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DIABETOLOGIA Sesso e diabete OCULISTICA Occhio pigro: come risvegliarlo PREVENZIONE Tagliando di primavera BUONO&SANO La dieta mima-digiuno SANITÀ FUTURO Numero 35 - Primavera 2017 Periodico di informazione del Gruppo MultiMedica AL Insieme contro la violenza sulle donne

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DIABETOLOGIASesso e diabete

OCULISTICAOcchio pigro: come risvegliarlo

PREVENZIONETagliando di primavera

BUONO&SANOLa dieta mima-digiuno

SANITÀ FUTURO

Numero 35 - Primavera 2017

Periodico di informazione del Gruppo MultiMedica

AL

Insieme controla violenzasulle donne

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indice

Lo scorso 8 febbraio, presso l’IRCCS Multi-Medica, si è svolto un interessante convegno dal titolo “La sfida del-la longevità”. Molte le

rappresentanze scientifiche e po-litiche intervenute, molti gli studi presentati e le problematiche di na-tura socio-sanitaria trattate.In effetti il tema è di grande attuali-tà, benché il mito dell’elisir di lunga vita accompagni la storia dell’uomo dall’origine dei tempi. La vita media si allunga, ma ciò non significa es-sere “più sani”. È senza dubbio un desiderio comune quello di vivere il più a lungo possibile, ma vogliamo anche che gli anni di vita in più sia-no trascorsi in buona salute. Esiste, dunque, una strategia che possa garantirci una lunga vita sana? Se lo sono chiesti anche i ricer-catori dell’University College di Londra che, prendendo in esame 9.365 adulti con una età media di sessantatre anni, hanno constata-to che un atteggiamento positivo allunga molto l'aspettativa di vita. Secondo questo studio, denomi-nato Longitudinal Study of Aging e recentemente pubblicato sul Bri-tish Medical Journal, una delle più prestigiose riviste scientifiche al

mondo, l'ottimismo sembrerebbe essere la chiave di volta. Le per-sone che, volontariamente, han-no partecipato a questa ricerca, dal 2002 al 2006, a intervalli rego-lari di due anni, si sono sottoposte per tre volte a un test con doman-de tipo: "Mi piacciono le cose che faccio?", "Mi piace stare in com-pagnia di altri?", "Se guardo indie-tro alla mia vita provo un senso di felicità?", "Mi sento pieno di ener-gia in questi giorni?". La tendenza a una mancanza di risposte positi-ve a queste affermazione è stata ri-portata da 2.264 partecipanti, pari al 24%. Durante il periodo di fol-low-up, durato fino al 2013, si è re-gistrato un tasso di mortalità pro-gressivamente più alto proprio tra gli individui che avevano riporta-to un minor numero di occasioni di gioia. Questo, secondo gli autori, significa che chi affronta la vita in maniera positiva beneficia di mag-gior longevità rispetto a chi si ab-batte o si pone in modo negativo davanti alle difficoltà.A conclusioni analoghe sono arri-vati anche i ricercatori della Harvard TH Chan School of Public Health, che dal 2004 al 2012 hanno ana-lizzato dati relativi ad oltre 70.000 infermiere arruolate nel progetto Nurses Health Study. Incrociando i

loro test psicologici con le cartel-le cliniche che riportavano le loro condizioni di salute nell’arco di otto anni, è emerso che le più ottimiste avevano un rischio di morte ridotto del 30%. In particolare, avevano un minor rischio di morire per cancro (-16%), problemi cardiovascolari (-38%), ictus (-39%), malattie re-spiratorie (-38%) e infezioni (-52%). Non possiamo stabilire con certez-za l’esistenza di un rapporto cau-sa-effetto tra ottimismo e longe-vità, ma i ricercatori sono convinti che il pensiero positivo possa con-dizionare la nostra salute attraver-so due meccanismi principali: da un lato ci spinge ad adottare stili di vita più sani, dall’altro potrebbe agire sul nostro organismo come un farmaco abbassando i livel-li di infiammazione che favorisco-no l’insorgenza di molte patologie.Gli autori di entrambi gli studi am-mettono di avere dimostrato una relazione tra il benessere mentale e quello fisico, ma non pretendono di aver scoperto che il primo sia la causa del secondo. In altri termini non sappiamo se l’ottimismo fac-cia bene alla salute o se la buona salute renda ottimisti. In ogni caso, non ci sono dubbi: per vivere bene a lungo, dobbiamo imparare a go-derci la vita.

editoriale

L’OTTIMISMOALLUNGA LA VITA

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MultiMedica FLASH

Sanità al FuturoPeriodico di informazione del Gruppo MultiMedica

Reg. Tribunale di Milano n. 336 del 19 maggio 2003Direttore responsabile: ALESSANDRA CHIARELLO, Responsabile Comunicazione e Marketing, Gruppo MultiMedicaRedazione: MARGHERITA HASSAN, SIMONA PAGANINI, PIERLUIGI VILLA, Gruppo MultiMedicaEditore: Fondazione MultiMedica ONLUSe-mail della redazione: [email protected]

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Alessandra Chiarello

DIABETOLOGIASesso e diabete

OCULISTICAOcchio pigro: come risvegliarlo

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SANITÀ FUTURO

Numero 35 - Primavera 2017

Periodico di informazione del Gruppo MultiMedica

AL

Insieme controla violenzasulle donne

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senza di disfunzione erettile è an-che un importante fattore di rischio cardiovascolare, in quanto spia di un molto probabile danno vascola-re diffuso.

Per le donneCome anticipato, è stata conferma-ta un’elevata prevalenza di disfun-zioni sessuali anche nella donna diabetica identificabili in:· riduzione o perdita del desiderio e del piacere. L'origine di questo problema è difficile da identificare con precisione, ma sembra essere coinvolta la neuropatia nella dimi-nuzione della sensazione.· Dolore durante il coito. La restri-zione del flusso di sangue alla vagi-na e il basso livello di estrogeni nelle donne con diabete possono influire sul processo di lubrificazione.· Uno scarso controllo glicemico può anche portare a infezioni vagi-nali che possono provocare dolore durante i rapporti sessuali.Recenti studi hanno dimostrato che nella donna diabetica tali disfunzio-ni sono per lo più associate a fat-tori psicologici piuttosto che stret-tamente organici. In particolare non sembra che vi siano associazioni con la durata di malattia, né con il grado del controllo metabolico. Al contrario il numero e la frequen-za delle disfunzioni sessuali nella donna diabetica incrementano con

Le persone affette da diabete hanno soven-te problemi legati alla sessualità: l'incidenza di malattia diabetica è valutata intorno al 2

- 6%, con una presenza di disturbi nella sfera sessuale nell'ordine del 30-40% dei soggetti di sesso ma-schile. Ma anche le donne diabeti-che non ne sono immuni.

Perché il diabete ha così tanta in-fluenza sulla sessualità? Perché causa:· alterazioni del metabolismo degli zuccheri e dei grassi, generando un aumento progressivo del peso· aumento dell’infiammazione ge-nerale del corpo, a sua volta causa di debolezza fisica, perdita di ener-gia vitale e diffusi dolori muscolari, articolari e addominali· calo dell’umore fino a depressione vera e propria, nemica per antono-masia di desiderio sessuale ed ec-citazione· lesione dei piccoli vasi sanguigni e delle piccole terminazioni nervo-se, coinvolti nell’erezione e nel pro-cesso di lubrificazione, come di se-guito descritto.

Per gli uominiAnche se non è automatico, gli uo-mini con il diabete sono ad alto ri-schio di essere affetti da disfun-

zione erettile, ovvero l'incapacità di avere o mantenere un'erezione abbastanza per avere un rappor-to sessuale, nota anche come im-potenza. Il problema è risolvibile, quindi è bene non ignorarlo. La disfunzione erettile può essere causata da arterie, nervi o tessuto fibroso danneggiati, a causa di un cattivo controllo glicemico. Tutta-via, è importante ricordare che ol-tre a cause fisiche, l'impotenza può avere anche cause psicologiche, quali ansia, stress o depressione. Alcuni farmaci spesso usati nei pa-zienti diabetici per controllare la pressione arteriosa o il colesterolo alto, o per trattare la depressione, possono anche esserne responsa-bili. Anche il fumo, l’abuso dell’alcol o l’uso di droghe possono causare problemi di erezione.È quindi importante parlare aperta-mente e francamente di questo ar-gomento, per identificare la causa del problema e concordare il trat-tamento migliore. C’è una vasta gamma di trattamenti oggi disponi-bili che spaziano dai farmaci per via orale ai dispositivi medici, agli inter-venti chirurgici.Il rischio di sviluppare complicanze erettili sarà notevolmente ridotto se i livelli di glucosio nel sangue, pres-sione arteriosa e colesterolo sono ben controllati.Inoltre, va considerata che la pre-

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SESSO E DIABETE

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Antonio CerielloResponsabile “Progetto Diabete”,Gruppo MultiMedica

l’aumentare delle complicanze or-ganiche di malattia. Il nesso cau-sale tra i due fattori sembra essere costituito dalla depressione che ri-sulta essere il principale fattore pre-dittivo di comparsa di disfunzione sessuale nella donna diabetica. Vista la complessità del quadro, a maggior ragione, per le donne dia-betiche colpite da disturbi sessua-li, è importante identificare la causa del problema per trovare il tratta-mento più appropriato.

Consigli utili per lei e per lui· Tenere sotto controllo la glicemia e i livelli di emoglobina glicata;· restare normopeso;· dormire almeno otto ore per notte: la carenza di sonno, infatti, aumen-ta il desiderio di cibi dolci e grassi peggiorando il diabete;· non provare vergogna! Confron-tarsi, superare blocchi psicologici, discutere dei propri sintomi con il proprio medico e il proprio partner è il primo passo verso la soluzione del problema.

diabetologia

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INTERVISTAA CUORE APERTO

Alessandro Mazzola è il nuovo direttore della Cardiochirurgia del- l’IRCCS MultiMedi-ca. Un vero top pla-yer. Non sui campi di

calcio, come l’omonimo campione neroazzurro, ma in sala operatoria. Oltre 5600 gli interventi al suo at-tivo come primo operatore e dav-vero completa la casistica tratta-ta, dalla cardiopatia ischemica alle cardiopatie valvolari, dalla patolo-gia aortica alle cardiopatie conge-nite, tumori cardiaci, trapianti e al-tro ancora.

Prof. Mazzola, il suo curricu-lum è un’enciclopedia di patolo-gie cardiache. Potendo sceglie-re, qual è l’area di intervento che predilige?Gli interventi di rivascolarizzazio-ne miocardica posso ormai consi-derarli di routine, poiché sono i più richiesti. Nutro però anche grande interesse per la la chirurgia conser-vativa della mitrale e dell’aorta.

Ovvero?Partiamo dell’aorta, che già nel

nome racchiude la portata della sua funzione. Esso, infatti, origina dal verbo greco “aeiro” che signi-fica “alzare”. E, in effetti, il sangue è in un certo senso “sollevato” ver-so l’alto dal ventricolo cardiaco ed entra così nella circolazione attra-verso proprio la radice aortica, che, tramite collegamenti collaterali, lo porta poi a cuore, cervello, midol-lo spinale, fegato, pancreas, reni, tubo gastroenterico, arti superio-ri e inferiori. Si capisce quindi l’im-portanza della salute dell’aorta per il buon funzionamento di tutti i no-stri organi. Ma può capitare che, per varie ra-gioni che non è il caso qui di elen-care, l’aorta si ammali; di patologia aneurismatica, per esempio, oggi sempre più diffusa.I trattamenti possibili hanno subito una notevole evoluzione nel tem-po. Si pensi, per esempio, alla pa-tologia dell’arco aortico, in passato curata solo dal Cardiochirurgo, da qualche anno trattata invece con approccio multidisciplinare, in col-laborazione con il Chirurgo Vasco-lare con tecniche ibride che preve-dono la combinazione di chirurgia

tradizionale e procedure endova-scolari che non implicano incisio-ni chirurgiche.

E le patologie che interessano le valvole?Le malattie delle valvole del cuo-re sono caratterizzate da un dan-no o un difetto in una delle quattro valvole cardiache: mitrale, aortica, tricuspide o polmonare. Le valvo-le mitrale e tricuspide controllano il flusso di sangue tra atri e ventrico-li (le camere superiori e inferiori del cuore). La valvola polmonare con-trolla il flusso di sangue dal cuore ai polmoni, e la valvola aortica regola il flusso di sangue tra il cuore e l'a-orta, e quindi dei vasi sanguigni al resto del corpo. Le valvole mitrale e aortica sono quelle più frequentemente affet-te da patologia e di conseguenza le più trattate. Le valvole normal-mente funzionanti assicurano che il sangue scorra in una sola dire-zione. Nelle cardiopatie valvolari, le valvole diventano troppo stret-te e indurite (stenosi) per aprirsi completamente, o non sono in gra-do di chiudersi completamente (in-

sufficienza). Una valvola stenotica ostacola il flusso di sangue, mentre una valvola insufficiente consente al sangue di ritornare nuovamente nella camera dalla quale era uscito. La patologia delle valvole cardia-che oggi può essere trattata me-diante interventi chirurgici tradizio-nali che possono essere riparativi oppure sostitutivi, mediante l’im-pianto di protesi valvolari. Si può ri-correre anche a un approccio tran-scatetere (TAVI o MitraClip), che evita l’uso della circolazione ex-tracorporea e può essere realizza-ta attraverso una piccola incisione chirurgica inguinale o toracotomi-ca.

Quali sono i criteri di scelta dell'intervento da eseguire?Il criterio è uno solo: ciò che è me-glio per il paziente. Sembra un'ov-vietà ma le assicuro che non lo è. Oggi abbiamo a disposizione un ricchissimo menu di possibilità: trattamenti farmacologici, interven-ti mininvasivi, la robotica e la chi-rurgia tradizionale a cuore aper-to. Solo la valutazione collegiale può determinare quale sia la stra-

da giusta da prendere per quel sin-golo paziente. Per questo la logica dipartimentale adottata in Multi-Medica è la più appropriata, per-ché consente una reale condivisio-ne multidisciplinare caso per caso.

Quando la chirurgia “tradiziona-le” risulta necessaria?Le rispondo con una domanda. Qual è la chirurgia “tradizionale”? Come le dicevo, la figura del Car-diochirurgo, solo al tavolo operato-rio, è ormai morta. Oggi i “chirurghi del cuore” sono, e saranno sempre più, degli esseri ibridi: un po’ car-diologi, un po’ radiologi interventi-sti, un po’ cardiochirurghi. Se, con la sua domanda, si riferisce agli interventi a cuore aperto potrei dirle che la chirurgia è indicata in presenza di sintomi di scompen-so cardiaco quando offre al pa-ziente il migliore risultato con il più basso rischio. Anche la presenza di un’insufficienza mitralica seve-ra diagnosticata con l'ecografia, in assenza di sintomi, può essere suf-ficiente a consigliare un intervento a condizione di eseguire un inter-vento di riparazione della valvola.

Ma tengo a sottolineare ancora una volta che solo una valutazio-ne in équipe allargata, che includa non solo medici specialisti ma an-che il medico di medicina generale e a volte i familiari, può determinare l’approccio terapeutico più corretto.

Cosa consiglierebbe a un giova-ne laureato in Medicina interes-sato alla specializzazione in Car-diochirurgia?Di lasciar perdere a meno che non sia mosso da passione e determi-nazione e abbia voglia di fare fatica. La nostra è una strada in salita. Un famoso cardiochirurgo della Mayo Clinic, Dwight Mc Goon, nell’intro-duzione al suo testo di Cardiochi-rurgia Cardiac Surgery, paragona il cardiochirurgo ad un salmone che, nel periodo della riproduzione, ri-sale il fiume contro corrente. Que-sto per sottolineare la fatica e la determinazione che sono necessa-rie per intraprendere questo lavoro.Sottoscrivo.

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A. C.

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Xxxxxcardiochirurgia

Alessandro Mazzola

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L’OCCHIO PIGRO E GLI STIMOLIPER RISVEGLIARLO

Cos’è l’occhio pigro? L’occhio pigro, no- to anche come am- bliopia, consiste in un incorretto svi-luppo della capa-

cità visiva di un occhio, più rara-mente entrambi, durante i primi 7-8 anni di vita. La porzione del cervel-lo deputata alla vista, la corteccia occipitale, non si sviluppa come la porzione controlaterale, e que-sto provoca una visione sfocata. Si considera ambliope un occhio che presenta una visione di 1-2 decimi inferiore al controlaterale. Caratte-ristica fondamentale dell’ambliopia è la reversibilità purché le condizio-ni della stimolazione visiva normale vengano ripristinate il più precoce-mente possibile rispetto al momen-to della comparsa del fattore am-bliopigeno.

Come si sviluppa la visione?Cervello e occhio lavorano in stret-ta sinergia: la luce entra nell’occhio e arriva alla retina. Questa trasfor-ma gli stimoli luminosi in stimo-li nervosi, che attraverso le vie ot-tiche arrivano all’area occipitale del cervello, la sua porzione posterio-

re. Quest’ultimo unisce gli stimo-li di ciascun occhio in un’unica im-magine tridimensionale. Appena nati i bimbi riescono a vedere, ma la loro capacità di percepire i det-tagli è scarsa e la loro acuità visiva non raggiunge il valore di 1/10. Du-rante la crescita si sviluppano e si perfezionano le vie visive che con-nettono l'occhio con il cervello, che impara a interpretare i segnali visivi.Sono necessari circa 3-5 anni pri-ma che i bambini riescano a vedere come le persone adulte. Lo svilup-po visivo continua fino ai 7-8 anni. Dopo questo periodo le strutture sono formate e lo sviluppo è termi-nato.

Chi può sviluppare l’occhio pi-gro?La percentuale di bambini amblio-pi si stima essere attorno al 3% (1 bambino su 30). I bambini che na-scono prematuri, con basso peso alla nascita o con una storia familiare di ambliopia sono a maggior rischio.

Quali sono le cause?L’ambliopia nasce da un fallimen-to nell’uso simultaneo di entrambi gli occhi.

Le cause sono diverse:· lo strabismo è una delle cause più frequenti, quando gli occhi non sono perfettamente allineati duran-te il periodo dello sviluppo il cer-vello riceve due immagini diverse e per evitare la confusione ignora una delle due immagini.· Errori refrattivi, come la miopia, l’i-permetropia o l’astigmatismo, spe-cialmente se di grado differente nei due occhi.· Patologie oculari, come la catarat-ta congenita o la ptosi palpebrale.

Come influisce l’occhio pigro sulla visione?In condizioni normali le immagi-ni che vengono inviate al cervello sono identiche. Quando sono ec-cessivamente diverse, il cervello ignora l’immagine meno definita e “vede” solo quella inviata dall’oc-chio migliore. Se questa condizione si mantiene nel tempo, l’occhio più debole diventa “pigro” per man-canza d’utilizzo.

L’ambliopia peggiora col tempo?Sì. Se la condizione persiste nel periodo di crescita il cervello pone sempre meno attenzione all’imma-

gine proveniente da quell’occhio, diventando sempre più difficile da trattare.

L’occhio pigro è un occhio cieco?No. L’occhio è ambliope solo nella porzione centrale. La vista periferi-ca non viene colpita.

Quali sono i sintomi?Di solito i bambini non riferiscono problemi nella loro vista, perché an-cora troppo piccoli per accorgerse-ne. Il sintomo principale è la visione sfocata nell’occhio affetto.

Come si diagnostica?Una visita oculistica completa può determinare la presenza di amblio-pia. Prima viene fatta una diagnosi, più grande è la possibilità di un trat-tamento efficace. Per questo è im-portante effettuare le visite di scre-ening ai 3 anni e prima di iniziare la scuola elementare.

Come si tratta?Bisogna innanzitutto trattare la pa-tologia di base, per cui vi sono di-verse possibilità: lenti correttive o lenti a contatto sono utili in pre-senza di errori refrattivi; trattamen-to chirurgico in presenza di strabi-smo; in un bambino con cataratta il trattamento implica la rimozione chirurgica precoce della cataratta stessa. Invece per migliorare la capaci-tà visiva il trattamento principale è l’occlusione dell’occhio sano per alcune ore al giorno, così da po-ter stimolare unicamente l’occhio ambliope. Il trattamento deve ne-cessariamente tenere conto del-la severità dell’ambliopia, dell’età del bambino e del tipo di amblio-pia. Quanto più è grave l’ambliopia tanto più drastici debbono essere i provvedimenti. Quanto più è pic-colo il bambino tanto più la terapia sarà efficace in termini di risultati e di brevità di tempo per ottenerli. La terapia è inoltre influenzata in ma-niera importante dalla compliance del bimbo e dei genitori. Risultati soddisfacenti si raggiun-gono se iniziata prima dei 5-6 anni. Dopo i 7 anni è invece difficile sti-molare un miglioramento della ca-pacità visiva poiché il processo di formazione è ormai quasi comple-tamente concluso.

Paolo NucciDirettoreMatteo ScaramuzziClinica Oculistica Universitaria,Ospedale San Giuseppe

Come funziona l’occlusione?Il bendaggio-occlusione a per-manenza (full-time) è di gran lunga il metodo di elezio-ne per la terapia dell’amblio-pia. L’occlusione più con- sigliabile è sempre il cerotto (o benda) con bordo adesivo sull’oc-chio fissante. Si preferisce non li-mitarsi a un bendaggio sull’occhia-le perché il bimbo o si toglierà le lenti o guarderà di lato con l’occhio buono. A seconda della gravità del problema, dell’età e della collabo-razione del bambino, l’occlusore dovrà essere mantenuto per più o meno ore. Per una maggiore effi-cacia, è meglio effettuare il tratta-mento durante le ore di maggiore attività, per esempio quando si gio-ca, si colora, si legge, si va all’asi-lo o a scuola.

Cos'è la penalizzazione?La penalizzazione, sia farmacologi-ca che ottica, rappresenta un altro possibile presidio terapeutico per l’ambliopia. La penalizzazione far-macologia (tramite colliri con atropi-na o ciclopentolato) impedisce l’ac-comodazione dell’occhio buono, promuovendo così la fissazione con l’occhio ambliope per oggetti vicini. Di fatto è una penalizzazione per vicino. La penalizzazione ottica per lontano consiste nell’ipercorre-zione dell’occhio buono (in pratica un occhiale volutamente sbagliato) in modo da favorire l’uso dell’oc-chio ambliope per oggetti lontani. Generalmente la penalizzazione non rappresenta una metodi-ca di successo nel trattamento di un’ambliopia grave poiché i bam-bini continuano a fissare con l’oc-chio migliore anche in presenza di una visione annebbiata. La penaliz-zazione può essere un metodo effi-cace nelle ambliopie di grado lieve o moderato.

È possibile prevenire questa condizione?Certo. Una diagnosi precoce e un trattamento efficace possono ridur-re notevolmente le possibilità che quell’occhio diventi ambliope.

oculistica

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cardiaca è necessaria la collabora-zione del paziente al mantenimen-to dell’apnea, ma, mentre in que-sto caso si tratta di pochi respiri, la Risonanza Magnetica Cardiaca è un esame più lungo (da mezz’o-ra fino ad un’ora circa) e quindi più impegnativo per chi è ad essa sot-toposto.

In conclusione, possiamo dire che TAC coronarica e Risonanza Ma-gnetica Cardiaca sono esami di secondo livello, ai quali i pazien-ti vengono avviati dopo esser sta-ti sottoposti ad esami tradiziona-li ed attentamente selezionati dal medico curante. Sono esami sem-plici, non invasivi e a carattere am-bulatoriale che possono fornire ri-sposte essenziali per la cura dei pazienti cardiopatici o per esclu-dere una possibile cardiopatia. Non comportano rischi rilevanti se eseguiti in ambiente specializza-to, e possono essere dirimenti nei casi di discrepanza tra dati clinici e strumentali.

La TAC coronarica e la Risonanza Magnetica Cardiaca sono due del-le più recenti ed inno-vative metodiche di cui si avvale la diagnostica

cardiologica moderna.Si tratta di due metodiche non in-vasive, fruibili in regime ambula-toriale dalla maggior parte dei pa-zienti, accuratamente selezionati dal Medico Curante o dal Cardio-logo di fiducia. Esse permettono di studiare rispettivamente l’anatomia del circolo coronarico (la TAC co-ronarica) e l’anatomia e la funzione del cuore in toto (la Risonanza Ma-gnetica Cardiaca). Possono quindi essere tra di loro complementari o, come nella maggior parte dei casi, una sola di esse può permettere di giungere alla diagnosi ed eventual-mente di definire una stratificazio-ne prognostica e un iter terapeuti-co.Vediamo in dettaglio di che cosa si tratta e quali pazienti possono be-neficiarne.

La TAC coronarica è una metodica radiologica che permette, median-te la somministrazione di mezzo

di contrasto organoiodato, lo stu-dio delle coronarie con una sem-plice scansione della durata di po-chi secondi. Essa non vuole e non può naturalmente sostituirsi alla tradizionale coronarografia, ma è in qualche modo ad essa comple-mentare e, in alcuni casi, ad essa preliminare. Permette infatti, in al-cuni tipi di pazienti adeguatamen-te selezionati, di individuare coloro che presentano stenosi coronari-che e che sono meritevoli quindi di esser studiati con la coronarografia ed eventualmente trattati mediante angioplastica o rivascolarizzazione chirurgica. Permette inoltre (e so-prattutto) di individuare quei pa-zienti che, pur presentando sinto-mi o segni clinico-strumentali che farebbero sospettare una corona-ropatia, non ne sono affetti. Que-sti pazienti per i quali viene esclu-sa una coronaropatia non saranno quindi da avviare alla coronarogra-fia (esame più complicato, invasivo e da eseguirsi in regime di ricove-ro); andranno bensì esplorate cau-se differenti che giustifichino la sin-tomatologia accusata. Si tratta di un esame semplice, rapido e sicu-ro che può essere affrontato dal-

la grande maggioranza dei pazien-ti. Unici veri fattori limitanti sono la funzione renale e, in alcuni casi, il ritmo cardiaco.Naturalmente, come già detto, tale metodica non può sostituirsi alla coronarografia, ma è destinata ad una tipologia di pazienti differente; per questo è indispensabile la se-lezione da parte del medico curan-te e del cardiologo, deputati a sce-gliere di volta in volta l’esame più indicato e ad individuare i pazienti che maggiormente possano bene-ficiare dall’essere avviati alla TAC cardiaca o direttamente all’angio-grafia coronarica.La Risonanza Magnetica Cardia-ca consente, invece, di studiare l’a-natomia e la funzione cardiaca del cuore in toto o di una determina-ta porzione di esso. Essa permette inoltre la caratterizzazione tissuta-le delle strutture e l’individuazione dell’eventuale presenza di fibrosi nel muscolo miocardico. Anch’es-sa non vuole e non può sostituir-si al tradizionale ecocardiogram-ma, ma può, a seconda dei casi, confermare un sospetto diagnosti-co, esplorare una territorio cardia-co non visibile con la finestra eco-

cardiografica, definire la prognosi per una determinata patologia, etc.Gli impieghi e le indicazioni propri alla Risonanza Magnetica Cardiaca sono svariati: dallo studio delle car-diomiopatie (e della loro possibile eziologia), allo studio delle valvulo-patie, alla conferma della presenza di trombosi intracavitaria, allo stu-dio delle masse cardiache (in termi-ni di dimensioni, posizione, rapporti anatomici, ma anche – e soprat-tutto - di caratterizzazione tissuta-le). Anche in questo caso si tratta di una metodica sicura e non inva-siva; essa non sottopone nemme-no i pazienti a radiazioni ionizzanti, ma necessita unicamente (non nel-la totalità dei casi ma in una grande maggioranza) della somministra-zione di mezzo di contrasto para-magnetico. Anche in questo caso dunque l’unica vera limitazione è rappresentata da una funzionali-tà renale severamente alterata, ol-tre alla presenza nel corpo del pa-ziente di dispositivi non compatibili con il campo magnetico (l’esempio più noto è rappresentato da alcu-ni pace-maker). Anche per quan-to riguarda la Risonanza Magnetica Cardiaca, essenziale è la corretta

selezione del paziente.Tale esame può fornire risposte molto più articolate rispetto alla TAC, in termini di conferma o meno di un sospetto diagnostico ed in termini di stratificazione progno-stica (grazie al dato di fibrosi mio-cardica), che possono poi guida-re le scelte del clinico per quanto riguarda la terapia medica e non solo. Come accennato, il pun-to di forza della risonanza cardia-ca è dato dal fatto di poter studiare con estrema precisione ogni por-zione cardiaca, di effettuare la ca-ratterizzazione tissutale e di defini-re l’eventuale presenza di fibrosi. Sta al medico che esegue l’esa-me guidare la scelta del protocol-lo più appropriato in base al quesi-to diagnostico, per fornire risposte quanto più possibile precise ed uti-li al clinico, per la definizione della futura strategia diagnostica e tera-peutica. Anche il paziente ha però un ruolo attivo nello svolgimen-to dell’esame: la sua compliance consiste nel mantenimento di ade-guati periodi di apnea, essenzia-li per l’ottenimento di immagini di buona qualità e quindi interpretabi-li con sicurezza. Anche per la TAC

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L’EVOLUZIONEDELLA DIAGNOSTICA

CARDIOLOGICA

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cardiologia

Claudio AnzàDirettore del Dipartimento Cardiologico,Gruppo MultiMedica

Chiara SeguriniUnità di Riabilitazione Cardiologica,Ospedale San Giuseppe

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TAGLIANDO DI PRIMAVERA

Il check-up uguale per tutti, che si usava negli anni ’80, oggi viene più frequentemente sostituito da un gruppo di esami e visite di scree-ning da eseguire con una scadenza fissa a seconda dell’età, delle con-dizioni di salute, delle abitudini di vita e della predisposizione familia-re verso alcune malattie.In MultiMedica andiamo oltre: da noi il check-up è personalizzato.Il percorso inizia con il prelievo di sangue ematochimico, che va ad analizzare emocromo, funzionali-tà epatica, renale, parametri lipidi-ci e glicemici, funzionalità tiroidea, indici infiammatori e parametri del ferro, ricerca epatite B, C e HIV, esame delle urine e sangue occul-to nelle feci. Tutto ciò per stabilire il corretto funzionamento degli or-gani interni, per escludere anemia o infiammazione e per escludere la presenza di malattie virali (virus B, C e HIV).Di base a tutte le persone si effet-tua anche l’elettrocardiogramma (ecg) e la misurazione della pres-sione arteriosa.Il check-up poi continua con la mia visita internistica: attraverso un’ac-curata anamnesi, dove indago lo

Finalmente l’inverno è terminato e dopo lun-ghe giornate di buio e freddo, ritorna la luce. La natura si risveglia e così anche gli uomi-

ni sembrano essere in sintonia con l’ambiente circostante.È proprio in questo periodo infat-ti che molte persone si iscrivono in palestra, iniziano a fare sport, ini-ziano diete, come per recupera-re uno stato di buona salute, che si era perso durante l’inverno, mi-gliorando così il proprio stile di vita.

Proprio da questo punto di partenza molto frequentemente viene voglia di conoscere a fondo il proprio livel-lo di salute, attraverso l’analisi del-le funzioni del proprio corpo. Viene voglia insomma di fare un check-up, un insieme di accertamenti finalizza-ti anche alla prevenzione dell’insor-genza di malattie.In campo sanitario con prevenzione si intende l’insieme delle azioni volte al mantenimento o al miglioramento dello stato di salute, quindi volte ad anticipare l’insorgere di un determi-nato tipo di patologia o a curarne gli effetti o a limitarne i danni.

stile di vita dell’individuo e la fami-liarità, decido quali altre visite spe-cialistiche ed esami strumentali si svolgeranno durante la mattinata.Inoltre eseguo un esame obietti-vo e un controllo ponderale tramite uno strumento chiamato impeden-ziometro, che valuta lo stato nutri-zionale della persona e mi consen-te di fornire, quando necessario, i consigli alimentari adeguati.Per le donne risulta fondamentale la prevenzione ginecologica con il PAP test, la visita e l’ecografia tran-svaginale, utile annualmente dall’i-nizio dell’attività sessuale.Inoltre annualmente, sempre per le donne in età fertile, è utile un’esa-me mammografico dopo i 40 anni e un’ecografia dai 25 anni. Se ci si trova in presenza di familiarità stretta (la madre) è utile però inizia-re ad effettuare l’ecografia mam-maria dall’età dello sviluppo.Grazie alla presenza del Centro Osteoporosi, siamo in grado di ef-fettuare anche esami ematochimici mirati o la MOC.Per l’uomo dopo i 45 anni si effet-tua il dosaggio del PSA, marcatore di flogosi e di tumore, l’esplorazio-ne rettale e l’uroflussometria (esa-

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Stefania PacchettiResponsabile del Servizio di Prevenzione e Check-Up,Gruppo MultiMedica

me che valuta la pressione del get-to urinario) per prevenire il tumore della prostata e valutare gli stati in-fiammatori.In un check-up è fondamentale la prevenzione cardiovascolare con la visita cardiologica, gli esami stru-mentali quali l’ecocardiocolordop-pler, l’ecocolordoppler dei tronchi sovraortici e l’ecg sotto sforzo, na-turalmente non solo per gli uomi-ni sopra i 40 anni, ma anche per le donne dopo la menopausa.Tali esami è bene che vengano ef-fettuati una volta all’anno, in parti-colare in caso di diabete, iperten-sione e familiarità.I fumatori oltre a questi accerta-menti cardiologici è bene che si sottopongano annualmente a Rx torace, visita otorinolaringoiatra, visita pneumologia con le prove spirometriche complete, per esclu-dere la presenza dei danni del fumo non solo sul’apparato cardiocirco-latorio ma anche respiratorio.Nell’ambito della prevenzione on-cologica nel check-up è sempre più importante la valutazione del distretto cutaneo,

finalizzata ad escludere il melano-ma o altri tumori della pelle.Effettuata dallo specialista derma-tologo tramite il dermatoscopio permette una valutazione specifica delle lesioni cutanee e, quando ne-cessario, memorizza digitalmente la lesione (mappatura nevi).Con l’ecografia dell’addome com-pleto si possono escludere altera-zioni di danno dei vari organi interni (fegato, pancreas, colecisti, milza, reni, vescica, aorta addominale, re-gione pelvica), la presenza di cal-coli o di masse, e di versamenti. Con l’ecografia della tiroide si evi-denzano le sempre più frequenti al-terazioni infiammatorie e nodulari.Dopo i 50 anni è importante effet-tuare per la prevenzione del tumo-re del colon e dello stomaco, una colonscopia ed una esofagoga-stroduodenoscopia, consigliabi-li dai 40 anni in caso un genitore abbia avuto tumore al tubo gastro-enterico. La colonscopia risulta es-sere poco accettata dai pazienti, ma recente-

Xxxxxmedicinagenerale

mente le nuove preparazioni la ren-dono più tollerata, e la sedazione la rende molto più sopportabile.Con tali esami si vanno ad esclu-dere inoltre anche patologie diver-ticolari del colon, malattie infiam-matorie, ulcera e gastrite, oltre a reflusso gastrico.Durante la mattinata di check-up inoltre vi è la possibilità di effettua-re altri tipi di visite specialistiche da quella oculistica, a quella or-topedica e fisiatrica, a quella oto-rinolaringoiatrica, per citarne solo alcune.Al termine di tutti gli accertamen-ti, l’Internista effettuerà un collo-quio conclusivo attraverso il quale sottolinearà eventuali patologie ri-scontrate e sensibilizzerà il pazien-te, ove necessario, a modificare il proprio stile di vita.

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COME PREVENIRELE CADUTE DEL BAMBINO

mamma e bambino

Le cadute sono una del-le principali cause di infortuni fra i bambini, e, quindi, uno dei più frequenti motivi di ac-cesso al Pronto Soc-

corso. La maggior parte delle cadute av-viene in casa (il bambino può sia cadere da mobili, letti, fasciatoi, scale, sia scivolare o inciampare in tappeti, giochi e altri oggetti), ma anche all’aperto il numero dei casi di caduta è cospicuo (nelle aree gioco per bambini, in bici-cletta, ecc.).

Un bambino è a rischio di caduta soprattutto nei primi anni di vita, quando inizia a muoversi e cammi-nare e non conosce i pericoli. Il ri-schio aumenta quando il bambino si trova in un ambiente estraneo, sta giocando, ha dormito poco o è molto stanco.

La gravità e le conseguenze di una caduta sono molto variabili e di-pendono soprattutto dall’età del bambino e dalle modalità di cadu-ta (altezza da cui si cade, tipo di su-perficie su cui si atterra, ecc.).Molte cadute possono essere pre-venute grazie ad un’attenta supervi-sione da parte degli adulti, all’appli-cazione di accorgimenti per evitare condizioni di rischio ed anche all’u-tilizzo di ausili per la sicurezza. Di seguito alcuni consigli pratici:

Regole generali di prevenzione· Sorvegliare sempre attentamente il bambino nelle sue attività, in par-ticolare quando non è ancora auto-nomo, inizia a camminare o sale e scende le scale.· Fare attenzione che il bambino usi giochi adatti alla sua età.· Lasciare gli spazi della casa il più possibile ordinati, liberi da osta-coli e senza superfici irregolari (ad esempio, non lasciare giocattoli sparsi sul pavimento, evitare il più possibile l’uso di tappeti negli spa-zi utilizzati dal bambino, evitare di far camminare il bambino quando il pavimento è bagnato o è stata ap-pena passata la cera, ecc.).· Se possibile, riservare al bambino per le sue attività uno spazio che per lui sia sicuro (box, tappeto in-terattivo con paracolpi, barriera alla porta della camera, ecc.).· Illuminare adeguatamente le stan-ze di casa. · È opportuno spiegare al bambino, anche piccolo, il comportamento da tenere per evitare i potenziali perico-li, usando un tono di voce rassicu-rante e senza troppo insistere con ordini e divieti che potrebbero es-sere controproducenti. Una buona strategia potrebbe essere distrarre il bambino con altre attività invitanti o interessanti, quando inizia delle atti-vità potenzialmente pericolose. · È anche importante garantire mo-menti di riposo e di sonno adegua-ti all’età.

Filippo PorcelliDirettore dell’Unità di Neonatologia,Ospedale San Giuseppe

· Per quanto riguarda l’abbiglia-mento, è consigliabile usare vesti-ti comodi, che non intralcino i mo-vimenti e calzature chiuse, della giusta misura e con suole antisci-volo.

Poiché le modalità di caduta varia-no in funzione dell’età del bambino, del tipo di attività che svolge e del luogo in cui si trova, suggeriamo al-cuni comportamenti preventivi da tenersi nelle varie circostanze:

Prevenzione delle cadute del ne-onato e del lattante· State sempre vicini al vostro pic-colo quando si trova su una qualsi-asi superficie sollevata da terra, ad esempio il fasciatoio, il tavolo, il let-to o il seggiolone. · Quando usate il fasciatoio, non la-sciate mai solo il bambino, anche se di pochi giorni, e se proprio do-vete muovervi, tenete sempre una mano sul suo corpo. Cercate di preparare tutto quello che vi ser-ve prima di effettuare il cambio del pannolino o di vestire il bambino.· Fate dormire il bambino in una culla o lettino di dimensioni adat-te alla sua età, dotati di spondine di protezione. Alzate sempre le spon-dine del lettino prima di allontanar-vi. · Non lasciate il vostro piccolo nella carrozzina sulle sue ruote, ma ap-poggiate la navicella per terra o as-sicuratela sugli appositi sostegni.

Per informazioni:[email protected]

Prevenzione delle cadute del bambino fuori casa· Quando viaggiate in auto, usa-te sempre dispositivi di trasporto (culle, ovetti o seggiolini) adatti all’ età ed alle dimensioni del bambi-no e opportunamente fissati ai se-dili dell’auto. · Assicurate sempre il bambino a tali dispositivi con le relative cintu-re di sicurezza, anche per sposta-menti brevi. · In bicicletta, utilizzate seggioli-ni omologati ed idonei all’età del bambino, dotati di cinture di sicu-rezza. Mettete inoltre al bambino il caschetto di protezione.· Assicurate sempre il bambino nel passeggino, con le apposite cintu-re di sicurezza, anche durante bre-vi passeggiate. · Tenete sempre per mano il vostro bambino, se piccolo, quando cam-minate per strada.· Sorvegliate il bambino nei parchi e nelle aree gioco, verificando la sicu-rezza dei giochi e delle strutture.

· Quando il bambino è seduto sul seggiolone, allacciategli sempre le apposite cinture di sicurezza.· Non lasciate mai il bambino solo durante il bagnetto.· Durante l’allattamento, soprat-tutto se allattate a letto in posizio-ne sdraiata (con il rischio di ad-dormentarvi), accertatevi di aver predisposto dei dispositivi di pre-venzione o riduzione del rischio caduta, creando attorno al bimbo una barriera ad esempio con l’uso di cuscini.· Evitate di dormire nello stesso let-to del bambino, perché se vi ad-dormentate potrebbe cadere sen-za che ve ne accorgiate.· Quando lo tenete in braccio, so-stenete sempre bene la testina del neonato e muovetevi con cautela.· Non lasciate mai il bambino incu-stodito in casa: nel caso in cui, per una eventuale urgenza, doveste al-lontanarvi da lui, ponete il bambi-no in sicurezza nella culla/ lettino o nel box.· Non usate il girello perché è poco stabile e può causare delle cadute molto pericolose.

Prevenzione delle cadute del bambino in casa· Nei primi anni di vita, utilizzate un lettino dotato di sponde di prote-zione. · Non lasciate mai il bambino da solo in stanze con finestre aperte o vicino a balconi e terrazze.· Tenete lontano dalle finestre mo-bili o giocattoli sui quali il piccolo possa arrampicarsi.· Fate attenzione: le zanzariere sono progettate per non fare entrare gli insetti, ma non reggono il peso di un bambino e quindi non posso-no impedire che il vostro bambino cada dalla finestra.· Fissate bene i mobili e gli scaffa-li, perché il bambino potrebbe ag-grapparvisi, facendoseli cadere ad-dosso.· Installate dei cancelletti agli ac-cessi delle scale. Non appena pos-sibile, insegnate al bambino come salire e scendere. Accompagnate sempre il bambino sulle scale fin-ché non saprà muoversi in modo autonomo. · Non lasciate il bambino solo du-rante il bagno.

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LA MALATTIA DI CROHN

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in-dolore

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Emilio BevigliaDirettore dell’Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva,Ospedale Multimedica Castellanza

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La Malattia di Crohn, che prende nome dal chirurgo che per pri-mo la descrisse negli anni ’30, è una patolo-gia infiammatoria croni-

ca che può interessare l’intero trat-to digerente con una distribuzione caratteristicamente segmentaria. La maggiore incidenza di localizza-zione si ha a livello dell’ileo termi-nale, del colon e della regione ret-tale.

È una patologia ad eziologia ancora sconosciuta: si ritiene che l’organi-smo, in un soggetto geneticamente predisposto, risponda con un pro-cesso infiammatorio in conseguen-za di uno stimolo antigenico e che questa risposta sia tanto intensa da stimolare il sistema immunitario ri-correntemente nel tempo. Vi sareb-be quindi un’interazione fra fattori genetici e fattori ambientali.È una malattia che si rileva soprat-tutto nei Paesi industrializzati, an-

che se, di recente, si è notato che il panorama della sua diffusione si sta modificando. Colpisce qualun-que fascia di età ma prevalente-mente la prima manifestazione di malattia si presenta nell’età gio-vanile generalmente prima dei 30 anni. È caratteristica della malattia alternare momenti di riacutizzazio-ne a periodi anche lunghi di remis-sione sintomatologica. Va inoltre tenuto presente che la Malattia di Crohn colica aumenta la predispo-sizione all’insorgenza di cancro in-testinale.I sintomi sono eterogenei ma co-munemente si manifesta con dolo-ri addominali, diarrea cronica con mucorrea e presenza di sangue, calo di peso. A questi sintomi si as-sociano spesso sensazione di ma-lessere generale, anoressia e pre-senza di rialzo febbrile.Il percorso per giungere alla dia-gnosi è vario e si avvale, oltre che di una valutazione clinica, anche di una combinazione tra esame endo-

scopico, la colonscopia, l’istologia, indagini di laboratorio ed esami ra-diologici quali la RMN, l’enteroTC e l’ecografia che hanno importan-za specialmente per la valutazio-ne delle complicanze della malat-tia quali stenosi, fistolizzazioni ed ascessualizzazioni e per lo studio delle alterazioni delle pareti ileali. In aggiunta a tali esami da alcuni anni ci si avvale, nei casi in cui non si perviene ad una diagnosi mediante ileocolonscopia ed esami radiolo-gici, anche della videocapsula che permette una completa valutazione dell’ileo ma che è controindicata in presenza di stenosi. Nell’inquadramento clinico è ne-cessario analizzare la presenza di eventuali intolleranze alimentari, assunzione di farmaci (inclusi an-tibiotici e farmaci antiinfiammatori non steroidei). Particolare attenzio-ne va riservata all’analisi di fattori di rischio quali il fumo, la storia fa-miliare, e recenti infezioni del tratto gastroenterico.

Nell’esaminare i sintomi vanno pre-se anche in considerazione even-tuali manifestazioni extraintestinali in quanto la patologia può manife-starsi anche con disturbi interes-santi la cavità orale (lesioni aftoidi), o fenomeni infiammatori a carico di occhi, articolazioni, cute, compar-sa di ascessi perianali o di ragadi anali ricorrenti. Poiché l’eziologia precisa della ma-lattia è sconosciuta, non è ovvia-mente disponibile una terapia.Il trattamento farmacologico della Malattia di Crohn attiva è influenza-to da vari fattori e deve tener con-to di variabili quali l’efficacia del far-maco, gli effetti locali, la risposta prevedibile al trattamento e la pre-senza o meno di manifestazioni ex-traintestinali o di complicazioni. La finalità della terapia è di indurre nel paziente una remissione della sin-tomatologia e di mantenerla il più a lungo possibile.I farmaci utilizzati spaziano dal-la Budesonide ai corticosteroidi si-

stemici, agli aminosalicilati quali la Mesalazina, agli immunosoppres-sori, agli antibiotici, sino ad arrivare a farmaci biologici.L’impiego dei singoli farmaci o l’as-sociazione tra loro dipende dall’en-tità della patologia, dalla sua localizzazione e dalla risposta indi-viduale di ogni singolo paziente.Ottenuta la remissione della malat-tia, si deve attuare un programma di mantenimento. Nella scelta dei farmaci da utilizzare si deve tener conto che l’utilizzo dei salicilati non presenta un’efficacia comprovata e che anche gli steroidi non appaio-no determinanti a questo scopo. Gli unici farmaci che hanno dimostra-to una certa efficacia sono l’Azatio-prina, la 6-mercaptopurina, il me-totrexate e gli anti-TNF-alfa. Tale approccio terapeutico è comunque limitato ai pazienti con malattia re-frattaria o corticodipendente.Nel corso della malattia, per com-plicanze stenotiche o fistolizzanti o per refrattarietà alla terapia medi-

ca, può essere necessario ricorre-re a interventi di resezione chirurgi-ca. A un anno dal primo intervento il 60% circa dei pazienti presenta nuove lesioni a livello anastomo-tico (recidiva endoscopica), il 10-20% presenta sintomi di malattia (recidiva clinica) e il 5% dei pazien-ti necessita di un nuovo intervento (recidiva chirurgica).Oltre alla terapia medica, che va seguita scrupolosamente, appa-re utile eliminare il fumo e, specie nei momenti di riacutizzazione del-la malattia, ridurre al massimo l’as-sunzione di verdure ad alto resi-duo di scorie. Poiché si è notato che la malattia tende a riacutizzarsi anche per lo stress è consigliabile condurre una vita con attività fisica regolare evitando, anche con l’uti-lizzo di tecniche di rilassamento, i momenti di stress.

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L’alimentazione è per l’uomo un bisogno primario, indispen-sabile alla sopravvi-venza, generatrice di piacere e legata

all’istinto. Mangiare, quindi, non è solo nutrir-si, ma raggiungere una soddisfazio-ne che tocca le corde più profonde del nostro essere, sia fisicamente che psicologicamente.Severe modifiche quantitative e qualitative della nostra alimentazio-ne devono quindi essere sempre in-trodotte con grande cautela e solo se terapeuticamente necessarie nel singolo e mai proposte alla collet-tività intera, fatta di persone adul-te sane, ma anche di persone con problemi clinici e psichici magari la-tenti, di adolescenti, di donne gra-vide e in allattamento, di anziani…

Quest’ultimo secolo ha visto in Oc-cidente il succedersi di eventi prima sconosciuti. Lo sviluppo rapidissi-mo della tecnologia e dell’automa-zione ha generato una sedentarietà che ha ridotto considerevolmente il nostro dispendio energetico quo-tidiano. Il benessere economico ci permette di avere accesso in modo continuativo a una quantità di cibo sempre maggiore, sempre più ela-borato e invitante. La competitivi-tà sociale e il conseguente stress ci fanno sempre più usare l’alimen-

tazione come compensazione psi-cologica. La pubblicità ci sollecita a consumare i più diversi prodotti del commercio. L’inquinamento dell’a-ria, dell’acqua e del suolo e la ma-nipolazione industriale dei cibi ren-dono altresì gli alimenti sempre più pericolosi per la nostra salute.

L’esito di tutto questo è l’aumento delle patologie legate all’eccesso e allo squilibrio nutrizionale (obesità, diabete, ipertensione arteriosa, di-slipidemia, malattie cardio-circola-torie, alcuni tipi di tumori) e richie-de un intervento medico preventivo sull’intera popolazione.Si chiama educazione alimentare e si basa su dati scientifici evidenti che indicano come a noi più appro-priata la dieta mediterranea.Evidenze scientifiche hanno anche dimostrato come precise prescri-zioni nutrizionali siano efficaci per trattare alcune patologie (ad esem-pio le nefropatie, il diabete, le disli-pidemi) e a volte per risolverle (ad esempio la celiachia, l’intolleranza al lattosio, le allergie alimentari) ma si attuano in Medicina, sono mirate ai singoli soggetti e non certo pro-poste alla collettività sana.

Tante, invece, sono le voci, anche autorevoli, che oggi propongono modifiche nutrizionali collettive ca-ratterizzate spesso dall’esclusio-ne di intere categorie alimentari e

quindi potenzialmente rischiose per la nostra salute.Così veniamo quotidianamente in-vestiti da notizie, a volte anche in contraddizione tra loro, che ci pro-pongono comportamenti alimen-tari così bizzarri da lasciarci per lo meno perplessi. Sono spesso in-dicazioni che poggiano su opinio-ni più o meno ragionevoli ma senza basi scientifiche dignitose.

Diversa sembra la nuova proposta del dottor Walter Longo* che na-sce da una ricerca scientifica bene impostata e presenta dati appa-rentemente solidi, anche se anco-ra insufficienti. Le conclusioni trat-te poggiano quindi su un lavoro di ricerca serio e razionale. Ma occor-rono ulteriori approfondimenti per emettere un giudizio scientifico de-finitivo.Anche in questo caso le indicazio-ni alimentari collettive propongono una dieta praticamente vegana con l’aggiunta di piccole quantità di pe-sce, escludendo quindi molte cate-gorie alimentari.La proposta, poi, di giorni periodi-ci di semi-digiuno per i quali già di-sinvoltamente viene proposto il kit preconfezionato mi sembra scon-finare in una medicalizzazione nu-trizionale che per ora è in contrad-dizione con la preoccupazione del mondo scientifico di fare preven-zione educativa.

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DUE PAROLE SULLA DIETA MIMA-DIGIUNO

buono& sano

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Augusta SonatoSpecialista in Scienza dell’alimentazione e Dietetica,IRCCS MultiMedica

Forse il timore maggiore è che questi suggerimenti molto seve-ri, anche se scientificamente vali-di, riversati sull’intera popolazio-ne, possano essere ulteriormente estremizzati da taluni con gravi ri-schi per la salute.Al momento, e in attesa di ulterio-ri dati, credo che l’indirizzo nutrizio-nale collettivo più sano, più fisio-

logico, più rispettoso anche delle nostre tradizioni alimentari e del si-gnificato complesso che ha per noi l’alimentazione rimanga la Dieta mediterranea, che purtroppo è an-cora poco conosciuta e pochissi-mo seguita.

* Il dottor Longo sarà protago-nista del 4° incontro della serie

“Dottore, mi dica”, in programma il prossimo 1 giugno alle 18 pres-so l’Ospedale San Giuseppe. Ti-tolo della serata: “Miti e leggen-de a tavola”

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Simona Paganini

parlamidi te

SEGUENDO LA MIGLIORE PROSPETTIVA

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mer MultiMedica Onlus?Quando nel 2009 mi sono rivolta al Dr. Franceschi, direttore dell’Unità di Neurologia dell’Ospedale Mul-tiMedica di Castellanza, che dia-gnosticò anche a mia madre una demenza, memore dell’esperien-za passata con mio padre, ave-vo ormai capito che il mettere a confronto i propri vissuti con altri, che siano persone nella tua stes-sa condizione o addetti ai lavori, ha molteplici benefici. A livello psi-cologico, perché proprio dal con-fronto di esperienze si può trova-re spunto per risolvere situazioni o problemi di gestione all’apparenza insormontabili; a livello pratico per-ché è di supporto nella gestione e monitoraggio del paziente, costan-temente coinvolto in attività di sti-

questo si è rivelato il giusto rime-dio, sicuramente è stato il meto-do che più mi ha aiutato in que-sta situazione. Un altro trucco per gestire questa malattia incontrol-labile? “Mentire”. Nel senso di as-secondare la percezione della re-altà che vede il malato, evitando di accanirsi nel volerlo ricondurre a quella realtà che è percezione di tutti. In questo modo ho potuto ge-stire alcune di quelle situazioni in cui la suscettibilità, che contraddi-stingue questa tipologia di mala-ti, avrebbe scatenato una reazione incontenibile. È la sensibilità del-le persone che li attorniano la vera marcia in più.

Perché ha deciso di entrare a far parte dell’Associazione Alzhei-

molazione, sia a livello motorio sia neurologico, sotto l’osservazione di professionisti. In secondo luo-go, non va dimenticato che anche chi sta vicino a persone colpite da una qualsivoglia forma di demenza ha la necessità di essere formato all’assistenza, perciò ben venga-no gli incontri informativi, i gruppi di ascolto che, pur avendo come argomento la malattia, permettono di uscire dalla routine assistito-as-sistente ritagliandosi un momen-to e uno spazio di sollievo, senza sensi di colpa. Non solo, la condi-visione delle esperienze consente il venir meno di quel senso di ver-gogna che a volte si insinua nel rapporto con terzi, che non pos-sono comprendere a pieno ciò che stiamo vivendo.

Ci sono patologie che, più di altre, non colpiscono solo chi ne è affet-to ma anche chi gli sta vicino. È il caso

della Malattia di Alzheimer e di tut-te quelle forme di demenza che af-fliggono sempre più persone nel mondo, anche a seguito dell’allun-gamento della vita media.

È Elena a parlarci della sua espe-rienza di figlia di genitori affetti en-trambi da demenza, vasculopatica il padre e semantica la madre, di come sia riuscita a gestire il cam-biamento loro, suo e di tutta la sua famiglia. Ed è proprio sulla neces-sità di cambiare prospettiva che Elena ha puntato per far fronte alla malattia.

Come ha scoperto che suo pa-dre soffriva di demenza vasculo-patica?Tutto è cominciato con dei piccoli cambiamenti di carattere e di abi-tudini ormai consolidate, scambia-ti per una conseguenza dell’avan-zamento di età, o, a seconda delle situazioni, per un progressivo im-pigrirsi, per una maggiore svoglia-tezza. Potrei fare un elenco di epi-sodi, situazioni e occasioni in cui la maggior parte delle persone si ri-conoscerebbero, ma il progressivo

presentarsi e il ripetersi di questi avvenimenti ci ha convinti a rivol-gerci a uno specialista che, dopo aver eseguito test specifici ed esa-mi, ci ha comunicato la diagnosi: demenza vasculopatica. Patologia progressiva dalla quale, ad oggi, non è possibile guarire.

Immagino che la sua prima rea-zione sia stata di sconforto e im-potenza.Purtroppo non siamo prepara-ti all’eventualità che le persone a noi più care, quelle sulle quali ci siamo sempre appoggiati, possa-no improvvisamente perdere que-sto ruolo di capisaldi della nostra vita. L’adattamento a questa nuo-va situazione ci spaventa e, nel-la maggior parte dei casi, reagia-mo con insofferenza alle continue sollecitazioni della persona mala-ta che, a sua volta, trovandosi in uno stato iniziale di confusione e non capendo quello che le sta ac-cadendo, rinuncia a ogni forma di coinvolgimento o supporto, isolan-dosi sempre più. Molto spesso chi sta vicino a una persona affetta da questo tipo di patologia è oppres-so dalle incombenze, preoccupa-to di come gestire l’assistenza, e non riesce a cogliere la sofferen-za del malato, il suo vissuto. Dal mio punto di vista, spetta proprio alle persone che stanno più vici-

no al paziente, pur con i loro limi-ti e soprattutto senza vergognarsi di chiedere aiuto, mantenere vivo il rapporto e la relazione preesisten-te, anche e soprattutto quando il malato non è più in grado di fare la sua parte, perché anche quando quest’ultimo non riconosce le per-sone che gli stanno accanto, rico-nosce comunque l’esistenza di un legame che va mantenuto vivo da chi ne ha ancora la possibilità.

E ci è riuscita?Quando ho saputo della malattia, papà si trovava in uno stadio in-termedio, il che significa che i mo-menti di lucidità si alternavano a quelli di confusione e incoerenza e, come tutti, tentavo di arginare quelle che ritenevo le sue mancan-ze. In seguito ho capito che quel-lo che per me non aveva senso, ri-letto da un punto di vista diverso, quello di mio padre appunto, ave-va comunque una sua logica! Na-turalmente non è stato immedia-to il passaggio da una prima fase di incomprensione, nella quale mi sforzavo di spiegargli che quel-lo che diceva o faceva non ave-va senso, a un livello successivo, nel quale ho provato a entrare nella sua logica, tentando di capire per-ché mi diceva o faceva certe cose, o si comportava un in determina-to modo. Anche se non sempre

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"Che cosa significa avereun familiare malato di Alzheimer? Cambiare la prospettivacon cui si guarda alla vita."

La Malattia di Alzheimer e le de-menze in generale sono malattie progressive associate all’invec-chiamento e pertanto destinate ad aumentare nei prossimi anni. La cura del malato non può pre-scindere da una più ampia presa in carico anche della sua famiglia, in quanto i familiari sono sogget-ti svantaggiati dal carico emotivo, fisico ed economico della malattia al pari e talora più del malato.Nel marzo 2010 è stata istitui-ta, presso l’Ospedale MultiMedi-ca di Castellanza, l’Associazio-

ne Alzheimer Multimedica ONLUS (www.alzheimeronlus.it) con lo scopo di migliorare l’assistenza al malato di Alzheimer, o affetto da altre tipologie di demenza, me-diante il supporto dei suoi familia-ri sotto il profilo informativo, assi-stenziale e psicologico, favorendo così lo sviluppo delle attività più mediche già svolte dall’Unità Fun-zionale di Neurologia e dall’Unità Valutativa Alzheimer presenti nel-la Struttura.L’Associazione promuove quindi: · l’organizzazione di attività infor-

mativa rivolta ai familiari e ai loro medici di riferimento; · l’organizzazione di gruppi di au-to-mutuo aiuto di familiari· cicli di psicoterapia individuale per i familiari· cicli di arteterapia e psicomotrici-tà per i pazienti· attività culturali connesse con gli scopi dell’Associazione· coordinamento delle attività so-cioassistenziali con i Medici di Medicina Generale e con le altre Associazioni operanti in ambiti si-mili sul territorio.

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Gentile Dottore,

ho 35 anni e da 10 soffro di rinite allergica stagionale trattata con fexofenadina. L'anno scorso, dopo nuo-vi test allergologici, il mio medico mi ha consigliato di cambiare antistaminico poiché la fexofenadina sem-brerebbe causare problemi cardiovascolari, tra cui aritmie cardiache. Purtroppo non ho avuto benefici da altri farmaci, pertanto, sempre in accordo con il mio Specialista, vorrei tornare alla fexofenadina.Prima di ricominciare ad assumerla, però, vorrei avere maggiori informazioni in merito agli effetti di que-sta sostanza sulla salute del cuore.

Grazie, GabrieleGentile Signore,la sua lettera solleva un problema di grande interesse, per quanto riguarda la sicurezza clinica di farmaci comu-nemente prescritti per varie indicazioni, con particolare riferimento a possibili effetti “pro aritmici”, in grado cioè di favorire la comparsa di aritmie ventricolari, anche gravi.Alcuni farmaci antistaminici di prima generazione, come la terfenadina, hanno in effetti dimostrato di poter allun-gare, in casi rari ed in soggetti predisposti, il tempo QT dell’elettrocardiogramma, a seguito della disomogenea conduzione dello stimolo elettrico.La fexofenadina rappresenta un’importante evoluzione terapeutica, in quanto, non solo arriva al cervello con difficoltà, causando meno sonnolenza, ma soprattutto perchè non sono state osservate alterazioni significative dell'intervallo QT, anche nei soggetti che hanno ricevuto dosaggi superiori a quelli comunemente impiegati nel-la pratica clinica.Va comunque ricordato che la somministrazione contemporanea di verapamil (un antiaritmico), di alcuni an-ti-fungini (ketoconazolo, itraconazolo) e di alcuni antivirali (lopinavir, ritonavir), aumenta da 2 a 3 volte i livelli di fexofenadina nel sangue, in quanto essi agiscono sulle stesse vie di degradazione da parte del fegato.Tuttavia questo effetto non si è tradotto nella comparsa di alterazioni significative del quadro elettrocardiogra-fico.Concludendo: non vi sono motivi per rinunciare all’effetto benefico esercitato dal farmaco sui suoi sintomi aller-gici. La prudenza suggerisce di controllare l’elettrocardiogramma in caso di contemporanea assunzione dei far-maci sopra elencati o di quelli ad azione antiaritmica.

la postadel cuore

Risponde Michele Lombardo, Direttore dell’Unità di Cardiolo-gia dell’Ospedale San Giuseppe. Inviate le vostre domande per posta elettronica a [email protected]

2020

Nel 1999 l’Assem-blea Generale delle Nazioni Unite isti-tuì il 25 novembre la Giornata mon-diale per l’elimina-

zione della violenza sulle donne, a memoria dell’omicidio delle so-relle Mirabal, torturate dai milita-ri del regime dittatoriale della Re-pubblica Dominicana.

La necessità di porre l’attenzione sulla violenza di genere fu motivata dalle sconcertanti evidenze di cro-nache e statistiche che, purtroppo, ancor oggi sono all’ordine del gior-no. I dati ci dicono più delle paro-le. A livello mondiale (Unicef 2016), il 47% delle donne vittime di omici-dio ha come killer un membro del-la propria famiglia e quasi 120 mi-lioni sono le ragazze under 20 che hanno subito rapporti sessuali for-zati o altre forme di violenza ses-suale. Anche in Italia i numeri sono allarmanti (EU.R.E.S. 2016). Consi-derata la sottostima delle evidenze statistiche (più del 90% delle don-ne non denuncia le violenze subite), si sono registrate 116 donne ucci-se nei primi dieci mesi del 2016. Gli assassini sono principalmente ma-riti, familiari, compagni ed ex part-ner. A livello regionale, la Lombar-dia presenta il più elevato numero di donne uccise (20 nei primi 10 mesi del 2016), seguita da Veneto (13), Campania (12) ed Emilia Ro-magna (12). La consapevolezza dell’entità di questo fenomeno è per fortuna in crescita, grazie anche alle iniziati-

ve di associazioni e volontari, e si è ritrovata finalmente a livello le-gislativo e nell’attuazione di politi-che pubbliche. L'Italia è stata difat-ti uno fra i primi Paesi a ratificare nel 2014 la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e nel 2015 ha adottato il Piano d'azione stra-ordinario nazionale contro la vio-lenza sessuale e di genere. Il nostro Paese ha aderito altresì al Piano di Azione del 2016 stilato dall'Or-ganizzazione Mondiale della Sani-tà che invita i governi a potenzia-re i centri di ascolto per le vittime di violenza. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che Regione Lombardia sta svilup-pando insieme alle strutture socio-sanitarie lombarde, all’interno del Piano quadriennale per le politiche di parità e di prevenzione e contra-sto alla violenza contro le donne. Il sistema socio-sanitario è difatti uno dei nodi essenziali per la go-vernance del fenomeno, in sinergia con gli enti locali, i centri antiviolen-za, le case rifugio, le forze dell’or-dine, le reti interistituzionali antivio-lenza. Uno degli obiettivi primari è garantire alle vittime un’assistenza medica che comporti la possibilità di confidarsi con personale specia-lizzato, soprattutto presso i Pronto Soccorso delle strutture ospedalie-re, punto di accesso privilegiato per le donne vittime di violenza. Il Gruppo MultiMedica ha da sem-pre ispirato la selezione del proprio personale non a criteri di genere, ma di competenza e professionali-tà. È in tale contesto di riconosci-

mento dell’identità e della dignità della donna che si inseriscono le nostre attività di lotta alla violenza, connesse a uno dei principi cardi-ne delle attività del Gruppo, la Pro-mozione della Salute. All’interno del quadro istituzionale e sociale, consapevoli che la violenza di ge-nere si manifesta non soltanto in un atto fisico, ma comprende an-che stalking, ricatti, minacce, ab-biamo istituito nel 2016 uno speci-fico tavolo di lavoro finalizzato alla governance del fenomeno, nell’ot-tica di fornire un’assistenza multi-disciplinare alle vittime di violenza per facilitare l’accesso a servizi so-ciosanitari e per collegare le rispo-ste clinico - assistenziali al sistema sociale e territoriale. Ciò che ci ispi-ra è un fil rouge, anzi rose, allinea-to ai recenti dettami normativi che considerano questo fenomeno un problema di salute pubblica globa-le che riguarda tutti gli uomini, rin-novati dalla consapevolezza che è nella reciprocità che trova rifugio la nostra libertà. Liberi, insieme!

LIBERI, INSIEME!

ospedaleamico

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Carmen Sommese Direttore Sanitario Aziendale

Nel dramma della vio-lenza è fondamentale non sentirsi sole.

Numero nazionale Centro Antiviolenza più vicino: 1522

http://www.nonseidasola.regione.lombardia.it/it/cen-tri-antiviolenza/

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A vete tempo fino al prossimo 16 aprile per ammirare le 50 opere di Emanule Luzzati esposte al piano terra dell'IRCCS MultiMedica di Sesto San Giovanni. Appartenenti alla collezione del letterato Umberto Albini e

rese disponibili dalla figlia Adriana, direttore scientifico della Fondazione MultiMedica onlus, queste opere rac-contano la poliedricità espressiva del grande illustratore ligure a 10 anni dalla sua scomparsa.Se volete un assaggio della mostra, guardate la fotogallery della sua inaugurazione:www.multimedica.it/news/index.php/photogallery-vernissage-luzzati-albini/

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MULTIMEDICAFLASH

Pierluigi Villa

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I MONDI FANTASTICI DI LUZZATI IN MOSTRA ALL'IRCCS MULTIMEDICA

sistenziale tra ospedale e territorio, tra medico specialista e medico di medicina generale, nella cura di pa-tologie cardiovascolari sempre più emergenti e pandemiche come l'in-sufficienza cardiaca.Per maggiori informazioni: PLS Educationaltel. 055 24621www.promoleader.com

I l congresso HF&Co ormai è di-ventato un appuntamento con-

solidato nel panorama congres-suale della Cardiologia italiana. Promosso e organizzato da Edo-ardo Gronda e Luigi Padeletti giun-ge quest'anno alla sua 18ma edi-zione .Al centro della due giorni di dibatti-to l'importanza della continuità as-

26-27 MAGGIO, FORUM CARDIO: MI CURO DI TE OVUNQUE TU SIA!

intermediari, con il personale sa-nitario coinvolto in prima persona nella cura della paziente.Una cura che va oltre la normale pratica clinica, poiché contempla la Persona nelle sua interezza, in-clusa la sfera psico-emotivo-affet-tiva.Le pazienti potranno chiamare per risolvere dubbi pratici, parlare dei propri timori, confrontarsi sul post intervento.

L a onlus Caos (Centro di Ascol-to Operate al Seno), in colla-

borazione con il Centro di Seno-logia del Gruppo MultiMedica, ha messo a disposizione delle donne in cura nelle nostre strutture, due linee dedicate, cui rispondono le "breast nurse", infermiere forma-te in modo mirato sulla patologia mammaria.Una linea telefonica esclusiva che permette di parlare, senza attese e

IL NUMERO ROSA PER LE PAZIENTI CON IL TUMORE AL SENO

rivolgersi a un Centro specializza-to, dove medici e infermieri dedica-ti sapranno individuare e impostare il percorso diagnostico-terapeutico più adatto ad ogni singolo caso.

Accesso con auto:· per gli ambulatori: via De Togni, 26· per il reparto: via San Vittore, 12

hoc.Quando si parla di piede diabetico, il corretto inquadramento diagno-stico delle lesioni è un tassello fon-damentale per una terapia mirata. La presenza di una lesione, anche di piccole dimensioni, se non tem-pestivamente curata può portare a esiti nefasti. Da qui l'importanza di

L a rete MultiMedica per la pre-venzione e cura del piede dia-

betico si estende fino all'Ospedale San Giuseppe.Da marzo 2017, l'équipe diretta dal dr. Caravaggi (si veda Sanità al Fu-turo n°34) è attiva anche nel cen-tro di Milano all'interno di una nuo-va area assistenziale ristrutturata ad

IL PIEDE DIABETICO A MILANO ORA SI CURA IN CENTRO

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Ospedale MultiMedica Castellanzav.le Piemonte 70Castellanza (VA)

A8 Autostrada dei Laghi

Ospedale San Giuseppevia San Vittore 12Milano

Ospedale MultiMedica Limbiatevia Fratelli Bandiera 3Limbiate (MB)

Centro AmbulatorialeMultispecialistico MultiMedicavia San Barnaba 29Milano

IRCCS Cardiovascolare MultiMedicavia Milanese 300Sesto San Giovanni (MI)

MultiLab - Polo Scientifico e Tecnologicovia Fantoli 16/15Milano

Centro Dialisi MultiMedicac/o Pio Albergo Trivulziovia Trivulzio 15Milano

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