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1 Nuove “vocazioni” per il Seminario Vescovile di Reggio Emilia Studi e strumenti per la valorizzazione dell’architettura moderna VOLUME III : DOMANI Politecnico di Milano Facoltà di Architettura e Società Corso di Laurea in Progettazione Architettonica Tesi di Laurea Magistrale Anno Accademico 2014 - 2015 Relatore: Prof. Arch. Maria Pilar Vettori Candidato: Andrea Manfredini

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Nuove vocazioni per Reggio Emilia volume III : domani

Nuove “vocazioni” per il Seminario Vescovile di Reggio EmiliaStudi e strumenti per la valorizzazione dell’architettura moderna

VOLUME III :

DOMANI

Politecnico di MilanoFacoltà di Architettura e Società Corso di Laurea in Progettazione Architettonica

Tesi di Laurea MagistraleAnno Accademico 2014 - 2015Relatore: Prof. Arch. Maria Pilar Vettori

Candidato:Andrea Manfredini

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Nuove vocazioni per Reggio Emilia volume III : domani

Indice

Premessa

Volume Primo: ieri

1 Seminario Vescovile: Contesto storico

1.1 1946 : Un nuovo Seminario per Reggio Emilia1.2 Il bando per il concorso di progettazione1.3 Rapporti con la normativa urbanistica del 1940

2 Seminario Vescovile: Il Progetto di Enea Manfredini

2.1 Descrizione del progetto2.2 Inquadramento rispetto alla poetica di Enea Manfredini2.3 Analisi di contesto sullo sviluppo dell’architettura sacra in Italia

3 Seminario Vescovile: Documenti d’epoca

3.1 Bibliografia completa3.2 Antologia critica3.3 Fotografie

Volume secondo : oggi

4 Seminario Vescovile: Dibattito attuale

4.1 Il Seminario in vendita

5 Seminario Vescovile: Analisi stato di fatto

5.1 Contesto sociale5.2 Condizioni manufatto e attuale utilizzo5.3 Calo delle vocazioni5.4 Rapporti con normativa urbanistica del 2015

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6 Seminario Vescovile: Documenti

6.1 Rassegna stampa6.2 Relazione fotografica

Parte terza: domani

7 Programma – L’idea del monastero urbano

7.1 Individuazione di linee guida tra le funzioni originarie7.2 Individuazione di linee guida da uno studio dell’architettura

originale

8 Utenza e Quadro delle esigenze

8.1 Aspetti funzionali8.2 Aspetti dimensionale e ubicazione utenti

9 Nuova architettura per nuove funzioni

9.1 Innesto in architettura 9.2 Innesti nel Seminario Vescovile di Reggio Emilia

10 Progetto: Documenti

10.1 Immagini di progetto10.2 Fotografie della maquette10.3 Elaborati di progetto

La bibliografia è distribuita nelle note a piè di pagina

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Premessa

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La storia che voglio raccontare è quella del Seminario Vescovile di Reggio Emilia. E’ una storia divisa in tre parti. La prima si occupa dei momenti passati e felici dell’edificio. La seconda tratta delle sue difficoltà quotidiane. Il terzo capitolo lo vorrei scrivere io, componendo un lieto fine.

Nel 1946 la Diocesi della città emiliana bandisce un concorso per la casa della futura classe spirituale reggiana. Il progetto vincitore risulta essere quello di Enea Manfredini, giovane architetto laureato nel 1940 al Politecnico di Milano. Un progetto moderno, caratterizzato da due corpi di fabbrica paralleli, uno destinato alle funzioni più organizzative e quindi più vicino al centro della città, l’altro più isolato, pensato per le funzioni più intime. Un atrio collega i due corpi e sullo stesso asse si trovano le due chiese sovrapposte. Gli spazi comunitari sono rappresentati dall’atrio, dalla biblioteca, dal refettorio e dall’aula Magna.L’impaginato di facciata evidenzia la struttura portante in calcestruzzo armato, differenziandola dalle murature di tamponamento rivestite in clinker e dalle finestre ad orientamento verticale che conferiscono un ritmo assai caratterizzante all’edificio.L’edificio, dopo la sua inaugurazione, gode di un notevole successo con riscontri positivi sia da parte degli utenti sia da parte della critica architettonica. Numerose sono le lettere inviate all’architetto da parte del Vescovo della Diocesi, ma anche dai professori di teologia o da semplici studenti. Testimonianze volte a ringraziare il

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progettista della loro casa, della loro vita.E numerosissimi sono gli attestati di stima da parte del mondo dell’architettura. Per citarne alcuni, Franco Albini descrive il Seminario su “Casabella-Continuità” nel 1955 e nello stesso anno la rivista francese “L’ Architecture d’aujourd’hui ” mostra oltralpe quello che accadeva per i preti di Reggio Emilia. Nel 1957 l’Istituto di Arte Sacra di Lovanio nomina la cripta dell’edificio come una tra le venti chiese più belle del mondo.E così, per molti anni, l’edificio continua tranquillo la sua esistenza, animato dagli studenti di tutte le età, dai bambini delle elementari fino a quelli dell’Università. Luogo dove studiare,dove riflettere, dove mangiare, dove giocare, dove vivere. Nel 1988 avviene la cosa più bella ed emozionante che possa accadere a un Seminario Vescovile. Durante le sue visite pastorali, Papa Giovanni Paolo II giunge nella città di Reggio Emilia, proprio verso sera. Ha bisogno di un posto dove dormire. Gli viene preparata una stanza dove alloggiare all’interno del Seminario. Il giorno dopo incontra Enea Manfredini e si complimenta per l’opera architettonica ammonendolo dolcemente però. Secondo il Pontefice l’edificio si sarebbe rivelato troppo grande.Come avviene nel corso di tutte le storie, sia quelle vere sia quelle narrate, dopo aver raggiunto l’ apice del successo e della riconoscibilità, l’edificio entra in un periodo di notevoli difficoltà.Difficoltà condivise con tutto il mondo cattolico e dettate principalmente dal calo delle vocazioni.

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Oggi la situazione è davvero complicata considerando che gli studenti non rappresentano neanche un decimo di quelli presenti all’epoca dell’inaugurazione dell’edificio. La Diocesi decide quindi di raccogliere le attività di Seminario in un quarto del manufatto, lasciando il piano terra per attività più pubbliche come gli uffici pastorali o le aule per corsi di musica o di catechismo. Gran parte dell’edificio è oggi in stato di semi abbandono e l’ambiente risulta vuoto e a tratti triste. Nel 2015 il Vescovo della Diocesi di Reggio Emilia e Guastalla, attraverso un comunicato stampa, annuncia che le spese di mantenimento dell’edificio non sono sostenibili e che quindi questo è in vendita, sia nella sua totalità sia in maniera parziale per diversi acquirenti.La notizia desta in città grande scalpore e qualche visita di curiosità. A una visione ravvicinata l’edificio denuncia in modo evidente il suo stato di abbandono e decadenza: oscuranti danneggiati, parti di clinker mancanti, tinteggi grigio-fumo, gli spazi all’aperto destinati al gioco dei ragazzi utilizzati come parcheggio delle automobili…..La parte di storia vera e propria finisce qua.

Ora tocca a me provare a scrivere un nuovo capitolo. Un capitolo che prende coscienza del passato attraverso lo studio di fotografie e disegni originali e l’approfondimento delle vicende storiche che hanno permesso di realizzare questo edificio. Si confronta poi con l’attuale contesto socio-culturale di Reggio Emilia e le nuove problematiche della religione

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contemporanea che hanno portato alla crisi delle vocazioni e alla necessità di nuove forme di vita comunitaria. infine, un nuovo progetto.Un progetto che sfrutti l’occasione per toccare temi molteplici e a differenti scale. Un’occasione di rigenerazione urbana per la città e in particolare il centro storico di Reggio Emilia.Trasformare un’area che oggi è poco conosciuta e poco frequentata in un luogo nuovo per la città, con funzioni adatte ad accogliere persone in difficoltà e luoghi perfetti per l’insegnamento, rispettando i valori cristiani. Un esempio di valorizzazione di un contenitore architettonico di interesse storico-culturale che oggi non è in grado di soddisfare le esigenze della società, ammettendo al suo interno funzioni e utenti di natura diversa e per questo con necessità e priorità apparentemente discordanti. La necessità di pensare nuove volumetrie atte a risolvere problemi funzionali e distributivi dell’intero sistema.Un tentativo di pensare a qualche elemento di innesto, sforzandosi di risolvere il difficile tema del rapporto diretto tra progetto ed esistente, dalla scala architettonica a quella di allestimento e di dettaglio. Una conoscenza di materiali contemporanei in forte relazione con quelli presenti.Un capitolo nuovo che sia in grande continuità con i precedenti ma che permetta di cambiare notevolmente il racconto con l’obiettivo di raggiungere un lieto fine.

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Programma: l’idea del Monastero Urbano

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7.1 Individuazione di linee guida tra le funzioni originarie

Il progetto di restauro e ri-funzionalizzazione del Seminario Vescovile di Reggio Emilia non può essere disgiunto da una riflessione sul suo futuro utilizzo. Pur nella consapevolezza di individuare finalità in grado di aiutare la sostenibilità economica nella gestione del complesso non mi pare condivisibile un’ ipotesi di disinvolta riconversione a scopi completamente estranei alle esigenze che hanno motivato la costruzione dell'edificio e che ancora ne costituiscono l'identità nella memoria collettiva della città e in particolare dei fedeli. Un edificio ricoperto da un velo di magia, dovuto senz’altro anche alla sua funzione.

L'esigenza di garantire il proseguimento delle attività oggi insediate – residenza per sacerdoti, luogo di formazione e catechesi, sede della importante biblioteca specialistica – potrà legittimamente ampliarsi includendo finalità di tipo sociale legate all'accoglienza e residenza dei nuovi cittadini, di studenti universitari, come pure la creazione di spazi di aggregazione legati a eventi culturali o sportivo- ricreativi.

L'occasione impone anche la necessità di una riflessione se non esaustiva almeno abbozzata sulla individuazione di possibili esigenze legate all'espressione della

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religiosità e in senso più ampio tese a raccogliere necessità di carattere spirituale.Certo il calo delle vocazioni nel mondo occidentale è oggi un dato oggettivo. Le statistiche parlano chiaro. Basti pensare che dal 1990 al 2010 il numero dei sacerdoti in Europa ha raggiunto un calo del 30%. Assurdo sarebbe quindi insistere su una vocazione dell'edificio a prevalente uso di residenza per il clero. Ma il calo delle vocazioni in Occidente è sintomo di un più generale cambiamento del ruolo della religione nella vita contemporanea. In particolare negli ultimi cinquant’anni anche all’interno della nostra società italiana la religiosità e la spiritualità hanno assunto forme molto diverse di espressione e organizzazione. Anche in

Italia assistiamo a tanti e diversi modi di vivere il cattolicesimo.

Si sta sviluppando un’appartenenza religiosa in realtà assai personale e selettiva, fondata sulla condivisione di alcuni aspetti e comportamenti legati alla dottrina cattolica e al disinvolto rifiuto di altri, giudicati lontani e inattuali. E’ la religiosità fai da te, “il credere appare come un self-service nel quale ciascuno si dedica a combinazioni etico-religiose in cui non sono assolutamente accettate regole e norme”.. Alcuni seguono percorsi individuali, altri condividono esperienze associative e comunitarie, fornendo differenti interpretazioni dello “stare insieme” cattolico1.

1 Vincenzo Bova, Cattolicesimi d’Italia – Un’identità religiosa, Carocci editore, Roma, 2013

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Il fenomeno diventa ancora più evidente tra i giovani, fra di loro si sta sviluppando una sorta di appartenenza senza credenza, una sorta di “riconoscimento di un legame nei confronti della tradizione cristiana assunta quale fattore di identità culturale”. Qual è il comportamento assunto dai credenti nei confronti di questa difficile relazione tra i giovani e la fede? E’ una questione cruciale, ci si gioca il futuro del cattolicesimo se non avviene un importante ricambio generazionale. La vita ordinaria delle parrocchie pare non essere attrezzata ad andare incontro a un tale nuova situazione. Siamo di fronte a una vera e propria emergenza educativa: le parrocchie e gli oratori sono vuoti, le associazioni in affanno.

Il volume di Armando Matteo 2 mi ha sollecitato in questo senso diverse riflessioni in particolare sul tema del rapporto tra i giovani e la religione, che sento particolarmente vicino. L'autore invita a una vera e propria sfida educativa, un percorso di fede che muti il modo in cui numerose associazioni si sono comportate negli ultimi periodi. Esse hanno infatti agito come se il loro fine non fosse quello di educare al perseguimento di un obiettivo ma si sono impegnate per dare un ritmo di vita ai loro gruppi. Rispetto ai giovani di una generazione che presenta un riferimento morale (vago) alla cultura cattolica e segue una vita tutto sommato a-religiosa non si è riusciti ad aiutarli a sviluppare un certo senso di trascendenza, a riscoprire

2 Armando Matteo, La Prima Generazione incredula – Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2010

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il ruolo della preghiera. “Nessuno – scrive Brugnoli - li ha aiutati a sviluppare nel loro cuore delle antenne per Dio” 3. L’occidente ha creato un cuore post-moderno, la potenza di sintonizzare e di ascoltare i messaggi della fede è bloccata. Rispetto ai limiti di azione delle parrocchie e delle associazioni occorre quindi individuare nuove forme di aggregazione e di vita comunitaria. Abbiamo anche bisogno di nuovi luoghi per insegnare a credere e a pregare. Luoghi di generazione alla fede. Luoghi a misura di quei laboratori della fede pensati da Giovanni Paolo II. Luoghi in cui elaborare il disagio culturale che attanaglia i giovani, luoghi che sono facilmente transitabili e sottratti a una visione clericale

troppo stretta, articolata in riti e consuetudini con cui è spesso difficile immedesimarsi .

E ’ora tempo di un cambiamento. Deve iniziare un processo di razionalizzazione e gerarchizzazione dall’interno. Bisogna pensare una nuova geografia della Chiesa, bisogna ripensare la distribuzione e la ripartizione delle diocesi che devono formare percorsi di ospitalità autentici a coloro che si accostano per la prima volta alla realtà della fede. La società sta presentando nuove fisionomie, i giovani sono caratterizzati da nomadismo e mobilità. Si dovrà quindi rafforzare una collaborazione tra parrocchie, associazioni e movimenti e creare

3 A.Brugnoli, E’ tempo di svegliarsi – rinnovare le parrocchie con la nuova evangelizzazione, ed.Paoline, Milano, 2012

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001Louis Kahn, Motherhouse for the Dominican Sisters (progetto) 1965-1968

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centri per giovani a livello inter parrocchiale, creare spazi per il volontariato (accoglienza) e spazi per studiare insieme. Si dovranno quindi progettare e pensare delle iniezioni di energie nell’accoglienza e nell’accorpamento di giovani studenti universitari e giovani precari, costretti a pellegrinaggi continui.Queste suggestioni e visioni di nuove prospettive di vita di comunità in cui il richiamo alle esigenze della fede e della spiritualità si confronta in modo aperto con problematiche legate a bisogni ed emergenze di carattere umanitario in un contesto che riconosce l'importanza della cultura e dell'educazione mi sono sembrate del tutto coerenti col progetto di riutilizzo e ri-funzionalizzazione del Seminario Vescovile di Reggio Emilia.

La mia ipotesi di progetto architettonico ha così trovato un adeguato riscontro nell'individuazione di un mix di funzioni, in parte presenti in parte da implementare o da aggiungere, in cui mi è piaciuto riconoscere l'avvincente proposta di un’interpretazione del monastero medioevale in chiave urbana e contemporanea. Un monastero urbano che, alle porte della città, possa offrirsi come luogo di sperimentazione di nuove pratiche legate allo sviluppo della religiosità, della cultura, dell'educazione intrecciate a inedite forme di convivenza e coesione sociale.

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7.2 Individuazione di linee guide da uno studio dell’architettura originale

Ad un’attenta analisi sulle funzioni originarie dell’edificio per riflettere sul modo in cui adeguarle alle necessità quotidiane, ho cercato di comprendere lo spirito del manufatto architettonico e su come dovesse essere mantenuto o modificato. Le sue caratteristiche principali sono il ritmo e la modularità strutturale. L’impaginato di facciata è molto regolare, con elementi ripetuti e con la struttura portante a vista. Una serialità a prima vista monotona ma pensata in modo che l’edificio dall’esterno sia considerato nell’ insieme e nella totalità, senza che nessun elemento tolga l’attenzione o crei una qualche distrazione.Ho anche analizzato

numerose fotografie, alcune scattate da me e altre dell’epoca, e ho deciso di selezionare tre elementi come capisaldi da mantenere il più possibile nella loro riconoscibilità. Elementi che rappresentano la spina dorsale dell’edificio e lo caratterizzano fortissimamente.

Il corridoio-deambulatorio del piano terra, largo circa 5 metri, affiancato da vetrate a tutta altezza, manifesta ciò che Enea Manfredini aveva voluto trasmetterci. Uno spazio caratterizzato da pochi elementi, travi e pilastri che scandiscono lo spazio, un chiostro progettato e ordinato, concilliante alla riflessione spirituale. E una prospettiva

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perfetta che termina su un sipario, atto sia a dare un senso di compiutezza dal punto di vista spaziale ma teso verso un infinito spirituale. Il tutto arricchito da sottilissimi serramenti metallici i quali, una volta aperti, sottolineano il deambulatorio con piani scenografici e atmosfere teatrali che rimandano alle sensazioni delle opere di Aldo Rossi.

La spaziosa aula magna dedita alle conferenze, posizionata volontariamente in un piano intermedio così da poter creare un gioco strutturale e spaziale interessantissimo. In quel piano i pilastri scompaiono e la trave deve coprire una luce doppia. Per questo presenta dimensioni superiori alle altre e la sua sagoma mostra una notevole conoscenza della

tecnica delle costruzioni da parte dell’architetto. Il suo profilo sembra seguire l’andamento del diagramma dei momenti dei libri di statica.

Le due chiese sovrapposte, una al piano terra e una sotterranea, rappresentano un’unicità. In primo luogo sono molto diverse tra loro, la prima infatti era per gli studenti ginnasiali e l’altra per gli studenti universitari di teologia. Soprattutto la cripta inferiore è caratterizzata da una tettonicità autentica. Tutta la struttura è portata ad uno sforzo notevole così da aver la possibilità di suscitare emozioni di trascendenza, aiutata dalla luce indiretta proveniente dalle aperture minime presenti.

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002Seminario di Reggio EmiliaDeambulatorio del piano terra

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Questi tre elementi, insieme alla regola strutturale e alla sua leggibilità nella divisione degli spazi interni sono, secondo me, gli elementi cardine da cui partire per un progetto di riuso del Seminario Vescovile di Reggio Emilia.

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Utenza e quadro delle esigenze

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8.1 Aspetti funzionali

Ma come concretizzare l’idea del monastero urbano? Quali atmosfere ricreare all’interno del mio progetto? E quali protagonisti potrebbero abitarlo e viverlo, secondo anche le necessità contingenti del territorio di Reggio Emilia? Un luogo di residenza speciale, quasi magica, legata alla spiritualità e alla fede. Ma anche di residenza più ordinaria, con famiglie e bambini, di una magia più terrena. Spazi di istruzione e di insegnamento ma anche di riscoperto lavoro manuale. Aree di studio ma soprattutto di divertimento e di socializzazione. Ambienti dove mangiare o semplicemente bere un bicchiere di vino guardando la città. Esercizi all’aperto di fatica ma anche di

svago e di tranquillità. Attività senz’altro differenti, apparentemente incompatibili ma che, con un equilibrato rapporto tra la condivisione e la conflittualità, hanno le potenzialità per creare un grande sistema unico, ricoperto da un alone di grande fascino dovuto alla consapevolezza di appartenere ad una comunità forte e caratterizzante.Il tutto a stretto contatto con la città e i cittadini, in un’atmosfera di apertura e accoglienza nei confronti di tutti. Questi nuovi abitanti pensati per abitare e caratterizzare questa comunità sono rappresentati dagli studenti fuorisede dell’Università di Modena e Reggio Emilia,

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dagli ultimi studenti di teologia, da ospiti spirituali in cerca di tranquillità interiore, le famiglie di lavoratori precari o immigrati e infine gli utenti più o meno abituali della Biblioteca del Seminario e dell’annesso centro congressi.E quindi, dal punto di vista architettonico, come organizzare questi nuovi protagonisti, con esigenze tanto diverse ma con la necessità di avere spazi comuni? Il concetto generatore è quello di passare da spazi strettamente privati a spazi di socializzazione in modo molto veloce, senza grandi spazi di transizione. Il mio tentativo è quello di offrire una forte possibilità di personalizzazione agli spazi privati e una caratterizzazione a quelli di comunità.

Gli studenti necessitano di diverse possibilità di alloggio. Dai monolocali per una persona, ai bilocali per due utenti, ai trilocali per quattro ragazzi. Ogni alloggio deve avere un bagno indipendente e un’area pranzo abbastanza ridotta. Il corridoio distributivo, attrezzato con spazi di studio e di ristoro e locali di lavanderia comuni, rappresenta il punto di ritrovo più frequentato.

I cosiddetti residenti spirituali saranno divisi in due categorie: gli studenti di teologia veri e propri, in appartamenti singoli dotati di spazi per studiare in solitudine e un comodo accesso alle aule di teologia e spazi di incontro con i professori; gli ospiti spirituali saranno invece più appartati, in uno spazio molto intimo, costituito da

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Biblioteca del Seminario

Uffici e accoglienza

Residenze per studenti

Blocco spirituale

Blocco residenziale

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003Schema di distribuzione funzionale

004 John Everet Millais, Cristo nella casa dei genitori, 1850, conservato presso Tate Gallery, Londra

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celle minimali singole e da laboratori della fede per condividere i momenti di interiorità.

D’altra parte, i residenti laici avranno differenti possibilità. Tagli di alloggio di varie metrature, dai monolocali fino a quadrilocali. Appartamenti flessibili e partizionati internamente da pareti attrezzate così da poter rispondere più facilmente alle richieste. I corridoi di socializzazione attrezzati con numerose aree di lavanderia comune e spazi di gioco per i bambini.

Un centro congressi, richiesto anche a gran voce dal Comune di Reggio, richiede diverse sale per conferenze, con dimensioni differenti, aree di accoglienza e di rinfreschi. Il tutto caratterizzato da una

notevole flessibilità, così da poter rispondere a differenti situazioni o eventi dettati da esigenze di vario tipo.

La biblioteca del Seminario Vescovile di Reggio Emilia (consistente di 120.000 volumi) necessita di spazi più adatti e meno ridotti rispetto a quelli di oggi. Aree di consultazione, sale di lettura, biblioteche a scaffale aperto e a scaffale chiuso. Prevede un’organizzazione del personale con una separazione degli accessi e anche intime emeroteche, dove sfogliare quotidiani o libri in maniera rilassata ed informale. Manca una zona adatta a contenere la sezione dei libri rari, quelli più fragili e antichi, con necessità di essere conservati in un involucro architettonico ovattato e sigillato.

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005 005

Henri Cartier Bresson

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La distribuzione non può avvenire in maniera univoca e unidirezionale. Il complesso ha quindi bisogno di una altro atrio d’ingresso che permetta una distribuzione verticale alternativa a quella esistente che agevoli la distribuzione interna e la separazione dei percorsi.

La maggior parte delle nuove funzioni ha l’opportunità di poter essere inserita nell’edificio esistente. Alcune di esse, però, necessitano di spazi che non sono compatibili alle caratteristiche dello storico seminario. Queste sono la sezione della biblioteca riservata ai libri rari, per motivi energetici e prestazionali, e il nuovo ingresso e centro di distribuzione, per ragioni funzionali.I nuovi volumi, pensati in

relazione alla funzionalità ma anche al rispetto e al tentativo di valorizzare un’architettura esistente, possono essere classificati come un innesto architettonico.

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8.2 Aspetti dimensionali e ubicazione utenti

Come descritto prima, l’idea di organizzazione generale del complesso del Seminario Vescovile è quello di recuperare ciò che era un monastero nel medioevo, leggendolo in una chiave contemporanea ed urbana. Un edificio quindi atto ad accogliere, ricevere e a dare. Un luogo perfetto per la meditazione interiore ma anche per il lavoro manuale. Un posto che unisca la quotidianità al suo essere speciale.La distribuzione delle funzioni prevede una divisione in tre grandi blocchi: quello più vicino al centro storico adibito alle funzioni più urbane e legate alla città; il corpo posteriore pensato per le attività più private: una metà

per accogliere le famiglie e i lavoratori precari e l’altra con un’accezione spirituale, dimora degli studenti di teologia e dei cosiddetti ospiti spirituali. A questo si aggiungono i due innesti volumetrici, con le funzioni prima descritte di collegamento e conservazione. Il piano terra è caratterizzato dal grande atrio d’ingresso e dai deambulatori. Nel corpo anteriore vi sono gli uffici dell’amministrazione dell’intero complesso, un bar e una mensa, pensati per tutti gli abitanti del monastero urbano. Nella parte più privata si trovano le 5 aule di teologia per gli studenti e altrettanti laboratori di lavoro, pensati

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006Schemi funzionali del progetto

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per insegnare un mestiere ai lavoratori precari o agli immigrati. Nel piano interrato, insieme a tutti i locali impianti e agli archivi, si trova una sala adibita a piccole esposizioni, caratterizzata da un interessante pavimento in gres, dove nel progetto originale si trovava il refettorio del Seminario.Per quanto riguarda i piani superiori è più sensato ragionare per blocchi. Nel corpo anteriore dell’edificio, quello urbano, la biblioteca contenente i 120.000 volumi appartenenti alla Diocesi occupa il primo e il secondo piano, arricchita da spazi pensati per il centro congressi e la ludoteca pubblica. Al terzo piano sono presenti 18 alloggi per studenti, di taglio variabile per un totale circa di 50 utenti. I piani superiori del corpo

posteriore, quello a funzione più residenziale, sono divisi principalmente in due ali: una religiosa e una laica. Nella prima, gli studenti di teologia abitano il primo e il secondo piano mentre gli ultimi due piani sono attrezzati per gli ospiti spirituali. Lo spazio reinterpreta la distribuzione degli antichi monasteri: celle ridotte ai minimi termini per lo spazio di solitudine e spaziosi laboratori della fede per i momenti di comunità. In totale sono previsti 25 studenti e altrettanti laici in cerca di riflessione interiore.Nel blocco laico ogni piano è contraddistinto da 9 appartamenti per un totale circa di 100 abitanti.

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Nuova architettura per nuove funzioni

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9.1 Innesto in architettura

“ Operazione con cui si fa concrescere sopra una pianta (detta portainnesto o soggetto) una parte di un altro vegetale della stessa specie o di specie differenti (detto nesto o oggetto), al fine di formare un nuovo individuo più pregiato o più produttivo o più giovane”4. La definizione fornita dall’enciclopedia Treccani è molto chiara e descrive il modo in cui l’innesto è eseguito, analizza i protagonisti della vicenda e, elemento a parer mio molto interessante, individua le finalità di questa operazione che possono essere di natura differente: estetico (“più pregiato”), funzionale (“più produttivo”) o anagrafico (“più giovane”). Le successive definizioni offerte dal più celebre

dizionario italiano si riferiscono al mondo della biologia, della medicina, della meccanica e addirittura della letteratura. Non mi stupirei se dopo i prossimi incontri presso l’Academia della Crusca, venisse inserita e ufficializzata una definizione riferita al campo dell’architettura. Del resto, dopo l’ultima Biennale di Venezia, questa parola è divenuta assai ricorrente e forse sovrautilizzata. Era stata inserita dal curatore del Padiglione Italia, Cino Zucchi, che aveva rinominato l’esibizione col titolo Innesti - Grafting. Il prologo della descrizione del progetto descrive la condizione contemporanea del nostro paese, caratterizzato da un “territorio così antropizzato, un fatto urbano così stratificato, da rendere

4 Enciclopedia Treccani

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pressoché impossibile la concezione di un edificio come oggetto autonomo”5 e che si presenta assai differente da quella del funzionalismo del secolo scorso, il quale “ cercava il grado zero e la sicurezza di un lessico elementare”6. E l’architettura, soprattutto in Italia, dovrà sempre misurarsi con realtà già fortemente caratterizzate, non necessariamente dal punto di vista architettonico ma sicuramente umano e affettivo. Diverso però, prendendo il catalogo della mostra a Venezia, dal concetto di “contestualismo”, il quale “evoca un semplice adeguamento formale del nuovo alle consuetudini esistenti – spesso solo al fine di renderlo accettabile”. L’innesto ha un impatto diverso, apparentemente più duro che genera una ferita, anche profonda,

seguita però da una grande rinascita, da una metamorfosi. Presuppone una profonda conoscenza della piante “portainnesto o soggetto”. E’ fondamentale conoscere la sua natura, per quale motivo sia stata piantata lì, come si nutre, se sta bene al sole o preferisce un po’ d’ombra. Solo dopo si può operare. Solo dopo si può sapere cosa possa essere gradito alla pianta o agli uccellini che vi si posano. Questo ce lo insegna anche la storia. Riflettendo, ci rendiamo conto che sono diversi gli architetti, o anche gli artisti, che hanno lavorato pensando a un innesto su un materiale “vivo da trasformare”.Un materiale vivo o che ha vissuto a lungo che necessita di qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo e genuino. Pippo

5 Innesti. Il nuovo come metamorfosi / Grafting. The new as metamorphosis. Cat. Mostra 14. Mostra Internazionale di Architettura Padiglione Italia, a cura di C.Zucchi, N.Bassoli, Marsilio, Venezia, 2014, p.76 Ibidem, p.7

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007Ermafrodita di Villa Borghese, Louvre Museum

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Ciorra utilizza il concetto di “trapianto” in architettura, un “modo di lavorare diverso, che consiste nell’inserire in un corpo latente oggetti carichi di senso proprio e nel trovarne uno nuovo in una forma nota dall’addizione di due soggetti” 7che può offire alla pianta soggetto una seconda natura, una seconda vita.Interessante è la riflessione di Luca Molinari quando, in un dialogo a porte aperte presso il Padiglione Italia, racconta la storia dell’Ermafrodite Dormiente di Villa Borghese, conservata oggi al Louvre. Una statua di origine romana, ritrovata nel 1619 e consegnata a Bernini insieme a una lastra di marmo. Compito del genio barocco? Costruirne un giaciglio. Bernini studia la statua, ne comprende le

caratteristiche e poi decide di “scomparire”8. Si inchina di fronte al sublime di questa opera e si nasconde come autore. Vengono alla mente altri numerosi esempi di innesti ante litteram. La Basilica di Santa Maria Degli Angeli, ad esempio, viene progettata nel 1561 da Michelangelo sull’aula centrale delle vecchie Terme di Diocleziano oppure il Duomo di Siracusa, descritto così dallo scrittore inglese Lawrence Durrel “Prendete un tempio greco, incorporatelo per intero in un edificio cristiano, al quale aggiungete successivamente una facciata normanna che viene abbattuta dal grande terremoto del 1693. Senza scoraggiarvi vi rimettete all’opera e, cambiando completamente direzione, sostituite la vecchia

7 Pippo Ciorra, prefazione in Architettura Parassita – Strategie di riciclaggio per la città, Sara Marini, Quodlibet, Macerata, 2008, p.7

8 Italia. Un paesaggio contemporaneo / Italy. A contemporary landscape. Cat. Mostra 14. Mostra Internazionale di Architettura Padiglione Italia, a cura di C.Zucchi, N.Bassoli, Marsilio, Venezia, 2014, p.124

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Teatro Marcello, Roma

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facciata con una deliziosa composizione barocca all’incirca del 1728-54. E il tutto, deteriorato com'è, continua a vivere e a sorridere, diffondendo nel mondo la sua immagine come se fosse stato ideato da un Leonardo o da un Michelangelo"9. Entrambe le opere nascono da una profonda conoscenza e da un profondo rispetto per l’esistente. La Basilica viene progettata con una forma particolare rispetto alla disposizione degli spazi canonici per un edificio di quel tipo (questo procurerà alcune critiche a Michelangelo) mentre il Duomo Siciliano, nonostante le numerose stratigrafie dovute a differenti eventi storici, mantiene sempre una certa attenzione e un certo rispetto per gli elementi originali del tempio della

Magna Grecia.Passando anche per il controverso progetto di sopralzo sul teatro Marcello a Roma, divenuto poi il Palazzo della famiglia romana Barberini (“ quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini” ), arriviamo agli importanti innesti di allestimento a partire dagli anni ’50 in Italia. Innesti sia su edifici di notevole interesse storico sia su opere d’arte di valore inestimabile. Manfredo Tafuri dedica a questo argomento un intero capitolo nella sua Storia dell’architettura italiana. Emblematici sono i progetti di Franco Albini per l’allestimento di Palazzo Bianco a Genova (1950-1951), nel restauro e nella sistemazione del Palazzo Rosso a Genova (1952-1961) e nel museo del tesoro di San Lorenzo

9 Lawrence Durriel, Sicilian Carousel, Axios pr, Edinburgo, 2008

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009Franco Albini - Franca HelgMuseo del tesoro della cattedrale di San Lorenzo,Genova

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(1952-1956). L’architetto milanese realizza un “capolavoro del suo genere: all’estremo rigore esplicato nella tecnica museografica si unisce una raffinata neutralità dell’arredo nei confronti delle opere esposte; tale, però, da lasciar trasparire in filigrana i segni interpolati, ridotti a rispettose glosse interlineari di frammenti di testo pazientemente ricostruiti”. Di tutt’altra natura è l’intervento di innesto dello studio BPR all’interno del Castello Sforzesco. Ernesto Nathan Rogers aveva già descritto un dibattito sul come agire in relazione alle presistenze, affermando che “solo la manipolazione rende storico un cantiere archeologico”. A differenza dei progetti albiniani, il Castello è caratterizzato da scenografie fortemente

presenti e di impatto, che Tafuri paragona all’impatto della Torre Velasca sul centro storico di Milano10.E da qui vorrei toccare un altro punto importante: l’inter-scalarità dell’innesto in architettura. Basta osservare il nostro paesaggio antropizzato. Basta osservare il nostro patrimonio comune, i nostri centri storici, i nostri paesini di montagna o anche le zone periferiche. Noteremo un continuo di piccole aggiunte, adeguamenti, completamenti, adattamenti. Ma anche trasformazioni, grandi e piccine. Perché l’azione di accostamento di un elemento, anche se di dimensioni apparentemente irrilevanti, a un altro cambia la percezione e la natura di entrambi gli oggetti. Questa è anche la tesi di uno dei più importanti studiosi di un’architettura tettonica,

10 Manfredo Tafuri, Storia dell’architettura italiana 1945-1985, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1982, pp.64-68

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Kennet Frampton. Nel suo testo Studies in tectonic culture, egli analizza la parte costruttiva e di dettaglio delle architetture proponendo una tesi che considera piccoli elementi come generatori di un’intera architettura o addirittura di una città.11 Tutto ci mostra però che l’innesto architettonico, quello che muta un edificio, una città e modifica la nostra vita non è necessariamente qualcosa pensato e progettato da importanti architetti o promosso dalle istituzioni. Il nostro territorio è caratterizzato da architetture minori che hanno ripreso e reinterpretato materiali e tipologie esistenti per creare sempre qualcosa di nuovo, pur in continuità con la tradizione. Spesso però innesti di dimensioni ridotte possono

avere lo stesso impatto che hanno progetti di grande trasformazione e rigenerazione urbana. Pensando a Milano, innesti erano le “ristrutturazioni” dei sottotetti negli anni ’90 e innesti sono le grandi trasformazioni urbane degli ultimi anni come l’area di Porta Nuova. I primi rappresentavano un innesto lento, che gradualmente ha mutato la percezione di alcune vie del centro storico e ha modificato la percezione di Milano di quegli anni. La seconda ha creato un nuovo centro direzionale alle porte del centro della città, mutando i flussi pedonali, automobilistici e di mezzi pubblici ma tutto in modo più rapido e sorprendente.Ma forse il momento in cui il tema dell’innesto ottiene un riconoscimento e una consapevolezza

11 Kennet Frampton, Studies in tectonic culture, MIT press, Cambridege MA, 2005, pp.10-12

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internazionale è rappresentato dal concorso bandito nel 1983 che proponeva di realizzare un parco in un vecchio mattatoio abbandonato di Parigi, alla Vilette. A questo hanno partecipato i più importanti architetti del momento tra i quali Peter Eisenman e Bernard Tschumi. La maggior parte dei progetti, come conferma Ciorra, sembrano incredibilmente simili, probabilmente influenzati dalle ricerche filosofiche di Jacques Derrida, basate principalmente sull’idea del nuovo come risultato di un preesistente e di una serie di stratificazioni di elementi nuovi che non per forza devono distruggere ciò su cui si poggiano ma duttili e malleabili rispetto a ciò che sta sotto di loro12. Ma quali sono le ragioni di un innesto? Quando

si deve operare su una pianta esistente? Si può dire che nel processo di innesto vi sia un’origine in qualche modo “medica”13, come il tentativo di riempire un vuoto, una mancanza. Quindi, rifacendomi alla metafora di prima, un primo campanello d’allarme potrebbe essere dato dagli uccellini. Se questi non si posano più sulla pianta, non costruiscono più i loro nidi, forse qualcosa bisogna fare. E sicuramente se chiedessimo loro qualcosa sul loro vecchio albero, questi risponderebbero con grande nostalgia, ricordando i bei tempi passati lì sopra, tra quelle foglie verde acceso e i frutti freschissimi che trovavano ogni primavera. Quindi l’elemento della memoria è fondamentale, forse più importante della qualità più o meno riconosciuta

12 Pippo Ciorra, prefazione in Architettura Parassita….pp.9-10

13 Sabin Bors, Architectural Graft, Igloo media, www.igloo.ro/en/articles/architectural-grafts, Bucarest, 2015

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010Bernard Tschumiprogetto per il parco della ViletteParigi

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ufficialmente del manufatto. Se un edificio non è vissuto e abitato e amato come lo era in passato, significa che esso sta morendo. Lentamente come una pianta su cui nessun uccellino poggia.L’architetto deve studiare la sua materia, deve comprendere tutto sia dal punto di vista costruttivo che sociale che urbano. Deve avere la consapevolezza dello spirito della pianta su cui vorrà innestare ( ciò che Ciorra definisce Genius aedifici) per poter capire quali specie siano più adatte. Non deve dimenticare che un innesto architettonico genera una mutazione e una trasformazione al contesto e soprattutto una variazione del significato. Sta lavorando con qualcosa di estremamente vivo ma di estremamente delicato,

qualcosa che può essere distrutto se curato nel modo sbagliato. Ma allo stesso tempo deve avere il coraggio di operare con personalità perché l’edifico ha bisogno di una medicina forte e molto efficace. Troppe volte, nel corso della storia anche di importanti edifici, sono state esclusivamente apportate delle toppe che hanno celato il problema per periodi a breve termine ma senza risolverlo.Questo è il compito dell’architettura attuale, “il suo ennesimo stratagemma per creare senso anche quando non ha la possibilità di costruire il mondo”, ricordando, come aveva detto Massimo Borella nel forum della Biennale14, che l’idea che i tradizionalisti hanno della tradizione è ambigua e obsoleta (“togliete la tradizione

14 Italia. Un paesaggio contemporaneo…pp.125-126

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ai tradizionalisti!” diceva Pasolini). D’altra parte lo diceva anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa che “bisogna cambiare tutto per non cambiare niente”15.

15 Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli, Milano, 1958

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9.2 Innesti nel Seminario Vescovile di Reggio Emilia

Il Seminario di Reggio, sia per ragioni funzionali che sociali, necessita di qualche innesto. Qualcosa che faccia splendere la sua materia viva e lo valorizzi.Interventi però a scale diverse, che si occupino del rapporto con la città sino ad arrivare alle esigenze più comuni degli utenti, innesti a varie scale, inter-scalari.

Innesto urbano

L’edificio di mio interesse si trova in un punto molto importante e strategico della città. L’indirizzo è viale Timavo, uno dei principali viali della circonvallazione di Reggio Emilia. E’ contaminato da un importante flusso meccanizzato ma è

un’area con una notevole potenzialità in quanto rappresenta anche una vetrina per la città. Per raggiungere il centro storico in automobile è inevitabile circoscrivere l’area del Seminario Vescovile, facilmente osservabile anche grazie ai numerosi semafori che rallentano il traffico e quindi formano visitatori involontari.Ma anche dal punto di vista pedonale è un’area viva e frequentata. Uno dei parcheggi pubblici gratuiti con un bacino d’utenza consistente si trova in via Cecati, a circa un centinaio di metri da viale Timavo. Il collegamento tra il parcheggio ed il centro storico è oggi non organizzato: una serie di piccoli marciapiedi e numerosi attraversamenti su strisce pedonali costeggia

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012Il contesto di Reggio Emilia

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il lotto appartenente alla Diocesi. L’edificio esistente, considerate soprattutto le sue dimensioni, presenta un forte impatto sulla città e i suoi abitanti, i quali lo riconoscono come un monumento, o comunque un edificio caratterizzante la memoria della città emiliana. Alcuni riconoscono il valore artistico, altri lo definiscono un “bel bestione” con la S emiliana. Ma entrambi sono a conoscenza di questo edificio, sia per la posizione strategica sia per l’impatto visivo che ha sulla quotidianità dei reggiani.Nelle immediate vicinanze, oltre al già citato parcheggio, il tessuto è prevalentemente residenziale ed è caratterizzato da edifici a tipologia “a casa isolata”, tipico degli anni successivi al 1960. Unico elemento

di differenza è una scuola media, intitolata ad Amedeo duca d’ Aosta, che, soprattutto durante il giorno, rende viva l’area con rumori e schiamazzi degli adolescenti.La mia proposta vuole sfruttare questa posizione strategica dell’intervento. Attraverso l’occasione progettuale intende risolvere alcuni punti di contrasto in questa area molto importante della città. Anzitutto vorrebbe creare all’interno del lotto un asse forte, percorribile dai pedoni che colleghi il parcheggio di via Cecati alla prima circonvallazione reggiana e faciliti l’attraversamento di questa per raggiungere il centro storico. In questo modo l’area vera e propria verrebbe vissuta direttamente dai cittadini e diverrebbe urbana a tutti gli effetti. Questo asse

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013Il contesto di Reggio Emilia

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forte è rappresentato da un percorso situato nella parte occidentale del lotto, quella costituita per lo più da spazio aperto, che ha inizio dall’adiacente scuola media, arriva fino alla circonvallazione e permette un attraversamento a livello della strada atto a raggiungere quel Piazzale Fiume, porta vera e propria della nucleo antico. La grande maggioranza degli spazi aperti viene quindi donata alla città. Ho pensato di disegnare un paco urbano, quasi interamente accessibile dai cittadini. Il progetto prevede l’alternanza di aree dure e aree molli, costituite cioè da zone pavimentate su cui insistono diverse attività e altre verdi lasciate quasi interamente allo stato naturale. Uno stato naturale comunque organizzato. I numerosi

alberi piantati nell’area sono ordinati secondo una maglia regolare rettangolare che riprende la struttura dell’edificio esistente così da poter portare verso l’esterno il rigore e la serialità che ne caratterizza l’architettura. Lo stesso ritmo strutturale organizza e divide lo spazio aperto pavimentato. La superficie calpestabile è caratterizzata da rettangoli ritmati seguendo sempre l’edificio e arrivando in contatto diretto con i pilastri in calcestruzzo armato. Ho pensato di organizzare diverse attività sportive come campi da calcio a cinque o da pallavolo, aree affittabili per organizzare sagre o mercatini oppure orti, di appartenenza però degli abitanti dell’edificio rigenerato. Questa organizzazione degli spazi aperti prevede

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014Planivolumetrico di progetto

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quindi la condivisione di alcuni spazi ed una compresenza tra diversi utenti che però possono imparare gli uni dagli altri, come era nei monasteri medioevali. E prevede un’organizzazione e un controllo di tutte le aree, soprattutto di quelle sportive pensate per i più piccoli.Innesto volumetrico e architettonico

Innesto architettonico

Le nuove funzioni, dettate da un’analisi sociale e antropologica sulla città, e il tentativo di separare i flussi e i percorsi hanno reso necessario il progetto di alcuni innesti, atti a mutare l’impianto planivolumetrico del Seminario Vescovile di Reggio Emilia. Alcune tra le nuove attività previste in sede di progetto richiedono caratteristiche prestazionali

che l’edificio originario non è in grado di offrire. Per esempio, la sezione dedicata ai libri antichi della biblioteca, richiede un ambiente totalmente ovattato e protetto, isolato termicamente. Per questo ho ritenuto interessante che sin da subito questa parte dell’edificio avesse bisogno di una collocazione caratterizzata da qualità energetiche contemporanee, protette dalla luce e dal calore del sole.I servizi offerti alla città quali un centro congressi, una ludoteca infantile e un ristorante pubblico hanno messo in luce il problema di dover distinguere i percorsi e gli accessi, altrimenti confusionari perché frequentati da utenti con caratteristiche e necessità differenti. Ho pensato di creare un

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016Primo fotoinserimento delprogetto

015Schema del processoprogettuale

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elemento di collegamento e distribuzione che potesse fungere da secondo ingresso, non inferiore al primo per numero di utenti e per monumentalità.

Ma come fare ad inserire questi volumi nuovi in un edificio fortemente consolidato? Dove andare ad innestare questi nuovi corpi? Le prime riflessioni progettuali le ho eseguite disegnando in pianta ma trovavo difficile lavorare solo in quel modo: la forma dell’edificio sembrava perfetta, caratterizzato da una simmetria rigorosa contestata però dalla sagrestia a sud. Il tutto sembrava aver raggiunto un equilibrio difficile da contrastare. Ma la suggestione l’ho avuta visitando per l’ennesima volta l’edificio. I cortili interni, progettati con l’idea

di reinterpretare i chiostri medioevali e circoscritti da un corridoio-deambulatorio di socializzazione, mi sembravano poco utilizzati, lasciati un po’ andare, con il solo cagnolino del custode a farne da padrone. Inoltre la visuale non era delle migliori, questi due corpi incorniciavano visualmente alcuni palazzi più o meno gradevoli. Ma poi, i chiostri non erano chiusi nel medioevo? Certo, il progetto originario prevedeva la netta separazione tra i due corpi anche per motivi funzionali. Ma perché non provare a chiudere questa planimetria ad H così da trovare una collocazione sensata alle nuove funzioni e cercare di dare un’identità chiusa e protetta ai cortili dei chiostri?

I cortili vengono quindi circoscritti e presentano

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017Fotoinserimento su situazione attuale

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un’atmosfera sicuramente più intima. Ma il progetto originario prevedeva dei passaggi che permettessero una permeabilità tra interno ed esterno del complesso. Per questo motivo l’innesto biblioteca (alta due piani) si ritrova alzato di un piano rispetto al piano terra e l’innesto di distribuzione (che arriva fino al ristorante sul piano copertura) si restringe lasciando dei passaggi laterali. Ho pensato fosse interessante scostare i volumi rispetto al filo esterno dell’edificio. Arretrandoli di una campata strutturale, è più semplice e più onesto leggere la differenza tra l’innesto e l’edificio originario. Perseguendo una strategia di continuità rispetto a ciò che avviene all’interno, gli innesti appaiono in facciata, bucando il volume così da

mostrare anche sul fronte principale ciò che avviene all’interno.

Anche il linguaggio architettonico deriva da uno studio e da un’interpretazione dell’edificio esistente. La natura della facciata del Seminario Vescovile è caratterizzata da una sapiente alternanza rigorosamente modulare tra le finestre ad andamento verticale, la struttura in calcestruzzo armato a vista e il rivestimento delle murature di tamponamento in clinker. Tutte questi elementi sono su piani diversi, sia per rispetto dei materiali sia per gerarchie all’interno del progetto che voleva in un qualche modo essere onesto nei confronti del fruitore che poteva distinguere facilmente il portato e il

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Prospettive di progetto

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portante. Gli innesti sono fortemente influenzati da questa filosofia e soprattutto dal ritmo ad andamento verticale dell’edificio. Il nuovo progetto estremizza la modularità, la rende ancora più secca, più minimale. Le aperture sono molto sottili, la metà delle finestre del vecchio seminario. La pelle dell’edificio è realizzato con una cornice di pannelli metallici, per dare una terza dimensione forte a questa idea di modularità presente nelle facciate dei nuovi edifici.

La scelta materica è coerente all’onestà del progetto. Il nuovo è interamente interpretato con elementi assemblabili a secco. Dalla struttura ai rivestimenti. Lo scheletro è in acciaio, a travi e pilastri per quanto riguarda

l’innesto di collegamento e caratterizzato da una trave Vierendel con luce di circa 25m per quando riguarda la sezione dei libri rari della biblioteca. Il rivestimento è costituito da pannelli coibentati con finitura in acciaio Corten.

Innesto di allestimento

Per dare nuova vita all’edificio, questo non è sufficiente. Bisogna lavorare all’interno di esso, dare una linfa vitale al contenitore che piano piano si sta svuotando. Per questo ho pensato a un importante lavoro di innesto anche per quanto riguarda l’interno e la riorganizzazione delle diverse funzioni. Tutti gli elementi di partizione sono realizzati in cartongesso, cercando di lasciare sempre in evidenza la

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021Schema innesto di allestimento

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struttura portante e il suo ritmo caratterizzante gli spazi interni. Negli spazi residenziali, questi elementi non seguono la linearità della struttura ma cerca di creare spazi intimi per le famiglie, sostituendo alla complanarità della superficie precedente una alternanza tra pieni vuoti che offre respiro a uno spazio molto utilizzato. Un lavoro particolare (e particolarmente interessante) riguarda lo spazio di socializzazione del piano terra, il cosiddetto deambulatorio. Per evitare che, come accade oggi, lo spazio si ritrovi sporcato nella sua purezza da elementi di arredo improvvisato (divani, tavolini, poltrone, sedie e quant’altro), tutti gli elementi di partizione tra il corridoio e gli ambienti privati sono rappresentati

da pareti attrezzate, con elementi di arredo fissi o a scomparsa. All’interno di queste pareti è possibile sedersi, sdraiarsi, riporre libri, oggetti o estrarre tavoli da gioco o da lavoro. Ciò permette di poter in qualsiasi momento nascondere tutto ciò che impedisce la visuale dello spazio del deambulatorio nella sua totalità.

Come descritto prima, l’idea di organizzazione generale del complesso del Seminario Vescovile è quello di recuperare ciò che era un monastero nel medioevo, leggendolo in una chiave contemporanea ed urbana. Un edificio quindi atto ad accogliere, ricevere e a dare. Un luogo perfetto per la meditazione interiore ma anche per il lavoro manuale. Un posto che unisca la quotidianità al

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suo essere speciale.La distribuzione delle funzioni prevede una divisioni in tre grandi blocchi: quello più vicino al centro storico adibito alle funzioni più urbane e legate alla città; il corpo posteriore pensato per le attività più private: una metà per accogliere le famiglie e i lavoratori precari e l’altra con un’accezione spirituale, dimora degli studenti di teologia e dei cosiddetti ospiti spirituali. A questo si aggiungono i due innesti volumetrici, con le funzioni prima descritte di collegamento e conservazione. Il piano terra è caratterizzato dal grande atrio d’ingresso e dai deambulatori. Nel corpo anteriore vi sono gli uffici dell’amministrazione dell’intero complesso, un bar e una mensa, pensati

per tutti gli abitanti del monastero urbano. Nella parte più privata si trovano le 5 aule di teologia per gli studenti e altrettanti laboratori di lavoro, pensati per insegnare un mestiere ai lavoratori precari o agli immigrati. Nel piano interrato, insieme a tutti i locali impianti e agli archivi, si trova una sala adibita a piccole esposizioni, caratterizzata da un interessante pavimento in gres, dove nel progetto originale si trovava il refettorio del Seminario.Per quanto riguarda i piani superiori è più sensato ragionare per blocchi. Nel corpo anteriore dell’edificio, quello urbano, la biblioteca contenente i 120.000 volumi appartenenti alla Diocesi occupa il primo e il secondo piano, arricchita da spazi pensati per il centro congressi e la ludoteca

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pubblica. Al terzo piano sono presenti 18 alloggi per studenti, di taglio variabile per un totale circa di 50 utenti. I piani superiori del corpo posteriore, quello a funzione più residenziale, sono divisi principalmente in due ali: una religiosa e una laica. Nella prima, gli studenti di teologia abitano il primo e il secondo piano mentre gli ultimi due piani sono attrezzati per gli ospiti spirituali. Lo spazio reinterpreta la distribuzione degli antichi monasteri: celle ridotte ai minimi termini per lo spazio di solitudine e spaziosi laboratori della fede per i momenti di comunità. In totale sono previsti 25 studenti e altrettanti laici in cerca di riflessione interiore.Nel blocco laico ogni piano è contraddistinto da 9 appartamenti per un totale circa di 100 abitanti.

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Progetto:documenti

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Immagini di progetto

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Fotografie della maquette

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Elaborati di progetto

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