Oltre La Parabola Della Corte

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Oltre la Parabola Ernesto Della Corte Lettura di alcune parabole del Vangelo secondo Matteo Consulta Salerno SALERNO 2000

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Oltre la parabola.... DElla Corte

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  • Oltre la

    Parabola

    Ernesto Della Corte

    Lettura di alcune parabole del Vangelo

    secondo Matteo

    Consulta Salerno SALERNO 2000

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    I n t r o d u z i o n e Il Concilio Vaticano II ci ha donato una perla di rara bel-

    lezza e una sintesi mirabile sulla Parola di Dio (la Dei Ver-bum), dalla quale desidero partire per introdurre questo li-bretto.

    Al n 21 il Concilio riporta questo significativo passaggio: La Chiesa ha sempre venerato le divine scritture come ha

    fatto per il corpo stesso del Signore, non mancando mai, so-prattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di por-gerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, la Chiesa le ha sempre considerate e le considera come la regola suprema della propria fede; esse infatti, ispirate da Dio e redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la Parola di Dio stesso e fanno risuonare, nelle parole dei profeti e degli apostoli, la vo-ce dello Spirito Santo. necessario, dunque, che tutta la predi-cazione ecclesiastica come la stessa religione cristiana sia nu-trita e regolata dalla Sacra Scrittura. Nei libri sacri, infatti, il Padre che nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro; nella Parola di Dio poi insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fe-de, cibo dell'anima, sorgente pura e perenne della vita spiritua-le. Perci si applicano in modo eccellente alla Sacra Scrittura le affermazioni: Vivente ed efficace la Parola di Dio (Eb 4, 12), che ha la forza di edificare e di dare l'eredit tra tutti i santificati (At 20, 32; cf. 1 Ts 2, 13).

    Questo monito continua oltre: necessario che i fedeli

    abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura (DV 22); Tutti i chierici, principalmente sacerdoti e quanti, come i diaconi o i catechisti, attendono legittimamente al ministero della Parola, conservino un contatto continuo con le Scritture, mediante la sacra lettura e lo studio accurato (...). L'ignoranza delle Scritture, infatti, ignoranza di Cristo (DV 25). E ancora, pi avanti: Si ricordino che la lettura della Sacra Scrittura dev'essere accompagnata dalla preghiera, affinch possa svolgersi il colloquio tra Dio e l'uomo; poich quando pre-ghiamo, parliamo con Lui; Lui ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini (S. Ambrogio) (DV 25).

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    In tal modo, con la lettura e lo studio dei Sacri Libri, la Parola di Dio compie la sua corsa ed glorificata (2 Ts 3,1), e il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempie sempre pi il cuore degli uomini. Come dall'assidua frequen-za del mistero eucaristico si accresce la vita della Chiesa, co-s lecito sperare nuovo impulso alla vita spirituale dall'ac-cresciuta venerazione della Parola di Dio, che permane in eterno (Is 40,8; cf. 1Pt 1,23-25) (DV 26).

    Possiamo sintetizzare cos l'insegnamento del Concilio per quanto riguarda il nostro tema:

    - tutti i fedeli devono avere accesso anche diretto alla

    Scrittura; - devono leggerla frequentemente e volentieri; - devono imparare a pregare a partire dalla lettura diret-

    ta della Bibbia; - tutto questo al fine di conoscere Cristo Ges, perch

    non lo si pu conoscere al di fuori delle Scritture, e di conoscerlo in maniera eminente.

    Le parole della Dei Verbum sono dunque molto forti e

    anche nuove rispetto a quanto si riteneva in epoche preceden-ti. Nella Chiesa cattolica, infatti, il popolo leggeva pochissi-mo la Bibbia con lettura diretta. Gli si permetteva di accosta-re per lo pi soltanto i Vangeli (tra l'altro, erano molte le per-sone che non sapevano leggere). La nuova situazione cultura-le per ha suggerito ai Padri Conciliari di invitare tutti i fede-li ad accostare il Sacro Testo, di stimolarli all'esercizio della lectio divina.

    In occasione della Missione popolare, indetta a Salerno

    citt dallArcivescovo metropolita mons. Gerardo Pierro, in-sieme ai laici missionari ci siamo immersi nel Vangelo se-condo Matteo, soprattutto nelle parabole, per lasciare che la Parola rovesci la nostra logica e cinsegni che la Buona Noti-zia richiede un vero e appassionato capovolgimento del rap-porto religioso con il Padre e, conseguentemente, del nostro stile di vita.

    Le parabole sono al centro del Vangelo e costituiscono

    delle vere e proprie pagine aperte, perch, pur con il loro linguaggio inadeguato, desunto dalla vita quotidiana, devo-

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    no esprimere qualcosa di ulteriore, nessun commento potr mai esaurirle. Esse ci costringono a pensare e ripensare il no-stro rapporto di fede. Per un verso gettano luce e invadono la nostra vita, ma per laltro sono oscure e velano il mistero, che oltre, sempre pi al di l della logica umana. Ogni parabola crea uno spazio perch lascoltatore di ogni epoca possa libe-ramente comprendere e aderire allinsegnamento di Ges. Non basta solo una lettura esegetica o filologica, piuttosto le parabole esigono una intuizione d'insieme, perch Ges con la frase Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti! introduce uneccedenza, un oltre che cimmette su un piano diverso e pi profondo, al di l delle semplici deduzioni.

    La forza di ogni parabola sta nel fare vedere lovviet di un atteggiamento incompatibile con quello quotidiano. Una nuova evidenza simpone su quella comune.1 Cos succede ad es. in una delle pochissime parabole dellAT (cf. 2Sam 12): Dio manda il profeta Natan da Davide, dopo che costui ha peccato con Betsabea e ha fatto uccidere il marito di lei, Uria. Natan si reca dal re e gli riferisce che un uomo molto ricco, dovendo accogliere un suo ospite, invece di provvede-re attingendo dal suo numeroso bestiame, prepotentemente rapina lunica pecorella di un uomo povero, pecorella cre-sciuta in casa insieme alluomo e alla sua famiglia, abbevera-ta della loro stessa acqua e nutrita dello stesso loro pane. Questa pecorella come una figlia per il povero (da notare lesagerazione che fa crescere la tensione!). Nonostante ci il ricco la porta via e con essa prepara il cibo per il suo ospite. Mentre Natan racconta, lira di Davide si accende contro quelluomo che ha compiuto un simile misfatto. La sentenza pronunciata: quelluomo merita la morte.

    a questo punto drammatico della storia che Natan rivela il nome del prepotente ricco: Quelluomo, o re Davide, sei proprio tu!. In Davide subito prorompe la coscienza di aver peccato e di dover chiedere perdono a Dio.

    La parabola dunque una forma di dialogo, che ha lo sco-po di rivelare, rendendo l'ascoltatore consapevole delle pro-prie contraddizioni. Non solo ha valenza morale, ma anche teologica: rivelatoria, oltre che argomentativa. Essa ha lo

    1 Cf. E. JNGEL, Dio mistero del mondo, Brescia 1982, p. 461.

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    scopo di comunicare all'ascoltatore la novit e la continuit della rivelazione di Dio.

    Il senso della parabola va cercato nelle pieghe del testo stesso. Bisogna coglierne la struttura letteraria. Il suo testo non va mai staccato dall'autore che l'ha raccontata: Ges. An-che la comunit ecclesiale del tempo autrice delle parabole. Ges le ha raccontate spingendo lo sguardo verso la sua m-ta: il mistero pasquale di morte e resurrezione. La Chiesa na-scente, invece, le ha riprese riguardando allindietro lo stesso mistero, dopo averlo attraversato nellesperienza. Loggetto delle parabole resta lo stesso, cambia solo il punto di vista, lottica dalla quale sono narrate.

    In qualunque epoca sono raccontate le parabole continuano a rivelare, perch ripropongono lunica domanda: chi Ges di Nazaret? Davanti a Ges il Cristo, unica e vera parabola, anzi la parabola delle parabole, ognuno di noi deve com-prendere il mistero del Regno dei cieli.

    Nella lettura delle parabole si possono usare queste cinque semplici regole:

    1. accurata analisi letteraria; 2. conoscenza dell'ambiente sociale e religioso del tempo; 3. gli aspetti di novit che porta Ges; 4. le diverse tappe di formazione della parabola; 5. lasciarsi sorprendere la regola fondamentale.

    Come una donna infila ad una ad una le maglie usando i ferri da lana, cos la parabola va svolta usando ogni passag-gio con acume e correttezza di metodo. Lelemento di esage-razione serve a tematizzare lenormit del mistero comunica-to (ad es. la sproporzione enorme del seme che produce il 30, il 60, addirittura il 100 per 100).

    Le parabole sono dunque lelemento pi caratteristico dellinsegnamento di Ges Cristo quale ci stato tramandato nei Vangeli. noto a tutti, infatti, che le immagini si impri-mono nella memoria pi stabilmente di un argomento astrat-to. Ci vale specialmente per le parabole di Ges, le quali rispecchiano con particolare chiarezza la sua Buona Novella, il carattere escatologico della sua predicazione, la seriet del suo appello alla penitenza, la sua opposizione al fariseismo. Sono qualcosa di completamente nuovo, manifestano una marcata originalit personale, una singolare chiarezza e sciol-

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    tezza, una padronanza inaudita delle forme, per cui dobbiamo concludere che, quando leggiamo le parabole, noi siamo im-mediatamente vicini a Ges. Esse conducono gli ascoltatori in un mondo a loro familiare, dove tutto tanto semplice e chiaro, che persino un bimbo pu capirle e luditore non pu che rispondere sempre: s, proprio cos!

    E mentre le parabole diventano chiare alla nostra mente, come dincanto lascoltatore si accorge di esservi entrato di persona, avverte il dialogo e linterpellanza ed chiamato a rispondere allappello: dov labito nuziale? Dove la vigi-lanza? E lolio perch non stato portato? La perla e il tesoro dirigono i nostri passi? E nel resoconto conclusivo che fine ha fatto il talento assegnatoci?

    Le parabole, che sono vangelo, cio buona notizia, veico-lano dunque le domande fondamentali che Ges continua a porre a tutti gli uomini. Udendo queste domande siamo tutti interpellati a dare una risposta, non a parole, ma con uno stile di vita evangelico e fattivo.

    Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrer nel Regno dei cieli, ma chi realizza la volont del Padre mio che nei cieli (Mt 7,21).

    Colui che ascolta le parole di Ges il Cristo e le pone in es-sere dimostrer con la vita di aver ricevuto lantico e sempre nuovo dono della sapienza che viene dallalto: la sua casa sulla roccia e non croller!

    Allinizio del nostro cammino facciamo nostra la seguente

    preghiera di un grande appassionato della Scrittura:

    Formi la tua Scrittura la mia casta delizia

    e non minganni e non inganni. Non lasciare nellabbandono i tuoi doni,

    non disdegnare questo tuo filo derba assetato. Ti scongiuro per Cristo Ges,

    per mezzo del quale sei venuto in cerca di me che non ti cercavo

    e mi hai cercato perch ti cercassi. In Lui si trovano nascosti

    tutti i tesori della sapienza e della scienza. Questi tesori cerco io nei tuoi libri

    S. Agostino dIppona

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    1. Ma a chi paragoner questa generazione? (Mt 11,16-19)

    16. Ma a chi paragoner questa generazione?

    Assomiglia ai bambini seduti nelle piazze, che, gridando agli altri,

    17. dicono: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato nenie funebri e non avete pianto.

    18. Venne infatti Giovanni: non mangiava, n beveva, e dicono: Ha un demonio.

    19. Venne il Figlio dellUomo, mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico di pubblicani e peccatori. Ma la Sapienza stata riconosciuta giusta dalle sue stesse opere.

    Ges sta rimproverando le folle, perch come hanno criti-

    cato Giovanni per la sua vita austera, cos ora lo accusano di condurre una vita comoda; viene chiacchierato inoltre perch mangia e beve con i pubblicani e i peccatori, cio si dimostra palesemente amico di queste categorie cos odiate e tenute lontano dalle classi politico-religiose.

    Il racconto matteano appena tratteggiato, quasi che in tra-sparenza si lasci al lettore di cogliere la portata della vicenda.

    La parabola, esposta con tratti piuttosto accennati, potreb-be essere intitolata la parabola dei bambinetti che non vo-gliono giocare. Siamo in una piazza e un gruppo di bambini, scimmiottando il mondo degli adulti, invita altri bambini al gioco del matrimonio. Mentre dunque essi improvvisano can-ti e musiche tipiche delle feste di nozze, gli altri devono si-mulare la marcia del corteo nuziale, danzando e muovendosi in modo appropriato.

    Questi bambini, per, nonostante linvito, rifiutano. Forse che lilarit proposta non interessa?

    Si cambia gioco e, a differenza di prima, si propone dinterpretare una nenia funebre, cos che i bambini invitati interpretino lamenti e pianti, cos comera costume fare in occasione di un funerale (cf. Mc 5,38). Anche questa volta nessuno aderisce al gioco. Anche il pianto e il lamento non sono accettati?

    Siamo posti davanti a due atteggiamenti opposti, entrambi rifiutati. Allora si deve concludere che i bambini incitati a giocare accampano solo scuse: non voglio partecipare!

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    Andando oltre la metafora, Ges interpreta e spiega con chiarezza: davanti alla vita e alla predicazione austera e peni-tente di Giovanni Battista questa generazione ha affermato che egli ha un demonio, desacralizzando in modo irriverente questo grande profeta, amato dal popolo. Anche nei riguardi di Ges, per, questa generazione ha espresso un rifiuto per-ch, invece di aderire con Lui alla gioiosa condivisione con i poveri, i pubblicani e i peccatori, arriva ancora una volta a bestemmiare, accusando Ges di essere un beone e un man-gione, uno dedito solo alla vita godereccia, scambiando la gioia dellincontro con i deboli per dissolutezza di vita.

    Questa generazione assomiglia a una banda di bambini biz-zosi e ribelli2, cio immaturi nel rapporto religioso e voluta-mente incapaci di cogliere i segni di Dio. Colpisce soprattut-to che entrambe le volte si sottolinei la non-decisione: sia la gioia che il pianto non sono scelti! Ges vuol far comprende-re che lerrore maggiore non tanto il giudizio, quanto la non decisione. Chi non intende decidersi accampa solo scuse: ec-co la conclusione a cui si arriva.

    Ma chi questa generazione di cui parla Ges? Pi avanti Matteo (12,38-42) mette sotto i riflettori gli Scribi e i Farisei, i quali chiedono un segno per autenticare la missione di Ge-s. Ma non sar dato nessun segno a loro, se non quello di Giona. Non sono i segni3 che accrediteranno Ges agli occhi di tutti, ma il suo mistero pasquale.

    Ges opera e predica, chiedendo di ascoltare e mettere in pratica le sue parole. Il rapporto con Lui si gioca su unadesione che procede dallascolto, dal suo insegnamento, perch Ges Maestro linsegnamento del Padre. Non chi-unque mi dice: Signore, Signore, entrer nel Regno dei cie-li, ma chi fa la volont del Padre mio che nei cieli: cos che nel discorso della montagna termina il suo insegnamento, invitando tutti a essere ascoltatori e facitori delle sue parole.

    Gli uomini di ieri e quelli di oggi continuano a non voler scegliere, n la gioia n il pianto, diventando immobili nella loro non decisione. Rifiutano tutto e il contrario di tutto. Se almeno per un attimo fossero schietti con se stessi, allora ri-conoscerebbero che in verit la paura di scegliere che porta

    2 Matteo cita 6x questi bambinetti capricciosi: 11,16; 12,41.42.45;

    23,36; 24,34. 3 Cf. 1Cor 1,22; Mt 16,1; 24,3.30.

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    loro a non decidersi. Il Vangelo, invece, interpellanza vigo-rosa, qui e ora; rispondere con un cambiamento di mentalit e di stile (la metnoia).

    Il brano termina con una specie di proverbio citato da Ge-s, dove sotto la parola sapienza dobbiamo leggere Ges stesso. In Lui Dio si rivela e tutto quanto opera rende ragione di chi egli sia. Proprio allinizio del cap. 11 il Battista, ancora nel dubbio dinamico circa lidentit di Ges di Nazaret, manda dei discepoli a chiedere chi Egli sia. Ges risponde (11,4-6) richiamando i segni messianici e addirittura la risur-rezione dai morti, ma infine lultimo indizio fornito l evangelizzazione dei poveri, cos cara gi al profeta Isaia (61,1-2) e a Luca, in 4,16-30, in uno dei testi pi significativi per il giubileo. Egli presenta Ges come Colui che incarna esattamente la profezia di Isaia, ponendo al primo posto della sua missione levangelizzazione dei poveri. Matteo stesso nella sua prima beatitudine ha ricordato: Beati i poveri in spirito, perch di essi (gi ora) il Regno dei cieli (Mt 5,3).

    I segni operati da Cristo di fatto aiutano a capire che Ges linviato di Dio. I Vangeli ci attestano con chiarezza che proprio il suo stile di condivisione e la sua opzione per i po-veri e gli ammalati, gli esclusi e i reietti della societ ad an-nunciare la novit di un Dio che si schierato dalla loro par-te: di essi il Regno dei cieli.

    Concludiamo pregando queste stupende parole del Sal 119 (118), 97-100:

    Quanto amo la tua volont! Tutto il giorno la sto meditando. I tuoi comandi mi fanno pi abile dei miei nemici, sono sempre con me. Sono pi dotto di tutti i miei maestri, perch medito i tuoi precetti. Sono pi sagace degli anziani, perch osservo i tuoi decreti.4

    4 La traduzione presa da L. ALONSO SCHKEL - C. CARNITI , I Salmi

    2, Roma 1993, p. 592.

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    2. Sapienza e parabole: il tesoro nascosto e la perla ine-stimabile (Mt 13)

    44. simile il Regno dei cieli a un tesoro che sta-to nascosto nel campo, che (tesoro) un uomo, a-vendo(lo) scoperto, (lo) nascose, poi (spinto) dal-la gioia, va e vende tutto quanto possiede e compra quel campo5.

    45. Di nuovo simile il Regno dei cieli a un uo-mo, mercante in grosso, che cerca perle preziose. 46. Avendone trovata una di inestimabile va-lore, avendo operato af-fari con tutto quanto a-veva, la compr.

    Esaminiamo queste due parabole gemelle esercitandoci

    insieme, cos dapprendere un metodo.

    2.1 LEGGERE IL TESTO Questo primo momento ha come scopo: 2.1.1 stabilire dove il testo comincia e dove termina: Il testo inizia al v. 44 (l'incipit: Il Regno dei cieli simi-

    le....) e termina al v. 46, perch le parabole di Mt 13 sono disposte a coppie; la settima interrompe la simmetria e si rapporta alle sei precedenti, in particolare alla seconda (la zizzania: cf. come le idee di fondo si richiamino; tutte queste parabole sono simili, ma non gemelle come questa del tesoro e della perla).

    2.1.2 Annotare le reazioni spontanee: ci che piace, genera mera-

    viglia, appare non chiaro, ... Mi colpiscono il tesoro e la perla. 2.1.3 Scrivere tutto su un foglio, perch la visualizzazione per-

    mette di entrare nel testo. 2.2 STUDIARE IL TESTO Il testo in s: si tratta di ricercare nel testo: 2.2.1 parole, espressioni che ritornano, si corrispondono, si op-

    pongono:

    5Riportiamo in forma sinottica le due parabole.

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    Notiamo l'espressione iniziale ( simile il Regno dei cie-li ...) e i tre verbi che ritornano: scoprire/trovare, vende-re/operare affari, comprare. Notiamo lo schema letterario con una formula introduttiva (punteggiata) e i tre momenti fondamentali del racconto (in corsivo). I due protagonisti sembrano essere un bracciante e un ricco commerciante di preziosi. Dico sembrano, perch pur essendo i due soggetti grammaticali, in verit scopriremo che non sono i due sog-getti logici.

    Le due parabole sono costruite, dunque, secondo la legge del parallelismo sinonimico. Esse sono gemelle, ma anche complementari.

    Notiamo la maestria del narratore Ges: Egli non presta il fianco a divagazioni fantastiche, per non danneggiare il con-tenuto religioso.

    L'essenzialit del racconto concede quel tanto che neces-sario per attirare l'attenzione e stimolare la riflessione. Ges non racconta per divertire, ma per insegnare. la prima volta che Ges usa dei paragoni con delle sfumature di fiabesco: attinge dai racconti popolari, ma attento alle notizie essen-ziali.

    2.2.2 Le annotazioni di tempo: tempi dei verbi o altre indicazioni

    temporali: i verbi della prima parabola: tempi passati e tempi presenti; i verbi della seconda parabola: tempo presente e poi tutti al

    passato. 2.2.3 Le annotazioni di luogo: in modo particolare i cambiamenti

    di luogo. Questi luoghi sono legati a certi personaggi o a certe ide-e?

    Nella prima parabola il campo il luogo del ritrovamento

    ed legato al tesoro, mentre nella seconda il luogo la stessa ricerca che fa il ricco commerciante ed in relazione con la perla.

    2.2.4 Gli attori (personaggi o cose): annotare cosa fanno, dove

    sono, cosa dicono, che cosa accade a essi: ATTORI: Nella I parabola: un uomo il soggetto grammaticale dei verbi; poi c' un ta-

    le (cf. il passivo: spinto) che ha nascosto il tesoro e, infine, il vero soggetto logico il tesoro stesso. Qui l'uomo scopre

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    per caso il tesoro, lo prende subito, lo nasconde; poi compra il campo e ne viene legittimamente in possesso.

    Consideriamo l'atteggiamento del bracciante: rinasconde bene il tesoro trovato, racimola quanto possiede e compera il campo: la sua decisione rapida, radicale e ovvia. ozioso ed estraneo alla parabola chiedersi se la sua azione lecita. Ges vuole sottolineare il sacrificio di quest'uomo, che, spin-to dalla gioia, vende tutto ci che possiede e compra quel campo. Dobbiamo ben considerare la sua sapiente a accorta decisione.

    Nella II parabola: La seconda parabola inizia diversamente. Forse lo scopo

    che Ges vuole perseguire di avvicinare due persone ugual-mente disposte a vendere tutto per acquistare una fortuna.

    Il protagonista un ricco mercante ( il soggetto grammati-cale dei verbi): egli un esperto e accanito ricercatore di per-le preziose. Il vero soggetto logico, per, , anche qui, la per-la che stimola alla ricerca.

    Ges mette in campo cifre da capogiro per descrivere il va-lore della perla. Il mercante, freddo calcolatore ed esperto estimatore, non esita un istante. Vende tutto e compra quella perla. Sa di non rischiare ed convinto di aver fatto un gros-so affare.

    2.2.5 A partire da queste annotazioni, cercare che cosa avviene

    nel testo: chi fa qualcosa? Chi cerca qualcosa? Chi ( o che cosa) aiuta questa ricerca? Chi ( o che cosa) vi si oppone?

    I due uomini sembrano i veri protagonisti, ma in verit sono

    cercati e stimolati dal tesoro e dalla perla, per cui il loro stato iniziale risulta cambiato alla fine del racconto.

    2.2.6 In un racconto si ha generalmente, all'inizio, una situazione

    precisa: una situazione di mancanza (qualcuno - personaggio o gruppo - ricerca qualcosa); alla fine, il racconto termina con il supe-ramento di questa mancanza.

    All'inizio del racconto l'uomo e il mercante non possiedono

    il bene prezioso. Il primo sta forse lavorando come ogni giorno e s'imbatte nel tesoro, mentre il secondo gi alla ri-cerca.

    Allora occorre: 2.2.7 cercare quale trasformazione avvenuta tra l'inizio e la fine

    del testo (i due uomini sono stati arricchiti); 2.2.8 vedere come avvenuta la trasformazione ( il tesoro e la

    perla che apportano la trasformazione); 2.2.9 annotare attraverso quali tappe si passa:

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    mancanza/ritrovamento-ricerca/

    gioia del ritrovamento/ opportune misure per l'acquisto/

    acquisto del bene prezioso. 2.2.10 verificare quale la tappa decisiva: la tappa della gioia

    del ritrovamento. 2.2.11 verificare chi l'attore principale che ha permesso la tra-

    sformazione: il tesoro e la perla. 2.2.12 Gli elementi esterni che emergono dal testo: certe parole o

    simboli nel contesto del tempo in cui scrive l'autore biblico o nel contesto del suo pensiero;

    2.2.13 il genere letterario a cui appartiene il testo (oracolo, rac-conto di vocazione, parabola, ...).

    Le due parabole rivelano lambiente vitale (il Sitz im Le-

    ben) dell'epoca: la questione dei tesori nascosti e la valuta-zione che all'epoca avevano le perle. Il genere letterario quello della parabola. Abbiamo qui due parabole gemelle, che si fanno luce a vicenda.

    2.2.14 Il testo prodotto in un contesto vitale: ogni testo sorge

    in una comunit ed destinato a una comunit: - Chi parla e a chi? la comunit matteana che riceve questo messaggio, una

    comunit giudeo-cristiana. - A quale problema della comunit il testo cerca di rispondere? Se

    il tesoro e la perla rappresentano il Regno dei cieli, eviden-temente un dono gratuito dato ai Pagani a sorpresa (la I par.) e ricercato dai Giudei (la II par.).

    - Quale il contesto sociologico, economico, politico che pu a-

    vere contribuito all'elaborazione? Solo Matteo riporta queste due parabole, dunque emerge

    dal testo, cos come lo stiamo interpretando, che all'epoca in cui scrive levangelista esisteva il problema della convivenza nella comunit/chiesa tra Giudei e Pagani pervenuti entrambi alla fede cristiana.

    2.2.15 Questo testo non isolato; necessario allora collocarlo

    nel contesto immediato e nel contesto pi ampio del libro: - Quale il suo posto all'interno della struttura del libro? (Mc

    10,46-52: il cieco di Gerico posto da Luca in 18,35, prima dell'e-

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    pisodio di Zaccheo e solo dopo c' l'ingresso messianico di Ges a Gerusalemme; ogni evangelista ha una sua prospettiva).

    Il cap. 13 di Matteo fa parte della sezione del mistero del

    Regno dei cieli (cc. 11-13). anche il terzo grande discorso di Matteo.6

    2.3 VERIFICA A questo punto si riprendono tutti gli interrogativi e le osserva-

    zioni avanzate precedentemente: 2.3.1 Il lavoro effettuato ci permette di rispondere alle domande

    sollevate? 2.3.2 Quali domande rimangono ancora aperte? 2.3.3 Perch?

    I due racconti sono stati definiti le parabole della deci-

    sione o della conversione. L'efficacia pedagogica dei due racconti evidente: com-

    pletezza di immagini sintetiche che vanno diritte allo scopo e illustrano chiaramente l'idea di Ges. Lo sche-ma/formulario facilita la memorizzazione e la trasmissione. A chi si rivolgeva Ges con queste due parabole? Certa-mente a tutti i suoi ascoltatori della prima ora. Ges mette sempre davanti quest'urgenza di conversione a Lui e alla sua parola, usando molte immagini:

    * l'imputato condotto in tribunale, * l'amministratore corrotto, * gl'invitati dal re al banchetto nuziale, * le vergini prudenti e le vergini stolte. Nelle nostre due parabole Ges ama sottolineare la pro-

    spettiva della ricchezza e della gioia di Dio. L'idea della gioia a tal punto centrale che possiamo parlare di ade-sione vissuta come il cuore del racconto.

    Si ha l'impressione che le due parabole raccontino in ma-niera figurata l'incontro e la chiamata dei primi discepoli. Nei racconti di vocazione troviamo gli elementi principali dello schema letterario delle due parabole. Le parabole sono un in-

    6 Nel Vangelo secondo Matteo troviamo cinque grandi discorsi: il discor-

    so della montagna (5,1-7,29); quello missionario (9,36-11,1); quello delle parabole (13,1-53); quello per la comunit dei discepoli (18,1-19,1); infine il discorso finale (23,1-26,1). Questi cinque grandi discorsi sono intervallati da ampie sezioni narrative.

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    vito alla sequela e un incoraggiamento ai discepoli che hanno lasciato tutto per stare con Ges.

    Come invito, le parabole prospettano il rischio del trop-po tardi e avvertono che sarebbe una stoltezza e un falli-mento farsi sfuggire un'occasione cos straordinaria di sal-vezza.

    Come incoraggiamento, assicurano che, nonostante le apparenze, i discepoli hanno visto giusto e hanno scelto con saggezza.

    Studiamo le immagini tracciate da Ges.

    - L'entusiasmo di fede della prima generazione cristiana tra-spare nei tre verbi sui quali sono costruite le parabole: trovare, vendere, comprare. C'era chi aveva trovato senza un lavoro previo di ricerca spirituale (i semplici, la povera gente) e chi, come Nicodemo e i rabbini avevano lunga-mente cercato e atteso, come il ricco ed esperto mercante.

    - Sul piano dell'evangelizzazione le due parabole erano nar-rate da Matteo per invitare i Giudei a conversione e per esortare i neofiti a una sempre maggiore radicalit evange-lica. NOTAZIONI :

    * Le due parabole appartengono all'insegnamento che Ges rivolge ai discepoli, non alle folle. il discepolo, qui, che deve riflettere sul rischio che ha di non apprezzare la for-tuna che gli toccata.

    * I soggetti grammaticali sono il bracciante e il ricco com-merciante, ma i veri protagonisti, come abbiamo notato, sono il tesoro e la perla, che si impadroniscono dei due uomini.

    * L'accento posto sull'affare che realizzano, pi che sulla vendita in s.

    * Il vero discepolo, che un convertito, non afferma: Ho lasciato ma, innanzitutto: Ho trovato: la radicalit del distacco solo il risvolto di un'appartenenza che la prece-de. Il Vangelo sottolinea che lantefatto precede sempre ogni cosa. Ges che ci ha chiamati, ci precede nella ri-cerca, cinterpella! La misura del discepolo e del cristiano dunque l'appartenenza, non il distacco.

    * La gioia spinge: essa scaturisce dall'avere trovato e non dall'avere venduto. Concludendo:

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    Un noto esegeta affermava: La grazia del Regno partecipa a due qualit: essa sempre inattesa anche quando uno la cer-ca, e non si pu immaginare ci che sar prima di averla tro-vata. sempre cercata anche quando uno ignora di cercarla, perch c' una volont buona profonda e inconscia: il nostro cuore insoddisfatto.7

    Meditiamo sulle parole del Sal 119 (118), 130-131.161-162 e chiediamo a Dio di darci la consapevolezza che la Parola per noi un tesoro autentico:

    La spiegazione della tua Parola illumina, istruisce gli inesperti. Spalanco la bocca per respirare con lansia dei tuoi comandi. Dei principi mi perseguitano senza motivo, trema il mio cuore per le tue parole. Mi rallegro della tua promessa come chi trova ricco bottino.8

    7 L. CERFAUX, Il tesoro delle parabole, Torino 1968, 85. 8 La traduzione presa L. ALONSO SCHKEL - C. CARNITI , I Salmi 2,

    Roma 1993, p. 594-595.

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    3. Comunit fraterna e corresponsabile: il vangelo eccle-

    siastico (Mt 18) 1. In quell'ora si avvicinarono a Ges i discepoli per dirgli:

    Chi dunque il pi grande nel Regno dei cieli?. 2. Egli, chiamato a s un bambino, lo pose in mezzo a loro 3. e disse: Amen Io dico a voi: se non cambiate (vi con-

    vertite) e non diventate come i bambini, certamente non entrate nel Regno dei cieli.

    4. Chi dunque umilier se stesso come questo bambino, co-stui sar il pi grande nel Regno dei cieli.

    5. E chiunque accoglier un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me.

    6. Ma se uno di scandalo a uno di questi piccoli che cre-dono in me, meglio per lui che gli sia legata al collo una macina da asino e sia scaraventato nel fondo del ma-re.

    7. Guai al mondo a causa degli scandali! inevitabile in-fatti che avvengano gli scandali, guai per a quell'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo.

    8. Se la tua mano o il tuo piede ti occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te: meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno.

    9. E se il tuo occhio ti di scandalo, cvalo e gttalo via da te: meglio per te entrare nella vita con un solo occhio, che essere gettato con due occhi nella Geenna del fuoco (lett. nel fuoco eterno).

    10. Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, poich Io dico a voi che i loro angeli nei cieli contem-plano continuamente (hanno continuo accesso al) il volto del Padre mio che nei cieli.

    11. [Infatti, il Figlio dellUomo venuto a trarre in salvo ci che era perduto.]

    12. Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e una di

    esse si smarrisce, non lascia le novantanove sui monti e va in cerca di quella che si smarrita?

    13. Se gli riesce di trovarla, amen Io dico a voi: si rallegrer per quella pi che delle altre novantanove che non si e-rano smarrite.

  • O l t r e l a p a r a b o l a

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    14. Proprio questo il volere del Padre vostro che nei cie-li: che neanche uno di questi piccoli si perda.

    15. Se il tuo fratello pecca, va', riprendilo fra te e lui solo; se ti ascolter, avrai riacquistato il tuo fratello.

    16. Se invece non ti ascolter, prendi ancora con te una o due persone, affinch sulla bocca di due o tre testimoni si stabilisca ogni cosa.

    17. Se non ascolter neppure loro, deferiscilo alla Chiesa e se neppure alla Chiesa dar ascolto, sia egli per te come il pagano e il pubblicano.

    18. Amen Io dico a voi: tutto ci che avrete legato sulla terra rester legato nel cielo; e tutto ci che avrete sciolto sul-la terra rester sciolto nel cielo.

    19. Ancora/ve lo ripeto: amen Io dico a voi che, se due di voi sulla terra saranno d'accordo su qualche cosa da chiedere, qualunque essa sia, sar loro concessa dal Pa-dre mio che nei cieli.

    20. Infatti, dove sono riuniti due o tre nel mio nome, ivi sono io, in mezzo a loro.

    21. Allora, avvicinatosi, Pietro gli disse: Signore, quante volte devo perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?

    22. Gli dice Ges: Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

    23. Per questo il Regno dei cieli va paragonato a un uomo,

    un re, che decise di fare i conti con i suoi servi. 24. Appena per incominciato a fare i conti, gli fu portato

    davanti un debitore di diecimila talenti.9 25. Non avendo per di che pagare, il padrone gli ordin di

    vendere lui, la moglie e i figli e tutto quanto possedeva e saldare il debito.

    26. Caduto allora a terra, il servo lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti restituir tutto.

    27. Mosso per a compassione, il padrone di quel servo lo rilasci e gli condon il debito.

    9La somma di diecimila talenti astronomica: Giuseppe Flavio parifica

    un talento a diecimila denari, sicch diecimila talenti farebbe circa cento milioni di denari (dove un denaro sta per una paga media giornaliera). In realt, si tratta di una cifra iperbolica, basti pensare che il gettito annuo del-le tasse di Erode in Galilea era di duecento talenti. (A. MELLO, Vangelo secondo Matteo, Magnano (VC) 1995, pp. 329-330.

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    28. Appena che era uscito, quel servo incontr uno dei suoi compagni di servit che gli doveva cento denari. E, af-ferratolo, lo strozzava dicendogli: Paga quanto mi de-vi!.

    29. Caduto allora a terra, il compagno lo supplicava dicen-do: Abbi pazienza con me e ti pagher.

    30. Ma non volle, anzi, allontanatosi (da lui), lo fece gettare in prigione, finch non avesse pagato il debito.

    31. Avendo visto allora i suoi compagni quel che era acca-duto, ne rimasero rattristati assai e andarono a raccontare dettagliatamente tutto al padrone.

    32. Allora il padrone, chiamatolo, gli dice: Servo malvagio, ti ho perdonato tutto quel debito, perch mi hai supplica-to.

    33. Non dovevi anche tu aver compassione del tuo compa-gno, come io ho avuto compassione di te?.

    34. E, adiratosi, il padrone lo consegn agli aguzzini, finch non avesse pagato tutto il debito.

    35. Proprio cos il Padre mio celeste tratter voi, se non per-

    donerete di cuore ciascuno al proprio fratello.

    Mt 18 presenta questa composizione parallela:

    A. vv. 1-5: accoglienza dei bambini; B. vv. 6-11: lo scandalo per i piccoli;

    C. vv. 12-14: la parabola della pecora smarrita; A . vv. 15-20: accoglienza ecclesiale;

    B' . vv. 21-22: il perdono ecclesiale; C . vv. 23-35: la parabola del Re misericordioso.

    I vv. 15-20 richiamano i vv. 1-5; i vv. 21-22 riprendono i

    vv. 6-11; infine i vv. 23-35, la seconda parabola, esplicitano la prima. Notiamo due grandi parti: vv. 1-14; vv. 15-35. Nel-la prima parte gli interlocutori principali sono i piccoli; nel-la seconda sono i fratelli della comunit.

    Dalle corrispondenze delle sei sequenze risulta un primo messaggio essenziale:

    A-A: Dallaccoglienza dei bambini si passa a quella estrema del

    proprio fratello;

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    B-B: c' un legame tra l'indurre in peccato i bambini e il perdono ecclesiale;

    C-C: lo stile del Padre: cercare chi perduto e perdonare senza limiti, nonostante ogni chiusura e non-reciprocit.

    Il contesto del brano evidenzia che Ges, respinto nella sua

    patria (episodio di Nazaret: 13,53-58), si concentra ora sui discepoli e si dedica alla loro formazione. Anche lungo il cammino verso Gerusalemme, ove si avr il confronto deci-sivo con i capi del Giudaismo, continua a offrire ai suoi amici la sua vita e le sue parole, per prepararli allo scandalo della croce. A Cesarea di Filippo (16,13-28), nel punto pi a nord della Palestina percorsa da Ges, in pieno territorio pagano, sotto le pendici del monte Ermon, in quello che oggi cono-sciuto come Banyas10, Pietro confessa la propria adesione al Maestro (Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente, 16,16), ma non accetta la logica che porter il Cristo a vivere tragi-camente il ripudio della citt santa. Ges in modo forte gli ordina di rimettersi dietro, in atteggiamento di sequela, evi-tando di porre il passo davanti al cammino che Ges vuole e deve compiere. In quell'occasione Ges detta le condizioni per seguirlo: Se qualcuno vuole venire dietro di me (16,24-28).

    Al capitolo 17, sul monte della Trasfigurazione, il Tabor, a circa 30 Km da Nazaret, sar poi il Padre a testimoniare del Cristo suo Figlio: Questi il mio Figlio prediletto nel quale ho posto la mia compiacenza: ascoltatelo!.

    Tornati poi di nuovo sul lago, a Cafarnao, la patria di Pie-tro, proprio prima del discorso ecclesiastico, Matteo racconta l'episodio della tassa per il Tempio: Ges manda Pietro a pe-scare un pesce, nella cui bocca trover una sola moneta d'ar-gento, con la quale pagher la tassa per il Maestro e per se stesso. Quell'unica moneta, che ha due facce, profeticamente

    10 Il nome deriva da Paneas (luogo dedicato al dio Pan, venrato nelle

    grotte da cui ancora oggi scaturiscono le sorgenti d'acqua che confluiscono nel nascente fiume Giordano. Augusto, nel 20 a.C. aveva donato questa regione a Erode il Grande che, per ovvia riconoscenza, edific presso queste grotte, incassato nella roccia viva, un tempio dedicato al divino Augusto. Il figlio di Erode, Filippo, abbell e ingrand la cittadina e la chiam Cesarea, in onore di Cesare Augusto. In genere conosciuta con il nome di Cesarea di Filippo, per distinguerla da Cesarea marittima, sede ufficiale del procura-tore romano (al tempo di Ges Ponzio Pilato vi dimorava, salendo a Gerusa-lemme per le feste pi importanti).

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    annuncia a Pietro che condivider fino in fondo il sacrificio di Ges, seguendolo sulla croce.

    Ecco dunque il contesto in cui Matteo apre questa pagina cos importante per edificare la chiesa.

    eccessivo scorgere in Mt 18 una regola della comunit paragonabile a quella di Qumran. L'unico frammento di codi-ce disciplinare si pu scorgere nei vv. 15-18. Matteo ha com-posto con diversi materiali un'istruzione che ha di mira la vita interna della comunit cristiana. Il suo interesse va agli atteg-giamenti fondamentali, che devono regolare i rapporti vicen-devoli. Essi, a loro volta, scaturiscono dall'evangelo, la bella notizia di un amore generoso e gratuito, che avvolge ogni discepolo di Ges e ne determina la condotta.

    3.1 Chi il pi grande nel Regno dei cieli?

    Mt 18 inizia con una domanda fondamentale: Chi il pi

    grande nel Regno dei cieli?. In essa emerge il riflesso dei problemi e delle ambizioni della comunit di Matteo. La do-manda per del tutto comprensibile nell'orizzonte giudaico e nel quadro del ministero di Ges. Ponendo il problema del pi grande i discepoli non hanno intenzione di disputarsi il potere o le posizioni di prestigio a fianco del Messia11, bens (cf. Mt 5,19; 11,11) sollecitare dal Maestro un chiarimento intorno a una questione realmente religiosa: Chi vale di pi di fronte a Dio?

    La risposta di Ges sorprendente. una lezione concreta, che ricorda certi gesti simbolici dei profeti antichi. Il bambi-no, che Ges chiama a s e pone in mezzo al gruppo, il simbolo della non-importanza, della non-sufficienza, della dipendenza; uno che pu solo ricevere e accetta con gioia e semplicit ci che gli viene offerto.

    Con due frasi incisive Ges esplicita e commenta. Si tratta di ritornare, nel senso di volgersi indietro, cambiando o-rientamento e mentalit: bisogna diventare (Ges non dice restare) proprio come quel bambino nei confronti del Regno di Dio. L'autentica grandezza nel Regno dei cieli in propor-zione a questo atteggiamento di umilt. Ges intima ai disce-

    11 Su questo tema fa riflettere l'altro episodio, quello dei figli di Zebedeo

    (Mt 20,20-28).

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    poli di evitare pretese sul Regno e di accogliere con sempli-cit tutto ci che sta loro donando.

    L'insegnamento sar ribadito nella scena parallela di Ges che accoglie e benedice i bambini: Lasciate che essi venga-no a me e non glielo impedite, perch il Regno dei cieli di quelli che sono come loro (19,14).

    3.2 Chiunque accoglie un solo bambino

    L'insegnamento continua a partire dal medesimo gesto

    simbolico. Ora il bambino non pi soltanto il modello, ma addirittura l'oggetto di un impegno. Come Ges lo ha posto al centro del gruppo, cos i discepoli dovranno accogliere e prendersi cura di chi come lui: E chiunque accoglie un so-lo bambino come questo nel mio nome, accoglie me (18,5); o - come traduce la versione Interconfessionale della Bibbia in lingua corrente - E chi per amor mio accoglie un bambino come questo, accoglie me.

    Per l'evangelista Matteo il bambino rappresenta non solo un'et e una condizione sociale, bens chiunque nella comuni-t piccolo. Accoglierlo nel nome di Ges significa pren-dersi cura di lui, averne cura in vista della persona di Ges, secondo il suo esempio e il suo insegnamento, come suoi di-scepoli. E chi lo accoglie, - afferma Ges - in verit accoglie me.

    Questa inquietante identificazione tra Ges e i piccoli, i poveri, i sofferenti, sar ampiamente trattata nel discorso e-scatologico (25,35-46). Il giudizio finale avr come criterio proprio l'atteggiamento di amore e servizio verso chi nella necessit. opportuno per notare un cambiamento di pro-spettiva: l s'intende riferirsi a tutti i poveri e sofferenti, con i quali Ges fraternizza e in qualche modo si identifica; nel nostro capitolo 18, invece, si tratta dei membri della stessa comunit cristiana.

    Matteo sviluppa l'esortazione iniziale ad accogliere, sot-tolineandone anche il contrario: il tema dello scandalo (vv. 6-9) e il divieto di disprezzare uno solo di questi piccoli (v. 10). La parabola del pastore che va in cerca dell'unica pecora che si smarrita (vv. 12-14) intende sottolineare il valore che ognuno di questi piccoli ha agli occhi di Dio. Dal v. 15 ini-zia una seconda parte, che svolge il tema della correzione fra-

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    terna (vv. 15-17) e del perdono fraterno (vv. 21-35): si tratta di due forme concrete e impegnative di accoglienza, di amore sollecito verso i fratelli, soprattutto quando rischiano di perdersi oppure di diventare degli estranei.

    Il brano sullo scandalo riguarda i piccoli che credono in Cristo (v. 6). Questa espressione traduce l'immagine pre-cedente dei bambini (v. 5). Matteo pensa certamente a quei cristiani che nelle diverse comunit sono maggiormente e-sposti a vacillare, a cadere, perch la loro fede ancora de-bole e immatura. Le parole severe del Signore, destinate sia ai capi della Chiesa sia a quelli che Paolo avrebbe chiamato i forti (Rm 15,1; cf. 1 Cor 8), richiamano alla responsabilit di ognuno davanti a Dio. Vi sono gi tante occasioni di in-ciampo (scandalo) nel mondo. Il pi elementare dovere di ogni discepolo di non crearne altre con un comportamento oppure con dottrine (cf. Mt 24,24) che inducano all'errore e al peccato.

    3.3 Non si perda neanche uno solo...

    La tentazione della grandezza porta a disprezzare, ossia a

    trascurare, a non darsi pensiero della condizione dei piccoli. Siamo davanti a una vera e propria forma di irresponsabilit, del tutto contraria all'insegnamento di accogliere. L'evange-lista Matteo offre due riflessioni teologiche: la prima, alquan-to misteriosa e in modo indiretto, pone in rilievo la grande dignit dei piccoli davanti a Dio: I loro angeli nel cielo contemplano continuamente il volto del Padre mio che nei cieli (v. 10); come a dire che essi sono carissimi a Dio12.

    La parabola della pecora smarrita (vv. 12s) chiude questa prima parte di Mt 18, facendo risaltare in aggiunta la premura del Padre per la loro salvezza.

    Nell'argomentazione si passati dal negativo (non essere d'inciampo, non disprezzare) al positivo: chiunque desidera

    12S. LEGASSE, Jsus et l'enfant. Enfants, petits et simples dans

    la tradition synoptique, Paris 1969, p. 72: L'espressione vedere il volto ripresa dal vocabolario delle corti regali, quale appare nella Bibbia (2Sam 14,24.28.32; 2 Re 25,19; Est 1,14), ove con essa s'intende il fatto di essere al servizio immediato del monarca, oppure di essere ammesso nella sua in-timit... Ges si appella alla stessa formula a proposito del re celeste... attri-buendo cos agli angeli dei piccoli un posto e un ruolo speciale presso Dio: con ci mostra quanto i loro protetti sono cari a Dio, come a lui stesso.

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    accogliere Cristo nella persona dei piccoli deve far propria la premura del Padre e camminare incontro a loro.

    3.4 Se il fratello pecca

    Questa bellissima pagina sulla correzione fraterna (vv. 15-

    17) inserita nell'ampia cornice del tema dell'accoglienza e rappresenta anche l'applicazione della preoccupazione del Padre celeste, il cui volere che neanche uno di questi pic-coli si perda (v. 14). L'amore si preoccupa di condurre al ravvedimento il fratello che pecca, senza per altro sconvolge-re la comunit. Ogni passo va fatto fino in fondo con accor-tezza e gradualit.

    La chiesa inoltre presentata come mezzo di salvezza, at-traverso il quale il Padre accoglie e salva ogni credente: in essa presente il Cristo risorto, l'Emmauele ( = con noi c' proprio Dio).

    interessante il commento che riporta un grande padre della chiesa:

    Quandanche tu avessi ammonito il tuo fratello per tutto il tempo

    della tua vita, non dovresti smettere n disperare. Non senti quante volte Dio ci esorta per bocca dei profeti, degli apostoli, degli evangeli-sti? E noi facciamo tutto ci che ci viene comandato dal Vangelo? No, purtroppo. Forse Dio, per questo, ha cessato di dare i suoi avver-timenti? rimasto in silenzio? Non continua forse a ricordarci ogni giorno che non possiamo servire insieme Dio e il denaro, eppure in molti cresce lavidit delle ricchezze e la tirannia del denaro? Molti si sprofondano peggio dei porci, in questo peccato. Malgrado tutto ci, Dio non cessa mai di ammonirci. Se per salvarci non basta la virt personale, ma noi dobbiamo partire da questo mondo avendo guadagnato anche altri, che cosa dovremo attenderci se non salveremo n noi stessi n gli altri? Quale speranza di salvezza ci pu mai resta-re?13

    3.5 Fino a settanta volte sette?

    Il perdono fraterno la forma di accoglienza pi alta e an-

    che pi problematica. Nel discorso della montagna, commen-tando il Padre Nostro, Ges ha ribadito lo stretto legame tra

    13 S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Vangelo di S. Matteo,

    Roma 21967, vol. III, 33-34.

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    il perdono che il Padre ci offre e quello che dobbiamo a chi in debito con noi (6,14-15).

    Pietro chiede quante volte deve perdonare. Vuole sapere cio se c' un limite. Egli stesso avanza la cifra di sette, credendo di esagerare. Anche questa cifra un limite. In real-t settanta volte sette vuol dire abbattere ogni limite, perch il perdono illimitato. Siamo davanti al capovolgimento del-la logica vendicativa di Lamech, il quale incarna il rancore degli uomini: Sette volte sar vendicato Caino, ma Lamech settantasette volte (Gen 4,24).

    Pietro deve imparare che il perdono un metro senza me-tro, perch siamo davanti al perdono che non conosce limiti.

    E la drammatica parabola14 che segue, erroneamente citata come la parabola del servo spietato, ci pone davanti allo stile del Padre e alla pochezza umana. Parafrasando l'evan-gelista Giovanni, potremmo dire cos: Se Dio ci ha perdona-to, anche noi dobbiamo perdonarci gli uni gli altri (cf. 1Gv 4,11). Siamo messi davanti al contrasto stridente tra la logica di Dio e quella interessata dell'uomo (cf. Is 41). Il perdono di cui ci parla Ges pu nascere solo dall'esperienza di miseri-cordia che ognuno di noi accoglie dal Padre.

    3.6 La parabola del padrone misericordioso

    Letta all'interno di Mt 18 questa parabola rivolta a coloro

    che appartengono alla comunit e per questo motivo si muo-ve in un ambito squisitamente religioso. Ges parla alla chie-sa e per chiunque appartiene alla sua comunit vale la regola di un perdono senza misura.

    A livello letterario la storia presentata attraverso tre sce-ne: il padrone e il servo, il servo e un altro servo come lui, ancora il padrone e il servo.

    Tra il comportamento del padrone nella prima scena e quello del servo nella seconda c' un contrasto stridente. No-tiamo anche che il comportamento del padrone subisce un rovesciamento tra la prima e la terza scena. La storia regge tutta su un asse: la seconda scena, rispetto alla quale la prima

    14 interessante la presentazione che di questa parabola fa H. WEDER,

    Metafore del Regno, Brescia 1991, 251-260.

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    scena costituisce l'antefatto (lo stile del Padre) e la terza trova in essa la motivazione del capovolgimento.

    Abbiamo gi accennato a come le parabole si reggono su questo elemento di contrasto, per far emergere la differenza abissale tra l'agire di Dio e quello dell'uomo. La buona noti-zia, rivelataci da Ges, spezza ogni tradizione e ci pone in una condizione di scelta radicale: o pensare come Dio oppu-re decadere nel limite, che diventa limite anche per se stessi. 3.6.1 Lo stile di Dio

    La prima scena ci pone davanti a questa singolare caratteri-

    stica: il debito sproporzionato contratto dal servo , all'inter-no della narrazione, inaudito; in realt, per, oltre la metafo-ra, tra Dio e l'uomo questo succede veramente: Dio ci rimette un debito infinito.

    Da notare che il servo non ha chiesto il condono del debito, ma soltanto di prorogare la scadenza: anche questo particola-re denota la gratuit dell'azione del padrone, il quale va ben oltre ci che il servo stesso potesse attendersi, nella narrazio-ne. Nella realt l'uomo sperimenta che ci che ritiene impos-sibile avviene sul serio: Dio ci rimette ogni debito. La rispo-sta di Dio sempre oltre la misura della domanda, oltre le aspettative e le speranze, oltre il giusto.

    Nulla viene detto sulle qualit del servo, se buono e fedele, se abile nel lavoro, se ha reso grandi servizi al suo padrone. Si dice soltanto che ha supplicato: si prostrato a terra nel gesto dell'uomo che si sente colpevole e impotente, si ap-pellato alla magnanimit (makrothumia) del padrone, lo ha pregato come si prega una divinit (proskunein), lo ha chia-mato in aiuto (parakalein). Questa insistenza nel descrivere la supplica del servo non vuole sottolineare la potenza della preghiera, ma la gratuit del condono. A spingere il padrone a rimettere il debito sono state la sua grandezza d'animo (ma-krothumia: animo largo) e la sua compassione. Il perdono misurato sulla grandezza d'animo del padrone, non sui me-riti del servo.15

    Dal sistema di riferimento dell'uomo questa condotta di Dio sembra paradossale ed eccessiva. E proprio in questa so-

    15 B. MAGGIONI, Le parabole evangeliche, Milano 1993, p. 113.

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    vrabbondanza, volutamente presentata con esagerazione, noi scopriamo il mondo di Dio, un mondo che non la fotocopia del nostro, ma diverso, oltre ogni nostra umana aspettativa.

    Per un attimo ogni parabola, andando oltre, lacera la corti-na della logica delluomo e c'immette nel pensiero di Dio. qui che troviamo, comprendiamo e gustiamo una verit di-versa e un altro criterio di valutazione: siamo entrati in unaltra vita!

    3.6.2 Paga quanto mi devi!

    Appena uscito - continua a raccontare Matteo - quel servo

    incontra uno simile a lui ( forte il termine syndulos, conser-vo, compagno nel servizio), il quale gli deve cento denari (cento giornate di lavoro). Se leggessimo questa scena isola-tamente, cio raccontando che un servo deve a uno come lui dieci denari, capiremmo il disagio e la pretesa della restitu-zione: in definitiva sono entrambi servi, vivono con poco e quel debito costituisce un piccolo gruzzolo giustamente riesi-gito dal creditore. La parabola per non pu essere letta cos, perch la prima scena si staglia all'orizzonte, costituendo quell'antefatto che viene a capovolgere ogni cosa: il padrone ha condonato un debito enorme e sproporzionatissimo, co-me mai ora il servo non si ricorda di quest'atto di pura cle-menza e addirittura fa mettere in prigione uno come lui? Ha gi dimenticato l'esperienza di misericordia? Cento denari, posti sui suoi occhi, lo hanno completamente accecato!

    Il Vangelo non pu essere letto a partire dall'uomo, ma dall'atto gratuito di Dio, che unilateralmente decide di rimet-tere tutto. La conversione nasce e trova tutta la sua ragion d'essere proprio in questa realt. Chi ha sperimentato il per-dono di Dio e ne ha fatto veramente esperienza non pu non lasciarsi attraversare da questo perdono e riversarlo sui pro-pri fratelli. Ci che gli capitato dovrebbe costituire il suo nuovo sistema di riferimento e cos comprendere ogni cosa a partire dall'antefatto, cio dal Vangelo, da questa bellissima notizia che, rovesciandoci, ci mette in condizione di valutare a partire dal mondo di Dio.

    Questo servo, per, un attimo dopo aver ricevuto qualcosa di inaspettato e inaudito, gi ricaduto nell'ovvio, nella nor-male logica umana: Paga quanto mi devi!. E la parabola, in

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    questa seconda scena, ci riporta traumaticamente al banale: il servo diventa, in tale condizione, soltanto difensore di una presunta giustizia, ed a tal punto convinto di aver ragione da bloccare la transitivit del perdono ricevuto e, cos facen-do, imporre anche a Dio una logica iniqua e perversa. 3.6.3 Non ho avuto compassione di te?

    Nella terza scena sembra, dico soltanto sembra, perch dobbiamo leggerla bene questa terza scena, che siamo posti davanti a un rovesciamento: il padrone misericordioso della prima scena diventato ora implacabile e inflessibile. Forse che la generosit di Dio sia un fallimento? O peggio ancora il perdono sprecato? L'uomo, a quanto pare, resiste e non si lascia umanizzare. Letta cos la parabola non solo ci lascia con l'amaro in bocca, ma viene a essere soltanto la storia di un fallimento, per giunta annunciato, vista la caparbiet dell'uomo.

    Anche la frase finale, molto probabilmente dovuta piuttosto al pensiero di Matteo che non a quello di Ges, ci riporta al senso banale: Proprio cos il Padre mio celeste tratter voi, se non perdonerete di cuore ciascuno al proprio fratello (18,35). Quasi che si volesse dire che non la infinita miseri-cordia di Dio a tessere il racconto parabolico, ma il nodo centrale del perdono umano. Cos facendo, per, erronea-mente, leggeremmo il perdono fraterno come la condizione indispensabile per conseguire quello di Dio. La parabola non veicolerebbe pi la novit evangelica, piuttosto ci farebbe ripiombare nella ferrea logica umana.

    Cosa successo? Che dire? Siamo davanti a un nodo importante: in verit qualcosa di

    vero c'! Anche nel credente pu esserci la tentazione di ri-calcare la logica umana, ricadendo nel senso banale delle co-se. Una novit come quella del Vangelo di Cristo entra a fa-tica nel cuore dell'uomo. Ricordate l'esperienza di Francesco d'Assisi? Fu chiamato pazzo, perch distribuiva tutto ai pove-ri e si contentava di una vita semplicemente evangelica. E Padre Pio? E Madre Teresa di Calcutta? I santi di ieri e di oggi ci aiutano a comprendere che un po di follia tipica di chi si consegnato tutto al mondo di Dio. La novit del Vangelo trova ostacoli nel nostro prudente realismo.

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    Matteo ci ha voluto comunicare che gi nella sua comunit si resiste alla buona notizia. L'uomo sperimenta disagio e confusione quando vuol far convivere la logica di Dio e quel-la dell'uomo. La novit annunciata e vissuta da Ges di Naza-ret a tal punto diversa, profonda e radicale da proiettarci in un altro sistema di riferimento, a partire dal quale noi, il mondo e Dio si vedono in modo diverso, ma finalmente quel-lo giusto e vero.

    La terza scena ci avverte di tutto questo, ma non pu capo-volgere l'antefatto, che resta in tutta la sua chiarezza: il per-dono gratuito e infinito del Padre previene l'uomo, ieri, oggi e sempre. Questo perdono va accolto e trasmesso: allora s che il perdono fraterno non la condizione per ottenere quel-lo di Dio, ma viene ad essere il momento in cui emerge l'a-more di Dio. Vale dunque la legge transitiva dell'amore: quando lo accolgo da Dio, devo trasmetterlo nella vita di o-gni giorno, e cos facendo nei miei gesti quotidiani s'incarna ancora oggi - questo s vero miracolo - l'eterna e caldissima carit divina!

    Questa stupenda parabola dunque dichiara che tutto deve essere riletto a partire dal rapporto che Dio ha con l'uomo (la prima scena). Le relazioni poi tra uomini (seconda scena) de-vono rivelare, in trasparenza, quest'esperienza forte dell'ante-fatto del Vangelo, nuovo sistema di riferimento e di valuta-zione. Cos facendo non c' bisogno di parlare di un rapporto dell'uomo con Dio, perch da come ci poniamo verso i fratel-li noi riveliamo pure il nostro autentico rapporto con Dio.

    Il Padre in verit non ha mutato atteggiamento, dalla mise-ricordia alla severit; riusciamo solo a balbettare il mistero di Dio, per cui Matteo ha cercato di sciogliere un nodo difficile.

    Il perdono al fratello non la condizione della verit del perdono di Dio, come se prima di questa verifica il perdono di Dio fosse condizionato, una promessa pi che una realt. La verit o la non verit tutta da parte dell'uomo: la li-bert dell'uomo che accoglie o rifiuta, offre o nega al perdo-no di Dio lo spazio per farsi realt.16

    La parabola prima di tutto intende dichiarare lo stile di Dio il quale, nonostante le difficolt dell'uomo, si pone innanzi a questultimo con tutta la forza del suo amore, in modo espan-

    16 B. MAGGIONI, Le parabole evangeliche, Milano 1993, p. 117.

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    sivo e non interessato. Dio ama con la valenza della gratuit, non come l'uomo, che attende sempre una ricompensa. Lo stile di Dio dunque di amare ci che sceglie (e ha scelto l'uomo), non di scegliere ci che si ama (come facciamo pur-troppo noi uomini). La sua fedelt sovrasta la nostra vita, perch come c'insegna il Sal 117 (116):

    perch la lealt del Signore pi forte di noi (ci supera) ed eterna la fedelt del Signore.17

    Qualunque via percorrer l'uomo, Ges c'insegna che il Pa-

    dre tutto avvolge nello spazio del suo eterno e forte amore.

    17 La traduzione presa da L. ALONSO SCHKEL - C. CARNITI , I Salmi

    2, Roma 1993, p. 570. Da notare in questa figura stilistica, il chiasmo, che i termini lealt e fedelt si corrispondono; cos pure capiamo che la vera for-za dell'amore consiste nel suo essere amore eterno!

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    4. Un denaro a ciascuno operaio (Mt 19,30-20,16) 19,30 Ma molti primi saranno ultimi e (molti) ultimi primi. 20,1 Infatti il Regno dei cieli simile a un padrone di casa,

    che usc sul far del giorno per assumere a giornata operai per la sua vigna.

    2. Accordatosi con i lavoratori per un denaro al giorno, li mand nella sua vigna.

    3. E, uscito verso le nove18, ne vide altri che stavano sulla piazza oziosi

    4. e (rivolto a) loro disse: Andate anche voi nella mia vigna e vi dar quanto giusto.

    5. Quelli andarono. Uscito di nuovo verso mezzogior-no19, e verso le tre del pomeriggio20 fece altrettanto.

    6. Uscito poi verso le cinque21, ne trov altri che stava-no l e dice loro: Perch state qui tutta la giornata ?

    7. Dicono a lui: Perch nessuno ci ha assunti a giornata. Dice loro: Andate anche voi nella mia vigna.

    8. Venuta la sera, il padrone della vigna dice al suo fat-tore: chiama gli operai e d loro la paga cominciando dagli ultimi fino ai primi.

    9. E venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevette-ro un denaro ciascuno.

    10. E arrivati i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di pi. E ricevettero anchessi un denaro ciascuno.

    11. Ma, ricevendolo, mormoravano contro il padrone di casa:

    12. Questi ultimi hanno lavorato un'ora sola e li hai fatti uguali a noi, che abbiamo portato il peso della giorna-ta e il caldo.

    13. Rispose per a uno di loro: Amico, non sono ingiusto con te. Non ti sei accordato con me per un denaro?

    14. Prendi il tuo e vattene. Ma voglio dare anche a quest'ultimo come a te.

    18 Il testo parla di ora terza. 19 Si legge nel testo ora sesta. 20 la nona ora. 21 lundicesima ora.

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    15. O non mi permesso fare ci che voglio nelle cose mie? O il tuo occhio cattivo perch sono buono?

    16. Cos gli ultimi saranno primi e i primi ultimi.

    La vigna il tema fondamentale di tre grandi parabole: quella del denaro dato a ciascuno operaio (il nostro testo), la parabola dei due fratelli nella vigna (21,28,32) e quella dei vignaioli omicidi (21,33-41).

    Dopo il lungo discorso del cap. 18, Ges riparte dalla Galilea e arriva nel territorio della Giudea (a sud della Pa-lestina), al di l del fiume Giordano (Mt 19,1). I Farisei an-cora una volta lo vogliono mettere alla prova e inizia un dibattito sul matrimonio e sulla verginit per il Regno dei cieli.

    Segue subito dopo lepisodio con i bambini presentati a Ges per riceverne limposizione delle mani (una benedi-zione) e il famosissimo episodio del giovane ricco. La Bib-bia della CEI e anche la nuova edizione del NT (sempre CEI) riportano il versetto 19,3022 come la finale dellepisodio del giovane ricco. In realt questo ritornello volutamente ripetuto in 20,16 ed composto in modo in-crociato (la sequenza primi-ultimi e ultimi-primi di 19,30 ribaltata in 20,16: ultimi-primi e primi-ultimi).

    La Nuovissima versione delle Paoline invece evidenzia nel testo questa inversione.

    La parabola del denaro dato dal padrone a ciascuno degli operai rispecchia la vita della Galilea dellepoca di Ges. Le vigne sono delle grandi propriet e, quando il frutto maturo, il padrone, per vendemmiare pi velocemente, as-solda altri operai, onde evitare che i succosi grappoli si de-teriorino. Questa parabola a una prima lettura lascia sem-pre un po confusi, perch, se non si segue il filo narrativo e si centra il discorso, resta tutto poco chiaro. Come gi ri-cordato nellintroduzione, possiamo dare questimmagine delle parabole: esse sono come un lavoro a maglia, che una mamma sta portando a termine. Se i ferri, che impugna con tanta maestria sotto le braccia, non infilano maglia per ma-glia, allora quelle non infilate producono un buco, che, man mano che il lavoro prosegue, diventa sempre pi

    22 Ma molti primi saranno ultimi e (molti) ultimi primi.

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    grande e rovina il lavoro. Per interpretare bene ogni para-bola fondamentale operare passo passo una lettura attenta e pesata degli elementi letterari, altrimenti le parabole ci resistono, non schiudono limmenso tesoro nascosto.

    Dobbiamo per prima cosa mettere in rilievo un particola-re: Matteo non vuole assolutamente farci un discorso sulle relazioni di lavoro tra padrone e operai, n affrontare il te-ma dei criteri della giustizia che regola tali relazioni. Ges poco prima ha risposto ai Farisei ed ora parla a Pietro e ai suoi compagni; siamo dunque posti davanti al tema dei rapporti religiosi e della giustizia di Dio. Se - oltre la meta-fora - questo padrone Dio, possibile che si comporti in modo apparentemente cos strano? Perch non tiene con-to della diversit di prestazioni effettuate dagli operai?

    Per entrare con metodo corretto nella trama della para-bola, suggerisco sempre, una volta effettuata unattenta let-tura, di raccontarla, a partire esclusivamente dal testo, sen-za aggiungere n togliere nulla, cos da comprendere la traccia narrativa e tutto ci che serve per interpretarla cor-rettamente.

    Il padrone di una vigna ha bisogno di assumere operai per la vendemmia e, fin dalle prime luci dellalba, esce per trovarne. Con i primi che trova egli si accorda23 per un de-naro al giorno. La paga proprio quella di quel tempo, dunque il padrone ha concordato il prezzo.

    La parabola per inizia a metterci davanti dei particolari che escono dalla normalit dei rapporti, perch il padrone assume operai alle nove del mattino (gi tre ore dopo linizio dei lavori) e addirittura unora prima del tramonto (ben undici ore dopo!). A quelli delle nove ha promesso quanto giusto. Agli altri dice solo di andare a lavorare, dal momento che se ne restano oziosi, non essendo stati as-soldati. Questo andare oltre la sequenza normale della narrazione costituisce il nodo del racconto. Perch succede tutto questo? Lascoltatore della parabola inizia a formula-re in s delle domande: perch assolda operai a tutte le o-re? Perch concorda solo con i primi? Cosa dar agli altri a

    23 interessante il verbo usato: symphne, da cui deriva pure il nostro

    termine sinfonia: melodia, insieme di suoni armonici.

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    fine giornata? Se ha dato un denaro agli ultimi, che riceve-ranno i primi?

    Si crea una drammatica attesa, lacerata dalla freddura fi-nale: i primi ricevono ugualmente un denaro!

    Sentite il mormorio? Non sono solo gli operai della pri-ma ora, siamo anche noi che stiamo borbottando, non riuscendo a mandare gi il boccone amaro. Non solo essi, ma anche noi ci aspettavamo una ricompensa maggiore per i primi: hanno lavorato tutta la giornata, hanno sostenuto il peso e la fatica di tante ore non giusto! Ecco il grido soffocato e a stento biascicato nella rabbia e nella delusio-ne.

    qui il nodo, il cuore della parabola, in questa apparente ingiustizia, davanti alla quale lungo il corso della storia dellinterpretazione si cercato di rispondere. La parabola stata letta in chiave vocazionale: Dio chiama a tutte le ore ( ancora oggi una delle letture dominanti). Oppure si in-travisto il tema del giudizio: anche i primi possono sentirsi dire di prendere il proprio e di andarsene. Si pensato an-che al particolare del fattore che inizia a pagare dagli ulti-mi: ecco Dio rovescia le scale gerarchiche dei valori uma-ni: ai ricchi fa subentrare i poveri. Altri, infine, sottolinea-no il particolare dialogo tra gli oziosi e il padrone, il qua-le tratta tutti come i primi, perch, chi ancora sulla via ad attendere il lavoro, senza nessuna colpa.

    Un fondo di verit in queste spiegazioni sicuramente c, ma esse si muovono alla periferia della parabola, che, piut-tosto, mette al centro il particolare dellunico denaro dato a ciascuno. da qui che dobbiamo procedere per entrare nel-le maglie della narrazione.

    Ges, sul particolare del denaro dato a ciascuno, intende darci un insegnamento profondo: ci che a noi sembra in-giusto, in verit conforme alla giustizia di Dio. Essa ro-vescia i nostri sistemi di riferimento e di valutazione, per-ch la giustizia di Dio non pu essere a misura delluomo, ma a misura di Dio stesso! Il padrone - notate bene! - non scaccia i mormoratori n pretende di disporre delle sue co-se a suo piacimento; anzi sta dialogando con essi (li chiama amici) e con essi riprende il filo della storia - ancora una volta - del rapporto che Dio instaura con luomo! Ha con-cordato un denaro (ricordate il verbo usato?) e un denaro

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    ha dato. Egli dunque stato giusto. Pagando anche gli ul-timi con un denaro, per, Dio li ha trattati come i primi, anzi li ha fatti simili ai primi. Ecco dov lintoppo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora sola e li hai fatti ugua-li a noi (v. 12), dicono i mormoratori.

    Cosa emerge da tutto questo? Forse che Dio ha violato la giustizia? La sua bont non ha dato a ciascuno secondo il loro impegno?

    proprio qui che luomo con la sua logica va a impanta-narsi: egli si attende da Dio una giustizia umana, cio proporzionale: ho lavorato dodici ore, mi devi pagare per dodici ore! No! La giustizia di Dio non cos, cio non ri-spetta i canoni della nostra proporzionalit! Il Padre ol-tre i nostri criteri di bont e giustizia. Dio non si muove negli angusti spazi della giustizia proporzionale e delle dif-ferenze sottolineate. Egli viene incontro ad ogni uomo24, non importa se giusto o peccatore, dilatando con la gratuit del suo amore il nostro rapporto con Lui.

    Il padrone ha risposto ai mormoratori: O il tuo occhio cattivo perch sono buono? (v. 15). Essi brontolano non perch non sia stato dato loro quanto pattuito, ma perch vedono tragicamente accorciarsi la distanza tra di loro (li hai fatti simili a noi): ecco nascere come un cancro lamara pianta dellinvidia, che diventa malignit, avversione, rab-biosa critica. E mentre gli uomini navigano nelle perigliose acque della giustizia proporzionale, creando criteri angusti e scale di graduatorie nei rapporti con i propri simili, e qualche volta anche con Dio, il Padre celeste si dirige negli ampi spazi dellamore gratuito e garantito a tutti. Ges venuto a cercare e a salvare chiunque perduto. E cos, laddove la progenie umana erige il suo totem, che si chia-ma rendimento/ricompensa, schema incapace di raccontare e svelare il mistero del Padre, Dio manifesta il suo cuore, nel quale ha stabile dimora lAmore eterno e gratuito. Questamore proprio Ges Cristo:

    Egli la mano che tendi, o Padre, ai peccatori, la parola che ci salva,

    24 splendida la prima preghiera eucaristica della riconciliazione. Medi-

    tala!

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    la via che ci guida alla pace.25

    Dio non opera un capovolgimento, perch fa gli ultimi co-me i primi, senza che questi siano per abbassati. La vera in-versione la deve operare luomo, che nella propria vita deve conservare la legge della proporzionalit, ma non la deve considerare un totem sacro, inviolabile, bens solo un ele-mento del tutto, non la pietra angolare. Se cos fosse, sa-remmo davanti alla tentazione continua di costruirci un dio a nostra immagine e somiglianza!

    Il centro della parabola ora sufficientemente chiaro: non lo schema rendimento/ricompensa rivela il mistero di Dio, ma la gratuit.

    Rivelazione di Dio, la parabola anche, di conseguenza, un forte avvertimento: se vuoi sporgerti sul mistero di Dio, lberati dallo schema della rigida proporzionalit.26

    Rimane unultima domanda: la parabola vale per i giusti o per i peccatori?

    In verit vuole rivelare a tutti la gratuit e lo stile di Dio, ricordando ai giusti di non imprigionare Dio nello schema angusto della giustizia proporzionale e ai peccatori annuncia la buona novella che anchessi, considerati sempre ultimi, sono trattati da Dio come i primi.

    Il fondamento della nostra vita, ancora una volta ci detto chiaramente da Ges, risiede in Dio:

    Solo in Dio il riposo, anima mia, da Lui la mia salvezza. Lui solo mia rupe, mia salvezza, la mia piazzaforte: non vaciller.27 Sal 62 (61),2-3

    25 Preghiera eucaristica della Riconciliazione II. 26 B. MAGGIONI, Le parabole evangeliche, Milano 1993, p. 123. 27 La traduzione presa da L. ALONSO SCHKEL, I Salmi, Roma 1992,

    p. 933.

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    5. Ogni cosa pronta: venite alle nozze! (Mt 22,1-14) 1. E rispondendo, Ges di nuovo parl loro in parabole,

    dicendo: 2. Il Regno dei cieli simile a un uomo, un re, che fece un

    banchetto di nozze per suo figlio. 3. E invi i suoi servi a chiamare coloro che erano stati in-

    vitati alle nozze, ma non vollero venire. 4. Di nuovo mand altri servi dicendo: Dite agli invitati:

    ecco, il mio pranzo ho preparato, i miei buoi e i miei a-nimali ingrassati sono stati uccisi e ogni cosa pronta: venite alle nozze!

    5. Ma quelli, senza darsene pensiero, si allontanarono, chi al proprio campo, chi al proprio commercio.

    6. I rimanenti poi presero con la forza i suoi servi, li insul-tarono con arroganza e li uccisero.

    7. Ma il re ne fu adirato e, inviate le sue armate, fece perire quegli omicidi e bruci la loro citt.

    8. Allora dice ai suoi servi: il banchetto di nozze pronto, ma gli invitati non ne erano degni.

    9. Andate dunque ai crocicchi delle strade e chiamate al banchetto di nozze quanti trovate.

    10. E quei servi, andati lungo le strade, radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni; e la sala della festa di nozze fu riempita di commensali.

    11. Ma il re, entrato per osservare i commensali, vide l un uomo non vestito dell'abito nuziale.

    12. E gli dice: Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito di nozze? Ma quello fu ridotto al silenzio.

    13. Allora il re disse ai servitori: Dopo averlo legato mani e piedi, gettatelo fuori nelle tenebre: l sar il pianto e lo stridore dei denti.

    14. Molti, infatti, sono chiamati, ma pochi eletti. Dopo la parabola esaminata al capitolo precedente, Ges,

    presi in disparte i Dodici, lungo quella via che lo conduce a Gerusalemme, annuncia loro, per la terza volta, che il Figlio dellUomo sar consegnato ai Sommi Sacerdoti e agli Scribi e sar messo a morte sulla croce. Il terzo giorno per risusci-ter.

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    Proprio in questo drammatico frangente si avvicina a Ges la madre dei figli di Zebedeo, cio Giacomo e Giovanni, per presentare una richiesta che levangelista Marco legge come scandalosa, perch la pone in bocca agli stessi discepoli. Matteo attutisce questa richiesta lasciando parlare la madre. E alle mamme a volte permesso chiedere cose impossibili per i propri figli. Cosa chiede questa donna? Desidera che Ges faccia sedere alla sua sinistra e alla sua destra i suoi due figli. Questi posti, per, non solo sono posti donore, ma in-dicano pure una strettissima associazione allautorit di colui che comanda. come se oggi quella mamma chiedesse i due ministeri pi importanti in un governo!

    Ges coglie loccasione per insegnare ai discepoli che stare con Lui significa essere associati al suo mistero doloroso. E mentre nel mondo i capi delle nazioni spradoneggiano, tra coloro che vogliono essere discepoli di Cristo non deve esse-re cos. Chiunque desidera diventare grande, deve farsi dia-cono e servo per laltro.28

    Mt 20 si conclude con lepisodio dei due ciechi di Gerico, che diventano discepoli senza volerlo, perch hanno accolto lofferta di accesso alla luce della salvezza.

    Con il cap. 21 Ges entra a Gerusalemme, dalla parte di Betfage, lattuale Kafr-el-Tur, dietro la collina del Getsema-ni, vicino Betania (il paese di Marta, Maria e Lazzaro). La folla numerosissima lo accoglie festante, salutandolo come il Messia. Tutta la citt (21,10), per, fu scossa da fremiti.29 Il tremore di Gerusalemme manifesterebbe una specie di paura. Ma la domanda:Chi costui?, non esprime necessariamente incredulit; essa pu invece ricordare la meraviglia degli uo-mini, dopo la tempesta sedata: Chi costui che anche i venti e il mare gli obbediscono? (8,27).30

    La risposta data dalla seconda reazione allingresso mes-sianico di Ges, quella della folla dei seguaci: Costui il profeta Ges, da Nazaret di Galilea (21,11).

    28 Ecco la legge della fraternit: la diaconia (il servizio) e la duleia

    (schiavit). Maria nella risposta allangelo Gabriele si proclama la schiava del Signore (Lc 1,38).

    29 Matteo usa il verbo sei al passivo, usato pure per indicare il terremo-to in 27,51 e per le guardie in 28,4

    30 A. MELLO, Evangelo secondo Matteo, p. 366.

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    Segue il gesto profetico di Ges nel Tempio, allorquando scaccia i cambiavalute, volendo insegnare che giunta lora di riconsegnare luomo alla sua interezza, cos che sia in co-munione con il suo Dio. Ecco anche lo scopo del Tempio.

    Lepisodio del fico maledetto da Ges (21,18-22) va letto come una denuncia chiara della mancanza di fede dellIsraele ufficiale, per anche un rimproverare e uno spronare i di-scepoli ad aderire a Lui con tutto se stessi.

    Ora Matteo ci segnala il punto di partenza per comprendere la nostra parabola. Ges entra nel Tempio dove insegna di solito (21,23-27). La domanda dei Sommi Sacerdoti e degli Anziani (21,23)31 , ancora una volta, indice della loro rilut-tanza a confidare in Ges. Per questo motivo Ges risponde alla loro domanda sullautorit con cui agisce con una con-trodomanda (tipico procedimento dialettico rabbinico). La loro indecisione circa il Battista impedisce loro di accedere alla comprensione dellautorit profetica, prima ancora che messianica, di Ges.32

    Abbiamo cos in Mt 21,28-22,14 tre parabole che indicano il rifiuto del Regno: i due fratelli nella vigna (21,28-32); i vi-gnaioli omicidi (21,33-45) e la nostra parabola in esame: la grande cena (22,1-14).

    Dobbiamo allora innanzitutto notare che il nostro testo la terza parabola, cio lultima di questa serie, che, a motivo dellinteressantissimo contesto, va letta come il punto finale della risposta alle classi ufficiali. Esse sono rappresentate nel figlio allapparenza obbediente, ma di fatto riluttante e nei vignaioli omicidi, che non solo disprezzano il figlio del pro-prietario della vigna, ma addirittura lo uccidono. Mt 21,45-46 ci racconta inoltre: I Sommi Sacerdoti e i Farisei, avendo udito le sue parabole, compresero che parlava di loro. E cer-cavano di arrestarlo, ebbero per paura delle folle, poich esse lo consideravano un profeta.

    Ges, invece, rispondendo al loro atteggiamento, continua a insegnare in parabole e ci offre questa terza fase della ri-sposta.

    Come al solito utile ripercorrere insieme il filo narrativo, cos da entrare con docilit e rispetto nel testo biblico, evi-

    31 In virt di quale potest fai tu queste cose? Chi ti ha dato questo pote-

    re? 32 A. MELLO, Evangelo secondo Matteo, p. 373.

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    tando nostri pregiudizi e risposte affrettate. la Parola che deve parlare ed essere ascoltata da noi.

    Notiamo subito che si parla di un re, che imbandisce un banchetto per le nozze di suo figlio. Gi allinizio, nelluso di queste due immagini, usate spesso dai profeti per annunciare il Regno di Dio, Ges provocatoriamente sta ancora una vol-ta rispondendo con quale autorit egli agisce, parla, testimo-nia.

    Linvito pressante (ben due volte nei vv. 3 e 4): Tutto pronto; venite alle nozze. Ogni pio israelita avrebbe certa-mente accettato lonore ricevuto. Tanto per intenderci: se uno di noi cristiani, oggi, fosse invitato dal beatissimo Papa Gio-vanni Paolo II, chi rifiuterebbe linvito? No!, vi dico, nessu-no rifiuterebbe.

    La parabola ci pone dunque davanti un primo fatto impre-vedibile: una sorpresa vera e propria. Il testo annota che glinvitati non se ne danno pensiero, anzi si allontanano, prendono le distanze per dedicarsi ai propri commerci.33 Al-cuni, addirittura, arrivano a uccidere i servi del re, il quale resta adirato e sbigottito di una tale caparbia reazione e di un indurimento cos forte. Al di l delle immagini forti con cui si descrive la reazione del re, immagini che vogliono solo vei-colare il disappunto del re, dobbiamo invece notare un se-condo punto inaspettato: nonostante tutto il re non si arrende. Questa volta invia i suoi servi ai crocicchi delle strade a chiamare quanti troveranno, non importa se sono buoni o cat-tivi. Non interessa in base a quale criterio siano stati scelti, ci che va sottolineato il particolare che la sala fu riempi-ta.34 Finalmente il buon re35 pu dirsi soddisfatto e la para-bola, dopo la drammatica evoluzione potrebbe concludersi con un finale positivo e tranquillo. Il re, invece, in un vero e proprio colpo di scena, entra nella sala per osservare i com-mensali e scorge l un uomo senza abito nuziale. Davanti alla

    33 Troviamo la parola greca emporia, da cui deriva pure il termine italia-

    no emporio. 34 Sia la vecchia versione che la nuova della CEI conserva il verbo al ri-

    flessivo: si riemp, ma nel testo greco chiaramente un passivo, che come soggetto logico ha il re, cio Dio. Egli cinvita, prepara, riempie la sala del banchetto.

    35 Notate che del figlio non si parla mai, perch il soggetto di tutte le a-zioni sempre e soltanto il re.

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    sua constatazione quelluomo, chiamato amico dal re, viene ridotto al silenzio.36

    La parabola si rovescia di nuovo e ci pone davanti al giudi-zio, come per i primi. Anche su questi nuovi invitati, dunque, pende il giudizio del re.

    Analizzata dalla parte del re, la parabola si struttura in tre fasi:

    a) il re che prende liniziativa (tutto pronto; venite alle

    nozze); b) subisce per un fallimento, perch glinvitati, senza dar-

    sene pensiero, si allontanarono; c) il re va oltre, superando lesito negativo del rifiuto e con-

    tiuando a offrire linvito e il banchetto di nozze.

    Ne risulta una struttura bipartita: a) il giudizio di Israele che rifiuta i missionari del Messia (vv. 2-7); b) il giudizio allinterno della Chiesa, radunata nella sala del banchetto (vv. 8-13). Tutto si svolge, in un certo senso, come se la storia si ripetesse: linvito conduce sempre a un giudizio. I destini di Israele e della Chiesa sono dunque messi in parallelo di fron-te al giudizio.37

    La parabola dunque una risposta che chiarisce alle guide dIsraele lautorit di Ges. Resta per anche un forte ri-chiamo a considerare che lora decisiva e, davanti alla sal-vezza offerta dal Vangelo, urge una risposta. Non basta tro-varsi nella sala. La chiamata non equivale allelezione: tra la vocazione offertaci da Dio e il giudizio escatologico resta, nella sua interezza e realt, la dignit della libert umana. Questa risposta, cio, deve maturare in un clima di acco-glienza e di fede, di desiderio e di attesa, di libert ridonata e di ascolto, vigilando con gioia: ecco cosa rappresenta labito di nozze.

    La conclusione costituisce la chiave di lettura del racconto parabolico (v. 14). Lespressione costruita sulla contrapposi-zione tra molti/pochi e chiamati/eletti, condensa lannuncio fondamentale della parabola: nonostante le chia-mate siano molteplici e i destinatari diversificati, coloro che

    36 Ancora una volta il verbo al passivo: la contestazione del re riduce

    al silenzio linvitato senza abito nuziale. 37 A. MELLO, Evangelo secondo Matteo, p. 383.

  • O l t r e l a p a r a b o l a

    42

    parteciperanno alla festa di nozze sono soltanto un piccolo numero (cf. Mt 7,13-14; 22,22.24).38

    La nostra vita come un lungo pellegrinaggio, una marcia che ci sta portando verso il Tempio, ch Cristo. Lungo il cammino facciamo nostre le parole del Sal 24 (23), 3-4:

    Chi pu mai salire al monte ove tiene dimora Iddio, chi sostare nel suo santuario? Chi ha monde le mani e il cuore, chi non segue dei culti bugiardi, chi non giura a danno del prossimo.39

    38 S. GRASSO, Il Vangelo di Matteo, Roma 1995, p. 516. 39 La traduzione quella del poeta P. Turoldo, nel volume D. M.

    TUROLDO - G. RAVASI , Lungo i fiumi. I Salmi, Cinisello Balsamo (MI) 1987, p. 80.

  • E. Della Corte

    43

    6. Le parabole dellattesa (Mt 24-25)

    Al termine del cammino siamo ormai giunti allultimo di-scorso di Ges, quello cosiddetto escatologico.40 Il Vangelo secondo Matteo lunico che conserva un termine tecnico interessante, parousa41, venuta oppure ritorno del Messia, allorch la storia avr raggiunto il suo fine. Questo discorso fa uso del linguaggio apocalittico, che si serve di categorie non familiari a noi occidentali; presenta, per cos dire, una vernice in apparenza difficile da comprendere. In genere la visione apocalittica ha lo scopo di segnare la frattura che esi-ste tra il presente, nel quale il male sembra prevalere a tutti i livelli, e il mondo luminoso che ci viene incontro.

    Il fine del mondo viene descritta ricorrendo a una vera e propria scenografia simbolica, tracciata da terremoti, tempe-ste, maledizioni, guerre e manifestazioni. Le immagini hanno soprattutto lo scopo di disporre in uno stato di tensione, men-tre si accoglie il veniente futuro glorioso. Con la venuta di Cristo tutto questo ha gi avuto il suo inizio e luomo non deve chiedersi quando avverr: solo il Padre conosce il gior-no e lora (24,36). per questo motivo che Ges dice: Ve-gliate dunque, perch non sapete in quale giorno il Signore vostro verr (24,42). Dio dar il fine al mondo, non la fine, nel senso di farlo scomparire. Egli sta gi impastando una nuova creazione, ma nel frattempo, nel gi e non ancora, cio nel tempo che intercorre tra il mistero pasquale del Cri-sto e la sua venuta finale, agli uomini spetta il compito di vi-gilare, di restare attenti, come il maggiordomo e le vergini prudenti, facendo fruttificare i talenti.

    Il tema, dunque, quello dell'impegno per il compimento del progetto del Regno di Dio nella storia, in attesa della sua pienezza.

    Mentre in questo scorcio di fine millennio le stte apocalit-tiche e i movimenti spiritualistici esasperati invitano i propri

    40 I cc. 24-25 di Matteo si dividono in due grandi parti: 24,4-35, che

    contiene le parole di Ges con valenza escatologica (esse riprendono la tra-dizione di Marco) e 24,36-25,46, che lo sviluppo aggiunto dallevangelista Matteo sull