Nunatak 2

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NUNATAK rivista di storie, culture, lotte della montagna. Numero 2

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  • Per contatti:Nunatak

    c/o Biblioteca Popolare Rebeldiesvia Savona, 10

    12100 Cuneo

    e-mail: [email protected]

    NUNATAK rivista di storie, culture, lotte della montagna.Numero due, primavera 2006.Supplemento al n. 3 (64), dicembre 2005, di ALP - vos d larvira piemontisa.Reg. Trib. di Biella n. 207 del 7/5/1975, Dir. Resp. Tavo Burat.A causa delle leggi sulla stampa risalenti al regime fascista, la registrazionepresso il Tribunale evita le sanzioni previste per il reato di stampa clandestina.Ringraziamo Tavo Burat per la disponibilit offertaci.Pubblicazione a cura dellAssociazione Culturale Rebeldies,struttura non esercente attivit commerciale n finalit di lucro.Per pagamenti copie e contributi economici:Conto Corrente Postale n. 69975381, intestato ad Imeri Alessandra, Cuneo.Stampato in proprio presso la Biblioteca Popolare Rebeldies(Cuneo), marzo 2006.

    Prezzo di copertina: 2,50 Euro. Per il momento non si effettuano abbonamenti.

    IIIIINNNNN COPERTINACOPERTINACOPERTINACOPERTINACOPERTINACarlina Acaulis, cardo spontaneo di montagna, fiore che da sempre stato, per le po-polazioni alpine, simbolo solare, protettore nei confronti di malanni e malefici, ed anchebarometro, in quanto le foglie che proteggono il suo bocciolo si aprono o si chiudono aseconda che il tempo sia sereno o si avvicini la pioggia. Ed anche ultima fonte di sosten-tamento quando non resta pi altro di cui cibarsi: come dice il detto delle Alpi provenzalimonj d cordoblos, essere ridotti a nutrirsi di carline, che non un gran regalo mapu dare di che sopravvivere.

    NUNATAK

    Con questo nome, originario della lingua dei popoli nativi del poloartico, sono denominate le formazioni rocciose che spuntano dalla

    coltre ghiacciata della Groenlandia e del circolo polare antartico. Si tratta ineffetti delle vette di alcune, le uniche al giorno doggi ancora coperte daighiacci perenni, di quelle montagne su cui, allepoca delle glaciazioni, si

    rifugiarono embrionali forme viventi che, con il ritiro dei ghiacci,ripopolarono di vita il pianeta.

    Dinnanzi al dilagare degli scempi sociali ed ecologici prodotti dallasociet della Merce e dellAutorit, le montagne della Terra tornano ad essere

    lo spazio della resistenza e della libert. Affinch una vita meno alienata emeno contaminata possa, giorno dopo giorno,

    scendere sempre pi a valle.

    Il prossimo numero di Nunatak previsto in estate (giugno 2006).Chi fosse interessato a contribuire alla rivista pu mettersi incontatto con la redazione tramite lettera o posta elettronicautilizzando i recapiti indicati a fondo pagina.Per distributori, edicole e librerie sono previsti sconti anche suquantitativi limitati di copie richieste (minimo 3 copie).Si segnala inoltre che la redazione disponibile ad effettuaregratuitamente presentazioni pubbliche della rivista.

    EDITORIALE / OLIMPIADI: UN BEL GIOCO DURA POCO / CENNISULLA NASCITA DELLARTE DELLINTAGLIO DEL LEGNO / DI-SCORRENDO DELLA LOTTA PARTIGIANA CON LEON, SOCIA-LISTA LIBERTARIO, VALLIGIANO ANTIFASCISTA, RIBELLE / IM-PRESSIONI DALLA LOTTA CONTRO IL TAV / DRYOCOSMUSKURIPHILUS: IL CINIPIDE GALLIGENO DEL CASTAGNO / I RI-FUGIATI DELLENDESA / IDROELETTRICO: ENERGIA PULITA OSPORCHI AFFARI?

    SONO ANCORA DISPONIBILI COPIE DEL NUMERO UNO DINUNATAK (INVERNO, DICEMBRE 2005), CONTENENTE I SEGUENTI ARTICOLI

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    SOMMARIO

    EDITORIALE PAG. 2 STORIE DI CONTRABBANDO E CANTI DI BANDITI PAG. 6 SENTIERI O SVILUPPO? BREVI COMMENTI A BASSA VELOCIT PAG. 13 PER AVVICINARSI ALLA COLTIVAZIONE DELLA SEGALE PAG. 17 APPUNTI PER UNA STORIA CRITICA DELLALPINISMO PRIMA PARTE PAG. 21 CABILIA: MONTAGNE AL DI L DEL MEDITERRANEO PAG. 28 CIBARSI DI PRIMAVERA PAG. 42 IO STRINGO I DENTI E POI DIRANNO CHE RIDO PAG. 47 LA MUSICA POPOLARE COS COME MI SEMBRA DA QUI PAG. 52

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    EDITORIALEIl secondo numero di Nunatak si apre con il resoconto di una giornata di lotta in Val Susa. Rite-niamo che nulla come unesperienza diretta sia cos utile alla nascita di un confronto reciprocopropositivo e libero da pregiudizi di sorta. La partecipazione alla resistenza contro lalta veloci-t ci ha spinto a formulare una serie di considerazioni sullauto organizzazione e sulle moltepli-ci opportunit che tale pratica offre.

    Marted 6 dicembre 2005.Alle quattro di notte, un blitz di polizia e carabinieri ha sgomberato il presidio permanente diVenaus che, per sei giorni, ha impedito fisicamente linizio degli scavi di uno dei tunnel legati allalinea ad alta velocit Torino-Lione. Loperazione non stata indolore. La barricata del Sol levan-te che bloccava la provinciale della Val Cenischia stata travolta da una ruspa della polizia ed ipresidianti spinti indietro. volato qualche pugno e qualche manganellata, ma non stato nulla inparagone a ci che accaduto altrove. La violenza poliziesca si infatti accanita sulle postazionie sulle barricate a ridosso del cantiere Sitaf, concesso da questa societ alle forze di polizia comequartier generale.Nessuno fu risparmiato, n gli anziani n chi, sorpreso nel sonno, venne trascinato fuori dalletende e brutalmente malmenato.Gran parte dei manifestanti venne spinta allinterno dei gazebo della Proloco. Altri, divincolatisi einseguiti da gruppi di poliziotti muniti di torce elettriche, trovarono rifugio nei terreni circostanti.Il silenzio venne squarciato dalle campane della chiesa del paese e, subito dopo, dallurlo di unadonna spaventata. Non stato un momento facile da dimenticare.La tensione e il freddo avevano gi provveduto a dilatare il tempo quando una lunga colonna diluci inizi a tagliare il buio.Dalla strada di Giaglione (un paese a monte del sito) risparmiata dai check point polizieschiaccorsero le prime auto dei valligiani avvertiti dellaccaduto.

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    Il gruppo dei manifestanti circondati da un imponente cordone di polizia non si perse danimo e algrido di SAR DRA! incominci a concentrarsi sulla statale bloccata da un pullman dei carabi-nieri. Quasi subito lo slogan LA DISOCCUPAZIONE VI HA DATO UN BEL MESTIERE laceril silenzio, lento, scandito, minaccioso.Il pullman sopracitato venne preso di mira dai manifestanti e danneggiato in ogni modo possibile.Subito dopo, latteggiamento provocatorio degli sbirri scaten un primo corpo a corpo.Un signore, colpito al volto, si sent male e si accasci al suolo. Manco a dirlo, i dirigenti dellaDigos si rifiutarono di consentire laccesso alle ambulanze e di far passare la lettiga. Fu forsequesta la goccia che fece traboccare il vaso.Si scaten un secondo tafferuglio, pi lungo e violento del primo. Quando diversi celerini inizia-rono ad essere portati via di traverso, la soddisfazione e larroganza spar dai volti dei lorocolleghi. Incominci ad albeggiare e lafflusso dei manifestanti non sembrava diminuire. Pocodistante da una conversazione telefonica si ud:Dovete passare subito in tutti i reparti, lapolizia ha caricato e ci sono trenta feriti devono smettere tutti di lavorare ho detto subito!.Molti tra i presenti accolsero lidea di spostarsi a Bussoleno per un imponente blocco delle viedaccesso alla valle.Nel frattempo, un gruppetto di venti persone risal il sentiero che, dal paese, porta direttamenteallautostrada, nel punto in cui questa si immette in una galleria. Il traffico venne immediatamentebloccato e due poliziotti della stradale allontanati. Tra i colori dei fumogeni, una catasta dicopertoni legna e macerie prese fuoco sul selciato. Neanche venti minuti dopo i mezzi dellacelere, risalendo in contromano lautostrada bloccata, inchiodarono a pochi passi dal blocco.Scesero i celerini e, manganelli alla mano, caricarono i presidianti che si lanciarono in salvo oltreil parapetto della corsia demergenza. Tre persone vennero fermate. Poco pi tardi, a Bussoleno,le due statali e lautostrada furono bloccate dalle barricate. Unauto munita di altoparlanti informtempestivamente gli astanti sui fatti della notte mentre camion cassonati colmi di tronchi giunge-vano a dar man forte alle barricate. La strada era ormai piena di migliaia di persone incazzate.

    Abbiamo deciso di ritornare con la memoria ai fatti di quel giorno di dicembre a Venaus, poichriteniamo siano stati determinanti sotto molti aspetti. Senza dubbio sono stati decisivi nellambitodellopposizione allalta velocit in Val Susa. Due giorni dopo, lotto dicembre, in quella che verrricordata come la battaglia di Venaus, i picchetti posti da tecnici e polizia intorno al sito interessatosono stati travolti dalla rabbia di unopposizione popolare quanto mai determinata.Altrove, lontano dai riflettori, lo straordinario eco di quelle giornate di lotta, stato il propulsoredi nuove possibilit di incontro, discussione, critica e lotta ed inoltre uno stimolo per la riscopertadi un bisogno vitale: quello di decidere in prima persona del futuro del proprio territorio partendodal basso e rimettendo in discussione la logica della delega stessa, su cui poggia la politica delleistituzioni tradizionalmente intesa. Lesperienza della lotta in Val Susa ha in questo senso dimo-strato la sensibilit e la capacit dintervento dei comitati popolari che in pi di unoccasionehanno saputo raccogliere ed interpretare gli umori e i desideri di una popolazione in quei giornigi stremata da unopprimente militarizzazione. Al tempo stesso stato chiaro da subito come ilfuoco della resistenza valsusina dovesse essere alimentato anche altrove dalla solidariet e dallacomplicit di realt affini. Realt che, seppure diverse tra loro e talvolta geograficamente distanti,

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    hanno risposto promuovendo incontri, presidi, blocchi stradali ed organizzando comitati solidalialla resistenza contro il TAV. Cos facendo hanno risvegliato linteresse anche nei confronti diquelle questioni locali legate ad un modello di sviluppo che, sovente, viene acriticamente accetta-to in nome di un progresso miope ed incompatibile con lambiente circostante e chi lo abita.Anche se, emotivamente, giornate di lotta come la battaglia di Venaus o quella del Seghino si sonoimposte con maggior forza nella memoria collettiva, un altro momento estremamente significati-vo sul quale vale la pena di spendere alcune riflessioni lo si vissuto nei sei giorni di presidiopermanete in quella che alcuni hanno ribattezzato libera repubblica di Venaus.In tale circostanza la diffidenza reciproca ed il clima di tensione che si respirava il primo giorno stato superato non dallimposizione di un modo dessere comune o dal fumo di unanalisi politica,ma, con semplicit disarmante, dallincedere della situazione e dallo stare insieme. Tutto ci pusembrare una banalit ma va considerato che ci si ritrovati a dover fronteggiare battaglioni dipolizia e carabinieri giorno e notte. Si stava in un prato ai piedi delle montagne, a dicembre, a voltesotto la neve. Si pu capire dunque come la situazione potesse essere di per s poco confortevolee come, degenerando in polemiche sterili, avrebbe potuto spaccare il fronte dei presidianti.Al contrario, la condivisione del cibo, di una barricata, del fuoco o di una bevanda calda hannosaputo restituire un senso a parole come solidariet e autogestione. Le lunghe notti, passate acostruire ripari o a discutere, hanno determinato il ritorno a rapporti di condivisione dellesistenteoggi alienati da dimensioni di vita allinsegna dellisolamento e della mercificazione.Quando la lotta si mescola alla vita quotidiana nasce un sentire nuovo, una consapevolezzamolto forte e una gran disponibilit allascolto delle ragioni altrui. Al contempo emerge tutta lanocivit e lestraneit dei rapporti di potere propri del verticismo partitico, della delega e del sensodi rassegnazione che ad essa si accompagna.Viviamo in tempi in cui ci si abituati ad assistere ad un accadimento piuttosto che viverlo econdividerlo con altri. Tutto ci tanto pi vero se si pensa ai molteplici, soffocanti eventi media-tici che, sempre pi spesso, tendono a slegarci dalla realt annullando la possibilit di incidere sulpresente. Il passaggio del tedoforo sulle montagne olimpiche, due mesi dopo lesperienza dellalibera repubblica di Venaus, ha mostrato un modo diametralmente opposto di stare insieme.Le folle dallo sguardo vitreo che hanno deambulato al seguito della fiaccola davano limpressionedi essere completamente narcotizzate ed in balia di un evento che non aveva nulla a che fare conla festa o lo sport, ma somigliava pi ad una gigantesca operazione di marketing di massa. Anchechi, come noi, ha deciso di contestarla, ha talvolta avuto la sgradevole sensazione di essere unacomparsa inserita in un copione senza possibilit di sbavature.Da questo punto di vista, levento mediatico di oggi ricorda la funzione religiosa del passato,laddove il sacro stato sostituito dalla merce e dalla sua mistica che non pu essere messa indiscussione. Le immagini dei santi ed i rosari hanno lasciato il posto alle bandiere della Samsungo della Coca Cola, in un cerimoniale in cui laria rarefatta come quella di una confezionesottovuoto e tutto ha il mortifero sapore della plastica.Anche il rapporto con ci che ci circonda completamente snaturato: gratificandoci con le ripresedi luoghi familiari e di vie note, avviene una separazione tra ci che si vive e la suaspettacolarizzazione. Ci accorgiamo di quello che ci circonda solo nel momento in cui fruiamodella sua immagine televisiva. Tuttavia, le immagini non si possono toccare n vivere: non hanno

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    la profondit di un passato n la prospettiva di un futuro.Al contrario, lesperienza pi intensa e pi ci aiuta a squarciare il velo della rappresentazione,svelando scenari inediti in cui necessario costruire spazi dagibilit e affilare strumenti di criticaappropriati alle variabili del caso.Nel suo piccolo anche Nunatak intende sviluppare una discussione in questo senso, intervenendoin quellambito specifico che la montagna. Uno spazio non ancora completamente asservitoallutilitarismo meschino della merce e della sua ideologia, un ambiente complesso, con la suanatura selvaggia e le sue genti che ancora scelgono di vivere piuttosto che lasciarsi vivere. Quellamontagna in cui anche il solito cibo finisce per avere un gusto diverso.

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    STORIE DICONTRABBANDO ECANTI DI BANDITIEEEEELSALSALSALSALSA A A A A ALBONICOLBONICOLBONICOLBONICOLBONICO

    Il contrabbando, nel periodo tra le due guerre e sino agli anni sessanta, pur esercitando unattivitillecita, veniva considerato pi o meno come un qualsiasi altro lavoro artigianale. Ci accadevasoprattutto nelle localit di confine e nelle adiacenti vallate montane prive di prospettive occupa-zionali, dove rappresentava lunica alternativa allemigrazione.Quando si parla di contrabbando daltri tempi il pensiero va subito alle bricolle, sacchisagomati ricolmi di sigarette che gli spalloni (manovali del contrabbando) portavano inspalla passando dalla Svizzera allItalia per impervi e scomodi sentieri. La merce che venivafatta passare clandestinamente da una frontiera allaltra poteva essere di vario genere. Oltrealle sigarette si portavano illegalmente in Italia gli accendini, il caff, balle di stoffa, stagnovergine, zucchero, sale, preservativi, pellicce, bambole parlanti, e altre mercanzie. Vi eraanche il contrabbando verso la Svizzera, in particolare durante la guerra lungo la via dellesigarette passavano quintali di riso. Questo veniva trasportato a 30 chili per volta in sacchettidi cotone, cuciti in modo che il riso fosse distribuito in strette scanalature. Come ci confermaSavina, unanziana informatrice di Cavargna in provincia di Como, anche le donne parteci-pavano a queste spedizioni. Noi portavamo il riso in Svizzera che tanto ne aveva bisogno. Avolte si partiva da San Lucio (un passo che mette in comunicazione la Val Cavargna in Italiacon la Val Colla in Svizzera) anche in 250 persone. Tutte cariche di riso. Ci mettevamo in

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    marcia cantando e poi in silenzio ci si perdevafra i boschi. Il contrabbando di riso ricorda-to anche in un canto:

    Noi siam contrabbandieri di riso e di salese il colpo ci va malea Bellinzona ci tocca andarA Bellinzona ci tocca andaresotto questa disciplinadalla sera alla mattinasul tavolaccio per riposar.

    La prigione di Bellinzona era molto temutaperch i malcapitati dovevano passare unasettimana di segregazione a pane nero edacqua, con solo un tavolaccio per dormire.Ai prigionieri poteva capitare di essere rapa-ti a zero, cos oltre la merce perdevano persi-no la chioma. Per evitare il carcere ricorre-vamo a qualche trucco, dice Savina. Le guar-die camminavano avanti e noi dietro: alloracon un coltellino che portavamo sempre intasca tagliavamo la stoffa del sacchetto cheavevamo sulle spalle, cos il riso si disperde-va lungo la strada, e quando si arrivava allaprigione non essendoci il corpo del reato nonpotevano metterci dentro. Nel viaggio di ri-torno, se ogni cosa andava bene, i contrab-bandieri si caricavano di zucchero e sale,allora piuttosto scarso in Italia a causa deltesseramento e in pi di qualche franco per ibisogni di famiglia. Il gusto di far sapere allafinanza che erano riusciti a farla franca benespresso dal canto legato al contrabbando pinoto in tutta larea di confine.

    Eravamo in quattro fratelliEravamo in quattro fratelliEravamo in quattro fratelliEravamo in quattro fratelliEravamo in quattro fratelli

    Eravamo in quattro fratellitutti quattro l medesimo pensieroabbiam deciso di f l contrabbandierecontrabbandiere vogliamo sempre f.

    Il primo salto che noi abbiamo fatto stato quello in cima a Garzirolae la finanza gridava molla mollae la bricolla labbiamo noi lascia.

    E la bricolla che noi abbiam lasciatoera il valore di cinquecento liree alla finanza gli manderemo a direche tre bricolle le abbiamo ancor salva.

    Ridevamo l gi allosteriatutto un tratto si sente bussar la portao per amore o per amore o per forzadi quella porta dovete ben uscir.

    Entra entra un giovane brigadierecon in mano un mazzo di catenee hann legato tutti quattro assiemee alla prigione ci hanno trasporta.

    Entra entra una giovane signorinacon in mano una bottiglia di acqua vitesiam quattro giovani condannati alla vitacontrabbandiere vogliamo sempre f.

    Siam quattro giovani condannati alla vitacontrabbandiere vogliamo sempre f.

    Nemici dei contrabbandieri, detti anchesfrusadur, per, non erano solo le guardie.Potevano capitare che degli spalloni tessesse-ro agguati a danno di colleghi, travestendosida guardie per poter sequestrare le bricolle al-trui. Se la cosa veniva scoperta erano guai,potevano volare cazzotti o coltellate. La durez-za di quella vita non li rendeva tanto teneri gliuni verso gli altri, anche se tra di loro in generecercavano di spalleggiarsi, soprattutto a dannodei finanzieri chiamati scherzosamente oratirabusciun, ora burlanda, o caini. Per sfuggirealla finanza bisognava fare attenzione alleretate, viaggiare di notte e praticare i sentieri

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    pi difficili e pericolosi. In localit Livigno o Trepalle in provincia di Sondrio, si usavano gli sci o leracchette da neve per spostarsi, con il pericolo di essere travolti dalle valanghe, visto che sisceglievano i tragitti pi difficili ed esposti al pericolo per seminare gli inseguitori.Quando i contrabbandieri venivano avvisati si lanciava il tradizionale ordine Molla! Molla! chesignificava abbandonare la merce e possibilmente darsela a gambe per non essere arrestati.Poteva capitare che partissero dei colpi di fucile per convincere meglio gli spalloni a mollare ilsacco e arrendersi. E anche se in genere i finanzieri non cercavano di infierire su questi fuorileggeper necessit, cera sempre il pericolo di finire impallinati. Poich venivano prese di mira soprat-tutto le gambe, gli spalloni avevano imparato a correre saltellando qua e l come degli agilicamosci, rendendo pi difficile la mira.Dalla Valsolda, localit che si trova a ridosso di Gandria, il confine svizzero pi vicino aLugano e dove il Fogazzaro ambient il suo pi noto romanzo Piccolo mondo antico,Franco Turcati ricorda la sua avventura con le prime bambole parlanti.Ero con un amico, stavamo scendendo dalla Boglia con in spalla un gran sacco dove aveamo

    messo le bambole. Quando abbiamo intravisto la finanza che veniva verso di noi, ci siamo subitoaccucciati tra i cespugli per non farci vedere. Per le nostre bambole appena ci siamo abbassatihanno cominciato a fare versi, a parlare e cos abbiamo dovuto disfarcene subito. Rotolavano giper la montagna con i loro : uhuhmamma pap, e a noi, anche se eravamo un pospaventati, ci veniva proprio da ridere.Giuseppe Giudici, sempre in Valsolda, nel 30 lavorava come muratore a Milano. Quando unagrave crisi lo lasci senza lavoro, si vide costretto a tornare al paesello senza nessuna valida

    Contrabbandieri a Comologno (Valle Onsernone - Ticino), probabile primo dopoguerra (foto Amici di Comologno).Contrabbandieri a Comologno (Valle Onsernone - Ticino), probabile primo dopoguerra (foto Amici di Comologno).Contrabbandieri a Comologno (Valle Onsernone - Ticino), probabile primo dopoguerra (foto Amici di Comologno).Contrabbandieri a Comologno (Valle Onsernone - Ticino), probabile primo dopoguerra (foto Amici di Comologno).Contrabbandieri a Comologno (Valle Onsernone - Ticino), probabile primo dopoguerra (foto Amici di Comologno).

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    prospettiva. Accortosi che malgrado lapparente povert dilagante cera chi se la spassava al-losteria mangiando panini, bevendo, divertendosi, si inform su come ci fosse possibile. Gli fudetto che quelli facevano gli spalloni, i contrabbandieri. Visto che non aveva nulla da fare, inco-minci anche lui a portare la bricolla. Cos anchio potevo spendere qualche soldo allosteria; -rammenta Giuseppe- la paga di Milano era di 20 lire la settimana. L con due viaggi per settimanariuscivo a guadagnare 200 lire. Non sembra ma erano tanti. Essendo un novellino rischiava diessere preso e di veder confiscate le sue pur piccole propriet. Per evitare linconveniente sotto-scrisse una finta vendita della casetta e del campicello.Come previsto dopo cinque mesi prov lesperienza del carcere. Non and poi cos tanto male,perch in cella con lui cerano due personaggi di un certo riguardo che riuscivano a farsi arrivarea San Vittore ogni ben di dio.Giuseppe sorridendo ricorda:Finch sono stato in prigionemangiavo meglio che a casa. Ioper sono uscito dopo pochigiorni, loro sono rimasti den-tro. Quando sono tornato acasa ho continuato a portare labricolla ma poi non mi hannopi preso.A rammentarci quanto fosse dif-fuso e tacitamente accettato ilcontrabbando, il fatto curiosoche la stessa amministrazionecomunale di Valsolda, come ri-corda un anziano segretario, ap-plicava una tassa speciale a chipraticava questa attivit, rego-landosi sulla cifra in base allepresunte bricolle che una fami-glia riusciva a far passare oltrefrontiera.Anche le finanze dei comunialloraerano povere e qualche entrata in pi non guastava, sebbene si trattasse di un introito sullillecito.Nel Museo doganale di Cantine di Gandria, tra i vari reperti lasciati in seguito dai militi checercavano di sfuggire alla guerra rifugiandosi in Svizzera, si trovano ancora molti oggettilegati al contrabbando che aveva interessato larea lombardo-ticinese. Alla sua fondazioneavvenuta nel 1935, il museo di Gandria venne denominato Museo del contrabbando. Essoaveva trovato posto nella vecchia dogana dove in precedenza risiedevano le guardie celibi chefacevano servizio di vigilanza sul lago Ceresio, prima della costruzione della strada che collega laValsolda con la Svizzera. Tra i pezzi pi importanti detiene un posto donore il natante conosciu-to come il Sottomarino. Loriginale imbarcazione ogni notte faceva la spola da San Mamete

    Alta Valle Anzasca (Archivio Novellini).Alta Valle Anzasca (Archivio Novellini).Alta Valle Anzasca (Archivio Novellini).Alta Valle Anzasca (Archivio Novellini).Alta Valle Anzasca (Archivio Novellini).

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    Valsolda a Gandria, passando a 60 centimetri sottacqua, con un carico di salumi e di lardo.Purtroppo per i contrabbandieri nella notte del 22 febbraio 1947, un guasto al natante fecescoprire lillecito traffico e vano risult il tentativo di affondare il corpo del reato. I 300 chilogram-mi di salame chiusi in tanti sacchetti di plastica non vollero scomparire, e, venuti a galla, continua-rono imperterriti a dispetto dei contrabbandieri a muoversi dolcemente cullati dalle acque del lago.Storie e aneddoti se ne raccontano tante, in comune per hanno tutte certe costanti: la fatica, ilpericolo, lastuzia giocata tra chi deve farla franca e chi cerca di impedire traffici illegali, linsidiadelle spiate che potevano arrivare da rivali di ogni genere o da confidenti delle guardie, come leragazze innamorate dei finanzieri che venivano viste con molta diffidenza, soprattutto da amici oparenti che praticavano il contrabbando. Con i finanzieri ci si poteva trovare a bere assiemeallosteria, si poteva ironizzare su chi era pi abile a prendere o a sfuggire la presa, ma guai adimparentarsi con loro. Questi erano pur sempre nemici e foresti, meglio non tirarseli in casa. Nelcanto Il mio pap non vuole, viene messo ben in evidenza non solo il divieto ferreo da parte delpadre di un eventuale matrimonio della figlia con un finanziere, ma anche la determinazione dellaragazza a voler vivere il suo amore a costo di uccidere il padre dissidente.

    Il mio pap non vuole Il mio pap non vuole Il mio pap non vuole Il mio pap non vuole Il mio pap non vuole

    E mi vedr la lunala luna la spia non fa.E mi vedr la lunala luna la spia non fa.E mi vedr la luna le ri le rla luna la spia non fa.

    E mi vedran le stellele stelle non sanno parlar.E mi vedran le stellele stelle non sanno parlar.E mi vedran le stelle le ri le rle stelle non sanno parlar.

    E mi vedr la mammala mamma pianger.E mi vedr la mammala mamma pianger.E mi vedr la mamma le ri le rla mamma pianger.

    Il mio pap non vuoleche sposi un finanzier.Il mio pap non vuoleche sposi un finanzier.Il mio pap non vuole le ri le rche sposi un finanzier.

    Io prender il coltellouccider il pap.Io prender il coltellouccider il pap.Io prender il coltello le ri le ruccider il pap.

    Luccider di nottedi notte nessun mi vedr.Luccider di nottedi notte nessun mi vedr.Luccider di notte le ri le rdi notte nessun mi vedr.

    Le sorprese nella storia del contrabbando non finiscono mai, in particolare quelle relative alperiodo bellico. I commercianti di cavalli dellarea elvetica, avendo sempre bisogno di animali dautilizzare durante le manovre, trovandosi in difficolt a reperire quanti gliene servivano, si rivolse-

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    ro ai nostri contrabbandieri per procurarsene un certo numero. Le bestie da passare alla Svizzeravenivano sottratte allesercito italiano che aveva insediato il suo quartier generale a Brescia.Abili montanari, i contrabbandieri portavano i cavalli da Brescia a Bormio, poi fino oltre lafrontiera passando per sentieri nascosti da fitta vegetazione. Il nemico pi temibile era rappresen-tato dalla milizia tedesca. Quelli non scherzavano e la paura era tanta conferma Giulio diLivigno io sono finito dentro per essere stato fermato con cinque cavalli di contrabbando.Essendo per di professione postino come il padre, sostenne che i cavalli gli servivano pertrainare la slitta carica di posta e provviste. In qualche modo riusc a convincere il milite e dopo unanotte in guardina pot tornare in libert.Ma non sempre le cose andavano lisce e Giulio divenne protagonista di una triste avventura,proprio nel corso di un tentativo di far passare oltre frontiera assieme ai cavalli, le lettere che iparenti scrivevano ai nostri connazionali rifugiati in Svizzera. Lungo il percorso si imbatt in unaguardia tedesca, con la quale non aveva buoni rapporti, e temendo il peggio, anche la fucilazione,

    se fosse stato scoperto con quelle missive tanto compromettenti, nascose il plico sotto la neveprima di tentare la fuga. Venne raggiunto da una fucilata che gli fer una gamba, ma sebbene in difficoltcontinu la disperata corsa per la salvezza. Riusc a cavarsela ma rest claudicante per sempre.Per riuscire nelle loro imprese a volte i contrabbandieri escogitavano trucchi davvero divertenti.Nini di Livigno, racconta con unaria da astuto furetto: Dovendo raggiungere Milano con un certoquantitativo di sigarette e accendini che mi aveva commissionato un villeggiante (cos si chiama-vano un tempo i turisti), pensai di travestirmi da prete. Dopo aver trafugato la veste al nostroparroco, presi gli accordi con un mio amico che doveva farmi da autista e con lui preparai la

    Passo Mondelli, anni sessantaPasso Mondelli, anni sessantaPasso Mondelli, anni sessantaPasso Mondelli, anni sessantaPasso Mondelli, anni sessanta

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    vettura, caricando le valige piene di merce sul tetto dellauto. Nini con aria molto compita se nestava seduto sul sedile posteriore tenendo in mano il breviario. Era tale la sua immedesimazionenel personaggio che, fermato pi volte dalla finanza, non corse nessun rischio di venire scopertocome falso prete. Per rendere la cosa pi credibile ad ogni controllo si preoccupava di impartire,si fa per dire, una benedizione a quei bravi ragazzi che facevano il loro dovere. Elogiava anche labuona aria di Bormio che lo aveva rigenerato e la gentilezza di tutti quanti nei suoi confronti. Riusca far giungere a destinazione il carico senza inconvenienti. Ma la cosa pi difficile stata per ilmio amico che faceva fatica a non ridere intanto che io mi divertivo a fare il prete.Che dire di questi fuorilegge artigiani del contrabbando che nulla hanno in comune con coloroche attualmente curano il movimento di merci clandestine come droga, denaro sporco, preziosi,finanche organi umani? Forse erano i modesti guadagni necessari alla sopravvivenza a tenerli coipiedi per terra, e a non far dimenticare loro i limiti entro cui muoversi senza contrastare certeregole sociali comunemente riconosciute e accettate. Del resto appena mutarono le condizionisociali e si aprirono nuovi sbocchi di lavoro, la maggior parte dei contrabbandieri cambi mestiere.Nei loro ricordi per sono ancora vive quelle notti dansia di fatica e di paura, passate con iltimore di sentire la finanza gridare Molla! Molla!, di precipitare in qualche burrone, diessere travolti dalle valanghe o di essere colpiti da un colpo di fucile. Qualcuno ci ha lasciatola pelle, come del resto capitato a qualche guardia: ma per i pi il contrabbando, prima delboom economico degli anni 60, ha rappresentato lunica maniera per continuare a vivere.

    Testo pubblicato originariamente nella raccolta ...La civilt alpina (r)esistere in quota... (volume 2 - Le storie), acura di Michela Zucca, Edizioni Centro di Ecologia Alpina, Viote del Monte Bondone (Trento) 1998.

    Le foto sono tratte dal libro Contrabbandieri. Uomini e bricolle tra Ossola, Ticino e Vallese, Erminio Ferrari,Tarar Edizioni, Verbania 1997.

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    Per una serie di ragioni storiche e ambientali, le aree di montagna sono rimaste escluse dafenomeni estremi di sviluppo industriale. La costruzione di strade ha comunque ottenuto la finedelleconomia contadina (introducendo prodotti industriali in sostituzione dei manufatti arti-gianali, mercantilizzando la produzione agricola in funzione di mercati lontani, facilitando ildisboscamento di vaste foreste che non dispenseranno pi materiale vegetale nregolamenteranno lequilibrio idrogeologico del territorio), ma lo spopolamento e soprattut-to i limiti fisici che tuttora frenano limpiego di macchine automobili e tecnologie ad altoconsumo energetico hanno impedito il compiersi definitivo di quei processi dideterritorializzazione tipici delle aree metropolitane, dove lattivit umana slegata dallerisorse e dai vincoli propri dellarea in cui sono insediate.Con uninversione semantica tipica della new economy - daltronde con un poco di zuccherola pillola va gi - le aree montane sono catalogate come svantaggiate e da sviluppare.Ma quali sarebbero i decantati vantaggi in offerta e a quale prezzo?

    Da un mondo tecnologizzato e tristemente schiavo di se stesso non pi il caso di prendereesempio. Invece i boschi, per quanto mutilati e in abbandono, ci donano ancora una diversaprospettiva con cui osservare la realt. Per chi ancora si azzardi a percorrere la montagna

    SENTIERI O SVILUPPO?BREVI COMMENTI

    A BASSA VELOCIT

    GGGGG IOBBEIOBBEIOBBEIOBBEIOBBE

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    cercando di capirla (non sto parlando di sport estremi) risulter pi che evidente linfondatezzadei miti moderni legati al concetto di sviluppo: libert di movimento, crescita economica,benessere materiale... Basti per tutti analizzare anche sommariamente il caso della mobilit.Viene spacciato per libert di movimento lobbligo per milioni di persone di percorrerequotidianamente grandi distanze per poter lavorare e rifornirsi di alimenti. Il fatto che ognilavoratore medio possa prestare la propria manodopera in luoghi lontani dalla propriaabitazione lo obbliga a farlo, in quanto il mercato del lavoro si struttura in base a questa possibilit.Luso massivo di mezzi di trasporto (pubblici e privati) ha determinato la rilocalizzazione di indu-strie e servizi in funzione dei grandi flussi di traffico. In questa trasformazione delle citt e deiterritori in grandi conurbazioni metropolitane vengono negate progressivamente quelle libertche suppostamente si volevano ampliare, come conseguenza dellaumento di divieti di circolazio-ne, sensi unici, paralisi del traffico, distanze da percorrere, nonch della diminuzione della quota

    di spazio fruibile da ciascuno e dei redditi personali (sacrificati al mantenimento dellautomobile,alle multe, alle autorimesse). A tutto ci si aggiungono ancora le conseguenze ambientali emediche, che ormai si considerano un male endemico - un prezzo accettabile da pagare - e nonultima la corsa allaccaparramento delle risorse energetiche che tanta parte ha nelle questioni dipolitica internazionale.

    Se ne deduce che i supposti benefici ottenuti dalluso di sempre maggiori quantitativi di energiasiano ampiamente superati dalle disutilit che generano. Se non si questionano i miti della moder-nit si continuer a richiedere ulteriori dosi dello stesso male per rimediare ai problemi che lostesso ha contribuito a creare. Seguendo lesempio precedente, pi la societ sar motorizzata pidipender da questa tecnologia senza migliorare la propria situazione, mentre la vera libert di

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    movimento sar sempre e solo possibile in unasociet a bassa velocit. Come nei luoghi dimontagna, dove la sopravvivenza assicuratada risorse locali che rendono innecessarispostamenti ripetuti: poter scegliere se, comee dove mettere i propri passi quello che sidovrebbe chiamare libert di movimento.Andando a piedi diventa irrilevante la velocit,il che evita la distorsione della percezione del-lo spazio, che non pi considerato un limitefisico da abbattere compresso nellassurda ideadi accorciare le distanze.Anzi, i piccoli spostamenti a bassa velocit as-somigliano pi ad un uso del territorio chead un mero attraversamento di uno spazio acui si indifferenti. Nelle vaste aree a proprietcomune cos come in quelle private - entrambedi solito non recintate e attraversabili - le attivi-t tradizionali come la raccolta di legna e stra-me, lo sfalcio dellerba o il pascolo assicuranola cura e il miglioramento ambientale del terri-torio. Al contrario le attivit motorizzate lo de-turpano (si vedano anche le trasformazioni av-venute nelle campagne con lavvento dellameccanizzazione agricola).La montagna ricolloca luomo al centro dellapropria vita, lo rieduca alle capacit sensoriali,allinterdipendenza con lecosistema, alla co-noscenza storica e umana dei luoghi che abita.Con la sua durezza e la sua bellezza ci obbligaa rispettarne i limiti e gli equilibri .Ripristinare gli usi comuni delle terre, crearesocialit e comunit, gestire localmente le ri-sorse proteggendo il territorio sono alcunepratiche ancora possibili, a volte non del tuttoscomparse e che possono avere un valore stra-tegico da cui prendere spunto anche in altricontesti.Soprattutto credo che nessuna normativa (qua-lunque sia lorganismo che la detti) possa so-stituire lopera motivata di chi conosce profon-damente un territorio e vi riesce a stabilire un

    delicato equilibrio di interdipendenza. lam-pante il caso della riforma della Politica Agri-cola Comunitaria (PAC) nella quale si integra-rono alcune istanze ambientaliste: il magro ri-sultato furono quelle misure di accompagna-mento che, gi di per s poco restrittive, godet-tero solo di una percentuale miserrima degliaiuti, mentre la maggior parte del bilancio co-munitario continua tuttora a finanziarelintensificazione. Questa ben riuscita opera-zione di greenwashing fa forza sullillusione dialcuni che il cambiamento possa venir guidatodallalto, mentre credo che solo la pratica quoti-diana potr creare e mantenere i risultati sperati.Piuttosto, per chi vive in e della montagna, sarnecessario non cedere alle lusinghe di chi pro-mette sviluppo di ogni tipo purch - chiaramen-te - economicamente redditizio.Si assiste sempre pi ad un tentativo diterziarizzazione dellagricoltura che preten-derebbe remunerare lagricoltore per fornireservizi didattici, ricreativi o conservativi. Si tra-sforma lattivit agricola in unassurda impresadi servizi per il cittadino, riducendoladefinitivamente ad appendice terminale del si-stema produttivo metropolitano. Questa spe-cie di nuovo parco giochi per annoiati utentiurbani realizzerebbe di fatto la divisione traparco naturale e parco agricolo, in unotticadi specializzazione funzionale delle aree tipicadelle grandi conurbazioni metropolitane e cheracchiude in s unidea museale e riduttivistadella biodiversit e dellecologia.Ancor pi subdola , invece, la farsa dellecertificazioni da agricoltura biologica che conunimmagine volutamente confusa di s riescea soddisfare congiuntamente le esigenze dellegrandi lobbies della distribuzione e commer-cio di alimenti con i desideri frutto di una certasub-cultura new-age, tutta volta alla cura del s(il benessere fisico-spirituale), e con le paurelegate ad un concetto esoterico del cibo, come

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    se il sigillo dei nuovi sacerdoti in camicebianco li tramutasse in elisir di lunga vita.Entrambi i processi non fanno altro chealimentare la mercantilizzazione delle at-tivit agro-silvo-pastorali, fino al giornoin cui ogni attivit umana dovr passareal vaglio di un businness plan preventi-vo. Una visione imprenditoriale esviluppista del territorio, per quantoadorna di buone pratiche ambientali, nonpotr che partorire chimere.Come mai infatti tante attivit giudicatemarginali e poco redditizie riescono aessere ancora valide alternative di vita

    l dove, nelle pieghe tra valle e valle, la deriva capitalista ha incontrato pi ostacoli? Come maiproprio l dove lo sviluppo ha incontrato dei limiti pi facile ritrovare laiuto reciproco e il rispettodel territorio?Credo che, dove ancora covi una vivace socialit che abbia a cuore le sorti delle proprie terre eresti traccia della consapevolezza di essere strettamente interdipendenti con queste, dove ancorasi pratichino attivit antiche frutto della capacit umana e non delle macchine, potremo trovare unaguida per la ricerca dellequilibrio uomo-ambiente ed essere un po meno schiavi del benessere.

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    La fotografia a pag. 14 di Fabrizio De Giorgis, quella contenuta in questa pagina tratta da: Alpi per noi... E noiper loro, Luigi Dematteis, Priuli e Verlucca editori.

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    PER AVVICINARSI ALLACOLTIVAZIONE DELLA SEGALE

    SSSSSENZAENZAENZAENZAENZATTTTTERRAERRAERRAERRAERRA

    Questa breve introduzione alla coltivazione dei cereali in montagna, che per lo spazio che puoffrire un articolo per rivista limiter alla segale, viene dallesigenza di sviluppare alcune conside-razioni che tale pratica agricola, ed il suo progressivo abbandono, mi hanno suscitato. Su questoargomento infatti emerge chiaramente una delle contraddizioni pi importanti, a mio avviso, nelleprospettive di vita in montagna: la frequente incompatibilit tra la ricerca di autonomia e lepossibilit di rendiconto monetario.Se pensiamo alle ragioni per cui, nei territori alpini, si sostanzialmente abbandonata la produ-zione di un bene primario (per gli svariati utilizzi che tale bene permette) di sussistenza, ci troviamodi fronte a due delle principali avversit con cui le comunit di montagna hanno dovuto fare i continegli ultimi decenni: leconomia di mercato e lo spopolamento.Fin dallavvento dellagricoltura, i cereali hanno costituito per i montanari di tutti i continentiunimportantissima fonte alimentare per s e per il proprio bestiame, sono stati utilizzati perpreparare medicamenti e bevande, hanno fornito la paglia per i giacigli e per le lettiere destinateagli animali addomesticati, e, prendiamo lesempio della segale nella copertura dei tetti, hannopersino facilitato la costruzione di case e ripari. Una produzione, come dicevamo, destinataprincipalmente allapprovvigionamento della comunit e che in genere non offriva possibilit diguadagno in moneta attraverso il commercio visto che, per quantit e qualit dei raccolti, laproduzione in montagna non avrebbe potuto, n potrebbe oggi, competere con le grandi coltiva-zioni delle pianure.Con la penetrazione della cultura del denaro nelle vallate alpine si inizia cos a mettere insecondo piano unattivit che difficilmente porta soldi a casa, e se ne iniziano a privilegiare altrepi facilmente monetizzabili: prendiamo ad esempio la conversione dei terreni un tempo destinati

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    a tali coltivazioni in zone di pascolo. Questocambiamento, assolutamente non secondarionel modo di intendere lallevamento ed il rap-porto con il territorio circostante da parte dellegenti di montagna, prese piede fondamental-mente sotto la spinta dei grandi allevamenti dibovini delle pianure che, spostando un numerosempre maggiore di capi verso gli alpeggi esti-vi, aumentarono in maniera esponenziale larichiesta di pascoli erbosi sempre pi estesi.Certamente le zone incolte ed impervie desti-nate al pascolo di capre e pecore, o gliappezzamenti necessari a mantenere piccolemandrie di bovini ad uso poco pi che familia-re, non avrebbero potuto soddisfare le esigen-ze dellallevamento da ritmi industriali. Cos,molti terreni che un tempo avevano garantito ilfabbisogno di granaglie, farine e paglia per lecomunit di montagna andarono via via tra-sformandosi in zone ad uso esclusivo per glialpeggi stagionali delle grandi mandrie prove-nienti dalle pianure, venendo evidentemente amancare un elemento fondamentale nelle ca-pacit di autosufficienza alimentare per le po-polazioni stanziate permanentemente in quota.Laltro fattore che, dicevo, ha contribuito es-senzialmente alla progressiva scomparsa diquesto tipo di colture in montagna, costituitodallo spopolamento che nel secolo scorso haprivato le comunit alpine della forza lavoronecessaria ai lavori di preparazione dei terre-ni, semina, mietitura, battitura e mondatura deicereali. In mancanza di tecniche meccanizzate,a cui del resto in territori montani pratica-mente impossibile fare ricorso, la produzionedei cereali chiamava a raccolta tutte le energieumane disponibili nella comunit: specialmen-te nei momenti della mietitura e della battiturache si trasformavano necessariamente in occa-sioni di lavoro collettivo a cui tutti erano chia-mati a partecipare, e che spesso costituivanoun momento fondamentale, anche di festa, nel-

    la vita sociale della comunit. Triste, maovvio,che venendo a mancare in gran numerogli abitanti della montagna, tali attivit sonodivenute impossibili da realizzare.Un ritorno alla montagna deve quindi, a mioavviso, fare i conti con questi elementi e saperritrovare e cercare quelle pratiche che, nei se-coli passati come ai giorni nostri, possono aiu-tarci nello sviluppo delle capacit di autono-mia rispetto ai circuiti, alienanti ed inquinanti,del grande mercato e dellaccumulazione mo-netaria. E mi pare senza dubbio che la coltiva-zione a cui accenna questo articolo, ed in ge-nerale la produzione di cereali, siano un tas-sello importante in tale ricerca.

    Tra gli svariati tipi di cereali che si possonocoltivare fornir alcune indicazioni rispetto allacoltura della segale: una delle pi adatte e chepi stata praticata sullarco alpino, con lorzoed il grano saraceno. Le caratteristiche che ac-comunano questi tre cereali sono infatti ladat-tabilit a terreni poveri, poco concimati e scar-samente irrigati, la resistenza in quota e la pos-sibilit di raggiungere lo stato di maturazionetenendo conto delle temperature e delle condi-zioni atmosferiche tipiche delle zone alpine,nonch lapporto ottimale che forniscono nelcontesto della rotazione di colture a cui si faricorso per utilizzare al meglio il corso dellestagioni e non impoverire i terreni coltivati.

    La segale (Secale Cereale) una graminaceaoriginaria di una vasta area tra il bacino delMediterraneo e lAsia settentrionale e si adattabene alle temperature rigide ed ai terreni mon-tagnosi, dove pu essere coltivata fino ad alti-tudini superiori ai 1500 metri. Si semina aspaglio (la quantit di semenza da utilizzare vadai 130 ai 150 kg per ettaro) su terreni pocolavorati: ottimale, nella rotazione, il suo uti-lizzo sui terreni su cui in estate si sono coltivate

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    le patate. A seconda delle zone e delle altitudi-ni, la semina avviene tra linizio di settembre ela met di ottobre: si sparge la granella a manoe la si ricopre di un leggero strato di terrenopassandoci sopra un rastrello o un piccolo ara-tro leggero. Si livella poi il terreno, usando ildorso del rastrello o, a fondovalle, un assetirato da un bovino, e si aspetta la primavera,quando le piantine sono alte circa una spanna,per sradicare le erbe infestanti, che comunque,rispetto ad altre colture, crescono con maggio-re difficolt in mezzo alla segale. Bisogna ag-giungere che i campi di segale, quando le pian-tine sono piccole (in primavera o nel caso diautunni dalle temperature miti), si prestano be-nissimo al pascolo delle pecore, il cui passag-gio, oltre a concimare in maniera non troppoaggressiva il terreno, non danneggia la coltu-ra, ed anzi facilita laccestimento delle pianteche cos daranno pi spighe quando raggiun-

    geranno il loro sviluppo. Quando il seme haraggiunto una buona consistenza ed inizia astaccarsi con facilit dalle glumelle si rag-giunta la maturazione e si realizza la mietitura.Questa viene eseguita da una sola persona,utilizzando la falce messaria, o anche da cop-pie di lavoranti: una persona taglia con la falcee laltra raccoglie in mazzi gli steli e provvede atogliere le erbe infestanti con un falcetto. Que-sti mazzi vengono poi disposti sul terreno peressere essiccati ed in un secondo tempo si le-

    gano in fasci che vengono ammucchiati incovoni. Il periodo adatto alla mietitura va-ria, sempre a seconda delle zone e del cli-ma che le caratterizza, ma possiamo indica-tivamente concentrarlo tra la fine di giugnoe la fine di luglio. Il passaggio successivo quello della battitura, ovvero della separa-zione dei chicci dalla paglia, ed il momen-to in cui richiesto limpegno di pi perso-ne perch si tratta di un lavoro lungo e fati-coso che si realizza sullaia o nel sottotetto.Nelle Alpi si utilizzano numerosi metodi dibattitura: forse il pi diffuso quello che siesegue a squadre, formate da 4 o pi battitori(in numero pari) che percuotono in manieracoordinata i covoni distesi a terra facendouso di un attrezzo, il correggiato, compostoda due bastoni, uno che fa da manico e lal-tro da batacchio, uniti da una catena o unastriscia di cuoio.

    Ovviamente grande attenzione viene desti-nata ad evitare il pi possibile che i chicchisi disperdano durante la battitura: ad esem-pio, in Valle Gesso (Alpi Marittime), si cir-coscrive larea di battitura stendendo teli elenzuola. Infine, una volta raccolta lagranella dal suolo, si procede allamondatura, in genere affidata alle donnedella comunit che, usando il ventilabro (unaspecie di pala in legno), separano il chiccopulito dalle impurit. La granella cos otte-

    Laratro di Bagnolo (provincia di Cuneo), risalente allet del bronzoLaratro di Bagnolo (provincia di Cuneo), risalente allet del bronzoLaratro di Bagnolo (provincia di Cuneo), risalente allet del bronzoLaratro di Bagnolo (provincia di Cuneo), risalente allet del bronzoLaratro di Bagnolo (provincia di Cuneo), risalente allet del bronzo

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    nuta verr poi selezionata per grandezza utilizzando un particolare setaccio: i grani miglioriverranno conservati per la semina dellanno seguente e per la preparazione della farina, mentrequelli di scarto saranno usati come alimento per gli animali. Grande attenzione viene posta nelvaglio della granella, soprattutto al fine di riconoscere la presenza della malattia pi grave che pu

    attaccare questo cereale, quella causata dalfungo Claviceps Purpurea, comunementechiamata segale cornuta. Questa malattia,che attacca con minor danno anche altregraminacee, si manifesta specialmente nel-le annate umide e si riconosce dalla presen-za sulla spiga di una protuberanza di colorebruno violaceo, una sorta di cornetto lun-go 2-3 cm. I semi delle spighe colpite dallamalattia non devono essere utilizzati n perla semina successiva n per lalimentazioneumana o animale, in quanto la loro

    ingestione provoca gravi intossicazioni. E se pure in passato (e dallo scorso secolo con lestrazio-ne del principio attivo dellLSD dallo stesso fungo) la segale cornuta stata utilizzata nella prepa-razione di pozioni psicotrope edallucinogene, bisogna davvero prestaremolta attenzione nel riconoscere la pre-senza della malattia in quanto lintossica-zione che produce se ingerita pu portareaddirittura alla cancrena delle estremitdel corpo.Per concludere questo breve invito allacoltivazione della segale, mi pare oppor-tuno segnalare che, per ottenere una pian-ta la cui paglia sia pi adatta alla copertu-ra dei tetti, si seguono particolari accorgi-menti: dalla scelta della variet di segale che si pianta, ai periodi di semina e raccolta, ma ancheper quanto riguarda le operazioni di mietitura e battitura che devono preservare al massimolintegrit e la robustezza degli steli.

    Foto ed immagini sono tratte dai seguenti libri:- Il seme laratro la messe. Le coltivazioni frumentarie in Piemonte dalla preistoria alla meccanizzazione agricola, a cura di Rinaldo Comba eFrancesco Panero, Societ per gli studi storici della Provincia di Cuneo/Centro studi storico-etnografici Augusto Doro, Cuneo, 1996;- Tetti di paglia sulle montagne dellEuropa occidentale, Aldo Molino, Priuli e Verlucca editori, Ivrea,1997.

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    Rochemolles (alta Val Susa): si preparano i terreni per iRochemolles (alta Val Susa): si preparano i terreni per iRochemolles (alta Val Susa): si preparano i terreni per iRochemolles (alta Val Susa): si preparano i terreni per iRochemolles (alta Val Susa): si preparano i terreni per icereali oltre i 1600 metri di altitudine. Foto del 1922.cereali oltre i 1600 metri di altitudine. Foto del 1922.cereali oltre i 1600 metri di altitudine. Foto del 1922.cereali oltre i 1600 metri di altitudine. Foto del 1922.cereali oltre i 1600 metri di altitudine. Foto del 1922.

    Primavera 93: i fratelli Arlotto coprono un tetto con pagliaPrimavera 93: i fratelli Arlotto coprono un tetto con pagliaPrimavera 93: i fratelli Arlotto coprono un tetto con pagliaPrimavera 93: i fratelli Arlotto coprono un tetto con pagliaPrimavera 93: i fratelli Arlotto coprono un tetto con pagliadi segale (Castellar delle Vigne, Vinadio - Valle Stura)di segale (Castellar delle Vigne, Vinadio - Valle Stura)di segale (Castellar delle Vigne, Vinadio - Valle Stura)di segale (Castellar delle Vigne, Vinadio - Valle Stura)di segale (Castellar delle Vigne, Vinadio - Valle Stura)

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    APPUNTI PER UNA STORIACRITICA DELLALPINISMO

    PPPPPRIMARIMARIMARIMARIMA PARTEPARTEPARTEPARTEPARTE

    BBBBBARBARAARBARAARBARAARBARAARBARA, A, A, A, A, ALPILPILPILPILPI L L L L L IBEREIBEREIBEREIBEREIBERE - V - V - V - V - VALCHIUSELLALCHIUSELLALCHIUSELLALCHIUSELLALCHIUSELLAAAAA

    La storia scritta e studiata dagli esperti e dai ricercatori, la storia cosiddetta ufficiale, ha quasisempre dimenticato e mai reso protagonista la vita della stragrande maggioranza delle popola-zioni. Cos, per scoprire e conoscere ci che vissero veramente le genti nostre antenate, necessario ricercare notizie e racconti, guardarsi intorno ed interrogarsi del perch di antichetradizioni, detti e segni che ancora sopravvivono alloblio.Per avere notizie della storia degli abitanti delle montagne , anche in questo caso, necessariorivolgersi ad altre fonti: a chi pazientemente ha raccolto tutto ci che riguardava la vita di societisolate ma autonome e libere.Tutto ci fino al momento in cui le montagne non divennero protagoniste anchesse di una storiacon liniziale maiuscola: la Storia dellalpinismo. Quando cio nobili, uomini di cultura e scienzia-ti raccolsero la sfida che le montagne sembrano lanciare a noi uomini caduchi con la lorograndezza ed imperturbabilit.Le montagne, vissute e attraversate ma anche temute e rispettate dalle popolazioni alpine, inco-minciarono ad essere cos oggetto di studio e terreno di conquista.Queste due storie, delle genti e dellalpinismo, si svolgeranno per secoli incrociandosi o allonta-nandosi durante lo svolgersi degli eventi, mai unite del tutto.

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    Fin dalla notte dei tempi, i valichi pi accessibi-li delle Alpi furono percorsi da migliaia di per-sone per scambi e commerci tra le comunitmontane, spedizioni militari o pellegrinaggi.La vita quindi scorreva sulle montagne e lepopolazioni che le abitavano erano perfetta-mente inserite in quellambiente ostile ma checon lesperienza diventava familiare.E sar proprio lesperienza di coloro che vis-sero sulle montagne a sostenere le prime tra-versate o ascensioni avvenute sulle Alpi quan-do il Settecento, il secolo dei lumi, stimol lascoperta di questambiente. , infatti, del 1786la conquista della vetta del Monte Bianco com-piuta dal dottor Paccard e dal giovane monta-naro Jacques Balmat dopo lappello e la pro-messa di un premio in denaro lanciata daHorace Benedict de Saussure, geologo e natu-ralista ginevrino che, con questimpresa, diedeimpulso ad esplorazioni ad alta quota ed allanascita dellalpinismo.

    Lanno successivo de Saussure ripet lascensione alla cima organizzando, grazie alle sue elevatepossibilit economiche, una vera e propria spedizione in cui furono arruolati molti valligiani diChamonix che, per la prima volta, intravidero una possibilit di guadagno nello scalare le loromontagne accompagnando i signori che non sarebbero tardati a giungere. I libri del de Saussure si diffusero: lo studio delle Alpi e la conquista di altre vette coinvolsescienziati, studiosi e uomini facoltosi. Parallelamente i montanari, cacciatori di camosci o dicristalli, divennero guide o portatori e affiancarono i signori, soprattutto inglesi, in tutte le impreseda loro compiute sulle vette alpine. Mentre lascensione al Monte Bianco diventava di moda, siiniziavano a modificare i caratteri di alcune identit alpine sotto la spinta del turismo e degli affari.Giungiamo cos alla met dellOttocento: lalpinismo italiano muove i primi passi con lesplora-zione e la conquista delle vette del massiccio del Monte Rosa da parte, in questo caso, proprio divalligiani come Gnifetti, e cos accade anche a Courmayeur dove si cerca di eguagliare il prestigioottenuto da Chamonix e dalle sue guide con limpresa del 1786. In questi casi sono proprio imontanari a prendere liniziativa e a cominciare ad appassionarsi a questo genere di imprese(1842 conquista Punta Gnifetti, 1854 via italiana al Monte Bianco per il Col du Midi, il MonteBianco du Tacul e il Monte Maudit). Tutto ci accadeva nelle vallate alpine, mentre nelle citt, trai gentiluomini, la montagna suscitava grandi emozioni.Cos nel 1863, dopo lascensione al Monviso, il geologo ed allora ministro delle Finanze QuintinoSella, con alcuni prestigiosi compagni, fond al Castello del Valentino il Club alpino di Torino,che nel 1867 diverr Club Alpino Italiano. I primi iscritti saranno nobili, imprenditori, scienziati eprofessori, uomini ricchi e colti, mentre solo in minima parte saranno rappresentati gli altri

    Il ritratto (disegno di Cancian, da La montagnaIl ritratto (disegno di Cancian, da La montagnaIl ritratto (disegno di Cancian, da La montagnaIl ritratto (disegno di Cancian, da La montagnaIl ritratto (disegno di Cancian, da La montagnapresa in giro, G. Mazzotti, Torino 1931).presa in giro, G. Mazzotti, Torino 1931).presa in giro, G. Mazzotti, Torino 1931).presa in giro, G. Mazzotti, Torino 1931).presa in giro, G. Mazzotti, Torino 1931).

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    ceti sociali. Ci che spinse questi illustri personaggi a faticare e sudare sulle ripide pareti di unamontagna fu la passione per la ricerca scientifica, per gli studi e le sperimentazioni che si potevanocompiere durante le ascensioni, accompagnata sicuramente da spirito di avventura e sostenutadallidea di dare soddisfazioni e prestigio alla Patria.Lalpinismo inoltre cominci ad essere considerato stimolo per una giovent che avrebbe dovutotralasciare vizi e mollezze per irrobustire corpo e mente tra le meraviglie delle Alpi, al paridelloperaio, afflitto nel corpo e nello spirito dal consumo dalcool, che avrebbe potuto trarregiovamento dallesercizio fisico. proprio il presidente del CAI,Lorenzo Camerano, nel 1913,ad indicare quale dovesse es-sere il compito nobilissimo del-lassociazione: concorrere arafforzare la fibra non solo del-la giovent studiosa ma di tuttele masse popolari nelle quali la sorgente inesauribile delleforze vive della nazione per lelotte nei campi di lavoro e neicampi di battaglia.Non sembra interessare a que-sti illustri studiosi una riflessio-ne pi attenta e approfonditasulle reali condizioni di vita de-gli operai o dei giovani nellecitt dellOttocento, riflessioneche avrebbe dato sicuramentespunti interessanti.Cos, alle soglie della primaGuerra Mondiale, anche il do-vere militare spinge alleduca-zione di corpo e mente, un do-vere che render la montagnaprotagonista di aspre battaglieper lunit dItalia, ed i giovanispronati accanto ai montanariche diverranno alpini. Durantei terribili anni della guerra, lemontagne ospiteranno trinceee campi di battaglia, i passi e lezone di confine sarannomilitarmente presidiati e le spe- CONTINUACONTINUACONTINUACONTINUACONTINUA NELLANELLANELLANELLANELLA PAGINAPAGINAPAGINAPAGINAPAGINA SEGUENTESEGUENTESEGUENTESEGUENTESEGUENTE

    PROPROPROPROPROTTTTTAAAAAGONISTIGONISTIGONISTIGONISTIGONISTIE CONTESTE CONTESTE CONTESTE CONTESTE CONTESTAZIONEAZIONEAZIONEAZIONEAZIONE

    SI GI ACCENNATO, PARLANDO DI DE SAUSSURE, ALRITRATTO DALPINISTA IN AZIONE. DI QUEI TEMPI LASCEN-SIONE AVVENIVA IN UN AMBIENTE LA CUI RAPPRESENTA-ZIONE ERA AFFIDATA ALLA FANTASIA DELLILLUSTRATORE. CONLUSO DELLA FOTOGRAFIA LA MONTAGNA COMINCI ADAPPARIRE IN MODO MENO APPROSSIMATIVO, MA FU SOLODAL 1878 CON LAVVENTO DELLISTANTANEA CHE SI CO-MINCI A VEDERE LALPINISTA IMPEGNATO IN UNA VERAASCENSIONE.NONOSTANTE QUESTI PROGRESSI RENDESSERO ORMAICONSUETA LA PRESENZA DELLUOMO NELLA FOTOGRAFIA,LA VERA PROTAGONISTA CONTINU AD ESSERE LA MON-TAGNA IL CAMBIAMENTO RADICALE CHE PORTER LUO-MO, E SOLO LUOMO AL CENTRO DELLATTENZIONE, MA-TURA SULLA SPINTA DELLE IDEE CHE, COME ABBIAMO VI-STO, FANNO DELLA MONTAGNA UNARENA PER ATTI EROICI.FA PARTE DEL DECENNIO 1930 IL MOMENTO IN CUI LAT-TENZIONE FOTOGRAFICA, CHE FINO ALLORA ERA STATACONCENTRATA SULLA NATURA ALPINA, TROVA NELLUOMOIL NUOVO PROTAGONISTA. LE PRIME IMMAGINI DI QUE-STO TIPO, OGGI COS COMUNEMENTE DIFFUSE, VENGO-NO REALIZZATE GRAZIE AL FASCINO CHE LA BRAVURA DEIGIOVANI ARRAMPICATORI DELLE ALPI CALCAREE ESERCITASUI FOTOGRAFI DELLEPOCA. DA NOI LASTRO CHE ATTIRALATTENZIONE E LE RIPRESE, TANTO FOTOGRAFICHE CHECINEMATOGRAFICHE, EMILIO COMICI EMILIO CO-MICI UN ATLETA, UNA GUIDA ALPINA CHE DEDICA UNAPARTE DEL SUO TEMPO ALLINSEGNAMENTO DELLA TECNI-CA DARRAMPICATA E CHE TIENE CONFERENZE COME TEC-NICA E SPIRITUALIT DELLARRAMPICAMENTO, ACCOMPA-GNATE DA PROIEZIONI E DA BREVI FILM DIDATTICI.

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    ranze irredentiste uniranno e motiveranno icombattenti di tutto larco alpino. Tra le fila del-lesercito italiano si incontreranno allora i sol-dati che provenivano dalle isolate montagne,sani di anima e gagliardi di corpo, e i soldatiprovenienti da zone o aree urbane in cui eranodiffuse dottrine sovversive o disfattiste, e quin-di pi recalcitranti ad accettare la disciplinamilitare e limposizione della gerarchia.Emerge cos limmagine positiva delle truppeche combattevano in montagna esaltate anchenei documenti delle sezioni del CAI che, daTorino a Roma, si uniranno nel sostenere lIta-lia e la guerra.Lesperienza significativa del conflitto influen-zer anche la stesura di una guida classica del-lalpinismo come quella delle Dolomiti Orien-tali di Antonio Berti che, riscritta nel 1928, af-fiancher le relazioni su vie e cime con il reso-conto di operazioni militari avvenute sullo stes-so territorio.La fine della prima Guerra Mondiale ridargrande impulso alle imprese alpinistiche: vinti

    CONTINUACONTINUACONTINUACONTINUACONTINUA NELLANELLANELLANELLANELLA PAGINAPAGINAPAGINAPAGINAPAGINA SEGUENTESEGUENTESEGUENTESEGUENTESEGUENTE

    CONTINUACONTINUACONTINUACONTINUACONTINUA DALLADALLADALLADALLADALLA PAGINAPAGINAPAGINAPAGINAPAGINA PRECEDENTEPRECEDENTEPRECEDENTEPRECEDENTEPRECEDENTE

    LA SUA ATTIVIT VIENE OFFERTA E PROPAGANDATA ATTRAVERSO LA RIVISTA MENSILE ORGA-NO DEL CAI. IL PRIMO ALPINISTA ITALIANO A DIVENTARE UN MITO E IL SUO IL RITRATTO DALPINISTA PICONOSCIUTO DAGLI ITALIANI. DELLE SUE IMPRESE, DAL PRIMO SESTO GRADO ALLA SORELLA DIMEZZO DEL SORAPIS DEL 1929, ALLEXPLOIT REALIZZATO NEL 1937 CON LA RIPETIZIONEIN SOLITARIA DELLA SUA VIA SULLA PARETE NORD DELLA CIMA GRANDE DI LAVAREDO, SIOCCUPANO I QUOTIDIANI: COMICI DA SOLO SULLA SUA NORD, TITOLA STAMPA SERA,MENTRE LA PROPAGANDA D FIATO ALLE TROMBE: LA SCALATA SOLITARIA DI COMICI ()ESPRIME LACME DELLE QUALIT VIRILI DELLA RAZZA LATINA RIGENERATA DAL FASCISMO.IN EFFETTI LA STAMPA TUTTA, NON SOLO QUELLA SPECIALIZZATA, SEGUIVA DA VICINO LEAVVENTURE ALPINE. IL PERIODO DELLEIGER, CON I MORTI APPESI ALLA ROCCIA, AVEVA FATTOSENSAZIONE, NEL 1938 LA STAMPA AVR UN INVIATO SPECIALE PER LIMPRESA DI CASSINSULLA GRANDES JORASSES, PER NON LASCIARSI SFUGGIRE LA PRIORIT DELLA NOTIZIA.LA DESTITUZIONE DELLA MONTAGNA IN FAVORE DEL NUOVO PROTAGONISTA NON PIACQUE ATUTTI; FRA IL FIORIRE DELLE CRITICHE SI FECE STRADA IL DIVERTENTE VOLUMETTO DI GIUSEPPEMAZZOTTI LA MONTAGNA PRESA IN GIRO.IL LIBRO IL GARBATO ED IRONICO DISSENSO DALLUSO DELLA MONTAGNA COME FONDALE

    (tedeschi) e vincitori (francesi e italiani) saliran-no sulle montagne delle Alpi Occidentali edOrientali per portare onore alla propria Patria,mentre le sezioni delle associazioni alpinistichesosterranno la commemorazione dei caduti edelle loro gesta. sempre pi evidente come la montagna rap-presenti per le strutture di potere un traguardo,come per raggiungerlo sia necessaria una cer-ta disciplina e come ci venga usato per raffor-zare lo spirito nazionale.Questo poi ci che accade, diciamo, a livelloufficiale nei circoli borghesi del CAI e in quellidi recente fondazione dellAssociazione nazio-nale alpini, creata nel 1919 da ufficiali reducidi guerra e giovani alpini. Ben diverso, si pupensare, fu lo stato danimo delle genti chenon videro pi tornare a casa i loro cari o vide-ro peggiorate ulteriormente le gi misere con-dizioni di vita.Con passione, ma in alcuni casi evidentementecon altro spirito, a livello associazionistico siformeranno circoli legati alla classe operaia e

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    proletaria, vicini allo schiera-mento socialista che, anche inquesto caso, sosterranno la dif-fusione della pratica alpinisticaper combattere labuso dalco-ol e migliorare la salute e le pre-carie condizioni di vita deglioperai.Gi nel primo Novecento, lat-tenzione per la montagna siradic nei ceti sociali meno ab-bienti, ma ancora pi grande fuladesione a queste associazioninel primo dopoguerra: lUnio-ne Operaia Escursionisti Italia-ni cont ben presto 10.000iscritti in quaranta sezioni, lAs-sociazione Antialcolica Proleta-ri Escursionisti avr tra i 2.000e 3.000 iscritti in venticinquesezioni.Ma lo Stato fascista che si stavaformando in Italia interverranche in questambito accusan-do questi circoli di attivit dipropaganda politica. Si arrive-r cos, spinti anche dai controllipolizieschi, allomologazioneverso il fascismo e alla chiusu-ra delle associazioni. Ladesio-ne alle direttive del regime av-verr appieno allinterno del CAI che, nel 1927, entrer a far parte del CONI (Comitato olimpiconazionale italiano) che gi aveva espresso piena sottomissione al fascismo.Non mancheranno prese di posizioni contrarie di singoli che verranno per travolte dal nuovoordine imperante.Anche tra le fila degli alpinisti, che continueranno ad ottenere successi soprattutto sulle Dolomitinei primi anni Trenta, ci sar chi sosterr lideale della montagna promosso dal fascismo: lo sport funzione di Stato, mezzo di preparazione spirituale e fisica della razza, elemento di sanit inpace e forza in guerra; e ci sar anche chi ritroveremo a lottare sulle amate montagne durante ilperiodo della Resistenza.L8 maggio del 1939, il CAI recep la normativa giuridica della popolazione di origini ebraiche,imponendo lappartenenza dei suoi soci esclusivamente alla razza ariana.

    PER IMPRESE DA TURISMO DI MASSA E COME TEATRO PERECCESSI LIRICI DA EROISMO: LA MONTAGNA, DICEMAZZOTTI, CONCEDE MOLTO PRESTO AI NOVELLINI LACOSCIENZA DELLEROISMO COMPIUTO. LAMBIENTE ECCI-TA LE LORO QUALIT INVENTIVE () DOPO AVER PER-CORSO, AD ESEMPIO UN SENTIERO TAGLIATO A PICCO,OSTENTANO IL GIUSTO ORGOGLIO DI CHI HA COMPIUTOUN ATTO MOLTO VICINO AI LIMITI ESTREMI DELLE POSSIBILI-T UMANE, () PENSANO FORSE AI POVERI DIAVOLI CHE,SOSPESI NEL VUOTO, HANNO LAVORATO DI PICCONE PERRICAVARE DALLA RUPE QUEL SENTIERO? IN ALTRA PARTE,SULLE STORTURE RETORICHE, LAUTORE SI CHIEDE: SAP-PIAMO BENISSIMO CHE MOLTI DEI NOSTRI MIGLIORI ALPINI-STI NON SONO AFFATTO COME SI VUOL FARLI APPARIRE.MA PERCH PERMETTONO CHE CERTI GIORNALI LI FACCIA-NO APPARIRE DIVERSI DA QUELLO CHE SONO?. LIRONIADI MAZZOTTI AMARA E PUNGENTE, MA TALVOLTA DIVEN-TA PURA PREVEGGENZA: LE DIFFICOLT NON AVRANNOLIMITI DI SORTA E SPECIALISTI LAUREATI DARANNO DIMO-STRAZIONI PUBBLICHE DELLE POSSIBILIT ARRAMPICATORIE,SU MONTAGNE ARTIFICIALI COSTRUITE SUI PALCOSCENICI.(...) LA MONTAGNA SCESA AL LIVELLO DI UNA PISTA PERCORRIDORI CICLISTI... SCESA? NO. LA MONTAGNA RESTAQUELLO CHE : ALTA GRANDE, SONO GLI UOMINI CHE,ACCOSTANDOLA, SI RIVELANO PER QUELLO CHE VALGO-NO. LA FORTUNA CHE IL LIBRO EBBE, DEL TUTTO ECCE-ZIONALE PER UN LIBRO DI MONTAGNA IN QUEGLI ANNI,LASCIA PRESUMERE CHE IL RITRATTO DALPINISTA PORTATO-RE DI QUELLACME DELLE QUALIT VIRILI DELLA RAZZA LATI-NA NON FOSSE ANCORA ASSESTATO NELLIMMAGINARIODELLA MAGGIORANZA.

    CONTINUACONTINUACONTINUACONTINUACONTINUA DALLADALLADALLADALLADALLA PAGINAPAGINAPAGINAPAGINAPAGINA PRECEDENTEPRECEDENTEPRECEDENTEPRECEDENTEPRECEDENTE

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    Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la pas-sione patriottica costruita dal fascismo venne rinfocolata,ad ogni livello sociale, dalla propaganda. Torn cos inauge il mito degli alpinisti in tempo di pace e alpini intempo di guerra. Si dovranno nuovamente difendere i con-fini nazionali e le montagne diventeranno baluardo dellanazione.Attraverso le montagne saranno molti, tra antifascisti edebrei, a varcare i confini nazionali alla ricerca di rifugio inSvizzera o Francia: molti di questi saranno accompagnatida alpinisti come Gino Sold o Ettore Castiglioni, mortoproprio durante una di queste traversate per assideramen-to al Passo del Maloja.Con la caduta del regime fascista, la lotta di liberazioneinfiamma tutta lItalia, dalle vallate alpine al sud del Paese.Ancora sulle montagne si rifugiano i partigiani, i ribelli chedaranno filo da torcere a fascisti e nazisti. In molti cadran-

    no tra le montagne che hanno percorso e vissuto, come testimoniano lapidi e monumenti in lororicordo presenti sulle pareti o nei paesi di tutto larco alpino. Anche questo segno di una storia danon dimenticare.Molti di questi caduti saranno ricordati fin da subito proprio dalle sezioni del CAI cui appartene-vano, mentre il vertice dellassociazione prender le distanze dalla sua adesione al regime. Una

    Previsioni per il futuro dellarrampi-Previsioni per il futuro dellarrampi-Previsioni per il futuro dellarrampi-Previsioni per il futuro dellarrampi-Previsioni per il futuro dellarrampi-camento sportivo (disegno di Cancian,camento sportivo (disegno di Cancian,camento sportivo (disegno di Cancian,camento sportivo (disegno di Cancian,camento sportivo (disegno di Cancian,

    da La montagna presa in giro, G.da La montagna presa in giro, G.da La montagna presa in giro, G.da La montagna presa in giro, G.da La montagna presa in giro, G.Mazzotti, Torino 1931).Mazzotti, Torino 1931).Mazzotti, Torino 1931).Mazzotti, Torino 1931).Mazzotti, Torino 1931).

    Lesasperazione nazionalista in un disegno di Serre, pubblicato su Le Sport, ed. Glemad 1979Lesasperazione nazionalista in un disegno di Serre, pubblicato su Le Sport, ed. Glemad 1979Lesasperazione nazionalista in un disegno di Serre, pubblicato su Le Sport, ed. Glemad 1979Lesasperazione nazionalista in un disegno di Serre, pubblicato su Le Sport, ed. Glemad 1979Lesasperazione nazionalista in un disegno di Serre, pubblicato su Le Sport, ed. Glemad 1979

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    Nota bibliografica- Alpinismo e storia dItalia, Alessandro Pastore, Il Mulino;- La storia dellalpinismo , Gian Piero Motti, Vivalda Editori.

    Illustrazioni ed estratti utilizzati nella scheda sono tratti da: Ritratto di alpinista, Aa.Vv., Cahier museomontagna n.82, Edizioni Museo Nazionaledella Montagna Duca degli Abruzzi, 1992.

    presa di distanza pacata di cui si far carico il generale Masini, nuovo presidente del CAI dal1946, militare di carriera e guida delle Fiamme Verdi, formazione cattolica attiva nel bergamascoe nel bresciano. Personaggio, il Masini, che grazie alle sue spiccate doti diplomatiche gestir lafase di transizione del CAI dal regime fascista a quello della repubblica costituzionale.Come abbiamo visto, la montagna e le sue genti sono state protagoniste di molti avvenimenti,anche drammatici: la passione per questo territorio ha animato molti uomini di ogni classe socialee di ogni tempo, ed giunta inalterata fino ai nostri giorni nonostante i ripetuti scempi che hasubto il territorio e la pressione sempre pi forte sulle comunit che lo abitano.Una passione che stata spesso strumentalizzata dai potenti, da associazioni gerarchiche tuttal-tro che apolitiche per dare lustro e onore a una patria che non ha fatto altro che portare guerra esfruttamento anche in questo ambiente, e che continua ancora oggi imponendo progetti distruttivied una mentalit omologata.

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    CABILIA: MONTAGNE AL DIL DEL MEDITERRANEO

    IIIIINTERVISTANTERVISTANTERVISTANTERVISTANTERVISTA AAAAA K K K K KARIMARIMARIMARIMARIM M M M M METREFETREFETREFETREFETREF

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    CHI VUOL MANGIARE PANE BIANCO, VADA IN PIANURA E ACCETTI DI CAMMINARE A TESTA BASSA. CHI INVECE VUOLE CAMMINARE A TESTA ALTA,VADA IN MONTAGNA PER DEVE ACCONTENTARSI DELLE GHIANDE. DETTO KABYLELA CABILIA UNA VASTA REGIONE, COMPRESA NELLO STATO ALGERINO, CHE SI AFFACCIA AD EST DI ALGERI SUL MEDITERRANEO E DI CUIBUONA PARTE DEL TERRITORIO COSTITUITO DA ZONE DI MONTAGNA. UNA REGIONE DI CUI, DALLE NOSTRE PARTI, POCO SI SENTE PARLARE,NONOSTANTE SIA ABITATA DA POPOLAZIONI, DEPOSITARIE DI UNA CULTU-RA ANTICHISSIMA, CHE UN GRANDE RUOLO HANNO SVOLTONELLE VICENDE STORICHE CHE HANNO INTERESSATO IL NORDAFRICA ED IL BACINO DEL MEDITERRANEO. PER QUANTIMAGARI SONO UN PO PI ATTENTI RISPETTO A QUANTO AVVIENEANCHE AL DI L DEL PROPRIO ORIZZONTE, LA CABILIA SI FATTA CONO-SCERE, QUALCHE ANNO OR SONO, PER LINSURREZIONE POPOLARE DI CUISONO STATE PROTAGONISTE LE SUE GENTI A PARTIRE DAL 2001. UNESTESISSIMARIVOLTA, SENZA PARTITI E SENZA GRANDI RISONANZE MEDIATICHE INTERNAZIONA-LI, CHE HA RIPORTATO ALLATTUALIT LA DIGNIT E LE ANCESTRALI FORME DI AUTORGANIZZAZIONE POPOLARE CHE LE COMUNIT BERBERE HANNOOPPOSTO AI PROGETTI DI COLONIZZAZIONE E DI ASSIMILAZIONE CULTURALE E POLITICA DA PARTE DEL CENTRALISMO DI STATO. ABBIAMO AVUTOLA FORTUNATA OCCASIONE, IN QUEGLI ANNI, DI CONOSCERE PERSONE PROVENIENTI DA QUEI LUOGHI, E CI CI HA PERMESSO DI CAPIRE PIA FONDO LE CARATTERISTICHE COMUNITARIE E CULTURALI DELLE GENTI CHE VIVONO SULLE MONTAGNE AL DI L DEL MARE E LA LORO RIVOLTA.NE VOGLIAMO COS PARLARE, SU QUESTA RIVISTA, CON KARIM, ORIGINARIO DELLA PROVINCIA DI TIZI-OUZOU PERCH, COME POTRETE LEGGERE,TANTE SONO LE SIMILITUDINI CHE SI POSSONO RISCONTRARE TRA LE CONDIZIONI IN CUI VERSANO LE MONTAGNE DA UN LATO DEL MEDITERRANEOCOME DALLALTRO, E PERCH TANTI SONO I SUGGERIMENTI CHE LORGANIZZAZIONE COMUNITARIA CABILA SA DARE ALLA RESISTENZA DELLE GENTIDI MONTAGNA CONTRO I POTERI FORTI CHE LE AGGREDISCONO.

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    - Quali caratteristiche sociali ed economiche possono, a tuo avviso, darci lidea- Quali caratteristiche sociali ed economiche possono, a tuo avviso, darci lidea- Quali caratteristiche sociali ed economiche possono, a tuo avviso, darci lidea- Quali caratteristiche sociali ed economiche possono, a tuo avviso, darci lidea- Quali caratteristiche sociali ed economiche possono, a tuo avviso, darci lideadel legame tra comunit e territorio nelle montagne della Cabilia?del legame tra comunit e territorio nelle montagne della Cabilia?del legame tra comunit e territorio nelle montagne della Cabilia?del legame tra comunit e territorio nelle montagne della Cabilia?del legame tra comunit e territorio nelle montagne della Cabilia?

    La Cabilia una terra di montagne. La catena montuosa del Giurgiura, ai fianchi della quale siespande la regione, non molto imponente. Lalla Khadidja, il monte pi alto, ha poco pi di2.300 metri. Ma la popolazione cabila una popolazione autenticamente montanara.Un cabilo si definisce spesso uomo della montagna, prima di qualsiasi altra distinzione. La vitaeconomica e sociale legata alla topografia.Chi abita le montagne, in genere, un resistente. Attraverso la storia, nelle montagne e nei desertisi sono quasi sempre rifugiati popoli che non volevano sottomettersi alla dittatura delle citt.In Nordafrica successa la stessa cosa. Gli abitanti originali, i Masiri, tradizionalmente legati aduna cultura contadina comunitarista in cui la terra bene comune e la comunit di base (errone-amente chiamata trib) unentit sovrana e indipendente da qualsiasi potere centralizzato, perdifendersi contro i vari imperi che hanno invaso e controllato le ricche pianure del nord, hannoripiegato verso montagne e deserti.La civilt (Fenicia, Punica, Greca, Romana e Araba) li defin allora come barbari, da cui il nome piconosciuto di questo popolo:i Berberi. Ma chi pi barba-ro, il montanaro (o il nomade)masiro, obbligato a vivere nel-le condizioni naturali pi osti-li per mantenere la sua liber-t, o le civilt avide, guerrie-re, espansioniste, corrotte ecorruttrici che li hanno spintiin quegli habitat? questa ladomanda che non si pongo-no tutti coloro che usano laparola civilt per definire lo stato pi nobile e pi puro dellessere umano.La societ cabila, prima degli sconvolgimenti creati dal colonialismo francese, primo ad entraremilitarmente in questa roccaforte naturale, era costruita su un modello socioeconomico comuni-tario. La terra era propriet della comunit di base, e le porzioni erano divise tra le famigliesoltanto per lavorarle e goderne lusufrutto in base ai propri sforzi. Il lavoro si svolgeva in famigliala maggior parte del tempo, ma cera lobbligo di partecipare alla Tiwizi (il lavoro collettivo)alloccasione delle grande campagne di raccolto (cereali e olive principalmente). In Cabilia, quasinon esisteva alcun tipo di lavoro dipendente. Tutti avevano una porzione di terra da lavorare ealcuni, per arrotondare, avevano alcuni mestieri: artigiani vari, muratori, venditori ambulanti,guaritori, barbieri qualcuno vendeva la sua forza lavoro, occasionalmente, per grossi lavorinon coperti dalle tiwizi o per la costruzione delle case. Ma nessuno era esclusivamente al serviziodi qualcun altro.La comunit di base dunque era, ed tradizionalmente, il centro del potere. Alla base dellapiramide si trovano i consigli di famiglia (si parla di famiglie allargate portatrici dello stesso

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    cognome), poi, se le famiglie non sono moltograndi, c il consiglio di quartiere. I villaggisono spesso suddivisi in quartieri di circa 200-400 abitanti. Se una famiglia conta gi un nu-mero pari o superiore a questi, allora costitui-sce da sola un quartiere o a volte suddivisa indue sottogruppi, che vengono chiamati quellidi sotto e quelli di sopra. La mia famiglia, gliAth Amar, per esempio si suddivide negli AthAmar di sopra e negli Ath Amar di sotto, secon-do la posizione della propria casa nel villag-gio. I quartieri si incontrano poi nel consiglio

    del villaggio. I villaggi scelgono un segretario,lAmin, ed alcuni delegati che rappresentano ilconsiglio esecutivo, garante dellapplicazionedelle decisioni comunitarie. Lamin ed i delega-ti hanno pochissimo potere decisionale, lentitsovrana rimane il consiglio del villaggio.Gruppi di villaggi che vivono spesso nella stes-sa area geografica (ma non obbligatoriamen-te) sono alleati e adottano un codice di leggi edi linee di condotta comune (mithaq) e forma-no cos un Aarch. Lappartenenza alla comunitdi base (villaggio) o allAarch non condizio-nata ad un origine comune: i membri di unastessa comunit sono spesso delle origini pisvariate. Lunica condizione ladesione al co-dice comune e la partecipazione alla vita co-munitaria.

    Il sistema costruito su due pilastri: solidariete responsabilit. In effetti le due cose sonoabbastanza collegate: non si pu pretendereresponsabilit da tutti se non c solidariet,comprensione e ricerca di soluzioni comuni peri problemi di tutti. Daltro canto, non ci puessere solidariet vera se tutti non si sentonoresponsabili dellandamento della vita dellacomunit. Questo , secondo me, completa-mente diverso dal concetto di dovere e diritto,sul quale pretende reggersi la civilt cittadina.Un esempio straordinario quello delle comu-

    nit sulla cui terra si trova qualche pas-so importante per attraversare la mon-tagna. Senza che ci sia nessun governoper deciderlo, senza che ci sia nessunaforma di finanziamento, queste comu-nit si sono imposte, un tempo, il dove-re morale di organizzare delle pattu-glie attraverso i sentieri di montagna,nei giorni di neve, per verificare se nes-sun forestiero fosse rimastointrappolato o assiderato dalle buferedi neve frequenti in alcune zone.

    - Il forte tessuto comunitario di cui ci- Il forte tessuto comunitario di cui ci- Il forte tessuto comunitario di cui ci- Il forte tessuto comunitario di cui ci- Il forte tessuto comunitario di cui ciparli si trovato, nel corso dei secoli,parli si trovato, nel corso dei secoli,parli si trovato, nel corso dei secoli,parli si trovato, nel corso dei secoli,parli si trovato, nel corso dei secoli,ad affrontare i tentativi di assog-ad affrontare i tentativi di assog-ad affrontare i tentativi di assog-ad affrontare i tentativi di assog-ad affrontare i tentativi di assog-gettazione e di assimilazione culturalegettazione e di assimilazione culturalegettazione e di assimilazione culturalegettazione e di assimilazione culturalegettazione e di assimilazione culturalee politica da parte degli invasori e del-e politica da parte degli invasori e del-e politica da parte degli invasori e del-e politica da parte degli invasori e del-e politica da parte degli invasori e del-lo Stato algerino. Plo Stato algerino. Plo Stato algerino. Plo Stato algerino. Plo Stato algerino. Pensiamo ad esem-ensiamo ad esem-ensiamo ad esem-ensiamo ad esem-ensiamo ad esem-pio al periodo della colonizzazionepio al periodo della colonizzazionepio al periodo della colonizzazionepio al periodo della colonizzazionepio al periodo della colonizzazionefrancese del continente africano. Qua-francese del continente africano. Qua-francese del continente africano. Qua-francese del continente africano. Qua-francese del continente africano. Qua-li strategie ha usato il colonialismo perli strategie ha usato il colonialismo perli strategie ha usato il colonialismo perli strategie ha usato il colonialismo perli strategie ha usato il colonialismo persradicare le strutture comunitariesradicare le strutture comunitariesradicare le strutture comunitariesradicare le strutture comunitariesradicare le strutture comunitarieberbere e con quali armi queste ultimeberbere e con quali armi queste ultimeberbere e con quali armi queste ultimeberbere e con quali armi queste ultimeberbere e con quali armi queste ultimehanno potuto resistere alle ingerenzehanno potuto resistere alle ingerenzehanno potuto resistere alle ingerenzehanno potuto resistere alle ingerenzehanno potuto resistere alle ingerenzedei poteri forti esterni?dei poteri forti esterni?dei poteri forti esterni?dei poteri forti esterni?dei poteri forti esterni?

    Come dicevo prima, il colonialismo francese stato il primo ad accedere militarmente dentroi villaggi della Cabilia. Le comunit montane

    La montagna di BougieLa montagna di BougieLa montagna di BougieLa montagna di BougieLa montagna di Bougie

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    cabile hanno sempre avuto a che fare con gli invasori, ma nessuna potenza militare, primadellesercito coloniale francese, riuscita ad abbattere la loro resistenza. Lautonomia dellemontagne berbere stato un problema permanente per i vari imperi che hanno occupato lepianure. Dai Romani, che hanno raccontato e documentato le guerre feroci e le continue ribellionidei montanari, tra cui le quinque gentes del Monsferratus (cio gli attuali cabili del Giurgiura).Questo dato di fatto rimasto immutato fino allinizio del colonialismo occidentale. Dal Maroccofino alla Libia, il colonialismo europeo non ha avuto nessuna difficolt a pacificare le cittopulente di Marakech, Rabat, Fez, Meknes, Orano, Algeri, Costantina, Anaba, Tunisi e Tripolimentre ha tardato anni ed anni prima di sottomettere i montanari amazigh del medio Atlante, imontanari del Rif nel nord del Marocco, i montanari cabili, quelli chaoui, i Tuareg dellestremoSud, i masiri montanari e semi nomadi del sud della Libia e tanti altri come loro. Comunitpoverissime, che vivono sempre al limite della sopravvivenza: persone che, pensandoci bene,materialmente avrebbero poco da perdere. Le loro terre non destano alcuna avidit e la lorosorte, se si tengono buoni buoni, al limite non interesserebbe nessuno Invece erano sempreloro a soffiare sul fuoco della rivolta. questo che ha dato di che pensare a lungo al colonizzatore francese. E dopo lunghi anni diapproccio timido e di missioni scientifiche, ha capito a che si dovesse la forza straordinaria diquesto popolo n povero n ricco, che sceglie se stesso i suoi capi per ripudiarli appena comin-ciano a diventare forti. Come descriveva unostorico francese durante lultima spedizione del1871: la vera forza di questo popolo era pro-prio la sua struttura orizzontale, comunitaria esenza capi. da l che si deciso assolutamentedi civilizzare. Perch anche se la loro organiz-zazione stata riconosciuta superiore moral-mente alla civilt francese dalla coppia A.Hanoteau e A. Letourneux, un generale delleser-cito e un giudice della corte suprema franceseche per anni hanno studiato la societ cabila(autori di La Kabylie et les coutumes kabyles,Augustin Challamel, Paris, 1893), questa eraassolutamente da distruggere in quanto model-lo incompatibile con i piani dellimpero. E ci han-no messo tutti i mezzi per distruggerlo: sostitu-zione forzata dei consigli dei villaggi da comunie tribunali sul modello occidentale, introduzio-ne massiccia della scuola francese nelle monta-gne cabile (molto pi di altre regioni), smantellamento sistematico dellautonomia economica edemigrazione pianificata di centinaia di uomini verso la metropoli e verso le pianure.Le resistenze ci sono state ma sono state molto deboli, almeno allinizio. Bisogna sapere chedopo lultima battaglia tra la federazione degli Aarch della Cabilia e lesercito francese, finita conla vittoria netta e assoluta di questultimo, nella maggior parte dei villaggi dellalta Cabilia non era

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    rimasto quasi nessun uomo adulto: tutti massacrati o deportati verso la Nuova Caledonia o versola Guyana francese.Quanta resistenza poteva opporre la maggioranza di vecchi, donne e bambini rimasti nei villaggi?Nessuna! Lunica via stata, per un po, quella della non cooperazione: rifiuto di collaborareallopera di registrazione anagrafica e catastale, rifiuto di rivolgersi ai simulacri di servizi ammini-strativi e sociali messi in loco dal colonialismo. Ma anche questo non dur molto.Oggi il sistema comunitario completamente scomparso, le terre sono tutte private, tranne alcuniboschi e territori di alta montagna. I consigli di villaggio o sono scomparsi o hanno un ruoloformale di gestione degli aspetti pi banali della vita quotidiana: manutenzione delle vie delvillaggio, organizzazione dei cimiteri, organizzazione dei pochi lavori comunitari rimasti (nonessendoci quasi pi agricoltura di montagna, questi si riassumono ad un aiuto del villaggio achiunque voglia costruire una casa propria)

    - Con la conquista dellindipendenza e linstaurazione dello Stato algerino cosa- Con la conquista dellindipendenza e linstaurazione dello Stato algerino cosa- Con la conquista dellindipendenza e linstaurazione dello Stato algerino cosa- Con la conquista dellindipendenza e linstaurazione dello Stato algerino cosa- Con la conquista dellindipendenza e linstaurazione dello Stato algerino cosa cambiato per le genti cabile? Quali sono le questioni su cui la resistenza in cambiato per le genti cabile? Quali sono le questioni su cui la resistenza in cambiato per le genti cabile? Quali sono le questioni su cui la resistenza in cambiato per le genti cabile? Quali sono le questioni su cui la resistenza in cambiato per le genti cabile? Quali sono le questioni su cui la resistenza inCabilia si mantenuta in questCabilia si mantenuta in questCabilia si mantenuta in questCabilia si mantenuta in questCabilia si mantenuta in questi anni, sfociando in pi occasioni in estese rivolte?i anni, sfociando in pi occasioni in estese rivolte?i anni, sfociando in pi occasioni in estese rivolte?i anni, sfociando in pi occasioni in estese rivolte?i anni, sfociando in pi occasioni in estese rivolte?

    Lindipendenza in Algeria stata ottenuta, contrariamente a quello che si pensa spesso, non graziead una rivoluzione popolare che ha coinvolto tutto il popolo algerino. La guerra dAlgeria si svolta principalmente in due regioni: la Cabilia e lAures. Entrambe montagnose ed entrambeberberofone. Ci non vuole provare una qualsiasi superiorit dei berberi sugli arabi o su chiun-

    que altro, ma una prova supplementare di come la cultura comunitaria montanara sia molto pidifficile da addomesticare della cultura feudale delle pianure. In Nordafrica, nella stramaggioranzadei casi, larabizzazione linguistica stata una conseguenza dello sradicamento e del passaggio

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    dallo stato di liberi contadini o allevatori a quel-lo di braccianti.Ma paradossalmente questa indipendenza, ot-tenuta grazie allo sforzo soprattutto di questedue regioni, le ha rese quelle piattaccate allo Stato nazione Al-geria nato dopo lindipenden-za. I cabili sono ormai parte delsistema Stato nazionalealgerino. Anche se pongonoquestioni particolari ed hannomantenuto questa tradizione dilotta e di autorganizzazione, lofanno in modo moderno at-traverso organizzazioni politi-che convenzionali: partiti, asso-ciazioni, sindacatiQuello che successo dal 2001 al 2004, at-traverso linsurrezione detta degli Aarch, uncaso particolare, degno dinteresse. Anche se fallito in modo clamoroso, ci ha lasciato de-gli insegnamenti molto preziosi.Per capire il percorso di lotta della Cabilia du-rante questi 44 anni di indipen-denza, bisogna tornare al 1962,alla fine della guerra didecolonizzazione. Quando letruppe francesi lasciaronodefinitivamente il suoloalgerino, precedute poche set-timane prima dalla maggioran-za dei civili europei, la resisten-za interna, i maquisard del-linterno, erano quasi decimati.La vittoria era stata pi politicache militare. Militarmente, al-linterno, i partigiani eranoesausti, braccati ovunque, sterminati dallusosistematico del Napalm e delle bombe incen-diarie, ed erano rimasti isolati dal rifornimentoesterno in armi, attrezzature e viveri a causa didue linee di difesa (Linee Chasle et Maurice)

    che lesercito francese aveva costruito lungo iconfini nord con la Tunisia e il Marocco.Allatto dellindipendenza, dai paesi confinanti,entr un intero esercito algerino, chiamato

    Esercito delle Frontiere: giovani reclutati neicampi profughi di Oujda in Marocco e SakietSidi Youcef in Tunisia, ben nutriti, ben vestiti,dotati di ami e attrezzature fiammanti, nuove,ed inquadrati da consiglieri militari di