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TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE 06081 ASSISI ITALIE ISSN 0391 108X periodico quindicinale Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post. dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Perugia Rivista della Pro Civitate Christiana Assisi $# 15 settembre 2006 e 2,00 ANNO La guerra fallita Le sfide di Zapatero Religioni e pace: Un equivoco da superare Uomini si diventa La laicità del credente NUMERO 18 Ambiente Italia Inserto: Se l’identità cammina con la storia Il partito che già c’è Cittadini italiani in 5 anni La transizione infinita Sviluppo tra quantità e qualità

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TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE ISSN 0391 – 108X

periodico quindicinalePoste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post.dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)art. 1, comma 2, DCB Perugia

Rivistadella

Pro Civitate ChristianaAssisi��

15 settembre 2006

e 2,00

ANNO

La guerra fallita Le sfide di Zapatero

Religioni e pace: Un equivoco da superareUomini si diventa La laicità del credente

NUMERO

18 Ambiente Italia Inserto: Se l’identità cammina con la storiaIl partito che già c’è Cittadini italiani in 5 anni

La transizione infinita Sviluppo tra quantità e qualità

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4 Ci scrivono i lettori

6 Anna PortoghesePrimi Piani Attualità

10 Valentina BalitNotizie dalla scienza

11 VignetteIl meglio della quindicina

13 Raniero La ValleResistenza e paceLa guerra fallita

14 Maurizio SalviSpagnaLe sfide di Zapatero

17 Romolo MenighettiOltre la cronacaIl partito che già c’è

18 Filippo GentiloniReligioni e paceUn equivoco da superare

20 Giuliano Della PergolaSocietàCittadini italiani in cinque anni

23 Oliviero MottaTerre di vetroPazienza

24 Pietro GrecoAmbiente ItaliaIl futuro nelle nostre mani

28 Giannino PianaEtica politica economiaLo sviluppo tra quantità e qualità

30 Giovanni BianchiSocietàLa transizione infinita

33 Anna Portoghese64° Corso internazionale di Studi cristianiSenza i sandali dell’identità?Raniero La ValleSe l’identità cammina con la storia

40 Manuel Tejera de MeerIo e gli altriTolleranti per sentirsi più accettati

42 Rosella De LeonibusCose da grandiUomini si diventa/1

45 Stefano CazzatoLezione spezzataCe l’ha fatta!

allarga ituoi orizzonti

occa

46 Giuseppe MoscatiMaestri del nostro tempoNikolaj Alexandrovic BerdjaevFilosofia della religione e della libertà

48 Marco GallizioliCulture e religioni raccontateLe vie scoscese dell’identità

51 Enrico PeyrettiFatti e segniFar credito arricchisce

52 Arturo PaoliCercate ancoraIdolatria del mercato

54 Carlo MolariTeologiaLa laicità del credente

56 Adriana ZarriControcorrenteLa valle del sorriso

57 Giacomo GambettiCinemaIl passato presenteVolver

58 Roberto CarusiTeatroIl domino e il caleidoscopio

58 Renzo SalviRf&TvMedium

59 Mariano ApaArteArcangeli

59 Giuliano Della PergolaMostreMatteo di Giovanni a Siena

60 Michele De LucaFotografiaLuigi Ghirri

60 Giovanni RuggeriSiti InternetBanche & assicurazioni

61 Libri

62 Carlo TimioRocca schedePaesi in primo pianoThailandia

63 Nello GiostraFraternità

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CI SCRIVONO I LETTORI

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Gli interventiqui pubblicatiesprimonolibere opinionied esperienze dei lettori.La redazionenon si rende garantedella veritàdei fatti riportatiné fa suele tesi sostenute

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quindicinaledella Pro Civitate Christiana

Numero 18 – 15 settembre 2006

Gruppo di redazioneGINO BULLACLAUDIA MAZZETTIANNA PORTOGHESEil gruppo di redazione ècollegialmente responsabiledella direzionee gestione della rivista

Progetto graficoCLAUDIO RONCHETTI

FotografieAndreozzi B., Ansa, Associated Press, Ballarini, Be-rengo Gardin P., Berti, Bulla, Carmagnini, Cantone,Caruso, Cascio, Ciol E., Cleto, Contrasto, D’AchilleG.B., D’Amico, Dal Gal, De Toma, Di Ianni, Felici,Foto Express, Funaro, Garrubba, Giacomelli, Gian-nini G., Giordani, Grieco, Keystone, La Piccirella,Lucas, Luchetti, Martino, Merisio P., Migliorati, Oikou-mene, Pino G., Riccardi, Raffini, Robino, Rocca,Rossi-Mori, Turillazzi, Samaritani, Sansone, SantoPiano, Scafidi, Scarpelloni, Scianna, Zizola F.

Redazione-Amministrazionecasella postale 94 - 06081 ASSISItel. 075.813.641e-mail redazione: [email protected] ufficio abbonamenti: [email protected] - www.cittadella.orghttp://procivitate.assisi.museumTelefax 075.812.855conto corrente postale 15157068Bonifico bancario: Banca Pop. di Spoleto – AssisiCin: T – ccb n. 2250 – Abi 5704 – Cab 38270IBAN: IT59T05704382700 0000 000 2250BIC: BPSPIT3SXXX

Quote abbonamentoAnnuale: Italia e 45,00Annuale estero e 70,00Sostenitore: e 100,00Semestrale: per l’Italia e 26,00una copia e 2,00 - numeri arretrati e 3,00spese per spedizione in contrassegno e 5,00Spedizione in abbonamento postale 50%Fotocomposizione e stampa: Futura s.n.c.Selci-Lama Sangiustino (Pg)Responsabile per la legge: Gesuino BullaRegistrazione del Tribunale di Spoleton. 3 del 3/12/1948Codice fiscale e P. Iva: 00164990541

Editore: Pro Civitate ChristianaTutti i diritti di proprietà letteraria e artistica sonoriservati. Manoscritti e foto anche se non pubblicatinon si restituiscono

Questo numeroè stato chiuso il 12/09/2006 e spedito daCittà di Castello il 15/09/2006

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Una grigliaselettiva

Per sapere se un uomo ouna donna fanno qualcosadi utile per il proprio Paeseo per il prossimo, si deveandare a vedere, nella ge-neralità dei casi, se riesce aincassare da qualcuno (loStato o il privato) per qual-che lavoro utile e onesto eben fatto, uno stipendio,una retribuzione o comun-que un compenso per unlavoro artigianale o profes-sionale o agricolo etc., nel-le mille attività lavorativeoneste che permettono divivere in questo mondo.Purtroppo alcuni si sonoaccorti che si può campa-re anche di sola politica eformano la classe dei co-siddetti politicanti chesono la degenerazione deipolitici veri.Ciò è una vera disgrazia peril Paese, perché costoro,pur non avendo mai o qua-si mai lavorato seriamentenella vita civile, pretendo-no poi, in Parlamento, didirigere la parte del Paeseche lavora seriamente e fa-ticosamente.Ogni aspirante al titolo dionorevole dovrebbe primadimostrare di sapersi gua-dagnare il pane senza lapolitica.Una misura del generemanterrebbe fuori dalleaule parlamentari tutti imafiosi, i camorristi e glialtri appartenenti alla cri-minalità organizzata e imalfattori di ogni genere.L’onestà lavorativa perso-nale dovrebbe essere inol-tre preventivamente certifi-cata da polizia e magistra-tura, onde evitare l’imbro-glio e la corruzione. Cosìfacendo si avrebbe la ga-ranzia che i politici che en-trano in Parlamento sonocapaci e onesti e si terreb-bero alla larga dalle auleparlamentari, gli incapaci ei disonesti (di solito, paro-lai inconcludenti e vanito-si).Insomma, da una grigliaselettiva cosiffatta il Parla-mento italiano avrebbe soloda guadagnare in onorabi-

lità ed efficienza legislativa.

Bruno DequalTrieste

Equidistanza? No

A fronte della tragedia delM. O. l’«equidistanza» del-la politica e della stampaitaliana m’indigna e scon-certa. Significa giudicaregli effetti e non le cause.Imperdonabile miopia de-gli uomini comuni; abissa-le ignoranza e forse mala-fede per intellettuali e per-sone che hanno responsa-bilità di fronte alla storia.Tutte le vittime sono ugua-li? Non c’è dubbio. Onestàintellettuale tuttavia vuoleche si distinguano le causee le responsabilità del lorodolore.Si dimentica che Israele èuno Stato «artificiale» co-struito a tavolino e instal-lato su terre abitate da altrida duemila anni, per met-tere a tacere le coscienzeeuropee che avevano com-messo e permesso l’Olocau-sto e per difendere gli inte-ressi americani nel Medi-terraneo allora insidiatodall’Unione Sovietica, oggivia d’accesso alle risorseenergetiche mondiali.Si dimentica soprattuttoche cosa è stata in ses-sant’anni la politica di Isra-ele: colonizzare territorinon suoi, fare arrivare mi-gliaia di persone da tutto ilmondo per infoltire la suapopolazione, tagliare siste-maticamente le risorse, per-fino l’acqua, ai palestinesi;prendere sempre decisioniunilaterali elargendo come«concessioni generose»quelli che dovevano esserediritti di un popolo caccia-to dalle proprie case, co-stretto a dipendere in tutto(mobilità-lavoro) dai varitedeschi, polacchi, russi,americani piombati lì nonsi sa bene se per fanatismoreligioso o per interessi eco-nomici.Quando la disperazione dipersone nate e cresciute incampi di concentramento,profughi e senza prospetti-

CORSO TRIENNALEDI

COUNSELLINGper una qualità delle relazioni

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Il Corso, strutturato in 200 ore annue, è finaliz-zato all’acquisizione di una nuova professiona-lità, a sostegno di individui e gruppi nella solu-zione di problemi non patologici. Esso trova spa-zio nel settore pubblico e privato, nelle istituzio-ni, nel volontariato.

Il Diploma in Counselling «Esperto della Co-municazione interpersonale e dei processi re-lazionali», consente l’iscrizione all’Albo delle As-sociazioni professionali accreditate al CNEL.

Destinatari sono diplomati e laureati che vo-gliano qualificare la loro cultura professionale eacquisire strumenti utili per espletare servizi allapersona.

Il Corso di Counselling è inserito nella program-mazione del CRESC ONLUS (Centro Regiona-le di Educazione permanente e di Sperimenta-zione), Agenzia Formativa accreditata presso ilMIUR e la Regione Umbria. Esso, pertanto, èoggetto di RICONOSCIMENTO sia da parte del-l’Amministrazione Scolastica, ai fini della forma-zione del Personale della Scuola, sia da parte dialtre Istituzioni riferibili alla Regione, impegnatenella formazione del proprio personale.

Sono aperte le Iscrizioni per l’anno 2007.

Per informazioni rivolgersi alla Segreteria del corso di Counsellingpresso la Pro Civitate Christiana - tel 075813231 - fax 075812445

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Pro Civitate ChristianaCentro accreditato al MIURe regione Umbria

ve, è esplosa (da noi solo ilsen. Andreotti ha avuto ilcoraggio di ricordarlo) han-no loro spezzato le braccia,rase al suolo le case, sradi-cato gli ulivi, costruito muriche dividono le famiglie ecostringono la gente in car-ceri a cielo aperto.Ricordo questi «fatti mino-ri» perché quelli clamorosicome Sabra e Chatila spe-ro li conoscano tutti. Han-no seminato odio e stannolegittimando i peggiori ter-roristi attorno a cui si com-pattano le schiere dei sen-za speranza, senza peraltrorisolvere i loro problemi.Prova ne sia che hanno vin-to tutte le guerre e non han-no ottenuto un briciolo dipace e di sicurezza. Anzi, lasituazione peggiora e i con-flitti si allargano.Bombardare oggi e distrug-gere il Libano (e non è laprima volta), ha detto sag-giamente Franco Battiato,è come se per stanare imafiosi si bombardasse laSicilia intera.Oggi hanno il coraggio dichiedersi «perché ci odianotanto?», di paragonare leloro famiglie protette danon certo comodi rifugi adaltre fatte a pezzi dalle loroarmi. Gli israeliani di oggioffendono la memoria deiloro padri ebrei massacra-ti dai nazisti e quando sipresentano eterne vittimeinnocenti (ho letto il lamen-to di una signora che ricor-dava addirittura il Farao-ne!) spingono anche il piùtollerante degli uomini pa-cifici a schierarsi conchiunque li metta in condi-zione di ridimensionare laloro arroganza e finirla conla storia del popolo eletto edel servo sofferente che,così usata, offende la Bib-bia e il nome di Dio.Se in questo mondo nonresta che fare torto o subir-lo, io sto – senza se e senzama – dalla parte di chi su-bisce.E, per favore, basta col so-lito equivoco: essere antii-sraeliani non è essere anti-semiti.

Giuseppina PattiBinasco (Mi)

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26 agosto. Arriva finalmente larisoluzione Onu che chiede –dopo lunghi giorni di stragi edevastazioni in Medio Oriente– a tutte le parti l’immediatocessate il fuoco. È anche il mo-mento in cui si dibatte, non sen-za incertezze e difficoltà, il no-stro intervento in Libano.Ad Assisi, città della pace, con-verge un’ampia fetta del movi-mento pacifista per una mani-festazione nazionale, promossadalla Tavola della Pace e dal Co-ordinamento nazionale degliEnti locali. Giungono autoritàcivili e politiche, personalità ac-cademiche, giornalisti, svettanogonfaloni di 181 Comuni italia-ni, si agitano le bandiere, si al-lungano gli striscioni, in primisuno imponente con la scritta«Forza Onu». Ci sono anche trevescovi (quello di Assisi, di Ce-sena e di Pesaro); la Cittadellacristiana – teatro stracolmo, salecon schermi giganti prese d’as-salto – accoglie le folte rappre-sentanze delle organizzazionidella società civile impegnateper la pace e i diritti umani, lagiustizia, la legalità e la demo-crazia internazionale. Grembodi denunce, ricerche, utopie,progetti, speranze Assisi insegnail confronto con l’ascolto reci-proco, premessa della pace, econ la pazienza (anche se qual-cuno dissente, vorrebbe tutto e

subito). È la città dove soprat-tutto la speranza si fa grido in-crociato: quello degli uccisi equello del Dio della pace, dovegiunge l’eco del lamento delbambino non ancora nato, ulti-mo discendente di Abramo nel-la pancia di una madre estenua-ta ferma a un posto di blocco, equello del Dio del perdono. L’at-mosfera è di grande tensione po-litica e sociale, di partecipazio-ne intensa. Le sequenze del di-battito scandiscono l’opportuni-tà che la tregua non venga spre-cata, condividendo le parolepronunciate dal segretario gene-rale delle Nazioni unite Kofi An-nan al Consiglio di Sicurezza, lesue analisi, e chiedendo che lesue proposte vengano immedia-tamente raccolte dal Governoitaliano e sostenute dalla mobi-litazione di tutti i cittadini dibuona volontà. «Facciamo ap-pello al governo italiano perchési adoperi con ancora maggio-re energia e determinazione permettere fine a questa guerra, persoccorrere le popolazioni biso-gnose, per includere nell’Unifil(United Nation Interim Force inLebanon, la forza d’interposizio-ne), rafforzata, una forte dimen-sione dei diritti umani con per-sonale adeguatamente prepara-to, per garantire che l’autoritàdelle Nazioni Unite si traducanell’effettivo comando ‘soprana-

zionale’ dell’Unifil, per pro-muovere la partecipazione deiPaesi membri dell’Unione eu-ropea in forma integrata, nona ranghi sparsi».La pace – si ricorda – ha i nomidella sovranità delle persone edei popoli, del negoziato inve-ce che dell’uso della forza, del-l’orientamento sociale del-l’economia, della libertà di co-municare, la salvaguardia del-le diversità, del multicultura-lismo e dell’interculturalismo,della democrazia internazio-nale. Messaggi a sostegno del-l’iniziativa giungono dal Capodello Stato Napolitano e dalPatriarca latino di Gerusa-lemme Sabbah. «Si riaccendeuna speranza di pace per l’in-tera regione, di piena sicurez-za per Israele, di riconosci-mento effettivo dei diritti delpopolo palestinese. L’Italia stadimostrando di voler fare ecertamente saprà fare la pro-pria parte» scrive il primo,mentre secondo invoca l’aiu-to della Comunità internazio-nale contro i massacri nel Li-bano. Si susseguono interven-ti di politologi e studiosi, delvescovo di Assisi, del presiden-te di Pax Christi. La speranzascrive a forti caratteri sullagradinata della Basilica di sanFrancesco: «Palestina-Israele:due Popoli, due Stati».

la permanente lezionedella pace

ASSISIUganda

uno storicoaccordodi pace

Il Governo ugandese e i ribel-li dell’Esercito di resistenzadel Signore (Lra) hanno fir-mato il 26 agosto uno storicoaccordo di cessate il fuoco du-rante i negoziati di pace svol-tisi a Juba, in Sudan. Si trattadi un passo in avanti signifi-cativo verso un accordo dipace finale, ottenuto grazie allavoro che da oltre due mesiha visto impegnati nei JubaTalk Peace la Comunità diSant’Egidio e il GoSS (Gover-no del Sud Sudan). (Testo del-l’accordo controfirmato inwww.santegidio.org/archivio/pace/uganda). L’intesa preve-de tra l’altro il raggruppamen-to dei combattenti ribelli indue aree del Sudan meridio-nale; il monitoraggio del rag-gruppamento da parte del-l’esercito Sud Sudanese; laverifica della cessazione delleostilità; aiuti umanitari per lapopolazione coinvolta. Si ètrattato di porre fine al terri-bile conflitto che ha afflittoper circa 20 anni il NordUganda, che ha fatto 100.000vittime quasi tutte civili, e cheha costretto circa 1,7 milionidi persone a vivere nei campiprofughi.

IndiaNew Delhipericolosa

per i bambiniCi dispiace molto dover an-cora parlare dei bambini chenelle grandi città non solonon trovano accoglienza, masono oggetto di sfruttamen-to e di soprusi. Eppure, cometacere dei 180 mila piccoliindiani che vivono per le stra-de della capitale che, pure, hauno dei redditi pro capite piùalti del Paese? Secondo unrapporto realizzato dalle Na-zioni Unite in collaborazionecon lo stato di Delhi, NewDelhi è la città più pericolo-sa del mondo per i bambini euna delle peggiori per le don-ne. Le cause sono per i pic-coli principalmente due: losfruttamento del lavoro mi-norile e la scarsa scolarizza-zione, e non tanto la crescitademografica come qualcunoha insinuato, crescita cheinvece è più sostenuta nel re-sto dell’India. Per le donneresta la subalternità femmi-nile, oltre al gap tra la cultu-ra ancestrale e l’aria di mo-dernità che si respira nellacapitale. Il 45% delle donneha dichiarato di non sentirsial sicuro tra le mura dome-stiche.

Immigrateoccorrono

tuteledi genere

In vista dell’assemblea gene-rale delle Nazioni Unite (NewYork 14-15 settembre) è sta-to reso noto il 6 settembre ilrapporto annuale dell’Unfpa,il Fondo dell’Onu dedicatoalla migrazione internaziona-le. Emergono chiaramente al-cuni dati impressionanti sul-lo sfruttamento delle donnemigranti (www.aidos.it), te-nuto conto che sui 12 milio-ni di persone costrette a unlavoro forzato, il 56% è costi-tuito da donne e bambine. Dirado le politiche sociali deivari paesi tengono conto del-le differenze di genere: losfruttamento delle donne nonè solo sessuale, c’è un parti-colare, occultato sfruttamen-to, dovuto al lavoro che disolito si compie tra mura do-mestiche. Inoltre, è crescen-te il traffico di organi e diesseri umani che produce al-l’anno 44 miliardi di dollari.Altro dato significativo, perl’impoverimento delle terre diprovenienza, è la fuga dei cer-velli femminili, soprattutto didottoresse e infermiere. Nel2003, l’80% delle infermierefilippine era impiegato al-l’estero.

Ecumenismola morte del cardinale Willebrands

«Dall’inizio del mio coinvolgimento nel lavoro ecumenico, main modo speciale da quando papa Paolo VI , in occasione dellamia ordinazione episcopale , mi disse: ‘Questa ordinazione saràal servizio divino per l’unità dei cristiani’, ho inteso questa mis-sione come una chiamata del Signore. Ho cercato di appro-fondire questa vocazione...», così scriveva il cardinale Johan-nes Willebrands, morto a Utrecht il 1° settembre, nell’introdu-zione al suo volume «Una sfida ecumenica. La nuova Europa»(ed. Pazzini). Olandese, di profonda spiritualità, Willebrandsrappresenta con il card. Bea uno dei personaggi-chiave dellasvolta ecumenica del Concilio Vaticano II. Oltre agli apporti aidocumenti Unitatis redintegratio, Dignitatis humanae, Nostraaetate, Dei Verbum, è nota a tutti la sua sapienza pionieristicanel tessere i rapporti con i fratelli cristiani «separati» e con gliebrei. I suoi scritti interconfessonali sono oggi da rivisitare.

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seminari&

convegni

14-20 settembre. Magnano(Bi). Al Monastero di Bose XIVConvegno ecumenico interna-zionale di spiritualità ortodos-sa, organizzato con il Patroci-nio del Patriarcato di Costanti-nopoli e del Patriarcato di Mo-sca. È articolato in due sezio-ni, bizantina e russa: «NicolaCabasilas e la divina liturgia»(14-16 settembre); «Le Missio-ni della Chiesa ortodossa rus-sa» (18-20 settembre). Oltre aimaggiori specialisti a livello in-ternazionale, partecipano me-tropoliti, vescovi e monaci del-le chiese ortodosse, cattolica edella Riforma. Programma in:www.monasterodibose.it. In-formazioni: Segreteria: Mona-stero di Bose 13887 Magnano(Bi) tel. 015 679 185, fax 015679 294, e-mail: [email protected] settembre. RecoaroTerme (Vi). «Politiche socialied economie mondiali» è iltema del 39° convegno di stu-di internazionali, promossodall’Istituto Rezzara, articola-to in quattro sezioni: introdut-tiva (mons. Nosiglia, mons.Puljic, on. Rosy Bindi); «Nuo-ve insicurezze in una societàglobale» (proff. Onofri e Bec-chetti); «Caratteri del Welfarein una società post-industria-le» (proff. Scanagatta, De Poli,Suppic, Bresolin); «Politichesociali europee» (proff. Verso-ri, Ballarino, D’andrea). Infor-mazioni: [email protected] settembre. Milano. Scuo-la di Formazione biennale perla conduzione di gruppi conmetodi d’azione. Informazio-ni: Centro di Formazione Pau-lo Freire, via Guerzoni 15,20158 Milano, tel. 02 6709556; fax 02 670 3052, e-mail:[email protected] settembre. Campo-sampiero (Pd). Esercizi spi-rituali per tutti con don LucaMazzinghi sul tema: «Chiama-ti a libertà. Il libro dell’Esodo»Informazioni: Casa Spirituali-tà Santuari Antoniani – 35012Camposampiero (Pd) tel. 0499303003, fax 049 931 6631.23-24 settembre. Bologna.All’Eremo di Ronzano (viaGaibola 18), la Festa dei popoli2006 pone al centro della rifles-sione il tema «Acqua per lapace». Relatori: fr. BrunoQuerceti, Riccardo Petrella,

Pietro Greco, Bruno Amoroso,don Tonio dell’Olio, EmilioMolinari. Gruppi di approfon-dimento; spettacolo teatrale.Informazioni: Comunità deiServi di Maria tel. 051 581 443;Diego Ruffillo Passini 051 589160; 392 666 7022; GiuseppeSimoni tel. 051 616 7457; 338970 5387.23-24 settembre. Torino. Se-minario-spettacolo «DietrichBonhoeffer: la pace al tempodell’orrore», al Teatro Gobet-ti, Via Rossini 8 Torino (ore 21sabato e 16 domenica). Allamanifestazione segue in otto-bre-novembre un seminariodi lettura a cura di Marco Sa-veriano e Ugo Perone, in col-laborazione con la Circoscri-zione 9 e le Biblioteche civi-che, presso la Biblioteca «Die-trich Bonhoeffer» di corsoCorsica 55, Torino. Informa-zioni: Bianca Piazzese,cell.339 683 8650.23-24 settembre. Terni. Gior-nata ecumenica per la salva-guardia del creato. Al mattinoproiezione del film: «L’incubodi Darwin» con dibattito coor-dinato dal pastore Italo Bene-detti; alle 16,30 tavola rotonda«Salvaguardia del creato, qua-le sviluppo sostenibile?». Inter-vengono: il vescovo mons. Vin-cenzo Paglia, l’on.Paolo Raffa-elli, i proff. Carlo Cirotto, Simo-ne Morandini, Giorgio Karalis:Ore 18,30 Cascata delle Mar-more: coreografia conclusiva acura di Germano Rubbi. Dome-nica, Celebrazione della giorna-ta nelle chiese locali e parroc-chie. Informazioni: Ufficio ecu-menico diocesano, Piazza Duo-mo 11, 05100 Terni, e-mail: [email protected] settembre-1° ottobre. Pa-lermo. Settimana teologica al-fonsiana sul tema «Non avetericevuto uno spirito da schia-vi ma da figli» (Rom 8,15). Vie-ne affrontato in dibattiti, dal25 al 29 settembre, da varieangolazioni con: Laura Boel-la, Nino Fasullo, GiovanniRuffino, Niki Vendola, Massi-mo Cacciari, Filippo La Porta,Francesca Piazza, GuglielmoEpifani, Eric Nofke, MarcoTannini, Furio Colombo, Tel-mo Pievani, Alberto Melloni,Rita Borsellino, Luciano Can-fora, Paolo De Benedetti. Èprevista una serie di concerti

musicali. Informazioni: Rivi-sta Segno, Padri Redentoristi,via Badia 52-90145 Palermo,telefax 091 228 317; e-mail:[email protected] settembre-1° ottobre.Camposampiero (Pd). Eser-cizi per giovani, guidati da p.Fabio Scarsato e sr. Paola Co-ver su: «Tu sei sicurezza»(S.Francesco)». Informazioni:Casa Spiritualità Santuari An-toniani – 35012 Camposam-piero (Pd) tel. 049 9303003,fax 049 931 6631, e-mail:[email protected] settembre-1° ottobre.Assisi. IV Convegno naziona-le dei Cristiano-sociali allaCittadella sul tema: «Partitodell’Ulivo. Cantiere aperto. Unnuovo soggetto per una buo-na politica». Partecipano, tragli altri, Domenico Maselli,Mimmo Lucà, Pierluigi Bersa-ni, Savino Pezzotta, Rosy Bin-di, Emilio Gabaglio, RosannaVirgili, Giorgio Tonini, Igna-zio Marino, Paola Binetti, Fa-bio Mussi, Marcella Lucidi,Stefano Ceccanti, Franco Pas-suello, Guido Formigoni, Pie-ro Fassino. Informazioni: 06683 00537-8; e-mail:[email protected] ottobre. Ameno (No).Convegno sul tema «Angeli edemoni», enti, simboli, pro-mosso da «Città di Dio», asso-ciazione ecumenica di cultu-ra religiosa. Nell’ambito dellatradizione ebraico-cristiana,tenendo conto della prove-nienza storico-culturale delleimmagini, il convegno, dopol’introduzione di F. Filiberti sultema, ne affronta la protologia(C. Prandi, M. Diana, F. Bar-gellini), la fenomenologia (S.Zucal, G. Nanni), l’escatologia(G. Bof, S. Zucal). Sede: Con-vento dei frati minori di mon-te Mesma, Ameno (No). Infor-mazioni: segreteria tel. 0322259212, 333 846 5144.28-29 ottobre. Firenze. Pres-so la Casa per la Pace di PaxChristi seminario di forma-zione sul tema: «Dai monolo-ghi al dialogo. Comunicarenei conflitti in modo non vio-lento». Formatori: Pio Casta-gna e Alfredo Panerai. Infor-mazioni: Casa per la Pace,strada alle Rose Tavarnuzze(Fi), tel. 055 475, e-mail;[email protected]:[email protected].

Assisiculture ereligioni

per la paceA 20 anni dallo storico incon-tro dei leaders religiosi delmondo invitati da GiovanniPaolo II, la Comunità di san-t’Egidio, che non ha mai smes-so di celebrare l’ iniziativa invari luoghi, quest’anno è torna-ta il 4-5 settembre ad Assisi. Mi-gliaia i partecipanti, in granparte giovani, 200 le autoritàrappresentanti le varie religio-ni con l’accogliente vescovomons.Sorrentino, autorità civi-li, in primis il Capo dello Statoitaliano Napolitano. Per le cen-tinaia di giornalisti è occorsauna seconda sala stampa; tuttele principali sedi cittadine sonostate occupate dalle 17 tavolerotonde che hanno preso in esa-me le problematiche della paceda differenti angolazioni; dia-loghi sono intercorsi anche traoppositori politici, preghiere sisono elevate. (www.santegidio.org). «I conflitti non sono undestino metafisico. Ci sono re-sponsabilità politiche, cultura-li, di uomini, che preparano iconflitti, che scavano abissi elasciano incancrenire le guer-re. Anche le religioni possonofarsi trascinare nella logica del-la guerra, sacralizzare gli odi,benedire le armi. È la terribileresponsabilità umana… Ma lapace, anche nel mezzo dei con-flitti resta un’aspirazione irri-nunciabile, il sogno di un mon-do finalmente umano». Così ilfondatore di Sant’Egidio An-drea Riccardi.Solo un sogno la pace? In unodei 17 panel, il card. Poupard,francese ricorda la sua infan-zia quando i tedeschi gli veni-vano indicati come «ennemiséternels» (nemici per sempre).Poi egli va a studiare in Germa-nia. Oggi gli «eterni nemici»sono normali amici. Chi parlas-se di una guerra tra Francia eGermania farebbe ridere. Ma –ha concluso il cardinale – lapace non scivola spontanea-mente: per la costruzione del-l’Europa di pace ci sono volutiuomini di creatività e di fede.

Torre Pelliceil Sinodo

delle Chiesevaldesi

Dal 20 al 25 agosto si è svoltoa Torre Pellice (To) il Sinododelle Chiesi valdesi e metodi-ste, appuntamento importan-te nell’ambito del protestante-simo italiano. Vi hanno presoparte 180 membri con dirittodi voto (pastori e laici), pre-senti numerosi osservatoridell’Italia e dell’Estero.Nel corso della cerimonia ini-ziale è stata consacrata al mi-nistero pastorale GiovannaVenarecci di Fossombrone.I temi più rilevanti all’ordinedel giorno sono stati l’ecume-nismo, la diaconia, l’essere«chiesa insieme». «È vero chel’ecumenismo si trova in unmomento difficile – ha dettomons. Vincenzo Paglia, presi-dente della Commissione perl’ecumenismo e il dialogo del-la Conferenza episcopale ita-liana, ospite al Sinodo- ma ne-gli anni 50 lo era ancora dipiù». Il vescovo ha dedicatoampio spazio al tema dei mi-granti: «Non pochi provengo-no dall’ortodossia, dal mondoevangelico e dalla variegatagalassia pentecostale. Essihanno cambiato la geografiareligiosa italiana. E noi, co-munità storiche, ci troviamodi fronte a una nuova sfida».«A differenza dell’ecumeni-smo nessuno sa bene cosa siail dialogo interreligioso» hapoi notato il teologo valdeseFulvio Ferrario in una confe-renza stampa alla quale hapreso parte anche mons. Pa-glia. Entrambi si sono dichia-rati per una politica laica del-l’accoglienza, ancora più ur-gente del dialogo interreligio-so a livello teologico. Laicità,intesa come metodo di ap-proccio critico che non mettesotto il tappeto i valori in cuiuno crede, ma li dibatte e con-fronta. Al termine dei lavorimolto intensi dell’Assembleasinodale, di scelte e di decisio-ni, è stata confermata comemoderatora della Tavola la pa-stora Maria Bonafede.

Coranola parolae la sua

trascrizioneIl termine Corano, trascrizio-ne della forma araba«qur’an», una volta fissatanello scritto, nel corso deisecoli ha visto cristallizzarsiin rigidi precetti la sua fre-schezza spirituale ed etica.Tale è il giudizio di Moham-med Arkoun, professore eme-rito di storia del pensiero isla-mico alla Sorbona, per il qua-le un processo secolare haportato alle manipolazioni acui il testo oggi è sottopostoper scopi puramente ideolo-gici. L’illustre studioso sostie-ne la necessità di una reinter-pretazione ab imis del testosacro e in un dossier della ri-vista «Le Monde des reli-gions» (Parigi, sett/ott. 2006),dedicato appunto al Corano,ripercorre le tappe della tra-scrizione del Corpus ufficia-le chiuso (Coc) e ne riassumele manipolazioni, già altrovedettagliatamente analizzate.In particolare egli cita l’esal-tazione dei versetti che par-lano di tolleranza, giustizia,diritti umani, democrazia,mentre vede scartati con curagli enunciati che disturbano,sullo statuto delle donne, sul-le libertà dei cittadini, sulmetodo critico nella cono-scenza.

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da IL CORRIERE DELLA SERA, 9 settembre

da IL CORRIERE DELLA SERA, 10 settembre

da IL MANIFESTO, 9 settembre

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da LA REPUBBLICA, 9 settembreda L’UNITÀ, 8 settembre

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da FAMIGLIA CRISTIANA, 10 settembre da L’UNITÀ, 11 settembre

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da IL FOGLIO, 5 settembre

Come si prende una decisione:ce lo spiega il cervello

Studiare le basi neurobiologiche dei pro-cessi decisionali, con particolare attenzio-ne all’influenza del contesto entro cui av-vengono le scelte: questo l’obiettivo di unostudio pubblicato su Science, coordinato daBenedetto De Martino della University Col-lege di Londra. Cosa fa il cervello, e soprat-tutto quali aree della corteccia si attivano,mentre scegliamo – con maggiori o minorimotivazioni razionali – un’opzione piutto-sto che un’altra? Per scoprirlo il gruppo diDe Martino ha coinvolto venti soggetti inun semplice gioco d’azzardo, registrandoin tempo reale con la risonanza magneticanucleare l’attività delle zone del cervelloimplicate. Con una posta in gioco di 50 ster-line, ai partecipanti è stato chiesto in alcu-ni casi di scegliere se preferivano «guada-gnare» 20 sterline (delle 50), oppure scom-mettere la somma totale, con il rischio diperdere tutto (ma anche di vincere di più).In altri casi, i partecipanti potevano sce-gliere se «perdere» 30 sterline (delle 50 to-tali) o, anche in questo caso, rischiare tut-ta la posta in gioco. Pur identici nella so-stanza, i due scenari si presentavano dun-que in modo opposto. I risultati hanno vi-sto prevalere nei partecipanti la scelta dinon rischiare (57% delle volte), quando siprofilava un «guadagno», o al contrario, lascelta di rilanciare (60% delle volte) quan-do si prospettava comunque una «perdita».L’esperimento confermerebbe così la teo-ria del «framing effect» («effetto del conte-sto»), secondo cui ogni scelta è influenzata– a insaputa del soggetto – dal modo in cuile alternative vengono presentate. Un mec-canismo che sottolinea, in contrasto conla teoria economica delle decisioni secon-do cui l’uomo agisce sostanzialmente inmodo logico, la dimensione non-razionaledel comportamento umano. Meccanismoperaltro ben noto anche ai professionistidella pubblicità, del marketing e della po-litica. L’aspetto più interessante della ricer-ca inglese sono tuttavia i risultati della ri-sonanza, che mostra durante le prove ilcoinvolgimento dominante, soprattuttoquando è in atto il «framing effect», del-l’amigdala, una zona del cervello da cuidipende, insieme ad altre aree, la regola-zione del comportamento emotivo. «Que-sto ci conferma che la dimensione emotivaè comunque presente nei processi decisio-nali», affermano i ricercatori. Quando in-vece i partecipanti hanno risposto in anti-tesi allo schema del «framing», si osserva-va un’elevata attività, oltre che nell’amigda-la, in un’altra area, la corteccia cingolataanteriore, che viene coinvolta solitamentequando esiste un conflitto tra due sistemineurali, in questo caso quello «emotivo» e

quello, per così dire, più razionale. Secon-do i ricercatori questo secondo dato con-ferma il fatto che, anche quando il sogget-to fornisce una risposta più «lucida», il si-stema emotivo è comunque attivo e il cer-vello ne deve tener conto. Sarebbe anche ilcaso di altri partecipanti che non hannoagito secondo gli schemi del framing effecte il cui cervello si è dimostrato attivo peròin altre due aree ancora: la corteccia orbi-tale e medio-prefrontale, note per avere unruolo nell’integrazione delle informazioniemotive. I ricercatori ipotizzano che si trat-ti di persone che riescono ad integrare me-glio di altre un tipo di informazione piùanalitica con quella emotiva. Sarebberoquindi in grado di modulare le loro emo-zioni senza esserne affetti in modo diretto.

Terapie meno invasiveper il diabete neonatale

Una ricerca anglo-francese, i cui risultatisono pubblicati sulla rivista The New En-gland Journal of Medicine, mette in lucenuovi meccanismi genetici all’origine deldiabete neonatale, aprendo la strada a dia-gnosi più precise e a una terapia farmaco-logica basata sui sulfamidici. Il diabeteneonatale, piuttosto raro, comporta unaconcentrazione eccessiva di glucosio nelsangue (iperglicemia) e si tiene sotto con-trollo con delle iniezioni quotidiane di in-sulina, un ormone che in condizioni nonpatologiche viene prodotto dall’organismoe ha una funzione regolatrice della glice-mia. «Diverse anomalie molecolari sonostate già scoperte per spiegare questa for-ma di diabete», spiegano i ricercatori fran-cesi, «ma non rendevano conto di tutti i casiclinici in esame. Abbiamo quindi preso inconsiderazione la struttura genetica dellemolecole ricettrici dei sulfamidici, noti an-che come farmaci antidiabetici, in quantopermettono di aumentare la secrezione diinsulina e quindi di ridurre l’iperglicemia».Sequenziando la struttura genica di questiricettori gli scienziati hanno scoperto al-cune mutazioni, non precedentementenote, responsabili di bloccare la secrezio-ne dell’insulina. Le stesse molecole resta-no tuttavia «aperte» all’azione dei sulfami-dici, i quali secondo lo stesso studio hannoun’efficacia pari al 90% dei casi. E posso-no essere somministrati per via orale anzi-ché tramite iniezione. «Le ricerche mostra-no che è la genetica a fare la differenza.Conoscere la causa di questa forma di dia-bete ci ha aiutato a individuare il tipo difarmaco più adatto», spiegano i ricercato-ri. «Ora vogliamo testare un numero piùalto di bambini cui è stato diagnosticato ildiabete entro i primi sei mesi di vita percapire se è possibile modificare con suc-cesso la terapia».

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RESISTENZA E PACE

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la guerra fallitaRanieroLa Valle N

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informazioni - iscrizioni:Cittadella Cristiana – sezione Convegni – via Ancajani 3 – 06081 Assisi/PG –

internet: ospitassisi.cittadella.org – tel. 075813231; fax 075812445 – e-mail: [email protected]

61° convegno giovani 27-31 dicembre

in collaborazione con Agesci, Centro Sportivo Italiano, Exodus, Pax Christi

EXXXXXAGERO

la lanterna magica dei sensi e del tempoIl desiderio di uscire dagli schemi formali, ingessati e spesso in affanno di ossigeno, non-ché il bisogno di esplorare modalità altre di rapporto con la realtà, stanno alla base dellascelta del tema del 61° Convegno Giovani che intende intercettare la sete di esperienzeautentiche e di assoluto in nuovi compagni di viaggio.

EXXXXXAGERO:specie di logo intuitivo, quasi pregiudiziale provocatoria per affrontare tematiche non disin-volte: il sentire la realtà corporea e interpretare il tempo a partire dai contesti concretidiversi e simbolici.La metafora della lanterna magica indica come sentinella il sogno e il fascino dell'utopiache è di ogni giovane, nessuno escluso.Il convegno inizia mercoledì 27 alle ore 21 e termina il mattino di domenica 31 dicembre.

esercizi spirituali 6-10 novembre

per presbiteri, diaconi, laici, suore

la Lettera di san Paolo ai Romanicon don Oscar BATTAGLIA, biblista dell’Istituto Teologico di Assisi

È la più lunga, la più ricca di teologia, la più difficile delle tredici lettere di San Paolo: unaspecie di sintesi della teologia cristiana delle origini: per nutrire la nostra fede alle suesorgenti e per entrare in profondità nella spiritualità più genuina e impegnativa che la chie-sa delle origini ci ha trasmesso. Ancora oggi è la lettera di Paolo più studiata e commentata.Gli esercizi iniziano lunedì 6 alle ore 18; terminano venerdì 10 nel primo pomeriggio

essuno Stato arabo, e nemmenol’Autorità nazionale palestinese,è in guerra con Israele. Eppurela guerra è divampata durantel’estate in Medio Oriente. Ne èstato vittima il Libano, che non

è uno Stato canaglia, non costruisce bom-be atomiche, non sponsorizza il terrorismointernazionale e non è una dittatura da re-dimere.Quella che invece è in atto da tempo è unalotta armata tra Israele e le milizie irregolaridi Hezbollah e di Hamas. Essa è contrasse-gnata da azioni cruente da una parte e dal-l’altra. Il 25 giugno un commando palesti-nese ha rapito un soldato israeliano a Gaza;per parte sua Israele aveva sequestrato eimprigionato numerosi ministri del gover-no di Hamas e il presidente del Parlamentopalestinese; il 12 luglio le milizie di Hezbol-lah operanti dal Libano hanno preso due sol-dati israeliani ed altri ne hanno uccisi; Isra-ele da parte sua aveva compiuto omicidimirati di esponenti politici e militari di Ha-mas e di Hezbollah, aveva rioccupato Gazae vi aveva iniziato una serie di rappresaglie.Esclusa, ormai da molto tempo una soluzio-ne politica, la spirale di violenza tra le dueparti era destinata a durare all’infinito.È a questo punto che Israele ha giocato lacarta che, sulla base delle esperienze pas-sate, credeva vincente: la guerra. Israelegode di una differenza rispetto agli Statiarabi della regione: grazie alla sua poten-za militare e all’appoggio degli Stati Uniti,è l’unico che può fare la guerra. NessunoStato arabo, come dimostra da ultimol’esempio dell’Iraq, può stare in guerra conIsraele e con gli Stati Uniti e sopravvivere.Tuttavia Israele non ha vinto la guerra. Habombardato il Libano, ne ha distrutto leinfrastrutture, lo ha invaso, ha fatto scen-dere paracadutisti e commando nelle cit-tà, lo ha cannoneggiato dal mare, ha fattopagare alla sua popolazione un alto prezzodi vittime; ma a un certo punto ha dovutosmettere senza essere venuto a capo di nul-la. E ciò perché il Libano aggredito non èsceso in guerra con Israele, neppure perdifendersi. Non un soldato, non un mezzomilitare, non una batteria contraerea del-l’esercito regolare libanese ha accennatouna minima reazione di difesa. Non perchéil Libano abbia sposato la non-violenza, e

nemmeno perché le Forze armate abbianoavuto paura di combattere. Ma perché sa-rebbe stato un suicidio; la guerra sarebbediventata una guerra tra Stati, Israele avreb-be avuto titolo per giungere fino a Beirut eper assoggettare il Paese. Così il Libano halasciato che a resistere fossero gli irregolaridi Hezbollah, che sono divenuti eroi nazio-nali. E su questa impraticabilità della guer-ra si è inserita l’azione internazionale (inparticolare dell’Italia) e ha potuto scenderein campo una forza dell’Onu.Come andrà a finire nessuno può dirlo. Main tal modo Israele ha perduto la sua diffe-renza, e l’esercito è stato inutile. Ciò nonvuol dire che Israele non ha più nemici,ma sono nemici senza Stato e la guerra nonè atta a debellarli. L’idea di costruire degliStati nemici da sconfiggere in una veraguerra, l’Iran e la Siria, per ora non fun-ziona, e il mondo non ci sta.Ciò crea una situazione potenzialmente nuo-va in Medio Oriente. Con l’unilateralismodella forza, anche preponderante, non si puòchiudere nessuna partita. Ciò è stato verofino ad ora, nonostante le illusioni via vianutrite dai governanti israeliani, di risolvereil conflitto con i fatti compiuti, le colonie, larepressione, la decapitazione del movimen-to palestinese e da ultimo il tentativo di rin-chiudere i Palestinesi in riserve indiane cir-condate da un muro. Ma adesso la dimostra-zione della tragica inutilità della forza è giun-ta fino alla prova che neanche con l’esercitopiù potente si può contare su una guerra cheserva allo scopo. E allora se non si può farela guerra, ci vuole qualche altra cosa. Que-st’altra cosa è la politica, è il negoziato, è laricerca di soluzioni per le quali tutti possa-no vivere. A questo Israele non sembra oggiin grado di arrivare da solo. La reazione delprimo ministro Olmert dopo lo scacco liba-nese è stata di dichiarare non più attualequalunque progetto di ritiro anche parzialedalla Cisgiordania, e di promuovere nuoviinsediamenti e una più grande Gerusa-lemme. E intanto Gaza è ridotta alla fame.Ma se Israele da solo non è in grado di cam-biare la sua prospettiva, potrebbe finalmen-te farlo con la spinta e l’appoggio della co-munità internazionale, e soprattutto dell’Eu-ropa, che è tornata lì non solo con i soldati,ma per inventarsi una pace che finora nes-suno è riuscito a pensare. ❑

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le sfidedi Zapatero

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i strapperò la pelle pezzo per pez-zo, infame. Vieni qui se hai corag-gio. Il giorno che ti dovessi averefra le mani ti ammazzo con settecolpi»: chi si è rivolto così all’ini-zio di settembre al giudice spagno-

lo Felix Alfonso Guevara, presidente deltribunale di Madrid che lo doveva giudi-care, è Iñaki Bilbao, uno dei più determi-nati membri del movimento illegale bascoEta, in carcere per omicidio, che non riac-quisterà la libertà prima del 2032. Le sueparole, sintetizzano più di ogni altro argo-mento la complessità della sfida che haraccolto il presidente del governo spagno-lo José Luis Rodriguez Zapatero che inestate ha annunciato l’inizio di un dialogocon l’Eta, nella non tanto segreta speran-za di poter ripetere il successo del 2005 diTony Blair nei confronti dell’Ira nordirlan-dese che ormai ha completamente distrut-to il suo arsenale militare.Dopo aver proposto attraverso il Parlamen-to spagnolo, ed ottenuto il 22 marzo scor-so da parte dell’Eta (Euskadi ta Askatasu-

na, ossia Patria basca e Libertà, ndr.), unadichiarazione di «tregua permanente» inun conflitto che in 38 anni ha causato quasi1.000 morti, Zapatero ha potuto fare unpasso avanti annunciando l’avvio immi-nente del dialogo. In base ad accordi pre-liminari raggiunti in passato anche conBatasuna, considerato il braccio politicodell’Eta, lo schema scelto prevede la crea-zione di due tavoli di lavoro: uno fra tuttele forze politiche del Paese Basco, e l’altrofra l’organizzazione clandestina e il gover-no di Madrid.

il nodo delle autonomie

L’altro elemento che ha influito positiva-mente su questo processo ed incoraggiatoil leader socialista spagnolo a spingere an-che sul versante basco, è stata l’approva-zione avvenuta l’8 giugno in Catalogna delnuovo statuto di autonomia regionale cheintroduce nella legislazione del paese unconcetto nuovo, quello di «nazione», cheva nella direzione del consolidamento del

progetto di «Spagna plurale», illustrato daZapatero durante la campagna elettoralevinta nel marzo 2004, e che implica unanuova collocazione e maggiore spazio del-le regioni (Catalogna, Paese Basco e Gali-zia) nel sistema federativo spagnolo. An-che se il presidente del governo spagnoloha assicurato il 6 settembre al settimanaleDie Zeit che il processo di dialogo con l’Etacomincerà «nelle prossime settimane», lacongiuntura politica e sociale in Spagna ètale che i tempi di questo confronto saran-no più lunghi del previsto, visto fra l’altroche l’opposizione del Partito popolare (Pp)di Mariano Rajoy è decisa a fare tutto ilpossibile per frenare questo avvicinamen-to con l’Eta da lei considerato anticostitu-zionale.

terrorismo e emigrazione

Non favorisce di certo i piani di Zapaterol’instabile situazione internazionale riguar-dante la sicurezza e la lotta al terrorismo,un tema diventato prioritario a Madrid

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OLTRE LA CRONACA

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SPAGNA

RomoloMenighetti I

l partito che c’è senza esserci. È il Par-tito Democratico, di cui molto si par-la all’interno dei due maggiori rag-gruppamenti della coalizione di cen-trosinistra (Ds e Margherita).C’è, perché gli elettori in ben quattro

elezioni (europee 2004, regionali 2005,politiche ed amministrative 2006) hannovotato Ulivo, il simbolo che più esprime latensione e la speranza verso l’unità dellabase di centrosinistra. C’è, perché il quasiplebiscito che Prodi ha suscitato con le«primarie» dell’autunno scorso (più diquattro milioni di persone hanno pagatoper poterlo votare) ha dimostrato che ilpartito unico già esiste nella coscienza de-gli elettori. C’è, nei tanti comitati che spon-taneamente sono sorti e sorgono per solle-citarne la costituzione. C’è, nella speranzadi tanti cittadini desiderosi di incanalarela loro voglia di partecipazione in vista delbene comune, entro una struttura diversadagli asfittici partiti esistenti.Per contro non c’è, perché molti dei diri-genti dei due grandi partiti della coali-zione, con qualche autorevole eccezione,nicchiano, timorosi di vedere annacqua-ta la loro identità. Non c’è soprattuttoperché i partiti più piccoli, rilanciati dallalegge elettorale proporzionale di Berlu-sconi, non intendono rinunciare al mag-gior potere contrattuale e di ricatto chel’iniziativa del Cavaliere ha finito con l’at-tribuire loro. Infatti è difficile ipotizzareil loro appoggio a una riforma elettoralein senso maggioritario. Però tale riformasi rende indispensabile, oltre che per lagovernabilità, per rendere elettoralmen-te producente il partito unico.Dunque il percorso verso il Partito Demo-cratico appare arduo.Ciò detto, e comunque ipotizzando che ilPartito Democratico venga assunto comeobiettivo da parte dei diversi gruppi dellacoalizione, quali caratteristiche di fondodovrebbe avere per diventare la marcia inpiù della nostra macchina politica?Innanzi tutto dovrebbe porsi come riferi-mento ideale quello stesso che ispirò, nel1946 e 1947, i costituenti cattolici, laici,socialisti e comunisti, i quali seppero dar

vita a un innovativo progetto costituzio-nale, che armonizzò il meglio delle diver-se tradizioni ed ideologie, senza che nes-suno potesse rivendicarne l’esclusiva. Ilche significa che si deve pensare al Parti-to Democratico (ma perché non chiamar-lo Ulivo?) non come semplice alleanzaelettorale, e neppure come federazione dipartiti, ma come soggetto politico nuovo.Un soggetto che, superate le alleanze det-tate dalle emergenze, si ponga come ere-de dell’ispirazione democratica, solidari-sta e popolare dei due grandi partiti dimassa del dopoguerra, la Dc e il Pci, sen-za però gli schemi ideologici, ma anzi co-niugandola con le migliori tradizioni lai-che e liberali. Tale nuovo soggetto, ormailibero dai condizionamenti della GuerraFredda e dalle pregiudiziali antipartitiche,potrà finalmente affrontare efficacemen-te le sfide che la modernità pone alla no-stra democrazia, onde evitare che l’asso-lutizzazione del principio di maggioran-za degeneri in difesa corporativa dellamaggioranza benestante a danno di unaminoranza, per la verità in crescita, sem-pre più risucchiata verso la povertà.Al suo interno il Partito Democratico do-vrà poi dimostrare di saper andare oltreuna concezione minimalista della parte-cipazione della base, istituendo perma-nenti collegamenti cittadini-vertici, per fa-cilitare la circolazione di idee e propostee per selezionare i candidati. Una più ri-gorosa selezione degli eletti, dei ministri,dei governatori, dei sindaci ridarebbe di-gnità alla politica. Basta con gli improv-visatori. Basta con le dichiarazioni detta-te solo per conquistare un pezzo di tele-schermo. Il Partito Democratico dovràessere ponderato nelle elaborazioni, mafermo nelle decisioni. Dovrà insomma di-mostrare di saper fare meglio e di più,testimoniando una capacità di autorifor-ma esemplare per istituzioni e corpora-zioni.Solo così il Partito Democratico potrà es-ser un valore aggiunto per la politica ita-liana, e non semplicemente un partito inpiù tra i tanti.

il partito che già c’èdopo il disastroso attentato dell’11 marzo2004 che causò molte decine di vittime eche comunque costituì il colpo di graziaalle speranze elettorali del presidente delgoverno uscente popolare-conservatore,José Maria Aznar. Qualsiasi sussulto ter-roristico, o qualsiasi attentato nello scena-rio mediorientale, ha infatti l’effetto imme-diato di complicare possibili iniziative dinegoziato con gli ‘etarra’ baschi. In attesadi un miglioramento dello scenario gene-rale, il leader socialista ha comunque man-tenuto alto il suo profilo anche in questosettore. E, commentando le ammissioni delpresidente statunitense George W. Bushsull’esistenza di carceri clandestine dovesono stati reclusi potenziali terroristi, hareplicato di recente in un incontro con ilsegretario generale dell’Onu Kofi Annanche «la lotta al terrorismo è ammissibilesolo sulla base del rispetto dello Stato didiritto».Ma ancora di più ha frenato le ambizionidel governo di stringere sul tema del sepa-ratismo basco l’emergenza emigrazione,soprattutto dall’Africa. Se per l’Italia il fe-nomeno dei clandestini provenienti dalContinente Nero è argomento di attiva at-tenzione da parte del governo, in Spagnaesso ha il carattere di vera e propria emer-genza nazionale, visto che dall’inizio del-l’anno, soltanto alle Canarie sono appro-dati oltre 22.000 africani (5.500 in tutto il2005). Ciò costringe Zapatero da una par-te a difendere la sua politica di legalizza-zione che un anno fa ha beneficiato700.000 stranieri, ma dall’altra, per farefronte alle implacabili critiche dell’oppo-sizione, ad adoperarsi a livello internazio-nale affinché una più efficace iniziativaeuropea contribuisca a frenare l’arrivo didecine di navi di autentici disperati. Inquesto senso Spagna, Italia e Francia han-no avvertito i vertici comunitari di Bruxel-les che se la vicenda non verrà esaminatacon energia, i tre paesi andranno avantida soli.

un nuovo stile di governo

Nell’anno e mezzo che ha assunto il timo-ne delle sorti della Spagna, Zapatero hacercato di mantenere molte delle promes-se elettorali, ed ha introdotto mutamentinella legislazione nazionale, senza preoc-cuparsi delle reazioni avverse e confidan-do nell’approvazione da parte della mag-gioranza dell’opinione pubblica. Comequando ha sfidato ancora una volta il Par-tito popolare, accompagnato in questa oc-casione da gran parte del mondo cattoli-

co, sulla legge che ha legalizzato nel giu-gno 2005 i matrimoni fra persone dellostesso sesso definiti «un ulteriore passo nelcammino e della tolleranza». Inutile direche questo ha generato un’ondata di pro-teste ed importantissime manifestazioni dipiazza.Il suo stile di governo, convengono quasitutti gli analisti, è sciolto e spregiudicato.Non fa ricorso all’arte della politica comeper decenni è stata sviluppata nella secon-da metà del secolo scorso, ed anzi fa deldibattito politico, anche acceso, uno stru-mento per rendere effettivo il rinnovamen-to della società. Al riguardo Zapatero nonha avuto scrupoli per esempio quando hasollecitato la restituzione a Barcellona de-gli Archivi della repressione franchista inCatalogna che erano stati trasferiti a Sala-manca. O quando ha alimentato un dibat-tito sull’opportunità di rivalutare la Secon-da Repubblica, spazzata via dal generalis-simo Francisco Franco, per quello che haofferto sul piano delle conquiste sociali edella pari dignità della donna. Giungendoperfino ad immaginare, con buona pace diRe Juan Carlos e della regina Sofia, la na-scita in Spagna di una Terza Repubblica.Tutto questo non fa dimenticare al pre-mier socialista l’ambizioso progetto ri-guardante la soluzione del quasi cinquan-tennale conflitto con l’Eta. Ciò gli per-metterebbe di riuscire, e lui lo sa, laddo-ve i suoi due predecessori – Felipe Gon-zalez nel 1988 e Aznar nel 1999 – nonpoterono andare più in là di una manife-stazione di pie intenzioni. In attesa cheil clima che abbiamo descritto migliori,il fatto importante è che la tregua decre-tata dall’organizzazione indipendentistacontinua a tenere, nonostante il clamo-roso successo degli indipendentisti nelreferendum svoltosi in Montenegro cheha fatto gridare ad un simile scenarioanche in Spagna, l’invio di alcune lettereminatorie ricevute da industriali dellaNavarra, o l’eco delle dure parole pronun-ciate da alcuni irriducibili, come l’etarraBilbao, che abbiamo riprodotto all’iniziodi questa analisi.Zapatero, che vuole fare presto prima cheprolifichino manovre politiche in gestazio-ne per favorire la nascita di un partito spa-gnolo di centro, ha sostenuto che il cam-mino si presenta «lungo e difficile». A ri-prova, ha citato le dichiarazioni del leaderdi Batasuna Arnaldo Otegi, per il quale ilprocesso di dialogo «è bloccato» perché ilgoverno «cerca la resa» dell’Eta.

Maurizio Salvi

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FilippoGentiloni L

e religioni in prima pagina. Nonsoltanto in Medio Oriente: i variVoltaire e Marx sono stati assolu-tamente sconfessati. Ma non si puòcertamente affermare che il mon-do sia migliorato. Anche se i «pa-

lazzi» delle varie religioni parlano spessoe volentieri di pace, i conflitti – e i delitti –in nome di Dio sono all’ordine del giorno.Il tuo «Dio» da che parte sta?Non è facile distinguere lo scontro di reli-gione da quello di civiltà, di cultura, so-prattutto da quello politico. I livelli e lemotivazioni si confondono, quasi fino aidentificarsi. Così è decisamente perl’islam, ma anche il nostro cristianesimonon è fuori dagli equivoci. Roma continuaa proclamarsi per la pace e fuori dal con-flitto di civiltà, ma non la pensano così nonsoltanto gli Hezbollah ma buona parte de-gli africani e anche degli asiatici. Mezzo

mondo, a dir poco, pensa che Roma siadecisamente schierata con Washington econ i dollari di Wall Street. Un equivoco?Forse, in parte. Certamente un ostacolo siaa quella evangelizzazione che Roma di-chiara di perseguire, sia alla pace del mon-do.

un’alleanza perniciosa

Un equivoco che ha dietro le spalle unalunga e pesante storia. Risale alle con-quiste coloniali, alla croce accompagna-ta per secoli dalla spada, allo schiavismobenedetto dai vari campanili cristiani.Nonostante Francesco Saverio, Bartolo-meo de Las Casas e molti altri eroi, il cri-stianesimo si è presentato nel mondoasiatico, africano e latinoamericanocome alleato dei colonizzatori e deglioppressori. Dei ricchi, diciamo oggi più

un equ ivocoda sup erare

RELIGIONI E PACE

semplicemente ma non meno amaramen-te.Uno schieramento, una alleanza che le vi-cende più recenti non hanno rinnegato: lahanno, anzi, confermata.Come mai? Perché non si è affermato quelprimato dei poveri che pure l’evangelo pro-clama con chiarezza?Eppure non sono mancate le Madri Cabri-ni e le Teresa di Calcutta. Come sono ri-masti momenti di minoranza? Forse per-ché i cristiani non sono riusciti a intacca-re il dominio e l’ideologia del dollaro, trop-po forte? Forse perché l’annuncio evange-lico del primato dei poveri non ha intacca-to i palazzi ma è rimasto soltanto comeepisodio isolato? Forse perché contraddet-to da alcune posizioni etiche, come quellesul rischio Aids? Anche il tentativo più re-cente e consistente, quello della teologiapostconciliare della liberazione, soprattut-

to latinoamericana, non è riuscito a rivo-luzionare il trionfo anche cristiano del dol-laro. Forse per paura di quell’ateismo co-munista che le si era, a ragione o a torto,collegato.

lo sguardo dei poveri

In realtà ancora oggi mezzo mondo, inAfrica, in Asia, in America Latina, conti-nua a pensare che Roma e Washington si-ano alleate contro i poveri del mondo e cheil loro Dio continui a benedire le armi cheimpediscono loro di rialzare la testa. Unequivoco che è più che mai necessario su-perare: non bastano le invocazioni allapace se non saranno accompagnate da unaradicale revisione degli schieramenti del-la globalizzazione.

Filippo Gentiloni

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GiulianoDella Pergola D

cittadini italianiin cinque anni

SOCIETÀ

allo jus sanguinis allo jus loci.Ha fatto discutere durante que-sta afosa estate del 2006 la pro-posta d’offrire la cittadinanza ita-liana agli immigrati, purché pre-senti da almeno cinque anni sul

suolo italiano. A quali condizioni questagenerosa offerta?, si sono chiesti i vari com-mentatori. Che gli immigrati rispettino laCostituzione italiana con un giuramentodopo avere partecipato ad un breve corsosui fondamenti della civiltà repubblicanaantifascista? Che apprendano l’italiano,loro nuova lingua ufficiale? Che dichiari-no d’accettare le leggi italiane? Che svol-gano attività economiche e sociali legitti-me e riconosciute come tali? Che paghinole tasse? Insomma: come e perché si di-venta cittadini italiani?Innanzi tutto bisognerà sottolineare undato dal quale iniziare la riflessione: que-sta proposta di legge fa tabula rasa del prin-cipio per il quale si è cittadini italiani solose si nasce sul suolo italiano, da genitoriitaliani. Lo jus sanguinis, era il diritto delsangue, che portava a compimento un pro-cesso identitario, per il quale si è cittadinidi un certo Stato in quanto si può fare va-lere l’ascendenza carnale, dunque un ruo-lo ascritto, un’identità genealogica, senzapossibilità di scelta. Su tale diritto acqui-sibile solo per discendenza si fondava ilnostro Codice fascista. Oggi invece quelche conta è il passaggio dallo jus sangui-nis, principio identitario prima tribale, poifascista e nazista (e oggi solo leghista), allojus loci, che sostituisce l’ascendenza legit-tima (la limpieza de sangre del 1492 in Spa-gna, al tempo di Isabella di Castiglia e Fer-nando d’Aragona) con un più democrati-

co e moderno principio legato alla mobili-ty, come avviene negli Stati Uniti d’Ameri-ca, popolo d’immigrati.Lo jus loci parrebbe il nuovo paradigmacui rifarci, e questa considerazione vienelogicamente prima d’ogni altra condizio-ne. Con questa direzione di marcia l’Italiadiventa più moderna. In breve, lo jus locis’acquisisce, senza più mamma, sangue,ascendenza e genealogia.Solo le forze politiche più retrive non ac-cettano questo salto, ma quelle progressi-ste che vogliono cambiare il paese, volen-tieri acconsentono al superamento del vec-chio ordinamento basato sul diritto delsangue. Detto questo, e preso atto dellanuova direzione di marcia, tutti i proble-mi rimangono aperti, e per nulla risolti.

integrazione, multiculturalità, cittadinanza

L’integrazione sociale non coincide con lapiatta accettazione dei valori più diffusi econsolidati. Un conto è l’integrazione so-ciale, cioè una politica sociale non fonda-ta sulla marginalizzazione e la ghettizza-zione, ed un altro è l’integrazione socialecome accettazione dello statu quo che sitrova.L’integrazione non è l’accettazione dellatradizione della maggioranza, che ovvia-mente un immigrato non conosce e nonsa valutare. Integrazione sociale è una re-ciprocità: tu vieni da me e io ti accetto. Tioffro di stare qui, e riconosco che la tuapresenza tra di noi svolge un ruolo attivo,sviluppa valori, aiuta la civiltà, permetteuna convivenza più avanzata. In compen-so tu che cosa vuoi da noi? Cosa chiedi?Cosa sai fare? Che lavoro svolgi? Che atti-

vità vuoi intraprendere? Che valori ci of-fri? Chi sei? Quali legami immagini di po-tere instaurare, venendo qui?In che cosa è migliore una società mul-tietnica rispetto a quella chiusa, localisti-ca? Essa è migliore perché allarga gli scam-bi, favorisce il mercato, consolida le rela-zioni tra gli uomini, fa sì che essi si cono-scano meglio, rompe i preconcetti, allar-ga le forme della convivenza e permettealle culture d’incontrarsi, di dialogare ed’approfondire reciprocamente la cono-scenza. Naturalmente, poi, permette amarginali e non specialisti d’entrare nelmercato del lavoro, con il riconoscimentodi ruoli e di aspettative reciproche. Tutta-via, poiché la formazione della societàmultietnica è sempre, per sua natura, con-flittuale (poiché ad un certo ordine socia-le sostituisce un altro ordine, che ancoranon c’è, e che è da consolidare e struttura-re), il processo rimane irto di difficoltà. Lapiù grande, e detta senza mezzi termini, èquella che i nuovi arrivati possano esseresfruttati da coloro che detengono il poterelocale e lavorino sì, trovino sì un’occupa-zione, ma in nero, come provvisori, comemarginali: se essi anziché entrare nel mer-cato del lavoro servono solamente per fa-vorire la sua flessibilità (restando dunque«un esercito di riserva»), nessuna societàmultietnica nascerà mai. Al suo posto an-drà consolidandosi semmai una doppiastratificazione sociale tra i locali e gli im-migrati, gli uni sopra e gli altri sotto; gliuni privilegiati, gli altri marginali. Quasiovunque nel mondo assistiamo a questapessima soluzione sociale, foriera di dram-matiche diseguaglianze. Pertanto, imma-ginare una forma d’integrazione sociale

che realmente sia degna di questo nome,non significa fare conoscere la Costituzio-ne, organizzare corsi di lingua italiana erendere gl’immigrati soggetti imponibili alfisco. Tutte queste misure hanno la lororilevanza, ma non possono essere ritenutele più importanti.Invece, ce n’è una, di misura sociale, chenon può essere omessa, ed è quella di con-sentire liberamente ai nuovi arrivati di or-ganizzare la propria attività come meglioessi credono, sviluppando la propria intel-ligenza e perseveranza, producendo atti-vità nuove, arricchendo con nuove inizia-tive la vita associata che essi trovano giàpredisposta. Questa è precisamente la for-ma d’integrazione sociale che dovrebbeessere sviluppata, quella dell’autonomia,della libera crescita, della formazione diaree di lavoro che prima non esistevanoed ora, proprio per la presenza di immi-grati da paesi diversi, possono irrobustir-si. La vera integrazione non si risolve inun banale appiattimento dei diversi suivalori maggioritari, ma al contrario la veraintegrazione deve tendere a produrreun’aumentata differenziazione sociale,cioè ricchezza umana. La vera integrazio-ne gioca sì la carta della dialettica tra va-lori maggioritari e valori minoritari, masoprattutto gioca la crisi dei valori mag-gioritari per il sopraggiungere di altre cre-denze (morali, politiche, religiose, lingui-stiche, culturali, formative, professionali,lavorative, economiche, ecc.), le quali pro-ducono innovazione. Sosteneva Durkheimche le immigrazioni sono sempre fattoredi cambiamento, la figura dell’immigratoè fonte di trasformazione, produce inno-vazione, differenziazione umana. I matri-

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TERRE DI VETRO

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SOCIETÀmoni misti, che volgarmente vengono chia-mati meticciato, o imbastardimento, alcontrario sono linfa vitale, mutamentogenetico, arricchimento cromosomico.Non voglio fare l’elogio incondizionato del-la società multietnica, perché siccome soche il suo affermarsi si fonda sul conflittosociale e non sull’integrazione, credo chechi dubita di tale formula abbia sempre unpizzico di ragione. Ciò su cui invece sonosicuramente in disaccordo è quella che unasocietà multietnica venga intesa comeun’opportunità di sfruttamento dell’immi-grato, come braccia e non come uomo,come un animale e non come un mio si-mile, come un inferiore e non come un miopari, come una persona da ricostruire, suivalori della società maggioritaria.

una sfida in Italia

Queste riflessioni valgono per tutti i paesiin cui al binomio «territorio locale - popo-lazione locale» va sostituendosi la differen-ziazione antropologica moderna fondatasulla mobilità universale. I flussi migrato-ri vanno intesi come del tutto omologhi alladiffusione del computer, ai telefonini, allavoro in tempo reale, alla globalizzazio-ne delle opportunità e delle culture. Un’al-tra fase della vita dell’uomo, un’altra epo-ca storica, va sostituendosi in questi de-cenni a quella che fin qui avevamo studia-to e vissuto. Le questioni immigratoriesono parte essenziale di questa trasforma-zione generale ed è inutile mettere vincoli,limiti, dogane e controlli polizieschi. Laterra è una sola e l’umanità è una sola: gliuomini girano sulla terra e vanno dovevogliono. Tutta la storia dell’uomo è storiadi spostamenti, di migrazioni, di traslochidi massa. Le Lampeduse sono mille, glisbarchi sono innumerevoli, i raggiri dellefrontiere praticati da milioni di uomini.Arrivano congelati nascosti nei frizer deicamion, celati sotto un monte di tappeticaucasici, clandestini sulle navi, truccativalicano montagne, inermi e sfiniti giun-gono sulle spiagge a nuoto, con passaportifalsi, carte d’identità improbabili, permessidi soggiorno inventati in Perù, o in Paki-stan, o nelle Filippine. Le varie Guardie diFinanza dei molti paesi ricchi occidentali,Italia compresa, non possono controllarlitutti. Il loro lavoro permette d’individuar-ne solo una modesta quota. È un lavoroantistorico, il loro. È un lavoro, quello delcontrollo alle frontiere o sulle coste o nel-le isole, che va contro una poderosa fugadalla miseria e dalla fame, dal sottosvilup-po cronico, dall’analfabetismo, e che è

sospinto da un forte bisogno di affermazio-ne individuale (e di gruppo), da una neces-sità impellente di superamento dell’indigen-za, dalla volontà di cambiare le proprie sor-ti, e poi farsi una famiglia, avere un’occu-pazione, possedere risorse economiche ade-guate, magari anche un po’ di cultura.La tendenza storica generale è evidente,sotto gli occhi di tutti, preda d’ogni gior-nale. Quel che capita da noi si ripete conmodalità differenti, ma con la stessa logi-ca, ovunque. Ed è impossibile che un’or-ganizzazione, statuale e fiscale, autorita-ria e burocratica, per quanto dotata di tec-nici di settore ben addestrati, infrastruttu-re e potere adeguato, possa arginare que-sto strabocchevole movimento migratoriodal sud al nord del mondo, che pesca lesue motivazioni nelle più dilatate e strut-turali forme di diseguaglianza esistenti trale molte popolazioni che abitano il piane-ta. L’Occidente è meta di un movimentomigratorio africano, latino americano edorientale di dimensioni imponenti che par-rebbe inarrestabile.Dunque, quello dell’integrazione socialenon può essere pensato, come pare vogliafare Galli della Loggia, offrendo piccolericette, per una migliore conoscenza dellaCostituzione, per l’apprendimento dellalingua e per la conoscenza delle leggi loca-li in vista di una loro accettazione di mas-sima. Certo, queste modeste proposte nonsono sbagliate, di per sé seguono una cer-ta logica. Ma sono talmente inadeguate ri-spetto alla scelta in favore di una produ-zione della differenziazione sociale, qualeforma specifica dell’avvento della societàmultietnica, da apparire semplicemente ir-risorie. Al fondo, si capisce che una sceltaprofonda in favore della multietnicità an-cora appare e che, al suo posto, sonnec-chia invece una pragmatica ma modestaprospettiva-tampone, in attesa di che cosa,non si capisce bene. Il lavoro sociale an-drebbe invece impostato, a partire dallascuola di base, e i sindacati, l’associazio-nismo di base, giovani e militanti, potreb-bero trovare un loro posto come formato-ri, organizzatori, animatori sociali capacidi sviluppare azioni con la popolazione lo-cale per integrare gl’immigrati nelle diver-se maglie della società, tutelandoli dallosfruttamento e ancorandoli in attività pro-duttive legali, riconosciute e socialmenteutili, attraverso cui essi liberamente po-trebbero integrarsi mantenendo la loroidentità originaria (perdendo la quale, essiperdono tutto).

Giuliano Della Pergola

gni mestiere ha i suoi momentimagici, quelli che ti fanno dire«ecco perché lo faccio». Sono disolito combinazioni felici di diver-si ingredienti, alchimie che assu-mono significati individuali e per-

sonalissimi. Per me sono circostanze comequeste: gruppi di persone, professionalitàe appartenenze diverse che lavorano insie-me e «producono» processi condivisi e ri-sultati concreti di cambiamento.Oggi è così: ho di fronte a me un gruppod’amministratori locali, operatori socia-li, medici e psichiatri, volontari Caritas eparenti di pazienti psichiatrici che hannotrovato il gusto di lavorare assieme per lapromozione della salute mentale. Se loscruti con un po’ di distacco, puoi rintrac-ciare le tante e a volte profonde differen-ze tra le persone che siedono intorno aquesto tavolo. Differenze d’età, per dirneuna: maturi medici in vista del traguardodella pensione e giovani tirocinanti volon-tari. Ma anche di ruolo sociale e gradod’istruzione: psichiatri laureati e specia-lizzati che hanno fatto dello studio dellamente la loro professione e genitori chein qualche caso non sono andati oltre l’ob-bligo e faticano a tenere il passo dellagrammatica. C’è chi ha scelto di occupar-si dei disturbi mentali per professione, chiè stato chiamato suo malgrado a gestire iproblemi di parenti o figli e chi ha decisodi occuparsene gratuitamente nel tempoche rimane libero da occupazioni e fami-glia. Difficile immaginare che tali asim-metrie riescano a collaborare e creare ini-ziative concrete. Se uno conosce un po’ ilmondo della sanità e dei servizi sociali saquanto profonde possano essere le diffe-renze e le distanze di ruolo: non solo trautenti/pazienti e operatori, ma anche tramedici, educatori e assistenti sociali, cia-

scuno con proprie ottiche se non defor-mazioni professionali.Eppure eccoci qui, a progettare e realizza-re campagne contro lo stigma, concorsi dipoesia, conferenze nelle scuole e corsi pernuovi volontari. Mi sono domandato spes-so che cosa faccia funzionare questo mi-crocosmo, quale sia il collante segreto chenonostante tutto spinge queste persone aricercare legami e obiettivi comuni. Misono alla fine convinto che non si trattad’empatia, né di capacità d’ascolto (talvol-ta invece assai carente) né della necessitàdi fare rete. Sì, indubbiamente conta lasensazione diffusa di essere sempre più solie sguarniti (in termini di risorse finanzia-re e di personale) di fronte all’aumentare eal diversificarsi dei bisogni cui risponde-re; è certamente anche questo che ti spin-ge a cercare alleanze finora inedite, comeforse l’enfasi (talvolta eccessiva) posta sul-l’integrazione delle reti sociali.Ma qui, signori, c’è di più: c’è la Pazienza,quella con la maiuscola.Pazienza, o disponibilità a farsi carico del-l’altro, nonostante l’altro. Quella pazienzaallenata dal faticoso contraddittorio quo-tidiano e dal confronto con contraddizio-ni che ti fanno così spesso ricominciaredaccapo, con depressioni paralizzanti daiprogressi millimetrici, con percorsi tortuo-si di cui non s’intravede la fine. Quella pa-zienza abituata a fare quasi a meno dellasperanza di una svolta, di un cambiamen-to radicale che non sia quello imprevedi-bile e minaccioso dell’umore.E allora cosa vuoi che siano le difficoltà diun gruppo come questo? Si litiga, si nego-zia, talvolta ci si annoia o si ha l’impres-sione di perdere tempo, ma che vuoi chesia? Difficile scoraggiarsi, impossibile get-tare la spugna. Ce n’è ancora. E di quellacon la maiuscola.

OlivieroMotta O

pazienza

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PietroGreco S

ono bastati in luglio pochi giorni dicaldo torrido per parlare di un’Ita-lia ormai risucchiata dai tropici acausa dei cambiamenti climatici inatto. Poi è venuto agosto, con le suepiogge insolitamente copiose e le

temperature piacevolmente basse, per far-ci dimenticare l’effetto serra.Sono bastate a luglio poche persone urti-cate da un’alga tossica lungo le coste ligu-ri e un accenno di inflorescenza da mucil-lagini in Adriatico per farci parlare di scon-volgimento degli ecosistemi marini lungole coste italiane. È bastato poi un agosto«normale» per farci dimenticare la migra-zione delle specie e l’erosione della biodi-versità.

meglio di altri paesi

L’estate dei media, si sa, è una stagioneparticolare. In cui fioriscono fulminei gliallarmi seguiti, poi, da fragorosi silenzi. Siprefigurano scenari apocalittici che, però,non suscitano attenzione che per lo spa-zio di un mattino. Il clima e la natura sonouna delle dimensioni in cui si esercital’estate effimera dei media. E a inizio set-tembre siamo tutti un po’ frastornati: mainsomma, qual è la condizione dell’am-biente in Italia? Quanto e di cosa dobbia-mo preoccuparci? Quanto è ineluttabile ecosa, invece, possiamo ancora fare?Le domande non sono banali. Perché,come ci insegnava il saggio Esopo, gridareal lupo senza essere certi di averlo vistorende meno credibile l’allarme quando illupo si presenta davvero.

Cosa possiamo, dunque, dire sul-l’«ambiente Italia» e, in particolare, sul suoclima e sulla sua biodiversità, ovvero sullostato di salute dei suoi animali e delle suepiante, in mare come in terra?Iniziamo da un dato. Un recente studiocomparato, il «Pilot 2006 EnvironmentalPerformance Index» realizzato negli StatiUniti da scienziati della Yale University edella Columbia University, colloca l’Italiaal ventunesimo posto tra i paesi del mon-do per stato dell’ambiente. Dopo Gran Bre-tagna e Francia, tra i grandi paesi. Ma pri-ma di Germania, Spagna, Olanda e StatiUniti. Siamo addirittura secondi, dopo ilGiappone, tra i paesi ad alta densità de-mografica. Insomma, il nostro ambientenel suo complesso non sta male. O, comun-que, non sta peggio che negli altri paesi.L’indicazione è tanto più significativa per-ché tiene conto sia della salute ambientaledella popolazione umana (livello della sa-nità, mortalità infantile, accesso all’acquapotabile, inquinamento degli ambienti in-terni, articolato urbano) sia della qualitàambientale (ozono, ciclo dell’azoto, acqua,aree protette, produzione sostenibile dilegno, agricoltura, pesca, efficienza ener-getica, energie alternative, produzione procapite di anidride carbonica).Anche per quanto riguarda la biodiversitàabbiamo molte ragioni per essere fieri (eresponsabili): il nostro paese, infatti, ospi-ta un terzo del patrimonio faunistico ditutta l’Europa, ricco – secondo un recentee documentato rapporto realizzato dalWWF con il Corpo forestale dello Stato –di 70.000 specie, di cui ben 1176 sono di

vertebrati, tra cui 198 di mammiferi, 473di uccelli e 479 di pesci. Ancora più ricca èla flora italiana che con oltre 6.000 speciee con 48 diverse tipologie di paesaggi (eco-sistemi) rappresenta addirittura la metàdell’intera diversità botanica d’Europa.Abbiamo una ricca biodiversità sia nellezone umide, che nelle foreste che a mare,lungo le nostre coste.Questo è, dunque, il patrimonio di parten-za dell’Italia: una elevata qualità della vitadella popolazione, un ambiente robusto euna ricca biodiversità. Su questa condizio-ne agiscono due grandi processi globali: ilcambiamento del clima e l’erosione dellabiodiversità.

il cambiamento del clima

Nel primo caso abbiamo alcuni dati certi.La temperatura media del pianeta, nell’ul-timo secolo, è aumentata di quasi un gra-do. Una quantità notevole. Negli ultimi duesecoli, è aumentata anche la concentrazio-ne di anidride carbonica (del 30%) e di al-tri gas serra in atmosfera. Tutti i modelliscientifici dicono che i due andamenti sonocorrelati. E praticamente tutti concorda-no sul fatto che il cambiamento del climaè frutto, anche, dell’azione dell’uomo e, inparticolare, del massiccio utilizzo di com-bustibili fossili che produce, appunto, gasserra.La velocità del processo è nettamente au-mentata negli ultimi decenni ed è tipicadei grandi cambiamenti climatici.Il fenomeno globale ha riflessi anche inItalia. Nel nostro paese la temperatura

media è aumentata, in un secolo, di 0,6gradi (meno della media). E questo sem-bra aver modificato il clima locale. Alcunezone sono diventate più secche. I ghiac-ciai alpini si sono quasi tutti ritirati. Men-tre sembrerebbe essere mutato il regimedelle piogge, con un aumento della fre-quenza degli eventi meteorologici violenti(che mette a dura prova la tenuta idrogeo-logica del nostro territorio, peraltro feritodall’abusivismo edilizio).

specie a rischio

Anche sul fronte della biodiversità è in attoun cambiamento globale. Il numero dellespecie viventi sul pianeta negli ultimi de-cenni è diminuito. Le specie muoiono conuna velocità che è di 1.000 volte superiorea quella dei «periodi normali» e che sem-bra essere persino superiore a quella del-l’inizio delle cinque grandi estinzioni dimassa conosciute nel corso degli ultimi 600milioni di anni. Gli esperti calcolano cheil 12% delle specie di uccelli, il 23% dellespecie di mammiferi, il 25% delle conife-re, il 32% degli anfibi e il 52% delle cicadi(piante tropicali) sono a rischio di estin-zione prematura. Il cambiamento del clima e l’erosione dellabiodiversità sono correlati. Si calcola, peresempio, che il 20% delle specie di pescipresenti oggi nel Mediterraneo siano direcente immigrazione, provengono dalMar Rosso o dall’Atlantico, presumibil-mente a causa del cambiamento della tem-peratura delle acque. Ciò mette a rischiomolte specie endogene, in genere meno

AMBIENTE ITALIA

il futuronelle nostremani

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SVILUPPOSOSTENIBILE

perché la disuguaglianza sociale non soloè ingiusta in sé, ma è anche uno dei fattoriche contribuiscono a rendere più pesantel’impronta umana sull’ambiente.Contro questo concetto di sostenibilità, daRio in poi, sono scesi in campo, con diver-se tattiche e diverse strategie, almeno trepotenti partiti avversari. Quello degli scet-tici, i quali sostengono che l’intuizione sulruolo ecologico globale che avrebbe assun-to l’uomo è, par l’appunto, un’intuizione.E che non ci sono prove scientifiche suffi-cienti né per trasformare l’intuizione inuna proposizione verificata, né tantomeno, per supportare una politica attivadi sviluppo sostenibile.È facile dimostrare che, al contrario, inquesti ultimi lustri le prove scientifiche nonsolo sono aumentate, portate in manieraindipendente da ricercatori delle più diver-se discipline, ma la cultura scientifica in-torno al concetto di sostenibilità ha datoluogo alla nascita di una scienza, la Su-stainability Science, che non si oppone allascienza consolidata, ma ne è una compo-nente evolutiva. Insomma, è nelle univer-sità e nei centri di ricerca di tutto il mon-do che vengono realizzate idee, indagini eteorie che corroborano i presupposti scien-tifici dello sviluppo sostenibile. Sono, dun-que, le persone preoccupate e non gli scet-tici a fondare le loro convinzioni su solidascienza.Tuttavia contro lo sviluppo sostenibile èsceso in campo anche un secondo partito,più pragmatico e pericoloso. Il partito dicoloro che dichiarano di perseguirlo – pen-sate a George W. Bush – e, in realtà, simuovono in direzione opposta. È questotrasformismo che ha logorato il concetto– in maniera estremamente pericolosa.

l’economia della decrescita

Ed è questo trasformismo che ha favoritol’emergere di un terzo partito: il partito dicoloro che propongono di abbandonare alsuo destino il sostantivo e l’aggettivo, perproporre nuovi termini – decrescita – e unanuova radicalità. Se vogliamo salvare l’am-biente in cui l’uomo vive – sostiene peresempio il sociologo francese Serge Latou-che – dobbiamo costruire una società in cuisemplicemente diminuisce la produzione.Perché l’impronta umana sull’ambiente hagià raggiunto la soglia limite e non puòcontinuare ad aumentare.Inutile dire che questo partito ha i suoiaderenti soprattutto dentro il movimentoecologista. Il percorso che indicano è giu-sto. Occorre costruire una nuova econo-

mia e un nuovo modo di produrre che nonsiano fondati sul consumo di beni mate-riali e di energia non rinnovabile. Non c’èalternativa. Abbandoniamo le chimere ne-oliberiste. Abbandoniamo il mito (e il rit-mo) dell’affluenza. Governiamo questoprocesso, prima che sia la penuria di ri-sorse – di capitali della natura – a imporlo.Tutto giusto. A patto però – come sostieneGianfranco Bologna, docente presso l’uni-versità di Camerino, direttore generaledella Fondazione Aurelio Peccei e diretto-re scientifico del Wwf Italia, in un suo re-cente libro (Manuale della sostenibilità,Edizioni Ambiente, pagg. 332) – di chiari-re che la decrescita non significa affattodiminuzione di benessere.Sia perché si può e si deve costruire unanuova economia fondata sulla conoscen-za in cui vengono scambiati con poca ener-gia (speriamo rinnovabile) non beni mate-riali – al netto di quelli necessari a una vitadignitosa – ma beni immateriali.Sia perché si può e si deve costruire un’eco-nomia più equa. Non è più sostenibile –appunto – un mondo che produce ricchez-za come mai nella sua storia e, nel mede-simo tempo, produce disuguaglianza comemai nella storia.Sia, infine, perché si può costruire un’eco-nomia in cui il benessere è un benesserecollettivo diffuso, e non un benessere indi-viduale fondato sul consumo di beni ma-teriali.

meno beni ma più benessere

L’economia della decrescita non è un’eco-nomia dove – semplicemente (si fa per dire)– si produce meno. È un’economia dove siproducono meno beni materiali ma si pro-duce più benessere immateriale.Se non diciamo questo, la diminuzione deiconsumi, il governo del fattore affluenza ela proposta dell’economia della decrescitaassumono i caratteri di un progetto vellei-tario. Persino masochistico. Sbagliato neicontenuti e assolutamente incapace di rac-cogliere il consenso necessario per impor-si.Ma un’economia della decrescita che pre-suppone l’aumento del benessere diffusodelle persone, anche attraverso la tuteladell’ambiente, non è altro che l’idea fon-dante dello sviluppo sostenibile. E allora –se la sostanza della proposta non cambia– perché abbandonare un termine entratonell’immaginario dell’umanità, per un ter-mine che può risultare ambiguo?

Pietro Greco

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aggressive o competitive.Anche il cambiamento della biodiversitàha riflessi misurabili in Italia. Si calcolache siano oltre 1.000 le specie botaniche arischio di estinzione (il 17% del totale). Chele specie di invertebrati a rischio siano 343(0,5% del totale) e che quelle di vertebratisiano almeno 338 (ben il 30% del totale).Ma la stima è cautelativa. In realtà è con-siderato a rischio di estinzione il 56% del-le specie di pesci, il 41% dei rettili, il 40%degli anfibi, il 39% dei mammiferi e il 32%degli uccelli.Ma questi dati sono già delle proiezioni.Degli scenari possibili. Ma non certi. Né,tanto meno, degli scenari inevitabili.Il problema delle proiezioni nel futuro de-gli andamenti in atto è il problema piùdelicato. Perché il sistema clima e, ancorpiù i sistemi ecologici sono complessi ehanno un tasso intrinseco di imprevedibi-lità. Inoltre molte variabili dipendono dal-l’uomo e dai suoi comportamenti coscien-ti: cosicché gli scenari variano in funzionedelle scelte politiche che andiamo adottan-do.Per quanto riguarda il clima, gli scienziatihanno messo a punto dei modelli al com-puter della sua evoluzione che sembranoabbastanza affidabili. Anche se molte re-stano le incognite. Questi scenari prevedo-no che, entro il 2100, la temperatura me-dia del pianeta possa aumentare ancora.L’aumento possibile è all’interno di unaforbice molto grande, addirittura enorme:da 2 a quasi 6 gradi. In questa forbice sonoinclusi effetti molto diversi tra loro. Uneffetto certo sarebbe l’aumento del livellodei mari e una modifica dei regimi meteo-rologici. Inoltre è molto probabile che alcambiamento del clima siano associati ef-fetti sanitari (aumento dell’incidenza dialcune malattie), economici (costi perl’adattamento, sconvolgimento di diverseeconomie, soprattutto agricole) e sociali(aumento del numero dei profughi am-bientali).Anche in Italia il cambiamento del climapotrebbe provocare degli effetti notevoli,anche se di portata inferiore rispetto aquelli che si verificheranno in altre partidel pianeta. Le ipotesi più fondate sono chele regione meridionali del paese vadanoincontro a un clima più secco, oltre chepiù caldo, con associato rischio di deserti-ficazione di molte zone. Al nord, invece,potrebbe prevalere un clima tropicale conmaggiore frequenza dei fenomeni meteo-rologici estremi.Per quanto riguarda la biodiversità, gli sce-nari possibili indicano in una estinzione

prematura a scala globale compresa tra il15 e il 37% delle specie viventi nei prossi-mi cinquant’anni. In questo caso ci avvici-neremmo molto a una grande estinzionedi massa (perdita di almeno il 60% dellespecie), ma con una velocità mai conosciu-ta nella storia della vita.Tutti questi scenari possono essere, se nonribaltati, certo modificati dalla volontàdell’uomo o, se volete, da un cambiamen-to delle sua azioni. Sul clima è in atto unprocesso – il processo di Kyoto – che ten-de a diminuire le emissioni antropiche digas serra. Se il processo verrà portato atermine in tempi ragionevoli, gli scenaripeggiori previsti dagli scienziati potrannoessere evitati e gli effetti del cambiamentodel clima ridotti.Analogo il discorso per la biodiversità.In entrambi i casi l’Italia ha qualcosa dafare. In primo luogo deve recuperare ilritardo accumulato dal governo Berlu-sconi e abbattere nei prossimi anni le sueemissioni di gas serra. Inoltre deve spin-gere, insieme all’Unione Europea, perchécon accordi multilaterali si apra rapida-mente una fase di lotta globale all’effet-to serra che vada oltre il Protocollo diKyoto.Per quanto riguarda la biodiversità, inve-ce, occorre incrementare le politiche diconservazione già in atto: sia aumentandole aree protette, sia creando una rete diconnessione tra di loro che consenta allespecie di diffondersi, sia infine aumentan-do gli studi. Sulla biodiversità, anche ita-liana, sappiamo ancora troppo poco.

se...

In conclusione. Dall’estate mediatica pos-siamo trarre profitto. Se impariamo a di-stinguere tra i dati affidabili da quelli nonaffidabili che riguardano il presente e ilpassato. Se comprendiamo che le dina-miche ambientali sono molte e comples-se, e seguono cammini diversi e tortuo-si, talvolta in apparenza contraddittori.Se impariamo a distinguere gli scenariprobabilistici affidabili e da quelli del tut-to infondati che riguardano il futuro. Ese, soprattutto, non ci lasciamo prende-re dall’ansia e dal senso di impotenza, macapiamo che gli scenari affidabili sonorealizzati dagli scienziati proprio per es-sere falsificati. Il futuro dell’ambiented’Italia e del mondo non è già scritto. Ènelle nostre mani. Dipende, in larga par-te, da noi.

Pietro Greco

AMBIENTEITALIA

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ETICA POLITICA ECONOMIA

GianninoPiana I l concetto di sviluppo è uno dei perni

fondamentali attorno ai quali ruotal’attività economica e politica; essocostituisce il paradigma di riferimen-to per misurare il livello di promozio-ne della vita collettiva. Nonostante le

apparenze, non si tratta tuttavia di un con-cetto univoco. E questo non solo perchénon sempre lo sviluppo economico coin-cide con quello sociale, e più ancora, conquello umano globale, il quale include an-che le dimensioni spirituali dell’esperien-za umana, ma soprattutto perché la suadefinizione varia a seconda delle concezio-ni che si hanno dell’uomo e del mondo,cioè in rapporto al senso che si conferiscealla vita. Questo significa che si danno con-cezioni diverse dello sviluppo, le quali rin-viano a diverse antropologie, e che lo stes-so sviluppo economico, che è l’oggetto pre-valente di queste riflessioni, può esserevariamente inteso – non essendo scorpo-rabile dall’uomo (l’economia è, per defini-zione, una scienza umana) – a secondadell’ideologia cui si fa riferimento.

il concetto di «sviluppo» oggi dominante

La conferma di questa visione è fornitadalla storia. Il concetto di sviluppo preval-so in epoca moderna, soprattutto a partiredalla rivoluzione industriale (e tuttora lar-gamente dominante in ambito economi-co), si ispira ad un modello rigidamentequantitativo. Il livello dello sviluppo vienemesso in rapporto con la crescita produt-tiva, cioè con moltiplicazione dei beni;coincide, in altri termini, con la massimiz-zazione della produttività – è questa unadelle leggi fondamentali della teoria clas-sica dell’economia – la quale presuppone,a sua volta, l’accumulo del profitto e losfruttamento illimitato della natura, con-siderata come mero contenitore di risorse

a totale disposizione dell’uomo.Dietro a questa lettura della crescita eco-nomica vi è, per un verso, una visione del-l’uomo come homo oeconomicus, la cui re-alizzazione è direttamente proporzionaleal quoziente di beni di cui può disporre, e,per altro verso, l’adesione all’ideologia delprogresso indefinito di stampo illuminista– ideologia che ha acquisito sempre mag-giore autorevolezza a seguito dell’enormeespansione della tecnologia – che guardaal futuro con l’ottimismo di chi ritiene chel’umanità si evolva costantemente in me-glio e che si diano in natura risorse illimi-tate (perciò inesauribili) con cui far fronteai bisogni umani e diffondere in modo sem-pre più esteso il benessere.Queste convinzioni, fino a non molti de-cenni fa considerate indiscutibili, sonoentrate profondamente in crisi. Da un lato,è infatti cresciuta, negli ultimi anni, l’esi-genza di attenzione ai «beni immateriali»,e dunque la necessità di superare la visio-ne economicistica delineata; dall’ altro, èvenuta meno l’idea della crescita illimita-ta e lineare a seguito della consapevolezzadel limite delle risorse (molte delle qualinon rinnovabili) e dell’accentuarsi dell’in-quinamento, che mette in serio pericolobeni essenziali per la vita come l’aria, l’ac-qua e la terra. Senza dire – ed è questo unelemento di grande preoccupazione – chele sperequazioni tra Nord e Sud del mon-do continuano a crescere, provocando ildiffondersi di uno stato di grave conflit-tualità e moltiplicando i focolai di guerra.Sono queste le ragioni dell’odierna criticanei confronti del modello di sviluppo inatto; critica che viene avanzata in più di-rezioni, non ultima quella economica, so-prattutto per la constatazione dell’impos-sibilità di mantenere gli attuali livelli diespansione senza provocare, a breve sca-denza, il suicidio del sistema.

ripensare lo sviluppo alla lucedei bisogni umani

Il superamento dell’attuale stato di impas-se esige anzitutto la creazione di una nuo-va coscienza aperta a una concezione in-tegrale dell’uomo e della sua crescita, nonsolo materiale e non limitata ad alcuni (po-chi) fortunati – singoli e popoli – ma pro-iettata in una dimensione universalisticae inoltre attenta ad un corretto rapportocon l’ambiente, nonché al bene delle gene-razioni future. Lo sviluppo umano va dun-que commisurato a parametri di integrali-tà – tutto l’uomo – e di estensione – tuttigli uomini –; ma tale sviluppo deve anchefare propria una prospettiva diacronicanon dimenticando l’esigenza di consegna-re a coloro che verranno un mondo abita-bile.Il concetto di «sviluppo economico» vadunque integrato nel quadro di una visio-ne più ampia e va valutato in base a criterinon puramente quantitativi, ma capaci difare spazio ad altri elementi quali l’atten-zione a una equa distribuzione dei beni, laricerca di una produzione che risponda abisogni veri e che tenda anzitutto a soddi-sfare le esigenze di chi è più marginale e,infine, il rispetto dell’ambiente, tenendo inseria considerazione il limite delle risorsedisponibili, perciò utilizzandole con par-simonia, ed evitando forme di inquinamen-to che rischiano di penalizzare gravemen-te la natura, con danni incalcolabili per lavita dell’uomo.

verso una visione qualitativadello sviluppo

Lo «sviluppo» che occorre perseguire devedunque caratterizzarsi per un’attenzioneprivilegiata alla dimensione «qualitativa»;deve cioè puntare, come ultimo (e decisi-

vo) traguardo, alla promozione di una mi-gliore qualità di vita, senza rinunciare perquesto all’incremento della produttività: èinfatti necessario produrre di più se si vuo-le distribuire di più. Si tratta di promuo-vere, in altre parole, uno sviluppo compa-tibile con le esigenze di crescita umanaglobale e capace di utilizzare in modo cor-retto le energie esistenti, avendo cura dinon alterare l’equilibrio dell’ecosistema.La situazione attuale è, in proposito, assaiprecaria. Gli aspetti più problematici sonocostituiti dalla scarsità di beni cosiddetti«posizionali», la cui espansione, a differen-za di quelli materiali, è legata a fattori tantodi ordine fisico che sociale, e dalla dimi-nuzione di opportunità sociali – non solosul terreno lavorativo, a causa dell’accen-tuarsi di fenomeni come la disoccupazio-ne e la flessibilità (che coincide in largamisura con la precarietà) – ma anche sulterreno della comunicazione: si pensi ailimiti imposti all’interscambio relazionaleda una cultura in cui la moltiplicazione dellepossibilità di informazione va di pari passocon il dequalificarsi del comunicare.Il processo produttivo in corso non gene-ra dunque soltanto gravi squilibri sociali alivello mondiale e uno stato di pesante de-terioramento del pianeta, ma penalizza glistessi soggetti – i popoli dell’Occidente –che l’hanno voluto, sia a livello economicoper la presenza di tendenze involutive, chea livello personale e relazionale per l’avan-zare di processi di omologazione sociale eculturale che attentano all’identità dei sin-goli e dei popoli. Solo da una svolta radi-cale, che privilegi l’aspetto qualitativo del-lo sviluppo, è possibile sperare in un rin-novamento dell’economia, che la pongarealmente al servizio dell’autentica cresci-ta umana.

Giannino Piana

lo sviluppo tra q uantità e qualità

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SOCIETÀ

la transizione infinitaGiovanniBianchi I

n una società globale liquida l’Italiapolitica resta tremendamente fluida eimprevedibile. Perché?Riflettiamo troppo poco sulla circo-stanza che il nostro è l’unico Paese almondo che dopo la caduta del Muro

di Berlino ha azzerato tutto il precedentesistema dei partiti di massa. Non è succes-so così in Germania dove pure il Muro insi-steva. Non è successo in Francia. Non èsuccesso neppure tra il milione dei Lussem-burghesi… Da noi invece c’è chi è incappatoin Tangentopoli, chi nei furori della Lega diUmberto Bossi, chi è andato alla Bologni-na, chi ha passato le acque a Fiuggi… Ripe-to: è crollato lo chassis dei partiti di massa,grandi agenzie sul territorio di formazionedi un pensiero e dei comportamenti dellagente. Vale per questa circostanza quel cheil grande Hegel amava ripetere: sempre lapolitica nasce da quel che non è politico, edè chiamata a dargli forma. Qui stiamo. E cistiamo da troppo tempo perché abbiamopreso più di un abbaglio ed attaccati i buoi,come si dice, dalla parte sbagliata del car-ro. In troppi hanno pensato che la nostrasia una crisi di regole, addirittura una crisicostituzionale, mentre invece è una crisi po-litica, di idee e di comportamenti, e cometale chiede di essere affrontata. Per questole forze politiche, i partiti chiedono di esse-re ricostruiti intorno a idee e persone nuo-ve: operazione che non si fa dall’oggi al do-mani e che richiede passione e lunga pa-zienza. Per questo Gabriele De Rosa, l’ulti-mo sturziano doc, ha definito «transizioneinfinita» la crisi che stiamo attraversando.

un paese profondamente cambiato

Come se ne esce? Prendendola sul serio enon equivocando. La liquidità sociale nonè un problema dell’oggi soltanto. Sono allenostre spalle le grandi fabbriche e il lavora-tore con una coscienza di classe compiutae visibile; una cinquantina di contratti dilavoro sono lì a testimoniare di una fram-

mentazione che è diventata precarietà e diuna precarietà che ha invaso l’esistenza:mandiamo i giovani all’università e poicome posto gli offriamo un call center. Lefigure sociali si scompongono. Le metro-poli si fanno caotiche e appaiono abitateda frotte di nuovi nomadi. In tanti si met-tono in caccia di una nuova identità sen-tendosi dolorosamente privati di quella pre-cedente. Sono processi che attraversano lapolitica. Bossi al Nord, col suo leghismorozzo ma precorritore, inventa il mito deiCelti: perché in politica, diversamente chenella vita reale, uno i genitori se li sceglie.Inventa le scampagnate pagane lungo il Po,il rito delle ampolle riempite alle sorgentidel Monviso e poi vuotate nella laguna diVenezia, con una operazione idraulica to-talmente inutile ma di evidente e ricercatovalore simbolico. Perché? Perché senza fon-damento culturale e popolare non si da’politica duratura. Bossi Umberto da Gemo-nio non ha la preparazione culturale e nep-pure l’aristocrazia intellettuale di Alain DeBenoist, le sue liturgie non richiamano l’at-mosfera del Walhalla e fanno pensare a unavia di mezzo tra i cartoni di Holliwood eun’osteria padana, ma servono a creareun’atmosfera per militanti politici strappa-ti alla sola lettura della Gazzetta dello Sport.Tutto ciò sta a dire che tutto il Paese è cam-biato e profondamente cambiato. Che leculture politiche – che non sono i libri ma icomportamenti della gente nella quotidia-nità e sul territorio – sono tutte chiamate arifare i conti con le proprie radici e con nuo-vi progetti. Che una seconda fase del pro-cesso di secolarizzazione è in corso e inavanzata fase di compimento. Il Belpaesenon è più ex democristiano e neppure excomunista. Dopo il successo del no al refe-rendum costituzionale non è probabilmentepiù berlusconiano senza essere diventatoprodiano. Sarà di chi, avendolo interpreta-to, saprà dargli un progetto credibile, nonper una parte degli Italiani ma per tutti.Perché finora ci si è limitati a cavalcarne

gli umori e a gridarne le proteste. A rappre-sentarlo mediaticamente e rumorosamen-te, pensando, come dicono i Francesi, chel’immagine sia in grado di mangiare il ter-ritorio. E invece, grazie a Dio, le cose nonstanno così.

due visioni del nostro futuro

Ricordate il secondo dibattito televisivo preelettorale tra Berlusconi e Prodi, quellomonitorato da Bruno Vespa? Due conce-zioni del mondo a confronto, due visionidel nostro futuro. Ero stato invitato con uncollega da un sindaco della fascia urbana asud di Milano per introdurre il dibattito trai cittadini raccolti intorno a un maxischer-mo piazzato nella sala consiliare. Dissi cheavevo sentito un brivido lungo la schienaquando Berlusconi asserì che vi sono cer-tuni in Italia che pretendono che al figliodell’operaio spettino i medesimi diritti delfiglio dell’imprenditore: mio padre lavora-va alla manutenzione degli altiforni dellaFalck. Soprattutto, osservai, sono convintoche mai Pella o Merzagora, due dei perso-naggi più a destra della Democrazia Cristia-na, avrebbero pronunciato un’espressionedel genere né l’avrebbero neppure pensata.Neanche Malagodi, leader del Partito Libe-rale, si sarebbe spinto così in là. Aggiunsianche che mi chiedevo e chiedevo ai pre-senti quale delle due visioni del mondo fos-se maggioritaria nel nostro Paese. Da partemia ritenevo che la maggioranza degli Ita-liani la pensasse come Berlusconi, che co-munque avrebbe perso le elezioni perchéaveva governato male…Il problema non è azzeccare le previsionielettorali, ma fare seriamente i conti con levisioni di vita che si confrontano dentro quel-la che abbiamo chiamato la «transizioneinfinita». Vuol dire in soldoni che il vecchioPremier passerà più tempo ad Arcore che aRoma ma che con il berlusconismo faremoi conti ancora per un lungo periodo. Perché?Perché Berlusconi è per molti versi l’auto-

biografia di questo Paese negli ultimi decen-ni. E non soltanto perché è il padrone diMediaset, ma perché incarna lo spirito deltempo, che è tutt’altra cosa rispetto ai con-ciliari «segni dei tempi». La voglia di ac-quisire, di primeggiare, di esibirsi non èbagaglio esclusivo del populismo berlusco-niano: è il modo di vita più diffuso tra gliItaliani a partire dalla fine degli anni ottan-ta. In chi già riesce a vivere così e in chi nonriesce ancora ma spera di arrivarci presto.Quel che occorre è una riflessione seria, chepoco si concilia con le letture veloci dellarealtà cui ci siamo assuefatti. Diceva a pro-posito delle letture veloci Woody Allen conuna delle sue battute fulminanti: «Ho fattoun corso di lettura veloce. Ho letto Guerra ePace. Parla della Russia»…

una riflessione sul nostro passato recente

Quel che occorre è dunque un esame delnostro passato recente, uno sguardo suglianni dei movimenti e della esasperazioneideologica. Uno sguardo su un processogenerale che vide la società civile nel suocomplesso impegnata a recuperare dignitàe autonomia rispetto ai partiti politici che,pensati dal testo della Costituzione comeassociazioni e come raccordo tra il socialee le istituzioni, avevano poi finito per farsiStato allontanandosi dalla gente e dai suoibisogni vanificando i canali della parteci-pazione. È la lunga stagione, soprattuttonella sinistra di matrice marxista, delle co-siddette «cinghie di trasmissione». Diversoil discorso per il mondo cattolico, più av-vezzo al pluralismo e qualche volta alla con-fusione. Qui, nel mondo cattolico, si tratte-rà piuttosto di «rompere il collateralismo»con la Democrazia Cristiana, ossia il reti-colo di rapporti che teneva collegati al par-tito di maggioranza relativa Acli, Cisl,Coldiretti, Laureati Cattolici. E saranno leAcli di Livio Labor a lanciare di fatto sulteatro italiano la parola d’ordine della rot-tura dell’ unità di voto dei cattolici (mai del

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resto pienamente realizzata) e a pagarne ilprezzo con la famosa deplorazione di papaMontini dopo il convegno di studi di Val-lombrosa dell’estate del 1971. Ripercorrerei diversi periodi rintracciando il senso deimovimenti è operazione utile e necessaria,senza indulgere però nella tendenza a rico-struire a posteriori la linearità di una storiache non c’è e neppure nell’ inflazione dellecosiddette «giornate della memoria» chehanno trasformato l’Italia in un intermina-bile viale delle rimembranze.

gli anni del terrorismo

Trento e Torino si mossero prima di Berke-ley e di Parigi. Dalla matrice operaista na-scono gruppi che al contatto con il mondodegli studenti si ideologizzano fortemente eche produrranno quella escalation movimen-tista che risulterà responsabile di non pochio piccoli passi fuor della via. Si crea cioè e sivive nell’illusione che nel Belpaese basti unaspallata per far cadere insieme il capitalismoe il partito al governo. Un’onda che non ri-guarda soltanto le sinistre estreme ma chelambisce anche ampi settori sindacali e del-l’associazionismo cattolico e laico. Al puntoche, se non si compie uno sforzo di com-prensione su quel che è accaduto e sul per-ché è accaduto, certi problemi ce li ritrove-remo di fronte, sia pure sotto fogge diverse.Non a caso una pagina rimossa nelle analisiè quella sul terrorismo. Un terrorismo scon-fitto dallo Stato ma anche da una grandemobilitazione sindacale. Risultavano alloracentrali le grandi fabbriche («Fiat e Pirelliladri gemelli», si cantava nelle manifestazio-ni). Oggi le grandi fabbriche non ci sono più:c’è e continua ad esserci la democrazia dife-sa dai lavoratori. Caddero sotto il piombodei terroristi delle Brigate Rosse uomini checercavano le riforme: da Moro a Bachelet,da Ruffilli a D’Antona. Il Paese parve para-lizzato tra quelli che sempre Aldo Moro chia-mò «i due vincitori»: la Dc e il Pci. La politi-ca si mosse e provò a creare nuove aggrega-zioni e nuove sigle, non di rado prigionieredell’ingenua illusione che il mondo stesse ine-sorabilmente marciando in una determina-ta direzione e che gli uomini consapevoli nonpotessero starsene fuori, fossero credenti ofossero laici. Ricordo amici aclisti che para-gonavano la lunga marcia di Mao all’Esodo,e non sempre era chiaro se Mao avesse co-piato Mosé o viceversa…

il Sessantotto fu alba o tramonto?

Venne Papa Giovanni XXIII e chiarì chementre le ideologie restano ferme e blocca-

te nella loro ostinazione letterale, i movi-menti storici evolvono a prescindere dalleideologie che li hanno originati. Interroga-tivi e dilemmi che hanno attraversato leaule e il teatro della Pro Civitate Christia-na. Con una domanda epocale che non ciabbandona perché è rimasta inevasa: il Ses-santotto fu alba o fu tramonto?Mentre lasciamo agli storici l’ardua senten-za, e mentre continuiamo ad interrogarcisulle ragioni per le quali il sessantottismoha prodotto da noi gli anni di piombo men-tre negli Stati Uniti e altrove ha accompa-gnato movimenti a diverso titolo libertari –si pensi ai romanzi e ai poemi della beatgeneration o al teatro di strada di JulienBeck e Judith Malina – dobbiamo fare con-ti molto seri con quel che resta di quel checi siamo abituati a chiamare post fordismo.Con il termine riformismo, che è incredi-bilmente finito sotto tutte le bandiere cul-turali e politiche di destra, di centro e disinistra. Che proprio per questo ha finitoper trasformarsi in una banale espressionesecondo la quale l’economia viene accetta-ta come ospedale da campo dei morti e deiferiti prodotti dal mercato nella globalizza-zione. E dove il minimalismo sociale riman-da a uno Stato a sua volta «minimo».

partita aperta

Resta una impegnativa riflessione di Zac-cagnini a ricordarci che le parole riformi-smo e gradualismo contengono la memo-ria di un’ansia di cambiamento profondo edi un’aspirazione invincibile. Resta dentrola crisi infinita della democrazia della rap-presentanza la convinzione che le ragionidel solidarismo cristiano superano la finedelle classi sociali, nel profilo conosciutonel secolo che ci sta alle spalle, perché ruo-tano intorno alla persona nella duplice tra-scendenza che Mounier ci ha indicato: quel-la orizzontale e quella verticale. Insomma,la partita è di nuovo aperta. Anche dal pun-to di vista di chi guarda agli avvenimenti ealle circostanze sforzandosi di leggervi i«segni dei tempi». Ha ragione Simone Weil:quando voglio sapere quanto di divino c’èin un uomo non guardo a come mi parla diDio, ma a come mi parla delle cose terrene.Sguardo che certamente non esime dalprendere parte e dal lottare duramente perraggiungere uno scopo. Resta sempre vero che per fare la frittatabisogna rompere le uova. Anche se il mon-do è pieno di gente che passa la vita a rom-pere le uova senza mai fare una frittata.

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SOCIETÀ 64° CORSOINTERNAZIONALEDISTUDICRISTIANI

senzai sandali dell’identità?

Anna PortogheseRaniero La Valle

Dagli abissi «misteriosi e lumi-nosi» della vita interiore che lopsicologo Borgna cerca diesplorare acutamente, fino al-l’odierno meticciato che il te-

ologo Gibellini non esita a esaltare; dallaevocazione della domanda di Bonhoeffer«Chi sono io?» all’impegno di Rita Borsel-lino verso quanti non riescono sottrarsi allemaglie della piovra mafiosa, ai risvolti po-litici dell’identità prospettati dall’on. Fer-rero, lo svolgimento del tema dell’identità,

oggetto del 64° Corso internazionale di stu-di alla Cittadella, ne ha fatto emergere leattuali dinamiche.Che cos’è l’identità?he cs’è l’identità?Se, infatti, è un bisogno umano essenzialeessere riconosciuti attraverso il divenire enell’interscambio dei rapporti, nell’attua-le contesto pluriculturale ospitanti e ospi-ti sono costretti a scoprire l’alterità in unasituazione di timore di vedere invaso il pro-prio territorio, di dover ristrutturare le pro-prie forme di vita, i propri sistemi simbo-

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l fatto che dopo l’esplorazione del filo-sofo e dello psicologo, che ci hannoparlato dell’identità in se stessa, la pri-ma relazione di questo corso mettal’accento sull’identità nella storia, in-dica già un punto fermo, una opzione

interpretativa precisa: e cioè che non si dàidentità se non nella storia. E ciò in un du-plice senso: che non esiste altro luogo chela storia degli uomini in cui l’identità sipuò manifestare – tutte le identità, anchel’identità di Dio – e che l’identità di cia-scuno non è data, ma si fa, e si compiesolo alla fine della storia personale di cia-scuno. Ciò è vero sia in senso mondano esecolare, dove ormai si è affermata unaconcezione dinamica ed evolutiva dellapersona, sia in senso religioso e salvifico,dove l’identità del cristiano è proiettata nelfuturo quando raggiungerà la «piena ma-turità di Cristo» Ef. 4.13 . E la stessa iden-tità di Cristo come figlio di Dio si è com-piuta non al principio, alla nascita, ma allafine con la Resurrezione.Che l’identità sia collocata nella storia e chesenza storia non si dia identità, vuol direche l’identità non è assoluta, ma è relativa.Non è un Dio a cui sacrificare vittime, sitrattasse pure di identità collettive, comel’identità ariana, l’identità americana, l’iden-tità europea, l’identità ebraica. Ridotta aidolo, l’identità è cieca e sorda e muta; eallora l’unica sua relazione con le altre iden-tità, egualmente ridotte ad idoli, non puòche essere di violenza. Lo scontro di civiltàè questo; è uno scontro di feticci, e dunqueun falso scontro, che copre ben altre inci-viltà e ben altri conflitti.

l’immagine dei sandali

Il grado di relatività e di precarietà dell’iden-tità è tale che voi l’avete paragonata a unpaio di sandali. Ed è in questi sandali chel’identità cammina nella storia. Ora le im-magini non sono casuali: consciamente oinconsciamente trasmettono un messaggio,una tesi. Il messaggio è che l’identità è ne-cessaria, ma nello stesso tempo è povera, efacilmente può essere perduta. L’identità ènecessaria perché ci vuole il centro di im-putabilità di ogni rapporto; bisogna poter

RanieroLa Valle I

dire: io sono.Ora nella Bibbia i sandali sono considera-ti necessari, ma di vilissimo prezzo. Nonvalgono niente. Tanto che per rappresen-tare plasticamente la smodata ingiustiziaverso il povero, dice il profeta Amos: «Han-no venduto il giusto per denaro e il poveroper un paio di sandali» (Amos 2, 6). Il po-vero vale meno dei sandali e l’identità delpovero è ritenuta così vile, che il poveroviene venduto a basso prezzo. In una solaespressione viene qui rappresentata l’aber-razione della società antica, dove i poveri,cioè i servi, gli schiavi, erano venduti abuon mercato ed erano proprietà del pa-drone: come dirà icasticamente Aristote-le, «il servo è l’uomo di altri».Dunque noi dobbiamo sia difendere l’identi-tà, perché non sia svenduta come un paiodi sandali, sia riconoscerne la relatività e laindigenza; indigenza vuol dire che non ba-sta a se stessa, ma ha bisogno degli altri.Ora queste due cose non sono due, ma sonouna cosa sola. L’identità si difende solo sela si gioca, se la si gestisce non come undeposito da custodire, ma come una risor-sa da mettere in comune e da far crescerein mezzo a tutte le altre risorse.Questo vuol dire che non si può difenderel’identità allo stato puro. Preservare l’iden-tità dalla contaminazione vuol dire distrug-gerla. Nei lavori preparatori del Concilio laCommissione teologica presieduta dal car-dinale Ottaviani aveva preparato uno sche-ma di documento, che poi giustamente cad-de, intitolato «De deposito fidei pure custo-diendum». Il deposito della fede deve esse-re custodito puro. Ma che cosa vuol direpuro? Chi l’ha lavato? Jacob Taubes, unebreo che ha studiato San Paolo, ponevaqueste domande alla cultura tedesca checon Kant voleva attingere la «ragion pura»e con Kelsen pretendeva di enunciare la«dottrina pura» del diritto. E Taubes dice-va che puro voleva dire che stava fuori dal-la realtà ed era indenne dalla storia. Se ildiritto è puro, e non si fa investire dalla sto-ria, non è più diritto. Così se il deposito dellafede è puro, vuol dire che è morto.Rimanere puri vuol dire non farsi contami-nare. Ma poiché non esiste identità senzacontaminazione, restare puri vuol dire es-

se l’identità camminacon la storia

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64° CORSO INTERNAZIONALE DI STUDI C RISTIANIlici, sicché l’analisi identitaria si colora diaccenti rivendicativi delle differenze o dichi vede l’altro come minaccia. Eppure ilmeticciato è sempre stato il procedere dellastoria.L’identità è dinamica, l’io non può afferrarese stesso se non scoprendo ciò che è altroda sé. La personalità cresce con i rapporti,è stato dimostrato; l’identità forte è para-dossalmente quella più flessibile e apertaal dialogo con le diversità. Il solo modo didifendere e salvaguardare le civiltà, le cul-ture, le religioni, i propri peculiari modi divita è di giocarli, di metterli in rapporto, dipromuovere la reciproca fecondazione.Eminenti studiosi di vari ambiti (antropo-logico, filosofico, psicologico, storico, poli-tico, etico...) si sono confrontati tra loro condignità e ampiezza di visioni e con il pub-blico degli oltre 400 partecipanti, su questie altri filoni del Corso.In particolare, se «l’avvenire è del metic-ciato», se il meticciato non è una minac-cia, bensì una occasione di crescita di per-sone e di culture, occorrerà «una politicadel riconoscimento» per dirla con CharlesTaylor, che la laicità dello Stato dovrebbegarantire.Alla laicità (diversa dal laicismo, come hatenuto a precisare il giornalista CorradoAugias), il Corso ha dedicato tutta unamattina, affidandola al giornalista e al teo-logo morale Giannino Piana: laicità intesacome spazio di confronto tra etiche e at-teggiamenti individuali e sociali diversi,ambito in cui tutti, anche gli stranieri de-vono sentirsi accolti, capiti e accettati nel-la loro diversità. In tal modo la laicità si faspazio di dialogo e di recupero di principifecondi di senso, condivisi con l’ethos del-la ragione umana. La fatica del dialogo, enon lo scontro di culture, può avvenire gra-zie alla laicità dello Stato.A questo punto il Corso ha affrontato unodei nodi più complessi dell’identità, quel-lo dell’identità religiosa, per la quale il ri-ferimento al sacro e ai simboli religiosi vis-suti in funzione identificante sono oggitroppo spesso usati come giustificativi didrammatici conflitti, a sostegno di precisiinteressi politici. C’è purtroppo l’identitàingessata del fondamentalista, ma anchequella del religioso che si declina come«religione civile». La tentazione per la chie-sa oggi è quella di identificarsi con l’Occi-dente, di ridursi a religione civile. È statala ridefinizione attuale di «Che cosa è diCesare, che cosa è di Dio?» fatta dal mo-naco Enzo Bianchi, a riportare, con un’ap-passionata riflessione sull’identità cristia-na, il senso dello spendersi per l’altro, di

chi sa testimoniare la povertà in un mon-do consumista, il perdono in una societàconflittuale, di chi non si svende con i pri-vilegi, di un cristianesimo che non difen-de mai la propria cultura, ma s’incultura.E nel divenire storico della Chiesa la bibli-sta Virgili ha ricordato che proprio dallamescolanza tra giudei e stranieri ha origi-ne il nuovo popolo di Dio.Ma nella polis i cristiani devono sapermanifestare che cercare Dio è sempre cer-care l’uomo nella concretezza delle suescelte di vita, per la costruzione di una cit-tà che sia davvero per l’uomo. L’identitàcristiana dice apertura al mistero dell’al-tro e guarda a un modello che è trinitario,che intreccia cioè unità, diversità, relazio-ne. In un cristianesimo anche «feriale» chenon significa cristianesimo banale (sem-mai il contrario) ma, dice la teologa Seba-stiani, un cristianesimo imperniato sullafede pasquale in Gesù Cristo, che «perforale apparenze consuete della realtà per ren-dere evidente e comunicativo almeno unbarlume del mistero, del dono di Dio perla vita del mondo».Il saluto del Vescovo di Assisi all’inizio delCorso, accennando all’identità di san Fran-cesco, aveva posto con delicatezza l’accen-to sulla dinamica della conversione. Se no,che identità cristiana sarebbe quella chenon mira a una vita in pienezza con la di-sponibilità a cambiare? Il filosofo Givoneha ripercorso in modo rapido ma puntua-le soprattutto le fatiche del pensiero clas-sico tedesco di fronte al problema dell’io.La lettura critica dell’opera «Miserere» diGeorge Ronault fatta da Tony Bernardiniha ricordato anche le maschere dell’ego.L’arte, pure in questo caso, ha offerto ri-flessioni, passioni, sospensioni ironiche,sprazzi del divino.E a proposito dei molti modi di dire Dio,per non rischiare di spacciare per vange-lo ciò che è forma culturale, l’intervista aRaimon Pannikkar, di madre cattolica epadre hindu, ha aperto spiragli su una ri-cerca nuova nella quale l’identità del mi-stico si è giocata sul cantus firmus del di-vino e il contrappunto delle espressioniculturali. La categoria dell’unicità del sog-getto e dell’amore di Dio ne hanno fattoda sfondo.Tante altre cose il Corso ha detto e mo-strato. Dopo questa veloce panoramicaRocca si sofferma ora su un aspetto, quel-lo storico, affrontato da Raniero La Valle,che di seguito qui viene integralmenteproposto.

Anna Portoghese

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sere senza identità.Basta guardare alle nostre biografie. Quan-to noi siamo noi, e quanto siamo fatti deglialtri? Io ho un’età che mi rende sensibilealle biografie. Infatti ho superato quel limi-te che secondo la Bibbia è il limite postoalla vita dell’uomo: «gli anni della nostravita sono settanta» (Ps. 90, 10). Per fortunané io né Dio siamo fondamentalisti e nonprendiamo la Bibbia alla lettera, e perciòsono ancora vivo. Però dopo i 70 anni hoscritto un libro, e un altro ne sto scrivendo,che in un certo senso si possono considera-re la mia autobiografia, che vuol dire ciòche sono e ciò che penso.Ma il primo è fatto delle persone più signi-ficative che ho conosciuto, il secondo è fat-to dei libri che la Provvidenza mi ha fattoincontrare, per usare una frase in tutt’altrocontesto sfuggita un po’ incautamente a PioXI. E io credo, a questo punto della mia vita,di essere quella cosa lì, le persone che hoincontrato e i libri che ho letto, anche se ildiscorso è il mio.

un punto cruciale

Io credo che per uscire dall’arrogante ideo-logia dell’identità, noi dobbiamo fare i conticon la religione. La religione infatti vienespesso sentita ed invocata come fattore diidentità, invece che come veicolo della fede.Gli atei devoti, i non credenti cristiani allaBenedetto Croce, sono questo: atei quantoalla fede, cristiani quanto all’identità. Le ra-dici cristiane dell’Europa non sono rivendi-cate per dare ad essa un compito di pace egiustizia tra le nazioni, ma per darle un’iden-tità nella Costituzione Europea nel miglioredei casi, e nella crociata contro l’Islam nelpeggiore dei casi, alla Pera e alla Fallaci.Ma c’è una ragione per la quale la religionegioca un ruolo così importante nelle rivendi-cazioni identitarie. E la ragione è che alla base,e forse all’origine di molte patologie dell’iden-tità, c’è un’idea religiosa precisa, che per lareligione stessa ha rappresentato una sciagu-ra, dalla quale dobbiamo ancora veramenteuscire. Questa idea è stata l’idea della purità.Essa ha accompagnato la nascita dell’ebrai-smo e poi ha segnato il passaggio dall’ebrai-smo al giudaismo, al momento del ritornodall’esilio.La principale iniziazione che fin dai tempiantichi gli ebrei dovevano ricevere, era quel-la che li rendesse atti a distinguere tra sa-cro e profano, tra impuro e puro. Dice ilLevitico che i sacerdoti devono insegnare adistinguere tra sacro e profano, impuro epuro (Lev. 10, 10; Ez. 22,26). Fate attenzio-ne alla correlazione. All’inizio l’impuro era

legato al sacro, puro era il profano; il pro-fano doveva rimanere puro evitando il con-tatto col sacro, perché il sacro era pericolo-so, era legato alla paura primordiale secon-do la quale chi vede Dio muore. Poi, comeha mostrato il prof. Paolo Sacchi nella sua«Storia del secondo Tempio», le cose sirovescieranno e puro diventerà il sacro, im-puro il profano. In ogni caso l’idea era chesacro e profano dovessero restare in dueambiti assolutamente separati e distinti;puro era ciò che non si mischiava, che nonconfondeva l’uno con l’altro; impura era lamescolanza, la contaminazione, il contat-to. Purità era l’identità di ogni cosa con sestessa, impurità era il meticciato. Ciò in-trodurrà una drammatica scissione in tut-ta la realtà. Ci sono delle norme del codicedi purità della Bibbia che non si potrebbe-ro comprendere fuori da questa idea che lamescolanza tra cose diverse fosse impura ecausa di impurità.Tali sono le norme che vietano di indossarevestiti intessuti di lino e di lana; le normeche proibiscono alla donna di portare abitida uomo e all’uomo di vestirsi da donna e,particolarmente significative, le norme chevietano di seminare nello stesso campo semidi specie diverse. Non si può coltivare l’in-salata in un campo di grano. Per cui quan-do arriverà la parabola del grano e della ziz-zania non si tratta solo di erbe cattive, ilfatto è che quel campo – cioè il mondo – èimpuro, e perciò la cosa da fare sarebbe distrappare la zizzania. E Gesù dice di no.Oggi, quando Bush dice di voler eliminaregli Stati e le persone canaglie, usa una pa-rola – «rogues States» – che vuol dire ap-punto zizzania. Perciò quello che Bush diceè di voler purificare il mondo. Tutti noi ve-diamo, dall’Iraq al Libano ai nostri aero-porti, la tragedia che costa questa pretesadi purificazione del mondo.E poi ci sono le altre norme del codice dipurità, che vietano di mettere insieme, dimischiare cose diverse. Ci sono le normeche interdicono di mettere ad arare un buee un asino insieme, che vietano di metterea cuocere nella stessa pentola il capretto edil latte di sua madre. Altrettanto eloquentisono le norme sulla sessualità, che riguar-dano ciò che al massimo grado comportala «contaminazione», l’integrazione, il con-fondersi dell’uno con l’altro: fino all’adulte-rio che è considerata la massima impuritàe la massima colpa perché non solo com-porta un rapporto sessuale (che è impuroma non è proibito), ma comporta la me-scolanza di identità familiari diverse, il fon-dersi di un uomo con la donna di un altro.Ciò è punito con la morte, così come ogni

genere di incesto, l’omosessualità, l’accop-piamento con animali (Lev.20,19 seg.). Allafine la fornicazione, la porneia, sarà consi-derata la cosa più turpe e il comandamen-to che la condanna sarà anteposto a quellodi non uccidere; e il sesso sarà gravato diun definitivo sospetto.La purità dunque è che ciascuno sia se stes-so, e non si mischi con gli altri. Sacro e pro-fano devono rimanere distinti. Tuttavia l’im-purità, che si contrae nel contatto, ancheinvolontario, col sacro, è una condizioneoggettiva, che all’inizio non ha niente a chefare con il peccato, con il male morale. Ma aun certo punto purità e impurità si polariz-zano; l’una nel sacro l’altra nel profano; puroè chi si conforma al divino, impuro è il pec-catore. Il sacro è puro, il profano è impuro.Dio è il totalmente puro: questa è la sua iden-tità: «qados», sacro sacro sacro lo proclama-no tre volte i cherubini di Isaia (Is.6,3); è ilmondo, è l’umano, e la storia che giacciononell’impurità. Giobbe che aveva abbastanzamotivi di disperazione, dirà sconsolato: «chipuò rendere puro l’impuro?».La soluzione per Israele, sarà quella di in-corporarsi tutto intero nella sfera del sacro,di pensarsi come popolo di sacerdoti, comenazione santa; Israele è la porzione dell’uma-nità che è messa da parte per Dio, che lasciail profano, che vive nella purità del divino.Siate santi come io sono santo, dice il Si-gnore. La stessa parola, qados, ha cambiatosignificato. Il sacro è diventato santo.E così si costruisce l’ideologia della separa-zione: gli impuri sono gli stranieri, sono «legenti». Non bisogna mischiarsi con loro.Neemia ed Esdra ingaggeranno una lottacontro i matrimoni misti e imporranno agliebrei dopo l’esilio di ripudiare le donne stra-niere e di allontanare i figli avuti da loro, edi non dare le loro figlie ai figli degli stra-nieri. Solo in tal modo Israele salverà lapropria identità; nasce il giudaismo.Questa idea della separazione, questa con-cezione della purità come non mescolan-za, doveva influire potentemente sugli svi-luppi futuri, e passava dalla religione allafilosofia e alla cultura. Il Dio totalmentepuro della religione incrociava il Dio tra-scendente della speculazione filosofica: unDio sempre uguale a se stesso, immutabilenella sua identità, separato dal mondo, purocontemplatore di se stesso, lontanissimo dalDio capace di impietosirsi, di cambiaremente e perfino di pentirsi che si trova incerte pagine bibliche.Il modello della purità divina diverrà ilmodello della purità umana. L’uomo stessoverrà diviso; nel «composto umano» de-scritto da Aristotele solo la componente

intellettiva, razionale, la pura ragione, è ca-pace del divino, mentre la componente sen-sitiva, vegetativa, materiale, mischiata conla terra, ne è incapace; per conseguenza nontutti gli uomini possono attingere al divino,passare da una sfera a un’altra, «essere comedèi» , ma solo coloro che si sottraggono allenecessità della vita fisica, che sono liberi dallavoro, che possono contemplare e conosce-re: i signori. I servi, gli schiavi, sono irrime-diabilmente prigionieri del profano, dei bi-sogni materiali, del lavoro, del fare.

l’identità meticcia

Quella che si afferma è una antropologiadella disuguaglianza per natura degli es-seri umani. La discriminante tra puro e im-puro degenera in una discriminante trauomini e no, perfetti e incompiuti, nobilie volgari, integri per natura e mal riuscitie contaminati. La categoria puro-impurodiventa il paradigma e il primo travesti-mento culturale di una discriminazione eperciò di un dominio che percorrerà tuttala storia. Ancora nel Novecento un filoso-fo come Benedetto Croce, riprendendo ungiudizio di Hegel sulla conquista spagnoladell’America e la «scomparsa» degli indiosa contatto con la superiore civiltà europea,affermava che gli uomini si distinguono«tra uomini che appartengono alla storiae uomini della natura, uomini capaci disvolgimento e uomini di ciò incapaci». Ilmeticciato sarà una delle strategie adotta-te dagli spagnoli per distruggere i popoliindigeni. Lo stesso Cortés sposerà una prin-cipessa indiana, la Malinche, per dirottar-ne e snaturarne la stirpe, e poi naturalmen-te la ripudierà. Stabiliti i canoni della di-suguaglianza, l’indio, il nero, il proletario,l’ebreo saranno via via oggetto di ostraci-smo, di esclusione e perfino di sterminio.La purezza della razza sarà rivendicatacome fattore di identità, come sottolineaun bel libro di Jacques Audinet, «Il tempodel meticciato», pubblicato da Rosino Gi-bellini. I meticci saranno considerati em-blema di una umanità minore e mal riu-scita. Le lingue dei popoli forti, l’inglese eil tedesco, non conoscono nemmeno il ter-mine meticcio, mestizo, e devono ricorre-re a degli equivalenti che hanno tutti unaconnotazione negativa: sangue misto, mez-za-casta, ibrido, bastardo e simili; solo direcente viene trascritta in queste lingue laparola originale «mestizo», ma senza quel-la ricchezza di significato e di identità concui questa parola è apparsa nei Paesi del-l’America Latina. E qui da noi gli immi-grati sono fermati sul bagnasciuga. L’Oc-

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64° CORSO INTERNAZIONALE DI STUDI C RISTIANI

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cidente viene incitato a ritrovare le sue ra-dici per attrezzarsi allo scontro di civiltà,anche se le sue radici sono in realtà di pian-te diverse seminate nello stesso campo.Nell’ultima campagna elettorale italiana cisi è fatto un vanto di voler impedire che ifigli degli operai potessero diventare comei figli dei professionisti. Che le classi nonsi mischino, che le nazioni restino pure,che le civiltà si fronteggino, che le religio-ni siano murate ciascuna nella propria or-todossia, è tornato ad essere un ideale neltempo della globalizzazione livellatrice. Eperfino chi invece sostiene l’integrazionee propugna la convivenza dei diversi, è suc-cube della cultura che rifiuta, e la chiama«contaminazione». Così l’identità è di de-stra, la contaminazione di sinistra.È dunque evidente che per uscire dalla crisidobbiamo ricostruire le identità nella comu-nione. Questo vale nella nostra storia perso-nale e nella storia del mondo. Non c’è il puroe l’impuro, c’è l’unità della intera famigliaumana, l’unità di tutti i popoli, l’unità nellapluralità delle religioni e delle culture.Dio stesso si è tolto dal trono di una identi-tà gelosa che permettesse di farne il para-digma di identità separate e contrapposte.Sulla identità di Dio si è fondata infatti ladivisione degli uomini tra puri e impuri, ladivisione della realtà tra sacro e profano, ladivisione delle civiltà tra superiori e infe-riori. Dio è uscito dalla sua divinità identi-taria per entrare nella storia, creando; luitotalmente puro ha scelto il massimo del-l’impurità mischiando il divino con l’uma-no, lui totalmente altro è sceso come verbonella carne stessa dell’altro, lui pura essen-za divina separata dall’umano, ha scelto undivino meticciato facendosi uomo, e anzifacendosi servo, senza confusione e senzaseparazione, come dice Calcedonia.Allora il Dio meticcio dell’umano coniugatoal divino, il Dio in cui non c’è più né il puroné l’impuro, né il sacro né il profano del dog-ma cristologico, è il modello e la via per lanostra comunione, la nostra condivisione,convivenza, l’unità dei diversi, il meticciatodei popoli delle civiltà e delle culture.

i fattori dell’identità

E allora in tutt’altro modo dovremmo ri-vendicare i fattori della nostra identità.Dell’identità italiana, dell’identità europea,dell’identità occidentale; ma anche del-l’identità islamica e dell’identità ebraica.Tutte le identità che lottano per preservarsisono in realtà delle identità meticce.L’identità italiana è fatta di Greci e Roma-ni, di Cartaginesi e Arabi, di Longobardi edi Goti. È un’identità che spesso scompare,

resta sommersa, e poi sempre risorge dalnostro mare, danzando, come il Satiro diMazara del Vallo, città araba di pescatorisiciliani, dove oggi appare questa statuastraordinaria che vola, un po’ pagana e unpo’ angelica, un po’ classica e un po’ mo-derna, che è stata ripescata in due tempidiversi, dopo secoli, nel mare in cui era nau-fragata. Sembra il simbolo dell’identità ita-liana. E oggi ancora una volta questa iden-tità si è rivelata danzando, uscendo dalplumbeo sepolcro in cui l’aveva inabissatala destra: questa identità ritrovata non è disangue o di terra, ma è di cultura e di dirit-to, è la nostra Costituzione, uscita vittorio-sa dal referendum di giugno. Essa è in gra-do di accogliere e di dare i diritti di cittadi-nanza e la cittadinanza stessa agli immi-grati stranieri.L’identità americana è un segno di contrad-dizione. Essa è oggi una straordinaria me-scolanza di razze e di popoli, ma all’inizionon è stato così, e da questo inizio ha poisempre mantenuto una vena di intolleran-za; e oggi da modello è diventata maledi-zione per molti popoli, perché è in nomedell’identità americana, del modo di vitaamericano dichiarato non negoziabile chesi fanno tutte le guerre e quel modello sivuole imporre a tutto il mondo.All’inizio, fin dalla Dichiarazione di indipen-denza si afferma che l’unico requisito peressere cittadini americani è di appartenerealla specie umana e che tutti gli uomininascono liberi ed uguali. Ma chi sono gliuomini? Gli uomini, sono i bianchi liberi;non sono tali per il Naturalization Act del1790 i neri e gli indigeni. Ancora nel 1857una sentenza della Corte Suprema dichia-rava che gli afro-americani liberi non pote-vano essere cittadini degli Stati Uniti. Poinel 1870 il Congresso stabilì una clausoladi esclusione per gli asiatici. Oggi c’è il pro-blema dei messicani. Pur nelle sue varia-zioni, l’identità americana è difesa come unassoluto. La cosiddetta sicurezza naziona-le americana consiste nel difendere questaidentità, con le conseguenze che sappiamo.L’identità europea è barbara. Il primo fon-datore dell’Europa è stato quel San Grego-rio Magno che, assalito dai Longobardi diAgilulfo, cercò la pace con loro e mandò isuoi monaci a evangelizzare gli Angli.Due identità più di tutte le altre oggi resisto-no e lottano contro la contaminazione. Sonol’identità islamica e l’identità di Israele. Iotemo che in questa fase tragica della storiacontemporanea sia l’Islam che Israele stia-no gravemente sbagliando la partita del-l’identità.L’Islam vuole uscire da una lunga soggezio-ne senza porsi il problema di coniugarsi con

una accezione positiva della modernità, enella sua ala radicale persegue l’istituzionedi una comunità territoriale governata dauna legge religiosa, la sharía.La scelta religiosa, che è la nuova formache ha assunto il nazionalismo arabo, è re-lativamente recente ed è la conseguenza delfatto che la sua forma politica non è piùpossibile. Infatti Israele e gli Stati Uniti, chedel nazionalismo arabo sono il vero avver-sario, sono troppo potenti e la loro allean-za è diventata imbattibile. E dunque dallasoggezione non si poteva uscire. Senza ilpassaggio alla fase religiosa della lotta, l’in-dipendentismo arabo, e in particolare quel-lo palestinese, avrebbe dovuto dichiararsisconfitto. Invece passando alla fase religio-sa esso ha potuto mettere in campo un’ar-ma più potente, un’arma sacra che è la vitastessa, il sacrificio della vita; e quindi «imartiri combattenti». I kamikaze portanonella storia militare la stessa rivoluzione chefu rappresentata dall’introduzione dellearmi da fuoco: le strategie precedenti cheerano invincibili, diventano obsolete, gliStati Uniti perdono in Iraq e Israele in Li-bano. Il conflitto prende una piega che l’Oc-cidente non sa controllare. Ma anchel’Islam, risolvendosi tutto nella lotta, rischiadi perdere se stesso.Israele ha preceduto l’Islam nella costru-zione di una comunità territoriale governa-ta da una legge religiosa, la Torah.Al momento della fondazione dello Stato,nel 1948 ci fu l’idea di dotarlo di una Costi-tuzione, che sarebbe stata la sua identità.Ma prevalse l’idea dell’identità ebraica e fucostituito uno Stato ebraico.L’identità ebraica si fonda, come è noto, sutre pilastri: la Torah, il Popolo, la Terra.Dopo la proclamazione dello Stato, il sio-nismo religioso aggiunse un nuovo fattoredi identità, lo Stato di Israele, e questo do-veva diventare preponderante, e trascen-dente al pari degli altri tre, al punto chechiunque oggi critichi lo Stato di Israeleviene considerato antisemita; perfino gliebrei d’Israele che attaccano le politichedello Stato, come ad esempio i pacifisti,sono stati accusati di antisemitismo.Ora lo Stato d’Israele si è dato come obiet-tivo quello di realizzare integralmente, peril popolo ebraico, il terzo fattore dell’iden-tità ebraica, che è quello della terra. Com-pito dello Stato ebraico è di realizzare lasovranità ebraica sull’intera terra promes-sa a Israele. Di qui la costruzione della gran-de Gerusalemme, l’insediamento delle co-lonie, il rifiuto di riconoscere ai palestinesiprofughi il diritto al ritorno nelle loro ter-re, e più in generale l’incompatibilità traStato d’Israele e uno Stato palestinese al di

qua del Giordano.Ora, come ha scritto in un saggio del 1974il professor Ouriel Simon, fondatore delmovimento pacifista israeliano Nativot Sha-lom, assumere come valore assoluto la fe-deltà alla terra, intesa come la totalità dellaterra d’Israele, e fare dello Stato lo strumen-to della rivendicazione esclusiva di Israelesulla totalità della terra come fondata sullavolontà divina, viola fatalmente l’integrali-tà o piuttosto l’integrità di un altro valorefondamentale dell’identità ebraica, la Torah,che postula la giustizia e la pace.Dunque nella misura in cui la terra entracon questa valenza nella definizione del-l’identità d’Israele e della figura dello Statoebraico, anche questa identità andrebbe ri-pensata e messa nella storia.

non contro gli altri

Che cos’è la terra che Dio ha donato a Israe-le? Sono le vigne e gli olivi, ma anche i popo-li che ci vivono, e anche ogni persona che laabita. Dice la Genesi che Dio prese un pu-gno di terra e fece l’uomo (Genesi 2,7). E oggida dove Dio prende la terra e la plasma perfar nascere gli uomini e le donne in Israele?Prende quella terra là, la terra d’Israele. Al-lora ogni palestinese che nasce in Israele ein Palestina, se è fatto di terra, è fatto dellaterra d’Israele. E perciò è terra d’Israele nonsolo quella circondata da muri e da confini,ma è terra d’Israele chiunque è concepito enasca in Israele, è terra d’Israele ogni pale-stinese che nasce in Israele e in Palestina.Estirpare dalla Palestina i palestinesi, comela gramigna da un campo, allora vuol direnon purificare il campo, ma profanare laterra d’Israele e con essa tutta la Terra.Dunque, per concludere, né per Israele, néper l’Occidente, ma nemmeno per noi e perla Chiesa c’è una identità senza gli altri e con-tro gli altri. L’unica nostra identità può esserenell’accoglienza e nell’incontro con gli altri.Solo incontrandoci con gli altri possiamoereditare la terra. E così renderla santa. Al-lora vale anche per noi l’invito rivolto daDio a Mosè: togliti i sandali perché questa èterra santa. Perché la Terra sia santa, dob-biamo essere pronti a toglierci i sandali,anche i sandali dell’identità.E allora, rileggendo San Paolo, potremm-no lasciarci con questa descrizione del-l’identità: «L’identità è paziente, è benignal’identità; non è invidiosa l’identità, non sivanta, non si gonfia, non manca di rispet-to, non cerca il suo interesse, non si adira,non tiene conto del male ricevuto, non godedell’ingiustizia, ma si compiace della veri-tà.» (1 Cor. 13, 4-8).

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Una delle cause più frequenti dicontrasto tra le persone è si-curamente l’intolleranza. Inuna qualsiasi conversazione,alcuni sono più sensibili alle

opinioni contrarie degli altri e può scatta-re l’ira. Altri sono portati a dare un sensonegativo a tutto ciò che sentono, condizio-nati dalla propria visione pessimistica dellavita. Qualcuno può percepire le parole diun altro come allusioni malevoli nei pro-pri confronti. A volte, sono interpretazio-ni vicine a veri deliri. Si reagisce, e si crea-no emozioni negative quando non esisteun sufficiente grado di tolleranza. Il livellod’accettazione o di sopportazione dei con-trasti e delle frustrazioni che gli altri posso-no procurarci, sono indici del livello di tol-leranza che ognuno ha. È risaputo, insom-ma, che le relazioni umane, perché sianosoddisfacenti, debbano, avere tra le basicostitutive, un forte spirito di tolleranza.

elogio alla tolleranza

Per i buddhisti la tolleranza è un’espressio-ne della pazienza. Nell’annosa questionesulle caratteristiche delle passioni, sulla lorodivisione, sulle loro interrelazioni all’inter-no della vita emotiva, ogni autore fa riferi-mento alle proprie conoscenze, alla propriaesperienza ed alle proprie riflessioni.Partendo dagli insegnamenti del DalaiLama, che contengono, a mio parere, unalto grado di saggezza psicologica, la tol-leranza, come caratteristica della pazien-za, può essere considerata da tre punti divista: la tolleranza di fronte al dolore edalle avversità, la tolleranza come conqui-sta personale di uno stato d’animo serenonei confronti della realtà concreta che cicirconda, e la tolleranza verso i danni chegli altri possano arrecarci.Quest’ultimo tipo di tolleranza è quello chea noi interessa oggi approfondire.È sicuramente il più importante, giacchési riferisce alle nostre interazioni con glialtri, al nostro mondo relazionale.Riferendomi all’origine della tolleranzasecondo il buddismo, a me sembra chequesta sia, non tanto una caratteristicadella pazienza, ma che sia contemporane-amente la ragione e l’effetto della pazien-za: se si è pazienti, si diventa tolleranti, ese si è tolleranti si diventa pazienti.A prescindere da queste distinzioni acca-demiche, e riferendoci alle riflessioni sulnostro comportamento di fronte a ciò chedi negativo l’altro possa arrecarci e chepotrebbe condurre a contrasti e ad inimi-cizie nelle relazioni, pensiamo che, perevitare o per superare queste situazioni, ci

sia bisogno di pazienza e di tolleranza.Sono le basi fondamentali per ristabilire irapporti danneggiati, tagliati, o momenta-neamente sospesi con gli altri.La tolleranza e la pazienza sono reazionipositive che vengono a contrastare gli im-pulsi negativi, che possono sorgere nelnostro mondo interno, in occasione di fru-strazioni, offese o sofferenze provocate daaltri. L’impulso che spesso scatta più facil-mente, in queste occasioni, è l’ira, accom-pagnata, di solito, da risposte aggressive,vendicative e da offese a volte più efferatedi quelle ricevute

un paradosso evangelico

La pratica della tolleranza e della pazien-za porta, secondo noi, ad un irrobustimen-to della stima verso se stessi.D’altra parte, una dose più alta di autosti-ma, rende la vita più facile, contribuisce acreare relazioni umane più soddisfacenti,perché, anche senza volerlo, la consape-volezza del proprio valore si esprime ester-namente in rapporti più sereni con gli al-tri, nella presa di coscienza della propriadisponibilità ad una accoglienza positiva;più inclini, perciò, a dare che a ricevere.Noi stiamo parlando di un’autostima po-sitiva, creatasi attraverso i nostri sforzi, ilnostro impegno e la conoscenza delle pro-prie risorse. Non consideriamo quelle for-me «patologiche» di espressione dell’auto-stima che degenerano in un ipertroficoconcetto di sé e che conducono al senso dionnipotenza e di onniscienza.La consapevolezza, però, d’aver ottenutoil controllo sufficiente, d’aver esercitato lapazienza e di essere stato tollerante di fron-te alle pulsioni d’ira originate da un tortoricevuto, e la sensazione conseguente diessere padrone di se stessi, ci fortifica nel-la presa di coscienza della nostra autosti-ma, e ci mette nelle condizioni di maggio-re sicurezza e credibilità verso noi stessi.Ciò, sicuramente, predispone e motiva lapersona verso rapporti sociali positivi.In questo senso, si potrebbe dire che tro-vare qualche volta intorno a noi personeche ci arrecano un danno, potrebbe essereun’occasione per esercitare il controllodell’ira che può scattare. Saremmo, in talmodo, nelle condizioni per poter pratica-re la tolleranza e la pazienza, con conse-guenze positive sulla propria autostima esulla continuità dei nostri rapporti.Per tali motivi, quando la tolleranza e lapazienza diventano costumi quasi abitua-li, si potrebbe accettare addirittura comeun’opportunità auspicabile di avere nemi-ci; ciò, infatti, ci aiuterebbe a fortificare

queste doti che guidano verso l’equilibrioe la pace.Il Dalai Lama arriva a dire che il nostronemico è il nostro miglior maestro, perchéci insegna ad essere tolleranti e pazienti.Mi vengono in mente, a tale proposito, leparole di Gesù, quando ci invita addirittu-ra ad amare i nostri nemici ed a fare delbene a chi ci odia.Dal punto di vista prettamente emozionale,è difficile amare e far del bene a chi ci odia;tuttavia nel monito evangelico si racchiudeil riferimento a quel sano atteggiamento psi-cologico verso la pazienza e la tolleranza chesicuramente contribuisce al conseguimentodella maturità psico-sociale della persona.Una delle manifestazioni di questa maturitàè proprio la capacità di tollerare e di amarechi, intorno a noi, ci arreca danno o dispia-ceri, senza lasciarsi travolgere dalle ondatedi rabbia e di rifiuto che possano assalirci.La tolleranza sta alla base di una buonaconvivenza tra gli esseri umani.Quando regna la pazienza e la tolleranza tragli uomini diventano facili le relazioni. Si cer-cano e si promuovono i rapporti con gli altri,cresce il nostro capitale sociale, si vuole e sidesidera stare in compagnia. Quella tenden-za all’isolamento ed all’autosegregazione che,secondo i sociologi, dilaga nel mondo attua-le, sfocia in una specie di individualismo ego-istico che fa pensare solo a se stessi, dimenti-cando l’esistenza degli altri e cancellando ognivincolo di solidarietà. Tante volte è la conse-guenza di un atteggiamento rigidamente con-dannatorio dei discorsi e delle parole altrui.Indizio, perciò, di mancanza di tolleranza.È frequente oggi trovare intorno a noi per-sone che rifiutano il dialogo, persone che,quando parlano, vogliono solo sentire sestesse, persone che, come abbiamo dettoall’inizio, da ogni spunto, in una conversa-zione, fanno sorgere polemiche e contrasti.Chi difende una propria idea senza volersentire le idee degli altri, dimostra di nonconoscere l’importanza della tolleranza inogni rapporto umano.Si passa frequentemente dal rifiuto delleidee di un individuo al rifiuto dell’indivi-duo stesso.Per tale motivo, chi dimostra intolleranzanei confronti di quanto un altro pensa ocomunica, diventa intollerante riguardo al-l’individuo che pensa o comunica, diventaintollerante nei confronti della persona chepromuove o espone quel punto di vista.Infine, l’intolleranza può degenerare di fre-quente in vero rifiuto, che vuol dire distac-co, allontanamento… chiusura in se stessi,socialità mancata.

Manuel Tejera de Meer

tollerantiper sentirsi più

accettati

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COSE DA GRANDI

uominisi diventa/1

rescere, maturare come uomo, svi-luppare un saper essere adulto almaschile, acquisire una buonaidentificazione con un modellomaschile né solo tradizionale o scle-rotizzato sulla prevaricazione e

l’egocentrismo, né troppo ammorbidito sulsentimentalismo e la fragilità. Ecco un com-pito che un giovane uomo fatica a svolgere.Mancano miti fondanti, immagini colletti-ve pregnanti e di valore con le quali con-frontarsi, e allora proviamo a tornare in-dietro, cerchiamo nelle leggende, nelle tra-me narrative del passato qualche punto diriferimento. Una trama narrativa almenoun paio di vantaggi li offre. Offre un per-corso con le sue cadute e i suoi riscatti, eoffre emozioni e vicende sulle quali proiet-tare i propri significati personali. Ci ha pro-vato con successo Claudio Risé, lo psicana-lista milanese che sulla leggenda di Parsi-fal ha rimesso in gioco molte tematiche in-teressanti per l’uomo di oggi. Proviamo adaddentrarci anche noi in questa trama.

figlio bello, figlio mio

Figlio caro, figlio buono, figlio bello, così lasua mamma chiamava il piccolo Perce-val,colui che penetra le valli, Parsifal che non eraancora né un eroe né un uomo. Il padre eramorto in guerra in terre lontane e lei, la previ-dente madre, aveva pensato bene di sottrarrel’amato figlio ad ogni possibile rischio. Rac-conta la leggenda che l’aveva condotto con tuttala corte in un luogo sicuro, lontano da ognitentazione di fuga, e aveva dato ordini precisi,che nessuno osasse parlare al bimbo né di dioné del demonio, né di guerre né d’amore né dimorte, tanto meno di racconti di terre lontane.Ma i bambini si sa, sono curiosi e così Par-sifal un giorno alza gli occhi al cielo – ine-

RosellaDe Leonibus C

vitabile, l’orizzonte prima o poi deve purampliarsi – e nota il volo degli uccelli. Ca-pisce così che c’è un altrove, altri luoghi sco-nosciuti di cui non sapeva immaginare pri-ma neanche l’esistenza e, ingenuo, lo rac-conta alla mamma, confidandole che lui,da grande, vorrebbe andare in quei postilontani. Tremano i polsi della madre, tuttociò che per anni ha temuto e tenuto lonta-no sta piombandole addosso, ma tanto to-tale e potente è il suo amore e tanta la suapreoccupazione, che ella subito ordina diuccidere tutti gli uccelli. Per un po’ di tem-po funziona, le sollecitudini materne e quel-le delle ancelle bastano a distrarre ancoraun po’ il giovinetto, finché un giorno ilmondo esterno irrompe ancora, sotto for-ma di un possente rumore di zoccoli, nu-vole di polvere, cavalli e cavalieri.

mamma, io vado via

Esplode nell’animo di Parsifal, tutta insie-me, l’irrefrenabile voglia di partire con loro.È ingenuo il ragazzo, non sa niente del mon-do, sa solo che quell’energia forte, quel ros-so dei mantelli, quell’aria di battaglie sonoin sintonia coi suoi ormoni, e tanto dice etanto fa che strappa alla madre il consensoper partire. È patetico, ed insieme tragico,l’ultimo tentativo della madre di sottrarre ilfiglio ai pericoli del mondo. Ora ella si ren-de conto di non averlo affatto preparato adaffrontare un bel nulla, e che nel tentativoassurdo di proteggerlo dalla vita, lo avevacresciuto stupido e senza cervello. Cerca dirimediare, gli grida dietro mentre lui partela lista delle raccomandazioni d’ordinanza,la ricetta della sopravvivenza fai-da-te ad usodegli ingenui. «Vai da Artù, che è tuo cugi-no, e fatti insegnare un po’ di educazione,saluta le persone che incontri, arraffa quel

che puoi, sia cibo che donne che gioielli, peròinginocchiati davanti alle chiese e dì le tuepreghiere».Per giunta, sperando che nessuno lo pren-desse troppo sul serio, lo aveva vestito dastraccione e gli aveva dato un cavallo deltutto inaffidabile e zero provviste. La suascommessa era che il ragazzo sarebbe tor-nato a casa all’ora di cena. Ma il bisogno diavventura, come capita spesso, fu per il gio-vane più forte di tutti i lacci e lacciuoli ma-terni. Fu derubato subito, ovviamente ma,in questo sì seguendo le raccomandazionimaterne, provvide a servirsi di cibo e fan-ciulla non appena ebbe fame dell’uno e del-l’altra. Pur non badando a troppe sottigliez-ze, l’istinto di conservazione era ben saldo.Tant’è che raggiunse la corte di re Artù, eanche lì le sue pulsioni, negate, represse, mamai civilizzate, si scatenarono immediata-mente per il possesso del cavallo, della co-razza e dell’armatura che egli ingenuamen-te era convinto bastassero a fare di lui uncavaliere.Non ci pensò certo due volte, e per avereciò che bramava, quasi senza accorgerse-ne spaccò la testa come un melone ad unvalentissimo cavaliere vero. Il morto an-cora non era finito di morire che Parsifalgli sottrasse di dosso armi e cavallo. Sic-come però non era ancora finito di cre-scere, la leggenda narra che ai piedi con-servò, sotto la lucente armatura, gli stivalidi pelle d’asino che gli aveva dato la mam-ma, come Linus con la copertina.

padre, insegnami

Va avanti brandendo la spada come un mat-to, galoppa non si sa verso dove, è una bom-ba di pura energia ancora da domare, an-che se a tratti affiora un barlume di senso

di colpa per il valoroso cavaliere ucciso.Allora è proprio in quei momenti che, pernon pensare, per far tacere il dolore, fuggepiù forte e più lontano. Come se la coscien-za potesse essere lasciata indietro, come seper ottenere qualcosa, per crescere, bastas-se un atto di forza una tantum, un guizzodella volontà, un lampo dell’azione, e nonun lento e faticoso e paziente cammino.Queste sono cose che si imparano, da qual-cuno, da un esempio, da un punto di riferi-mento più evoluto, non basta l’energia, ladeterminazione, la cieca forza.Per fortuna, tra le tante cose criticabili, lamadre gli aveva anche raccomandato unacosa buona, di cercare la guida di qualcunocoi capelli bianchi. Figlio ribelle, ma a suomodo molto ubbidiente, Parsifal assumeanche questa raccomandazione alla lettera,e chiede la protezione di un saggio principe.«Ti aiuto, ma ad una condizione, caro Parsi-fal. Devi obbedire a ciò che dirò».Finalmente una autorità maschile, finalmen-te qualcuno a cui Parsifal riconosceva unpotere, finalmente qualcuno che apertamen-te e direttamente richiede al ragazzo un ri-spetto, una norma.Finalmente un figura paterna calda e auto-revole, direbbero gli psicologi, quella che èfondamentale per mettere ordine nelle splen-dide e ingenue energie disordinate di un gio-vane maschio, finalmente il primo punto diriferimento che Parsifal non aveva mai avu-to. La madre lo aveva solo protetto, non ave-va pensato al domani, e forse, direbbero an-cora gli psicologi, avrebbe voluto che il fi-glio fosse rimasto per sempre a farle compa-gnia nella valle felice.Il principe per prima cosa lo fa fermare, èuna metafora della possibilità di riflettere,di frenare l’azione e introdurre il pensiero.

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Per seconda cosa lo fa tacere, perché Parsi-fal continuava a parlare delle cose che gliaveva raccomandato la sua mamma, e in-vece ora si trattava di cambiare registro, diimparare non più soltanto quel che serve acavarsela, quel che basta per sopravivere estare sul profilo più basso.Era ora di imparare qualche principio etico,qualche norma morale, qualcosa che nonponesse più soltanto se stessi e i propri biso-gni al centro dell’universo mondo, e gli altripeggio per loro.Gli insegnamenti del principe dai capellibianchi sono per Parsifal una specie di ri-voluzione copernicana. Oltre all’uso dellearmi secondo i codici della cavalleria, gliimpartì anche norme di vita: «Siate gene-roso con chi ha bisogno, moderato nellapovertà e nella ricchezza, fate solo le do-mande indispensabili, e rispondete con pre-cisione delle vostre parole e delle vostreazioni. Abbiate coraggio, ma insieme sem-pre alla pietà, e abbiate cara la donna, sen-za la quale l’uomo è privo dell’anima».Anche il principe aveva avuto dei morti inguerra, anche lui si era affezionato al ragaz-zo e non era del tutto sereno nel lasciarlopartire, ma Parsifal aveva fretta di metterealla prova i nuovi insegnamenti ricevuti.Ed ecco l’incontro che cambierà, pian piano,la vita e l’animo di Parsifal. Naturalmente èuna principessa, e per giunta molto bisogno-sa di aiuto, sennò che leggenda sarebbe? Maè una principessa piena di dignità nella tre-menda sofferenza per il suo castello assedia-to, per il suo popolo ridotto alla fame, per iltriste destino che la costringerà a morire o adarsi in sposa al suo rozzo nemico per farcessare la guerra e la fame del suo regno.Naturalmente il ragazzo si innamora al pri-mo sguardo, questa era una donna specia-le, bella come una dea, dignitosa e triste,perfetta, che lo faceva sentire piccolo pic-colo, commosso come davanti ad una ap-parizione. Questa donna, con la sua presen-za, imponeva anche a lui di cambiare livel-lo, di compiere quel salto di qualità che dasolo non avrebbe mai potuto.

la prova d’amore

E allora ecco il salto di qualità: invece di pre-cipitarsi a prendere, Parsifal comincia a dare.Invece di arraffare e brancicare subito quel-lo splendido corpo, si presenta, racconta lasua storia, e soprattutto ascolta, accoglie ilpianto notturno e il dolore della sua amata,la guarda negli occhi, non scappa via, la ac-carezza e la consola, rimane accanto a leicon attenzione e rispetto, mette la forza daparte, i propri bisogni in stand-by, e la acco-

glie, accoglie il suo racconto, entra in con-tatto con la sua anima prima di entrare nelsuo corpo.I cavalieri medievali dovevano per l’appun-to misurarsi con questa prova, si chiamavaasag, essai, cioè una sorta di saggio di auto-controllo, sensibilità, finezza d’animo, atten-zione alla donna e alla sua vita interiore, allesue emozioni, e controllo dell’istinto, affina-mento della capacità di stare con il deside-rio senza dover immediatamente scaricarela tensione generata dal desiderio.Tre giorni e tre notti dovevano riuscire a re-stare vicino all’amata, rinunciando a pren-dersi come un predone quel che avrebberopoi invece ricevuto come un dono stupen-do, come un qualcosa di spontaneo e pre-zioso, come un percorso naturale, e proprioper questo pieno e potente, e carico di inten-sità assoluta, che ha avuto le sue tappe, i suoiavvicinamenti, che ha assaporato non solole sensazioni che un corpo suscita, ma an-che le emozioni, le vibrazioni dell’anima chesi avvicina, si confida, si affida, e si lasciaincontrare, si fa incontro essa stessa, e offretutto intero ciò che invece sarebbe statocome depredato. Questa era la prova più for-te a testimonianza della virilità, la prova incui il cavaliere si metteva in comunicazionenon solo con la bellezza femminile e la se-duzione che dalla bellezza promana, maanche con la potenza di questa seduzione,con la delicatezza che questo avvicinamen-to richiede per poter incontrare tutta interala sconosciuta magia del femminile.Da un incontro di questo tipo un giovaneuomo esce diverso, cambiato, più profondo,più completo.Non più solo la forza e l’ideale per cui com-battere, ma anche quella parte di sentimen-ti ed esperienze emozionali che solo il con-tatto profondo con la donna – e attraversodi essa con le proprie valenze interne di tipofemminile – può far nascere.Infatti il nostro eroe è già un po’ cambiato: siè in un certo senso civilizzato, si è innamora-to, combatte non più per se stesso ma peruna causa che lo ha convinto, e quando scon-figgerà il nemico stavolta non farà gli stessimassacri ciechi di prima, ma gli userà pietà egli lascerà salva la vita. Il popolo della princi-pessa – Condwiramurs era il suo nome, coleiche conduce all’amore – non patisce più lafame, le campagne tornano sicure.E allora vissero felici e contenti? Sì, perun po’ certamente, ma questo giovane ma-schio ancora non aveva finito il camminoper diventare uomo, lo ritroveremo anco-ra on the road.

Rosella De Leonibus

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LEZIONE SPEZZATA

ce l’ha fatta!o sai che Valeriani ce l’ha fatta!Beato lui, ce l’ha fatta!– Non capisco– Valeriani, ce l’ha fatta, non è piùcon noi!– È morto?

– No, no, ce l’ha fatta a lasciarla da vivo lascuola– Ma se gli mancano ancora sei anni per lapensione– Macché pensione, ce l’ha fatta, ha avutoil distacco in un ente... Isa, Issae, Issaps,qualcosa del genere, ieri l’ho sentito, nonstava più nella pelle quel figlio…– Ha fatto tutto in silenzio il furbone– Figurati se lo diceva in giro, ne distacca-no solo pochi l’anno– C’è ormai una concorrenza spietata nel-la scuola– Sì, ma più per uscire che per entrare– Già, ma per fare cosa?– L’importante è sapere da dove scappi nondove vai. Valeriani non mi è stato mai sim-patico ma credimi... io... lo invidio quellolì, anzi... lo ammiro, non sarei capace difare un passo così, a quasi sessant’anni, a...improvvisarmi che ne so... impiegato– Ma il rapporto con gli studenti, con i gio-vani?- Eh? Ma ti ha dato di volta in cervello?Non t’avevo mica fatto così romantico... glistudenti! Ma dove li vedi tu gli studenti?Quello, ad esempio, ti sembra uno studen-te?– In teoria sì, si chiama Mercaldi, è statomio alunno l’anno scorso, è particolare,devo ammettere che aveva degli atteggia-menti arroganti, un po’ violenti però è sem-pre un ragazzo.– Beh, di questi studenti particolari, come

StefanoCazzato L

li chiami tu, io ne ho piene le scatole, vole-vo fare l’insegnante e negli anni mi ritrovoa fare l’assistente sociale o il vigilante. Sai,a trentanni, non era esattamente il miosogno nel cassetto...– Adesso sei tu che fai il romantico!– Mi riferivo al fatto che non c’è più nulladi intellettuale in questo lavoro... Comun-que lasciamo perdere. Mi vuoi provocarevero? Quando ti ci metti, sei abilissimonel farmi perdere la testa. Non si capiscemai da che parte stai, vedi sempre le trefacce della medaglia, io sono diverso, sonopiù categorico, magari indeciso ma cate-gorico. Parliamo d’altro, dai, che è me-glio... come sono andate le vacanze? Mon-danità o tranquillità... E tua moglie comesta?– Abbiamo fatto un giretto in Provenza epoi siamo andati a trovare i miei in Abruz-zo... Vacanze tranquille direi, ho pure ri-sparmiato qualcosina... di questi tempi!– Beato te, io praticamente sono semprerimasto a Roma, solo tre giorni in rivieracon la famiglia, ritorno più stressato diprima– Magrini?– Dimmi!– Ti devo fare una confessione, mi promettiche la tieni per te?– Sputa!– Mi assicuri che…– Daiiii, lo sai che ti puoi fidare.– Anch’io ho chiesto il distacco all’Issae...– Cheeee! Vuoi lasciarmi solo?... da un kru-miro come Valeriani me l’aspettavo ma chemi tradissi tu... Sei un verme... un…– Calmati, calmati, per quest’anno non cel’ho fatta. Ma l’anno prossimo... l’annoprossimo ci riprovo con l’Usvri!

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MAESTRI DEL NOSTRO TEMPO

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Nikolaj Aleksandrovic� Berdjaevfilosofia della religione e della libertà

’è una reazione fortissima al fon-do della formazione di NikolajAleksandrovi� Berdjaev (1874-1948): la sua indole, la sua scrit-tura, il suo modo di rapportarsi almondo in generale e alla cultura

in particolare sembrano palesemente de-terminati da quel rigetto dei ‘valori’ mili-tari che ne ha caratterizzato gli anni gio-vanili. Egli ha infatti da subito rifiutato ilmodello di vita e di nobiltà militari tra-smessogli dalla famiglia, prediligendo condecisione una via di libertà e compiendopresto la fuga da quel mondo verso il qua-le era stato indirizzato soprattutto dal pa-dre, che lo aveva iscritto appunto all’acca-demia militare di Kiev. Una volta scelta lastrada degli studi scientifici prima e giuri-sprudenziali poi, a ventiquattro anni co-mincia ad accostarsi – pur senza condivi-derne il presupposto materialista – agliambienti insurrezionalisti del marxismoradicale, la frequentazione dei quali glicosterà una condanna al confino.Gli anni seguenti, invece, Berdjaev li pas-sa tra gli approfondimenti filosofici diHeidelberg, la pubblicazione di numerosiarticoli e l’attività svolta presso una Libe-ra Accademia di filosofia e religione da luistesso fondata, quando appunto va specia-lizzandosi sempre più nello studio di quelfertilissimo terreno di confine che interes-sa gli intrecci tra il sentimento religioso ela ricerca filosofica e che lo porta ad «ascol-tare» i suggerimenti di un Agostino, di unBöhme, di un Kierkegaard o di un Berg-son. Da questo genere di riflessioni e dallavolontà di «discutere» gli sviluppi possibi-li del cristianesimo russo nasce anche tut-ta una serie di contatti con altri intellet-tuali russi come per esempio, uno per tut-ti, Sergej Bulgakov. Quarantaseienne ottie-ne a Mosca la cattedra di Filosofia, ma nonmolto tempo dopo è costretto ad andarein esilio, pagando il suo anticomunismo,inizialmente a Berlino per spostarsi poi aParigi. Qui fonda la rivista Put («La via»)e, assieme ai suoi collaboratori, raggiungeun alto livello di espressione culturale,pubblicando molto, sempre assistito da

uno stile aforistico e penetrante, e orga-nizzando importanti incontri di discussio-ne su temi religiosi e filosofico-sociali.

del dolore e dello spirito libero

Questa felice produzione del periodo fran-cese, d’altra parte, arriverà a scontrarsiproprio negli ultimi anni della sua vita conuna considerazione estremamente amarasulla guerra, sul significato del dolore, sullarealtà delle sofferenze e sul destino del-l’umanità, di quella in senso universale edi quella a lui più prossima: gli amici e icompagni rimasti in Russia.Ma questa particolare vena che caratteriz-za l’ultima produzione e l’ultimo scorciodell’esistenza di Berdjaev, seppure corri-sponde effettivamente a uno degli elementicardine della sua opera e in generale delsuo atteggiamento nei confronti del mon-do, non deve farci perdere di vista un fattoaltrettanto evidente. Basta dare una scor-sa al fitto elenco dei titoli delle opere ber-djaeviane per rendersi conto della notevo-le ampiezza della sua indagine speculati-va: egli ha spaziato, infatti, dal Soggettivi-smo e individualismo nella filosofia sociale(1900) ai Problemi dell’idealismo (’02), daiconcetti di creazione ed eternità a quellode Il senso della storia (’23), dalla letturadelle categorie dell’universo socio-lettera-rio di Dostoevskij alle modalità proprie delrapporto io-mondo e a quelle dell’altrofondamentale rapporto uomo-macchinadei primi anni Trenta, da Il destino dell’uo-mo nel mondo contemporaneo (’34) allepagine sulla lotta di classe e la realtà so-ciale insite nel cristianesimo; e ancora: daltema del suicidio al portato dell’esistenza,dalle implicazioni pratiche di escatologiae metafisica all’origine e fine della vita, finoalla dinamica dialettica tra ciò che è uma-no e ciò che è divino…Tra tutte le tematiche affrontate, però, neemerge chiaramente una come ricorrentee privilegiata dall’autore russo, tra l’altronon a caso caro al nostro Aldo Capitini, nelcorso di quasi un quarantennio: quella del-la libertà. Esaminata già dalla prima metà

GiuseppeMoscati C

degli anni Dieci come ideale astratto e comerealtà possibile, vista ora come banco diprova dell’azione politica e ora come carti-na al tornasole di una ricerca intima e per-sonale, la libertà è anche analizzata in rela-zione al suo contrario, la schiavitù, da unBerdjaev ormai vicino alla morte, comedetto ormai amareggiato e deluso.La visione che della libertà – tra un saggio el’altro, ma direi soprattutto tra un’esperien-za di vita e l’altra – egli va costruendosi ri-manda costantemente, comunque, a duecomponenti di fondo. Vale a dire che essarimanda, da un lato, all’anima sostanzial-mente esistenzialista di Berdjaev, per il qua-le in verità dobbiamo parlare più propria-mente di esistenzialismo religioso o al mas-simo di spiritualismo esistenzialistico, e,dall’altro, alla convinzione secondo la qualelo stesso pensiero filosofico altro non è senon una ‘ricerca di libertà creativa’. Quest’ul-tima posizione, del resto, pone Berdjaev nelbene e nel male in una posizione critica neiconfronti di quella tradizione che vuole lafilosofia una vera e propria scienza, o me-glio una mera scienza, aprendo piuttosto auna qualche forma di misticismo (di matri-ce russa e anche tedesca) che possiamo col-legare direttamente alla maggiore propen-sione berdjaeviana per l’intuizione e per lamassima piuttosto che per il ragionamentoe l’ordinamento sistematico del pensiero.

l’individuo e il mondo

L’idea di libertà così sviluppata e anzi lostesso percorso che – mettendo in dialogofilosofia e religione e con loro, allo stessotempo, anche un certo modo di intenderele scienze – ha portato Berdjaev a conside-rare quella della libertà come la questioneprima e ultima della vita, ci dice natural-mente molto pure di come egli considerila dimensione sociale dell’esistenza.Nessun individuo può prescindere daglialtri in quanto il suo pensare e il suo vive-re dipendono indissolubilmente dal pen-sare e dal vivere degli altri. Tutte le formedi individualismo si ingannano perché sibasano, in ultima analisi, su una fede cie-

ca nell’assoluta autosufficienza del singo-lo quando invece dovrebbero aprire gliocchi dinanzi all’interdipendenza di tuttigli esseri umani, che si manifesta attraver-so mille modi in natura come in società.Da qui la dura accusa al sistema delle clas-si e il rifiuto della vecchia aristocrazia, cheha pretese inumane, e del borghesismo, cheBerdjaev definisce come «la negazione delprincipio tragico della vita».Se egli elabora con attenzione e tenaciauna serrata critica all’individualismo, nonsignifica peraltro che esista una filosofia ouna religione uguale per tutti, anzi: perBerdjaev, in realtà, ogni singola personaha diritto a formularsi un pensiero filoso-fico personale così come a vivere un’espe-rienza religiosa individuale, solo che peressere autentica e per realizzarsi veramentenon può che aprirsi agli altri, comunican-do loro le proprie idee e condividendo conloro i propri ‘esperimenti con la vita’.Il cammino di avvicinamento all’altro nonè certo facile, nasconde insidie e incom-prensioni legate sia al fatto che ogni ricer-ca filosofica e ogni sentimento religiososono unici da individuo a individuo e siaal carattere intrinsecamente paradossale econtraddittorio dell’esistenza umana: unaparadossalità e una contraddittorietà cheper Berdjaev possono «comprendersi» so-lamente grazie all’illuminazione donatacidalla figura del Cristo incarnato. Accostarsiconcretamente alla realtà dell’altro, insom-ma, è impresa ardua, eppure nessuno puòsottrarsi all’impegno in questa direzione,pena la ricaduta nella superficialità e nel-la vacuità di spirito.

Giuseppe Moscati

per leggere Berdjaev

Il senso della storia, Jaca Book, Milano 1971;Filosofia dello spirito libero, Edizioni S. Paolo,Cinisello Balsamo (Mi) 1997; Cristianesimo elotta di classe, La Casa di Matrjona, Milano 1977;Gli spiriti della rivoluzione russa, Mondadori,Milano 2001; L’uomo e la tecnica, Il Ramo,Rapallo (Ge) 2005

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le vie scoscesedell’identità

CULTURE E RELIGIONI RACCONTATE

e esiste una grande questione, oggi,che scorre sotterranea in tutte leculture e le appartenenze è senzadubbio quella relativa all’identità.Ogni individuo cerca, infatti, di con-tenere il proprio disagio identitario

andando in modo paradossale alla ricercadi radici e di legami che assicurino all’in-dividuo un ruolo, una forma e una proie-zione di sé nel futuro. Riaffermare la pro-pria identità culturale, religiosa e politicaè, quindi, la modalità con cui un mondoglobalizzato esteriorizza le sue nevrosi ele sue debolezze; è la via attraverso cui ilfluttuare delle appartenenze cerca di an-corarsi ad un fondale stabile di certezze.In questa prospettiva, dunque, l’identitàrisulta essere un sostantivo singolare, conuna valenza sia soggettiva (la mia identi-tà) che collettiva (l’identità del mio popo-lo), perdendo di vista la sua pluralità, os-sia il fatto che tanto a livello personale chea livello sociale ciascuno è la risultante diun intreccio di sfumature differenti. A benvedere, quindi, non avrebbe mai molto sen-so parlare di identità cristiana, occidenta-le, orientale, islamica, ebrea o quant’altrocome se ciascuno degli aggettivi propostifosse un mondo definibile a senso unico,ma occorrerebbe riconciliarsi con la plu-ralità che è intrinseca a ciascuna prospet-tiva. Non vi è, ad esempio, un unico mododi essere cristiani, o ebrei, o musulmani,ma infiniti modi che si intrecciano e si dif-ferenziano, stemperandosi con altre appar-tenenze familiari, culturali, ideologiche opolitiche.

il potenziale immaginativo

È proprio per restituire complessità al ter-mine in questione, che lo scrittore libane-se Amin Maalouf ha scritto un lucido trat-tato sulla questione identitaria, intitolato

laconicamente: L’identità (1). Ed è più omeno con le stesse intenzioni che AmosOz, scrittore israeliano, ha pubblicato trelezioni sul senso del fanatismo e dell’alte-rità, intitolando la collazione Contro il fa-natismo (2). Devo confessare che la lettu-ra comparata di questi due brevi saggi miha folgorato sia per la radicalità delle ideeespresse, sia per la levità con cui entrambigli intellettuali si sono posti davanti a pro-blematiche estremamente intricate e sem-pre a rischio di essere sviluppate con la su-perficialità dei buoni sentimenti.Il discorso di Oz parte dalla scrittura e dallasua funzione socio-pedagogica. La scrittu-ra, infatti, insegna a proiettarsi in altri vis-suti, a sospendere le proprie certezze percercare di intendere il mondo da una pro-spettiva differente, che è quella dei perso-naggi. La narrativa ci chiama fuori da noistessi, liberandoci dalla tentazione del ri-duttivismo attraverso la sua capacità nonsolo di mostrarci, ma di farci sperimenta-re realtà «altre». Implicitamente Oz vieneaffermando che la scrittura, sia per chi èautore sia per chi è lettore, è uno strumen-to che insegna la mediazione – confonden-do i monocromatismi della coscienza – ela ricchezza del relativismo, spingendo chiscrive o chi legge a domandarsi le ragionidell’altro, a esplorare quella terra scono-sciuta che si nasconde alla vista di ciascu-no. Il mondo, afferma Oz, non è soltantola risultante delle azioni, ma anche delpotenziale immaginativo, della capacità diprotendersi oltre il fatto, guardandolo sot-to prospettive diverse. L’immaginazione è,quindi, ciò che impedisce l’infezione delfanatismo, per sua natura, invece, incapa-ce di protendersi, di indagare, di accorger-si dell’inesplorato che esiste al di fuori delproprio modo angusto di fornire un nomeagli accadimenti. Il fanatismo è, per Oz,estremamente connesso all’integralismo

religioso, ossia all’idea che il mondo deb-ba essere redento da ogni differenza e ri-condotto a una visione addomesticata esingolare del senso, coincidente semprecon il proprio modo di intendere il signifi-cato stesso. La religione fanatica spinge arendere monolitica l’identità, respingendoogni pluralismo di interpretazione e asfis-siando la molteplicità nella propria nevro-tica logorrea, nel proprio ossessivo voca-bolario. Emblematica, a questo proposito,è la rievocazione di una storiella ebraicache narra di una conversazione tra un gio-vane e un anziano seduti ad un caffè. Nelcorso del dialogo, il giovane comprende ditrovarsi al cospetto di Dio stesso e, resosiconto della straordinaria opportunità chegli è stata riservata, decide di porre al suointerlocutore quella che gli pare essere ladomanda per eccellenza, ossia chi posseg-ga la vera fede. Al quesito, l’anziano Diorisponde con un efficacissimo paradosso:«A dirti la verità, figlio mio, non sono reli-gioso, non lo sono mai stato, la religionenon m’interessa» (3). Una risposta che re-cide in modo netto la questione della fededa quella politica e istituzionale della reli-gione, il cui scopo è quello di salvare il di-vino da ogni appropriazione indebita daparte dei credenti. Una risposta che liberaDio, ma, a ben guardare, anche l’uomo. Peril fanatico, invece, tale risposta risulta es-sere una bestemmia inaccettabile, perchéil Dio del fondamentalista è sempre il Diodi qualcuno contro qualcun altro, è sem-pre un Dio guerriero, che magari lotta perun mondo giusto e redento, ma che, simul-taneamente, esaspera i contrasti, rifiutan-do ogni differenza. Per Oz occorrerebbeanalizzare il conflitto israelo-palestineseproprio con l’ottica a-religiosa del raccon-to, l’unica che consente di non cadere nel-lo schematismo delle appartenenze forti edella contrapposizione inconciliabile tra

mondi che si rifiutano a vicenda come per-versi. È necessario partire dalle ragioni deipalestinesi e dalle ragioni degli israeliani,che sono di per sé irriducibili e in sé giu-ste, per arrivare ad un doloroso ma inevi-tabile compromesso. La strategia propo-sta da Oz è quella del venirsi incontro ametà strada, sapendo che l’abbandono del-le posizioni più definite significa ancheinoltrarsi lungo sentieri che creerannodolore e sofferenza, ma riconoscendo al-tresì che non vi è ricomposizione possibi-le della situazione senza il coraggio di ri-conoscere l’altro come portatore di ragio-ni, di vissuti, di ambiguità. Non vi è unalinea netta di demarcazione tra buoni ecattivi da tracciare; vi è semmai solo lapossibilità di distinguere tra posizioni as-solutamente inconciliabili e posizioni pos-sibiliste da entrambe le parti. La via delcompromesso – afferma Oz – è la via con-sapevole del tradimento, in senso lettera-le, di atteggiamenti e letture fanatiche, bensapendo, tuttavia, che l’incertezza è unaposizione difficile e rischiosa. La media-zione produce immediatamente il rifiutodi una lettura di sé mitologica e infantile,costringendo alla resa di fronte alla com-plessità del mondo adulto e al risvegliodelle coscienze intorpidite da facili specu-lazioni. Mediare significa, in ultima anali-si, mettere in discussione la propria iden-tità, non già intesa come quell’amalgamainsondabile che ci fa sentire parte di unastoria personale e collettiva, ma come di-mensione perentoria e definita di sé e delproprio mondo.

nella complessità dei rapporti

Dal pericolo dell’appartenenza essenzia-le mette in guardia anche Maalouf (4). Loscrittore libanese, proveniente da una fa-miglia originaria del sud arabico, cristia-

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FATTI E SEGNI

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no, di lingua e cultura araba, stabilitosida tempo a Parigi, afferma che ogni iden-tità è per sua stessa natura composita eindivisibile: «L’identità non si suddividein compartimenti stagni, non si ripartiscené in metà, né in terzi. Non ho parecchieidentità, ne ho una sola, fatta di tutti glielementi che l’hanno plasmata, secondoun dosaggio particolare che non è mai lostesso da una persona all’altra» (5). Tut-tavia, sostiene acutamente Maalouf, oggiviviamo in contesti culturali globalizzatiche si riconoscono attorno all’idea centra-le della semplificazione identitaria, alpunto che, all’interno di ogni contestosocio-culturale si fa di tutto affinché gliindividui rinuncino alla percezione del-l’identità plurale per compattarsi attornoa slogans omologanti. Le culture domi-nanti non accettano la pluralità come unvalore; al contrario, la combattono cercan-do in ogni modo di dissociare i significatiidentitari dai concetti di diversità e diffe-renza. Per lo scrittore libanese, invece,occorre il coraggio di vivere la propriaidentità confrontandosi con la sua irridu-cibilità a formule fisse e semplicistiche.È necessario non rinnegare il proprio es-sere «frontalieri», ossia sempre interme-diari verso qualcuno o qualcosa, perchéciascun individuo è, in ultima analisi, frut-to di un intreccio, di un rapporto dialogi-co; è un ponte allegorico tra rive opposte.Solo se non si dimentica la natura media-trice dell’identità, si possono evitare letrappole tese dalle culture del potere chepretendono di forgiare a lettere di fuocodelle opinioni e delle identità collettivemarmoree, attraverso cui delineare l’an-tiidentitario, ossia l’avversario irriducibi-le. Solo se concepisce che l’identità «(...)si costruisce e si trasforma durante tuttal’esistenza» (6) si possono evitare i tranellidelle opinioni collettive preconfezionate,volte ad amputare quasi chirurgicamenteparti fondamentali della complessità perisolare un particolare fino ad evidenziar-lo in modo nevrotico come l’unico possi-bile, l’unico vero. L’operazione che soggia-ce a questi tentativi di sclerotizzazionedella pluralità, osserva Maalouf, non è insé nuova: coincide con i meccanismi del-la difesa dell’identità tribale, che ha orro-re dell’estraneo e lo percepisce semprecome una minaccia. Oggi, dice lo scritto-re libanese, viviamo in contesti in cui mi-lioni di persone rischiano di regredire aduno stadio tribale, agitati dai fantasmi delnemico e tesi a recuperare idee che per-mettano di sentirsi parte di un gruppo bendefinito e definibile. Lentamente, quindi,

si disimpara ad accettare, o perlomeno adavvicinare, il punto di vista dell’altro (7);si regredisce in un antiumanesimo, intri-si della paura della differenza, di una pa-ura che, come benzina, può infiammarsifacilmente degenerando in comportamen-ti violenti. Ma, osserva Maalouf, prima an-cora della violenza fisica, che è sempreuna sconfitta dell’uomo, occorre temerela violenza delle idee, ossia un’anticultu-ra che permea nelle società, tarantolan-done le reazioni e producendo il delete-rio punto di vista dei «nostri».Nell’era della mondializzazione, quindi,si impone la necessità di combattere stre-nuamente contro i poli opposti dell’inte-gralismo demagogico e della disgregazio-ne della cultura. È l’immigrato il sogget-to più a rischio di questo doppio perico-lo che, entrando in altri contesti cultu-rali, potrebbe ancorarsi nevroticamentead aspetti forti e imperturbabili della suatradizione o, al contrario, rinunciare atutto di sé. Ma anche le culture dei paesiospitanti sono a rischio, nella misura incui pretendono di non dover rimetterenulla in discussione della propria visio-ne del mondo in rapporto alle nuove di-namiche che i fenomeni migratori pro-ducono. «La saggezza – osserva lo scrit-tore – è una linea di cresta, lo stretto sen-tiero fra due precipizi, fra due concezio-ne estreme» (8).Oz e Maalouf sono caparbiamente con-vinti che occorra inoltrarsi lungo questisentieri scoscesi e pericolosi con corag-gio e con determinazione perché rifiutar-si di percorrerli significa arrendersi al-l’inevitabilità di contrapposizioni e con-flitti. Entrambi, però, sono tenacementeconvinti che la vera forza per scardinarei blocchi di cemento che le culture mas-sificanti producono provenga da una ra-dicale opzione culturale, quella culturache pone l’altro come problema e comedono.

Marco Gallizioli

Note1 A. Maalouf, L’identità, Bompiani, Milano2002.2 A. Oz, Contro il fanatismo, Feltrinelli, Milano2004.3 Ib., p. 17.4 Ib., p. 22.5 A. Maalouf, op. cit., p. 8.6 Ib., 29.7 Cfr., ib., p. 37.8 Ib., p. 47.

CULTUREERELIGIONIRACCONTATE far credito arricchisce

EnricoPeyretti C

redere – Credere è fare credito. Nonè opinare, ipotizzare. Non è prin-cipalmente accettare una teoria,una dottrina. È più che pensare, èvivere con intelligenza creativa. Ècredere in qualcuno perché lo me-

rita, perché è credibile, ma anche perché iogli faccio credito, gli do fiducia, gli aggiun-go un merito. Non constato tutto ciò chemi dice o mi promette, ma vado ben al di làdella verifica e del controllo, che toccanoma restringono: aderisco al valore della suapersona, e con ciò lo accresco. Mi appog-gio a lui, ma anche gli do appoggio, perchéessere creduti, ricevere fiducia, è latte so-stanziale, primo nutrimento dell’esistenza,necessario a tutte le età. Fare credito arric-chisce il mondo, crea realtà. Il capitalismopensa il contrario, perché non capisce nien-te della vita e la rende miserabile. Chi per-de regalando genera persone e dunque, giàin questo, riceve il centuplo. Anche crederein Dio è fare credito a Dio. Egli ci supplicadi fargli credito, per potere esistere per noi.

Dipendenza – La pubblicità, catechismo im-perativo della nostra società infelice, è pro-prio come un totalitarismo ideologico o re-ligioso. Sembra vendere felicità e inoculascontentezza vorace, una grave malattia pan-demica. È una bellissima torta avvelenata.Chi l’avverte – basta restare svegli – è sullavia della guarigione. Non so perché gli psi-cologi, convinti di liberarci da dipendenzedolorose, non si specializzano nel liberarcidalla dipendenza pubblicitaria, oggi la piùvasta e nefasta.

Israele, Libano, Palestina – Moni Ovadia: «Peravere la pace bisogna dare» (da Primapagi-na, 15 luglio).

Lamento – Non lamentarsi è un peccato diorgoglio. Quella del giovane spartano chenascondeva sotto la maglia il coniglio ruba-to, e per non farsi scoprire si lasciava mor-dere il petto, è una storia fascista. Lo stoici-smo non porta da nessuna parte: né a capireil dolore né a ridurlo. Chi ti insegna a nonlamentarti lavora per chi ti tortura. Tutta laverità e la giustizia – dice Simone Weil – ènel grido «Perché mi fai male?», che vengada un bimbo, da Cristo o da un animale.Giobbe, l’uomo audace davanti a Dio, per-

ciò a lui vicino, lacerato dal lavoro di scavointelligente del dolore, allunga sulla storiaumana un lamento che non cessa di risuo-nare, uno dei più lunghi, dolorosi e nobili.

Oro – L’universale «regola d’oro» si trova neivangeli in due luoghi. Matteo 7, 12/a e Luca6, 31. Con una sfumatura differente (in Mat-teo il verbo volere è al condizionale, in Lucaall’indicativo), il senso fondamentale è chia-ro: «Tratta gli altri come desideri essere trat-tato tu». Non dice affatto: «Tratta gli altricome sei trattato tu». La distinzione è netta:la regola del tuo trattare gli altri non è unfatto, un precedente comportamento altrui,ma il tuo desiderio e diritto. Il criterio di giu-stizia è oltre, non alle spalle. La regola è iltuo rispetto, anche se non c’è, anche se vivesolo come un diritto e non come un fatto.Lo stesso identico diritto risiede negli altri,ed è la regola del tuo comportamento: sen-tirlo e desiderarlo in te è l’occasione di rico-noscerlo negli altri. Vedo questo stesso si-gnificato nelle decine di formulazioni della«regola d’oro» presenti in tutte le culture(posso inviarle per post@ a chi le chiede).

Sonno – Quando non viene il sonno, una buo-na cosa è questa preghiera di due sole paro-le: «Padre nostro», sintesi di tutta la preghie-ra di Gesù. Ripetere lentamente le due paro-le, al ritmo del respiro, che si farà calmo. Illoro significato dà pace, fiducia, placa le agi-tazioni e le pene, affida alle mani di Dio, con-dizione buona per dormire, come per tuttoil vivere e, alla nostra ora, il ben morire. Gan-dhi, grande anima, dava questo fondamen-to alla sua pace energica, nella veglia e nelsonno. Quando l’attentatore gli sparò, eglicadde invocando il nome di Dio: «He Ram».Dieci anni prima aveva detto: «Una personache ha rinunciato alla violenza dovrebbe pro-nunciare il nome di Dio a ogni respiro». Eglilo faceva da più di venti anni, tanto che ades-so il nome di Dio si ripeteva da sé anche du-rante il sonno. (Conversazione trascritta inEknath Easwaran, Badshah Khan. Il Gan-dhi musulmano, Sonda, Torino 1990, p. 190).

Vangelo – Se dal vangelo imparassimo la mi-sericordia, anche senza alcuna teologia,avremmo imparato tutto. Dio è lì.

Verità – La fantasia è un supplemento dellarealtà, che porta verso la verità. ❑

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idolatria del mercato

CERCATE ANCORA

n un articolo apparso su Repubblicail 30 agosto, Galimberti emette unapocalittico giudizio di condanna amorte del nostro occidente cristiano.Il giudizio è sulle conseguenze che ilprogetto globalizzazione e la sua sa-

cralizzazione nell’idolatria del mercatoscaricano su una parte dell’umanità. Par-lare di terzo mondo è addiritturaeufemistico, si può parlare di una granparte dell’umanità biologicamente viva madi fatto privata dell’esistenza.Coloro che temono la fine del mondo do-vrebbero prendere coscienza che è già av-venuto qualcosa di peggio. Che ne fate diuna bella casa piena zeppa di morenti peruna epidemia senza scampo? Galimbertinon sa quali termini trovare per accusarel’occidente cristiano ‘cattivo, insensibile ecinico’. Mi sento sempre parte della gene-razione responsabile, ma pur essendo to-talmente d’accordo con Galimberti e tro-vando sempre più cinico e addirittura in-fantile il trionfalismo cattolico, mi difen-do dalla disperazione – etimologicamentenegazione della speranza –. Nel vangelo cisono chiare indicazioni per un rinnova-mento della coscienza umana. Chi ha laresponsabilità di educatore dei giovani, sache deve limitarsi ad indicare linee di com-portamento per la società post-apocalitti-ca, invocando lo spirito profetico che gui-da alla conoscenza dei segni dei tempi.Intanto bisogna riscattare i giovani dallaidolatria del mercato a cui sono stati ag-gregati da guide che li hanno orientati ver-so una spiritualità di conquista e di prose-litismo, piuttosto che a rispondere all’in-dicazione dell’unica guida. Voi siete il saledella terra e la luce del mondo. Nel mio pe-riodo di educatore in un posto di coman-do vedevo con chiarezza la tentazione dia-bolica dell’idolo. «Ti darò tutti i regni delmondo e la loro gloria». Guardati dal pre-sentare ai giovani il messia di turno, invia-to sia da Dio che dal tempio dell’idolo. Sipuò definire autentica, vera, evangelicauna spiritualità che non mette in guardia

dal vero, grande, unico pericolo di tradireDio non per una svista, non per la debo-lezza della carne, ma per libera scelta?Gesù è stato chiaro, non permette distin-guo: o Dio o mammona, senza attenuazio-ni, senza pretesti. O me o l’altro. E il tradi-mento di noi cristiani non viene messo inluce nei catechismi né nelle varie propo-ste di spiritualità presenti sul mercato, madalla spaventosa carneficina dei nostri ‘fra-telli’, cui accenna nel suo articolo il laicoGalimberti, totalmente trascurati nellapedagogia delle cattolicissime guide deigiovani.I giovani reduci da viaggi nelle terre del-l’umanità sommersa – e sono sempre piùnumerosi – prima di essere recuperati dal-l’idra velenosa del consumismo, avverto-no il disagio di essere membri di questacultura. E lo sentono più acutamente quelliche continuano a frequentare le parroc-chie. L’educatore religioso deve offrire deimodelli ‘inediti’ non vincenti. Questa nonè una novità. Un filosofo francese definito‘uno dei maggiori protagonisti sulla scenafilosofica europea’ (1) cerca di fare quelloche dovremmo fare tutti noi credenti: cer-care di ‘uscire dalla propria storia’ (2) per-ché «la filosofia non ha modo di sospetta-re il proprio radicamento antropologico efino a che punto non faccia che esplicitarerisistemare e ruminare delle concezioni dibase da cui essa non immagina quanto siadipendente» (pag. 83). Questo avvertimen-to deve essere rivolto ai teologi e special-mente ai responsabili della cosiddetta for-mazione cristiana.Il Papa denunzia l’insensibilità del pecca-tore, ma il sesso separato dell’amore e dal-la sua legge interna, non è una conseguen-za del dualismo culturale? E non è ancorapiù grave ricevere l’Eucarestia senza con-fessare quel peccato denunziato nella pri-ma lettera ai Corinti? Quando dunque viradunate insieme questo non è più unmangiare la cena del Signore. C’è infattiquando si partecipa alla cena, chi prendeprima il proprio posto, e così uno ha fame

e l’altro è ubriaco (1 Cor 11,21). Quei cri-stiani cui allude Paolo che mangiano lapropria morte, sono lontani anni luce daquei ‘cristiani’ che con le loro operazionifinanziarie causano quella mattanza uma-na, quei naufragi senza scampo che sonodenunziati nell’articolo di Galimberti. Èquesto ‘sputare il moscerino e inghiottirela trave’ che scredita il messaggio cristia-no e la cosiddetta civiltà cristiana.Il filosofo francese esce sdegnosamente daquella casa che Galimberti chiama ‘casadi psiche’ e trova nell’antica sapienza orien-tale cinese quella unità della persona cheè l’impianto su cui la parola di Gesù puòessere realmente vera. Timidamente alcu-ni teologi si stanno muovendo alla ricercadella ebraicità di Gesù, e conseguentemen-te verso un impianto del suo messaggio checondanna le mostruose alleanze accoltesenza sussulti di sorta dai responsabili del-la verità.Lasciando i discepoli presenti e futuri Gesùci ha lasciato un unico dono, il suo Spiri-to, e provo una gioia immensa quando leg-go che dalla antica saggezza cinese il filo-sofo occidentale ci porta la notizia del sof-fio vitale «che autoregolandosi grazie allasua dimensione di spirito, attraverso diessa mi ricollego a quella corrente origi-naria generatrice e generosa e traggo di-rettamente da essa la mia vita» (pag. 59).Per arrivare ad una conclusione che sia unmessaggio di speranza, ritorno coraggio-samente ad alcuni tratti del discorso diGalimberti: «una povertà silenziosa, den-sa come la nebbia, che in modo impercet-tibile ci tocca da ogni parte e che può pas-sare inosservata solo a colpi di rimozionepercettiva, visiva, linguistica. Ma il rimos-so ritorna. E non ritorna come senso dicolpa da cui è facile lavarsi con un gesto dicarità. Ritorna come atrofizzazione dellanostra esistenza».L’analisi di Galimberti ha suscitato in mealcune riflessioni che possono sboccare inuna decisione di speranza attiva e concre-ta. La prima è che questo abisso di male in

cui siamo caduti ha la sua origine in unaconcezione della persona umana che puòdirsi schizoide, additata dal filosofo comecausa fondamentale del male che abbia-mo portato all’umanità: l’anima separatadal corpo, la materia dallo spirito, il tem-po dall’eternità. Abbiamo aperto dei per-corsi diversi ai bisogni e ai desideri dellevarie parti del nostro essere. Il Libro checi è stato proposto come guida si apre conil racconto del soffio che dal molteplice,dal frammentario, dal caotico trae l’unità,il cosmo, l’armonia, il bene. Gesù condan-na il frammentarismo religioso e proponel’unità opera del soffio dello Spirito: ‘guaia voi, farisei che pagate la decima dellamenta, della ruta e di ogni erbaggio e poitrasgredite la giustizia e l’amore’ (Lc 11,42).Fate molte cose e trascurate l’uno neces-sario.Non mi appare né strano né inatteso che ilfilosofo che vuole uscire da una lunga tra-dizione di pensiero riceva la stessa rispo-sta del dottore in Israele: «reinventare lavita’, rinascere, e si rinasce solo permet-tendo al soffio di essere il solo, l’unico prin-cipio unificatore dell’esistenza. La verità èuna. Scrive Jullien: ‘la saggezza consisteliberandosi da tutte le ostruzioni e focaliz-zazioni interiori, nel raggiungere in sé l’at-titudine comunicante non isolante né sta-gnante e ormai dunque pronta, del soffioda cui sono prodotto’» (pag. 85). E Gesù aNicodemo: lo Spirito soffia dove vuole,soffia e senti la sua voce ma non sai da doveviene e dove va (Gv 3,8). Lo Spirito nonpuò essere immagine né concetto. Dunquemuore il maestro e nasce il testimone.Muore pensiero – carne – psiche – pulsio-ni e nasce persona. Non è questo speran-za? Forse bisogna avere atteso fino all’etàdel vecchio Simeone per vederla da lonta-no e affidarla ad un canto.

Arturo Paoli

(1) F. Jullien, Nutrire la vita – Raffaello Cortina(2) A. Asor Rosa, Uscire dall’occidente – Einaudi

ArturoPaoli I

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TEOLOGIA

la laicitàdel

credenteCarloMolari L

a discussione sulla laicità ha avu-to momenti vivaci negli ultimimesi in Italia. Vi sono dati chesembrano acquisiti dall’una e dal-l’altra parte. Vale la pena riassumer-li per mostrare quale fondamento

abbia per il credente l’atteggiamento lai-co, il rispetto che esso esige e in che sensosi possa o si debba agire «come se Dio nonfosse».La fase attuale è la conclusione di un lun-go processo che ha avuto diverse tappe. Perchiarezza potremmo riassumerle in tre,tenendo conto tuttavia della fluttuazionedel significato dei termini.La prima tappa, costituita dal superamentodella concezione sacra del mondo e dellastoria, è espressa nella contrapposizionesacro/profano ed è chiamata desacralizza-zione. Tutte le culture antiche erano carat-terizzate da una prospettiva sacra. Gli eventidella creazione (varietà della vita vegetale eanimale, i fenomeni atmosferici: tuoni, ful-mini, i terremoti, le catastrofi naturali, ecc.),dell’esistenza personale (sogni, malattie,nascite dei figli ecc.) o della storia (guerre,carestie, epidemie ecc.), venivano ricondot-te a specifici interventi di esseri trascenden-ti, favorevoli od ostili. Analogamente le au-torità pubbliche: gli imperatori, i re, i giu-dici, erano considerati delegati divini, inve-stiti di poteri celesti; il valore delle loro de-cisioni veniva collegato ai poteri divini cheessi esercitavano per il particolare rappor-to vissuto con la divinità.Man mano, però, che gli uomini sono per-venuti a scoprire le cause dei fenomeninaturali e, più tardi, a vivere gli eventi sto-rici come risultato di valutazioni e di scel-te compiute liberamente, sono pure giuntialla convinzione che tutti i fenomeni dellacreazione e della storia hanno cause intrin-seche. È sorta così la scienza come ricerca

delle ragioni dei fenomeni e si è sviluppa-to il corrispondente atteggiamento attivonell’affrontare le varie situazioni della vita.La desacralizzazione si compie quando nonsi fa più ricorso ad esseri trascendenti perspiegare i fenomeni della creazione o glieventi della storia. Conseguentemente sinega che vi siano luoghi, persone o cosesacre, dotate di particolari poteri celesti egestori in esclusiva di energie divine.Una seconda tappa, costituita dalla perditadi incidenza delle strutture religiose, si èsviluppata nella contrapposizione religioso/secolare ed è chiamata in senso proprio se-colarizzazione. Essa riguarda il polo religio-ne-mondo o chiesa-mondo (= secolo) e con-siste nell’autonomia sempre più ampia del-la scienza, della tecnica e delle strutturesociali nei confronti delle dottrine e delleattività proprie di strutture religiose. Untempo queste, ricorrendo a presunte cono-scenze riservate o a rivelazioni di Dio, det-tavano legge in ogni ambito dell’esistenzaumana personale e sociale e ispiravano tut-te le sue manifestazioni: la scienza, l’etica,il diritto, l’economia, la medicina, l’arte, ecc.Le diverse discipline hanno progressiva-mente sostituito le religioni che in molti casioggi appaiono incapaci di proporre inter-pretazioni armoniche della realtà e costru-ire condivisi modelli di comportamento.La secolarizzazione quindi si compie quan-do le strutture e le organizzazioni religio-se lasciano a quelle secolari l’orientamen-to e i criteri delle scelte personali e sociali.La terza tappa è costituita dal passaggio apersone comuni delle facoltà e dei poteriesercitati dai detentori del sacro, e si tra-duce nella contrapposizione laico/clero. Sicompie quando tutte le attività sono aper-te a tutti, secondo le capacità personali.Viene abitualmente chiamata laicizzazio-ne. Il termine ha due valenze molto diver-se secondo i due ambiti in cui si realizza:la chiesa o la società.Nell’ambito ecclesiale indica la maggioreimportanza che i «laici» stanno acquistan-do nei confronti del clero, in ordine allamissione che la comunità cristiana è chia-mata ad esercitare nel mondo. In questosenso il termine laico indica il battezzatoche, consapevole della propria responsa-bilità come discepolo di Gesù, si impegnaa svolgere la missione ecclesiale negli am-biti profani e nelle attività quotidiane: illavoro, la famiglia, la politica, la scienzaecc. Durante gli ultimi secoli, soprattuttonella chiesa cattolica, il clero aveva accu-mulato nelle sue mani le funzioni princi-pali della vita ecclesiale: dottrinale, disci-plinare, sacramentale, economica. Con la

diffusione della cultura e soprattutto inseguito alla secolarizzazione, i «laici» sonodiventati la linea avanzata della missioneecclesiale nel mondo. Il Concilio VaticanoII ha riconosciuto questo dato afferman-do che ai laici, caratterizzati «dall’indolesecolare» di vita, «spetta di illuminare eordinare tutte le cose temporali, alle qualisono strettamente legati, in modo che sem-pre siano fatte secondo Cristo e crescanoe siano di lode al Creatore e Redentore»(LG n. 31). Questo compito non è ancorapienamente sviluppato.Il secondo aspetto della laicizzazione si ri-ferisce, invece, al passaggio di poteri e diprerogative dei membri delle Chiese o ingenere delle Religioni agli addetti a strut-ture civili. Per questo ambito la laicizza-zione coincide con la secolarizzazione an-che se laicizzazione si riferisce in partico-lare ai compiti delle persone coinvolte eaccentua maggiormente lo stile o la quali-tà della loro attività.Nei rapporti tra Chiese e Stati la laicizza-zione ha condotto a una chiara distinzionedi competenze per cui gli Stati si sono im-pegnati a non legiferare in questioni eccle-siali o religiose (come recita il primo emen-damento (1791) alla Costituzione degli StatiUniti proclamata nel 1787). Altrove (comein Francia con le diverse leggi dalla Rivolu-zione del 1789 ad oggi) il processo si èespresso maggiormente come ideologia lai-ca, come tentativo, cioè, di annullare la va-lenza pubblica delle religioni per ridurle adun affare individuale e privato.La Costituzione italiana affermando il ca-rattere pubblico della chiesa «indipenden-te e sovrana nel suo ordine» (art. 7), rico-nosce la incompetenza dello Stato sui temireligiosi, se si escludono gli eventuali riflessisull’ordine pubblico. La Corte Costituzio-nale a proposito della «attitudine laica del-lo stato/comunità», nella sentenza n. 203 del1989 precisa: «il principio di laicità [...] im-plica non indifferenza dello Stato di frontealle religioni, ma garanzia dello Stato perla salvaguardia della libertà di religione, inregime di pluralismo culturale e religioso».Nella società civile quindi il termine laici-tà riferita alle strutture statali indica la loropiena autonomia nei confronti delle reli-gioni e insieme l’impegno a garantirne idiritti e il libero esercizio delle loro attivi-tà, senza intromissioni nell’espletamentodella loro missione, a meno che non in-frangano le leggi dello Stato.

implicazioni teologiche e reazioni ecclesiali

Il cristianesimo è stato coinvolto attiva-

mente nei processi implicati nella trasfor-mazione sociale, già fin dall’inizio dellasua storia, dato che «la via di Cristo» (cfr.At. 9, 2; 18,25 s) si è articolata nel tempocome desacralizzazione della strutturareligiosa: del sabato e dei giorni sacri, delsacerdozio e dei poteri sacri, del tempioe dei luoghi sacri. Gesù era un artigiano,non appartenente alla struttura sacerdo-tale, non era membro del Sinedrio, né au-torizzato ad un insegnamento della leg-ge. Era un laico senza autorità che peròavviò un movimento di rinnovamento ri-chiamando l’urgenza di un culto a Dionon in luoghi particolari, come il MonteGarizim (per i Samaritani) o il monteSion (per i Giudei), ma «in spirito e veri-tà» (Gv 4, 23), nel cuore dell’uomo, cioè,illuminato dalla Parola di Dio, sotto l’un-zione dello Spirito (cfr. 1 Gv 2, 16, 27). Idiscepoli di Gesù non hanno più costru-ito templi, come luogo dell’incontro conDio. La «basilica» romana, alla quale Co-stantino si è ispirato per la costruzionedei primi luoghi di assemblea dei cristia-ni, dopo che per secoli le case privateavevano ospitato le riunioni dei «segua-ci della via di Gesù», era un ambito pro-fano, laico e secolare, lo spazio della vitapubblica. Il culto effettivo dei discepolidi Gesù si svolgeva all’interno degli eventidella storia. Paolo invitava i cristiani diRoma: «ad offrire i propri corpi comesacrificio santo e gradito a Dio» e con-cludeva «questo è il vostro culto spiritua-le» (Rom 12,1). L’assemblea serviva,come tuttora serve, per alimentare la fedeattraverso la memoria rituale degli eventisalvifici e della fedeltà all’amore, con cuiGesù li ha vissuti. In tale modo i disce-poli si allenano a vivere ogni esperienzaprofana e secolare in modo salvifico e siesercitano a rimanere in sintonia conl’azione di Dio, così da farla fiorire informe inedite di umanità e da rivelare atutti l’amore di Dio.Dal punto di vista della teologia cristianail processo di desacralizzazione ha con-dotto alla purificazione dell’immagine diDio e all’affermazione della sua trascen-denza. In particolare il modo di concepi-re l’attività creatrice di Dio è stato libera-to da incrostazioni antropomorfiche.Quando noi diciamo che Dio agisce, vo-gliamo affermare che la sua forza diventaattività di creature nelle quali si esprimein forma contingente, assumendo l’effica-cia e i limiti loro propri.(continua)

Carlo Molari

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CONTROCORRENTE CINEMAGiacomo Gambetti

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Il passato presenteVolver

AdrianaZarri Fla valle del sorriso

orse – e fortunatamente – è passa-to il tempo del «de comptentu mun-di» dove il mondo e la mondanitàma anche l’innocente terra eranoguardate con sospetto: un regnodella terra in contrasto con il re-

gno dei cieli. Oggi il papa parla non delsospetto ma del rispetto del creato; e il ri-spetto sottintende la stima e l’amore: par-la di ecologia, usando o non usando (pocoimporta) un termine moderno per un ri-spetto antico anche se anticamente mesco-lato a quel comptentu che s’è detto) neiconfronti di quella che la «salve Regina»chiama valle di lacrime. E anche a ragio-ne perché, in questo mondo, si piange, enon poco. Però non si piange soltanto e lostesso pianto porta con sé un certo con-forto. Tant’è che un papa, commentandoquel pianto, osservava che ci si piange benein questa valle: un pianto spesso dispera-to ma talora anche consolato e che convi-ve con la consolazione. Perché, in questomondo, si piange ma anche si ride, si can-ta, si gioca. Non indulgiamo alla retoricadel pianto, della disperazione, della valledi lacrime che spesso è anche una valle diriso. E parlare di ecologia significa parla-re della gioia del mondo: delle albe e deitramonti, del sole e delle stelle: di quellestelle che, come afferma la Bibbia, Dioconosce una per una e, una per una, chia-ma per nome.La Bibbia è piena di amore per le realtàterrestri. «Svegliati mio cuore» recita unsalmo «svegliatevi arpa e cetra: voglio sve-gliare l’aurora!».Sempre la Bibbia parla dei due grandi lu-minari: il sole per far splendere il giorno ala luna per rischiarare, più tenuamente, lanotte, con il buio trapunto dall’arabesco

delle stelle.Parlare di ecologia – con il termine e sen-za, poco importa – significa parlare deigiorni e delle stagioni: del sole che tramon-ta e che, ad ogni alba, rinasce, dell’estateche trascolora verso il grigiore delle neb-bie e il candore delle nevi; delle foglie checadono e rigermogliano sul verde tenerodell’erba nuova. Parlare di ecologia signi-fica parlare della bellezza del creato e del-la gloria del Creatore. «I cieli narrano lagloria di Dio», e non soltanto i cieli maanche la terra e il mare.Tu, Dio «di gioia fai gridare la terra»esclama il salmo 64 «le soglie dell’orien-te e dell’occidente. Tu visiti la terra e ladisseti, la ricolmi delle sue ricchezze...ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle, labagni con le piogge e benedici i suoi ger-mogli... stillano i pascoli del deserto e lecolline si cingono di esultanza. I prati sicoprono di greggi, di frumento si am-mantano le valli, tutto canta e ride di gio-ia».Come si vede la lacrimarum valle è assailontana.Parlare di ecologia significa parlare nonsolo della terra ma anche di quegli anima-li coi quali – insieme agli uomini – Dio sta-bilì la sua allenza: i gatti (amatissimi dalpapa) che fanno le fusa, i galli che saluta-no l’alba, le cicale che accompagnano ilgiorno, i grilli che animano la notte.Tutto questo – detto e non detto, inteso esottinteso, esplicito ed implicito – sta nel-le parole del papa, quando parla del ri-spetto del creato e dell’armonia dell’uni-verso: un messaggio di armonia e di gio-ia, dove la valle di lacrime si fa la valledel sorriso.

Volver-Tornare (sullascia della celebre,struggente canzone

del grande Gardel) è il filmpiù recente di Pedro Almo-dovar, e come tutti i filmdel regista spagnolo susci-ta entusiasmi, perplessità,riprovazioni. Il fatto è cheil cinema di Almodovar –sicuramente uno dei piùoriginali e autorevoli regi-sti di oggi, in Europa – valepiù per dividere le opinio-ni che per tranquillizzare.È infatti un cinema volu-tamente «provocatorio»,sempre a mezza strada fraironia, amarezza, perfinodivertimento macabro. Lasolitudine di Almodovar èsicuramente grande e pro-fonda, il suo rapporto conla parte femminile del-l’umanità è sempre di at-trazione e di ripulsa insie-me. È difficile chiarire – eAlmodovar non lo chiari-sce neppure a se stesso –se si tratti di simpatia o didiffidenza, e i sentimentid’amore, nei suoi film, aparte quelli che si riferisco-no alla madre, rimangonoa uno stato di quasi com-pleta ambiguità.Almodovar dapprima con-fonde le carte, senza rispet-to «tradizionale» per nullae per nessuno, né per lepersone né per le famiglie,senza riguardi per nessunvalore «normale», anzi ilsuo è un compiacimentoevidente e notevole controciò che può apparire uffi-cialmente fuori dalle rego-le. Poi, nel racconto, si ac-cinge alla ricostruzione eal recupero, a ricostituirei pezzi delle sue storie, equindi rimette in piedi i ca-ratteri, almeno alcuni; e ipersonaggi – che potevanoapparire arbitrari e a séstanti – vanno ad occupa-re posizioni più o menoclassiche e prestabilite.L’esperienza di Almodovarè sicuramente originale epersonale. Almodovar è unmanchego, originario cioèdella Mancia, la regione

della Spagna patria di donChisciotte, la regione attra-versata dai forti venti cheerano nella «follia» del ca-valiere solitario del geniodi Miguel Cervantes e chelo spinsero a vedere terri-bili avversari nei mulini avento, cavalieri anch’essiimprevedibili e arditi. Al-modovar – lo chiediamocon rispetto, con simpatia,con ironia, con nobile ri-ferimento letterario e conquanti altri sentimenti an-cora è possibile aggiunge-re e considerare – Almodo-var è «collocabile» nellaeroica follia del Qijote?Per qualche aspetto la suaprovocazione può ricorda-re quella del lontano suoconterraneo, per qualchealtro – cinematografica-mente parlando – può ri-mandare a qualche esem-pio antico e a uno, soprat-tutto, Hiroshima, monamour, di Alain Resnais(1959). A suo tempo il filmdi Resnais suscitò unoscandalo di carattere criti-co e contenutistico insie-me non inferiore a quelloproposto da Almodovar senon altro nei primi annidel suo lavoro.Il totale abbandono dellafamiglia e delle originifrancesi da parte della

protagonista di Hiroshima,mon amour suonò quasicome la sconfessione diun’Europa anch’essa col-pevole di fronte ai giappo-nesi sopravvissuti allabomba atomica. Nessunvalore, nessun sentimentotradizionale aveva più al-cun diritto di esistere aconfronto con lo sterminioe la tragedia provocati dal-la bomba dell’agosto 1945.Resnais si rifugiò all’inter-no dei sentimenti e del-l’erotismo, pur senza alcu-na esibizione; Almodovarsegue una strada se si vuo-le più plateale e perfino piùfacile; d’altronde sono pas-sati quarantacinque annidi cinema, di storia, di im-magini, ed è quasi ovvioche ciò avvenga.Lo stile è dunque diverso,dal tutto «interiore» di Re-snais, dove vale almeno alnovanta per cento il dialo-go (di Marguerite Duras)arriviamo al tutto o quasitutto «visivo» di Almodo-var: ma il procedimentonon cambia di particolaresostanza. Si può aggiunge-re che ciò che profonda-mente distingue il film diAlmodovar dal capolavorodi Resnais è, tuttavia, lacollaborazione degli inter-preti. Il film del ’59 era ri-

servato a due soli attori, lagrande Emmanuelle Rivae Eiji Okada; nel film dioggi Almodovar mette inscena la schiera delle sueattrici, una delle quali, Car-men Maura (qui addirittu-ra «nonna Irene»), con luifino dagli inizi, a poi unarinnovata Penelope Cruz(Raimunda), certamentepiù viva di gran lunga e piùvera di ogni suo film hol-lywoodiano, oltre a LolaDuenas, Blanca Portillo,Yohana Cobo, Chus Lam-preave, Isabel Diaz, NeusSanz Escobar, con Antoniode la Torre, Carlos Blanco,Carlos Garcia Gambero.Dopo una qualche attivitàteatrale, dopo essersi occu-pato di romanzo a fumettie di composizioni e inter-pretazioni di musica legge-ra; dopo alcuni cortome-traggi di estrema origina-lità kitsch, il primo lungo-metraggio a soggetto di Al-modovar è Pepi, Luci, Bome le altre ragazze del muc-chio, del 1978, girato in16mm. e poi passato a 35:ed è rimasto l’emblema delsuo cinema. Libero, spre-giudicato, mescolatorio,contro ogni convenzionenarrativa e cinematografi-ca, vuole colpire lo spetta-tore in ogni convenzione,e ci riesce. Più o meno«adattati», i film successi-vi confermano questa li-nea, anche se i risultati diqualità via via col tempo si«ripuliscono»: ma forsenon è così con Volver, in cuile contraddizioni e le me-scolanze ritornano voluta-mente fuori.Comunque, dopo Pepi,Luci, Bom..., le successivetappe principali sono se-gnate da L’indiscreto fasci-no del peccato (1983), Cheho fatto io per meritare que-sto? (’84), Donne sull’orlodi una crisi di nervi (’88),Tacchi a spillo (’91), Tuttosu mia madre (’99), Parlacon lei (2001), La cattivaeducazione (2004).

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Roberto Carusi

TEATRORenzo Salvi

RF&TVMariano Apa

ARTEGiuliano Della Pergola

MOSTRE

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Mamma fa l’indovi-na per l’Ufficio delProcuratore». At-

tribuita da copione alla fi-glia minore – di tre, e tuttefemmine, e piccine – dellaprotagonista, la logica diMedium è svelata in sintesie completezza.Il telefilm – multiseriale, dimatrice statunitense – si èaffacciato nella secondametà della stagione 2005/06e, riproposto nelle serateestive del venerdì, anche ablocchi di tre puntate, è oraannunciato in ripresad’emissione, per settembre,sempre su RaiTre.La mamma/medium prota-gonista ha un marito ricer-catore di fisica teorica (percontrasto: anche così si co-struisce l’intreccio) e bimbein età scaglionata – dicendocon l’ex-ministro Moratti:che bello dire ex – tra lascuola dell’infanzia e la se-condaria di primo grado: èin questa famigliola feliceche si inseriscono sogni pre-monitori di rilevanza crimi-nale (penale, giudiziaria...).Assunta la mamma, part-time (altro elemento di nor-malità medio-corrente),presso l’Ufficio investigativodella Contea, la vita dellafamigliola un po’ si compli-ca: i sogni aumentano e leuscite verso le scuole, la spe-sa, il parco ritardano e, poi,coinvolgono via via lo scien-ziato-babbo il quale pure sivede talvolta costretto a rien-tri notturni, ché la fisica parenon sopporti orari d’ufficio,trovandosi a dover svegliarla moglie da sonni agitati.I casi, che si dipanano den-tro questa normalità che unpo’ si scombina, riguardanosituazioni di suicidio chenon son tali con balzo nellabaia, omicidi «a venire» per-cepiti in sogno con annid’anticipo mentre il futurocolpevole è un buon cittadi-no (ah, l’America!) che sta

aiutando la Giustizia ma giàha comprato (nuovo) il tap-peto che, usurato, farà da su-dario alla vittima, revolversepolti col poliziotto uccisodalla mala... E i sogni pro-pongono l’ucciso a letto (ca-stamente, ma in bara) conla medium o il killer/futuroapparire, come fosse in casa,a minacciare una delle bim-be, in età della sua potenzia-le vittima a venire... Sotto lagradevolezza, ma anche lastranezza con punte di noncredibilità, di una situazio-ne alla Doris Day condottaalle soglie del romanzo go-tico, neppure mancano,però, elementi di inquietu-dine: quel bimbo con cui lapiù piccola delle bimbe col-loquia al parco giochi, in re-altà non è più in questa vitae il distacco tra lui e la picci-na, che lo percepisce anco-ra, è tutto da gestire con pas-si in sceneggiatura di dolcitristezze.Da vedere? Qualche punta-ta. Per capire come la logicadel qua/e/là, del razionale/ir-razionale, del reale/e/inspie-gabile possa essere narratosenza le pretese del businessDa Vinci, riuscendo ad ag-gregare pubblici molteplici esino a calamitare (l’ipotesi èdi studio) nel momento delsuo ritorno allo schermodopo il canonico allenta-mento adolescenziale, quelpubblico, ora giovane, chenella sua infanzia s’appassio-nò alla lettura dei PiccoliBrividi, serie archetipa ditanta narrativa per bambinigiocata sul piccolo orror,vampiretti, mostri e mostri-ni, poteri e poterinini. Lemani scacciagrandi, schele-triche e fosforescenti, appe-se allora alla maniglia dellecamerette, forse stan attiran-do piccoli gruppi di ex-pic-coli lettori alla visione di (ac-cettabili) telefilm di confinetra il poliziesco, il sensitivoe la sit-com.

Dopo la mostra dedi-cata a Roberto Lon-ghi («Da Renoir a De

Stael. Roberto Longhi e ilmoderno», Febbraio 2003,catalogo dell’Ed. Mazzotta),Claudio Spadoni proponeFrancesco Arcangeli: «Tur-ner Monet Pollock. Dal Ro-manticismo all’Informale.Omaggio a Francesco Arcan-geli» (catalogo Electa), cosìche Ravenna e il suo Museod’Arte possono imporsi comeriflessione sulla indagine cri-tica in quanto strumentazio-ne storiografica per verifica-re la qualità dell’espressioneartistica in quanto capacerealtà della civiltà di una co-munità, di una geografia sto-rica. La memoria dell’anticaciviltà ravennate ci introdu-ce alla modernità del secolobreve, il XX secolo dell’Avan-guardia e dei medioevalisti,dei mosaici ravennati rilettida Klimt così come da D’An-nunzio. Se l’estetismo è l’in-fantilismo del Decadenti-smo, il valore estetico dellaiconologia della pietra di lucee della patrologia che deci-fra le figure in San Vitale oS. Apollinare, per esempio, èla costruzione di un pensie-ro che non può chiudersinella museificazione di sestesso ma deve imporsi qua-le viatico alla nostra contem-poraneità. Così queste duemostre – per Longhi e per Ar-cangeli – sono davvero duemostre politiche. Sono dueattestati di una eticità dellostudio con cui una scuolainesistente stenta a tener dipasso. E dunque queste duemostre sono il viatico ad al-tri similari progetti espositi-vi e convegni di studio che sispera Ravenna continui, perdare lustro alla musica conMuti, alla aurora dell’Euro-pa Mediterranea con la suaciviltà antica Ravennate, conla memoria di Dante. E conquanto Ravenna significadentro il XX secolo e dentroil XXI secolo. Questo l’ardi-to progetto che sottostà al-l’emozione di ripercorrerel’itinerario di un Maestro del-la storiografia e un testimo-ne dell’arte intesa come cor-po vivo del pensiero, come

corpo vivo della pittura inquanto corpo vivo che espri-me eros e morte, vita e na-scita. I bellissimi saggi incatalogo, documentano i va-lori storiografici e culturalidel nostro vedere le opere diTurner e Gainsborough, diConstable e Courbert, Monete Renoir, Fattori e Seganti-ni, fino a Permeke e Soutinee Klee, Carrà, De Pisis, Mo-randi. Lo spazio del paesag-gio diventa spazio dell’inte-riorità mentale ed esistenzia-le. Il grumo dell’esistenza sideposita sulla tavolozza, oracome tramonto e umidità delbosco, ora come sudore delcorpo trafitto dalla sconfittadel vivere, ora esaltato nellostruggente abbraccio conl’altro riconosciuto similarein una landa beckettiana. Ilgesto dell’Informale non puòessere una invenzione criti-ca. È davvero la verità del-l’esistenza scontata esisten-do. Questa mostra – e que-sto Arcangeli riletto – la dicelunga su tutto il versante del-l’Azionismo viennese. Dicemolto sulla furbizia delleprotesi di PostHuman e riaf-ferma il coraggio della liber-tà espressiva quando è pen-siero che si compromettecon la verità del corpo dellaverità. Così da Pollock a Fau-trier, da De Stael a Morlotti,da Sutherland a Moreni e aMandelli, BendiniVacchi,Romiti, si giunge a Leoncil-lo. E con Leoncillo siamonella nostra Umbria di Spo-leto. E vedere Arcangeli e Le-oncillo scendere le scale piat-te della piazza in faccia alDuomo con il grande Cristoassiso in trono, significariandare alla qualificazionebizantina di Ravenna quan-to alla indicazione longobar-da di Spoleto. La materia diLeoncillo è longobarda, cosìcome la scrittura di Arcan-geli è wiligelmiana. E traWiligelmo e Leoncillo ripo-sa il corpo trasfigurato nellanotte mistica della Verna.Notte luminosissima quan-to luminosissima Ravennariletta con gli occhi di Arcan-geli.

Il domino e il caleidoscopio

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La Milanesiana: un pia-cevole appuntamen-to culturale (giunto

alla sua settima edizione),ideato e diretto da Elisabet-ta Sgarbi, promosso dallaProvincia di Milano e orga-nizzato dalla Fondazione IPomeriggi Musicali, con ilsupporto di varie sponsoriz-zazioni. Gli incontri, preva-lentemente serali al TeatroDal Verme, si sono svolti dal7 al 21 luglio. Costantemen-te numerosa la partecipa-zione del pubblico (non solo«addetti ai lavori») e molti igiovani.L’indovinata idea chiavedella Milanesiana fa veni-re in mente il gioco del do-mino. Infatti il «filo rosso»della variegata e moltepli-ce rassegna internazionaleè la consonanza di diverseforme espressive: letteratu-ra, musica, pittura, cinemae via dicendo.Il prologo, per così dire, èstata la inaugurazione diuna mostra, allestita allaTriennale, di nientemenoche 77 milioni di opere pit-toriche e musicali di BrianEno. Come nel gioco otticodel caleidoscopio, le imma-gini ideate o scelte dall’ar-tista si scompongono e sisovrappongono continua-mente grazie ad un suppor-to informatico, all’unisonocon una colonna musicaled’ambiente che analoga-mente si rigenera in infini-te combinazioni.Il tema delle serate era, que-st’anno, «I mondi del miste-ro». Ecco allora una ama-bilissima prolusione, tra ilserio e il faceto, (corredatada immagini) di UmbertoEco sulla bruttezza: appun-ti per un suo prossimo li-bro. Bruttezza fisica e bel-lezza d’animo nel celeber-rimo Cyrano de Bergerac diRostand, alcune pagine delquale sono state interpreta-

te da Massimo Popolizio alleggio con sorprendentemimesi vocale, grazie allaquale ha impersonato sia ilprotagonista sia Cristiano eaddirittura Rossana. Nellastessa serata il pianista An-tonio Ballista ha offerto al-cune «aberrazioni» musi-cali come esempio di eser-cizi di stile sulla base diautori più o meno classici:un gioco di intelligenza evirtuosismo.Va poi ricordato il gruppoFanny & Alexander (quat-tro attrici, un attore, un pia-nista, un flautista ed un ese-cutore a macchine del suo-no) con il contributo diimmagini video e le elabo-razioni linguistiche del-l’enigmista Stefano Bartez-zaghi. Il tutto per dar vitamultimediale ad un raccon-to di Vladimir Nabokov.Viva Palermo e Santa Rosa-lia, concerto e visioni diDaniele Ciprì e FrancoMoresco (quelli di CinicoTv), è la felice commistio-ne di inconfondibili filma-ti in bianco e nero con unasorta di jam-session di En-rico Rava alla tromba e Sal-vatore Bonafede al piano-forte, nonché con la recita-zione del «cuntista» Mim-mo Cuticchio.Con l’opportuno sottotito-lo «quasi un melologo», ilpianista Ballista e l’attoreToni Servillo hanno dialo-gato (voce recitante e co-trappunto musicale) propo-nendo una lettera immagi-naria di Hoffmansthal sul-la inespressività della paro-la. Lo stesso tema è statoripreso da Alessandro Ber-gonzoni, autore e interpre-te di raffinati nonsense, inuna godibile conversazionesemiseria. A dargli il «la»era Marino Sinibaldi, pro-grammatore culturale diRadio 3.

Allestita nel comples-so del vecchio ospe-dale di Siena di San-

ta Maria alla Scala, dinan-zi al Duomo, la mostra de-dicata a Matteo di Giovan-ni (Borgo di San Sepolcro,1430), illustra la riflessionedel pittore sulla paginaevangelica della strage de-gli innocenti, dell’influenzache su di lui ebbe dappri-ma il Vecchietta, per giun-gere ad una più forte e au-tonoma interpretazionepersonale. «Cronaca di unastrage dipinta» è il titoloche alla mostra è stato dato,per parlare di questa lungariflessione pittorica, sem-pre sullo stesso argomento,e quindi resa ancora piùcredibile dal possibile con-fronto tra momenti diversi.Sottratta ad una certa ricor-rente mitologia (non menoche ad una certa iconogra-fia tragico-oleografica) lamostra, con aperture antro-pologiche esemplari, conparticolari minuti pieni dipsicologia dolorosa e conuna critica moderna al po-tere dispotico del re, risen-te anche di aneddoti e difatti politici accaduti du-rante la vita del pittore. Erainfatti avvenuto che aOtranto, nel 1480, i turchifossero sbarcati sulle costesalentine e avessero com-piuto stragi di poveri infan-ti, e che questo fatto fossestato al centro di commen-ti politici dell’epoca, fino afare raccapricciare di orro-re l’opinione pubblica. L’in-cipiente rinascimento assu-meva dunque con una sen-sibilità nuova questo episo-dio trasferendolo nell’artedi allora, fino a volere testi-moniare i sentimenti di ri-pulsa che da simili opera-zioni potevano provenire.Ma naturalmente così pro-cedendo, anche una certacritica all’evangelo potevaessere condotta, stabilendouna distanza da interpreta-zioni tradizionali più scon-

Matteo di Giovanni a Sienatate. Nelle sue opere, Gio-vanni di Matteo punta lapropria attenzione sul con-flitto interpersonale tra isoldati inviati per compie-re la strage (la mano delpotere) e le mamme deibambini (la società civile),che si ergevano a difesadella propria prole. Giovan-ni di Matteo non esita nel-lo schierarsi contro i solda-ti, e quindi anche contro laferocia di re Erode, descrit-to come un re sovrastantela scena, perfido nellosguardo e mellifluo nell’usodel potere. Mentre i bam-bini cadono per terra sgoz-zati, le mamme di quelliancora vivi si difendono intutti i modi dalle spade deisoldati: graffiano il viso delsoldato aggressore, scappa-no accollandosi figli anchedi altre madri, porgono ilproprio corpo ma non quel-lo dei figli alle offese dellaguarnigione. Una scena, frale altre, terribile per l’am-bivalenza che sottintende,descrive un soldato che daterga sembra corteggiareuna madre mentre con lamano sinistra invece neuccide il figlio con un pu-gnale appuntito. Re Erodedomina la scena. L’orroreper il potere che il pittoredescrive, potrebbe esseretolto da una pagina delMachiavelli, o di Spinoza odi Marx. Un grido contro laguerra si alza da queste tele,mentre un movimento dimassa interpreta nuova-mente la strage degli inno-centi e giunge alla nostrasensibilità di modernicome un documento paci-fista ante litteram.Per l’allestimento di CeciliaAlessi e di AlessandroBagnoli la mostra mantie-ne un’elegante e suggesti-va atmosfera molto adattaalle tele esposte.Siena, 23 giugno 2006 – 8ottobre 2006Tel.: 0577.224811, 224835.

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Sabino AcquavivaL’eclissi dell’EuropaEditori Riuniti, Roma2006, pp. 336

Cinquant’anni fa il mio pro-fessore di filosofia, NicolaPetruzzellis, intitolava la pri-ma lezione del suo corso: «Ilconformismo degli anticon-formisti». Il tema è ancoraattuale, come conferma l’ul-tima fatica di Sabino Acqua-viva su «L’eclissi dell’Euro-pa»: un libro fuori dai dentie nell’intenzione anti-ideolo-gico e anticonformista, alpunto da denunciare anchel’ideologia dell’ anti-ideolo-gia.Scrivo a pochi giorni dal no-stro Corso di Studi, che que-st’anno ha avuto per temal’«identità»; e il libro di Sa-bino è sull’eclissi dell’identi-tà dell’Europa: l’Europa nonmuore (non più che il restodel pianeta) come entità ge-ografica bensì principalmen-te nella sua identità cultura-le e civile: in ciò che l’autoredice di amare.Il libro si presta naturalmen-te a riflettere più in genera-le sulle crisi di identità e l’au-tore denuncia con forza ilsoggettivismo (relativismo,«sfrenato individualismo») el’anarchia con cui si tende agiustificare ogni perdita diidentità; anche per la diffu-sa indifferenza alla storia ealle radici storiche della no-stra civiltà e per la nostra in-capacità di tornare sugli er-rori commessi nella storia,a evitare il collasso. Secon-do Sabino l’identità deveessere difesa; e denunciauna sorta di pacifismo, chesi illude di non avere nemi-ci, o si limita a sfilate e di-chiarazioni verbali.La denuncia riguarda la sto-ria del pensiero europeo –«indebolito» dal nichilismoe più in generale dalle filo-sofie negative; lo scientismoe il tecnicismo – «onnicom-prensivi della nuova cultu-ra»; e la banalizzazione dellinguaggio, correlata allosviluppo di un «pensierounico», che sottovaluta ledifferenze.La principale denuncia ri-guarda la crisi di valori e

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uel che m’interessaè costruire un’iden-tità che è dentro e

fuori di noi, in una singo-lare sintesi di mondo inter-no ed esterno». Così LuigiGhirri (Scandiano 1943 –Roncocesi 1992) sintetiz-zava il significato e lo sco-po del suo lavoro, condot-to per oltre ventidue annicon serio impegno e fortepassione. Massimo espo-nente della fotografia «cre-ativa» italiana, Ghirri èconsiderato a livello mon-diale uno dei maggiori au-tori contemporanei, cometestimoniato dalla sua par-tecipazione alla collettiva«Photography 1922-1982»(Colonia, 1989), dove ven-ne inserito tra i diciotto fo-tografi più rappresentatividel secolo appena archivia-to.Apprezzatissimo anchecome vivace animatoreculturale (non si può nonricordare la straordinariaesperienza della sua casaeditrice «Punto e virgola»,durante la quale ha pubbli-cato diversi titoli, ormaipreziosi e rarissimi, tramonografie, saggi e libri distoria della fotografia), ilfotografo emiliano, cui sidevono lavori esemplaricome – tanto per ricordar-ne qualcuno – «Esplorazio-ni lungo la Via Emilia»(1987), «Atlante metropo-litano», «Paesaggio italia-no» e «Il profilo delle nu-vole» (1989), «Atelier Mo-randi», «Vista con camera»e «I luoghi della musica»,pubblicati dopo la sua im-matura scomparsa, è statoanche un finissimo scritto-re; le sue riflessioni, raccol-te nel 1998 nel bellissimovolume «Niente di anticosotto il sole», edito da Sei

– come annotava il com-pianto Paolo Costantini –«sono diventate nel tempo,per la fotografia italianadegli ultimi decenni, ilpunto di partenza per laricerca di nuove identità...Ghirri considerava la foto-grafia come un’avventuradel pensiero e dello sguar-do».Una splendida mostra alCentro Internazionale diFotografia Scavi Scaligeridi Verona, che mutua ilsuggestivo titolo («Il pro-filo delle nuvole. Immagi-ni di un paesaggio italia-no») dall’omonimo libro,ormai introvabile ed op-portunamente ristampatoper l’occasione dalla Feltri-nelli, allinea centonove ca-polavori fotografici a colo-ri in un percorso – scriveGianni Celati – che si sno-da come un intreccio di filinarrativi «collegati da unreticolo di analogie», come«un album delle cose chesi possono vedere, indica-te nel modo in cui chiedo-no di essere viste». C’è unadimensione «etica» nell’in-tuizione e nella ricerca diGhirri, laddove addita, sulpresupposto sottinteso chel’indigestione di immginicausata dalla comunica-zione di massa (in primoluogo dal bombardamentotelevisivo) abbia prodottoin definitiva una «cecità»ultradiffusa, un ruolo perla fotografia che va ben ol-tre l’indagine sul linguag-gio e l’urgenza estetica:«Penso che oggi bisognacontinuare a pensare lafotografia come desiderio,immagine dialettica, e for-se utopia, per mostrare al-l’altro il nostro stupore neiconfronti del mondo».

Banche & assicurazioni

A dispetto delle ango-sce legate al tema si-curezza (di fatto im-

motivate se non si commet-tono colossali imprudenze),la crescita degli utenti di ser-vizi bancari online in Italiacontinua a registrare incre-mento di numeri e di servi-zi meritevoli di attenzione.Sui 33 milioni di clienti del-le banche italiane, è giuntoa quota 15% – ossia 4,2 mi-lioni – il numero di quantisi avvalgono di Internet peraccedere al proprio conto(banking online), anche seancora solo la metà di co-storo effettua transazioni(pagamenti e investimentiin primo luogo), a frontedell’altra metà che si limitaa controllare il saldo.Il fenomeno è interessantequale comportamento so-ciale che concorre a rivela-re come la tecnologia si stiaaffermando nelle pratichepiù comuni e, viceversa,quali siano le attitudini e letendenze sia da parte degliutenti sia da parte dei for-nitori di servizi. Nel casodelle banche, ad esempio, èdegno di menzione il fattoche il 55% della clientela delbanking online sia detenu-to da tre grandi gruppi –Poste italiane (grazie a Po-stepay, carta di credito pre-pagata con funzioni d’avan-guardia, e i bollettini onli-ne), Ing Direct (grazie alConto arancio e ai suoi in-teressi), Unicredit (con reteitaliana ed estera moltoestesa) – a motivo del valo-re aggiunto dei propri ser-vizi. Quanto ai clienti, inve-ce, la tipologia di operazio-ni effettuate si ripartiscecon un robusto 50% relati-vo ai bonifici, un impressio-nante 40% legato alle rica-riche del telefono cellulare(strumento destinato adun’interazione crescentecon i servizi bancari) e un10% per i bollettini. Nellaquota relativa ai bonifici,peraltro, una consistentesomma è destinata all’ac-

quisto di fondi di investi-mento, strumento che purtra le turbolenze borsisti-che continua a godere diun significativo appeal gra-zie alla riduzione progres-siva di commissioni e allalibertà di valutazione e mo-vimento che il web lasciaal cliente.Servizi legati alla vita quo-tidiana e alle famiglie. Suquesta strada l’uso di Inter-net incontra positivamen-te il mondo delle banche edelle assicurazioni, in duecapitoli di rilevante interes-se per molti: quello deimutui e quello delle poliz-ze per i mezzi di trasporto.Siti dedicati al confrontotra decine di offerte di mu-tuo, onde poter sceglierequella più conveniente alcaso proprio, sono una del-le nuove frontiere su cui siconcentrano non solo lebanche ma anche società diintermediazione online checreano il contatto tra clien-te e banca.È il caso ad esempio diwww.mutuionline.it ewww.telemutuo.it relativa-mente alle seconde, o diwww.mutuoarancio.it ,w w w. i l t u o m u t u o . i t ,www.bancaperlacasa.it re-lativamente alle prime. Epoi c’è l’universo delle as-sicurazioni, indubbiamen-te in grado di spuntareprezzi di sicuro vantaggiograzie ad una diversa orga-nizzazione industriale con-sentita da Internet, e certonon meno affidabile in ter-mini di garanzie e sicurez-za: www.genialloyd.it,w w w . d i r e c t l i n e . i t ,w w w . g e n e r t e l . i t ,www.linear.it sono alcunetra le diverse società di as-sicurazione di cui si sta ser-vendo il 4,1% del mercatoitaliano degli assicurati.Numeri ancora modesti inproporzione, è vero, masulla cui crescita si puòscommettere. Provare percredere.

«ideali» (il «capitale socia-le», in particolare quello cri-stiano) e la conseguente per-dita di ogni senso morale edi giustizia. Responsabili nesono in buona misura i me-dia e la pubblicità, la porno-grafia e la droga. Ne conse-guono violenza e insicurez-za, sotto gli occhi di tutti.Il libro si occupa in buonaparte della crisi della fami-glia, in particolare dell’edu-cazione dei figli; in famigliae a scuola, fortemente con-dizionata dai media: educa-zione permissiva e protetti-va, fonte di infantilismo,solitudine e depressione.Non è allegro il panoramadella gioventù europea. Ca-pillarmente diffuso dai me-dia e dalla pubblicità è ilconsumismo, nella opulen-ta società europea.Subordinati a questi, altritemi importanti sono: ladonna «in carriera» – madegradata a oggetto di con-sumo – e il corrispondentedeclino dell’uomo, comesesso sempre più debole; lacrisi demografica e di invec-chiamento della popolazio-ne – nient’affatto compensa-ta (dal punto di vista del-l’identità) dal flusso migra-torio; la religione, diventatapura esperienza psicologicapersonale in un mondo se-colarizzato.Un libro catastrofista? Sabi-no denuncia anche l’ottimi-smo degli struzzi, per i qua-li «tutto va bene».Piuttosto bisogna dire che ilsuo punto di vista non èl’unico possibile sulla crisieuropea e in genere sullecatastrofi. C’è anche quellocristiano, che non nega l’in-successo e la morte, ma nonli considera definitivi. Il cri-stianesimo è «perdente»?Certo (contro la retorica deitrionfalisti) ma con l’unicasperanza possibile, che la«religione naturale» nonconosce. Non è la nostra ci-viltà che ci ha dato il cristia-nesimo, ma un uomo: Cri-sto, nel quale possiamo ri-porre la nostra speranza. Illibro si apre e si chiude conl’Apocalisse, ma qual è il suomessaggio? Non è soltantola fine, ma anche la rivela-zione della salvezza.

Sabino sa (con Popper) che«il futuro è aperto». Dunquel’eclissi è solo una ipotesi.Perciò il suo discorso, appa-rentemente catastrofista,contiene delle proposte; edè (come scrive) sulla «mor-te-nascita»: sulla possibilerinascita di una civiltà.

Tony Bernardini

Stefano Biancu (a cura di)Mangiare la Bellezza. Teo-logia e saperi a confrontoCittadella, Assisi 2006,pp. 160

A coloro che si nutrono solodi cibi terreni senza esseremai saziati del tutto, Isaiarivolge l’invito a mangiare laBellezza, cibo gratuito («sen-za denaro e senza prezzo»)in grado di garantire unapienezza di vita («e la vostravita ben s’impinguerà»: Isaia55, 1-3a). In realtà, come av-verte Stefano Biancu, cura-tore del volume, l’invito delprofeta si fonda su un para-dosso, essendo la bellezzaoggetto dello sguardo e nondella bocca, della vista e nondel gusto. Tuttavia nel miste-ro cristiano dell’Eucarestia ilparadosso trova una soluzio-ne: la Bellezza si dona peressere mangiata come veronutrimento che placa la no-stra fame. Frutto di un semi-nario promosso dal gruppo«Giuseppe Luzzati» dellaF.u.c.i. di Milano il 7 aprile2005, il volume contiene i ri-sultati di un singolare e in-trigante confronto tra filoso-fi, biblisti, liturgisti, antropo-logi e letterati. Accade cosìche nell’ottica moltiplicatadei vari saperi la riflessioneteologica si arricchisce di sti-moli e suggestioni e lo spa-zio semantico dell’«atto delmangiare» da un lato e dellaparola «Bellezza» dall’altrosi allarga, fino a rivelare ine-dite possibilità di approccioal mistero di un Dio-Uomoche si fa pane per tutti. SeG. Borgonovo introduce unadimensione teologica del pa-sto alla luce di efficaci anali-si antropologiche e di un at-

tento itinerario biblico nelquale si carica di senso il pas-saggio dal binomio veterote-stamentario ‘latte e miele’ –alimenti direttamente datidalla natura – alla coppiascelta da Gesù ‘pane e vino’ –cibi elaborati dal lavoro del-l’uomo, acutamente G. Pa-gazzi scopre in vari passi delvangelo la fame-sete di Gesùcome rivelazione del bisognodel Padre, di Colui che solopuò nutrire pienamente.Dal canto suo E. Salmannconsidera in un percorso as-sai ricco e articolato il nododella dialettica mai risolta dibanchetto-sacrificio, che nel-l’essenziale simbologia del-l’Ultima Cena raggiunge i ver-tici estremi del dramma: un«mistero di consunzione»che può essere solo contem-plato. Al contrario, la stessaantinomia banchetto-sacrifi-cio trova una soluzione litur-gico-simbolica nella raffina-ta riflessione di A. Grillo sul-la compenetrazione di bios espirito nella natura del pasto,che attesta «la radicazionedell’uomo nella comunionecon il mondo». Quanto al ter-mine «bellezza» la sottile ri-visitazione del pensiero diDostoevskij compiuta da A.Dell’Asta, a partire dal cele-bre aforisma «la bellezza sal-verà il mondo» fa emergereil paradosso della Bellezzanella persona del Dio incar-nato, sfigurata dal drammadella Croce dove raggiunge lasua pienezza salvifica. Altret-tanto accattivante il percor-so attraverso fonti di rara co-noscenza (da Cromaziod’Aquilea a Nicola Cabasilas)condotto da A. Persic che faluce sull’Eucarestia, bellezzadata per la salvezza di tutti.Nella fecondità delle soluzio-ni scaturite da approcci e me-todologie di ricerca tanto di-versi intorno a un problemadi indiscussa centralità si co-glie l’utilità reciproca che te-ologia da un lato e saperi varidall’altro traggono dal con-fronto aperto e stimolantedei loro percorsi.

Mariella Basile

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roccaschedepaesi

in primopiano

Carlo Timio FRATERNITÀ

«Ogni volta che avete fatto qualcosaa uno dei più piccoli di

questi miei fratellilo avete fatto a me» Matteo 25, 40

Nello Giostra

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Una caduta

Mi perdonate se bussoancora alla vostra porta,è la necessità che mispinge dopo tante di-sgrazie, come la perditadi un figlio, non ho an-cora finito di pagare ilfunerale, dopo pocotempo ha dovuto lascia-re la casa per mancatopagamento dell’affitto.Con l’età molto avanza-ta, non reggendomi inpiedi sono caduta e misono fratturata l’ossosacro. Ricoverata inOspedale, per quattromesi sono stata a lettoin una Casa per Anzia-ni. Vogliate prendere acuore questa triste si-tuazione, mi affido allavostra infinita bontà.C.G.

Afflitto e malattia

Ho tre bambine ancoraminori e io ho un tumo-re mammario. Ho inol-trato domanda di inva-lidità, ma sappiamo itempi sono abbastanzalunghi. Fra qualchemese mi dovrebbero as-segnare un alloggio po-polare, così finalmenteio e le mie bambine po-tremo stare in una casavera. Mi potreste aiuta-re, cari fratelli, per pa-gare i mesi di casa arre-trati? Vi ringrazio divero cuore e un grazieanticipato. G.G.

Ho tanto bisogno

Cari Fratelli, scrivo per-ché ho tanto bisogno,mio marito è semprepiù grave e io vi chiedodi aiutarmi. Aiutatemi.

Aiutatemi. Non parlo dipiù, sono molto stanca.R.G.

La casa della Compassio-ne

Carissimi Amici, il 21giugno è stata benedet-ta e inaugurata la «casadella Compassione». Ol-tre all’arcivescovo eranopresenti tre vescovi. Lostesso giorno hanno be-nedetto e posto le fonda-menta della Chiesa San-tuario «Madonna delleGrazie». Aliabad è orauna nuova missioneconsistente di 23 villag-gi circostanti, nell’Arci-diocesi di Hyderabad. Almomento ci sono tre sa-cerdoti lì. Preghiamoper chè la nostra Madrebenedetta conceda lagrande grazia della fedeai villaggi affidati allanostra cura. Per la mag-gior parte si tratta diindù. Più in là dovremoprogettare anche unascuola. la costruzionedel seminario di Ullar ela Scuola di Antarvedi èstata sospesa durantel’estate per mancanza diacqua. Ora i lavori sonoripresi anche se non pio-ve molto. Dopo le vacan-ze estive, i seminari e lescuole sono aperti. Ab-biamo assunto la dire-zione di una scuola ele-mentare nella diocesi diNalgonda, poiché quelladiocesi non riusciva amantenerla. Adesso cilavorano tre fratelli.

Ancora una volta colgoquesta opportunità peresprimervi la mia since-ra gratitudine per la vo-stra solidarietà ed il vo-stro aiuto. In unione dipreghiere e amore fra-terno. Padre J.K.

Una chiamata silenzio-sa

Un caro saluto e graziedi cuore per la vostragenerosa offerta per lecomunità indigene dellanostra Parrocchia. Ilclima di guerra in cui sivive, il forte reclutamen-to di giovani (e minoridi età) da parte dellaguerriglia, la crisi eco-nomica e la disoccupa-zione, sono una chiama-ta – aperta o silenziosa –alla solidarietà. Grazieper accompagnarci: uni-ti nel cammino dellamissione. Padre E.R.

Speranza e difficoltà

Questa volta non trovole parole per esprimerViil mio ringraziamentoper il Vostro nuovo aiu-to, che servirà appuntoper procedere nella curadella malattia. Le tera-pie in ospedale sono ter-minate, mi resta quellache farò a casa, i con-trolli fortunatamente adoggi sono buoni anchese ogni volta l’angosciaè tanta. A tutt’oggi peròla nostra posizione eco-nomica rimane disagia-ta, in quanto mio mari-

to è ancora disoccupato,tranne per qualche gior-nata sporadica di lavo-ro. C.A.

* * *

Espressioni di gratitudineda chi riceve un aiuto

Gentilissima Fraternitàdi Rocca, ancora unavolta ringrazio tantissi-mo. Siete persone dav-vero con un gran cuore.Che Dio vi benedica.Pregherò sempre pervoi e per tutte le vostrefamiglie. Distinti saluti.L.V.

La presente per ringra-ziarvi della vostra estre-ma gentilezza ed amorecristiano. Siamo statitoccati per il vostro aiu-to economico che pernoi è un segnale forte disostegno morale ed eco-nomico per la nostra at-tuale condizione, mache purtroppo per lepassate vicissitudini sol-lecita una soluzione ri-paratrice ai nostri pro-blemi economici. S.C.

Si possono inviare offertecon assegni bancari, va-glia postali o tramite c.c.p.n. 10635068 intestato a«Fraternità» – CittadellaCristiana – 06081 Assisi.

Stato dell’Asia sudorien-tale, collocato nel ver-sante centroccidentale

della penisola indocinese, laThailandia è delimitata anord e a ovest dal Myanmar,a nord-est dal Laos, a sud-est dalla Cambogia e dalGolfo di Siam, a sud dallaMalesia e a sud-ovest dalMare delle Andamane. An-ticamente era chiamata«Antico Regno del Siam»,oggi è conosciuta comeThailandia, che significa«Paese degli uomini liberi»,perché diversamente dal re-sto dell’Asia sud-orientale,la Thailandia non fu colo-nizzata da alcuna potenzaeuropea. Dopo un breve do-minio dei birmani nel terri-torio del Siam, iniziato nel1767, il re Rama fondò la di-nastia Chakri, tuttora re-gnante e spostò la corte aBangkok (attuale capitale).Nel corso del XIX secolo, ilSiam riuscì a mantenerel’indipendenza anche grazieal desiderio di Gran Breta-gna e Francia di avere unostato cuscinetto che mante-nesse distaccati i loro domi-ni in Birmania, Malesia edin Indocina. In realtà, il fat-tore più importante fu l’abi-lità dei re della Thailandiadi negoziare apertamentecon i centri di potere euro-pei e adottare riforme sullafalsariga di quelle europeeche consentirono di moder-nizzare il Paese. Il prezzoche la Thailandia pagò perla sua indipendenza fu tut-tavia alto, perdendo infattil’influenza sulla Cambogiae sul Laos a favore dellaFrancia e cedendo alla GranBretagna gli stati settentrio-nali della penisola malese.Nel 1932 un colpo di statopose fine alla monarchia as-soluta, convertendo il Pae-se in una monarchia costi-

tuzionale. Dopo la secondaguerra mondiale, venne isti-tuita una dittatura militarecaratterizzata dal susseguir-si di diversi colpi di stato.Alle elezioni del 1979 il po-tere passò dai militari all’éli-te finanziaria e ne seguì unperiodo di forte stabilità eprosperità. Nel 1992, in se-guito a una serie di manife-stazioni piuttosto violentecontro il regime, venne isti-tuito un governo democrati-co. L’anno nero per l’econo-mia del Paese fu il 1997. Ilcrollo della moneta thailan-dese ha infatti avuto effettidevastanti anche sull’econo-mia dei paesi limitrofi. L’in-tervento del Fondo Moneta-rio Internazionale ha appor-tato da una parte un peggio-ramento delle condizioni divita dei poveri, ma dall’altraha prodotto dei risultati chepoi hanno contribuito al ri-lancio dell’economia del Pa-ese. Il 2000 ha segnato unatappa rilevante anche nellavita politica della Thailandia:per la prima volta è stata ef-fettuata l’elezione diretta delSenato che permetterebbe diesercitare un controllo piùforte sulla corruzione del go-verno e della camera bassa.Nelle elezioni parlamentaridel 2001, il relativamentenuovo partito Thai Rak ThaiParty («i thailandesi amanoi tailandesi») è emerso conforza sulla scena politica,sconfiggendo i democraticidel primo ministro ChuanLeekpai. Nell’aprile 2004,nelle tre province meridiona-li a maggioranza musulma-na, centinaia di giovani ma-nifestanti hanno assaltatopiù di quindici stazioni di po-lizia e posti di blocco nel ten-tativo di rubare armi. L’eser-cito è intervenuto, massa-crandone almeno cento.Questi sono stati ad oggi gli

attacchi più gravi inferti aidanni delle forze di polizia,dell’esercito e dei monacibuddhisti da parte di grup-pi islamici armati, che chie-dono la secessione delleprovince meridionali, go-vernate dai buddhisti e lacreazione di uno stato isla-mico indipendente. Il gover-no thailandese ritiene che visiano legami con la JemaahIslamiah, il gruppo respon-sabile degli attentati a Bali.Alla base degli scontri cisono radici linguistiche eculturali diverse e non ri-spettate, nelle scuole pub-bliche si insegna soltanto lalingua thai, mentre i musul-mani del sud della Thailan-dia si esprimono nella lin-gua yawi, un dialetto parla-to in Malesia. Essi sono an-che fra i più poveri del Pae-se. Gli scontri tra musulma-ni e polizia hanno provoca-to finora più di trecento vit-time. Il 26 dicembre 2004,anche la Thailandia è stataraggiunta dalla devastanteonda anomala (tsunami),che ha causato la morte dimigliaia di persone.Popolazione: la maggio-ranza della popolazione(formata da quasi 65 milio-ni di abitanti) è costituita dathai, mentre la restante par-te è composta da lao, etniamaggiormente legata allegenti che abitano il confi-nante Laos. Sono presentianche cinesi (14%) e musul-mani di lingua malese stan-ziati al sud.Religione: la confessionepredominante è il buddhi-smo Theravada, professatodal 95% della popolazione.Capo della gerarchia bud-dhista è di norma un mem-bro della famiglia reale. Esi-ste inoltre una minoranzamusulmana (4% della po-polazione) e piccole comu-

nità cristiane e induiste.Economia: l’agricoltura èalla base dell’economia e oc-cupa insieme alla pesca cir-ca il 60% della forza lavoro.L’industria si concentra es-senzialmente nei settori tes-sile, dei componenti elettro-nici e nella trasformazionedei prodotti alimentari, chi-mici e dei derivati del petro-lio. Le risorse economichedel Paese si basano in par-ticolare sui ricchi giacimen-ti di carbone, oro, piombo,stagno e pietre preziose. In-gente è inoltre il patrimonioforestale, che fornisce le-gname da esportazionecome il teak.Situazione politica e rela-zioni internazionali: nono-stante le dimissioni del pri-mo ministro Thaksin Shi-nawatra, leader fondatoredel partito Thai Rak ThaiParty, causate principal-mente dalle rivolte popola-ri organizzate dall’opposi-zione, che disconoscevanola validità dei risultati delleelezioni, la crisi politica af-fiancata ad un clima di in-sicurezza continua ad atta-nagliare il Paese. Nelle re-gioni del sud a maggioran-za musulmana è in corsoun’insorgenza eversiva cheha prodotto morti, attacchiterroristici e operazioni dicontroterrorismo ancorapiù sanguinosi. Tale crisi ri-schia di avere conseguenzenefaste anche per il settoreturistico del Paese, dal mo-mento che le regioni turisti-che più rilevanti si trovanoproprio nei distretti meri-dionali coinvolti nella crisi.Le tensioni fra il governothailandese e i separatistiislamici del Sud stanno cre-ando problemi anche nellezone limitrofe con Laos eMyanmar.

Page 33: NUMERO - Rocca fileRocca sommario 4 Ci scrivono i lettori 6 Anna Portoghese Primi Piani Attualità 10 Valentina Balit Notizie dalla scienza 11 Vignette Il meglio della quindicina

Roc

ca/fo

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