australia?»

«Dirò a uno dei miei acquisitori di venire qui per controllare.» «Ah, ma forse sarà troppo tardi.» Rihana recuperò la seta e la porse a Serah.

«Scusa se ti ho disturbato, mia cara» le disse. «A questo punto, faresti meglio a riporla.»

Serah era già in procinto di alzarsi quando Rafiq le afferrò un polso. «Aspetta» le ordinò. «Di cosa stai parlando?» chiese poi a sua madre. «Perché dovrebbe essere troppo tardi?»

Rihana sorrise e appoggiò una mano su quella della sua dama di compagnia. «Ancora un momento, bambina» la esortò prima di rivolgersi al figlio. «C’è un’altra ditta interessata all’articolo, e i dirigenti sono già pronti per firmare un contratto per acquisire tutti i diritti sull’intera collezione. Se adesso tu esiti, se hai davvero intenzione di aspettare l’arrivo del tuo esperto, ebbene, potrebbe essere troppo tardi» spiegò.

«Chi è il proprietario dell’altra ditta?» si informò Rafiq, ma sospettava già di chi si trattasse ancor prima che sua madre pronunciasse il nome del più grosso esportatore di merce araba del mondo. In realtà, non erano avversari. Lui si accontentava del suo dominio in Australia, mentre l’altro aveva accentrato i suoi interessi nella parte opposta del globo. Ma cedergli l’esclusiva su un articolo prodotto proprio lì, nel suo paese? Era troppo.

Notò che sua madre continuava a osservarlo e si permise un sorriso. Non gli era mai venuto in mente prima, ma in quel momento fu costretto ad ammettere di aver ereditato il suo acume per gli affari proprio da Rihana. «Suppongo di poter dare uno sguardo alla collezione personalmente, dal momento che sono qui» quindi concesse. «È prodotta a Shafar?»

«No, a Marrash, una città al nord, sulle montagne» precisò sua madre. Rafiq cercò di figurare la carta geografica del Qusay ma non riuscì a

localizzare Marrash. In ogni caso, se la città si trovava sulle Montagne Rosse, sarebbe stata molto difficile da raggiungere. Scosse la testa. «Impiegherei almeno una giornata per andarci, e l’incoronazione è prossima» sottolineò. «Non è possibile vedere altri pezzi della collezione qui?»

«No, ma mancano ancora diversi giorni alla cerimonia» ragionò Rihana. «E poi devi recarti personalmente a Marrash per trattare l’acquisto con i capi delle tribù, sai che non acconsentirebbero a vendere altrimenti.»

«E Kareef?» obbiettò Rafiq. «Sono appena arrivato in Qusay. Che tipo di sostegno offrirei a mio fratello se andassi via proprio mentre i preparativi per la sua incoronazione fervono?»

«Kareef penserebbe soltanto che sei un uomo di affari, anzi, sarebbe sorpreso se tu ti lasciassi scappare un’opportunità simile. Inoltre, credo che sia già abbastanza

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occupato.» Sua madre aveva ragione. E poi così aveva la possibilità di sfruttare al meglio

il suo tempo in Qusay. Perché non unire il piacere agli affari? Era trascorso molto tempo da quando si era avventurato l’ultima volta nel deserto, fino alle Montagne Rosse. «Andrò» decise annuendo. «Spiegherò la situazione a Kareef e chiederò ad Akmal di procurarmi un autista.»

«Avrai anche bisogno di una guida, per aiutarti nelle negoziazioni» sottolineò sua madre. «Forse adesso sei un principe» aggiunse in fretta quando lui fece per ribattere, «ma resti sempre un uomo. È necessario che abbia al tuo fianco una donna, che conosca le donne di quel posto e capisca le loro esigenze. Verrei io, ma, naturalmente...» Scrollò le spalle. «Ci sono così tanti ospiti al Palazzo, e Tahir sta per arrivare. Non posso allontanarmi, però posso mandare una delle mie dame di compagnia. Hanno viaggiato con me nel deserto, hanno parlato con le donne, sanno come relazionarsi con loro.»

Rafiq scorse un lampo di panico attraversare gli occhi di Serah, e si chiese quale poteva essere il suo problema. Perché, ovviamente, sua madre non avrebbe mai incaricato lei di accompagnarlo. E anche in caso contrario, lui avrebbe rifiutato decisamente la proposta. «Chi hai in mente?»

Sua madre indicò una donna seduta in un angolo, parzialmente nascosta dalle pesanti tende che oscuravano uno dei balconi. «Amira può venire con te» disse.

Amira doveva avere qualche anno più di sua madre, notò Rafiq mentre la donna si alzava in piedi. Aveva le spalle curve e il viso segnato dalle rughe, ma fu l’espressione del viso di un’altra donna ad attrarre la sua attenzione. Guardandola, chiunque avrebbe pensato che Serah fosse appena scampata a un pericolo mortale.

Il che lo infastidì, e molto. Certamente non aveva alcun desiderio di trascorrere del tempo con lui, ma il suo sollievo doveva per forza essere così palese? Evidentemente Serah considerava l’idea di passare due giorni in sua compagnia assolutamente repulsiva. E perché? Non era stato lui a tradirla. Di cosa aveva tanta paura... Se non di una vendetta?

Una vendetta. Sua madre stava dicendo qualcosa ad Amira, ma lui non ascoltava più. Era

troppo impegnato a pensare. Troppo impegnato a concertare un suo piano. Guardò la donna vestita di nero che sicuramente in quel momento stava desiderando che lui andasse nel deserto con Amira, magari anche per non tornare mai più.

Forse da quella situazione poteva trarre un ulteriore vantaggio, decise. Serah non aveva mai pagato per quello che gli aveva fatto. Non era mai stata costretta ad affrontare le conseguenze delle sue azioni. Semplicemente, gli aveva voltato le spalle e se ne era andata.

Perché adesso lui non avrebbe dovuto sfruttare la situazione per pareggiare i conti?

«Ringrazio Amira per la sua disponibilità» dichiarò voltandosi verso sua madre e sorridendo all’anziana dama di compagnia. «Ma sarà un viaggio difficile, e non voglio sottoporla a questo fastidio. Forse potrei suggerire un’altra accompagnatrice, magari una persona più giovane?»

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Fu Amira adesso ad assumere un’espressione sollevata, mentre il viso della donna seduta accanto a sua madre impallidì di colpo. Rafiq si permise un piccolo sorriso. Sì, il suo piano gli avrebbe dato più soddisfazione di quanto aveva pensato.

«Serah potrebbe venire con me.» Sua madre gli rivolse uno sguardo sorpreso, ma era niente se paragonato allo

sconcerto che alterò i lineamenti del viso della ragazza. Incredulità combinata a orrore, e soprattutto paura.

Un’espressione che avrebbe ricordato per sempre, capì Rafiq, con un’indubbia gioia.

3Non poteva parlare sul serio! «Per favore, no» supplicò Serah guardando la

regina, che sicuramente doveva scorgere le lacrime che le velavano gli occhi, che sicuramente sapeva che ciò che stava chiedendo il figlio era impossibile. «Per favore» ripeté con un fil di voce.

Ma, anche se Rihana sembrava turbata, anche se le strinse la mano, fu a Rafiq che si rivolse. «Tu sei mio figlio» affermò, «sei un principe del Qusay. Io non potrei negarti nulla, ma sei davvero sicuro?»

«Non sono mai stato tanto sicuro di qualcosa in tutta la mia vita.» «Ma, regina, per favore...» «Serah» la zittì Rihana continuando ad accarezzarle la mano, «non ti succederà

nulla. Mio figlio è un gentiluomo. Non hai nulla da temere, non è così, Rafiq?» E attraverso le lacrime lo vide sorridere, il sorriso sornione del predatore

pronto ad avventarsi sulla vittima prescelta. Era già tanto se non si stava leccando le labbra anticipando il suo prossimo pasto, pensò Serah, un brivido freddo che le increspava la pelle.

«Non ha nulla da temere, assolutamente nulla» confermò lui, il tono della voce che riuscì solo ad amplificare le sue più profonde paure.

Ma se non aveva nulla da temere, ragionò Serah, perché non era mai stata più terrorizzata di così in tutta la sua vita?

Le jeep erano pronte, cariche di acque e vettovaglie, perché qualsiasi cosa poteva succedere attraversando il vasto deserto, e gli autisti stavano aspettando. Un furgone era già partito per preparare il campo laddove il deserto incontrava il mare, cioè nel posto che Akmal aveva indicato come ideale per trascorrere la notte prima di iniziare la salita verso le cime.

Rafiq scosse la testa. Onestamente una tale organizzazione per un viaggio di soli due giorni gli sembrava esagerato, però l’esperienza gli aveva insegnato che mille pericoli e imprevisti potevano nascondersi fra le dune. Comunque, poiché non aveva alcuna intenzione di prolungare il viaggio, con ogni probabilità non sarebbe stato necessario fare una sosta all’accampamento. Voleva raggiungere Marrash e tornare indietro nel più breve tempo possibile.

Serah si teneva in disparte, in un angolo ombreggiato accanto a Rihana, le spalle curve, gli occhi velati dall’ansia.

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Infine, quando il visir terminò di ispezionare i veicoli e si dichiarò soddisfatto, gli autisti accesero i motori. «È tutto pronto, Altezza» disse Akmal, chinando il capo.

«Grazie, Akmal.»«Buon viaggio, figliolo» gli augurò sua madre mentre Rafiq le baciava una

gota. «Prenditi cura di Serah.» «Naturalmente» promise lui. «È proprio quello che ho intenzione di fare.»

Sorrise e si allontanò verso il primo fuoristrada della fila, aprì lo sportello del passeggero e, mentre era in procinto di accomodarsi, dallo specchietto retrovisore vide la regina stringere fra le sue le mani di Serah, e mormorarle qualcosa all’orecchio. Probabilmente stava sottolineando ancora una volta che suo figlio era un gentiluomo, che con lui era al sicuro, ipotizzò. Ed era la verità. Sapere che la sua presenza la metteva a disagio era tutto ciò che desiderava. Non l’avrebbe toccata neanche con un dito.

Non aveva alcuna voglia di farlo. Serah, la tunica nera che le fluttuava intorno, si avviò verso il secondo veicolo.

Rafiq continuò a sorridere, scambiò qualche parola con l’autista e alzò la mano per salutare sua madre un’ultima volta.

Poi voltò le spalle e, con lunghi passi decisi, raggiunse la seconda jeep. Serah gli rivolse un’occhiata sconcertata quando prese posto accanto a lei, e si rintanò nell’angolo più estremo del sedile.

Era terrorizzata, notò soddisfatto. Si appoggiò con la schiena allo sportello e allungò le gambe sul sedile che

Serah aveva lasciato vuoto, e anche se lei non si girava, sapeva che era acutamente consapevole di ogni suo movimento.

Oh, sì, niente avrebbe potuto essere più soddisfacente per lui del sottoporla a quella tortura.

Ma perché aveva deciso di viaggiare in auto con lei se aveva bisogno di tanto spazio per allungare le gambe?, si chiese Serah combattendo contro le lacrime che le velavano gli occhi e cercando di mantenere il respiro a un ritmo regolare mentre aderiva sempre di più allo sportello, turbata dalla presenza di quell’uomo che, apparentemente, credeva di essere il padrone non solo di quel veicolo, ma di tutto il mondo. Era ovvio che stesse facendo del suo meglio per metterla a disagio.

Ma perché? La odiava. Lo aveva confidato alla madre ad alta voce, e sapeva che lei lo

aveva sentito. Non pensava che quella per lei fosse una punizione sufficiente? Perché doveva

continuare a sottolineare quanto bassa fosse l’opinione che aveva di lei? Doveva per forza farla sentire peggio di come già si sentisse?

La detestava a quel punto? La tristezza si richiuse su di lei, un dolore ormai familiare che le trafiggeva il

cuore e minacciava di farle perdere il senno. Ma perché mai Rafiq non avrebbe dovuto odiarla? ragionò. Perché avrebbe dovuto essere diverso dagli altri uomini?

Quante volte si era sentita accusare di non valere niente? E dunque non meritava niente.

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Adesso Hussein era morto, ma lei non era stata perdonata. E nel caso di Rafiq era anche giusto così. Forse questa è la possibilità di lasciarvi il passato alle spalle, le aveva detto la

regina quando lei l’aveva supplicata ancora una volta di non costringerla ad andare nel deserto, la possibilità di sanare le vecchie ferite. Era molto affezionata alla regina, che le aveva offerto un posto dove stare nel momento del maggior bisogno, amava la sua saggezza e il suo calore. La regina aveva capito il suo stato d’animo, anche quando tutti avevano creduto alla menzogne che sua suocera aveva inventato prima di abbandonarla al suo destino. Si fidava di lei. Ma il passato ormai era solo quello, passato, e qual era il motivo adesso per riportarlo alla luce? Qual era il motivo per rivivere tutta quella sofferenza? Rafiq l’odiava e non avrebbe cambiato idea. E chi poteva biasimarlo?

Trattenne il respiro mentre il piccolo convoglio varcava i cancelli che circondavano la reggia e si dirigeva verso gli antichi edifici e il mercato che sorgevano nella periferia della città. Guardò dal finestrino all’affannosa ricerca di qualcosa su cui concentrare la sua attenzione, ma fu ciò che si rifletteva nel vetro ad attrarla, quelle lunghe gambe fasciate in un pantalone di lino, le spalle ampie evidenziate dalla maglia bianca che si intravedeva sotto la giacca aperta...

Stava guardando Rafiq, e una vampata di calore l’avvolse. Appoggiò la fronte al finestrino, chiuse con forza gli occhi e cercò di pensare a

una qualsiasi cosa ma non a lui, e invece continuava a vedere soltanto la sua immagine dipinta nella sua mente.

Come sempre. Undici anni prima Rafiq era stato l’uomo più affascinante del Qusay, con quei

capelli neri come la notte e i sorprendenti occhi blu mare. Aveva conquistato il suo cuore di adolescente sin dal primo istante in cui si erano incontrati. Se qualcuno le avesse chiesto di descrivere il rappresentante perfetto del sesso maschile, avrebbe descritto Rafiq. Gambe lunghe, spalle ampie, un torace possente e, soprattutto, un cuore buono.

E lui le aveva detto che era la donna più bella del mondo, e promesso che l’avrebbe amata per sempre.

La lama tagliente del dolore le penetrò nel petto riaprendo vecchie ferite mai del tutto guarite. Nascose il viso fra le mani nel tentativo di frenare le lacrime. A cosa serviva ripensare a ciò che era stato? Era successo tanto tempo prima, e tutto era cambiato.

Ma non Rafiq. Era ancora magnifico. Un uomo nel suo pieno splendore. Un uomo che la odiava. «Qualcosa non va?» Sollecitata dalla voce di lui, Serah riaprì gli occhi e si rese conto che ormai la

città era alle loro spalle. Solo qualche casa isolata costeggiava la strada che puntava verso l’infinita distesa di sabbia del deserto.

Dovevano trascorrere due giorni insieme, e le chiedeva se qualcosa non andava? «Sto bene» replicò con voce priva di espressione. Era inutile parlare dei suoi veri pensieri e dei suoi sentimenti. Aveva imparato quella lezione molto tempo prima.

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«A me non sembra.» Serah si mordicchiò il labbro inferiore, strinse le braccia intorno al corpo

augurandosi che lui la lasciasse in pace. Si sarebbe sicuramente sentita meglio se Rafiq non fosse stato seduto lì accanto, bello e pericoloso. E si sarebbe sentita sicuramente meglio se l’aria che respirava non fosse stata impregnata dal profumo di lui, seducente ed evocativo. Ma non c’era nulla che potesse fare al riguardo, se non cercare di sopravvivere. E se c’era qualcosa che Hussein le aveva insegnato, era appunto come sopravvivere.

«Perdonami se il mio comportamento ti offende» mormorò, apparentemente intenta a osservare dal finestrino le dune di sabbia.

Ma cosa le era successo? Quella non era la Serah che conosceva. Oppure era sempre stata destinata a diventare la pallida ombra di una donna? Era stato dunque fortunato a sottrarsi a lei, fortunato che avesse trovato un uomo più ricco e socialmente più elevato nel quale affondare i suoi artigli? Adesso però era un principe, ragionò Rafiq, una preda ambita per una donna che aveva scelto il suo sposo in base al denaro e al prestigio. Forse era quello il motivo del suo bizzarro stato d’animo. Forse stava rimpiangendo di essersi lasciata sfuggire l’occasione della sua vita.

Si appoggiò allo schienale, la musica araba diffusa dalla radio che conduceva la sua mente verso un’altra poco soddisfacente linea di pensiero.

Perché, qualsiasi fosse il problema di Serah, qualsiasi fossero i suoi turbamenti, ancora una volta lo stava chiudendo fuori, rifuggendo da lui fisicamente ed emotivamente. Probabilmente la sua era solo una tattica, restare in silenzio in modo da non essere più infastidita.

Una tattica che non avrebbe funzionato. Non l’aveva portata nel deserto perché lei potesse rintanarsi in un angolo e

ignorare la sua esistenza. «Da quanto tempo abiti con mia madre?» Sentì il suo sospiro rassegnato, il che significava che Serah si stava rendendo

conto di non poter evitare di rispondere alle sue domande, ma anche che la cosa le risultava davvero insopportabile. «Da quanto tempo?» insistette quando lei continuò a tacere.

Lentamente Serah si girò, ma tenne gli occhi fissi verso il basso. «Da un anno. Forse poco di più.»

«Non ti ho visto al matrimonio di Xavian... Di Zafir» si corresse Rafiq. «Eppure abitavi già al Palazzo.»

«Ho scelto di non intervenire.» «Perché c’ero io?» Serah alzò lo sguardo, ma solo per un istante. «In parte» ammise. «Ma la

famiglia di mio... La famiglia di Hussein era presente, e anche alcuni dei suoi colleghi, così ho reputato opportuno mantenere le distanze.»

Chissà perché aveva esitato nel definire Hussein marito, si chiese Rafiq. «Non hai buoni rapporti con loro?» si informò.

Serah rifletté per qualche istante. «È stato meglio per tutti che io sia rimasta

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nell’ombra.» Rafiq la considerò una risposta affermativa. «Così, mia madre ti ha preso sotto

la sua protezione» commentò, poi la guardò mentre annuiva. Il tempo non aveva alterato la sua bellezza, considerò. Aveva ancora ciglia folte e lunghe, e zigomi sporgenti che le conferivano un’aria aristocratica. Le labbra erano ancora rosse e piene, e per quanto il resto di lei fosse nascosto dalla voluminosa tunica che indossava, era convinto che il suo corpo era ancora perfetto come lui lo ricordava.

Si passò una mano fra i capelli mentre le memorie del passato lo assalivano. Serah avrebbe potuto essere sua. Avrebbe dovuto essere sua. Avrebbe potuto averla, ed era stato tentato, così tentato... Infine solo il suo senso dell’onore lo aveva trattenuto.

Perché Serah era stata giovane e innocente, e lui aveva desiderato darle il meglio. Aveva desiderato che tutto fosse perfetto. Così aveva deciso di non toccarla prima del matrimonio, prima di essere unito a lei per sempre, moralmente e legalmente.

Una prima notte di nozze che aveva attentamente pianificato e desiderato con tutto il suo cuore. Una prima notte di nozze che non aveva mai avuto luogo.

Perché lei aveva scelto di darsi a un altro uomo. Diavolo, ma come aveva potuto credere di essere pronto per affrontare di

nuovo la donna che gli aveva inflitto tanta sofferenza? Tirò un profondo respiro e si voltò, scoprendo così che lei lo stava osservando,

gli occhi pieni di preoccupazione. Irritato, lasciò ricadere il braccio. L’ultima cosa che voleva era la sua compassione.

«Stai bene?» chiese Serah, una ruga che le solcava la bella fronte. Rafiq respirò a fondo un paio di volte per essere sicuro di aver ripreso il

controllo, di aver bloccato il flusso dei ricordi fatti di risate e di pelle di seta, di promesse di un per sempre mai mantenute, di quei ricordi che per pochi istanti erano riusciti a superare la barriera dell’odio. «Gli effetti del cambiamento del fuso orario» mentì, e poi si voltò verso il finestrino.

4Due ore dopo aver lasciato Shafar, il convoglio abbandonò l’autostrada per

imboccare il sentiero sterrato che conduceva verso il centro del deserto, e che infine avrebbe incrociato la strada costiera, laddove era stato eretto il campo.

All’orizzonte si stagliavano le cime delle Montagne Rosse, dove erano diretti, che prendevano una forma sempre più precisa man mano che le vetture avanzavano con fatica sul terreno dissestato.

Decisero di fare una breve sosta all’ombra di un’oasi, per sgranchirsi le gambe e mangiare qualcosa.

Serah scese in fretta dalla jeep, felice di potersi sottrarre anche solo per pochi minuti all’opprimente atmosfera che regnava nella vettura. Sapeva che presto Rafiq avrebbe elaborato un diverso tipo di aggressione nei suoi confronti, un nuovo modo per criticarla e giudicarla colpevole, ma per ora ne aveva abbastanza di tutta quella tensione.

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Gli autisti si affaccendavano per preparare un rinfresco, le loro chiacchiere musica per le sue orecchie. Rafiq era con loro, notò, per offrire il suo aiuto nonostante le proteste degli uomini.

Si allontanò verso un piccolo lago lasciando andare un sospiro di sollievo perché finalmente aveva qualche minuto da trascorrere da sola.

L’oasi era piccola, non più di uno sparuto gruppo di palme raggruppate intorno a una sorgente la cui acqua alimentava il laghetto. Una grotta offriva rifugio ai viaggiatori che venivano colti dalle violente tempeste di sabbia che si scatenavano senza preavviso nel deserto. L’oasi era un minuta fetta di vita nel bel mezzo del nulla, ragionò. E vita c’era, capì, osservando gli uccellini che cinguettavano fra i cespugli, e il volo della farfalle dai mille colori. Immediatamente sentì l’ansia abbandonarla, come se la pace dell’oasi avesse preso a scorrerle nelle vene.

La superficie del laghetto scintillava sotto i raggi del sole, fresca e invitante. Si inginocchiò sulla riva e immerse le mani nell’acqua cristallina, poi si appoggiò le dita sulle tempie che pulsavano dolorosamente.

Un mulinello di sabbia che si innalzava in lontananza attrasse l’attenzione di Rafiq. Sollevò una mano per proteggersi gli occhi dal sole e scrutò l’orizzonte. Ancora non riusciva a scorgere l’auto che stava sollevando la nube di polvere, ma ovviamente presto avrebbero avuto compagnia.

Si girò verso il laghetto, dove Serah era seduta tranquilla, gli occhi chiusi, il profilo che si stagliava contro il cielo azzurro. Senza soffermarsi per riflettere, mosse un passo in sua direzione.

Si era tolta la sciarpa dalla testa ed era così bella, notò. La folta massa dei capelli le ricadeva in morbide onde sulle spalle, le labbra piene offrivano la promessa di un bacio. Il sangue prese a ribollirgli nelle vene. Undici anni prima Serah aveva preferito un altro uomo a lui, eppure la riteneva ancora la donna più bella del mondo.

E sotto il vestito? Era ancora splendida come lui ricordava? La sua pelle era ancora morbida come la seta? Se ora l’avesse toccata, si sarebbe di nuovo sciolta sotto le sue carezze come faceva un tempo?

Avanzò di un altro passo prima che il rumore del motore dell’auto penetrasse nel suo cervello, riportandolo alla realtà.

Anche Serah aveva sentito il rumore, girò la testa di scatto ma dimenticò cosa aveva attratto la sua attenzione quando incrociò lo sguardo con quello di lui.

Gli occhi di Rafiq la stavano studiando, quasi stessero cercando di cogliere il movimento del suo respiro. Anche a distanza, l’aria fra di loro si riempì di tensione.

Finché poi lo stridio di freni e voci alte lo indussero a voltarsi. Una jeep aveva appena parcheggiato nell’oasi. Una distrazione. Per fortuna,

pensò Rafiq. Il conducente scese dal veicolo, gesticolando freneticamente mentre una donna

balzava giù a sua volta dallo sportello opposto prima di chinarsi sul sedile posteriore per prendere prima due bambine identiche dai capelli scuri e poi una neonata. La donna spinse le più grandi verso il laghetto, la piccola stretta al petto e l’uomo aprì il cofano del fuoristrada, borbottando qualcosa fra i denti.

Un filo di fumo si levava dal motore. L’uomo agitò le mani in un gesto di

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impotenza, e subito dopo tentò di impugnare il tappo del radiatore. Fu Rafiq a fermarlo, notò Serah. Gli allontanò il braccio, invitandolo a

procedere con cautela, i suoi consigli riecheggiati da quelli degli altri autisti. «State attente!» intanto esclamò la madre rivolta alle bambine. «Non

avvicinatevi troppo all’acqua.» Serah istintivamente tese le braccia e afferrò al volo le gemelline, che le

caddero in grembo ridendo. La madre la ringraziò e prese posto accanto a lei. Si presentò e si accinse ad allattare la neonata.

Serah sorrise, lieta dell’imprevisto costituito da Amina e dalla sua energica famiglia. La donna aveva un bel viso rotondo, un sorriso paziente, solo le ombre che le cerchiavano gli occhi testimoniavano la sua stanchezza, le stesse ombre nere che cerchiavano i suoi, Serah lo sapeva, per quanto per motivi – purtroppo – molto diversi. Quella donna era così giovane, eppure aveva già tre figlie...

Avrebbe potuto essere lei, pensò in un momento di follia che non aveva né posto né rilievo nella sua situazione, e che tuttavia rifiutava di arrendersi alla realtà.

Avrebbe potuto essere lei se avesse seguito il cuore e non la testa. Se avesse ignorato le esigenze dei suoi familiari e le minacce che avevano

subito. Avrebbe potuto essere lei se avesse sposato Rafiq. Scosse la testa come per liberarsi da quei pensieri. Perché ormai tutto

apparteneva al passato, e sposare Rafiq non era mai stata un’opzione, non davvero, non importava quanto lo avesse desiderato.

Così cercò di seguire con attenzione la storia della giovane donna, il suo racconto del perché si trovava nel deserto con una bambina tanto piccola, un viaggio necessario perché sua suocera era ricoverata in condizioni gravi all’ospedale di Shafar e voleva conoscere l’ultima nata, chiamata Maisha in suo onore. Suo marito, preso dall’impazienza, aveva forzato troppo l’andatura ed erano già stati fortunati a raggiungere l’oasi prima che il motore andasse in ebollizione.

Le gemelle, che non dovevano avere più di un anno e mezzo, erano rimaste tranquille mentre la madre allattava la piccola, ma ora richiedevano la sua attenzione. Volevano fare il bagno nel laghetto, e volevano che la mamma le accompagnasse.

«Potrei tenere io la bambina» offrì Serah. Amina impiegò meno di un secondo per decidere se poteva fidarsi di una

completa estranea abbastanza da affidarle la figlia. Sorrise e le porse la piccola. «Grazie» replicò.

La neonata, senza aprire gli occhi, si raggomitolò fra le sue braccia mentre Amina si alzava e si avviava verso il piccolo specchio d’acqua tenendo per mano le gemelle.

Serah abbassò lo sguardo sulla minuscola bambina che dormiva, le manine strette nei pugni. Era così piccola, pensò, così perfetta. Le sfiorò una gota paffuta con la punta di un dito. Così morbida.

Sorrise nonostante la tristezza che le attanagliava il cuore, tristezza per tutte le possibilità ormai perdute, per quei bambini che non aveva partorito e che forse non avrebbe partorito mai. Accarezzò la testina della piccola, e osservò il nasino perfetto,

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la bocca a forma di cuore. Completamente indifesa. Completamente innocente. Forse era meglio che non

avesse avuto dei figli, pensò. In fin dei conti, si era dimostrata incapace di aver cura persino dei suoi gattini.

Le gemelle ridevano e giocavano nell’acqua, la neonata continuava a dormire tranquilla.

Uno degli autisti sistemò una coperta accanto alla riva e portò degli spuntini e delle bibite. Le bambine, affamate, uscirono dall’acqua e mangiarono aiutate dalla madre. Infine, quando il marito le si avvicinò per dirle che l’auto era pronta per ripartire, Amina ringraziò Serah e riprese la neonata. «Grazie per tutto» si congedò la donna.

«No, grazie a te» replicò Serah sinceramente, perché quella sconosciuta le aveva inaspettatamente fatto il più bel regalo di tutti, cioè la gioia di stringere al petto una bambina tanto piccola.

Anche se accettare quel regalo le era costato molto, rifletté mentre, le lacrime agli occhi, salutava la madre e le gemelle. Negli ultimi anni aveva quasi dimenticato quanto avesse desiderato dei figli. Era quasi riuscita ad accettare che con ogni probabilità non sarebbe mai diventata madre.

E invece ora quella neonata aveva risvegliato in lei la nostalgia e un dolore dato da una mancanza così forte da essere insopportabile.

Si alzò e camminò fino al lago, decisa a rinchiudere la sua tristezza in quella scatola dove era stata nascosta fino ad allora. Presto si sarebbero rimessi in cammino. Gli autisti avevano già riposto i loro attrezzi e acceso i motori. Rafiq si era tenuto a distanza durante la permanenza della famiglia, ma adesso sarebbe tornato alla carica, si disse Serah, dunque doveva ritrovare il suo autocontrollo prima che questo accadesse.

Rafiq studiò la cartina geografica ancora una volta, cercando di memorizzare le informazioni che il padre delle gemelle gli aveva dato, e cioè che smottamenti del terreno avevano reso in diversi punti il sentiero quasi del tutto impraticabile, e che di conseguenza avrebbero impiegato più tempo del previsto per giungere a Marrash. Non era una bella notizia, perché significava che, con ogni probabilità, non sarebbero arrivati in città prima di sera, come lui invece si era augurato. L’uomo gli aveva detto che sarebbe stata una follia percorrere l’insidiosa strada al buio. Gli autisti erano stati d’accordo, e avevano suggerito di fermarsi all’accampamento sulla costa.

Ma lui non voleva che quel viaggio durasse più del necessario, non voleva correre il rischio di trascorrere due notti nel deserto.

E non solo perché temeva di non tornare alla reggia in tempo per il banchetto ufficiale che si sarebbe tenuto in onore di Kareef.

Smise di guardare la cartina e si voltò verso il lago, dove, accanto alla riva, sedeva il vero motivo della sua irritazione.

Aveva intrapreso quel viaggio soltanto per sete di vendetta, ma sembrava invece che il più infastidito fosse lui, così si chiese se avesse preso la decisione più saggia. Trascorrere le seguenti ventiquattro ore con Serah costituiva di per sé un grave problema. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era di prolungare quel tempo a

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causa delle cattive condizioni della strada. Avrebbe parlato a Kareef di quel problema. Perché, per quanto ricco fosse il Qusay grazie alle miniere di smeraldi, e per quanto larga fosse la superstrada che collegava la capitale con le principali città, c’erano ancora tante cose da sistemare e da migliorare, al primo posto i sentieri del deserto.

Una ruga gli solcò la fronte. Serah era bella come sempre, notò, ma sembrava triste. Molto triste. Però l’aveva vista sorridere quando aveva stretto fra le braccia la neonata, il suo viso si era illuminato mentre, con tanta dolcezza, aveva cullato la piccola. Era stato difficile per lui distogliere lo sguardo perché per un momento, ma solo per un momento, aveva rivisto il volto della ragazza che aveva amato con tutto il suo cuore.

Non è più la ragazza che conoscevi... Le parole di sua madre gli riecheggiarono inaspettate nella mente. No, Serah non era più la ragazza che lui aveva conosciuto. Adesso era una

vedova. La vedova di Hussein. Con un gesto impaziente, mise da parte la cartina. Nonostante i moniti

dell’uomo, si sarebbero rimessi in viaggio subito, decise, e in un modo o nell’altro avrebbero raggiunto Marrash prima di sera.

Serah sobbalzò quando lui si avvicinò. Sollevò la testa per guardarlo, ma solo per riabbassarla subito. «È ora?» chiese.

La voce di lei era calma e tranquilla, e proprio per questo un affronto. Ma cosa doveva fare per scuoterla?, si domandò Rafiq. Cosa doveva fare per farla uscire da quella zona protetta dove si ritirava ogni volta che lui era nei paraggi?

«Dicevi che desideravi una grande famiglia... Sei figli almeno.» La sentì trattenere il respiro, probabilmente stava ricordando anche lei quel

giorno, ipotizzò Rafiq, quando avevano passeggiato a cavallo lungo la spiaggia, e poi erano smontati di sella per distendersi sulla sabbia calda e avevano parlato dei loro sogni. «Una grande famiglia» aveva detto Serah ridendo. «Quattro figli, due maschietti e due femminucce, e forse anche degli altri, perché noi abbiamo tanto amore da dare.»

Lui aveva finto di essere scandalizzato. «Così tanti bambini da curare! Ma poi non ti resterà tempo per me!»

Serah si era chinata su di lui, i lunghi capelli che gli sfioravano il volto. «Tu verrai sempre al primo posto» aveva promesso.

Ricordava perfettamente il bacio che era seguito, la sensazione del cuore che si riempiva di una gioia così dilagante che quasi gli aveva impedito di respirare.

«Forse» ammise infine Serah, riportandolo così al presente. «Forse un tempo l’ho desiderato.»

«Tuttavia, non hai avuto figli» affermò Rafiq, poi la vide stringersi le mani, chinare il capo come se quelle domande la mettessero a disagio, come se stesse cercando un modo per sottrarsi a quell’interrogatorio. Ebbene, non glielo avrebbe offerto, decise, non quando lui stesso aveva bisogno di tante risposte. «Perché no?» incalzò.

Ora un tremito la scosse. Serah alzò una mano per toccarsi la fronte, e quando

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parlò, la sua voce non era più di un sussurro. «Non è... Successo» replicò. «Forse Hussein non voleva dei figli?» Sempre più agitata, Serah lo guardò, negli occhi una muta preghiera che lo

invitava a desistere. «Perché vuoi saperlo? Non è successo, e basta.» «Un tale peccato» commentò Rafiq, per nulla intenzionato a lasciar cadere

l’argomento. «Ti ho visto con quella neonata. Sembravi felice. Ho sempre pensato che saresti stata un’ottima madre.»

Serah aprì la bocca, ma la richiuse senza pronunciare una sola parola. Girò la testa, ma non abbastanza velocemente affinché lui non vedesse le lacrime che le rigavano le gote.

«Lo amavi?» Perché stava piangendo, si chiese Rafiq irato. Perché aveva desiderato dei figli dal marito e il destino glieli aveva negati? Gli faceva male chiederlo, ma adesso erano insieme, e d’un tratto gli sembrava fondamentale sapere la verità. «Amavi Hussein?»

«Era mio marito» si limitò a rispondere Serah. «Dimmi qualcosa che non sappia già!» sbottò lui. «C’ero anche io, ricordi?

Dovevo trascorrere un anno nel deserto, per imparare a essere un uomo, ma dopo un mese tutto quello che avevo capito era che non potevo vivere senza te, che l’unica cosa di cui avevo davvero bisogno eri tu. Ma tu non potevi aspettarmi per un anno. In realtà, non sei riuscita a farlo neanche per poche settimane.»

Serah nascose il viso fra le mani. «Per favore...» «Trovai la mia futura moglie» incalzò Rafiq implacabile, «tutta agghindata nel

suo abito bianco, la sposa più bella che avessi visto, che avessi anche solo immaginato, e per un momento, per un breve, patetico momento, pensai che in qualche modo avevi saputo del mio ritorno anticipato, e che quello era il giorno in cui io e te avremmo dovuto legarci per sempre, diventando marito e moglie.» La guardò, la rabbia che dilagava in lui incontenibile, e tutto quello che riusciva a vedere era l’immagine di lei avvolta in metri di seta bianca, gli occhi sgranati che lo avevano fissato con sgomento quando lui era apparso all’improvviso sulla soglia della porta. «Ma non era il nostro giorno, giusto?» riprese. «No, visto che c’era un altro uomo che ti aspettava sull’altare!»

«Rafiq» mormorò Serah, il tono che invitava a ragionare, «non doveva succedere così. Ma io... Io non ho avuto scelta.»

«L’avevi, invece!» tuonò lui. «Hai scelto Hussein. Hai scelto di sposare un ricco ambasciatore piuttosto che me.»

«No, questo non è vero. Tu sapevi che mio padre mi aveva promessa a lui.» «Sì, ma quando partii per il deserto, tu promettesti di aspettarmi, dicesti che al

mio ritorno avremmo trovato il modo per superare le opposizioni delle nostre famiglie. Pensavo che saresti stata abbastanza forte da tener fede alla tua parola. Invece sei solo una vigliacca. Non feci in tempo a partire che tu già organizzavi il tuo matrimonio con Hussein.»

«No, non è andata così.» «E allora come?» Serah sollevò il viso verso il cielo e scosse piano la testa. «Ma cosa ti aspettavi

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che facessi?» domandò. «Avevo visto cosa era successo alla mia cara amica Jasmine, quando tornò dal deserto praticamente in fin di vita perché lei e tuo fratello avevano deciso di sfidare la volontà della sua famiglia.» Fece una pausa, rammentando come il padre di Rafiq l’aveva derisa quando lei aveva affermato di non poter sposare Hussein perché era già impegnata con Rafiq. Sono io che scelgo le moglie per i miei figli, aveva sentenziato l’uomo. Guarda cosa ha combinato Kareef... Non permetterò che Rafiq faccia lo stesso. «Come avrei potuto comportami allo stesso modo, nuocere ai miei genitori, coprirli di vergogna quando ero consapevole del prezzo che tutti poi avremmo dovuto pagare?» aggiunse.

«Avevi detto di amarmi!» esclamò lui, ignorando quelle accorate parole. «Lo so, ma...» «Invece hai sposato Hussein meno di un mese dopo la mia partenza per il

deserto» incalzò Rafiq. «Ecco quanto mi amavi!» «Per favore, devi ascoltarmi...» «Riesci a immaginare cosa provai? Hai una qualche vaga idea di come fu per

me vedere il sorriso di trionfo sulle labbra di tuo padre e di Hussein, sentirmi addosso gli sguardi di tutti, sguardi pieni di compassione perché io, il povero Rafiq, ero stato l’ultimo a scoprire quello che tutti sapevano da tempo? Cioè, che tu non avevi mai davvero avuto intenzione di sposarmi.»

«Io non volevo...» «Ma anche quello non fu abbastanza per te, giusto?» la interruppe ancora una

volta Rafiq. «Perché, non contenta di avermi umiliato agli occhi di tutti, dovevi anche calpestare il mio amore come se fosse stato spazzatura!» urlò, mentre lei si copriva la bocca con una mano in un atteggiamento di sofferenza.

«Non volevo farti del male.» «Come no» sbuffò lui. «Tu hai provato piacere nel ferirmi. Perché quando ti

pregai, ti supplicai di interrompere il matrimonio e dichiarare ad alta voce che eri innamorata di me e non di Hussein, mi guardasti negli occhi e affermasti di non avermi mai amato» precisò, il petto che si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro affannoso. «E allora dimmelo adesso che per Hussein non provavi niente.»

Un silenzio interrotto solo dal rumore dei motori delle jeep seguì le parole di Rafiq. All’ombra delle palme gli autisti aspettavano bevendo caffè, consapevoli che loro dovere era mantenere le distanze e non interferire, anche se le voci concitate arrivavano loro distintamente, e se il principe stesso aveva dato ordine di ripartire immediatamente.

«Oh, Rafiq» gemette Serah, allungando una mano verso di lui, una mano che lui evitò quasi fosse stata un insetto molesto. «Mi dispiace così tanto.»

Le dispiaceva? Dopo tutto quello che gli aveva fatto, non aveva nulla di meglio da dirgli? Lo aveva umiliato, aveva distrutto i suoi sogni di adolescente, le sue speranze, sconvolto la sua vita, e per tutto questo le dispiaceva?

Il battito impazzito del suo cuore gli rimbombò nelle orecchie. Per un attimo, vide rosso. «Ti dispiace?» chiese. «E per cosa, esattamente? Per aver perso il tuo adorato marito e con lui la possibilità di frequentare la società che conta? Oppure ti dispiace per averlo sposato ora che sai che avresti potuto mettere le mani su un pesce

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più grande? Adesso avresti potuto essere la cognata del re se solo avessi tenuto fede alla tua promessa di sposarmi. Ma lo immagini? Che esistenza scintillante, quanti lussi, quanto prestigio! Però a quel tempo non potevi immaginare che mio fratello avrebbe ereditato il trono, ovviamente. Così scegliesti un uomo più anziano e più ricco. Scegliesti Hussein come garanzia per una vita brillante. Bene, spero che tu sia soddisfatta della tua vita, perché io lo sono della mia. Ora so che l’ultima cosa di cui avevo bisogno era di una donna come te al fianco, una volgare cacciatrice di dote. Se Hussein fosse ancora vivo, lo ringrazierei. Lui mi ha salvato da un destino peggiore della morte. Cioè, dal diventare tuo marito.»

«No, ti prego, non parlare così!» lo supplicò Serah, il viso inondato dalle lacrime. «Io ti amavo.»

Con un pugno Rafiq colpì violentemente il palmo dell’altra mano. «Io sto solo dicendo la verità» sbottò. «Volevi un marito ricco. Solo per pura sfortuna hai scelto quello sbagliato. E per quanto riguarda il sentimento che tu definisci amore, si è dimostrato completamente privo di valore, esattamente come lo sei tu.»

Rafiq la detestava, pensò Serah nella sua disperazione, lo aveva sempre saputo. Ma fino a quel momento non si era resa conto dell’esatta portata del suo odio, o di quanto con le sue scelte lo aveva fatto soffrire. Eppure lei era stata certa di rendergli un favore lasciandolo andare, liberandolo dalla sua promessa. Ma come era possibile che Rafiq non si rendesse conto di quanto anche lei stesse soffrendo? Come era possibile che per tutti quegli anni avesse creduto che le dichiarazioni di amore che gli aveva fatto erano state solo delle menzogne? Vero, era stata decisa nel rifiutarlo, ma Rafiq non avrebbe dovuto conoscerla meglio di chiunque altri? Non avrebbe dovuto interpretare la verità sottesa alle sue azioni?

Lacrime che le offuscavano la vista, si girò e cominciò a correre. Non poteva restare. Le loro ferite non si sarebbero mai rimarginate se fossero rimasti insieme. Solo la lontananza avrebbe potuto aiutarli.

Salì su una jeep prima che chiunque potesse fermarla, richiuse lo sportello. Strinse le mani sullo sterzo e guardò perplessa le innumerevoli spie che lampeggiavano sul cruscotto. La fuga all’improvviso le sembrò un’opzione molto complicata da realizzare, e maledisse silenziosamente Hussein per non averle permesso di imparare a guidare. Era riuscita a prendere solo due lezioni prima che lui scoprisse quel piccolo segreto.

Rafiq stava urlando qualcosa. Serah si voltò e lo vide, pericolosamente vicino, tallonato dai due autisti. Due lezioni di guida avrebbe dovuto bastarle, decise. Almeno le erano servite per apprenderle le nozioni basilari. Come partire, come fermarsi. Quanto difficile poteva essere?

Inserì la marcia e spinse il piede sull’acceleratore. Il fuoristrada sussultò ma non si mosse. «Coraggio!» esclamò lei, battendo un pugno sullo sterzo. Poi ricordò il freno a mano, lo tolse, e la vettura balzò in avanti. Girò il volante per prendere la stessa direzione che aveva preso la famiglia. Li avrebbe raggiunti e chiesto loro di portarla a Shafar. Erano appena partiti, ragionò. Non potevano essere andati troppo lontano.

La jeep sobbalzava sul terreno sconnesso, costringendola ad aggrapparsi allo

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sterzo con tutte le sue forze. Rafiq credeva che lei avesse sposato Hussein per denaro? Ma come poteva pensare una cosa simile, anche alla luce del tradimento che aveva subito? Non era stato previsto che Rafiq tornasse dal deserto. Se fosse rimasto nel suo isolamento per tutto il periodo, probabilmente avrebbe finito per dimenticarla, ragionò. Dopo un anno di lontananza, sarebbe stato felice di scoprire che lei non lo aveva aspettato.

Le lacrime ripresero copiose a rigarle il viso. Se fosse rimasto nel deserto, lei non sarebbe stata costretta a mentirgli.

Era stata brava, ricordò, brava nel convincerlo con le parole e con le azioni di non averlo mai amato. Ma Rafiq non aveva notato come la sua famiglia la sorvegliava, quasi fosse stata una prigioniera piuttosto che una sposa? Non aveva visto il suo stesso padre sogghignare perché il suo piano di sbarazzarsi di un’altra donna non degna di diventare la moglie di uno dei suoi figli era riuscito alla perfezione?

Un urlo di dolore le esplose in gola. E Rafiq non aveva letto lo sgomento sul suo viso quando, durante il ricevimento, Hussein l’aveva costretta a toccarlo – proprio lì – mentre lui stava guardando?

Come era possibile che non avesse capito? E che avesse creduto alle storie che gli aveva raccontato? Ma era successo, si disse, e adesso Rafiq la odiava.

La vettura continuò a procedere a fatica lungo lo sconnesso sentiero. Oltrepassò un segnale ancor prima di avere il tempo per leggerlo. Non ricordava di aver visto quella collinetta, pensò Serah, ma sicuramente dovevano esserci passati accanto poco prima, giusto?

Tutto quello che riusciva a scorgere attraverso il velo di lacrime era sabbia, sabbia e ancora sabbia. Dov’era finita la strada? Doveva pur essere da qualche parte, ragionò disperata mentre si sfregava gli occhi con il dorso di una mano. La paura l’aggredì, spinse con maggiore forza il piede sull’acceleratore, ansiosa di arrivare al più presto sulla cima della duna in modo da potersi orientare.

Ma non ci fu modo di arrestare la corsa della jeep una volta raggiunta la sua meta. Le ruote persero la presa sul terreno e slittarono gemendo penosamente, la vettura schizzò in avanti, nel vuoto, e atterrò in un fragore di lamiera che si contorceva.

Un dolore violento l’accecò mentre sbatteva violentemente con la testa contro il montante dello sportello. La jeep intanto continuò a slittare lungo la fiancata della collinetta fin quando, finalmente, il terreno ridivenne pianeggiante.

Il piede le scivolò dall’acceleratore e, il respiro affannoso, Serah tornò ad aggrapparsi al volante. Le tempie le pulsavano dolorosamente annunciando un tremendo mal di testa, ma almeno lo shock aveva fermato le lacrime e ora riusciva a vedere dove andava. Le dune da quella parte erano più basse, il che era una buona notizia, si disse, perché adesso avrebbe ritrovato la strada più agevolmente.

Tornò a spingere il piede sul pedale dell’acceleratore e la vettura riemerse dall’ultima collinetta. Stava per tirare un sospiro di sollievo quando le ruote si bloccarono in un banco di sabbia morbida. Provò a dare più gas, inutilmente, armeggiò con la leva del cambio riuscendo solo per caso a inserire la retromarcia.

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Le ruote cominciarono a girare in direzione opposta, ma l’auto non accennava a muoversi. Anzi, sembrava che la manovra riuscisse solo a farla sprofondare ancora di più.

Perfetto. Disperata, appoggiò la testa sulle mani che ancora stringevano lo sterzo. Non solo la sua fuga era fallita, ma era bloccata in una jeep nel bel mezzo del nulla, una jeep dalla quale doveva tirarsi fuori al più presto contando solo sulle sue forze.

Aprì lo sportello e la vettura ebbe un movimento quasi ondulatorio. Per un attimo si chiese se lo avesse soltanto immaginato, poi abbassò lo sguardo e lo vide. Vide il vortice di sabbia che stava inghiottendo la jeep.

Crampi di terrore le attanagliarono lo stomaco.

5Era fuori di sé per la rabbia, rabbia rivolta principalmente alla donna che lo

precedeva guidando all’impazzata l’altra jeep. Il vento gettava manciate di sabbia sul parabrezza, rendendogli ancora più difficile tentare di interpretare la direzione che aveva preso Serah. Ma chi le aveva insegnato a guidare? Sembrava non preoccuparsi affatto delle asperità del terreno e tanto meno della velocità.

Cosa le era saltato in mente?, si chiese. Salire su un fuoristrada e avventurarsi a velocità folle nel deserto... Cosa aveva sperato di risolvere in quel modo?

Appena lui le aveva rivolto delle precise quanto veritiere accuse, Serah aveva perso la testa. La verità faceva male, certo, ma lui non aveva ancora finito. Doveva dirle un altro paio di cose prima che il loro tempo insieme giungesse al termine. Forse Serah non immaginava quanto poteva diventare sgradevole quando era in collera. Ora l’avrebbe raggiunta, e le avrebbe dato una dimostrazione pratica di come si comportava quando era davvero contrariato.

Vide la jeep sobbalzare e sbandare da una parte all’altra del sentiero, ma fu quando la vettura cambiò bruscamente direzione e puntò verso il centro del deserto che la sua ira si tramutò in paura. Aggrappandosi allo sterzo con tutte le sue forze, deviò repentinamente e suonò il clacson una volta e una volta ancora nel tentativo di attrarre l’attenzione di Serah. Ma non c’era modo di fermarla, così come non c’era modo di ragionare con lei. Serah continuò la sua corsa.

Cosa diavolo stava pensando quella dannata donna?, si chiese Rafiq. Aveva appena ignorato un segnale di pericolo. Lui invece lo aveva letto, e aveva studiato attentamente la mappa. Sapeva cosa c’era al di là delle dune. Sabbie mobili.

Quella zona del deserto ne era piena, il loro aspetto indistinguibile dal resto della sabbia che le circondava, trappole insidiose per viaggiatori disattenti e per malcapitati animali vaganti.

Lui aveva imparato la lezione nel modo più duro. Aveva visto le sabbie mobili inghiottire un cammello in pochi minuti, e a nulla erano valsi i suoi sforzi per liberarlo.

La jeep che lo precedeva si arrampicò sfrecciando come un razzo su una duna, per poi lanciarsi nel vuoto e sparire dal lato opposto.

Con tutta la cautela che gli fu possibile data la situazione, raggiunse la cima

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della collina, pronto a tirare un sospiro di sollievo. Forse Serah si era fermata, forse le era tornato il buon senso e...

Quello che vide gli gelò il sangue nelle vene. Sì, Serah si era fermata, ma non per quello che aveva sperato lui. La jeep era

bloccata nella sabbia e affondava velocemente. La vide aprire uno sportello, e la vettura si coricò da un lato, affondando anche

più rapidamente. «Serah, no!» urlò con quanto fiato aveva in gola. «Non muoverti!» Lei girò la testa, gli occhi sgranati, ma stranamente Rafiq vi lesse sorpresa,

come se non si fosse aspettata di vederlo lì. Come se avesse dato per scontato che lui era il tipo di uomo da lasciare sola una donna nel deserto. Evidentemente non lo conosceva affatto.

«Resta lì! Chiudi lo sportello.» Serah lo guardò come se fosse impazzito, e certamente lui capiva perché. Era

ovvio che volesse uscire e non chiudersi dentro mentre il veicolo sprofondava sempre più. Ma non c’era tempo per spiegarle che se la jeep si fosse inclinata maggiormente sul lato, sarebbe stato molto più difficile tirarla fuori.

Forse Serah era troppo spaventata per controbattere, perché obbedì e tentò di chiudere il pesante sportello. «Non si muove» urlò.

Gli bastò un’occhiata per capire perché. L’angolo inferiore della portiera era già incastrato nella sabbia, che presto sarebbe entrata nell’abitacolo del veicolo per impadronirsene. «Lascia perdere» ordinò. «Passa sul sedile posteriore.»

La jeep sussultò un poco mentre lei scavalcava lo schienale. Intanto Rafiq scese dal suo fuoristrada e avanzò cautamente, tastando con il piede il terreno prima di muovere il successivo passo.

Si fermò sul limite della fossa, per fortuna molto vicino al portellone posteriore della jeep. Anche se non sarebbe stato facile, in qualche modo lo avrebbe aperto, decise. Si assicurò che i suoi piedi poggiassero sulla sabbia solida, e poi si sporse in avanti, afferrò la maniglia e tirò con tutte le sue forze.

«Mi dispiace» gemette Serah dall’angolo del sedile in cui si era rifugiata quando, con un cigolio di cerniere, lo sportello cedette. «Non potevo restare. Dovevo andare via.»

La jeep affondò ulteriormente trascinata dalla forza della sabbia e lei sobbalzò, affondando le dita nel cuscino del sedile. L’acida risposta che era stato pronto a darle gli morì sulle labbra. «Non pensarci adesso» replicò Rafiq mentre buttava via alla svelta tutto ciò che era stivato nel cofano con l’intento di fare abbastanza spazio affinché lei potesse uscire dal retro. «Stai pronta a saltare quando te lo dico» aggiunse.

«Mi dispiace per la jeep» mormorò Serah. «Io non potevo immaginare...» «Ho detto di non pensarci» sbottò Rafiq. Guardò il bagagliaio e decise che

ormai il varco era sufficiente ampio. «Adesso cercherò di farti uscire di qui. Sei pronta?»

Serah annuì e sollevò la lunga gonna. Con uno scricchiolio, l’auto si inclinò sul fianco. «Rafiq!» urlò mentre lui a causa del contraccolpo cadeva all’indietro.

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Senza perdersi d’animo, con uno scatto di reni rotolò verso la sabbia solida. «Adesso devi prepararti» la istruì Rafiq rialzandosi. «Prendi la mia mano, e quando te lo dico, salta.»

Serah annuì e tirò un profondo respiro, negli occhi paura e apprensione. La parte anteriore della jeep ormai era completamente inghiottita dalla sabbia,

che continuava a invadere l’abitacolo. Serah cercò di restare in equilibrio per quanto possibile mentre tendeva il braccio. Rafiq le afferrò la mano. «Adesso!» urlò.

Serah si spinse sulle gambe e lui la tirò con forza, attirandola contro il suo petto. La strinse fra le braccia e rotolò verso la sabbia solida. «Ma a cosa stavi pensando?» domandò, il respiro corto, una volta al sicuro. «A quale gioco credevi di giocare?»

Serah non rispose con le parole, ma con singhiozzi e tremiti. Rafiq guardò il suo bel viso sconvolto, gli occhi neri sgranati dall’espressione ferita per quell’attacco verbale che le aveva sferrato solo un attimo dopo averla salvata, guardò quelle labbra piene schiuse nel tentativo di portare aria ai polmoni, labbra così vicine alle sue... Gli sembrò di non avere altra scelta se non quella di impadronirsene.

Così la baciò, un bacio violento che parlava di paura e di perdita, di agonia e sollievo, mentre le lasciava scorrere le mani lungo la schiena fino a raggiungere la pesante massa dei suoi capelli, inchiodandola così a lui. Senza rimorsi, senza scrupoli. Una vendetta per i torti subiti nel passato. Come un assetato, bevve avidamente dalla sua bocca, incapace di fermarsi pur sapendo che avrebbe dovuto.

E tutti i suoi sentimenti, tutto quello che avrebbe voluto dirle negli anni, tutta la tensione delle ultime ore, tutto confluì in quel bacio mentre erano distesi sulla sabbia sotto i raggi cocenti del sole del deserto.

Finché Serah sobbalzò, e lui ritrasse le mani. Avvertì una strana sensazione. Erano bagnate. Senza fiato si allontanò da lei bruscamente come le si era avvicinato e cercò di dare un senso a ciò che aveva appena scoperto.

Si guardò la punta delle dita. «Stai sanguinando» disse sgomento. In qualche modo Serah riuscì a mettersi in piedi, anche se le gambe le

tremavano e aveva tutti i sensi ottenebrati. Rafiq era stato in collera con lei, molto in collera dopo che l’aveva tirata fuori dalla jeep. Ma poi l’aveva baciata, un bacio che le aveva tagliato il respiro e l’aveva confusa ulteriormente.

E ora invece si preoccupava di un colpo in testa che lei invece aveva completamente dimenticato a causa di quel bacio che aveva cancellato tutto in un solo istante, il suo terrore, e il sollievo di essere salva, la consapevolezza dell’odio di lui.

Rafiq la odiava, lo aveva detto chiaramente. Lo aveva dimostrato con le parole e le azioni.

Allora perché l’aveva baciata?«Altezza!» Il grido proveniva dalla cima della duna alle loro spalle. Serah si girò e vide

uno degli autisti che arrancava sulla sabbia, il viso rosso e sudato, la tunica bianca impolverata. L’altro seguiva a pochi passi di distanza e non sembrava meno sconvolto del suo collega. I sensi di colpa dilagarono in lei. Era lei la colpevole della

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loro ansia. La loro preoccupazione per il principe li aveva costretti a corrergli dietro mentre lui inseguiva la donna folle nella jeep. Rafiq ovviamente non si era soffermato a considerare quel fatto, aveva trascorso troppi anni in Australia per capire la portata della devozione che i dipendenti avevano nei confronti di un componente della Famiglia Reale. Ma lei sapeva com’era la vita al Palazzo. E avrebbe dovuto immaginare che Rafiq avrebbe cercato di raggiungerla, magari solo per sottolineare ancora una volta quanto bassa era l’opinione che aveva di lei.

Ma quando era diventata così egoista? Non aveva riflettuto prima di agire. Non aveva pensato ad altro se non alle sue esigenze.

Naturalmente i due uomini non le rivolsero la parola – non era compito loro rimproverarla – ma guardarono la jeep ormai quasi completamente sommersa dalla sabbia e mormorarono preghiere di ringraziamento perché il loro principe era salvo.

«Altezza» esordì uno di loro ansimando, «abbiamo temuto per la sua vita. Sta bene?»

«Sì» replicò Rafiq, porgendogli una borraccia. «Adesso bevete. Poi uno di voi dovrà occuparsi di Serah. Ha una ferita alla testa. L’altro dovrà aiutarmi. È troppo tardi per la jeep, ma abbiamo ancora tempo per recuperare almeno parte dell’equipaggiamento.»

Senza protestare, Serah si lasciò condurre nel fuoristrada che aveva guidato Rafiq. «Mi dispiace se vi ho procurato tanti problemi» disse all’autista che, dopo aver preso la valigetta del pronto soccorso, le stava medicando la ferita.

L’uomo si limitò a scrollare le spalle, come se non ci fosse nulla di strano in una donna impazzita che aveva appena provocato il finimondo in mezzo al deserto.

Per colpa sua, avevano perso una jeep. E per colpa sua, avevano perso ore di luce. In qualche modo, Serah capì di aver perso anche il controllo di se stessa. Doveva essere vittima di una sorta di follia, pensò mentre l’uomo continuava a

disinfettare la ferita. Poche ore prima era stata soddisfatta della sua vita, o almeno soddisfatta quanto una donna con il suo passato potesse sperare di essere. Aveva un lavoro al Palazzo al servizio della regina, una persona buona e comprensiva. Espletava al meglio i suoi doveri. Era brava, riflessiva. Tranquilla.

Poi Rafiq era apparso e il suo mondo si era capovolto. Guardò oltre le spalle dell’autista, vide Rafiq affaccendarsi per raccogliere le

cose che aveva gettato dal cofano della jeep durante il salvataggio. Aveva i capelli madidi di sudore, la camicia bianca macchiata. Sotto il sole del deserto, i suoi occhi avevano ripreso la loro glaciale sfumatura blu.

Non erano stati freddi pochi minuti prima. L’aveva stretta fra le braccia, e nel suo sguardo aveva scorto la fiamma della

passione. Un tremito le aveva scosso il corpo scoprendo che lui la desiderava ancora. E che lei lo desiderava ancora. Strinse le mani in grembo. Era una pazzia anche solo pensarlo. Tuttavia non aveva dubbi sulle intenzioni di Rafiq. E se doveva essere onesta,

era una consapevolezza che l’atterriva, ma allo stesso tempo eccitante. Rafiq la desiderava?

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La cosa non aveva senso. Andava oltre la sua comprensione, oltre il buon senso. Come il bacio, completamente diverso da quelli teneri e pieni di promesse che si erano scambiati durante la giovinezza. Era stato un bacio duro, inteso a punirla, ciò nonostante aveva risvegliato i suoi sensi, e tutte quelle emozioni che da tempo negava a se stessa.

Un bacio che aveva riportato alla vita la sua anima e il suo corpo. Rimase seduta tormentandosi le mani fin quando l’autista annunciò di aver

finito. La ferita era superficiale, le disse, ma si raccomandò di avvisarlo se il dolore fosse aumentato.

Poteva aumentare ancora il suo dolore? No, non era possibile, perché la pena che la straziava non derivava da un colpo alla tempia.

Veniva diretta dal suo cuore. Si fermarono all’accampamento eretto laddove il deserto incontrava il mare. Il

sole era già basso all’orizzonte, e continuava la sua discesa verso l’acqua, una palla di fuoco prossima a spegnersi. Le montagne che erano la loro meta si stagliavano alte e nere all’orizzonte.

Rafiq non era stato felice di interrompere il viaggio, ma in realtà non aveva avuto altra scelta. Davvero non aveva potuto contraddire i suoi autisti quando questi avevano affermato che era impensabile affrontare di notte un sentiero impervio e sconnesso come quello che conduceva a Marrash.

Anche se gli autisti naturalmente non espressero la loro opinione al riguardo, Serah sentiva su di sé i loro sguardi accusatori.

Rafiq era in collera con lei, ragionò. Da quando avevano ripreso il viaggio, dopo il bacio, l’aveva completamente ignorata. Persino in quel momento, mentre l’accampamento ferveva di attività e venivano dati i tocchi finali alle tende che li avrebbero ospitati quella notte, manteneva le distanze.

Ovviamente era pentito per averla baciata. Ovviamente la disprezzava. Saperlo però non le rendeva più facile dimenticare. Il sapore di lui resisteva

ancora sulle sue labbra, capì Serah. E il ricordo delle sue mani che la toccavano le faceva ancora correre brividi sulla schiena. Non sarebbe mai riuscita a dimenticare quelle sensazioni. Il bacio aveva risvegliato qualcosa dentro di lei. Uno struggente desiderio. Emozioni da troppo tempo ignorate.

Chiuse gli occhi e desiderò essere in grado di chiudere altrettanto facilmente il suo cuore. Tanto tempo prima aveva insegnato a se stessa a non percepire. Non aveva trovato un altro stratagemma per sopportare la repulsione. Il disgusto.

E adesso quel bacio aveva riportato alla vita tutti i suoi sentimenti, acuti, insistenti, intollerabili.

Più tardi, dopo cena, vagabondò da sola lungo la battigia ascoltando il richiamo dei gabbiani e il mormorio delle onde mentre la lieve brezza che si alzava dal mare le spettinava i capelli.

Continuò a camminare fin quando decise di essersi allontanata abbastanza dall’accampamento. Risalì verso l’interno della spiaggia, dove la risacca non poteva raggiungerla e rimase lì a contemplare la superficie del mare resa lucente dai raggi della luna.

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Ma il richiamo dell’acqua era troppo forte, così Serah si tolse la sciarpa dalla testa, si sfilò la tunica e la lasciò cadere sulla sabbia.

Avanzò con passo deciso verso la riva e fin dove l’acqua le arrivò alla vita. Si tuffò in un’onda, grata per la carezza fresca dell’acqua sul suo corpo accaldato.

Non aveva creduto davvero che avesse avuto intenzione di fuggire di nuovo, questo però non significava che non la considerasse pericolosa come una bomba pronta a esplodere. Solo una breve passeggiata, aveva detto Serah dopo cena, per schiarirsi le idee, e invece si era spinta fino al limite della spiaggia prima di fermarsi. Rafiq esitò nell’ombra, incerto se aspettarla lì o tornare sui suoi passi.

E poi lei fece qualcosa di assolutamente inaspettato. Si tolse il vestito, e per qualche istante il respiro gli si sospese in gola.

Alla luce della luna la pelle di lei risplendeva come oro, i pesanti capelli neri, liberi dalla costrizione della sciarpa, le ricadevano in morbide onde fino alla vita. Indugiò per qualche istante, bella come una divinità greca, poi si mosse decisa verso la riva, le lunghe gambe che si muovevano svelte, i fianchi tondi che ruotavano provocanti.

Serah. La sua Serah.

6Il desiderio lo aggredì con la violenza di un pugno nello stomaco. Gli era già

successo, quando l’aveva baciata nel deserto. Si era abbattuto su di lui inaspettato, quasi con ferocia. E poi aveva capito che quel bacio non era stato una vendetta. Era stato il desiderio, puro e semplice, a indurlo a volere assaggiare di nuovo il sapore delle labbra di Serah, e spingerlo a stringerla fra le braccia come se non avesse mai più voluto lasciarla andare via.

Un desiderio che comunque era riuscito a tenere a bada. Si era allontanato, decidendo di mantenere una distanza di sicurezza, in modo che la sua bellezza non potesse più interferire con il lucido funzionamento della sua mente.

Ma adesso, vedendola così, con l’acqua che le lambiva le lunghe gambe dalla pelle dorata, quel desiderio tornò a farsi sentire più forte.

Come poteva essere geloso dei flutti del mare? Eppure in quel preciso istante lo era. Voleva essere lui a toccarla, ad accarezzarle i suoi posti segreti, quelli che non aveva mai conosciuto.

Lo avrebbe fatto, decise. Serah per lui era solo un brutto ricordo. Una voglia non soddisfatta. Tanti anni

prima aveva rispettato la sua innocenza, era stato pronto ad aspettare il momento giusto, la prima di notte di nozze. Ma cosa avrebbe dovuto aspettare adesso? Non ci sarebbe stato nessun matrimonio fra loro, e Serah era vedova, la sua purezza da tempo andata.

Dunque, perché non avrebbe dovuto averla? In realtà, non si era opposta al suo bacio. Non lo aveva incoraggiato, vero, ma

non aveva neanche protestato, non si era ritratta. Anzi, aveva fatto aderire il corpo al suo e schiuso le labbra in un muto invito. Dopo tutto, ormai era una donna con una

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certa esperienza in fatto di sesso. Un uomo in più per lei non avrebbe fatto alcuna differenza. Camminò fino alla veste che lei aveva lasciato cadere sulla sabbia. In mare

aperto Serah stava nuotando fra le onde, i raggi della luna che rendevano la sua pelle scintillante come un drappo di seta.

Era bella come una dea, decise Rafiq. Doveva essere sua. Avrebbe dovuto esserlo tanti anni prima.

Ma ora non c’erano impedimenti. E l’avrebbe avuta. Sarebbe rimasta lì per sempre, pensò Serah, ma sapeva di essere stata lontana

già troppo a lungo. Rafiq, accorgendosi della sua assenza, probabilmente aveva già mandato qualcuno a cercarla.

Inoltre l’acqua del mare non era riuscita a darle il sollievo sperato. Anzi, la carezza lieve delle onde aveva agito come un massaggio sulla sua pelle, esaltando quella tensione sensuale che l’aveva aggredita sin da quando Rafiq era apparso inaspettato nell’appartamento della regina, e che il bacio nel deserto aveva portato ai massimi livelli.

Rabbrividì, si girò e si lasciò trasportare da un’onda verso la spiaggia. Giunta sulla battigia, alzò le braccia per togliere un po’ d’acqua dai capelli e scrutò la spiaggia, in cerca del posto dove aveva lasciato i vestiti.

Un tremito la scosse quando li localizzò, e repentinamente abbassò le braccia per coprirsi il seno vedendo chi vi era seduto accanto.

Rafiq. Da quanto tempo era lì, si chiese, la camicia bianca che riluceva nel buio, i

pantaloni arrotolati sin sopra il ginocchio? Da quanto tempo la stava guardando? La brezza fredda la fece rabbrividire. Si costrinse a muovere qualche passo,

rifiutando di incrociare lo sguardo di lui. Tese una mano verso la tunica, ma Rafiq la prese per primo.

«Hai fatto una bella nuotata?» le chiese, gli angoli della bocca incurvati da un sorriso.

Osava sorridere? Come se stessero giocando? «Che fai qui?» replicò secca Serah.

«Non sai che è pericoloso tuffarsi in mare di notte?» «E tu non sai che è cattiva educazione spiare le persone?» sbottò Serah senza

concedersi il tempo per riflettere, poi arretrò, come sconvolta dalla sua stessa audacia. Non era più abituata a dar voce ai propri pensieri, non da quando sapeva quali erano le conseguenze.

Ma Rafiq si limitò a continuare a sorridere, come se non avesse notato la sua trasgressione. «Ero preoccupato per te» affermò.

«Pensavi che fossi fuggita di nuovo?» «Non proprio. Ma oggi hai già corso un serio pericolo. Volevo solo

tranquillizzarmi.» Forse la sua intenzione era quella di essere divertente? O si aspettava che si

gettasse ai suoi piedi per averla salvata dalle sabbie mobili, anche se da quel

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momento in poi si era comportato come se lei avesse smesso di esistere? «Come puoi vedere, sto bene» annunciò Serah. «Ti dispiacerebbe restituirmi il vestito?» aggiunse poi, quando Rafiq lasciò scorrere pigramente lo sguardo sul suo corpo nudo.

«E se ti dicessi che mi piace il panorama esattamente com’è adesso?» Non era quello che avrebbe voluto sentire, ma nonostante tutto quelle parole la

lusingarono, perché era stato Rafiq a pronunciarle. Ma era sbagliato, e per tanti motivi. Non avrebbe dovuto guardarla così. Non si rendeva conto della sua vergogna? Del suo imbarazzo?

Ricordò gli uomini che avevano ammirato il suo corpo, gli uomini che le avevano affondato le loro rozze dita nei capelli, il fiato greve di alcol mentre le sussurravano all’orecchio oscenità rivoltanti.

E ricordò anche gli uomini che si erano allontanati bruscamente, i visi una maschera indignata, come se lei non fosse più di spazzatura.

Voltò le spalle a Rafiq e respinse le memorie di quei giorni fortunatamente lontani. «Volevo semplicemente fare un bagno. È troppo da chiedere?» mormorò.

Qualcosa della sua voce doveva essersi fatta strada nell’arrogante cervello di lui, perché all’improvviso Rafiq le fu accanto e le porse la tunica.

In tutta fretta lei la indossò, costringendo la stoffa a scivolare sul suo corpo bagnato, e si incamminò lungo la battigia ancora prima che la gonna le avesse coperto le gambe, spinta dal desiderio di allontanarsi da lui e di ritrovarsi all’accampamento in compagnia degli altri, dove nessuno avrebbe fatto caso al suo corpo, nudo o meno che fosse, e dove la conversazione sarebbe stata piacevolmente prevedibile, e non insidiosa come quella che si era appena svolta con Rafiq.

Sospirò. Aveva sperato che quello della mattina sarebbe stato il suo ultimo incontro con le sabbie mobili, ma si era sbagliata. Le sabbie mobili erano negli sguardi di Rafiq, nelle sue parole a doppio senso, pronte a intrappolarla e a inghiottirla.

«Non devi seguirmi» gli disse quando lui la affiancò. «Non ti voglio vicino.» «Sei una donna, ed è notte» ribatté Rafiq. «La tua sicurezza è sotto la mia

responsabilità.» «Siamo in Qusay. Qui le donne non corrono alcun pericolo.» «Ma ci sono degli stranieri. Turisti.» Ridicolo! Quel remoto angolo della terra non era una meta turistica. Le strade

erano troppo sconnesse, le infrastrutture carenti, e la cosa più simile a una città da quella parte della costa era il minuscolo villaggio che combatteva ogni giorno per sopravvivere alla forza del mare. «Sei per caso tu un turista?» ribatté Serah. «Dovrei aver paura di te?»

«Io sono nato e cresciuto in Qusay» affermò lui. «Ma non vivi più qui. Sei venuto solo per assistere all’incoronazione di Kareef,

e a cerimonia conclusa ritornerai immediatamente nella tua bella casa dall’altra parte del mondo. Il che ti rende un turista. E, basandomi sulle tue affermazioni, un uomo che io dovrei temere. Considerato il tuo atteggiamento nei miei confronti, con ogni probabilità hai ragione.»

Rafiq le afferrò un braccio, e la costrinse a voltarsi verso di lui. Negli occhi di

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Serah apparve una luce strana, più di paura che di sorpresa. «Io non sono uno straniero!» esclamò. «Sono un principe del Qusay.»

Lei chiuse gli occhi, e quando li riaprì, quell’espressione atterrita aveva lasciato il posto a uno sguardo gelido. «Così dicono» sussurrò. «Ma lo sei davvero? Non hai l’aspetto di un principe del Qusay.» Gli puntò un dito contro. «Guarda come sei vestito» riprese. «Pantaloni di Armani. Camicia di lino. Perché ti dichiari così fiero di appartenere a questa terra se insisti a voler voltare le spalle alla tua tradizione?»

«Perché questa non è più casa mia!» «Esattamente quello che dicevo» confermò Serah sorridendo. «Sei un turista,

un principe turista, e quindi io farò meglio a tornare all’accampamento prima che mi succeda qualcosa di brutto» concluse, poi divincolò il braccio dalla sua presa e riprese la propria marcia, certa però che Rafiq l’avrebbe raggiunta. Ma non sentì rumore di passi affrettati alle sue spalle, e dita di acciaio non fermarono la sua corsa.

Rafiq la guardò allontanarsi, e desiderò urlare la sua protesta. Lo aveva paragonato a un straniero, a un viaggiatore che non aveva alcun diritto di trovarsi lì.

Tuttavia le parole di protesta gli morirono sulle labbra quando ricordò. Serah aveva sorriso, magari di lui e non con lui, ma aveva sorriso. Una consapevolezza che trasformò la sua irritazione in soddisfazione.

Osservò come incantato il movimento dei suoi fianchi, il corpo voluttuoso fasciato dalla stoffa bagnata dal vestito. Una incantatrice, si disse, una sirena che con il suo richiamo spingeva gli uomini alla morte.

Questo non gli avrebbe impedito di averla, decise. Anche se il suo atteggiamento era cambiato, pensò, anche se aveva osato

sfidarlo, l’avrebbe avuta. Perché era cambiata, ragionò mentre si sedeva sulla sabbia, colpito da quella

rivelazione. La donna che aveva incontrato nell’appartamento di sua madre, la donna che non aveva osato guardarlo né rivolgergli la parola, la donna con i grandi occhi disperati che lui a stento aveva riconosciuto, era sparita.

Adesso c’era una nuova Serah. Non la Serah giovane che lui rammentava, la ragazza allegra e spontanea, dolce e pronta alla risata. La Serah che stava emergendo da quel guscio scuro era differente. Più dura nonostante l’aria di fragilità. E poi, aveva sorriso.

Un turista, così lo aveva definito. Era così che lo vedeva? Rafiq, il principe turista?

Un appellativo che lo offendeva, ma che aveva una base di verità. ammise a se stesso. Perché, cosa aveva fatto lui per il Qusay? Cosa aveva dato alla sua terra? Niente, perché aveva razionalmente deciso anni prima di abbandonare per sempre l’isola che lo aveva tradito.

Sì, da anni aveva dimenticato la sua patria, un modo per difendersi e per non pensare più agli splendidi momenti che aveva condiviso con una ragazza dai capelli neri che gli era sembrata parte di se stesso, che era stata la luce della sua vita.

Aveva dimenticato il Qusay perché, in caso contrario, non avrebbe potuto dimenticare Serah, la tortura che si sarebbe auto inflitto sarebbe stata troppo dolorosa

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da sopportare. Dunque ora era un principe, ma cosa sapeva del Qusay? Forse Serah aveva

ragione, si disse rimettendosi in piedi e avviandosi lentamente verso l’accampamento. Era solo un estraneo lì e, se per un imprevedibile incidente si era ritrovato principe, fortunatamente almeno il trono non era toccato a lui. Kareef sarebbe stato un buon re, un sovrano saggio, il sovrano di cui il Qusay aveva bisogno.

Il sonno lo eluse quella notte, nonostante la stanchezza per il viaggio, e il relativamente confortevole letto che stato preparato per lui sotto la grande tenda. Ma a lui non dispiaceva restare sveglio perché, nei rari momenti in cui chiudeva gli occhi, i suoi sogni erano agitati, e gli riproponevano l’immagine della splendida sirena che gli era stata negata, alla cui bellezza era ancora tanto suscettibile.

Si svegliò di soprassalto, certo di percepire il profumo di Serah, così unico e inconfondibile. Ma si scoprì solo nel letto e mentre i primi raggi del sole filtravano nella tenda, una forte disappunto si impadronì di lui.

La strada che attraversava la montagna non era in condizioni migliori di quelle previste, non più di una stretta corsia resa ancora più insidiosa dalle numerose frane. Sotto di loro, mentre procedevano verso la cima, il deserto si estendeva infinito. Da qualche parte, in lontananza, c’era Shafar e il Palazzo, ragionò Serah. Subito dopo l’incoronazione, Rafiq sarebbe ripartito e tutto lì sarebbe tornato alla normalità.

Onestamente, era impaziente che accadesse. Poi guardò Rafiq seduto accanto al guidatore e capì che stava solo mentendo a

se stessa. Perché, anche se desiderava che non fosse mai tornato in Qusay, e se l’unica

cosa che voleva davvero in quel momento era riprendere il controllo sulle sue emozioni, sapeva che vederlo andare via per lei sarebbe stato devastante.

Rafiq si girò e intercettò il suo sguardo. Tante domande apparvero nei suoi occhi blu, domande che Serah fece in tempo a scorgere prima di abbassare frettolosamente la testa, il respiro affannoso, brividi che le increspavano la pelle. Era doloroso quel risveglio dei sensi, ragionò. La feriva a livello sia fisico che emotivo.

Chiuse gli occhi fingendosi addormentata, il suo solo un tentativo di smettere di pensare a lui, e di ignorare quel legame fortissimo che ancora esisteva fra loro, dopo tutti quegli anni.

Ma quando riaprì gli occhi, lui la stava ancora osservando, e nuovi brividi le percorsero il corpo. Fiamme le divamparono dentro, fiamme che lambivano i suoi posti più segreti, che la fecero vergognare di se stessa e del suo corpo. Una prova – nel caso ne avesse avuto bisogno – di quanto avrebbe sentito la sua mancanza dopo la sua partenza per l’Australia.

La jeep sobbalzò sul terreno sconnesso. Le sembrava che fossero in viaggio da un’eternità, anche se avevano lasciato l’accampamento solo da un paio di ore. Infine la strada divenne più ampia laddove attraversava una zona pianeggiante fra due cime. Alberi spogli e cespugli crescevano sui margini, e finalmente apparvero le case, costruzioni basse e squallide fatte di fango e di pietra rossa.

Erano a Marrash. Qualche pecora magra pascolava sui bordi della strada, e i bambini si riunirono in gruppo, urlando e agitando le mani, eccitati per l’arrivo dei

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visitatori. Un evento molto raro, considerate le condizioni della strada, ragionò Rafiq.

Guardò incredulo il misero villaggio. Era quello il posto dove tessevano una seta di rara bellezza?, si chiese scettico. In quel polveroso, povero, minuscolo paese sulle montagne? Gli sembrava davvero impossibile.

Forse sua madre aveva inventato quel pretesto per mandarlo lì, ipotizzò. Ma, in quel caso, per quale scopo? E poi un movimento alle sue spalle attrasse la sua attenzione, Serah che alzava una mano per proteggersi gli occhi dai forti raggi del sole.

Ricordò il momento in cui l’aveva vista emergere dalle onde, bella e splendente come una divinità, e all’improvviso ipotizzare di aver affrontato un viaggio così difficile senza uno scopo preciso perse di ogni importanza, perché quel viaggio gli aveva dato la possibilità di pareggiare i conti con Serah. Se doveva perdere il sonno, tanto meglio utilizzare quelle ore nel migliore dei modi piuttosto che trascorrerle nell’inutile tentativo di non pensare.

Per quello che riguardava i suoi rapporti con Serah, d’ora in avanti sarebbe stato lui a stabilire le regole.

La jeep si diresse verso una piccola piazza, seguita dal codazzo di bambini schiamazzanti. Non appena il veicolo si fermò, le persone fecero capolino dalle loro abitazioni, i visi sorridenti. Un uomo dai capelli bianchi e dalla schiena curva si fece avanti.

«Altezza» esordì inchinandosi quando Rafiq scese dal veicolo, «la sua visita è un onore per noi. Io sono Suleman, l’Anziano del villaggio. È qui per vedere i nostri tesori, immagino» aggiunse. «Ma venga a rinfrescarsi, e dopo le mostrerò le stoffe di cui andiamo giustamente fieri.»

Dunque c’erano dei tesori da vedere, dopotutto, pensò Rafiq mentre seguiva Suleman facendosi strada fra la piccola folla, bambini che tendevano le mani verso di lui e donne che chiedevano la sua benedizione.

In breve tempo perse il conto delle mani che aveva stretto, e delle gote paffute che aveva accarezzato, ma le accuse di Serah continuarono a riecheggiargli in mente.

Principe turista. Presto si sarebbe pentita di quelle parole.

7Era impaziente adesso che aveva due priorità, cioè definire l’acquisto della seta

e portare a letto Serah. Ma non poteva affrontare la seconda missione prima di aver concluso la prima, e fino a quel momento dei tesori di cui Suleman gli aveva parlato non aveva visto neanche l’ombra. Al contrario, caffè e bevande continuavano a essergli serviti, insieme a vassoi di piccoli pasticcini, come se avesse a sua disposizione tutto il tempo del mondo per parlare con gli anziani del villaggio di qualsiasi argomento tranne quello che l’aveva portato sin lì.

La sua irrequietezza cresceva a ogni minuto che passava. Non era così che era abituato a condurre i suoi affari in Australia, pensò Rafiq. Ma erano in Qusay, ragionò, e le cose nel deserto funzionavano in modo diverso. Il concetto del tempo

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era differente, le formalità venivano rispettate. E così continuò a sorridere a denti stretti, promettendo a se stesso che, per prima cosa al suo ritorno, avrebbe elargito una cospicua gratifica ai dipendenti del suo ufficio acquisti, che gli risparmiavano quello strazio vagabondando del deserto alla ricerca di merce appetibile per i suoi negozi.

Serah invece sembrava la personificazione della pazienza. Sedeva con la schiena dritta, e dedicava completamente la sua attenzione a chiunque le rivolgesse la parola.

Infine, dopo l’ennesima domanda sulla salute del futuro re e della regina madre, Suleman sembrò soddisfatto. «Ora» disse, gli occhi che gli scintillavano, «le mostrerò i nostri tesori.»

Rafiq annuì e sorrise. Finalmente. Se c’era poco da vedere come sospettava, avrebbero avuto la possibilità di rientrare a Shafar in tempo per il banchetto di quella sera. Si fece da parte per lasciar passare Serah mentre l’anziano faceva strada, e di nuovo percepì il profumo dei capelli di lei.

Trascorrere una notte in più nell’accampamento accanto al mare era una prospettiva più interessante di una cena al Palazzo, ragionò.

La reggia sarebbe stata affollata dagli ospiti in arrivo da ogni parte del mondo in previsione dell’incoronazione, e per lui sarebbe stato difficile, se non impossibile, convincere Serah a uscire dagli appartamenti della regina e condurla in un luogo riservato. Nell’accampamento, invece, sarebbero stati praticamente soli. Non c’era alcuna fretta di tornare alla capitale, decise.

Suleman si avviò lungo un sentiero che costeggiava un piccolo ruscello alimentato da una sorgente, spiegò loro, una vero dono di Dio. Sulle sponde cresceva l’erba e persino alberi di agrumi, il cui profumo si spandeva nell’aria.

Oltrepassarono una bottega dove era esposta ogni tipo di merce – tappeti, ninnoli, vestiti – sulla cui porta era seduta un’anziana donna dal viso rugoso che si faceva vento con un ventaglio. Quando vide Rafiq scattò in piedi, un ampio sorriso che le incurvava le labbra. «Principe Rafiq!» esclamò, ma come aveva fatto a riconoscerlo con quegli occhi resi opachi dalle cataratte per lui era un mistero. Gli strinse una mano fra le sue. «La prego, prenda qualcosa dal mio negozio.»

Serah non riuscì a resistere alla tentazione di guardare più da vicino gli oggetti esposti su un malandato tavolo. Infine scelse una lampada di ottone decorata di piccole scaglie di smeraldi. «È molto bella» disse. «A tua madre piacerebbe molto.»

«Quanto costa?» di informò Rafiq. «È il mio regalo per la regina» replicò l’anziana donna. «E questa è per il

principe Kareef» aggiunse, prendendone un’altra più grande e più scintillante. «Un dono di Abizah di Marrash per la sua incoronazione.»

Rafiq avrebbe voluto protestare, era ovvio che la donna non fosse in condizioni di fare regali, ma Abizah stava già incartando le due lampade.

«E ora qualcosa per la sua bella moglie» riprese la donna, avvicinandosi al tavolo.

«Serah è la dama di compagnia di mia madre» precisò Rafiq gentilmente. «Sì» replicò Abizah agitando una mano, «per ora. Questa andrà bene» decise,

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scegliendo una collana fatta con le stesse scaglie di smeraldi della lampada. «Ma è troppo!» protestò Serah. «Non posso accettare un simile regalo.» «Certo che può» insistette Abizah, porgendo il monile a Rafiq. «Lo metta lei al

collo di sua moglie. I miei occhi non sono più quelli di una volta» spiegò. Questa volta Rafiq non provò neanche a correggerla, certo che comunque non

gli avrebbe dato ascolto. «Girati» ordinò a Serah, la quale gli scoccò un’occhiata perplessa, ma comunque obbedì. Le passò la catena intorno al collo e armeggiò con la chiusura, provando un irresistibile voglia di posare le labbra sulla pelle morbida della nuca.

Il respiro di Serah divenne affannoso, quasi gli avesse letto il pensiero. Svelto chiuse il gancio, e la sua opera sarebbe finita lì, invece mise una mano sotto la pesante massa dei capelli di lei, e li sollevò per liberarli dalla collana. La sentì fremere quando le sue dita le sfiorarono il collo.

L’anziana donna gli porse uno specchio. «Guarda» Rafiq la invitò, appoggiandole una mano su una spalla.

Lentamente Serah si girò. Gli smeraldi scintillavano sulla sua pelle dorata, facendo risaltare i capelli e gli occhi neri.

Colore, pensò Rafiq, ecco di cosa aveva bisogno Serah. Di colore che mettesse in risalto la sua bellezza, e non del nero che la oscurasse. «È bella» disse.

«Sì, è bellissima» confermò Serah guardandosi allo specchio. «Ma, per favore, mi permetta di pagarla» chiese poi alla donna.

«Mi hai pagato con il tuo sorriso» replicò Abizah. «Una creatura come te non dovrebbe essere mai triste» continuò. «Dammi ascolto, perché io le so queste cose. Presto troverai la felicità» concluse, poi li esortò verso l’uscita, quasi la sua piccola bottega fosse affollata di clienti che aspettavano di essere serviti. «Lei, che potrebbe essere re, vada a occuparsi dei suoi affari» disse a Rafiq, «e grazie per essersi fermato nel mio negozio.»

«È una persona molto generosa» commentò Rafiq mentre riprendeva il cammino al fianco di Suleman.

«È la donna più saggia del villaggio» confermò l’anziano. «I suoi occhi non sono più tanto buoni, ma vede lo stesso molte cose.»

«Che tipo di cose?» «Il futuro, per esempio» rispose Suleman, ma poi scrollò le spalle. «Alcuni

però credono che sia solo una pazza. Coraggio, ci aspettano in fabbrica.» Abizah era davvero in grado di prevedere il futuro?, si chiese Rafiq. Oppure

aveva perso il senno? Perché aveva fatto quello strano commento al riguardo della sua possibilità di essere re? Al posto di Kareef, aveva inteso dire? Gli era sembrata una frase quanto meno strana, ma non tanto quanto la sua insistenza nel voler definire Serah sua moglie.

Non c’era da sorprendersi se al villaggio la credevano pazza. Serah si portò una mano alla gola, laddove i piccoli smeraldi freddi e levigati

giacevano sulla sua pelle. Tremava ancora, anche se non avrebbe saputo dire se a causa delle parole dell’anziana donna, o come risultato della carezza di Rafiq.

Perché i suoi sensi adesso erano così acuiti, quando per un lunghissimo tempo

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non aveva percepito praticamente nulla?, si chiese. Perché le sue emozioni dovevano tornare prepotentemente alla vita, facendole vedere il mondo a colori invece del mesto bianco e nero cui ormai si era abituata?

E perché Abizah aveva dato per scontato che lei fosse la moglie di Rafiq? Viaggiavano insieme, giusto, e Rafiq non era conosciuto dalla gente del Qusay tanto quanto Kareef. Ma la donna aveva insistito nella sua assunzione anche dopo essere stata corretta.

Nonostante il caldo soffocante, continuò a tremare mentre seguivano la loro guida, la mente assorta sulle parole di Abizah. Come era possibile che quest’ultima fosse a conoscenza della sua lunga infelicità? Glielo aveva letto in viso, o lo aveva dedotto dagli abiti scuri che indossava? Ma essendo praticamente cieca, era impossibile che avesse notato quei dettagli.

In ogni caso l’incontro con la donna l’aveva profondamente scossa, ancor di più il prezioso dono che aveva voluto farle. Anche considerando lo scarso valore delle schegge di smeraldo, la collana era splendida, un manufatto di rara precisione.

Toccò il braccio di Rafiq. «Dobbiamo fare qualcosa per sdebitarci con Abizah» disse, ottenendo in replica uno sguardo che anche lui stava pensando la stessa cosa.

Intanto erano giunti in un cortile sul quale insisteva un edificio basso e lungo, che sembrava essere una emanazione della fiancata della montagna. Suleman si fermò davanti alla porta. «Benvenuti nella nostra Grotta di Aladino» annunciò con tono solenne prima di aprire l’uscio.

Non appena messo piede all’interno, Serah sussultò per l’impatto con l’esplosione di colori che l’accolse. Rotoli e rotoli di seta variopinta accumulati sugli scaffali e anche per terra, la stoffa resa ancora più scintillante dalla minuziosa applicazione di minuscole gemme. Ovunque si girasse, la luce faceva risplendere quei capolavori intessuti a mano.

In un angolo del vasto ambiente era stata organizzata una sorta di mostra. Su un letto erano appoggiati coperte, drappi e cuscini, una dimostrazione di come poteva essere usata la seta. Lungo la parete c’erano tre manichini agghindati con tuniche dai colori intensi, dal rosso rubino al blu mare.

Definirle splendide sarebbe stato riduttivo. Anche Rafiq era colpito. In realtà si era aspettato di vedere qualche scampolo

di stoffa, magari di qualità più scadente rispetto a quel pezzo di seta bellissima che sua madre gli aveva mostrato, perché sicuramente gli abitanti del villaggio avevano provveduto a fare recapitare alla regina il meglio della loro produzione. Ma guardando ciò che in quel momento lo circondava, si chiese come sarebbe stato possibile scegliere il meglio.

Si aggirò nella stanza, fermandosi per sfiorare le stoffe, per valutarne il peso e il ricamo. Non era un esperto del campo, ma era ovvio che un prodotto simile si sarebbe venduto in un batter d’occhio. Tende, cuscini, elementi d’arredo, tutto sarebbe andato a ruba nei suoi negozi.

«Come mai avete tante scorte?» chiese. Suleman sorrise. «Abizah ci ha detto che non era ancora arrivato il momento

per vendere, e così noi abbiamo aspettato. Intanto abbiamo conservato in questo

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magazzino tutta la nostra produzione» spiegò. Rafiq alzò la testa. «Abizah?» ripeté sorpreso. «L’anziana donna che abbiamo

appena incontrato?» Suleman annuì. «Come le ho detto, alcuni la ritengono pazza, ma la maggior

parte di noi tiene in grande considerazione la sua opinione.» «Allora perché ieri ho visto al Palazzo un esempio di questa stoffa?» domandò

ancora Rafiq. «Ah.» L’anziano annuì. «Quello scampolo di seta è stato mandato al Palazzo

come dono, nella speranza che potesse essere utilizzato in qualche modo durante la cerimonia dell’incoronazione. Purtroppo però era troppo tardi. I vestiti erano già stati cuciti.»

«E adesso Abizah ha deciso che è il momento giusto per vendere?» si informò Rafiq.

«C’è luna piena questo mese, e sì, lei ha dato la sua approvazione.» «Mia madre mi ha detto che qualcuno ha già manifestato interesse per la vostra

produzione» continuò Rafiq. «Come è stato possibile che altri abbiano visto questa stoffa?»

Suleman scrollò le spalle. «Fortuna, destino, chi può dirlo? Una coppia di turisti, un uomo di affari con la moglie, stavano attraversando il deserto e si sono fermati a Marrash per rinfrescarsi. Le donne hanno invitato la moglie ad ammirare i loro tesori. Il marito, dirigente di una grande azienda di esportazioni, ha inviato un suo rappresentante qui non appena è tornato a casa.»

«È stata fatta un’offerta?» «Un’offerta molto interessante» sottolineò Suleman con voce vibrante di

orgoglio. «Alcuni anziani premevano affinché fosse accettata subito.» «Ma gli altri?» «Gli altri invece hanno deciso di aspettare ancora» replicò Suleman. «Hanno

detto che avevamo atteso già tanto, e che non era necessario accontentarsi alla prima occasione.»

Dunque era una sfida, ragionò Rafiq, e lui non era mai riuscito a rinunciare a una. Aveva l’opportunità di mettere le mani su qualcosa di unico e se il suo interesse principale durante tutti quegli anni era stato amministrare il suo enorme giro di affari, c’era qualcosa di davvero eccitante nell’essere in prima linea, nell’aver trovato personalmente una merce da vendere con successo nei suoi negozi.

Era stato il suo infallibile istinto a renderlo ricco tanto tempo prima, quando aveva iniziato la sua attività da solo, senza l’appoggio dei tanti dipendenti che poi avrebbe assunto durante gli anni. E il suo istinto in quel momento stava urlando che la stoffa che aveva davanti era una mercanzia davvero unica.

«Mi puoi dire quale è stata l’offerta che avete ricevuto?» chiese a Suleman. Suleman riferì la cifra, una cifra ridicolamente bassa, riconobbe Rafiq,

nonostante fosse certo che il vecchio l’avesse gonfiata per assicurarsi che la contro offerta sarebbe stata migliore. Ma anche in quel caso, considerata la qualità della stoffa e i diritti di esclusiva, la cifra restava inappropriata.

«Non è abbastanza» sentenziò Rafiq. «Dovete chiedere almeno il doppio.»

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«Lei sta facendo una proposta, Altezza?» mormorò Suleman ovviamente colpito, il viso bianco.

«Sarebbe accettata, Suleman?» L’uomo chinò il capo. «Devo consultarmi con il Consiglio» replicò, ma gli

occhi gli brillavano. «Cioè, gli Anziani?» ipotizzò Rafiq. In quel caso, considerando l’interesse di

Suleman, non ci sarebbero stati problemi, ragionò. «Non in questo caso. Sarà il Consiglio delle donne a decidere. So che può

sembrare strano, ma questo progetto è sempre stato loro. Hanno chiesto a me di rappresentarle oggi per rispetto alla sua persona, ma sono le uniche che possono prendere la decisione definitiva.»

«Strano, senza dubbio» confermò Rafiq con disappunto. «Il motivo è da ricercarsi nel modo in cui cominciò questo progetto» riprese

Suleman. «Un’anziana vedova del villaggio ereditò una bella somma di denaro da alcuni parenti che vivevano a Shafar. Avrebbe potuto trasferirsi in città, ma aveva trascorso qui tutta la sua vita, e non aveva desiderio di andare altrove. Quindi, non avendo davvero bisogno di soldi, decise di usare l’eredità per creare qualcosa di utile per le donne, cioè qualcosa che desse loro una costante fonte di guadagno.»

«Un gesto molto nobile» sottolineò Rafiq. «Sì. Le donne avevano già condotto qualche esperimento usando lo sfrido

risultante dalla lavorazione degli smeraldi per costruire vari articoli, per esempio la collana di Abizah» disse Suleman, indicando il gioiello che scintillava al collo di Serah, «o la lampada per la regina. Misero a punto un metodo mediante il quale riducevano le scaglie in piccolissime perline, che venivano poi applicate sugli oggetti o ricamate sulle stoffe. Con i soldi dell’eredità furono acquistate macchine per cucire, e le stoffe che divennero la base per la produzione che adesso vedete intorno a voi.»

«E poiché sono le donne a produrre queste sete, tocca a loro decidere a chi venderle, giusto?»

Suleman annuì. «Ascolteranno la mia opinione in merito, ovviamente, ma sì, l’ultima parola spetta a loro.»

«Potrei incontrarle?» «Ne sarebbero onorate, Altezza. In questo momento sono tutte al lavoro,

nell’officina qui a fianco. Anche se...» Suleman lasciò la frase in sospeso e chinò la testa da un lato, come se stesse riflettendo sulla migliore scelta di parole.

«C’è un problema?» domandò Rafiq. Suleman agitò una mano in aria. «Le donne di Marrash le mostreranno

volentieri il loro lavoro, ma – devo avvertirla – non saranno a loro agio nel condurre le negoziazioni con un uomo. Con un qualsiasi uomo» precisò. «Mi dispiace, ma dovrebbe affidare il compito di trattare la vendita alla sua compagna» concluse, indicando Serah.

Cioè, quella che sua madre aveva detto, ricordò Rafiq. Aveva previsto che sarebbe stata necessaria una donna per concludere un affare con gli abitanti di Marrash. Si voltò verso Serah, che stava alle sue spalle a capo chino, gli occhi pieni di preoccupazione come se la prospettiva di parlare con le donne in sua vece la

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terrorizzasse. Ma come al solito fu la perfezione dei suoi lineamenti a colpirlo, quella bellezza che sarebbe stata esaltata se solo lei avesse ripreso a sorridere.

Di nuovo il desiderio lo aggredì, e anche la voglia di toccarla, di fare aderire il corpo al suo, di ritrovare la completezza con lei e dentro di lei.

Ecco di cosa aveva bisogno. Di una liberazione, e di rivedere quel sorriso segreto che lei era solita rivolgergli tanti anni prima, più caldo dei raggi del sole del deserto.

Respirò a fondo, consapevole che quella notte avrebbe raggiunto almeno uno di quegli scopi.

«Serah è qui proprio per questo» disse, voltandosi verso Suleman. L’anziano annuì. «Sono lieto che lei capisca. Ma vorrei anche avvisarla che il

Consiglio riflette a lungo prima di prendere una decisione. Probabilmente non riceverò una risposta oggi, nonostante la generosità della sua offerta.»

«Non resterò in Qusay a lungo» sottolineò Rafiq. «Devo ripartire per l’Australia subito dopo l’incoronazione, e ovviamente è necessario concludere l’affare prima di allora.»

«Sì, lo immagino, ma se le donne hanno scelto di aspettare sinora, sicuramente non si lasceranno sottoporre a pressioni adesso.»

Con ogni probabilità le donne volevano consultare l’altro possibile acquirente prima di giungere a una decisione finale, ragionò Rafiq. Allora quanto avevano intenzione di farlo aspettare?

Se avesse avuto la possibilità di condurre le negoziazioni in prima persona, senza dubbio in poche ore l’affare sarebbe stato concluso. Era quello che faceva per vivere, era la cosa in cui riusciva meglio. Ma Serah? Non aveva alcuna esperienza nel campo. E, cosa più importante, non aveva alcun interesse personale nella contrattazione. Perché mai avrebbe dovuto insistere per firmare il contratto al più presto? Anzi, perché mai avrebbe dovuto insistere per firmare il contratto dal momento che non ne avrebbe ricavato nulla?

Inoltre, come poteva sapere che Serah non avrebbe mandato a monte l’affare solo per vendicarsi per essere stata portata sin lì contro la sua volontà?

Ma non c’era nulla che potesse fare al riguardo, concluse, rassegnandosi all’eventualità di vedersi sfuggire quell’ottimo affare dalle mani.

Soprattutto perché doveva affidarsi a Serah.

8«Come ci sei riuscita?» La jeep aveva si era da poco avviata lungo il sentiero

sconnesso che scendeva dalla montagna, il sole alle loro spalle che con i suoi raggi obliqui rendeva il rosso della pietra ancora più brillante. Sui sedili anteriori, uno degli autisti continuava a dare suggerimenti non richiesti all’altro su quale direzione prendere per accelerare il viaggio, mentre Rafiq fissava incredulo i documenti che aveva appoggiato sulle gambe, i documenti che Serah gli aveva consegnato dopo l’incontro e che gli garantivano i diritti esclusivi su tutta la Collezione Marrash, come le donne del Consiglio avevano deciso di denominare la loro produzione.

Naturalmente gli avvocati avrebbero dovuto convertire quelle parole

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scribacchiate in fretta in qualcosa di legale, ma il grosso del lavoro era stato concluso, e nel migliore dei modi.

Ancora però non riusciva a capire come era stato concluso. Tre ore prima erano entrati nell’edificio che le donne avevano trasformato nel loro laboratorio, dove il ronzio delle macchine da cucire si confondeva con le loro risate e il loro chiacchierio. Le tessitrici avevano smesso di parlare di colpo quando li avevano visti, ma il silenzio non era durato a lungo. Le donne, dapprima intimidite ma subito inorgoglite dai complimenti ricevuti, li avevano condotti a visitare l’edificio, terminando la visita in una piccola stanza adiacente dove alcune di loro si occupavano di trasformare le scaglie di smeraldo in minuscole e perfette perline.

Dopo avevano cortesemente chiesto a lui e a Suleman di andarsene. L’anziano aveva fatto del suo meglio per tenerlo occupato, portandolo in giro per il villaggio e presentandogli le persone più di spicco, ma lui non era riuscito a distrarsi.

«Quanto tempo impiegheranno?» aveva chiesto dopo un’ora, un’attesa che gli era già sembrata interminabile, brutti presentimenti che continuavano a tormentarlo. Suleman però si era limitato a sorridere, e a scrollare la spalle con fare di scuse.

«Non dimentichi che stiamo parlando di un Consiglio composto da donne» aveva sottolineato, riuscendo solo a fare aumentare la sua ansia.

Infine le donne erano uscite sorridenti dall’officina, e Serah gli aveva consegnato le carte che testimoniavano che la trattativa era andata a buon fine. Spinto dal sollievo, e solo da quello, l’aveva sollevata fra le braccia e l’aveva baciata, fra gli applausi dei presenti.

Poi non aveva avuto la possibilità di parlarle in privato per chiederle esattamente cosa era successo, perché tutti gli abitanti del villaggio si erano raggruppati nella piazza principale, pronti a festeggiare l’evento. Festeggiamenti che a lui erano sembrati senza fine, e che avevano reso improponibile il progetto di rientrare a Shafar in tempo per partecipare al banchetto in onore di Kareef. Il che gli aveva fornito la scusa perfetta, pensò Rafiq in quel momento. Adesso non avevano altra scelta se non quella di trascorrere una seconda notte all’accampamento.

Il destino aveva voluto favorirlo. Non avrebbe incontrato alcuna difficoltà nel portare a termine la sua missione. Serah non si sarebbe sorpresa quando lui avrebbe fatto la sua mossa, ragionò. Avevano qualcosa da festeggiare. Insieme.

«Come ci sei riuscita?» domandò nuovamente alla donna seduta accanto a lui sul sedile posteriore della jeep.

Serah aveva sul viso la solita espressione imperturbabile, e teneva la schiena ben dritta, ma l’abituale velo di tristezza era sparito dai suoi occhi, e gli angoli della bocca erano atteggiati in un sorriso, come se fosse molto compiaciuta di se stessa.

Scrollò le spalle. «È stato bello conoscere quelle donne» replicò. «Persone forti, che sono riuscite a cambiare la loro vita grazie a un duro lavoro.»

Doveva essere così, considerò Rafiq, ma questo ancora non gli forniva la risposta di cui aveva bisogno. «Ma Suleman ha detto che in genere le donne impiegano molto tempo per giungere a una decisione» insistette. «Come sei riuscita a

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convincerle a firmare il contratto così velocemente?» Il sorriso di Serah divenne più brillante dei raggi del sole che invadevano

l’abitacolo del fuoristrada. «Principalmente il merito è stato tuo, perché sarebbe stato davvero impossibile rifiutare la tua offerta» spiegò. «Già la prima che avevano ricevuto era sembrata loro come un sogno divenuto realtà, ma la somma che hai proposto è stata per quelle donne così povere un vero dono del Cielo. Tuttavia, alcune ritenevano che avrebbero dovuto consultare l’altro possibile acquirente, magari per indurlo a rilanciare la sua offerta.»

Rafiq annuì. «Però infine hanno rinunciato al tentativo» precisò. «Perché?» «Dapprima hanno esitato» raccontò Serah. «Forse si aspettavano che io offrissi

più denaro, ma tu non mi avevo conferito una tale autorità. Allora abbiamo messo da parte i discorsi di lavoro e abbiamo parlato per un po’ – sai, chiacchiere fra donne – soprattutto dei recenti cambiamenti avvenuti all’interno della Famiglia Reale, dell’abdicazione di Xavian... anzi, di Zafir... e dell’imminente incoronazione del principe Kareef.»

Rafiq si sforzò di cercare la risposta che attendeva in quelle parole, ma se pure c’era, gli sfuggiva. «E poi cosa è successo?» la invitò a continuare.

Di nuovo Serah sorrise. Le mani incrociate in grembo, si voltò verso di lui, l’aria complice di chi era in procinto di condividere un segreto. «Stavo pensando allo scampolo di seta che è stato mandato al Palazzo, e a cosa significasse per la gente di Marrash.»

La connessione continuava a eluderlo. «E?» Rafiq la esortò ad andare avanti. «Certo, sono felici di sapere che la loro merce sarà venduta in Paesi lontani»

riprese Serah, «ma io percepivo un certo disappunto nelle donne. Niente sarebbe stato più importante per loro, niente avrebbe potuto farle più contente del portare l’attenzione del mondo sul Qusay, e questo risultato poteva essere raggiunto se le loro sete fossero state impiegate durante l’incoronazione.»

«Ma è troppo tardi per questo» obbiettò Rafiq, passandosi una mano fra i capelli. Mancavano solo pochi giorni alla cerimonia, pensò rivolgendo lo sguardo al finestrino, e se Serah si era impegnata in quel senso, il contratto sarebbe stato annullato ancor prima di essere redatto dai suoi legali. «Non puoi credere che i piani per l’incoronazione saranno cambiati con un così piccolo preavviso» aggiunse.

«Non lo faccio» replicò lei con tono così veemente che per qualche istante a Rafiq sembrò di rivedere la ragazza vivace e vibrante che una volta Serah era stata.

Serah si irrigidì, e quel sorriso a lungo atteso svanì repentinamente. «Semplicemente ho capito sentendole parlare che quello cui ambivano maggiormente era sì un riconoscimento del loro lavoro, ma nel loro paese» puntualizzò. «Sapevano che la loro collezione sarebbe stata venduta al miglior offerente, e dal punto di vista strettamente economico era ciò che desideravano, ma avevano anche bisogno di una soddisfazione personale. L’incoronazione sarebbe stata l’evento perfetto per raggiungere tale scopo ma, come hai detto, è troppo tardi per questo.»

«Dunque cosa hai suggerito?»

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Serah si mordicchiò il labbro inferiore, e guardò per qualche istante verso il finestrino prima di rispondere. «Ho promesso loro che, se avessero accettato la tua offerta, il giorno del tuo matrimonio la tua sposa avrebbe indossato un abito fatto con la più bella seta prodotta nel villaggio di Marrash.»

Rafiq rimase per qualche istante senza parole. «Tu... Hai fatto cosa?» domandò poi. «Hai promesso che la mia sposa avrebbe...» Lasciò la frase in sospeso e tirò un profondo respiro. «Ma io non ho nessuna intenzione di sposarmi! Il che significa che le donne di Marrash non avranno nessuna sposa da vestire! In che razza di posizione ritieni di avermi messo? Ma a che cosa stavi pensando?» sbottò.

Serah lo guardò, gli occhi che mandavano fiamme. «Pensavo che la tua priorità fosse concludere l’affare entro oggi» borbottò.

«Ma tu hai promesso loro un matrimonio reale... Il mio matrimonio!» «Certamente non potevo mettere sul piatto della bilancia quello del principe

Kareef» ragionò Serah. «Ovvio, dovrà prendere moglie al più presto perché la corona ha bisogno di un erede, ma non mi sembrava opportuno imporre a lui una condizione quando l’accordo con le donne di Marrash poterà benefici esclusivamente a te.» Abbassò gli occhi e tacque per qualche istante. Quando riprese a parlare, la sua voce era più controllata, più bassa, come se fosse tornata a essere la donna impaurita e remissiva che era stata all’inizio di quel viaggio. «Io non ho detto che il matrimonio avverrà sicuramente, non ho parlato di date, però era certa che tu avresti capito il mio ragionamento» affermò. «È importante per le donne che la loro arte sia conosciuta in Qusay. D’altra parte, quali altri elementi mi hai dato sui quali basare una trattativa?»

«Sicuramente non ti ho dato un matrimonio» precisò Rafiq. Irritato, riprese a guardare le cime delle montagne dal finestrino, la consapevolezza che la logica di Serah era ineccepibile che lo irritava ancora di più. Era riuscita a concludere l’affare, aveva ottenuto il contratto nel breve giro di qualche ora.

Ma il matrimonio? Serah aveva indotto le donne del villaggio a credere che lui aveva intenzione di

sposarsi, e su quel fatto aveva basato la sua negoziazione. E ora le donne avrebbero atteso quell’evento, attente a interpretare ogni segnale che testimoniasse l’avvicinarsi di quel momento...

Oh, no!, pensò, passandosi una mano sul volto. Spinto dall’entusiasmo, aveva baciato Serah quando lei era uscita dall’officina per dargli la buona notizia!

Le donne avevano applaudito e riso, e lui aveva continuato a credere che la loro allegria fosse dovuta all’affare appena concluso.

Non si era reso conto di una nota stonata, ragionò in quel momento. Le donne di quel villaggio sperduto fra le montagne sarebbero state offese e turbate vedendolo baciare in pubblico una donna non sposata.

A meno che... All’improvviso quelli che erano stati solo brutti presentimenti presero una

forma concreta nella sua mente. Le donne di Marrash erano sicure che Serah fosse la sua futura moglie! D’altro canto, non lo aveva affermato anche Abizah?

Si girò verso di lei. «Le donne pensano che io ti sposerò» affermò. «È il nostro

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matrimonio che stanno aspettando, e tu sei la donna che immaginano di vestire nel giorno delle sue nozze.»

Lei scosse la testa, negli occhi il panico. Perché il suo gioco era stato scoperto? «No, sono sicura che non pensano nulla del genere» mormorò.

«Ti ho baciato.» Serah continuò a scuotere la testa, il viso in fiamme come se la sola idea la

sconvolgesse, il che servì solo a farlo irritare ancora di più. Avrebbe dovuto considerarlo un privilegio!

«Un bacio che non ha significato niente per te» puntualizzò Serah. «Tu non potevi sapere. Non ha significato niente.»

Era vero? fu costretto a chiedersi Rafiq. Non aveva significato niente per lui? E allora perché aveva sentito di aver messo tutto in quel bacio? La frustrazione scaturita dall’attesa e dal non aver potuto condurre personalmente le negoziazioni. Il sollievo di sapere che tutto era andato per il meglio. Sì, aveva messo tutte le sue emozioni in quel bacio, e il sapore delle labbra piene di lei lo aveva spinto a desiderare di più, quel di più che aveva deciso di ottenere quella sera stessa.

Dunque, il bacio aveva significato qualcosa, un bisogno fisico, una questione mai risolta, ma non che...

Si appoggiò allo schienale e le mise un braccio sulle spalle per attrarla a sé, e le parlò accanto all’orecchio in modo che gli autisti non potessero sentire. «Io non ti sposerò» affermò. «Non importa quello che le donne di Marrash pensano. Io non ti sposerò perché per nessun motivo al mondo sceglierei di vivere con te dopo quello che mi hai fatto.»

Lei trattenne il respiro, chiuse gli occhi e poi li riaprì, annuendo come per confermare le sue parole, di nuovo il sorriso sulle labbra. «E pensi che non lo sappia?» replicò, la voce acuta. «Pensi che non sappia quanto mi odi per quello che accadde tanti anni fa? Lo so, e lo capisco. Ma perché mai hai creduto anche per un solo istante che io desideri un altro uomo nella mia vita? Perché credi che io possa volerti, o avere bisogno di te? Ho lanciato l’idea del vestito da sposa esclusivamente per farti concludere l’affare, e non perché stavo tentando di complottare alle tue spalle per costringerti a sposarmi.»

Parole che fecero crescere a dismisura la sua irritazione. Serah era una vedova, e lui un principe, un ricco principe. Avrebbe potuto darle qualsiasi cosa, una posizione sociale invidiabile, denaro, ogni privilegio. E ora affermava che non le interessava nulla di tutto quello.

Mentiva, ne era sicuro. Così non la lasciò andare. Giocherellò con una ciocca dei suoi capelli con una

noncuranza che non provava affatto. «Non è quello che la gente di Marrash ha pensato» sottolineò.

Serah puntò il mento in avanti, gli occhi rilucenti di risentimento. «E di chi sarebbe la colpa?»

Rafiq le affondò le dita nei capelli un po’ di più, poi le lasciò scivolare lungo il

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collo, avvertendo il suo tremito. «Non sono io ad aver suggerito loro l’idea del matrimonio.»

«E non sono stata io a baciarti.» Rafiq la guardò. Aveva le labbra schiuse, e il petto che si alzava e abbassava al

ritmo del respiro affannoso. Forse era vero, pensò, ma sicuramente non si era opposta. Rammentava perfettamente l’entusiasmo con cui aveva risposto al suo bacio. Lo stesso entusiasmo che avrebbe manifestato se l’avesse baciata in quel momento, era pronto a scommettere.

Tutto quello che doveva fare era metterle una mano dietro la nuca per attrarla a sé.

Respirò a fondo come per chiamare a raccolta le forze, ma così facendo inalò l’odore di lei, il profumo delle erbe che usava per lavare i folti capelli neri, del sapone con cui detergeva la pelle morbida e vellutata.

L’aveva baciata già due volte, baci impulsivi e non previsti che non avevano condotto a nulla se non a frustrazione, baci destinati a non avere un seguito fin dal principio perché loro due non erano stati soli.

Tuttavia quei baci gli avevano detto qualcosa. Due cose, per la precisione. Che voleva di più, e la certezza che Serah lo desiderava ancora. Aveva capito quella verità dai brividi che le avevano increspato la pelle quando l’aveva toccata, e da come avesse schiuso le labbra sotto la pressione delle sue.

Serah lo desiderava, ne era certo. E in quel preciso momento era l’unica certezza che contasse.

Le sorrise e distolse gli occhi dalla sua bocca per guardarla in viso, e scoprire un’espressione sorpresa che alterava i suoi bei lineamenti, quasi si fosse aspettata di essere baciata di nuovo, quasi avesse sperato che accadesse.

Il sorriso sulle labbra di Rafiq divenne più ampio. «Non essere delusa» commentò, le labbra così vicine al suo orecchio da sfiorare il cerchio d’oro che le adornava il lobo. «Ti bacerò di nuovo, ma non ancora. Accadrà quando saremo dove nessuno potrà interromperci.»

Di nuovo Serah tremò, e di nuovo nei suoi occhi apparve una luce sorpresa, ma non solo. Nel suo sguardo c’era anche desiderio, e bisogno.

Rafiq respirò a fondo, inspirando così ancora il profumo di lei, un profumo che gli pervase i sensi. Per ora, decise, era sufficiente così.

Le strinse la spalla un’ultima volta prima di abbassare il braccio e di tornare al suo posto, notando per la prima volta il sole ormai basso all’orizzonte che illuminava con i suoi raggi obliqui il sentiero davanti a loro. Presto sarebbe calata la notte, che avrebbero trascorso nell’accampamento accanto al mare. Il che significava che presto avrebbe avuto Serah, ragionò.

Tirò un’altra boccata d’aria e si mosse a disagio sul sedile nel tentativo di nascondere l’evidenza della sua improvvisa eccitazione. Forse doveva concentrarsi sul tramonto ed evitare di pensare a ciò che sarebbe accaduto più tardi, si disse. Ma gli era davvero impossibile ascoltare il suo stesso consiglio, perché non riusciva a

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pensare ad altro se non a Serah distesa sotto di sé, alle sue lunghe e snelle gambe avvinghiate intorno alla sua vita mentre lui la penetrava.

Quante volte lo aveva sognato? Quante volte quelle immagini lo avevano tormentato? E finalmente ancora poche ore, e Serah sarebbe stata sua.

Si girò verso il finestrino e ammirò il calare del sole. Era uno spettacolo davvero mozzafiato, ammise, con quel cielo tinto di colori pastello.

Colori. Il che gli ricordò il pacchetto che aveva portato con lui, l’unico acquisto che

Suleman gli aveva permesso di concludere personalmente. Allungò la mano verso il baule per prenderlo, ma così facendo nella sua visione entrò Serah, rintanata contro lo sportello, gli occhi chiusi, le mani che stringevano la collana di smeraldi.

Qualcosa si scatenò dentro di lui, qualcosa di molto simile a un senso di colpa. Cosa aveva fatto per renderla così triste quando solo fino a poco prima era sembrata così serena?

Fu tentato di toccarla, di accarezzarla. Di offrirle conforto. Cambiò idea immediatamente. Perché, rassicurandola, avrebbe dimostrato che

teneva a lei. E non era la verità. La desiderava fisicamente, quello era un fatto indiscutibile. Ma tenere a lei? No, da anni ormai aveva smesso di farlo.

Inoltre, concluse scrollandosi di dosso quella sgradevole sensazione, non aveva prove di essere lui il responsabile della sua disperazione. Per quel che ne sapeva, era possibile che in quel momento Serah stesse pensando a Hussein, magari rimpiangendo la loro vita insieme.

Girò la testa, nauseato da se stesso. Vero, Serah era stata la moglie di Hussein per quasi una decade, ciò nonostante lo infastidiva che pensasse ancora a lui.

Quella notte, avrebbe provveduto a cancellarle dalla mente ogni ricordo del marito scomparso.

Quella notte Serah avrebbe scoperto a cosa aveva rinunciato tanti anni prima.

9Serah si rintanò ancora di più nell’angolo del sedile, cercando di dare un senso

agli eventi di quella giornata. In alcuni momenti Rafiq le era sembrato diverso, le era sembrato persino che fossero in grado di coesistere sullo stesso pianeta senza aggredirsi ogni istante. Però poi erano passati dal discutere il successo ottenuto a scagliarsi l’uno contro l’altra, e l’atmosfera era cambiata all’improvviso, diventando più intensa, più pesante.

Più pericolosa. Toccò la collana di smeraldi, ricordando il momento in cui Rafiq gliela aveva

messa al collo, quando le sue dita le avevano sfiorato la pelle – più una carezza di un amante che il tocco di un uomo che la detestava. Un controsenso che non riusciva a comprendere, e quanto avrebbe preferito focalizzare la sua attenzione sullo splendido tramonto piuttosto che continuare ad arrovellarsi la mente su domande senza risposta!

Ma controllare le sue oscillanti emozioni le sembrava addirittura impossibile,

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perché ogni volta durante quella giornata che Rafiq l’aveva guardata, o si era avvicinato, lei aveva avvertito tra loro un’attrazione sempre crescente, la fiamma di un desiderio mai sopito, una forza che li teneva uniti nonostante tutto.

E quando lui l’aveva toccata, qualcosa di molto simile a una scossa elettrica le aveva attraversato il corpo.

Gli altri avevano capito? Avevano indovinato cosa c’era fra loro?

Sospirò e appoggiò la fronte al finestrino. Certamente lo avevano fatto. Le donne avevano assistito al bacio. Tutti avevano visto come lei si era abbandonata fra le sue braccia. Tutti sapevano, anche l’anziana donna resa quasi cieca dalle cataratte.

Il che non era sorprendente, visto che per lei era così difficile nascondere i propri sentimenti, persino a se stessa.

Come aveva reagito quando Rafiq l’aveva minacciata di baciarla di nuovo? Non con sdegno, non con rabbia. No, lo aveva guardato con aria speranzosa, eccitata per quella minaccia che a lei era suonata come una promessa.

Un brivido le corse lungo la schiena. Chiuse gli occhi nel tentativo di ignorare quell’assalto dei sensi. Perché mai la prospettiva di essere baciata da Rafiq la riempiva di paura, ma anche di eccitazione? Perché all’improvviso era così consapevole del suo corpo, dei seni dolenti, dei capezzoli inturgiditi, e di quei crampi che le aggredivano il basso ventre?

Si vergognava delle sue stesse sensazioni. Doveva porre fine a tutto quello. Non era più un’adolescente, era una donna matura, forse priva di esperienza, ma era stata sposata quasi per dieci anni. Da tanto tempo ormai aveva seppellito i suoi sogni di ragazza e le esigenze del suo corpo dietro una maschera di finta serenità. Di disciplina. Di fredda compostezza.

Allora perché il suo corpo aveva deciso di tradirla proprio ora? Per dieci anni non aveva percepito nulla, aveva ignorato ogni desiderio, ogni

esigenza, fino al punto di essere sicura di averli soppressi per sempre. Adesso, invece di sentirsi calma e tranquilla, era agitata, accaldata, come se tutte le emozioni troppo a lungo represse fossero tornate di colpo in vita per tormentarla.

Era di nuovo giovane, la ragazza che aveva perso la testa per un giovane alto dai profondi occhi blu, dotato di un magnetismo che l’aveva attratta inesorabilmente sin dal loro primo incontro.

Anche in quel momento si sentiva così, consapevole di lui. Perché dopo tanto tempo era ancora tanto vulnerabile al suo fascino? D’altra parte, non lo amava più.

Quasi le sfuggì un gemito dalle labbra mentre un nuovo pensiero si faceva strada nella sua mente.

Non era possibile... Oppure sì? Chiuse gli occhi, pregando di essersi sbagliata. Era solo confusa, decise, per

l’inaspettato ritorno di Rafiq. E disorientata dopo essere stata costretta a passare insieme a lui le ultime ore.

Non c’era niente altro da aggiungere. Perché già una volta lo aveva perso, già una volta era stata costretta a guardarlo

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andare via. E già una volta il suo cuore era andato in pezzi. No, non era innamorata di lui. Non poteva permetterselo. Ma il suo cervello non le fornì alcuna rassicurazione, la sua ragione non

riconobbe l’errore. Solo il battito impazzito del suo cuore le rimbombò nelle orecchie, confermando ciò che aveva temuto per tanti anni, ciò che aveva sperato di cancellare per sempre.

Era ancora innamorata di Rafiq. Il resto del viaggio tra le montagne trascorse come in un sogno fatto di

emozioni confuse e di pensieri ingarbugliati. Nulla sembrava aiutarla, si rese conto Serah, nessun ragionamento, nessuna riflessione. Ma almeno Rafiq le permise di disperarsi in pace. D’altro canto non avrebbe potuto sostenere una conversazione – anche delle più banali – con quel caos in mente.

Arrivarono all’accampamento quasi senza che lei se ne rendesse conto. Fu Rafiq ad aprirle lo sportello, gli occhi blu preoccupati mentre la guardava in

volto. «Cosa ti succede?» le domandò. Serah sbatté le palpebre e respirò a fondo l’aria salmastra. Sganciò la cintura di

sicurezza, pensando che forse dormire per un po’ l’avrebbe aiutata a risolvere i suoi conflitti. Ma prese la mano che lui le tendeva per aiutarla a scendere dal veicolo, e una scossa le risalì lungo il braccio. Sussultò, i loro sguardi si incrociarono, e in quello di Rafiq vide riflesso il suo stesso desiderio.

Si allontanò da lui più velocemente possibile, mettendo distanza fra loro, poi osservò un po’ sorpresa gli autisti che si affaccendavano per scaricare la jeep, aiutati dagli altri servitori che erano rimasti all’accampamento. Il profumo di carne arrostita aleggiava nell’aria.

«Per quanto tempo ci fermeremo?» domandò, girandosi verso la lunga spiaggia bianca e ammirando il cielo stellato.

«Fino a domani mattina. Trascorreremo qui la notte.» Serah si girò di scatto. Non si era resa conto che Rafiq fosse così vicino. Aveva

sperato di rientrare al Palazzo quella sera stessa. Aveva sperato di dormire al sicuro nella sua camera nell’appartamento della regina. Ma un’altra notte con lui, dopo quello che le aveva detto...

L’avrebbe baciata di nuovo? Lì, nell’accampamento? Scosse la testa. Ripensò alla sera precedente, quando Rafiq l’aveva seguita

sulla spiaggia per spiarla, quando poi si era rifiutato di restituirle il vestito. Ricordò come i suoi occhi le avevano accarezzato il corpo, e come di conseguenza il suo corpo era tornato alla vita, i capezzoli inturgiditi, una sconosciuta sensazione di calore che dilagava nel basso ventre. Per nessun motivo avrebbe corso il rischio di ripetere l’esperienza quella notte, decise. Perché adesso non avrebbe avuto la forza per mandarlo via.

Deglutì a disagio. «Pensavo che volessi rientrare a Shafar al più presto possibile» disse.

«Non è sicuro avventurarsi nel deserto di notte con una sola jeep» replicò

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Rafiq, un sopracciglio inarcato. «Qualcuno potrebbe dire che non sarebbe sicuro nemmeno di giorno.»

Serah sentì fiamme salirle al volto. Sicuramente si stava riferendo alla sua bravata del giorno prima, quando aveva tentato la fuga ed era finita nelle sabbie mobili. Così tante cose erano successe da allora. In uno spazio di tempo tanto breve, tutto il suo mondo era stato sconvolto. «Ma non c’è il banchetto questa sera?» domandò. «Non dovremmo affrettarci, in modo che tu possa parteciparvi?»

Rafiq scrollò le spalle. «Anche se ci rimettessimo in viaggio subito, comunque non arriveremmo in tempo» sottolineò. «Inoltre non sarà la prima né l’ultima volta che mancherò a un evento ufficiale. Dopo tutto, io sono semplicemente... Come mi hai definito? Un principe turista?»

Serah sussultò. «Ma mi sbagliavo» ammise. «Ti ho visto con la gente di Marrash. Ho visto come ti relazionavi con loro e come loro pendevano dalle tue labbra. Non avrei mai dovuto dire una cosa simile. Non ne avevo il diritto.»

«Infatti non ne avevi il diritto» ribadì lui, «ma mi hai spinto a riflettere. Ieri sera, sulla spiaggia, per la prima volta ho pensato al tipo di principe che potrei essere. Non ho vissuto in Qusay per molti anni, non so nulla di politica o di come si governa un paese, ma non sarei arrivato sin dove sono arrivato senza credere di poter aver successo in qualsiasi campo. Sarò un buon principe, un principe forte.»

«Di questo ne sono certa.» «E inizierò subito a esercitare il mio potere. Questa sera tu cenerai con me.» La voce di lui era diventata bassa e roca, gli occhi blu erano offuscati dal

desiderio. «È... Saggio?» balbettò Serah.«È quello che io voglio» ripose Rafiq sorridendo. «È quello che ti ordino. Non

hai bisogno di sapere altro.» Serah abbassò gli occhi. «Naturalmente.» «E, Serah?» Rafiq recuperò un pacchetto dal cofano della jeep e tornò da lei,

resa quasi invisibile nella notte dalla veste nera che indossava. «Cos’è?» «Aprilo e lo saprai.» Con mani incerte, Serah sciolse la cordicella che legava la scatola. Trattenne il

fiato quando vide un’esplosione di blu brillare alla luce della torcia. Per un istante pensò che si trattasse di uno scampolo di stoffa, ma poi lo riconobbe. «Il vestito» sussurrò, sfiorando uno degli splendidi abiti che aveva visto sui manichini nel magazzino. Lo sollevò, ammirando lo scintillio delle piccole pietre ricamate sulla seta, ma poi notò un lampo di rosso nella scatola. Guardò meglio, e vide anche qualcosa del colore del sole al tramonto. «Li hai comprati tutti e tre?» domandò incredula.

«Li volevo tutti e tre.» «Sono magnifici» commentò Serah, una ruga che le solcava la fronte. «Ma dei

modelli simili saranno apprezzati in Australia?» Rafiq scosse la testa. «Questi vestiti non sono destinati ai miei negozi.»

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«Sono per la regina, allora?» «Sicuramente le piacerebbero, ma no, non sono per mia madre.» «E allora per chi?» «Per te. Un regalo.» Ancora una volta l’aveva colta di sorpresa, pensò Serah. Ancora una volta

l’aveva gettata nella confusione più assoluta. Gli tese la scatola. «No, non posso accettare un dono così prezioso» affermò.

«Puoi e lo farai» la contraddisse Rafiq. «Per troppo tempo ti sei nascosta sotto il nero del lutto. Ma hai bisogno di colore, l’ho capito quando ti ho visto al collo la collana di smeraldi. È arrivato il momento di rivelare di nuovo la tua gloriosa bellezza.»

Parole che la colpirono. Rafiq aveva capito?, si chiese Serah. Dapprima aveva indossato il nero come si conveniva a una vedova, ma poi le tinte fosche avevano iniziato a rappresentare per lei il buco oscuro in cui era precipitata, un buco troppo profondo per poterne riemergere. «Ma Rafiq...» protestò ancora.

«Prendili. Io te lo ordino.» Serah chinò il capo e annuì. Come poteva opporsi alla volontà di un principe?

Ma colori... Esitante, lasciò scorrere le dita sulla seta scintillante. Per tanto tempo la sua esistenza era stata cupa, i sentimenti offuscati per non percepire il dolore. Adesso invece i suoi sensi sembravano rinati, e con loro il desiderio per tutto quello che aveva perso. Incluso i colori.

«Questa notte indosserai l’abito blu.» Serah lo guardò incerta. Le stelle si riflettevano nei suoi meravigliosi occhi

scuri, notò Rafiq, per donar loro un’espressione quasi rapita. Presto, ne era certo, sarebbe stato lui la causa del suo rapimento.

Più tardi, nella sua tenda, dopo essersi lavata ma ancora accaldata e scossa, Serah sollevò il vestito blu e lo guardò. Cosa avrebbe provato indossando un colore così brillante, si chiese. Era tentata, vero, ma dopo tanti anni trascorsi ammantata completamente di nero, l’idea le sembrava in qualche modo azzardata. E provocante.

Oppure quelle sensazioni erano dovute unicamente al desiderio che aveva scorto negli occhi di Rafiq? Tirò un profondo respiro nel tentativo di calmarsi. Nel suo attuale stato d’animo ragionare non l’avrebbe condotta a nulla, capì, dunque si impose di smettere anche di tentare di farlo. Infilò il vestito e lasciò che la seta resa pesante dai ricami le fasciasse al corpo. Percepì il fruscio della stoffa e avvertì il peso delle piccole pietre mentre l’abito di modellava su di lei come una seconda pelle. Guardò la sua immagine riflessa nel piccolo specchio. Una sconosciuta le restituì lo sguardo, una donna che non vedeva da almeno dieci anni. Forse più matura, ma non così diversa dalla ragazza che un tempo lei era stata.

Restò a osservarsi per qualche minuto prima di rendersi conto che non era solo il colore a renderla diversa. Anche i suoi occhi erano cambiati. Sembravano... Vivi. Risplendevano di eccitazione, come dieci anni prima, quando erano stati illuminati dall’amore e dal desiderio per Rafiq.

Il desiderio era ancora lì.

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Il cuore che le martellava nel petto, sussultò sotto la sferza di quell’inaspettato bisogno, sorpresa dalla sua forza. Era un’emozione che apparteneva all’adolescenza, l’eco del suo primo amore.

Ma non era più un’adolescente. Aveva cercato di negarla perché era impensabile per lei provare una cosa

simile, era impensabile che una donna nella sua posizione avvertisse un richiamo sensuale così potente.

Ma negare era inutile. Desiderava Rafiq. E non importava cosa sarebbe successo dopo, poiché il

destino sembrava determinato a tenerli separati, non importava che lei dieci anni prima avesse sposato un altro uomo, non importava che Rafiq avesse giurato che non l’avrebbe sposata mai nel futuro. Non c’era modo di negare il suo desiderio per lui.

E se il fato aveva deciso di separarli per sempre, almeno per un notte, per quella notte, sarebbero stati amanti.

Si spazzolò i capelli in preda all’anticipazione. Non aveva mai conosciuto il piacere che un uomo poteva dare. Non aveva mai conosciuto la magia di cui le avevano parlato le altre donne. Non aveva mai conosciuto le delizie del sesso.

Rafiq, ne era certa, avrebbe posto rimedio a tutte le sue lacune. Perché mai non avrebbe dovuto approfittarne, perché non avrebbe dovuto usare

quella notte trascorsa all’accampamento per placare la sua voglia di sapere, di scoprire?

Una sola notte con un uomo che non l’avrebbe mai amata, che non l’avrebbe mai sposata. Era sbagliato su tanti livelli. E molto giusto su altri.

Passò le mani sulle pieghe della gonna. Se l’intenzione di Rafiq era quella di baciarla di nuovo, non sarebbe stata lei a opporsi.

Le ore che l’aspettavano erano come un dono degli dei. Era opinione comune che non era possibile tornare indietro, che non esisteva una seconda possibilità, e forse era la verità. Non c’era modo di tornare ai giorni felici, quando lei e Rafiq si erano giurati amore eterno e avevano progettato il loro matrimonio. Quei giorni erano persi per sempre.

Ma una sola notte era pur meglio di niente. Un’occhiata di sfuggita a quello che avrebbero potuto avere. Un amaro promemoria di quello che aveva perso.

Ma anche un prezioso ricordo, un luogo ideale dove rifugiarsi quando Rafiq l’avrebbe lasciata di nuovo. Perché presto sarebbe partito per l’Australia, e l’avrebbe dimenticata di nuovo, e per sempre.

Respirò profondamente ancora una volta, pur sapendo che era inutile, che lo stratagemma non poteva calmare i suoi nervi tesi, poi uscì dalla tenda.

Era tutto a posto. La tavola sulla spiaggia era apparecchiata, la cena pronta per essere servita. Mancava solo Serah.

Poco distante, accanto al fuoco, gli uomini chiacchieravano e fumavano. La serata era perfetta, né calda né fredda, il cielo un mantello stellato.

E poi Serah apparve, e tutto divenne ancora più perfetto.

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Si avvicinava al tavolo lentamente, gli occhi bassi. Timida e innocente come una vergine, pensò Rafiq. Ma Serah non era una vergine, rammentò a se stesso, non indossava l’abito bianco. E nemmeno quello nero, notò soddisfatto. L’abito blu le fasciava il corpo, le piccole gemme scintillavano a ogni suo movimento intercettando i raggi della luna. «Sei bellissima» esordì con tono più roco di quanto avesse voluto.

Serah sollevò lo sguardo e sussultò. «Rafiq!» esclamò sorpresa. Un sorriso gli incurvò le labbra. «Mi sembrava equo» commentò. «La mia

giacca di Armani per il tuo vestito nero.»«Rafiq, sei...» Splendido. Le sembrava impossibile smettere di guardarlo, si

disse Serah, smettere di guardare quell’uomo che indossava le creazioni di famosi sarti e le trasformava in opere di arte, il cui fisico possente e armonioso rendeva perfette le giacche di qualsiasi taglio, che sembrava addirittura una divinità adesso che era avvolto nella tunica tradizionale del Qusay. La stoffa bianca donava alla sua pelle abbronzata riflessi dorati, e faceva risplendere i capelli neri come l’ebano. E gli occhi... Erano come zaffiri illuminati dai raggi della luna. Penetranti. Accattivanti.

In qualche modo appariva più alto, più massiccio. Un principe del deserto, in tutto e per tutto. Con un grande sforzo, riuscì a convincere la sua lingua a collaborare. «... Diverso» infine riuscì a dire. «Come se fossi nato qui.»

Rafiq scoppiò a ridere, una risata ricca e coinvolgente, mentre alzava lo sguardo al cielo. «Mia madre sarebbe felice di sentirti parlare così. Ha insistito affinché indossassi abiti tradizionali dal momento che ho messo piede nel suo appartamento. Ma adesso vieni. Siediti. Mangia. Siamo lontani dal Palazzo, e per questa notte...» Fece un ampio gesto con un braccio. «Questo sarà il nostro Palazzo.»

I servitori si materializzarono dalle ombre, pronti a servire le pietanze e a mescere il vino, a esaudire ogni desiderio del loro signore prima di tornare in disparte, mentre le onde fornivano la musica di sottofondo infrangendosi gentilmente sulla riva.

«Non ti spaventa?» domandò Serah. «Sapere che tuo fratello sarà re? Sapere che sei a un passo dal diventare re tu stesso?»

L’espressione del viso di Rafiq si indurì. «Non succederà nulla a Kareef» affermò. «Presto si sposerà e darà un erede alla corona, e io non sarò più secondo in linea di successione. E poi» aggiunse, accennando un sorriso, «c’è sempre Tahir.»

«Tuo fratello minore? Ma se nessuno sa dov’è» sottolineò Serah. Rafiq scosse la testa, chiedendosi ancora una volta dove poteva essere il suo

vagabondo fratello in quel momento. Ma forse, ragionò, avrebbe avuto notizie di lui quando sarebbe tornato alla reggia. «Sono discorsi senza senso» concluse. «Kareef sarà un ottimo sovrano, e regnerà a lungo.»

Un servitore si avvicinò per chiedere se avessero bisogno di altro. Rafiq lo congedò con un cenno della mano. Apparentemente né lui né Serah avevano appetito. Avevano appena assaggiato le ottime pietanze che riempivano i loro piatti, e sembravano soddisfatti semplicemente guardandosi negli occhi.

Il che era esattamente quello di cui lui aveva bisogno, pensò. Vederla così, la

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sua bellezza esaltata dai colori, era abbastanza per saziarlo. Quasi abbastanza. «Perché lo hai fatto?» le chiese. «Perché ho fatto cosa?» «Perché ti sei data tanto da fare per concludere l’affare con le donne del

Consiglio? Avresti potuto fermarti quando hanno manifestato la loro intenzione di ottenere una nuova offerta dal tizio che si era interessato per primo alla collezione, sapendo che Suleman aveva ventilato una tale ipotesi. Dopo tutto, perché doveva interessarti farmi concludere l’affare? Considerato il modo in cui ti ho coinvolto in questa impresa, trascinandoti nel deserto contro la tua volontà, perché non hai colto l’occasione per sabotarmi?»

Serah si appoggiò allo schienale della sedia, i begli occhi assorti. «Immagino che per te sia difficile crederlo» replicò lei dopo qualche istante, «ma speravo di fare ammenda per tutto il dolore che ti ho causato nel passato, o almeno per parte di quel dolore. Mi dispiace davvero per quello successe, e per come venisti a sapere del mio matrimonio.»

Rafiq sbuffò, condannando se stesso per aver dato avvio a quella conversazione quando tutto quello che voleva era sprofondare nel corpo lussurioso di Serah. E certamente non gli interessava sentire di nuovo le sue inconsistenti scuse. «Non sembravi dispiaciuta a quel tempo» sottolineò. «E non parlavi come se lo fossi stata.»

«Io non... Ovviamente non mi aspetto che tu mi creda.» «E come potrei farlo? Continui a ripetere di non aver avuto altra scelta!» Se Serah avesse distolto lo sguardo, forse avrebbe confermato che aveva

qualcosa da nascondere. Ma lei non girò la testa, e lo guardò dritto negli occhi. «Avevo una scelta» precisò, consapevole che non era quello che Rafiq avrebbe voluto sentire. «Potevo proteggere l’onore di mio padre, oppure lui lo avrebbe rovinato per sempre.»

«Lui lo avrebbe rovinato per sempre? Ma di chi stai parlando?» «E tu che cosa ne pensi? Che non era lì, che non abbia assistito al mio

matrimonio tutto soddisfatto perché alla fine le cose erano andate anche meglio di come aveva sperato?»

«Di chi stai parlando?» chiese di nuovo Rafiq confuso. «Di tuo padre. Tuo padre mi minacciò, mi disse che un legame fra te e me era

impossibile. Disse che aveva dei progetti del tutto diversi per suo figlio, progetti che non mi includevano, e che tutta la mia famiglia avrebbe pagato un caro prezzo a meno che non avessi acconsentito a diventare la moglie Hussein. Capisci adesso quale era la mia scelta? E capisci che non avrei mai sposato Hussein se non fossi stata costretta?»

Rafiq tacque interdetto, troppo assorto ad assorbire la notizia. Suo padre lo aveva tradito. Suo padre lo aveva separato dalla donna che aveva amato con tutto il cuore. Il suo stesso padre.

Già il giorno prima Serah aveva tentato di spiegargli, ricordò, quando aveva

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detto che non aveva potuto permettere che l’onta si abbattesse sulla sua famiglia così come si era abbattuta sulla famiglia di Jasmine, ma lui non le aveva dato ascolto.

Però aveva vissuto in Australia per tanti anni. Aveva dimenticato com’era la vita in Qusay, e quali erano le aspettative che un padre riponeva nei figli. Suo padre aveva tentato di controllare lui e i suoi fratelli sin dal giorno della loro nascita, aveva preso ogni decisione al loro posto, e si era infuriato quando Kareef era stato trovato nel deserto con Jasmine.

Naturalmente avrebbe voluto scegliere personalmente le sue nuore. Il suo desiderio era stato quello di gestire la vita dei figli. Aveva ottenuto come unico risultato quello di allontanarli per sempre.

Ora tutto assumeva un senso diverso, capì. Anche il fatto che la madre avesse preso Serah sotto la sua protezione. Si sentiva responsabile. Senza dubbio aveva cercato di rimediare agli errori del passato.

E mentre cercava di venire a patti con gli errori che anche lui aveva commesso, le parole di Serah gli risuonarono in mente, la verità a esse sottesa che lo travolgeva con la forza della marea. «Tu non volevi sposarlo» mormorò. «Tu non eri innamorata di Hussein.»

Questa volta Serah chinò il capo, come se non avesse la forza di parlare di suo marito guardandolo negli occhi. «Io non lo ho mai amato!» esclamò.

C’era una nota gelida nella sua voce, che non capì ma che non si sforzò di analizzare. «Ma lo dichiarasti davanti a tutti» ragionò Rafiq. «Dicesti che io per te non contavo nulla...»

«Erano solo bugie» ammise lei, nascondendosi il viso fra le mani. Rafiq si passò una mano fra i capelli. Voleva crederle, desiderava farlo, ma non

era ancora abbastanza. «Non si trattò solo delle tue affermazioni» riprese. «Durante il ricevimento vidi Hussein metterti una mano sul seno, e in conseguenza ti vidi toccarlo come mai avevi toccato me!» ruggì. «Avrei voluto prenderlo a pugni, ma Kareef riuscì a farmi ragionare, e mi esortò ad andare via finché ero in tempo per farlo.»

«Ma se fossi rimasto, avresti assistito a un’altra scena, io che correvo in bagno nauseata perché stavo per vomitare» sussurrò Serah. «Hussein voleva che tu guardassi. Godeva della tua gelosia. Mi disse che se tu avessi continuato a venirmi dietro, ti avrebbe dato una lezione. Non potevo permettere che accadesse, dovevo trovare il modo per convincerti che fra noi era finita. Lasciarmi toccare da lui in pubblico servì allo scopo.»

Con movimenti meccanici, Rafiq si alzò e andò a inginocchiarsi accanto a lei. Le prese i polsi costringendola ad abbassare le mani. «Lo hai fatto per proteggermi?»

Serah annuì. «Avevo paura di quello che sarebbe successo in caso contrario. Hussein mi terrorizzava» mormorò, il viso bianco, le labbra che tremavano.

«Va tutto bene.» Rafiq si rimise in piedi e la prese per le spalle per aiutarla a fare altrettanto. «Va tutto bene» ripeté.

Ma lei scosse la testa. «No, non è vero. Tu dovevi restare nel deserto per un

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anno, e io pensavo che mi avresti dimenticato. Ma quando ti presentasti inaspettato alla cerimonia, capii che dovevo fare qualcosa per farmi odiare da te. Così mentii. Mi comportai come se fossi stata innamorata di Hussein, ma non era vero. Devi credermi. Non l’ho mai amato, lo giuro.»

«Perché amavi me» mormorò Rafiq. «Mi hai sempre amato.» Piano Serah annuì, lacrime che le rigavano il volto. Rafiq avrebbe voluto urlare, far sapere al mondo intero che Serah era sempre

stata sua. E quella notte avrebbe preso finalmente ciò che era suo per diritto. Ciò che gli era stato tolto con l’inganno tanti anni prima.

10Le sfiorò le labbra con due dita, poi le prese il mento per indurla ad alzare il

viso. Era spaventata, aveva gli occhi pieni di trepidazione e il respiro affannoso. Se Serah aveva paura, la colpa in parte era anche sua, ragionò Rafiq, perché

ogni volta che lei aveva tentato di spiegarsi, di fargli capire il suo punto di vista, aveva rifiutato con determinazione di darle ascolto. Solo per colpa sua era fuggita nel deserto. Erano state le sue parole a esporla a un pericolo mortale.

«Mi dispiace» le disse, e subito la paura negli occhi di Serah si trasformò in confusione. «Ieri non ti ho voluto ascoltare, e solo per le sgradevoli accuse che ti ho lanciato tu hai tentato la fuga. Sono stato io a metterti in pericolo. Potrai perdonarmi?»

Serah sbatté le palpebre, le gote all’improvviso soffuse di rossore. Schiuse le labbra come per parlare, poi cambiò idea, quasi fosse alla ricerca delle parole più adatte. «Forse» replicò infine con cautela. «Se tu... Credi che esista una possibilità... Che tu abbia voglia di baciarmi ancora?»

Un sorriso illuminò il viso di Rafiq mentre la prendeva tra le braccia, arrendendosi finalmente a quella forza che lo aveva attratto verso di lei sin da quando l’aveva rivista nell’appartamento di sua madre. «Lo sai che ti desidero» sussurrò.

Questa volta un’emozione del tutto diversa dalla paura illuminò gli occhi di Serah. «Sì, lo so.»

«E tu desideri me.»

Una pausa, un’ulteriore esitazione. «È... vero.» «Sai, la prossima volta che ti bacerò, non mi fermerò.» Serah annuì. «Sì, lo so, ma ho paura. Ho paura di non poterlo fare.» Rafiq la strinse al petto e la baciò senza darle il tempo di aggiungere altro. E

questa volta non fu un bacio astioso, non uno di sollievo, ma un atto di deliziosa anticipazione che parlava di un incontenibile desiderio reciproco, un viaggio indietro nel tempo, sino al periodo della loro adolescenza fatto di sogni e di tante speranze. Il dolce sapore di lei gli pervase i sensi impedendogli di pensare con chiarezza ad altro se non al momento in cui l’avrebbe posseduta.

Esercitando un enorme sforzo di volontà, le mise le mani sulle spalle e l’allontanò da sé. «Andiamo» la esortò. «Questa notte non avrai paura.»

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Serah esitò avvertendo i primi sintomi del panico che stava per dilagare dentro di lei. «Rafiq, c’è qualcosa che devo...»

Ma a lui non interessavano le parole. Non più. Non ora che sapeva che potevano essere distorte e corrotte per ottenere un effetto devastante sulle persone innocenti. «Zitta» la esortò mentre con un gomito sollevava il drappo che fungeva da porta per la sua tenda. «Basta parlare.»

Così Serah non aggiunse altro. Solo piccoli gemiti le risuonarono in gola quando lui riprese a baciarla. Rafiq aveva ragione, si disse in un breve istante di lucidità in quel turbine di emozioni. Perché rovinare quei momenti perfetti, quella notte perfetta? Forse, solo forse, lui non lo avrebbe mai scoperto.

Intanto Rafiq l’aveva sollevata fra le braccia per adagiarla sul grande letto coperto di seta e broccato. Una lampada posta sul comodino gettava luce soffusa nell’ambiente. Sembrava ancora più massiccio disteso sopra di lei, pensò Serah, più imponente e, se possibile, ancora più bello. Trattenne il fiato guardando affascinata l’espressione del suo viso. Un’espressione di desiderio.

Desiderio per lei.

Era quasi incredibile che dopo tutto quello che era successo fra loro, dopo tutti quegli anni di separazione fatti di dolore e di rimpianto, il momento fatidico fosse finalmente arrivato. Non avrebbero avuto più di una notte, fra loro non poteva durare. Tuttavia in quel preciso istante le sembrava di avere tutto, di essere la donna più fortunata del mondo.

«Bella» sussurrò Rafiq. Il tempo aveva perso ogni significato. Era trascorso un solo minuto, oppure

un’intera ora da quando erano entrati nella tenda? Serah non avrebbe saputo dirlo, ma sapeva però di essere in procinto di vivere un evento che era stato inevitabile sin da quando loro due si erano conosciuti tanti anni prima.

Io lo amo, disse a se stessa, e capì di non avere più paura, o vergogna. Perché era con Rafiq, ed era giusto così.

Rafiq sorrise, poi alzò le braccia per sfilarsi la tunica bianca. Serah smise di respirare. Smise di ragionare. Rafiq era magnifico. Anni prima aveva cavalcato con lui, e nuotato con lui. Ricordava perfettamente

il suo fisico forte ma snello, il fisico acerbo di un adolescente. Ma adesso... Adesso era un uomo nella piena maturità. La pelle era ancora levigata come la

rammentava, ma tesa su muscoli più possenti, le spalle erano più ampie, il petto più largo, lo stomaco piatto solcato da una sottile striscia di peluria scura che terminava nell’elastico del boxer.

Un boxer che non riusciva a camuffare la prova evidente della sua eccitazione. Rabbrividì, insicura, aggredita di nuovo dalla paura al pensiero di averlo dentro

di sé. Lo voleva, certo che lo voleva, ma non era più sicura di essere in grado di superare quella prova. «Rafiq» disse, la voce non più di un sussurro. «Ho paura.»

Il sorriso di Rafiq era quello compiacente di un uomo abituato a ricevere complimenti. «Non c’è alcun bisogno di aver paura» replicò. Si inginocchiò sul letto

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e le sfilò i sandali prima di lasciar scorrere le dita sulla caviglia, e più su, lungo il polpaccio e la coscia, per fermarsi infine sul fianco tondo. «Immagino che sia passato del tempo» disse con l’intenzione di rassicurarla. «Ma è come andare in bicicletta. Non si dimentica mai.»

Posto che tu abbia imparato a farlo... Doveva dirgli subito la verità?, si chiese Serah. Ma poi quelle lunghe dita appoggiate sul suo fianco, il pollice pericolosamente vicino al centro stesso della sua femminilità, e tutte quelle sensazioni che Rafiq faceva nascere in lei, la spinsero a credere che forse sarebbe stata in grado di fingere.

Inoltre, non si era masi sentita così speciale come si sentiva in quel momento mentre le mani di Rafiq vagabondavano sul suo corpo per fermarsi infine sui seni dolenti. Sopraffatta all’improvviso da una sconosciuta ondata di piacere, inarcò la schiena e non riuscì a trattenere un gemito.

«Visto?» commentò Rafiq. «Come andare in bicicletta» aggiunse, prima di chinarsi su di lei, pronto a baciarla di nuovo.

Il sapore delle sue labbra, i nasi che si sfioravano, la barba di lui che le graffiava il viso... Come era possibile che cose così semplici fossero fonte di un piacere tanto intenso? Persino il calore che si sprigionava dal corpo di lui sembrava penetrarle sotto la pelle per arrivare fino al cuore.

Lui le baciò la bocca e poi la gola, trasformandola in un groviglio di sensazioni. Poi repentinamente Rafiq chinò il capo e le prese fra le labbra un capezzolo inturgidito. Qualcosa di molto simile a una scarica elettrica le attraversò il corpo.

Per tutti quegli anni aveva ignorato tutto, i desideri, le esigenze. E specialmente i ricordi di un ragazzo dai capelli scuri che era riuscito a farla sentire una donna bella, affascinante. Una donna che lui aveva promesso di rispettare fino alla prima notte di quelle nozze che non erano mai state celebrate.

Anche a quel tempo gli era bastato toccarla per mandarla in fiamme, gli era bastato sfiorarle un braccio per farla rabbrividire di piacere. Anche allora, quando era stata così giovane, aveva capito cosa era in grado di farle quell’uomo molto speciale.

E adesso quell’uomo speciale era lì con lei. Mentalmente si scrollò di dosso la sua inesperienza mentre Rafiq annullava

ogni sua vergogna, le labbra sul suo seno, sul suo ventre, per poi tornare a impossessarsi di uno dei capezzoli. Sussultando, senza fiato, infine l’istinto la spinse ad accarezzarlo, ad appoggiare le mani sui forti muscoli della schiena, e sui fianchi, infine lasciandole scorrere sull’ampio torace.

Lo sentì trattenere il respiro, e provò qualcosa di molto simile all’orgoglio nel rendersi conto che era stata lei a strappargli quella reazione. Oh, ma il corpo di Rafiq era così perfetto, pensò mentre continuava la sua esplorazione. E poi pensò a tutti gli anni sprecati trascorsi lontana da lui, anni in cui aveva conosciuto soltanto umiliazione. Soltanto vergogna. E anche a quei minuti che aveva sciupato esitando, troppo intimorita e incerta, prima di toccarlo.

Anni sprecati. Minuti sprecati.

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Non avrebbe più perso tempo, Serah promise a se stessa. A partire da adesso. Animata da un nuovo coraggio, abbassò le mani verso l’elastico dei boxer di

Rafiq e vi insinuò le dita dentro, procedendo poi verso quella che era la meta del suo impacciato viaggio.

Lui le afferrò il polso. «Non così velocemente» la ammonì. Serah socchiuse gli occhi, domandandosi se per caso avesse fatto qualcosa di

sbagliato, se inconsapevolmente avesse svelato la sua incapacità. La risposta alla sua muta domanda non si fece attendere. «Se continui a

toccarmi così» spiegò lui, «sarò davvero costretto a toglierti questo bel vestito.» Ma a contraddire le sue stesse parole, Rafiq si inginocchiò e, a partire dalle

caviglie, lentamente, sensualmente, fece scivolare la seta lucente verso l’alto, rivelando le gambe perfette e tornite. Continuò la sua opera, esponendola, tuttavia i suoi occhi non abbandonarono mai i suoi. E quando le accarezzò la pelle sensibile dell’interno coscia strappandole un altro gemito, sorrise con aria soddisfatta.

Rafiq voleva solo darle il massimo del piacere. Voleva farla sentire bene. Non c’era nulla di cui preoccuparsi, rassicurò se stessa. Poteva affidarsi a lui senza timori.

Anticipando la sua richiesta, sollevò i fianchi in modo da permettergli di far scivolare il vestito oltre la vita.

Rafiq si chinò e le baciò l’ombelico. «Dobbiamo davvero sbarazzarci di questo» decise poi e, prendendola fra le braccia, la sollevò e le sfilò il vestito al di sopra della testa.

Serah sentì il rumore prodotto dalle piccole pietre intessute sulla seta mentre il vestito cadeva per terra, e per il più breve degli istanti provò dispiacere per la sorte destinata a quel capolavoro di sartoria. Ma solo per il più breve degli istanti, perché lo sguardo di Rafiq fisso su di lei aveva il potere di cancellare ogni pensiero dalla sua mente.

«Ieri notte, quando ti ho vista emergere dal mare, ho pensato che tu fossi bella» mormorò lui. «Ma questa sera sei la perfezione.»

Serah temette che il cuore stesse per scoppiarle dalla gioia. Era vicina alle lacrime, lacrime di euforia e non di tristezza. Perché Rafiq era una divinità, e definiva lei perfetta! Silenziosamente ringraziò il destino che aveva voluto concederle quei momenti di magia, quella notte che avrebbe ricordato per sempre.

Rafiq la spinse gentilmente sul materasso e si distese su di lei, labbra contro labbra, pelle nuda contro pelle nuda, tranne che per la biancheria intima che ancora entrambi indossavano. Quella biancheria che Rafiq si accinse a toglierle. Le fece scivolare le spalline del reggiseno lungo le braccia e poi – con un gesto sicuro ed esperto sul quale lei preferì non interrogarsi – sganciò la chiusura. Un attimo dopo l’indumento raggiunse il vestito per terra.

La lampada gettava ombre strane nella tenda, ombre strane che sembravano rappresentare i pensieri strani che le ronzavano in mente. Pensieri folli, capì Serah. Un tempo Rafiq l’aveva amata. Era possibile che imparasse ad amarla di nuovo?

Poi le labbra di lui si richiusero su un suo capezzolo, provocando un’onda di

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piacere che fece vibrare ogni fibra del suo essere, che la indusse a smettere di ragionare.

Lo amava. Lo desiderava. E Rafiq era lì con lei in quel momento. Questo doveva bastarle.

La bocca di lui continuò a tormentarle i sensi. Serah chiuse gli occhi sopraffatta da quel piacere intenso e sconosciuto, e a malapena si rese conto di non indossare più gli slip, e che lui non indossava più i boxer.

Le mano di Rafiq corse verso il basso, verso il centro stesso della sua femminilità, indugiando, provocando. «Rafiq!» esclamò lei lasciandosi andare sui guanciali, ma perché avesse urlato, o cosa gli stesse chiedendo, non avrebbe saputo dirlo, ma sapeva che quelle carezze così intime erano una tortura, innescavano in lei una sorta di doloroso piacere che doveva trovare sollievo.

«Lo so» mormorò Rafiq. Le baciò la pelle morbida della gola. «Lo provo anche io.» Tornò a distendersi su di lei. «Anche io non posso più aspettare.»

La fitta di paura che Serah provò al pensiero di quello che stava per accadere fu mitigata dai baci di lui, dalla consapevolezza del desiderio di Rafiq e da quella del suo stesso desiderio. Voleva sentirlo dentro di sé. Lo voleva più di ogni altra cosa al mondo, e il suo corpo era pronto per riceverlo. Adesso.

«Guardami» lo sentì dire. «Voglio vedere i tuoi occhi nel momento del piacere» aggiunse.

Muscoli che non aveva mai saputo di possedere erano contratti da spasmi. Stava bruciando per il desiderio, si rese conto Serah, avvertiva il peso del corpo di lui sul suo, e la prova evidente della sua eccitazione che premeva per farsi strada dentro di lei. Lo guardò. I loro occhi si incatenarono. Rafiq iniziò a muoversi. Serah sentì la forza di lui, la sua imponenza, e per un attimo temette che infine fisicamente non sarebbe stata in grado di accoglierlo in sé. Evidentemente Rafiq colse nel suo sguardo un lampo di panico, perché si fermò e la baciò. La baciò piano, dolcemente, teneramente fin quando avvertì la tensione abbandonarla.

In quel momento Serah lo amò. Lo amò con il cuore e con la mente, con tutta la sua anima. Lo amò per averle concesso tutto il tempo necessario, per non averle dato fretta. Lo amò per il giovane che era stato, e per lo splendido uomo che era diventato.

Lo amò mentre con un solo, deciso colpo Rafiq entrava in lei, strappandole un grido.

Non era possibile. Già dentro di lei, Rafiq si immobilizzò. No, non era possibile. Ma poi Serah aprì gli occhi, lacrime che le rigavano le gote, e l’espressione del

suo volto gli disse che invece era vero. «Per favore» lo supplicò lei, «non fermarti. Io ti voglio.» Era vergine, pensò Rafiq sconvolto. O meglio, lo era stata fino a pochi secondi

prima. «Per favore» ripeté lei, ruotando le anche in un gesto più convincente di

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qualsiasi parola. Centinaia di domande si affollarono nella sua testa, e centinaia di risposte le

elusero. Al momento però non c’era tempo per le spiegazioni, decise Rafiq. Perché quel momento che gli era stato sottratto tanti anni prima, adesso era suo, e anche se non capiva, era felice per quello. Riprese a muoversi, e lei gridò di nuovo, ma questa volta di gioia, i capelli neri sparsi sul cuscino. Considerando la sua inesperienza, forse avrebbe dovuto procedere con cautela, con gentilezza, ma qualcosa gli diceva che non era cautela o gentilezza che Serah voleva. Qualsiasi fosse stato il problema nel suo matrimonio, non voleva commiserazione. Voleva lui, lo voleva completamente, e lo avrebbe avuto.

«Guardami» le ordinò prima di affondare in lei e di capire che solo in un attimo di follia aveva potuto pensare di concedersi del tempo. Perché ogni volta che si ritraeva aumentava il controllo che doveva esercitare su se stesso. Perché lei si era adeguata perfettamente al suo ritmo, e lo stava facendo impazzire allacciandogli le lunghe gambe intorno alla vita, e ruotando i fianchi tondi e perfetti, chiedendogli di più, sempre di più. E quando l’orgasmo la scosse, la soddisfazione che provò fu così intensa che non gli restò altra possibilità se non seguirla oltre il limite.

«Ti ho fatto male?» «Solo per un secondo» ammise Serah. Erano sul letto, nudi, abbracciati, ancora

ansimanti. «Ma non importa. È stato bellissimo.» «Sì» confermò Rafiq. Le baciò i capelli, inalò il loro profumo di fiori selvatici

per qualche istante prima di porle la domanda che maggiormente esigeva una risposta. «Perché non me lo hai detto?»

11Serah si irrigidì fra le sue braccia. Così Rafiq aveva capito. In effetti lo aveva

sospettato quando lui si era fermato, ma per fortuna non si era allontanato, non aveva espresso la sua meraviglia, non aveva chiesto spiegazioni. Invece l’aveva condotta in un luogo incantato dove lei non era mai stata, un luogo fatto di magia e di sensazioni fino ad allora sconosciute.

Sicuramente però era curioso e adesso non ci sarebbe stato modo per eludere le sue domande.

«Dieci anni di matrimonio e ancora vergine» mormorò. «Sicuramente non è qualcosa che vorresti confidare a qualcuno» continuò. «Non è qualcosa di cui andare orgogliosi» aggiunse, ma poi la voce le venne meno. Chiuse gli occhi come per fermare le lacrime e i ricordi, ma le immagini restarono vivide e crudeli. L’umiliazione non accennò a scemare.

«Serah?» Rafiq le mise un dito sotto al mento per indurla ad alzare il viso. «Guardami» la esortò. «Sei stata sprecata con lui» affermò quando lei aprì gli occhi. «Mi capisci? Solo un folle potrebbe non desiderare una donna come te. E Hussein era un folle.»

Serah scosse piano la testa. Rafiq non poteva capire. Hussein aveva desiderato

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fare sesso con lei, lo aveva desiderato disperatamente, ma non ne era stato capace. L’aveva costretta a esibirsi davanti a lui come una spogliarellista ma neanche quello stratagemma aveva funzionato. Niente aveva funzionato.

«Diceva che non ero bella abbastanza, che non ero eccitante» sussurrò. «Diceva che era soltanto colpa mia se noi non avremmo mai avuto dei figli, perché ero così poco desiderabile che non solo lui, ma nessun uomo mi avrebbe mai messo incinta.»

Il sangue gli ribollì nelle vene, al punto che dovette respirare a fondo un paio di volte prima di parlare. «Hussein... ti ha detto una cosa simile?» sbottò Rafiq. «E tu gli hai creduto? Come hai potuto farlo?»

Serah scrollò le spalle. Non era solo Hussein il responsabile della sua vergogna, ma non c’era motivo di rivelare anche quello, pensò.

Rafiq aveva scoperto che lei era stata vergine dopo dieci anni di matrimonio, e ovviamente era stata costretta a dargli una spiegazione al riguardo. Ma non gli avrebbe detto altro. Non gli avrebbe confessato altre umilianti verità. «Per quale altra ragione non sarebbe riuscito a fare l’amore con sua moglie? Con sua moglie! Per dieci anni. Perché avrebbe dovuto fare quelle affermazioni se non fossero state vere?»

«Perché ti stava usando come scusa per la sua inadeguatezza, ecco perché!» sbottò Rafiq. «Giuro che se Hussein non fosse già morto, lo ucciderei con le mie mani.»

«Non devi dire una cosa simile» lo ammonì Serah. «Perché no? Non si tratterebbe di un omicidio, perché lui non era un uomo. A

stento potrei definirlo uno scarafaggio. Allora per quale motivo lo difendi visto che ti ha propinato solo menzogne, che ti ha fatto il lavaggio del cervello per farti credere che eri tu il problema?»

«Tu non c’eri. Non puoi sapere...» «Io so questo» la interruppe lui. «So che non hai alcun difetto. Sei la donna più

affascinante che io abbia mai incontrato, e so che il desiderio per te mi ha consumato sin da quanto ti ho rivisto nell’appartamento di mia madre, esattamente come mi consumava dieci anni fa.» Si chinò su di lei per baciarle una gota, le sistemò i capelli dietro un orecchio e lasciò scivolare la mano lungo il collo, fino a raggiungere un seno. La sentì tremare, e percepì il capezzolo inturgidirsi. «Perché è così difficile per te credere a quello che ti sto dicendo?» continuò. «Sei bella, bellissima. Non ti rendi conto dell’effetto che hai su di me?»

Serah avvertì una pressione al basso ventre e abbassò lo sguardo sulla prova evidente di ciò che aveva appena affermato. Un brivido di anticipazione le increspò la pelle. «Vuoi farlo di nuovo?»

«Sì, di nuovo. E poi ancora, e ancora, e ancora...» Parole che la sconvolsero, la eccitarono e la confusero allo stesso tempo. «Ma

io pensavo che tu...» balbettò Serah. «Pensavo che per te fosse solo una vendetta. Eri convinto che ti avessi tradito. Eri così in collera con me, hai detto che mi odiavi.»

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Rafiq la strinse fra le braccia e la indusse ad appoggiare la testa sulla sua spalla. «Lo so, hai ragione» ammise. «Dal principio infatti era vendetta. Volevo pareggiare i conti. Provavo odio nei tuoi confronti. Ho avuto a disposizione più di dieci anni per nutrire questo sentimento e rivederti così inaspettatamente mi ha inasprito ancora di più. Così ti ho costretta a venire con me a Marrash perché mi sembrava la punizione perfetta. Volevo che tu soffrissi stando con me perché credevo che tu detestassi la mia compagnia. Ma non avevo previsto che sarei stato io a soffrire, e solo perché ti desideravo troppo.»

Serah sgranò gli occhi. Le stava dicendo la verità? era possibile? «Davvero mi desideri?»

«Non te lo ho appena dimostrato?» Rafiq affondò una mano nella pesante coltre dei capelli di lei e l’attrasse a sé. «Infatti, come sai, ti desidero adesso. Sempre se tu sei pronta.»

«Se mi sento pronta?» «Potresti essere un po’ dolorante» ipotizzò Rafiq. Alcune parti di lei lo erano. Deliziosamente doloranti. Ma era decisamente

pronta. «Fai l’amore con me» disse Serah. Fai l’amore con me e cancella i ricordi di Hussein e dei suoi compari, di quegli uomini che mi guardavano come se io fossi stata spazzatura. «Portami di nuovo in paradiso.»

E in paradiso andò per tre volte prima di crollare addormentata fra le sue braccia. Raggomitolata come un gattino accanto a lui, sospirò e si mosse nel sonno.

Ma, cosa insolita dopo una notte di sesso, Rafiq non riuscì a chiudere occhio. Rimase al buio, ascoltando il calmo respiro di lei, chiedendosi cosa rendeva tutto differente.

La desiderava ancora, questo era diverso. In genere congedava una donna velocemente come l’aveva scelta, il suo interesse per lei svanito nello stesso istante in cui l’aveva avuta. Ma Serah? Quante volte avrebbe dovuto fare l’amore con lei prima di averne abbastanza?

L’indomani sarebbero rientrati al Palazzo, lui per fare quello che lo aveva portato in Qusay, cioè per sostenere moralmente suo fratello prima dell’incoronazione. Serah invece avrebbe ripreso a lavorare per sua madre.

Serah, che non aveva mai fatto sesso con un uomo prima di lui. Un vento gentile e caldo si levò dal deserto che smosse la tenda sibilando

piano. Serah continuò a dormire nonostante i suoni della notte, e lui continuò a cercare di riordinare i pensieri che si accavallavano nella sua testa in modo così caotico impedendogli di riposare.

Dopo l’incoronazione niente lo avrebbe trattenuto in Qusay. Sarebbe stato libero di tornare in Australia.

Perché all’improvviso quella prospettiva lo raggelava? Ma gli bastò guardare la donna raggomitolata contro la sua spalla per capirlo.

In fin dei conti, giustizia sarebbe stata fatta se, adesso che l’aveva finalmente avuta, l’avesse lasciata su due piedi. Poteva andare via, abbandonarla esattamente come Serah aveva abbandonato lui dieci anni prima. E nessuno lo avrebbe biasimato.

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Però non voleva farlo. Qualsiasi cosa fosse quella ossessione che l’aveva colto sin da quando l’aveva rivista, quell’irrefrenabile desiderio di possederla, non voleva che finisse. Non ancora. Forse doveva parlarne con Kareef. Doveva pur esserci qualcosa che lui potesse fare in Qusay, una cosa qualsiasi che gli fornisse la scusa per restare. Dopo tutto, i suoi affari procedevano a gonfie vele. Non c’era alcun bisogno che lui si affrettasse per tornare in Australia.

Un rumore prodotto dal vento risuonò all’esterno, e la donna fra le sue braccia sussultò e aprì gli occhi, battendo le palpebre alle prime luci dell’alba. Sorrise e si stiracchiò, inarcando la schiena per spingersi verso di lui.

«Buongiorno.» Rafiq si chinò per baciarle la fronte. «Come ti senti?»«Benissimo» replicò Serah, appoggiandogli una mano sullo stomaco. «E tu

come ti senti?» chiese a sua volta, poi il suo sguardo incrociò la risposta fisica alla sua domanda. «Oh» mormorò.

Ma non ritrasse la mano. Anzi, per la prima volta azzardò una carezza più ardita. «Pensi che...?»

«Penso cosa?» mormorò Rafiq, esattamente un secondo prima di dimenticare come pensare.

«Pensi che sarebbe bello se iniziassimo con me sopra?» domandò lei, il viso in fiamme.

«Io penso che sarebbe perfetto.» Serah non perse tempo. Prese posizione su di lui e si abbassò senza alcuna

esitazione, strappandogli un gemito di piacere. Rafiq chiuse gli occhi, e usò quello che gli restava della sua lucidità per

raggiungere una decisione, finché era in tempo. Avrebbe parlato con Kareef. Avrebbe trovato una scusa. Sicuramente non avrebbe lasciato il Qusay e Serah tanto presto.

Il viaggio di ritorno verso Shafar procedette senza eventi di particolare importanza, volendo omettere gli sguardi carichi di significato che Rafiq e Serah si scambiavano di continuo, e le mille scuse che trovavano per sfiorarsi, come controllare se la cintura di sicurezza fosse allacciata bene, o scostare una ciocca di capelli che era ricaduta sul viso. Lei indossava il vestito dorato, e le donava ancora di più di quello che aveva sfoggiato la sera prima. Che aveva sfoggiato per pochissimo tempo prima che lui la spogliasse, si corresse. Se giocava bene le sue carte, pensò Rafiq, quella notte sarebbe riuscito in qualche modo a fare uscire Serah dagli appartamenti di sua madre e la tunica color del sole avrebbe subito lo stesso destino di quella blu.

Non vedeva l’ora. In breve abbandonarono il sentiero che attraversava il deserto e imboccarono

l’autostrada. Avrebbe preferito trascorrere un’altra notte all’accampamento, pensò Rafiq,

ma la cerimonia per l’incoronazione di Kareef era prevista per l’indomani. Mancare a un banchetto ufficiale era una cosa, ma non assistere all’ascesa al trono del proprio fratello sarebbe stato imperdonabile. Anche se, pur essendo felice per Kareef, non si

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sentiva davvero parte dell’evento. L’unica persona che gli interessava al momento era seduta accanto a lui nella jeep, ed era anche la persona che lo aveva così poco cerimoniosamente definito un principe turista.

Allora poteva anche continuare a fare il turista, ragionò. Sua madre sarebbe stata felice se lui fosse rimasto in Qusay un po’ più a lungo del previsto, e sicuramente non avrebbe disapprovato la sua relazione con Serah, dal momento che praticamente era stata lei a costringerli a stare insieme. Inoltre, se Tahir si fosse preso il disturbo di fare la sua comparsa, sarebbe stata un’occasione per trascorrere del tempo con i suoi due fratelli.

Ma, non appena giunto al Palazzo, capì che avrebbe dovuto aspettare prima di parlare della sua idea a Kareef.

Akmal li accolse nel cortile, comunicando loro che Tahir non era ancora arrivato, e che Kareef si era recato in Qais per assistere alla Qais Cup, la gara ippica famosa in tutto il mondo. Sapere che poi, dopo la competizione, suo fratello avrebbe presenziato al matrimonio di Jasmine, la sua ex amante, lo sorprese non poco, mentre Serah sembrò assolutamente poco stupita dalla notizia.

«Pensavo che Jasmine fosse una tua amica» ragionò mentre recuperavano i loro effetti personali dalla jeep.

«Lo è.» «Allora perché non vai al suo matrimonio?» «Forse perché non sono entusiasta all’idea di vedere un’amica costretta a

sposare un uomo che non ama.» Rafiq le sfiorò la mano che lei aveva allungato per prendere la borsa. «Come è

successo a te, giusto?» domandò. Serah non alzò lo sguardo. «Io ho amato e amerò per sempre un solo uomo»

rispose, e senza lasciargli il tempo per replicare, sottrasse la mano alla sua e si avviò verso l’ingresso del Palazzo.

«È andato tutto bene a Marrash, Altezza?» si informò Akmal che si era materializzato improvvisamente alle sue spalle.

Rafiq stava ancora guardando la porta che Serah aveva appena varcato. «Molto bene, grazie» rispose. Da tutti i punti di vista, aggiunse mentalmente. Tranne... «Anche se abbiamo perso uno dei fuoristrada.»

«Problemi con il motore?» si informò il visir con tono scettico. «Non esattamente. L’ultima volta che l’ho visto, stava sprofondando nelle

sabbie mobili.» «Sabbie mobili!» Akmal sgranò gli occhi. «Parlerò con gli autisti. Le porgo le

mie scuse, è inconcepibile che incidenti del genere accadano.» Rafiq gli appoggiò una mano sulla spalla. «Non erano loro alla guida» spiegò.

«È stata solo colpa mia. Ma nessuno si è fatto male, per fortuna.» Il visir chinò il capo. «Sono lieto di saperlo.» «Oh, Akmal?» lo chiamò Rafiq. «Ho bisogno che tu organizzi per me una

cosa. Prima però, sai se mia madre è al Palazzo?» L’anziano uomo annuì. «Bene, allora falle sapere che andrò da lei appena finirò di parlare con te» concluse,

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appoggiando la tracolla del suo borsone su una spalla. Un’ora dopo, la regina lo accolse con un sorriso e un caloroso abbraccio.

«Figlio mio, sei a casa finalmente» esordì. «Come sono andate le cose a Marrash? Devi raccontarmi tutto.»

Per niente al mondo! Senza dubbio sua madre aveva già estorto a Serah quante più informazioni possibili, e ora voleva torchiare lui per vedere se i racconti coincidevano. «Non ci sono stati problemi» dunque replicò evasivo. L’ultima cosa che voleva era che sua madre sapesse che lui aveva dormito con Serah, diverse volte. E che aveva intenzione di farlo ancora, diverse volte.

«Hai ottenuto il contratto?» «Sì, abbiamo concluso l’affare.» La regina batté le mani. «Davvero? Che bella notizia! Dobbiamo festeggiare»

decise. L’onnipresente bricco di caffè apparve come per magia, e mentre sua madre

era impegnata a riempire le tazze, lui era impegnato a guardare le porte. Quale era quella che dava accesso alla stanza di Serah?, si chiese. E, soprattutto, dov’era Serah?

Stava per bere il primo sorso della bevanda fumante quando rammentò la lampada. «Ti ho portato un regalo da Marrash» disse, porgendole il pacchetto. «In realtà, è un regalo da parte di Abizah, un’anziana donna del villaggio.»

«Un regalo? Per me? Grazie» commentò la regina, felice come una bambina. «E grazie anche ad Abizah. È molto bella» aggiunse poi, sollevando la piccola lampada. «Perfetta. Grazie ancora.»

«L’ha scelta Serah. Ha detto che ti sarebbe piaciuta. A proposito, dov’è?» La regina appoggiò la lampada sul tavolo e prese la sua tazza. «Ho pensato che

saresti stato maggiormente a tuo agio senza di lei» spiegò. «Gli ultimi due giorni devono essere stati difficili per voi due.»

«Un pensiero gentile da parte tua» ribadì Rafiq dopo aver bevuto un sorso di caffè. «Ma non necessario. Serah ed io siamo riusciti a trovare una sorta di accordo. In realtà, è stata lei a condurre le trattative.»

«Davvero? Non ti avevo forse detto che avresti avuto bisogno di una guida?» «Sì, e avevi ragione. Non sarei riuscito a ottenere l’esclusiva sulla collezione

senza di lei. È stata Serah l’artefice di tutto.» «Eppure lei non mi ha raccontato nulla» sottolineò la regina, appoggiandosi

allo schienale della sua sedia. «Come c’è riuscita, esattamente?» «Le donne hanno preteso di condurre la negoziazione con un’altra donna.» «Naturalmente.» Rihana scrollò le spalle. «Ma cosa ha fatto per chiudere

l’affare? Altre persone erano interessate all’acquisto delle sete. Mi sorprende che le donne di Marrash abbiano deciso così velocemente di cedere l’esclusiva a te.»

Rafiq esitò, interrogandosi su quanti dettagli poteva confidarle, ma il contratto era stato firmato, e i termini dell’accordo presto sarebbero stati resi noti, e allora sua madre si sarebbe chiesta perché lui non gliene aveva parlato dal principio. In fin dei conti, non aveva nulla da nascondere, giusto? «Serah ha fatto leva sulla delusione

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delle donne, perché speravano che la seta che ti avevano mandato in dono fosse usata per l’incoronazione. Allora lei ha promesso che, quando mi sposerò, mia moglie indosserà un abito fatto con la loro stoffa più bella, in modo che tutto il mondo potrà ammirarla.»

L’espressione sorpresa che si dipinse sul volto di Rihana gli fece capire che Serah aveva omesso di accennare a quel piccolo dettaglio. Per proteggerlo dalla fantasia a volte troppo fervida di sua madre? O per proteggere se stessa?

«Ma tu non ti sposerai mai» ragionò la regina. «O almeno, questo è quello che continui a ripetermi. Forse hai cambiato idea?»

Vero, lo aveva detto, e vero, non aveva cambiato idea, anche se in quel preciso momento la sua certezza al riguardo non era più così incrollabile. «Chiederò ai miei avvocati di esaminare il contratto, magari troveranno qualcosa da offrire alle donne di altrettanto allettante. È troppo tardi per l’incoronazione, ma sicuramente Kareef si sposerà presto...»

Mentre pronunciava quelle parole un’immagine si dipinse nella sua mente, una donna dai capelli neri avvolta in una tunica color dell’oro, e si chiese stupito il perché di quella visione, dal momento che sicuramente quella particolare donna non avrebbe sposato Kareef.

Quasi non sentì il cigolio della porta che si apriva, e l’esclamazione di sua madre penetrò solo superficialmente nei suoi pensieri, ma poi la vide saltare giù dalla sua sedia in un atteggiamento assolutamente poco regale. Si girò per scoprire quale fosse il problema e nel suo campo visivo entrò Serah, in piedi alle loro spalle, gli occhi sgranati, il viso pallido come un lenzuolo.

12Senza indugiare un solo secondo, Rafiq balzò in piedi e corse a prenderla fra le

braccia. «Serah, che succede?» chiese concitato. Negli occhi di Rihana apparve la stessa domanda, oltre a una buona dose di

curiosità. Ma a lui non poteva importare di meno. La sola cosa che gli interessava era scoprire perché Serah stava così evidentemente soffrendo. «Dimmi tutto» la esortò. «Lascia che ti aiuti.»

«Non puoi» gemette Serah, scuotendo la testa. «Nessuno può aiutarmi. Lei mi odia. Mi odierà per sempre.»

La regina trattenne il fiato. «Cerak ha avuto l’ardire di presentarsi qui, al Palazzo?» domandò poi concitata.

«Afferma di essere stata invitata» replicò Serah, aggrappandosi a Rafiq. «Chi è questa donna, e cosa ti ha fatto?» intervenne Rafiq, irritato perché non

capiva e si sentiva escluso dalla conversazione. «Cosa ti ha detto?» «Ha detto che ho avvelenato suo figlio» mormorò Serah chiudendo gli occhi.

«Che sono stata io la causa della sua morte, io che sono una donna corrotta che è stata letale per la sua anima.» Un tremito la scosse e lacrime cominciarono copiose a rigarle il volto.

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La madre di Hussein, capì Rafiq. Si girò verso la sua, impaziente di rintracciare quella megera e di rivelarle un paio di verità sul suo prezioso figlio. «Dove posso trovarla?» tuonò.

«No, Rafiq» replicò Rihana alzando una mano. «Incaricherò Akmal di metterla subito alla porta. Tu devi restare qui, con Serah.»

«D’accordo, ma fai in modo che Akmal le porti il mio messaggio» affermò Rafiq. «Nella storia dei tempi, c’è stata una unica vergine madre, e se quella strega avesse avuto il coraggio di affrontare la realtà, avrebbe capito che l’unico essere velenoso era quello che lei stessa aveva partorito.»

La regina non batté ciglio. Annuì e uscì silenziosamente dalla stanza. «Tu glielo hai detto» affermò Serah più tardi, dopo che Rafiq l’aveva portata

nella sua stanza, e adagiata sul grande letto, dopo che con mille baci aveva cancellato il suo dolore, e dopo aver fatto dolcemente l’amore con lei. «Con quel messaggio per Cerak, praticamente tu hai detto a tua madre di noi.»

Rafiq scrollò le spalle e le lasciò scorrere un dito lungo il braccio nudo. «Lo avrebbe comunque scoperto. Si stava già interrogando al proposito quando ti ho preso fra le braccia e tu non ti sei opposta.»

«Sì, naturalmente.» Incapace di resistere alla tentazione dei capezzoli di lei ancora inturgiditi,

Rafiq abbassò la testa per prenderne uno fra le labbra. «Inoltre» riprese dopo qualche istante, «anche se quell’abbraccio non fosse stato un indizio sufficiente, mia madre non ci avrebbe messo molto a fare due più due scoprendo la mia decisione di rimanere qui qualche giorno in più del previsto, giorni che ho tutta l’intenzione di trascorrere insieme a te.»

Una pausa. «Resterai più a lungo?» «Ci stavo pensando» replicò Rafiq, felice di aver percepito una nota di gioia

nella voce di lei. Chinò di nuovo il capo per dedicare la sua attenzione al secondo capezzolo. «Ma ho cambiato idea» affermò poi.

«Oh.» Rafiq insinuò prima una gamba e poi l’altra fra quelle di Serah, premendole i

fianchi sul morbido ventre, e fece scivolare una mano in basso, verso il centro stesso delle sua femminilità. «Ho avuto un’idea migliore.»

Le labbra tornarono a impadronirsi di un capezzolo, stuzzicandolo, provocandolo, mentre con le dita continuava a operare la sua magia. Adesso il respiro di Serah si era fatto affannoso e si era aggrappata alle sue spalle, affondandogli le unghie nella pelle.

Ma evidentemente una parte del suo cervello era ancora lucida, perché chiese: «Di che tipo?»

Rafiq fu costretto a concentrarsi sui propri pensieri, anche se parlare non era in quel momento fra le sue priorità. Serah era pronta per accoglierlo, e lui era impaziente di possederla ancora. Si allontanò da lei l’attimo necessario per indossare una protezione, e tornò a prendere il suo posto. «Voglio che tu venga a Sydney con

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me» disse, guardandola dritto negli occhi. Occhi che si illuminarono di una luce sorpresa. Piacevolmente sorpresa? Ma a

quel punto la sua abilità di conversare era completamente annullata, si rese conto Rafiq. Tirò un profondo respiro ed entrò in lei, ritraendosi poi per un secondo, ma solo per tornare a spingere con più forza, quasi con rudezza.

In qualche modo Serah tentò di concentrarsi sulle parole che lui le aveva appena detto, ma poi Rafiq la baciò sulla bocca e aumentò il ritmo delle sue spinte, impedendole di pensare, trascinandola con sé nel vortice della passione.

«Vieni con me» ripeté lui dopo qualche minuto, ancora ansimante. «Io non posso» mormorò Serah, confusa, incerta su cosa Rafiq le stava

veramente chiedendo. «Tua madre...» «Ormai non puoi restare al Palazzo» la interruppe lui. «Prima o poi tutti

sapranno la verità, cioè che sei stata a letto con me. In Australia non importerebbe a nessuno, ma qui in Qusay...»

Serah si coprì gli occhi con una mano. Non era necessario che Rafiq aggiungesse altro. Aveva ragione, ovviamente. Lì avrebbe pagato per il suo comportamento sconsiderato diventando oggetto di spietati pettegolezzi e di occhiate sdegnose. In particolare, la madre di Hussein avrebbe provveduto affinché lei fosse pubblicamente umiliata, anche solo per vendicarsi di essere stata cacciata dalla reggia. Ma l’Australia?

«Inoltre» riprese lui appoggiandosi su un gomito, «non c’è niente per te in Qusay. Niente se non i fantasmi del tuo passato. E ti piacerà l’Australia, ti piacerà molto. Ci sono deserti e il cielo sembra infinito, come qui, ma non mancano le cime innevate, le isole tropicali, le foreste pluviali, e modernissime città costruite lungo la costa.»

Effettivamente aveva voglia di vedere tutto quello, specialmente al fianco di Rafiq, ragionò Serah, ma ancora non capiva e aveva paura di leggere troppo nella sua proposta. Sicuramente non significava quello che il suo cuore invece sperava. Era impossibile, considerando che quello era l’uomo che non si era fatto scrupoli nel dichiararle un odio profondo. Forse però non la odiava più così tanto, o almeno non lo faceva quando erano a letto insieme. «Stai parlando di una vacanza?» domandò esitante.

«Vieni a vivere con me. La mia casa a Sydney è a picco sul mare. Quando c’è tempesta, è un vero spettacolo. Uno spettacolo simile a quello che mi offri tu quando raggiungi l’orgasmo fra le mie braccia.»

«Ma... Io non comprendo quello che stai dicendo» balbettò lei. «Pensavo... Hai detto che non mi avresti mai sposata. E adesso mi chiedi di vivere con te?»

Rafiq si passò una mano fra i capelli in un gesto nervoso. «Come potevo anche solo pensare al matrimonio dopo quello che era successo fra noi?» replicò. La guardò, l’antica sofferenza che gli velava gli occhi, ma poi tese una mano per prendere la sua. «Però io non sapevo. Ero convinto che tu mi avessi preferito un uomo ricco, e uno stile di vita fastoso. Mi sbagliavo, ora lo so, ma a quel tempo non sono stato in grado di vedere oltre il mio dolore. Adesso capisco perché ti

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comportasti in quel modo con me. Io ti voglio, Serah, e se quello che accade fra noi quando siamo a letto insieme mi ha fatto capire qualcosa, è che l’attrazione che ci lega non svanirà tanto presto. Qualche notte in più qui non mi basterà. Ti voglio a casa mia.»

Parole che le riecheggiarono in testa assordanti. Aveva paura anche solo a immaginare, si rese conto Serah. Paura anche di respirare.

«E poi» andò avanti Rafiq scrollando le spalle, «non vedo la differenza fra il vivere insieme e sposarci. Forse dovremmo sposarci, così che potrai finalmente avere quei sei figli che sognavi da ragazza.»

«Ma di cosa stai parlando? Hai detto che non mi avresti mai sposata. Mai!» «Questo è successo prima» sottolineò lui. «Prima che sapessi la verità. Mio

padre ti ha trattato in modo ignobile, tutti ti hanno trattato in modo ignobile, anche io ho sbagliato nel giudicarti. Allora perché non mi sposi e mi permetti così di porre rimedio agli errori del passato?»

Era qualcosa di troppo importante, di troppo improvviso. Un mulinello di possibilità le vorticò nella mente. Sposare Rafiq. Diventare la madre dei suoi figli. Il cuore prese a martellarle nel petto mentre tutti i suoi sogni assumevano piano la qualità della realtà. Ma lui si rendeva conto davvero di cosa le stava proponendo?, si chiese Serah. Di quale inestimabile dono le stava offrendo?

Era possibile che l’amore che un tempo aveva provato per lei fosse tornato in superficie, che avesse resistito ad anni di odio?

Era una follia anche solo immaginarlo. Era una follia pensare che avessero una nuova opportunità per stare insieme, per cancellare il loro tormentato passato e cominciare tutto daccapo. Ma se Rafiq l’amava... Forse esisteva una possibilità di successo. Però lui non aveva parlato di amore, giusto? Nella sua esposizione dei fatti, non aveva fatto alcun accenno ai sentimenti.

«Non funziona così» replicò. «Non puoi sposarmi solo perché stiamo bene a letto insieme. Potresti cambiare idea fra una settimana, o un mese. Potresti stancarti di me, e ritrovarti legato a me per sempre. Non ha senso.»

Effettivamente non ne aveva neanche per lui, ammise Rafiq a se stesso, l’unica cosa di cui era sicuro era che non aveva alcuna intenzione di perdere Serah di nuovo adesso che l’aveva ritrovata. E per scongiurare quel pericolo, la sola strada da seguire era il matrimonio. Dunque l’avrebbe sposata, e con gioia. Ora doveva trovare solo il modo per persuaderla ad acconsentire al suo piano. «Ma non capisci?» riprese. «C’è una logica. Le donne di Marrash hanno chiesto un matrimonio reale, e noi glielo daremo. Non dovrò preoccuparmi di rivedere i termini del contratto. È la cosa migliore da fare.»

Il contratto. La debole speranza che si era fatta strada nel suo cuore evaporò come neve al sole. Rafiq era essenzialmente uno scaltro uomo di affari. Naturalmente era preoccupato per il suo contratto, si rese conto Serah. Naturalmente non era innamorato di lei. Poteva prendere moglie oppure affrontare una nuova trattativa, con il rischio di perdere l’esclusiva sulla produzione di seta. Sposando lei avrebbe risolto

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il problema ancor prima che si presentasse. «Allora, cosa ne pensi? Non è perfetto?» Perfetto? Niente affatto. «Non stai per caso dando troppo per scontato?»

domandò lei, perché doveva dire e fare qualcosa per non lasciarsi coinvolgere in quel progetto per dei motivi del tutto sbagliati. «Sembra che tu ritenga che io sarei felice di sposarti.»

Una ruga solcò la fronte di Rafiq. «Perché, per te sarebbe un sacrificio così grande?» replicò, lasciandole scorrere una mano su un fianco. «Sarebbe un sacrificio farmi godere ogni notte?»

«Ma un matrimonio non può essere basato solo sul sesso.» Gli occhi di Rafiq assunsero un’espressione glaciale, come se fosse infastidito

da quelle resistenze al suo piano perfetto. «Chi è stato a indurre le donne di Marrash a credere che io mi sarei sposato? E chi è stato a far credere loro che avrei sposato te?» borbottò.

Serah distolse lo sguardo. «Io non ho detto...» «Ma è come se lo avessi fatto» la interruppe Rafiq, «perché è quello che adesso

si aspettano. Sposami, Serah. Me lo devi. È il meno che tu possa fare. Rispondi di sì, prima che io ti ordini di farlo.»

Era serio, terribilmente serio, capì Serah. L’idea di vivere semplicemente insieme era stata cancellata. Ora Rafiq pretendeva un matrimonio come se stesse pretendendo il saldo di un debito. Però forse la situazione non era così tragica. D’accordo, Rafiq non l’amava, ma la desiderava. E lei sarebbe stata in grado di essere sua moglie, di dargli dei figli, di restargli accanto per sempre anche con quella consapevolezza?

Le bastò guardare il bel viso dell’uomo che si era insediato permanentemente nel suo cuore e nella sua anima per capire la risposta.

«Non è necessario che tu mi costringa. Lo farò, ti sposerò.» Il giorno dell’incoronazione, Rafiq si svegliò all’alba e restò a lungo a

osservare i brillanti raggi del sole che, filtrando fra le persiane, accarezzavano la pelle di Serah, donandole riflessi dorati. La guardò dormire, i lungi capelli neri sparsi sul guanciale, la bocca schiusa in un muto invito.

Si sarebbe mai stancato di ammirarla? O di fare l’amore con lei? Mai, se i crampi di desiderio che gli aggredivano il basso ventre in quel momento potevano essere di una qualche indicazione. Mai, se lei avesse continuato a replicare con tanto entusiasmo alle sue attenzioni.

Era sempre più certo della decisione che aveva preso. Il matrimonio avrebbe risolto tutto. Serah sarebbe stata al sicuro, lontana da quel posto, avrebbe avuto la possibilità di dimenticare il passato e di costruirsi un futuro.

Ma più di tutto, sarebbe stata sua. Incapace di resistere, si chinò per baciarle le labbra. Serah si mosse e mormorò

qualcosa nel sonno. La baciò ancora, ma poi si ritrasse, perché proprio non aveva tempo per il sesso quella mattina.

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«Farò colazione con Kareef, e resterò con lui fino all’inizio della cerimonia. Dirò ad Akmal di assegnarti un posto accanto al mio, e ti raggiungerò appena mi sarà possibile» disse quando Serah aprì gli occhi.

«Ma non era previsto che io assistessi all’incoronazione» obbiettò lei. Rafiq appoggiò la schiena alla spalliera del letto. «Invece verrai. Perché non

dovresti?» Serah scosse la testa e tirò il lenzuolo fin sotto il mento, quasi fosse una sorta

di scudo. «Non è necessario. Oppure potrei sedermi in ultima fila. Tu devi stare con la tua famiglia. Io non...»

«Cosa ti succede?» la interruppe lui, prendendole una mano. «Non è necessario che io venga» ripeté lei. «Cerak non ci sarà, se è questo quello che temi» la rassicurò Rafiq. «È stata

bandita dal Palazzo. Non potrà più farti del male.» Ma il panico non svanì dagli occhi di lei. «Verrò con te in Australia, giusto?

Sono disposta a partire anche oggi stesso. Oh, Rafiq!» mormorò, aggrappandosi alle sue spalle. «Non possiamo partire oggi? Subito dopo la cerimonia. Il tuo jet è qui, sarebbe così semplice.»

La sua pazienza stava per esaurirsi. La notte precedente era stato quasi costretto a ordinarle di sposarlo, e adesso Serah voleva andar via ancor prima che l’evento che lo aveva portato in Qusay fosse concluso? «Ti stai comportando in modo ridicolo» la rimproverò Rafiq. «Non mi sembra che tu non abbia un vestito adatto da indossare.» Si alzò e di avviò verso il bagno. Avevano già perso troppo tempo in discussioni inutili, tempo che avrebbero potuto sfruttare decisamente meglio. «Oggi mio fratello diventerà re, e tu presto diventerai mia moglie. Non devi restare nell’ombra poiché ormai sei parte della famiglia, e io mi aspetto che sarai al mio fianco. Intesi?»

L’eco di quella conversazione continuò a turbarlo, anche mentre faceva colazione con Kareef, nonostante il suo dovere in quel momento fosse concentrarsi sulle esigenze del fratello. Ma anche Kareef aveva un’aria assente, ed era del tutto disinteressato a ottenere maggiori informazioni riguardo l’acquisizione della seta.

Se gli avesse parlato della sua decisione di sposare Serah, allora sì che avrebbe ottenuto la sua attenzione, ragionò, ma il protagonista di quella giornata doveva essere Kareef, e per nulla al mondo lo avrebbe distratto con il suo racconto. Gli avrebbe comunicato la notizia più tardi. Eppure suo fratello non sembrava particolarmente entusiasta al pensiero di salire al trono, notò. Forse la presenza di Tahir lo avrebbe aiutato a rilassarsi. Ma il loro fratello minore era assolutamente inaffidabile, ed esistevano concrete possibilità che infine non sarebbe arrivato affatto.

La brezza che soffiava dal mare li accompagnò mentre, fianco a fianco, attraversavano il cortile. Le urla della folla assiepata fuori dai cancelli della reggia si confondevano con i suoi pensieri. Aveva deciso di indossare la tunica, una concessione onestamente non troppo gravosa alla tradizione, pensò Rafiq.

Si guardò intorno. Chissà se avrebbe trovato Serah ad attenderlo all’interno

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delle antiche mura, dove si sarebbe tenuta la cerimonia. Oppure aveva preferito nascondersi nell’ombra, come quella mattina aveva minacciato di fare?

Ancora non capiva il perché del suo comportamento. Cerak era stata allontanata. Allora, qual era il suo problema?

Dopo aver indossato il vestito blu, Serah aveva lanciato un’occhiata al velo nero, e desiderato avvolgersi in esso, nascondersi così agli occhi del mondo. Magari nessuno l’avrebbe riconosciuta, ma Rafiq sarebbe andato su tutte le furie, e già una volta in quella giornata lo aveva fatto irritare.

Ma anche in quel momento, mentre occupava il posto che Akmal le aveva assegnato, seduta fra le centinaia di ospiti illustri e famosi che erano arrivati in Qusay da ogni parte del mondo, si sentì estremamente a disagio, così vicina alla prima fila, e così acutamente consapevole delle decine di paia di occhi puntate sulle sua schiena. Tenne lo sguardo fisso davanti a sé, e accennò un sorriso solo quando la regina entrò nel suo campo visivo. Era impaziente che Rafiq la raggiungesse, così almeno avrebbe potuto darle la forza di cui aveva bisogno. L’aveva difesa contro Cerak, rammentò, aveva fatto in modo che nulla potesse ferirla ancora. Rafiq riusciva a farla sentire al sicuro.

Respirò a fondo nel tentativo di controllare il battito impazzito del suo cuore. Presto Rafiq l’avrebbe portata lontana da lì, lontana dal Qusay e da tutte le ombre del suo passato. Fosse stato per lei, sarebbe partita in quel preciso istante.

Lo squillo delle trombe risuonò nell’aria e tutti gli ospiti tacquero, voltandosi verso il corteo reale che si stava formando sul retro del piazzale. Serah sospirò per il sollievo. Certamente Rafiq era fra loro, e presto sarebbe stato al suo fianco. In qualche modo, riuscì a resistere alla tentazione di girarsi per guardarlo, e aspettò finché il corteo giungesse quasi sul palco per azzardare un’occhiata.

Fu allora che lo vide, l’ambasciatore del Karakhistar, la fascia rossa che spiccava sulla giacca bianca che conteneva a fatica il suo ventre sporgente. La stava fissando, un’espressione sdegnata sul viso.

Il panico dilagò in lei. Ricordò quella terribile sera, quando Hussein le aveva ordinato di sedersi accanto all’ambasciatore, il seno traboccante dalla profonda scollatura del top che aveva preteso lei indossasse. Rivide quell’orrendo, grasso uomo mentre la toccava, convinto che lei fosse il suo divertimento per quella serata, e Hussein metterlo senza tante cerimonie alla porta, ma solo per costringerla a guardare mentre cercava, senza riuscirci, di raggiungere lo stesso grado di eccitazione del suo ospite, e inveire poi contro di lei, accusandola di non sapere neanche come stimolare il proprio marito.

Chinò la testa, premette una mano sulla bocca, la fronte madida di sudore. E all’improvviso Rafiq si materializzò al suo fianco, circondandole le spalle con un braccio in un gesto protettivo.

«Cosa succede?» le chiese con un sussurro, mentre Akmal dava inizio alla cerimonia recitando le parole del rito tradizionale.

«Portami via. Portami via subito dal Qusay.» «Lo farò» la rassicurò lui, negli occhi una muta domanda alla quale non poteva

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rispondere, capì Serah, non osava rispondere, perché esisteva sempre la possibilità che Rafiq cambiasse idea e la lasciasse lì.

Un mormorio si levò dagli invitati, esclamazioni sorprese che sottolineavano che la cerimonia non stava procedendo come previsto.

«Ma cosa...?» borbottò Rafiq, inducendo lei ad alzare la testa.

Per un istante, la sua mente rifiutò di credere a ciò che i suoi occhi le dicevano. Jasmine? Fra le braccia di Kareef? Che si baciavano?

«Cosa sta succedendo?» domandò Serah. Ma Rafiq non ebbe il tempo per rispondere, perché la voce del visir risuonò

chiara e forte nell’aria. «Kareef Al’Ramiz ha rinunciato al trono. Lunga vita al re Rafiq!»

13«Che diavolo sta succedendo qui?» Rafiq stava camminando avanti e indietro

nella stanza, agitato come una belva in gabbia. «Akmal, cerca di farmi capire. Un minuto prima mio fratello sta per essere incoronato re, e quello seguente rinuncia al trono! Non può farlo. Non può assolutamente farlo!»

«Sì, Akmal» riecheggiò la regina, seduta con Serah su un divano. «Cosa significa tutto questo?»

«Il principe Kareef può rinunciare alla corona» precisò Akmal, l’unico che aveva riguadagnato un minimo di controllo dopo il pandemonio scoppiato negli ultimi minuti, «e apparentemente lo ha fatto decidendo di sposare Jasmine Kouri, una donna che non potrà mai dargli un figlio.»

Rafiq scosse la testa. «Ma io sono un uomo di affari» ragionò. «Partirò per l’Australia domani mattina. Non posso diventare il re del Qusay.»

«Lei è il secondogenito. Il primogenito ha abdicato, il che significa ovviamente che lei prenderà il suo posto» precisò Akmal.

«Non ha senso» insistette Rafiq. «Non so nulla degli affari del Qusay, non vivo più qui da dieci anni... Qualcuno mi ha persino definito una principe turista!» esclamò guardando Serah la quale, invece di sorridergli come aveva sperato, sprofondò ancora di più nel divano.

«Dove lei abiti o cosa abbia fatto in questi ultimi dieci anni non ha nessuna importanza» sentenziò Akmal. «È una questione di sangue. Il principe Kareef si è fatto da parte, e adesso tocca a lei salire al trono.»

Rafiq continuò a scuotere la testa, ma onestamente sapeva di non avere scelta. Tutti i suoi progetti di visite sporadiche durante le quali avrebbe recitato la parte del principe in modo rilassato, tanto ci sarebbe stato Kareef sul trono, il quale avrebbe provveduto anche a dare un erede alla corona, erano andati in fumo. Ma allo stesso tempo, come poteva biasimare suo fratello per la sua scelta, come poteva condannarlo quando lui stesso sapeva cosa si provava nel ritrovare dopo tanti anni la donna amata da sempre?

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La donna amata... Un brivido gli corse lungo la schiena mentre finalmente capiva la verità. Era innamorato di Serah. E l’avrebbe sposata. La guardò, raggomitolata sul

divano, desiderò poterla prendere fra le braccia e confortarla. Era ancora così turbata, e avrebbe tanto voluto sapere perché.

«Capisco» affermò, voltandosi verso il visir. «Abbiamo un Palazzo pieno di ospiti di riguardo che abbiamo già fatto aspettare abbastanza. Quanto tempo ci vorrà prima di procedere all’incoronazione? Perché è chiaro che ho moltissime cose da sistemare prima della cerimonia.»

Akmal annuì. «Non più di un paio di giorni» replicò. «Sono certo che per gli ospiti non sarà un problema trattenersi fino ad allora.»

«Bene. E quando darai l’annuncio, non dimenticare di precisare che si tratterà di un doppio festeggiamento, perché nello stesso giorno salirò al trono e sposerò Serah.»

Un urlo di angoscia risuonò nella stanza. Serah scattò in piedi e corse verso la porta, l’aprì e sparì ancor prima che qualcuno fra i presenti avesse la possibilità di dire o fare qualcosa.

«Serah!» esclamò Rafiq. Si affacciò nel corridoio, ma di lei non c’era traccia. Confuso, rientrò nella stanza chiedendosi in quale esatto momento di quella incredibile giornata avesse iniziato a perdere il controllo sugli eventi, quando tutto quello che aveva di prezioso in qualche modo era sfuggito alla sua presa.

«Andrò a cercarla io» disse la regina toccandogli un braccio. «Tu devi parlare con Akmal.»

Rafiq annuì, certo che sua madre avrebbe trovato le parole adatte per dissolvere ogni paura e ogni dubbio di Serah. Perché, se lui poteva essere re, sicuramente Serah poteva essere regina, giusto? Essendo stata la moglie di un ambasciatore per tanti anni, la prospettiva di gestire eventi sociali e presenziare a manifestazioni ufficiali non doveva spaventarla più di tanto. «Akmal» disse, decidendo di pensare a faccende pratiche e cercando di dimenticare l’urlo di angoscia di Serah, «sei riuscito a fare quello che ti ho chiesto?»

L’anziano uomo annuì. «L’intervento è previsto per domani.» Rafiq sospirò per il sollievo. Almeno qualcosa nel suo mondo stava

continuando a funzionare. Sua madre gli disse dove avrebbe trovato Serah, cioè sulla spiaggia privata

collegata al giardino della reggia da una serie di gradini scavati nella pietra. «Vuole parlarti lì» spiegò Rihana, «lontano da orecchie indiscrete. Ti spiegherà tutto.»

Cosa doveva spiegargli non riusciva a immaginarlo, pensò Rafiq mentre si avviava verso il luogo dell’appuntamento. Magari il motivo dell’assurdo atteggiamento che aveva tenuto per tutta la giornata? La scorse in piedi sulla battigia, il vento che soffiava dal mare che le spettinava i lunghi capelli e le faceva aderire al corpo la tunica, evidenziandone il seno pieno e le curve perfette.

Quella spiaggia era stata teatro di tanti eventi, pensò mentre camminava sulla sabbia. Perché lì la regina Inas aveva trovato Zafir, il principe di Calista, privo di

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sensi sulla riva. La mente offuscata dal dolore, aveva deciso di sostituirlo al suo bambino morto, Xavian, destinandolo a diventare re del Qusay pur senza averne diritto. Quella bugia avrebbe influenzato profondamente gli anni che sarebbero seguiti. E adesso quegli eventi del passato avevano preso una piega ancora più drammatica e l’inimmaginabile si era verificato. Adesso lui era in procinto di salire al trono piuttosto che Kareef.

E la donna che voleva al suo fianco, che voleva come sua regina, in quel momento era accanto al mare, l’aspetto perso e solitario.

Serah si voltò verso di lui, e ancora una volta fu colpito dal suo estremo pallore, e dalla paura che si rispecchiava nei suoi occhi. «Ma cosa succede?» chiese concitato. Le prese una mano fra le sue. «Devi dirmelo.»

«Non sarà possibile.» «Questo cosa significa?» incalzò Rafiq. «Hai mai pensato che noi non eravamo destinati a stare insieme? Che il fato ha

cospirato contro di noi sin dal primo istante?» Parole che non avevano un maggiore senso di tutto quello che era accaduto

durante la giornata. «Ma noi siamo stati insieme» precisò Rafiq. «Per queste ultime notti. E siamo stati bene.»

Un sorriso le incurvò le labbra, un sorriso amaro che non le raggiunse gli occhi. «Anche questo è un crudele scherzo del destino. Ci ha concesso ora magiche prima di sferrare il colpo finale.»

«Ma di cosa stai parlando?» Rafiq le afferrò le spalle e la costrinse a guardarlo in volto. «Fato? Destino? Adesso siamo insieme. Tu sei vedova, io sono libero di sposare chi voglio, e voglio te, Serah. Voglio che tu diventi mia moglie. La mia regina.»

«Ma io non posso sposarti.» «Non puoi?» replicò lui. «O non vuoi?» «Non posso! E tu non puoi sposare me, né adesso né mai.» «Io non capisco. Ieri notte hai detto di sì. Cosa è cambiato in così poche ore?» «Ieri notte non sapevamo che saresti diventato re.» «Tutto questo è ridicolo!» sbottò Rafiq. «Come credi che mi senta al pensiero

di salire al trono? Impreparato, intimorito. Non credi che sarebbe necessario per me avere al fianco qualcuno che ha più esperienza? Sei stata la moglie di un ambasciatore per dieci anni, sicuramente hai una maggiore consapevolezza di me dei giochi politici, e di quello di cui questo paese ha bisogno.»

«No. Non potrei aiutarti. Non se noi ci sposassimo.» Quella giornata che era iniziata tanto male stava velocemente peggiorando. Ma

cosa voleva Serah, si chiese Rafiq. Un tempo l’aveva giudicata alla stregua di una cacciatrice di dote, aveva creduto che avesse sposato Hussein per il suo denaro. Poi aveva scoperto che era stata costretta a quelle nozze, e che non aveva conosciuto le gioie del sesso per tutta la durata del matrimonio. Sicuramente il miraggio di una vita lussuosa e opulenta non faceva presa su di lei, perché in quel momento stava

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rifiutando di diventare regina del Qusay. «Puoi spiegarmi perché?» Serah scosse la testa. «Mi dispiace. Mi dispiace tanto» mormorò. Rafiq si allontanò di scatto, si passò una mano fra i capelli, desiderando di

poter dare un significato a tutto quello che stava succedendo. Ma cosa altro poteva volere Serah da lui? Non le aveva già offerto tutto?

No, non lo aveva fatto, capì. Non le aveva offerto ancora tutto perché, fino a poche ore prima, non si era reso conto di amarla. E forse non era troppo tardi per dirle anche quello. «Ma tu devi sposarmi» riprese. «Perché io non potrei mai sposare un’altra donna. Io ti amo.»

Il bel viso di lei divenne ancora più pallido. Con un grido di angoscia, Serah cadde in ginocchio sulla sabbia.

«Serah!» Era così ingiusto, pensò lei nascondendosi il viso tra le mani. Rafiq le aveva

parlato di contratti e di responsabilità, di buon senso e di cose opportune da fare. Non aveva accennato ai sentimenti quando le aveva chiesto di sposarlo. E lei aveva acconsentito, perché lo desiderava più di ogni altra cosa, e le sarebbe bastato vivergli accanto pur sapendo di non avere il suo amore.

E adesso invece scopriva che Rafiq l’amava, lo scopriva proprio quando stava per perderlo di nuovo. Un nodo le serrò la gola, impedendo all’aria di arrivare ai polmoni. «Tu non puoi amarmi» mormorò. «Non devi.»

«Ma perché? Anche tu mi ami, io ne sono sicuro.» L’idea della fuga allora prese forma nella sua mente. «Qui ti sbagli» Serah

mentì. Si alzò e spazzò via la sabbia dal vestito. «È stato bello fare sesso con un vero uomo, ed è stato un sollievo liberarmi finalmente dalla mia verginità, ma sono francamente sorpresa che una persona di mondo come te possa confondere un’avventura con l’amore. Perché io non ti amo, anche se non ho dubbi che ci sarebbero decine di donne pronte a dichiarare il contrario solo per poter diventare tua moglie.»

«Tu stai mentendo!» urlò Rafiq. «Ammettilo. Io te lo ordino.» Da qualche parte, fra la vergogna, la disperazione e il dolore, Serah trovò la

forza per ridere. «Stai già assumendo l’atteggiamento di un re, questo è certo» commentò con sarcasmo.

«Ammettilo!» «Ti ho già detto tutto quello che dovevi sapere. Io non ti amo, Rafiq.» «Allora perché solo ieri hai acconsentito a sposarmi?» Serah scrollò le spalle, il cuore in pezzi mentre costringeva il suo viso ad

assumere un’espressione indifferente. «Andare in Australia mi sembrava un progetto divertente. Ma adesso tu sei costretto a restare qui, giusto? Sarei folle se mi legassi a te, e tu saresti un folle legandoti a me, considerando il fatto che io non ti amo.»

Il battito impazzito del suo cuore gli rimbombò nelle orecchie. La vista si oscurò. Stava succedendo ancora, capì Rafiq. In quel momento era di nuovo un ragazzo con la testa piena di sogni, innamorato di una giovane donna che rappresentava l’ideale della perfezione. Un ideale che era andato in pezzi quando lei

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aveva dichiarato senza tanti preamboli di non aver mai provato nulla per lui.

La storia si ripeteva. Il suo mondo era stato distrutto ancora una volta con crudeltà, cattiveria.

Da una donna che non meritava il suo amore. C’era un motivo per imparare dai propri errori, pensò Rafiq mentre camminava

in fretta verso i gradini di pietra che lo avrebbero riportato al Palazzo. La certezza di non commettere di nuovo gli stessi sbagli. E lui era sempre stato fiero della sua capacità di imparare dagli errori commessi.

Tuttavia si era appena smentito, e in modo spettacolare, supplicando Serah di sposarlo, la stessa donna che aveva rifiutato in pubblico lui e il suo amore dieci anni prima.

Come aveva potuto essere così stupido? Così cieco? Ma anche quando giunse in cima alla scalinata, continuò a pensare che

qualcosa non quadrava. Perché dieci anni prima Serah era stata innamorata di lui, era un fatto accertato. E Serah gli aveva confessato di essere stata costretta a sposare Hussein, e fingere di esserne felice.

Allora perché ora dichiarava di non poter diventare sua moglie? Stavano bene insieme, lo sapevano entrambi. Lui era stato il suo primo amante,

come aveva inteso essere sin dal primo istante in cui l’aveva conosciuta. Non significava forse che il destino li aveva riportati insieme, e non per separarli di nuovo?

Qualsiasi cosa Serah dicesse o facesse, questa volta non si sarebbe limitato ad andarsene, amareggiato e deluso, e ad aspettare dieci anni per scoprire la verità, decise. Avevano già sprecato troppo tempo. Non ne avrebbero sprecato ancora.

Forse era davvero in grado di imparare dai propri errori. Si girò e tornò di corsa sui suoi passi, fin dove lei era seduta sulla sabbia, il

viso fra le mani. «Serah!» gridò, e senza darle il tempo per replicare la prese per le spalle e la

indusse a rimettersi in piedi. Aveva gli occhi gonfi e il viso rigato dalle lacrime, notò, ma era ancora la donna più bella che avesse mai visto. Un solo sguardo a quell’adorato volto bastò a fargli capire che non si era sbagliato. «Devi dirmi tutto» esordì con tono gentile. «Questa volta non c’è nessuno di cui aver paura. Ci sono solo io, e allora dimmi in tutta onestà perché continui a ripetere che non puoi sposarmi.»

14Serah crollò fra le sue braccia, singhiozzi strazianti che le scuotevano il petto,

lacrime copiose che le rigavano il viso e che gli bagnavano la camicia. «Oh, Rafiq!» gemette. «Mi dispiace... Io ti amo, ti amo così tanto!» Erano quelle le uniche parole che aveva desiderato sentire. Rafiq la sollevò e

girò su se stesso, le labbra su quelle di lei per suggellare un amore condiviso e meritato. Ma sapeva che c’erano altre parole che Serah doveva pronunciare, perché

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fra loro non potevano esistere segreti. «Devi dirmi cosa ti preoccupa» affermò, rimettendola con i piedi per terra. «Non andrò via un’altra volta senza sapere. Non potrei sopportarlo.» Le accarezzò la schiena con delicatezza. «Dimmi cosa ti turba, e io sistemerò tutto.»

«Non puoi farlo» replicò Serah scuotendo la testa. «Non vorrai più avere nulla a che fare con me quando saprai la verità. È una verità che non sei in grado di affrontare.»

Un brivido di paura gli increspò la pelle. Quale poteva essere quel terribile segreto? «Devi parlare» la incitò Rafiq. «Devi farlo. Coraggio, spiegami tutto.» Si sedette sulla sabbia e l’attirò sulle ginocchia, cullandola come se fosse una bambina, baciandole le gote mentre lei piano cominciava il suo racconto.

«Hussein trovò il modo per usarmi» sussurrò Serah. «Decise che, poiché non ero buona per altro, almeno avrei potuto aiutarlo a persuadere i dignitari di altri Paesi a condividere il suo punto di vista. Mi costringeva a vestirmi come una prostituta per assistere ai suoi incontri, e per tutto il tempo faceva continui accenni al sesso, e a come fosse disponibile a condividere quello che era suo.»

Rafiq la strinse al petto, l’unico suo desiderio quello di poter uccidere l’uomo che le aveva fatto quello, che l’aveva trattata come spazzatura.

«Molti di quegli uomini erano imbarazzati quanto me. Erano sposati, innamorati delle loro mogli. Andavano via appena era possibile, e Hussein diceva che era solo colpa mia, perché non ero bella abbastanza, interessante abbastanza da invogliarli a venire a letto con me. E che non c’era da sorprendersi, visto che non riuscivo neanche a fare eccitare mio marito. E poi mi costringeva...»

«Non sei costretta a rivelare i dettagli» la interruppe lui. «Ma tu devi sapere. Devi sapere tutto se vuoi capire.» La voce di Serah risuonò

piatta, priva di inflessione come se provenisse da un altro mondo. «Mi faceva ballare. Si stendeva nudo sul letto e mi guardava, e cercava di eccitarsi, ma non ci riusciva, ed era colpa mia, solo colpa mia...»

«Va tutto bene» intervenne di nuovo Rafiq, accarezzandole dolcemente i capelli. «Non era colpa tua, e lo sai.»

Serah lo guardò, un’espressione desolata sul viso. «No, non è vero, non va tutto bene. Perché alla fine volevo così tanto che lui raggiungesse il suo scopo che provavo di tutto, perché magari dopo non sarebbe stato arrabbiato con me come le altre volte...»

«Quali altre volte?» domandò Rafiq, un brivido freddo che gli correva lungo la schiena.

Lei tornò a nascondere la faccia contro il suo petto, come se avesse troppa vergogna per guardarlo. «Alcuni uomini non erano dei mariti. Erano uomini volgari, dei vigliacchi convinti che Hussein stesse facendo loro un dono generoso. Che erano più che disponibili a essere d’accordo con lui su ogni questione politica in cambio di un assaggio di sua moglie. Ma poi, quando il patto era concluso, Hussein si fingeva indignato e li metteva alla porta.» Fece una pausa e sospirò. «L’ambasciatore del Karakhistar era uno di loro. Cercò di toccarmi, di affondare le sue dita grasse fra i

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miei capelli, quasi mi sfiorò le labbra con le sue prima che Hussein riuscisse a mandarlo via. Quell’uomo era fra gli ospiti oggi, all’incoronazione. Mi guardava con un tale disprezzo...»

La nausea gli contrasse lo stomaco. La strinse con più forza. Ora capiva perché Serah era stata così sconvolta quando l’aveva raggiunta prima dell’inizio della cerimonia. E capiva anche perché, quando l’aveva incontrata dopo tanti anni nell’appartamento di sua madre, aveva visto solo l’ombra triste e offuscata della ragazza vivace e bella che lui rammentava. «Perché sei rimasta con lui?» domandò Rafiq.

«Avevo un gattino, me lo aveva regalato Hussein come dono di nozze. Era un gattino persiano perfetto, bianco come la neve» raccontò Serah. «La prima volta che gli risposi di no, me lo tolse dalle mani. Io pensavo che la sua intenzione era colpirmi, ma non lo fece. Accarezzò il micetto per qualche istante, e poi gli spezzò il collo.» Chiuse gli occhi e non trattenne un singhiozzo. «Mi disse che al suo posto avrebbe potuto esserci qualcuno che amavo, un componente della mia famiglia magari, e io non ebbi difficoltà nel credergli. Il giorno seguente mi regalò un altro gatto. Cercai di salvarlo, Rafiq. Feci del mio meglio per proteggerlo, devi credermi.»

«Cosa successe?» «Lo trovai morto sul mio cuscino, il giorno in cui Hussein scoprì che una delle

sue guardie del corpo mi aveva dato lezioni di guida di nascosto. L’uomo finì all’ospedale. Pensa, per due sole lezioni era stato picchiato fino a fargli perdere i sensi! Ma Hussein non mi regalò un terzo gattino. Non ne ebbe bisogno.»

Le lacrime inondarono il suo bel viso, e Rafiq la tenne stretta al petto, cullandola, accarezzandole i capelli, perché non sapeva cos’altro fare. Infine Serah raddrizzò la schiena, si asciugò gli occhi con il dorso della mano e riprese a parlare.

«Ecco perché non potrai mai sposarmi, anche se Hussein non c’è più. Come tua moglie, dovrei essere al tuo fianco negli eventi ufficiali, dovrei frequentare quegli uomini ai quali Hussein mi offrì come merce di scambio. Come dovrebbero reagire? Perché, anche se i più rifiutarono, vedendomi sarebbero costretti a chiedersi se altri invece avevano approfittato della generosa proposta dell’ambasciatore del Qusay. Cosa potrebbero pensare, scoprendo che una donna simile è diventata regina? I pettegolezzi si sprecherebbero, le notizie circolerebbero in fretta, fino ad arrivare ai giornalisti. La regina del Qusay, non più di una sgualdrina. Il nome della tua famiglia sarebbe coperto di ridicolo.»

Rafiq le baciò la fronte. Quanto avrebbe voluto rassicurarla e dirle che esisteva un modo per risolvere tutto, che c’era una vita di uscita. Ma non poteva. Serah aveva ragione. Non esisteva una soluzione.

Accidenti a suo fratello!, pensò. Perché, anche se rispettava Kareef per aver preferito la donna che amava alla corona, così facendo aveva distrutto la sua possibilità di essere felice. Se Kareef non avesse rinunciato al trono, in quel momento lui e Serah sarebbero stati in procinto di partire per l’Australia, dove avrebbero vissuto in una relativa, serena anonimità. Ma nelle vesti di regina, Serah avrebbe

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dovuto frequentare gli stessi ambienti sociali che aveva frequentato con il primo marito. Inevitabilmente prima o poi avrebbe incontrato alcuni degli uomini ai quali era stata offerta da Hussein. E per quanto desiderasse sposarla, non poteva farle quello. Non poteva esporre lei, e tanto meno la monarchia, al rischio di uno scandalo.

Il loro matrimonio non aveva alcuna speranza di funzionare. Serah aveva ragione. Non poteva diventare re, come era suo dovere fare, e prendere comunque lei in moglie.

Una consapevolezza che però non gli impedì di continuare a cercare una soluzione mentre con poderose bracciate fendeva l’acqua, vasca dopo vasca, finché i muscoli iniziarono a dolergli.

Infine, con il respiro affannoso, Rafiq uscì dalla piscina. Il Qusay aveva bisogno di un re, quello era un fatto. Serah aveva bisogno di un uomo che la amasse. Il Qusay meritava un sovrano saggio e disponibile, dopo tutti i problemi degli ultimi mesi. Serah meritava un compagno affettuoso che le facesse dimenticare l’infermo che aveva vissuto.

Si asciugò il viso con un telo di spugna. E lui quante possibilità aveva di essere allo stesso tempo il re del Qusay e il marito di Serah?

Nessuna. Non ne aveva nessuna. E nemmeno poteva emulare Kareef, rinunciando come lui aveva fatto al trono

per amore di una donna. Tahir non si era fatto vivo, non aveva dato notizie, di conseguenza lui era

costretto a restare, a raccogliere quello scettro che Kareef gli aveva lanciato. Il futuro del suo paese era in gioco e a lui non restava scelta.

Ma perché il prezzo che doveva pagare era così alto? Perché doveva rinunciare a Serah?

Fu svegliato da Akmal di buon mattino, dopo una notte insonne durante la quale si era girato e rigirato nel letto prima di cadere, all’alba, in un sonno agitato. La sua presenza era richiesta in ospedale così Rafiq, senza esitare, fece una doccia e si vestì.

Serah aveva deciso di non dormire più con lui. Poiché la loro separazione era inevitabile, tanto meglio smettere di frequentarsi subito, aveva affermato. Così lui avrebbe avuto più possibilità di trovare la donna adatta a diventare sua moglie.

Una logica ineccepibile, ma che lui non accettava. Perché doveva sposare un’altra quando aveva Serah? Come avrebbe fatto a fare l’amore con una qualsiasi altra donna? E come avrebbe potuto dare a questa donna dei figli quando era Serah che desiderava nel suo letto ogni notte?

«Notizie di Tahir?» chiese ad Akmal mentre salivano nella limousine.

Il visir scosse la testa. Non erano necessarie parole. A ogni giorno che passava, le possibilità che suo

fratello arrivasse erano sempre minori. Rafiq ebbe la chiara percezione di un cappio stretto intorno al suo collo.

Lei aveva gli occhi chiusi quando entrò nella stanza di ospedale, ma anche così

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Rafiq immaginò che non le sfuggisse nulla. «Principe Rafiq...» Era uno sguardo sorprendentemente limpido che incontrò il suo, notò lui, occhi

verdi che adesso brillavano come quegli smeraldi che le donne di Marrash utilizzavano per i loro piccoli capolavori. Occhi che con la loro luce conferivano al volto grinzoso cui appartenevano un aspetto decisamente più giovane.

«Abizah. È bello rivederti.» Rafiq le strinse una mano fra le sue. «L’operazione è andata bene?»

«Un vero miracolo» mormorò l’anziana donna. «Speravo che sarebbe venuto a trovarmi in modo da ringraziarla per la sua generosità. Non posso spiegarle la gioia che provo adesso che posso ammirare di nuovo tutta la bellezza che mi circonda» affermò, poi si guardò intorno ma vide solo Akmal fermo sulla soglia della porta. «Dov’è la sua splendida moglie?»

Rafiq esitò. Scorse l’espressione sorpresa dipinta sul viso del suo visir, e desiderò che l’uomo fosse andato con loro sulle montagne, in modo da non dovergli spiegare che Abizah era nota per le sue profezie, che spesso però erano solo farneticazioni. «Serah... Verrà a farti visita più tardi» replicò infine.

«Mi dispiace» disse l’anziana donna, guardandolo come se volesse leggergli l’anima. «Non volevo causarle dolore con la mia domanda, ma solo fare sapere a entrambi quanto ho apprezzato l’aiuto che mi è stato offerto.»

«A mia madre è piaciuta molto la lampada» commentò Rafiq, optando per un tattico cambiamento di argomento.

«Sua madre è un’ottima regina, come lo sarà la prossima» sentenziò Abizah. Rafiq si avviò verso la porta. Non aveva alcun desiderio di parlare della

prossima regina, dal momento che non sarebbe stata Serah. «Principe Rafiq, ancora un attimo» lo chiamò la donna. «Non perda le

speranze» aggiunse quando lui si girò. «Deve credere, avere fede. C’è sempre una risposta.»

«Come puoi affermare una cosa simile?» le chiese Rafiq incerto. Lei gli sorrise. «A volte noi ci rendiamo conto solo dell’ovvio, ma dovremmo

spingerci oltre le immagini che ci presentano i nostri occhi. Dovremmo leggere cosa c’è nei nostri cuori. Solo in questo modo possiamo capire la verità.»

Non era certo che quella fosse stata la risposta alla sua domanda, ragionò Rafiq, e nemmeno di aver capito davvero quello che la vecchia aveva detto, ma continuò a ripensare alle sue parole mentre tornava al Palazzo. Era quello che aveva fatto Kareef? Aveva dato ascolto al suo cuore e non alla sua mente? Aveva creduto nei suoi sentimenti, e non in quello che era stato il suo dovere?

Lui sapeva cosa la razionalità gli diceva di fare. Doveva salire al trono. Era quella la sua primaria responsabilità nei confronti del Qusay e del suo popolo.

Ma il suo cuore voleva altro. Voleva una donna dagli occhi neri e dalla pelle color dell’oro. Voleva Serah.

L’aveva amata e poi persa tanti anni prima. Perché doveva perderla di nuovo? Ma, in caso contrario, chi sarebbe stato re? Chi avrebbe regnato sul Qusay?

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Quando la vettura infine parcheggiò nel cortile della reggia, aveva capito cosa doveva fare.

«Akmal» disse, appoggiando una mano sulla spalla del visir, «c’è un cambiamento di piani.»

15Corse lungo i corridoi del Palazzo, attraverso il cortile rallegrato da tante

piante fiorite e profumate, corse fino all’appartamento di sua madre, spaventando coppie di colombe che tubavano nell’ombra.

«Serah!» chiamò, battendo una mano sulla porta. «Serah, devo parlarti!» La porta si aprì e lei apparve, gli occhi ancora gonfi per il pianto. «Cosa

succede?» chiese allarmata. «Cosa non va ancora?» «Nulla» replicò Rafiq prendendola fra le braccia. «Va tutto benissimo. Tutto è

perfetto.» Serah lo guardò incerta. «Di cosa stai parlando? Hanno finalmente rintracciato

Tahir?» «Prima o poi ci riusciranno, però non sono qui per parlare di lui, ma di noi.

Perché noi due ci sposeremo.» «Non possiamo» mormorò Serah. «Lo sai che non è possibile. Non esiste

alcuna strada per...» «Invece la strada c’è» la interruppe lui. «È quella più semplice, e io la

seguirò.» «Non puoi rinunciare alla corona!» esclamò lei, captando al volo le sue

intenzioni. «Non dopo Kareef. Negheresti quelli che sono i tuoi diritti per nascita.» «Non una volta in tutta la mia vita ho sperato, o anche solo pensato, di regnare

sul Qusay» affermò Rafiq, «una terra che ormai non considero nemmeno più come mia patria. Sono solo le circostanze che mi hanno messo in questa posizione, la mia nascita non c’entra nulla.»

«Getterai via il tuo futuro.» «No, perché il mio futuro sei tu, perché nello stesso momento in cui ti ho visto

per la prima volta ho capito che eravamo fatti per stare insieme. Siamo parte l’uno dell’altro, e lo saremo per sempre.»

«Devi riflettere bene prima di prendere una decisione così importante» provò ancora lei.

«Ho già riflettuto. Ti ho perso una volta e non ti perderò di nuovo» dichiarò Rafiq inginocchiandosi. «Io ti amo. Sposami, diventa mia moglie. Vivi con me per sempre.»

Lacrime velarono i begli occhi neri di lei. «Oh, Rafiq, anche io ti amo» mormorò. «Tu hai riportato il colore e la gioia nella mia esistenza quando ormai avevo smesso di sperare. Tu hai riportato in vita il mio cuore.»

«Allora mi sposerai?» «Certo, Rafiq, ti sposerò.»

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Rafiq la strinse fra le braccia e la baciò sulle labbra, e la stava ancora baciando quando Rihana entrò trafelata nella stanza. Si fermò di colpo, ma la sua esitazione non durò più di un istante. «Siete qui entrambi, per fortuna» disse. «Avete sentito la notizia? Pare che un elicottero sia stato avvistato nel deserto, potrebbe essere quello di Tahir! Akmal si sta già recando sul posto. E dire che per tutto questo tempo abbiamo pensato che non si fosse preso il disturbo di venire per l’incoronazione di suo fratello» aggiunse, tormentandosi le mani. «Rafiq, tu pensi che esista una possibilità...»

Rafiq si allontanò da Serah per abbracciare sua madre. «Credi» le disse, ripetendo le parole di quella saggia donna il cui nome aveva deciso di dare alla sua primogenita. «Abbi fede.»

EpilogoNon si era visto mai nulla di simile a Sydney. La seta, intessuta di fili d’oro, era impreziosita da piccoli smeraldi inseriti in

fini ricami. Era senza alcun dubbio la più bella seta mai prodotta dalle donne di Marrash.

Il vestito, stretto in vita e dalla gonna lunga e morbida, era completato da un lungo velo dorato che risplendeva sui capelli neri di lei regalandole l’aspetto di una divinità.

Rafiq cercò di contenere la propria felicità mentre la sua sposa camminava verso di lui. Tra le persone che erano venute dal Qusay per assistere alla cerimonia c’era anche Abizah, che intonò un canto beneaugurante al passaggio di Serah. Gli altri presenti, credendo che si trattasse di una usanza tipica del Qusay, si unirono al coro, e così Serah giunse all’altare accompagnata non dalla musica dell’organo, ma dal risuonare di mille auguri e benedizioni.

Un matrimonio del genere non era mai stato celebrato da quelle parti, e con ogni probabilità sarebbe rimasto unico nel suo genere. Perché coloro che vi assistevano erano stati scelti accuratamente, ed erano persone che gioivano genuinamente per i due sposi.

Un sorriso che gli illuminava il volto, Rafiq prese la mano della sua futura moglie. «Ti amo» dichiarò, parole che gli venivano dritte dal cuore.

«Come io amo te, Rafiq» replicò Serah, gli occhi che scintillavano di amore e felicità. «E ti amerò per sempre.»

Rafiq a stento riuscì a impedirsi di sollevarla fra le braccia per baciarla lì, sull’altare.

Che bisogno aveva di diventare re, si disse, quando aveva già la sua regina?