Oltre Il Muro 2/3.2015

12
1 Per chi ancora non lo sapesse, l’associazione Apas di Trento ha da poco raggiunto il rimarchevole traguardo dei 30 anni di attività. Era l’ottobre del 1985 quando un gruppo di persone fra cui volontari, avvocati ed assistenti sociali costituirono l’Apas con lo scopo di disporre e quindi organizzare uno centro di ascolto e di riferimento per persone che avevano problemi di giustizia, quindi un luogo dove promuovere importanti valori quali la solidarietà e l’accoglienza. Si trattava di un impegno speso per dare aiuto ai numerosi detenuti che popola- vano la Casa Circondariale di Trento, successivamente esteso anche al comune di Rovereto, dove fino a pochi anni fa c’era un carcere. Da quell’ottobre 1985 tanta acqua è passata sotto i ponti e molte attività di assistenza sociale sull’intero terri- torio provinciale sono state organizzate grazie all’impegno profuso da volontari e operatori, un impegno da subito riconosciuto dalla Provincia autonoma di Trento, dalla comunità e da numerose realtà del terzo settore con le quali anche oggi l’A- pas continua a collaborare. Il sostegno alla persona detenuta e alla sua famiglia, la promozione di attività sen- za scopo di lucro, la sensibilizzazione della comunità e la formazione e il coordi- namento del volontariato sono solo alcuni esempi dell’intervento associativo, che prima di tutto riconosce la centralità della persona, i suoi bisogni, le sue fragilità ma anche i suoi punti di forza e la motivazione al cambiamento, e che poi intervie- ne per collocarla nuovamente nel tessuto sociale di provenienza dando così con- cretezza alle misure in alternativa alla detenzione. Di questo e di molto altro si è parlato nel convegno organizzato a fine ottobre a Trento in occasione del trenten- nale dell’associazione. È stata un’occasione per dare modo a importanti rappresen- tanti del mondo istituzionale, del carcere e del volontariato di confrontarsi dando vita a un qualificato dibattito che ha consentito di approfondire la situazione della nostra giustizia, di parlare del nuovo carcere di Trento e di evidenziare la necessità di non abbassare mai la guardia rispetto a queste questione e se possibile di fare di più: come cerca di fare, da trent’anni, l’Apas. MATTARELLA AI VOLONTARI: “FATE PARTE DELL’ITALIA MIGLIORE” Estrao da www.volontariatoggi.info ROMA. Si è svolta al Palazzo del Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubbli- ca, Sergio Maarella, la cerimonia sulla Giornata Internazionale del Volontaria- to, istituita dalle Nazioni Unite nel 1985 allo scopo di promuovere, valorizzare e incoraggiare l’aività svolta dai volontari di tuo il mondo. Dopo la proiezione di un video sull’aivi- tà del volontariato in Italia, la conduri- ce, Geppi Cucciari, ha intervistato sei vo- lontari impegnati in diverse aree: Teresio Cagliero, per le aività socio-assistenziali dei “senza fissa dimora”; Marta Bernar- dini, per l’assistenza ai rifugiati, operan- te in una struura a Lampedusa; Silvia Lombardo, per l’assistenza nelle carceri, operante presso l’Istituto minorile Becca- > continua a pag. 2 1 Maarella ai volontari: “Fate parte dell’Italia migliore” 2 La responsabilità penale è personale 3 La rabbia e la pazienza 4 Impegno e Solidarietà 6 Il sistema sanzionatorio penale tra riforme in ao e prospeive evolutive 8 La forza del team: tecniche e strategie per far lavorare assieme le persone 8 E…se…dopo? 9 Dai Luoghi Comuni ai Luoghi in Comune 10 Intervista al nuovo pres. CNVG, Ornella Favero 11 Bastøy, il carcere senza sbarre 12 News IN QUESTO NUMERO Poste italiane s.p.a. Sped. in abb. post. - D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Trento - contiene I.R. REINSERIMENTO E ALTERNATIVE AL CARCERE N. 2/3 - 2015 ASSOCIAZIONE PROVINCIALE AIUTO SOCIALE 30 anni 1985 - 2015

description

Secondo numero del 2015 di Oltre il Muro, il notiziario dell'Associazione APAS

Transcript of Oltre Il Muro 2/3.2015

Page 1: Oltre Il Muro 2/3.2015

1

Per chi ancora non lo sapesse, l’associazione Apas di Trento ha da poco raggiunto il rimarchevole traguardo dei 30 anni di attività. Era l’ottobre del 1985 quando un gruppo di persone fra cui volontari, avvocati ed assistenti sociali costituirono l’Apas con lo scopo di disporre e quindi organizzare uno centro di ascolto e di riferimento per persone che avevano problemi di giustizia, quindi un luogo dove promuovere importanti valori quali la solidarietà e l’accoglienza.Si trattava di un impegno speso per dare aiuto ai numerosi detenuti che popola-vano la Casa Circondariale di Trento, successivamente esteso anche al comune di Rovereto, dove fino a pochi anni fa c’era un carcere. Da quell’ottobre 1985 tanta acqua è passata sotto i ponti e molte attività di assistenza sociale sull’intero terri-torio provinciale sono state organizzate grazie all’impegno profuso da volontari e operatori, un impegno da subito riconosciuto dalla Provincia autonoma di Trento, dalla comunità e da numerose realtà del terzo settore con le quali anche oggi l’A-pas continua a collaborare.Il sostegno alla persona detenuta e alla sua famiglia, la promozione di attività sen-za scopo di lucro, la sensibilizzazione della comunità e la formazione e il coordi-namento del volontariato sono solo alcuni esempi dell’intervento associativo, che prima di tutto riconosce la centralità della persona, i suoi bisogni, le sue fragilità ma anche i suoi punti di forza e la motivazione al cambiamento, e che poi intervie-ne per collocarla nuovamente nel tessuto sociale di provenienza dando così con-cretezza alle misure in alternativa alla detenzione. Di questo e di molto altro si è parlato nel convegno organizzato a fine ottobre a Trento in occasione del trenten-nale dell’associazione. È stata un’occasione per dare modo a importanti rappresen-tanti del mondo istituzionale, del carcere e del volontariato di confrontarsi dando vita a un qualificato dibattito che ha consentito di approfondire la situazione della nostra giustizia, di parlare del nuovo carcere di Trento e di evidenziare la necessità di non abbassare mai la guardia rispetto a queste questione e se possibile di fare di più: come cerca di fare, da trent’anni, l’Apas.

Mattarella ai volontari: “Fate parte dell’italia Migliore”Estratto da www.volontariatoggi.info

ROMA. Si è svolta al Palazzo del Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubbli-ca, Sergio Mattarella, la cerimonia sulla Giornata Internazionale del Volontaria-to, istituita dalle Nazioni Unite nel 1985 allo scopo di promuovere, valorizzare e incoraggiare l’attività svolta dai volontari di tutto il mondo. Dopo la proiezione di un video sull’attivi-tà del volontariato in Italia, la conduttri-ce, Geppi Cucciari, ha intervistato sei vo-lontari impegnati in diverse aree: Teresio Cagliero, per le attività socio-assistenziali dei “senza fissa dimora”; Marta Bernar-dini, per l’assistenza ai rifugiati, operan-te in una struttura a Lampedusa; Silvia Lombardo, per l’assistenza nelle carceri, operante presso l’Istituto minorile Becca-

> continua a pag. 2

1 Mattarella ai volontari: “Fate parte dell’Italia migliore” 2 La responsabilità penale è personale 3 La rabbia e la pazienza 4 Impegno e Solidarietà 6 Il sistema sanzionatorio penale tra riforme in atto e prospettive evolutive 8 La forza del team: tecniche e strategie per far lavorare assieme le persone 8 E…se…dopo? 9 Dai Luoghi Comuni ai Luoghi in Comune10 Intervista al nuovo pres. CNVG, Ornella Favero11 Bastøy, il carcere senza sbarre 12 News

i n q u e s t o n u M e r o

Pos

te it

alia

ne s

.p.a

. Spe

d. in

abb

. pos

t. -

D.L

. 353

/03

(con

v. in

L. 2

7/02

/04

n. 4

6) a

rt. 1

, com

ma

2, D

CB

Tre

nto

- co

ntie

ne I.

R.

ReinseRimento e alteRnative al caRceRe n. 2/3 - 2015

ASSOCIAZIONE PROVINCIALE AIUTO SOCIALE

30 anni1985 - 2015

Page 2: Oltre Il Muro 2/3.2015

2

la responsabilità penale è personale l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. art. 27 della Costituzione italiana A cura di Giulia ChemelloCió che mi ha spinto ad iniziare questa esperienza di volontariato è stato il bisogno di riempire di contenuto concreto queste parole così limpide e puntuali quanto profonde e troppo spesso incomprese. Nel leggere queste frasi mi sembra che ciò che la nostra Carta Costi-tuzionale volesse far risaltare sia il concetto di persona umana. Tutta l’“esperienza penale”, se così si può chiamare, è strettamente legata all’individuo che la vive e da questo assunto non si può prescindere. Purtroppo, nel nostro complesso sistema è facile dimenticarsene ed è per questo che ho deciso di avvicinarmi al mondo del volontariato, perché penso sia una risorsa essenziale, soprattutto per valorizzare quel profilo di umanità che deve connotare la pena. Non è da molto che gironzolo all’APAS, ma apprezzo molto l’ambiente sereno ed accogliente in cui mi sono subito immersa e che è stato di grande aiuto nei primi momenti in cui la curiosità inevitabilmente si mischia con un po’ di timore. Più il tempo passa e più imparo da ogni persona con cui mi confronto. A mio parere fare volontariato non è mero altruismo, che rischia di diventare commiserazione (e non potrebbe esserci cosa più sbagliata in questo frangente), ma è anche pretendere di ricevere qualcosa, come in qualsiasi rapporto interpersonale. Mi piace pensare, forse con un po’ di presunzione, di ridare un senso di normalità a chi l’ha persa, o non ce l’ha mai avu-ta. La risocializzazione e la rieducazione non possono consistere nel gettare nella mischia chi non conosce le regole del gioco o chi non ha gli strumenti per starci positivamente. Quello che si fa (facciamo) all’APAS è proprio questo: capire il valore di ciascuna persona, far capire che esistono delle scelte alternative, aiutare nell’imboccare la strada giusta. E non nego che sia utile anche a me stessa ricordare che si può sempre trovare una buona soluzione ad un determinato problema. Dunque il cerchio si chiude, perché siamo tutti essere umani, ognuno con il proprio bagaglio di esperienze e di errori, ognuno con aspetti da correggere e migliorare che solo attraverso la condivisione ed il confronto possono emergere e diventare oggetto di consapevolezza personale. Allora, se essere un volontario significa far parte di una rete di chi si occupa umanamente di soggetti con problemi di giustizia, sono contenta di farne parte e mi auguro di poter crescere come volontaria e di poter dare il mio contributo al meglio.

ria di Milano; Lorenzo Mazzieri, volonta-rio della Protezione Civile; Alessia De Fa-biani, volontaria del Touring Club Italiano, per la valorizzazione dei beni comuni; Ales-sandro Manciana, medico volontario della Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale di Volontariato (FOCSIV). Successivamente il Presidente Mattarella ha pronunciato un discorso.Care volontarie, cari volontari, fate parte dell’Italia migliore. Siete un esempio per tutti gli italiani e potete esserne fieri. Mi permetto di dirvi di continuare, di andare avanti, anche quando le difficoltà sembra-no grandi, talvolta insormontabili. Anche quando ci si può sentire sfiduciati perché le cose non vanno come si vorrebbe. È fon-damentale che il vostro messaggio arrivi a un numero sempre più largo di giovani, ai quali poter passare idealmente il testimone di un patrimonio di solidarietà e umanità di grande valore. Il volontariato per un giova-ne è occasione di crescita personale e civile. Anche lo Stato deve saper cogliere meglio

questa ricchezza attraverso il Servizio ci-vile. Vorrei anche dirvi, sommessamente, di non rinunciare a pensare in grande. Costruire una società più equa e solidale è possibile. È un obiettivo che si può raggiun-gere compiutamente con buona politica e buona amministrazione. Da parte delle istituzioni, del mondo politico occorre che venga ascoltata la vostra voce, che venga prestata attenzione ai vostri suggerimenti,

in linea con la necessaria apertura alla so-cietà civile. Da parte vostra – mi permetto di dire – va evitato un rischio: quello di vive-re il vostro impegno così prezioso all’interno di una dimensione circoscritta e appartata. Costituite una grande forza, che deve essere osmotica, dialogante. Non rifuggite dall’im-pegno politico e civile. La vostra energia po-sitiva, partendo dalla società, deve potersi trasmettere a tutto il Paese.

> continua da pag. 1

Fate parte dell’italia Migliore

Page 3: Oltre Il Muro 2/3.2015

NOTIZIARIO APAS N. 2/3 - 2015

Il 22 maggio scorso un gruppo di sette persone (due operatori e cinque volontari) dell’Apas si è recato a Padova, precisamente alla casa di reclu-sione Due Palazzi, per partecipare alla tradizionale Giornata nazionale di studi sul carcere, organizzata ogni anno dalla redazione del notiziario Ristretti Orizzonti.Per i volontari di APAS non è stato un semplice convegno, perché era la prima volta che alcuni di loro entravano in un carcere. Ciò che ci ha col-piti fin da subito è stato il fatto di dover lasciare tutto fuori: cellulare, soldi, documenti. All’inizio è quasi un sollievo per noi così abituati ad avere sempre tutto a portata di mano, ma dopo qualche ora l’istinto fa allun-gare la mano per cercare la borsa, controllare se ci sono nuovi messaggi. E poi stupiscono i corridoi lunghi, gli agenti della polizia penitenziaria ad ogni angolo, la pazienza nell’aspettare di entrare nella palestra, sede del convegno. Una volta dentro ci troviamo in un grande ambiente con altre 600 per-sone e presto iniziano gli interventi dei relatori coordinati dal prof. Aldo Ceretti e dalla direttrice di Ristretti Orizzonti Ornella Favero.Ogni anno i redattori del famoso notiziario padovano sul carcere hanno scelto di trattare gli spinosi temi della rabbia e la pazienza, sviluppando un ragionamento che è partito dalla teoria sociologica e psicologica per arrivare ad alcune testimonianze dirette toccanti e profonde.La giornata è stata inaugurata dall’intervento del prof. Aldo Maggiolini, docente di psicologia del ciclo di vita presso l’Università Milano-Bicocca. Il relatore si è soffermato sulle situazioni di aggressività e illegalità con protagonisti gli adolescenti, giovani molto spesso inconsapevoli delle conseguenze su loro stessi delle loro azioni.I contributi successivi sono stati portati da Marino Sinibaldi, direttore di RAI Radio3, ideatore della ascoltatissima trasmissione Fahrenheit e Ga-briella Caramore, altra speaker radiofonica, curatrice del programma di RAI Radio 3 Uomini e Profeti.La sorpresa di giornata si è rivelata essere la deputata e docente di filo-sofia a Parigi, Michela Marzano. L’onorevole ha portato la sua personale esperienza di sofferenza e malattia per dare interessanti spunti rispetto ai temi caldi che anche il mondo del carcere vive, portando il discorso ad una dimensione prettamente emozionale, facendo riflettere la numerosa platea accorsa all’evento.La filosofa ha spiegato la rabbia come annullamento dell’essere: “si può giudicare il dover fare, il dover essere, ma non l’essere, perché se io giudico l’essere lo annullo e questo crea rabbia”. La distanza fra questa frase e la realtà è, a mio parere, davvero breve, anche se la Giornata di Studi ci ha consentivo di vedere ciò che di positivo può essere svolto all’interno di un istituto penitenziario e che dovrebbe essere implementato e maggior-mente portato a conoscenza della cittadinanza. Solo così, forse, verrebbe-ro smentiti molti pregiudizi e il carcere non sarebbe più considerato un luogo lontano dalla società.La giornata è proseguita con gli interventi di Massimo Cirri, psicologo e conduttore radiofonico su RAI Radio 2 della famosissima trasmissione Caterpillar; Stefano Tomelleri, sociologo e ricercatore nell’ambito della violenza e Fernanda Werner, mediatrice familiare ed esperta di violenza di genere e familiare.A chiudere la serie di interventi esterni ci ha pensato l’avvocato Lucia An-nibali, protagonista di un gravissimo attentato ai suoi danni, commesso

da due ragazzi su mandato dell’ex fidanzato che ha ordinato di sfigurarla con l’acido, come perpetrato in tantissimi paesi del mondo.La sua storia ha colpito, oltre che per l’efferatezza del gesto criminale, per la pronta risposta di Lucia, che, dopo un lungo periodo di riabilitazione, si è dedicata anima e cuore alla prevenzione della violenza di genere ed è volontaria in un centro per gravi ustionati.La giornata si è chiusa con tavola rotonda, che ha visto come protagonisti i detenuti della redazione di Ristretti Orizzonti, sempre attenti nella let-tura dei fenomeni sociali e giuridici che studiano nel lavoro in redazione.Le parole dei relatori ci hanno accompagnano in un percorso in cui ab-biamo capito che la rabbia incontrollabile, rumorosa, violenta può essere gestita e “ascoltata” attraverso la parola, il confronto, la cultura, il silenzio. Ma per far questo serve pazienza e sono proprio le testimonianze dei detenuti che ci fanno capire come ci voglia pazienza nell’apprendere e nell’esercitare la pazienza stessa.Ogni esperienza raccontata è unica e incomparabile con le altre. L’indi-vidualità che connota i loro pensieri, gli errori e le consapevolezze sug-gerisce un serio lavoro di riflessione condotto attraverso l’attività della redazione. I ragazzi ci parlano della rabbia che ha scatenato la violenza, della rabbia che hanno accumulato in carceri che hanno fallito nell’idea rieducativa, della rabbia per il tempo morto e per la quasi impossibilità di coltivare i legami familiari. Emblematiche le parole di Giovanni: “Ero trattato non da persona, ma da reato”. Una forte contraddizione ci ha però colpito. Si è detto che chi sta scon-tando una pena vive nell’impazienza, perché ha fretta di uscire, e quindi è positivo che il tempo venga utilizzato per fare esercizi di pazienza. Ma chi un fine pena non ce l’ha, o come racconta con una risata amara Carmelo, lo ha nel 9999? Quale contenuto deve avere la pena perpetua se non è data alcuna possibilità di dimostrare alla società che la rabbia si è trasfor-mata in pazienza? Sono questi gli interrogativi che ci hanno lasciato l’ascolto di queste per-sone, pur nella consapevolezza dei terribili fatti per cui stanno pagando i conti con la giustizia.Per fortuna abbiamo avuto anche la possibilità di toccare con mano un’eccellente esercizio di pazienza, ossia il lavoro dei detenuti della Pa-sticceria Giotto che ci hanno servito un goloso buffet. La professionalità, la gentilezza, la qualità dei prodotti sono il risultato di un’attività che dà davvero una chance positiva per il futuro proprio perché la persona, con le sue capacità, può essere separata da quello che fa e soprattutto da quel-lo che ha fatto. A conti fatti tutti i partecipanti dell’Apas sono rimasti soddisfatti dell’e-sperienza. Personalmente posso solo notare che, al contrario dello scorso anno, in quest’occasione è stato dato maggior risalto alla teoria piuttosto che alle testimonianze dirette e alle esperienze di vita, predominanti alla giornata del 2014.

la rabbia e la pazienza giornata nazionale di studi sul carcereA cura di Giulia Chemello e Aaron Giazzon

3

Il carcere di Padova (da www.espresso.repubblica.it)

Page 4: Oltre Il Muro 2/3.2015

4

È un traguardo importante quello raggiunto dall’Apas, l’Associazio-ne Provinciale di Aiuto Sociale, che quest’anno festeggia i 30 anni di attività. Nata nel 1985 con lo scopo di aiutare le persone detenute, i dimessi dagli istituti di pena e i loro familiari, negli anni ha fornito assistenza e ascolto a moltissime persone che hanno avuto a che fare con la giustizia.Il 30 ottobre scorso presso la Sala conferenze della Fondazione Ca-ritro di Trento si è tenuto il convegno “Impegno e Solidarietà”, oc-casione per ripercorrere la storia dell’associazione insieme a tutti coloro i quali hanno contribuito a portare avanti il suo servizio nella comunità.Dopo i ringraziamenti per la costanza e l’impegno da sempre dimo-strati nelle attività svolte, il sindaco di Trento, Alessandro Andreatta, ha augurato un buon proseguimento dei lavori e ha ceduto la parola al giornalista di “Vita Trentina” Augusto Goio, che ha avuto il compi-to di moderare la discussione tra i vari relatori che si sono succeduti al tavolo del convegno.A prendere la parola è stato il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Trento, Andrea de Bertolini, che ha ricordato come, una volta su-perato il grave problema umanitario di sovraffollamento del 2010, non ci si debba ora disinteressare della realtà carceraria. Alla luce di un altro anniversario importante, i 40 anni della legge sull’Ordina-mento Penitenziario, molti passi avanti sono stati compiuti per ren-dere la detenzione più umana, ma c’è ancora molto da fare a livello nazionale per attuare ciò che è stato sancito 40 anni fa.È seguito l’intervento di Bruno Bortoli, presidente dell’Apas, che ha ringraziato tutte le persone che negli anni hanno permesso all’as-sociazione di fornire un servizio di assistenza sempre al passo con i tempi e attento ai cambiamenti sociali della nostra comunità.La dott.ssa Caterina Iagnemma, dottoranda all’Università Cattolica di Milano, dopo aver portato i saluti del prof. Luciano Eusebi, ordina-rio di diritto penale nella stessa università, con il quale collabora, nel suo intervento ha offerto una riflessione sul concetto di pena, vista oggi come l’inflizione di un male proporzionato alla gravità del fatto e non come un progetto di reinserimento per il condannato.L’altissimo tasso di recidiva indica la necessità di scardinare la cen-tralità della pena detentiva per concentrarsi maggiormente sulle valide alternative rappresentate dagli strumenti di mediazione e di riparazione, che consentono al reo di intraprendere un percorso di riconciliazione con la comunità.Sono seguiti gli interventi di Claudio Accorsi, che ha parlato dell’e-sperienza di volontariato con “Sesta Opera San Fedele”, nata a Mila-no nel 1923, e di Nicola Boscoletto, presidente del Consorzio sociale “Giotto”, che da anni permette ai detenuti di intraprendere un per-corso di formazione lavorativa con ottimi risultati.A conclusione della prima parte del convegno è stato invitato a par-lare il dott. Valerio Pappalardo, direttore della Casa Circondariale di Trento da circa un anno, che ha illustrato ai presenti la situazione e le prospettive del nuovo carcere. Una struttura nuova, moderna e organizzata, che non costringe i detenuti a condizioni di vita de-gradanti, come purtroppo accade ancora oggi in molte altre realtà

impegno e solidarietàConvegno per i 30 anni di apasa cura di Giulio Thiella

Il pubblico in sala al convegno

Page 5: Oltre Il Muro 2/3.2015

NOTIZIARIO APAS N. 2/3 - 2015

5

italiane. Pappalardo ha sottolineato l’im-portanza di offrire lavoro e occupazione per i detenuti e ha espresso soddisfazione per la grande partecipazione del privato sociale e del volontariato sul territorio; realtà che coinvolgono i detenuti con diverse attività consentendo di colmare quel divario che è sempre esistito tra la società libera e chi vive dentro le mura.La sessione pomeridiana è stata l’occasione per approfondire i temi del reinserimento e delle alternative alla detenzione, argomenti introdotti da Vincenzo Passerini, presidente del CNCA - Coordinamento Nazionale Co-munità di Accoglienza, che ha parlando di povertà, di immigrazione e di come costru-ire comunità più accoglienti e soprattutto unite.L’evento è proseguito con gli interventi di Giorgio Dossi, presidente della Edizioni “Centro Studi Erickson” di Gardolo e di Fabio Tognotti, direttore dell’Apas, per par-lare dell’esperienza del magazzino Erickson dove annualmente è organizzato il corso di formazione per i prerequisiti lavorati-vi, un’attività di formazione lavoro rivolta a persone che possono ottenere i benefici delle misure alternative alla detenzione e che nella prassi è preceduta da un percorso di minore difficoltà presso il laboratorio di assemblaggio dell’associazione. Questi im-portanti percorsi di reinserimento attivati dall’Apas mirano a valorizzare l’individuo e le sue capacità aiutandolo ad integrarsi nel mondo del lavoro.A conclusione del convegno sono inter-venuti gli operatori dell’Apas e successiva-mente i volontari, moderati da Piergiorgio Bortolotti, per parlare in maniera più ap-profondita dei servizi offerti, delle diverse attività in carcere e dei progetti di sensibi-lizzazione rivolti alla comunità. Dal 1985 ad oggi il mondo del carcere è profondamente mutato, attraversando periodi di crisi e in-contrando difficoltà sempre nuove. Le pa-role “impegno” e “solidarietà” rappresentano bene ciò che da 30 anni contraddistingue l’attività di un’associazione che ha saputo far fronte all’evolversi della difficile situazione penitenziaria, dedicandosi quotidianamente ad aiutare gli ultimi. Nicola Boscoletto, Augusto Goio e Claudio Accorsi

Caterina Iagnemma e Augusto Goio

Alessandro Andreatta, Andrea de Bertolini, Augusto Goio e don Rodolfo Pizzolli

Page 6: Oltre Il Muro 2/3.2015

6

17 ottoBre 2014: professor alessandro Melchionda

introduzione alla tavola rotonda.

La messa alla prova ha natura polimorfe: essa, infatti, è nata in un con-testo diverso, con funzione di recupero sociale ed è stata poi adattata ad una funzione meramente deflattiva, sia del carico processuale, sia del sovraffollamento carcerario. Tale natura si riflette anche nella sua qualificazione come causa di estinzione del reato, categoria già di per sé fortemente eterogenea.

il ruolo della MediazioneAvvocato Giuseppe DetomasLa Regione, rappresentata dal relatore, si è ritagliata un ruolo all’interno della gestione della Giustizia, attraverso l’estensione della sua compe-tenza sul Giudice di pace come strumento di coesione sociale, che ha dato eccellenti risultati sul territorio.Resta un interrogativo sulle conseguenze della depenalizzazione pre-vista dalla legge delega n. 67/14, in termini di aggravio del lavoro dei centri di mediazione, oggi attivi. L’istituto della mediazione può, in effetti, essere valorizzato dalla riforma, rientrando nella stessa logica di recupero di coerenza sistematica, attraverso la riduzione del ricorso allo strumento carcerario. In effetti, il Trentino-Alto Adige è l’unica regione che ha investito sui Centri di mediazione e questi hanno risposto, ri-portando buoni frutti: essi possono essere importanti, non soltanto in funzione della competitività del Paese, rispetto ai sistemi giudiziari stra-nieri, ma anche e soprattutto per migliorare il collegamento del tessuto sociale: la qualità della risposta alla devianza, infatti, misura la qualità della vita e delle istituzioni di un Paese. La forte attenzione alla media-zione è fondamentale per la risposta alla microcriminalità che è quella che crea maggior disagio sociale e tramite questi istituti (mediazione, giudice di pace) si è ottenuto un effettivo risultato deflattivo.

aspetti Controversi della legge delegaDottor Giuseppe AmatoLa messa alla prova, così come l’intero contenuto della legge delega, presenta, nell’ottica del relatore, grandi spunti positivi, ma anche negati-vità, di cui è necessario occuparsi.L’introduzione dell’arresto e della detenzione domiciliare presentereb-be un problema di fattibilità concreta, in caso di mancanza di un domi-cilio idoneo: è quanto avvenuto già con l’intervento Severino, che, alla fine, si è risolto nel disporre la detenzione in carcere, con forte discrimi-nazione del condannato per ragioni meramente economiche. Una de-tenzione domiciliare a costo zero, dunque, è inefficace e impraticabile.Per quanto riguarda l’irrilevanza penale del fatto, per valorizzare il ruolo della persona offesa, sarebbe necessario distinguere il momento penale dal risarcimento del danno, limitando la possibilità di proporre oppo-sizione.La previsione in tema depenalizzazione manifesta una certa timidezza

negli interventi legislativi. Infatti, il catalogo appare modesto per il cari-co di lavoro e i tipi di reato presi in considerazione.Venendo alla messa alla prova, essa, secondo il relatore, sulla carta è eccezionale: evita la carcerizzazione, presenta prescrizioni in funzione sanzionatoria e di recupero sociale, soddisfa gli interessi della persona offesa con il risarcimento del danno o con riparazioni, trova un grande ambito di applicazione. Però essa, da un lato, si sovrappone parzialmen-te con altre misure premiali e, dall’altro, è, rispetto a queste, molto più pesante per il reo, tanto da far venire meno la concreta utilità per il con-dannato, che preferirà la misura meno gravosa.Altro problema, è il coinvolgimento dell’Uepe: il Legislatore vorrebbe riforme a costo zero, ma senza domandarsi chi effettivamente dovrà far operare e organizzare la messa alla prova. La disciplina, poi, presenterebbe aspetti di incertezza: fa l’esempio dell’assenza di una disciplina transitoria per i procedimenti in corso. Su quest’ultimo punto, potrebbe richiedersi l’intervento della Corte Co-stituzionale.Sottolinea il relatore inoltre, che l’organo che si occupa del procedimen-to durante le indagini preliminari, non è il giudice, ma il p.m.: è quindi completamente inutile presentare la domanda di messa alla prova al Giudice, perché lui non saprà nulla della causa. Ciò creerà problemi nei grandi Tribunali per un passaggio superfluo di documenti.

la responsabilizzazione del CondannatoDottoressa Angela VeneziaIl carcere in trentino è un fenomeno e non un problema grazie alle sue dimensioni ridotte.La messa alla prova non dovrebbe implicare un’osservazione sulle carceri, ma in realtà ogni volta che fallisce un istituto si riapre la porta del carcere così com’è accaduto per l’intervento della legge Severino. Quando le norme non funzionano, la persona torna in carcere: per que-sta ragione è necessario un dialogo con chi opera al suo interno.L’unica soluzione ai problemi della società negli ultimi decenni è stato l’inasprimento della risposta sanzionatoria. Il carcere come risorsa per il recupero è difficile da sostenere, soprattutto quando il discorso sul car-cere risponde ad un allarme sociale. La Corte Europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza Torreggiani, ha condannato l’Italia perché la pena in Italia è inumana e degradante, e ciò è dovuto essenzialmente all’assenza o carenza di progettualità sulla pena. Oggi, a distanza di un anno, l’Europa ha riconosciuto il grande sforzo compiuto dall’Italia per la creazione dei primi accorgi-menti per la ricostituzione di un programma di responsabilizzazione del condannato. Il problema, adesso, è quello di riempire di contenu-to trattamentale il carcere, attraverso attività. L’amministrazione si è occupata di custodire, ma la comunità esterna ha il dovere di offrire opportunità alternative al delinquente, perché, afferma la relatrice, egli “arriva dalla stessa comunità a cui tutti apparteniamo. La società, che è pronta ad imputare e condannare, deve imparare a partecipare al cambiamento che chiede al detenuto. Sospendiamo, allora, i giudizi sulle persone e offriamo a tutti la possibilità di ricredersi e di rientrare nella collettività”.

il sistema sanzionatorio penale tra riformein atto e prospettive evolutiveA cura di Alessandra Macillo

seConda parte

Page 7: Oltre Il Muro 2/3.2015

NOTIZIARIO APAS N. 2/3 - 2015

7

ruolo dell’uepe (ufficio di esecuzione penale esterna)Dottor Salvatore PiromalliLa messa alla prova prevista dalla legge n. 67/14, secondo il relatore, non rappresenta una negazione del potere dello Stato, ma una nuova idea di penalità che impone all’imputato una presa di coscienza sulle conseguenze del reato, così da venire responsabilizzato per la ripartenza nei rapporti sociali, attenuandosi la componente retributiva della pena e rafforzando l’aspetto risocializzante e riparativo.L’introduzione di pene alternative come pene principali è l’aspetto de-ludente della legge, per la limitatezza dell’intervento che ha introdotto solo la detenzione domiciliare, che non fa altro che riprodurre la logica segregazionista nella propria dimora, che diventa così uno spazio ostile, anche per gli atri conviventi, che si trovano a dover subire una pena, senza alcuna colpa. Inoltre, la valenza dichiaratamente deflattiva del procedimento in realtà sarebbe solo apparente o illusoria: infatti il sovraccarico non si elimina, ma semplicemente si sposta senza scomparire, passando dal Tribunale al UEPE che è così sovraccaricato (in Trentino, c’è già una lista d’attesa di sei mesi per la predisposizione del programma). Questa, per il rela-tore, è la conseguenza di una risposta ad esigenze contingenti ed emer-genziali non ponderate e a costo zero per lo Stato, che provocano, però, costi umani elevatissimi.Alcuni problemi restano ancora aperti: tra gli altri, la mancata indica-zione di criteri di durata e contenuto del programma e l’indisponibilità degli enti locali a siglare convenzioni per i lavori di pubblica utilità. Ciò, sia per l’insostenibilità delle spese per la sicurezza del lavoro, l’assicura-zione sanitaria etc., non compensata dal lavoro, data la breve durata del programma, sia per la tipologia di reati, che non è rassicurante per gli enti: alcuni hanno così già presentato un esplicito rifiuto all’accoglienza.

il lavoro di pubblica utilità nella detenzione domiciliareDottor Riccardo DiesI lavori di pubblica utilità nella messa alla prova sono una condizione obbligatoria.Essi, secondo la definizione offerta dal Giudice, consistono in un’atti-vità non retribuita compatibile con esigenze di studio, lavoro e vita, il cui tratto fondamentale è costituito dalla volontarietà. Essa, implicita nella richiesta della messa alla prova, si ricollega al divieto di lavori for-zati sancito dalla Corte europea dei diritti umani. Pertanto, tali lavori non possono qualificarsi come sanzione, coercitiva, per contrasto con il principio di non colpevolezza; vanno, invece, considerati quale onere da adempiere o condizione, per ottenere l’estinzione del reato. Il con-senso dell’interessato è un requisito necessario, inoltre, perché la par-tecipazione convinta del soggetto è l’unica garanzia della riuscita del progetto.

la prospettiva dell’avvocatoAvvocato Nicola StolfiLa definizione anticipata del procedimento dipende dall’appeal dell’i-stituto per l’interessato. Il relatore sottolinea, quindi, l’utilità di proto-colli e linee guida sulla messa alla prova, nati dalla collaborazione tra giudici, avvocati e Uepe. Ciò garantirebbe equilibrio, ma anche preve-dibilità degli esiti processuali, che aiutano l’avvocato nel suo ruolo di consigliere dell’interessato.La centralità della prevedibilità svolge, inoltre, una funzione di auto-tutela dell’interessato nella costruzione della strategia difensiva. Una sanzione senza accertamento, infatti, si può giustificare sulla volonta-rietà dell’adesione, solo se questa sia effettiva ed informata: in questo, è

importante il ruolo dell’avvocato, che deve essere preparato e spiegare chiaramente le conseguenze di una scelta in tal senso.

giustizia riparativa e persona offesaDottoressa Elena MatteviLa messa alla prova, evidenzia la relatrice, prevede anche strumenti di risarcimento del danno e di riparazione delle conseguenze del reato, aspetti questi che aprono anche alla valorizzazione della persona offesa.A differenza della messa alla prova minorile, per gli adulti vi è una com-ponente di chiara afflittività, volta a scongiurare il clemenzialismo. Da ciò deriva la centralità del programma, che può prevedere attività per redimere le conseguenze del reato, anche con risarcimento alla vittima, o l’introduzione di strumenti di mediazione, tramite i centri presenti sul territorio. Il tenore della disciplina è incerto, poiché distingue le conseguenze del reato e la loro attenuazione, rispetto al risarcimento del danno, che, in-vece, vengono omologate nel c.p.p. Ad avviso della relatrice, sarebbe, piuttosto, necessaria la distinzione tra un danno criminale e un danno civile, rispettivamente riguardanti le conseguenze dannose e pericolose del reato ed il risarcimento del danno. Il danno criminale riprenderebbe così il concetto di riparazione, che impone un dialogo con la persona offesa.

seConda parte

Page 8: Oltre Il Muro 2/3.2015

8

Essere un’assistente sociale nel terzo settore è un compito complesso, in cui le dimensioni orga-nizzative, legislative, etiche e umane si trovano costantemente intrecciate, e alcune volte anche in conflitto le une con le altre. Nel nostro ambito operativo ci viene chiesto di aiutare persone in difficoltà a migliorare la loro situazione di vita in uno specifico e determinato periodo, valo-rizzando proprio le capacità e le risorse della persona stessa. Così facendo è inevitabile che non si può lavorare da soli. Abbiamo bisogno di metterci continuamente a confronto e di lavora-re con gli altri servizi che si interessano di quella persona, rispettando, però, le competenze pro-prie di ogni servizio.

Il corso che ho potuto frequentare in ottobre parlava proprio di questo. Come far lavorare insieme le persone? Come non cercare scor-ciatoie, solo perché lavorare insieme è faticoso? Far lavorare un team è importante. Il team è qualcosa di vivo, formato dai professionisti. È un gruppo di lavoro che ha condiviso un obiettivo, che è quello di aiutare la persona, ognuno con le proprie competenze professionali, a riprendere la sua vita, a ricollocarsi nella società con le pro-prie responsabilità. Il risultato è la conseguenza di un lavoro del team, del feedback che il team è riuscito a darsi, del rispetto delle proprie professionalità, magari influenzate dal contesto lavorativo dal quale il

professionista proviene. È importante sottoline-are che il team non può e non deve sottrarsi ai conflitti, anzi i conflitti sono i benvenuti. È im-portante vedere la situazione da diversi punti di vista, solo così possiamo aiutare la persona, o le persone. Nessuno di noi ha la bacchetta magica per risolvere i problemi da solo. Sono molto contenta di aver avuto la possibilità di partecipare a questo corso che ritengo impor-tante per migliorare la qualità del mio lavoro di assistente sociale che ha a che fare con persone che hanno avuto o hanno problemi con la giu-stizia e che portano sulle proprie spalle le più diverse difficoltà personali, familiari e sociali.

A fine maggio si è svolto a Vicenza il convegno di riflessione sul carcere a cura del Seac del Triveneto, il coordinamento di enti ed associazione di volontariato penitenziario. Il tema centrale della 37esima edizione ruotava sulla necessità di implementare e qualificare il reinserimento sociale delle persone detenute una volta giunte al termine di una condanna conside-rato che il dopo pena rappresenta per molti un passo difficile ma impor-tantissimo verso il reinserimento, un passo accompagnato dal timore di un ulteriore rifiuto. “Se mi vorranno ancora…Se troverò lavoro…” paure reali che trovano riscontro nell’altissimo tasso di recidiva che colpisce chi non è riuscito a trovare un’alternativa al crimine in una società che stenta a dare un’altra possibilità a chi ha sbagliato. Dove finisce una pena ne inizia un’altra; una sfida, quella del rientro in società, che molti sono costretti ad affrontare in solitudine, senza qualcuno che li guidi e li aiuti. Dunque, il convegno ha permesso a tutti i partecipanti, numerosi quelli trentini, di entrare a contatto con i ragazzi del progetto Jonathan, nato a Vicenza dall’Associazione Nova Terra nel 1989 per accogliere e ospitare detenuti in pena alternativa, affidamento in prova e permessi premio. Pi-lastri di tale progettualità sono l’assistenza, il sostegno morale e il reinseri-mento sociale e lavorativo una volta scontata la pena. Una “famiglia allar-gata”, come la definiscono gli utenti e gli operatori in cui si sperimentano laboratori, cene e riunioni durante le quali vengono sempre coinvolti tutti, senza escludere nessuno. Erano presenti anche diversi ragazzi accolti nella struttura gestita da progetto Jonathan che, oltre ad aver preparato il ricco buffet per il pranzo, hanno condiviso alcuni pensieri e sensazioni sulla loro esperienza e sul percorso che stanno seguendo. Preziose testimo-nianze che incitano a proseguire verso la strada dell’alternativa al carcere, auspicando un’inversione di tendenza da parte delle istituzioni verso pene meno degradanti e futili. Al termine della prima giornata abbiamo assistito

alla presentazione del libro di Lucio Simonato “Con i loro occhi, con la loro voce. Per parlare di immigrazione in modo diverso”. Da alcune brevi letture dell’autore si capisce che l’opera è un flusso continuo di pensieri, impressi su carta senza correzioni ortografiche e con pochissima pun-teggiatura, così come gli eventi e le sensazioni gli sono state narrate dalle persone che si sono raccontate in questo libro. Durante la discussione dei brani proposti siamo stati accompagnati dalla musica di un violino, che ha scandito le letture e fornito adeguate pause per riflettere sui temi sollevati. Il convegno si è concluso il giorno seguente presso la Casa Circondariale “S. Pio X” di Vicenza ove, i partecipanti sono stati accolti ed intrattenuti da interventi a cura del direttore di istituto, gli educatori, una rappresentanza degli agenti di Polizia Penitenziaria, alcuni medici e il cappellano della sede della parte conclusiva del Convegno. Gli stimoli positivi e le impressioni raccolte durante gli incontri hanno permesso di entrare in contatto con altre realtà attive in ambito penitenziario consentendoci quindi di rincasa-re con un bagaglio di conoscenze arricchito di idee e iniziative, mutuabili anche nella nostra comunità.

la forza del team: tecniche e strategie per far lavorare assieme le persone Considerazioni sul corso di formazione promosso dalle edizioni Centro studi erickson di trentoa cura di Anezka Saliova

e…se…dopo? report sul 37° convegno seaC del trivenetoA cura di Giulio Thiella

Page 9: Oltre Il Muro 2/3.2015

Giovedì 15 ottobre, in occasione della Settimana dell’Accoglienza propossa dal C.N.C.A. della Regione Trentino – Alto Adige, l’Associazione Provinciale di Aiuto Sociale (APAS) Onlus di Trento ha organizzato un’attività di sensibilizzazione rivolta alla cittadinanza tren-tina.

L’evento si è svolto al caffè letterario Bookique di Trento e ha visto la partecipazione di oltre trenta persone.La serata si è sviluppata secondo la modalità del World Cafè, una metodologia che consiste nella predisposizione di tavoli tematici in cui i partecipanti sono invitati a riflettere a partire da provocazioni lanciate dai facilitatori/coordinatori e a ruotare da un tavolo all’altro allo scadere del tempo prefissato. Durante il dibattito si può scrivere sui cartelloni utilizzati come tovaglie in modo da fissare le idee chiave. Tutto ciò si dovrebbe svolgere in un contesto in-formale, divertente e rilassato, proprio come una chiacchierata di fronte al tavolino di un bar. Il nostro obiettivo infatti è stato quello di consentire alle persone di confrontarsi fra loro in maniera libera a partire da pregiudizi diffusi su alcuni argomenti non proprio “leggeri”.

I temi scelti dall’APAS, che da trent’anni si occupa di persone con problematiche legate alla giustizia e all’emarginazione, sono stati cinque, per cinque tavoli di discussione:• Lavoro,forzatoogarantito?• Donne,vittimeocarnefici?• Pena,condannafinitaocondannaavita?• Immigrato,pericoloopromessa?• Carcere,hotel5stelleo5stalle?

Come si può facilmente intuire, nello scegliere i nomi dei tavoli, volontari e operatori dell’A-PAS hanno voluto porre l’accento sui luoghi comuni e proporre stimoli per esasperare il gioco delle parti e incoraggiare la discussione.L’atmosfera è stata delle migliori e tutti hanno partecipato attivamente all’evento, senza ri-sparmiarsi e facendo sentire la propria opinione.Come organizzatori siamo molto soddisfatti della riuscita dell’attività sia dal punto di vista quantitativo - ben 36 partecipanti con un’età media di 27 anni -, sia dal punto di vista qualita-tivo, in quanto nelle discussioni ciascuno si è sentito libero di esprimere il proprio pensiero.

Il risultato dell’attività è stato raccolto ed esposto al termine della serata in colorati “tag cloud”, per evidenziare graficamente le opinioni più ricorrenti. Le “nuvolette” dimostrano la grande attività svolta dai gruppi, che hanno fatto emergere diversi aspetti a partire dagli stimoli offerti dai facilitatori. L’aspetto maggiormente positivo dell’evento che come orga-nizzatori vogliamo sottolineare è il protagonismo e la partecipazione attiva delle persone che hanno partecipato. Volevamo proporre un’attività dinamica, concreta, che in-vitasse la cittadinanza a fare quello che ormai si fa sempre meno: parlare l’uno di fronte all’altro di problematiche che riguardano tutti noi e delle quali non possiamo disinteressarci.È innegabile che dai più il carcere sia percepito come un ente separato e distante dalla società “dei buoni”. Molti dei partecipanti hanno ammes-so la loro ignoranza in materia e sono stati però contenti di poter get-tare uno sguardo su questa realtà. Per questo motivo siamo motivati a continuare in questo processo di sensibilizzazione, compito primario del volontariato, che è l’unica chiave per aprire le porte chiuse della non conoscenza e del pregiudizio.Alla luce della partecipazione e dei bei contenuti raccolti, come volon-tari e operatori dell’APAS ci riteniamo più che soddisfatti di quanto realizzato in occasione della Settimana dell’Accoglienza.

dai luoghi Comuni ai luoghi in Comuneun’esperienza di World Cafèa cura di Giulia Chemello e Aaron Giazzon

9

Page 10: Oltre Il Muro 2/3.2015

10

La neopresidente Cnvg alla guida delle 200 Associazioni della Conferenza nazio-nale volontariato giustizia: “Siamo 10mila volontari, portiamo avanti il 75% delle attività sociali dietro le sbarre, ma non abbiamo il giusto peso politico: dobbia-mo contare di più”, dichiara a Vita la fondatrice, nel 1997, dell’autorevole testata Ristretti Orizzonti. Ornella Favero, una vita spesa per i diritti dei detenuti e una corretta informazione sul mondo del carcere: è lei il nuovo presidente della Cnvg, Conferenza nazionale volontariato giustizia, l’ente più rappresentativo d’Italia di associazioni - almeno 200, riunite in 18 Conferenze regionali, con oltre 10mila vo-lontari all’attivo - che entrano dietro le sbarre con i propri operatori. Vita.it, con cui collabora da tempo avendo anche tenuto un blog tematico, l’ha raggiunta a cal-do della nuova nomina. Ornella Favero neopresidente della Cnvg, dopo decenni di attivismo.

QuAndO entRAStI peR LA pRImA VOLtA In CARCeRe COme VOLOntARIA? Era il 1997, all’epoca ho contribuito a fondare la rivista Ristretti Orizzonti, nell’Istituto di pena Due Palazzi di Padova. La testata è ancora oggi molto attiva (superata di recente quota 130mila notizie pubblicate, ndr) e da tempo, soprattutto grazie a una newsletter quotidiana, è il punto di riferimento per quanti si occupano a vario titolo di carcere in Italia. Da allora, ho sempre ritenuto prioritario lavorare per un’informazione corretta sul mondo penitenziario, e grazie a tante persone siamo arrivati all’ottimo livello di oggi. Lo dico anche come presidente dell’associazione Il granello di senape, incarico che lascerò a breve proprio per riuscire a fare bene ogni cosa.

Che SIgnIFICAtO hA LA tuA nOmInA?È un riconoscimento personale, certo, ma non solo: perché premia il lavoro complessivo svolto dalle tante reti attive e collaborative su tutto il territorio nazionale. Se ognuno di noi avesse coltivato il proprio orticello, non avremmo l’efficacia che oggi ci viene riconosciuta. Quindi vedo la mia nomina anche come il risultato di ottime prassi delle varie Conferenze regionali, alle quali ho creduto anche quando non avevo alcun incarico, partecipando a più incontri possibile e condividendo idee: per esempio, un singolo progetto dedicato alle scuole è diventato oggi un’azione nazionale che coinvolge molti enti ogni mese di novembre, così come altre iniziative dedicate al tema degli affetti in carcere. In questo senso, la collaborazione tra associazioni ha sostituito la competizione: se avesse prevalso quest’ultima, sarebbe stato un disastro.

QuALI pRIORItà peR IL nuOVO CORSO deLLA CnVg?Almeno due. La prima: ho, e abbiamo, come volontari, molte energie da spendere, in varie direzioni: la prima è senza dubbio quella del nostro “peso” politico, inteso in senso lato, come azione sociale. Siamo da tempo attori fondamentali per quanto riguarda il miglio-ramento della qualità della vita detentiva, dato che i tre quarti delle attività oggi presenti dietro le sbarre provengono da idee dell’as-sociazionismo, ma contiamo davvero poco quando c’è da impostare tavoli di lavoro in cui si sperimenta il cambiamento delle prassi, come per esempio negli Stati generali del carcere. Ecco, in luoghi come questi vogliamo essere presenti di più, dato il nostro potere rappresentativo.

LA SeCOndA pRIORItà?Lavorare per spostare le pene detentive dal carcere al territorio. Mi spiego meglio: vaste parti della società scambiano ancora oggi la certezza della pena con la certezza della galera, sbagliando, perché la pena può essere scontata fuori dal carcere, soprattutto per i tanti detenuti che non presentano rischio sociale: le misure alternative servono a questo scopo e la loro implementazione è fondamentale. In questo senso, il nostro contributo può venire anche da una continua informazione in merito, unita alla sensibilizzazione su più ambiti. Il lavoro è tanto ma l’energia non manca.

intervista al nuovo presidente della Cnvg,ornella FaveroEstratto da “Vita”, 20 ottobre 2015

Ornella Favero

Page 11: Oltre Il Muro 2/3.2015

NOTIZIARIO APAS N. 2/3 - 2015

11

Quella che porta all’isola di Bastøy è una barca piccola, bianca. Tra l’interno e l’ester-no si danno il cambio tre o quattro uomini con addosso delle giacche gialle. Sorrido-no mentre intorno non c’è che vento fred-do e silenzio. Dopo pochi minuti, forse un quarto d’ora, la barca attracca. Alcuni uo-mini del personale staccano, il loro turno è finito. È arrivato il momento di tornare a casa. Solo che non stiamo parlando di marinai, ma di detenuti, e la loro non è una semplice casa ma una delle 88 abitazioni, rigorosamente in legno, che costituiscono questo singolare carcere norvegese, a 75 chilometri da Oslo.

A Bastøy non si arriva per caso. E questo non ha niente a che vedere col fatto che si tratta di un’isola di appena due chilometri quadrati, persa in un fiordo norvegese. Per arrivare qui, sulla solita barca che porta i vi-sitatori, c’è la lista d’attesa. Tom Eberhardt, direttore del carcere, riceve circa 30 ri-chieste al mese. «Non possiamo accettarli tutti» spiega. Questa non è soltanto una decisione dello staff. Per arrivare qui biso-gna avere dei requisiti particolari.  Innan-zitutto, aver già scontato la maggior parte della pena perché sull’isola di Bastøy, come spiega Tom, si possono passare al massimo cinque anni, ma soprattutto devono avere un forte desiderio di migliorarsi e la volon-tà di lavorare su se stessi. I 115 detenuti che sono qui hanno scritto una lettera motiva-zionale. Non importa quale reato abbiano commesso e quanto grave sia stato. Da

quando mettono piede sopra questa isola, per loro e per chi li segue e li sorveglia, il passato non conta più. Esistono solo pre-sente e futuro. «Io non posso fare nulla per quello che sono stati e per ciò che hanno commesso – dice Tom -. Posso però fare qualcosa per quello che sono e che saran-no domani».Dal 1988 Bastøy è una prigione di “minima sicurezza”, come viene definita. E dal 2006 è quella che conosciamo oggi. I detenuti vivono sull’isola una vita normale. O me-glio, l’apparente surrogato di un’esistenza comune. Sono liberi, ma devono restare dentro casa dalle 23 alle 7.

Grazie al consumo dei prodotti dell’isola – dalle verdure alle pelli di mucca – , quella di Bastøy è una prigione ecologica: la terra viene lavorata con i cavalli e i rifiuti sono riutilizzati come concime o per soddisfare parte del fabbisogno energetico. Fatta ec-cezione per il pulmino dei visitatori e alcu-ni trattori, di auto qui non se ne vedono. Le bici, invece, ovunque.Quindici minuti dopo la fine del coprifuo-co (alle 7.00 del mattino), inizia la giornata di questi detenuti-lavoratori che, divisi tra barca, cucine, negozio, cura degli anima-li ed equipe tecnica, guadagnano circa 8 euro per turno. La prigione assicura inoltre 24 euro extra ogni settimana da spendere per colazione, pranzo e magari una scheda telefonica da usare nelle cabine che hanno a disposizione a orari predefiniti. Sull’isola lavorano 69 persone tra guardie e persona-

le. Solo cinque di loro si fermano la notte e non sono armati.

A Bastøy si può e si deve lavorare e stu-diare. Essere liberi non significa poltrire. I prigionieri possono dare il loro contribu-to, retribuito, in cucina, nella serra, con gli animali, nella falegnameria. Possono svol-gere attività come giardinieri, meccanici o addetti alle pulizie. O ancora, diventano uomini di mare al timone del traghetto. La scuola, invece, è un dipartimento distacca-to di quella cittadina di Horten. I detenuti che non hanno completato il primo grado di istruzione devono obbligatoriamente farlo, se invece non hanno finito l’ulti-mo grado scolastico (dai 16 ai 18 anni in Norvegia) possono portarlo a termine scegliendo diverse discipline tra cui infor-matica, lingue straniere, agraria, sociologia, matematica e musica.

Su quest’isola sembra quasi di respirare la calma e la gentilezza dei popoli scandinavi. Eppure la maggior parte dei suoi abitanti ha infranto, almeno una volta nella vita, la legge. A Bastøy non mancano né gli as-sassini né – come ci ha ricordato Karl – gli stupratori o i pedofili. Eppure non è il pas-sato ma il futuro a rendere questi detenuti speciali: numeri alla mano, l’84% di chi passa per Bastøy non infrangerà mai più la legge. Infatti il tasso di recidiva, secondo un istituto norvegese di ricerca in crimi-nologia (il Krus), è di appena il 16%  .  Un niente se confrontato alla percentuale eu-ropea (70/75%) e quella americana, che arriva addirittura a sfiorare l’80%. 

Per Marianne Vollan, direttrice del servi-zio correzionale norvegese, la domanda è questa: come far scontare ad un detenuto la pena in modo che si riduca al minimo la probabilità che torni a delinquere? Con l’attenzione alla sua riabilitazione sociale e al principio della “normalità”: la vita in pri-gione deve essere il più simile possibile a quella fuori, con tutti i suoi diritti inviolabi-li. La privazione della libertà è già di per sé la punizione. Non importa se non ci sono le sbarre: i detenuti non si dimenticano mai di essere in carcere.

Bastøy, il carcere senza sbarre dove i detenuti sognano di entraredi Alessandra Borella e Cecilia Andrea Bacci - estratto da www.corriere.it

Page 12: Oltre Il Muro 2/3.2015

12

gIuStIzIA: 600 eRgAStOLAnI ItALIAnI SCRIVOnO AL pApA “IL CARCeRe A VItA è dISumAnO”Ansa, 23 ottobre 2015

Seicento ergastolani italiani scrivono al Papa in vista del giubileo straordinario della misericordia, denunciando che il carcere a vita “è disumano”. L’iniziativa è stata presa dall’ergastolano Giovanni Lentini, 41 anni, un calabrese di Crotone, che sta scontando la pena per omicidio a Fossombrone. Insieme a Lentini, hanno apposto la firma centinaia di persone, detenute in diversi carceri della Penisola, sul cui certificato appare il “12/12/9999” come fine pena”. Praticamente “mai”.La lettera, con le adesioni raccolte con l’aiuto di un altro ergastolano, Carmelo Musumeci, è stata recapitata a papa Francesco, che ha risposto tramite l’ispettore generale dei cappellani del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, don Virgilio Balducchi. Il sacerdote, rivolgendosi al cappellano di Fossombrone, don Guido Spadoni, ha così scritto: “Testimonia a Giovanni Lentini che Papa Francesco prega per lui, perché la giustizia migliori, anche per lui sarà possibile gustare la misericordia del Padre”.

ALeSSAndRIA: pROgettO “gIù Le mAnI dALLe dOnne, VOCI dAL CARCeRe”di Stefano Summa

dialessandria.it, 5 dicembre 2015

La Consulta comunale alle Pari Opportunità, insieme all’Assessorato alle Politiche di Genere della Città di Alessandria, ha promosso una conferenza stampa presso le Sale Storiche della Biblioteca Civica “F. Calvo” di Alessandria con cui è stato presentato il libro realizzato a conclusione dell’esperienza biennale del progetto “Giù le mani dalle donne” curato dall’Area 03 del Distretto 30 di Zonta International nell’ambito della campagna internazionale “Zonta Says No”.“Giù le mani dalle donne” nasce con l’intento di coinvolgere gli uomini nei luoghi in cui si pratica lo sport per sconfiggere una volta l’idea che la violenza sulle donne sia un problema di genere. Un fitto calendario di eventi sportivi hanno ospitato i Club Zonta di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta con i loro striscioni e le pettorine gialle “Giù le mani dalle donne” indossate da calciatori, pallavolisti, giocatori di hockey o di basket, così come di rugby. L’eccezionalità di una squadra di rugby nata dietro le sbarre e militante nel campionato nazionale ha portato nel 2012 “Giù le mani dalle donne” all’interno del carcere Le Vallette di Torino.

Il volume ha stampigliata in copertina una frase di una celebre canzone di Ligabue, gentilmente concessa: “...le donne lo sanno che niente è perduto...” e i pensieri raccolti rappresentano un esempio, una presenza di coscienza - come indica Giancarlo Caselli nella prefazione - una speranza che nasce in un luogo in cui con l’educazione si può trovare riscatto al debito con la società. Perché “gli uomini veri amano le donne”, “i veri uomini rispettano le donne e usano le mani per accogliere, per proteggere”. Sono alcune frasi semplici che dicono tutto.

tRIeSte: IL gArante “un LAbOratORIO SOCIALe peR IL ReCupeRO deI ReCLuSI”di Marco Bisiach

Il Piccolo, 4 dicembre 2015

La proposta del Garante per i diritti dei detenuti don Alberto De Nadai. Il problema del vecchio carcere. Creare a Gorizia un “laboratorio sociale”, una sinergia tra enti e istituzioni che possano seguire e accompagnare i detenuti e più in generale tossicodipendenti o persone in difficoltà in un cammino di recupero e reinserimento nella società. È il progetto, ambizioso ma necessario, auspicato dal garante per i diritti dei detenuti di Gorizia don Alberto De Nadai.Ieri don De Nadai ha incontrato la stampa in Provincia, assieme all’assessore al Welfare Ilaria Cecot e ad alcune delle volontarie dell’associazione “La Zattera”, che operano quotidianamente a sostegno dei carcerati. “Esiste un grande squilibrio sociale nella nostra città - ha detto don Alberto, dove a nessuno sembra interessare il problema del carcere. Non a caso tutte le esperienze positive che erano state lanciate, dalla serra al giornalino trimestrale L’Eco di Gorizia, fino alla stessa ristrutturazione, sono cadute nel dimenticatoio. In questo modo, però, la prigione finisce per diventare luogo di esclusione, anziché istituto deputato alla rieducazione e all’inclusione sociale”.

nOVAra: AmneSty pARLA dI dIRIttI umAnI COn LA pOLIzIA penItenzIARIA nOVAReSenovaratoday.it, 4 dicembre 2015

La scorsa settimana alcuni volontari dell’associazione hanno incontrato il personale del carcere di via Sforzesca per sensibilizzare sul delicato tema dei diritti umani dell’integrazione. Il 26 novembre, alcuni attivisti torinesi e novaresi di Amnesty International sono stati al carcere di Novara. Lo scopo era quello di parlare di

diritti umani con gli agenti di polizia penitenziaria che operano all’interno della casa circondariale.Del gruppo faceva parte anche Berthin Nzonza, rifugiato proveniente dalla Repubblica del Congo, arrivato in Italia nel 2002, che ha raccontato la sua esperienza inquadrandola nel discorso dei diritti umani. Anche Christine, emigrata dagli Stati Uniti per ragioni di studio e di lavoro e in Italia da molti anni, ha portato la sua testimonianza di emigrante.Erano presenti circa quaranta poliziotti, alcune persone del Provveditorato regionale, la direttrice del carcere, il comandante di polizia, il magistrato di sorveglianza, personale dei percorsi scolastici in carcere. Grande la partecipazione del pubblico con domande e maggiori richieste di approfondimenti. “Abbiamo avuto molti ringraziamenti dalla direzione del carcere che auspica percorsi analoghi per i detenuti - raccontano i volontari - Valga per tutti il commiato del comandante della polizia che ci ha detto “avete smosso molte coscienze”.

VenetO: mAnCA LA RemS, 14 detenutI pSIChIAtRICI VenetI ReStAnO neLL’ex Opg dI ReggIO emILIAilfarmacistaonline.it, 4 dicembre 2015

Su reclamo dei detenuti veneti, infatti, il magistrato ha deciso che non potendo essere trasferiti alle Rems dovesse essere comunque tolta la vigilanza delle guardie carcerarie. Ma per il Garante delle persone private della libertà personale dell’Emilia-Romagna “si tratta di un carcere e servono misure di sicurezza che non possono essere affidate al personale sanitario, già peraltro insufficiente”. I ritardi delle Regioni nell’applicazione della normativa sulla chiusura degli ex Opg e l’attivazione delle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (Rems) rischiano di creare gravi problemi in Emilia Romagna. Infatti, mentre questa Regione ha ottemperato agli obblighi di legge trasferendo, entro il 31 marzo 2015, nelle due Rems già istituite (una a Casale di Mezzani, nel parmense, e l’altra a Bologna) tutti gli internati residenti nel territorio emiliano-romagnolo che non potevano essere dimessi dall’ex Opg di Reggio Emilia, lo stesso non è potuto accadere con i 20 internati ospitati dall’Opg di Reggio Emilia ma provenienti da altre Regioni (14 dal Veneto, 5 dalla Lombardia e 1 dalla Toscana). Nelle due Rems emiliane, infatti, non c’è più posto, e in Veneto le Rems non esistono ancora.Di fatto, quindi, l’Opg di Reggio, che doveva chiudere i battenti lo scorso 31 marzo, non è stato ancora chiuso. Ma rischia di restare senza servizio di sorveglianza della Polizia Penitenziaria.

Proprietà ed editore:APAS - Vicolo S. Maria Maddalena, 11 - 38122 TrentoTel. 0461 239200 - Fax 0461 238323P. IVA 00641530225

[email protected] - www.apastrento.it

DIrettore resPonsAbIle:Augusto Goio

reDAzIone:Bruno Bortoli, Augusto Goio, Anezka Saliova, Aaron Giazzon, Giulio Thiella, Annalisa Dolzan, Piergiorgio Bortolotti, Alessandra Macillo, Giulia Chemello, Fabio Tognotti.

realizzazione grafica: Digraph, Pergine ValsuganaImpaginazione e stampa: Rotooffset Paganella, Trento

Per contribuire alle spesedi pubblicazione del notiziario è possibile effettuare il versamentosul c/c bancario intestato all’APAspresso la Cassa rurale di Trento IbAn: IT 35 b 08304 01813 000013020601

REINSERImENTO E ALTERNATIVE AL CARCERE

newsa cura della Redazione

COntAttACI SuL nOStRO SItO InteRnetwww.apastrento.it