Numero Due

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RULE BRITANNIA ZINE ANNO: 01 NUMERO: 2 fanzine autoprodotta dal forum rulebritanniauk.forumfree.it

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Liverpool - Prima finale FA cup - 1950 Tow Law Town E i Wolves diventarono campioni del mondo... Recensione Libro: "Il Maledetto United" Dublino - Jan. 2012

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RULE BRITANNIA ZINEANNO: 01 NUMERO: 2

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EDITORIALE

Finalmente Amici, eccovi di nuovo qui a leggere il secondo numero di questa originale e sorprendente fanzine che tanto è piaciuta nelle precedenti uscite.L’editoriale questa volta ha la mia firma, e come non esserne orgoglioso…mi rende responsabile di un qualcosa che non solo è un piacere parlarne, ma anche descriverlo con emozioni e forte passione che solo chi ama la cultura (quindi non solo il calcio) anglosassone può realmente recepire e assaporare come pochi altri interessi!Come non riallacciarmi a quello detto nel precedente editoriale dall’amico Conor sugli argomenti trattati il mese scorso e che continueremo a fare visto che questa sembra la strada giusta, quindi in questo numero troverete simpatiche testimonianze, fantastiche avventure e realtà che vi sorprenderanno…e quando dico che vi sorprenderanno, intendo che qualcuno è stato sul posto per descrivercelo……si parte subito con la Storia, quella dei Reds, quella datata 1950, FA CUP, avversari i fortissimi Gunners dei vari Peter Goring e Joe Mercer …la primva volta del Liverpool in una finale a Wembley raccontata dai protagonisti in campo e non solo.Articolo che si conclude con le due formazioni del tempo…che gran calcio!!Eccoci nel mondo dilettantistico, e in uno dei posti più freddi del mondo, benvenuti nella Contea di Durham, monti Pennini!E’ qui che gioca il Tow Law Town, soprannominati The Lawyers (gli avvocati)Rivisitazione di ieri e di oggi di uno dei club più antichi d’inghilterra, e dove una frase detta da Matthew Barrie nel 1904 è diventata il “motto ufficiale”“Tutto è possibile, basta volerlo veramente”Fa Cup e Fa Vase Cup, finale a Wembley, storia bellissima di una società che come tante altre facenti parte del mondo dilettantistico devono rinunciare alla promozione…leggiamo il perché.Uno scritto di Sir. Simon ci porta a fantasticare sul mondo delle Wolves…del suo uomo di bronzo situato fuori il Molineux, ma soprattutto su quale opportunità di rivincita ebbero gli undici vestiti d’arancio quando dovettero affrontare il mitico Honvéd di Puskas&Co.per vendicare la sconfitta dell’Inghilterra…si gioca nello stadio imbattuto dei padroni di casa inglesi…la partita è tutta da leggere, ma la sorpresa è in fondo alla pagina…scoprirete come nacque la mitica Coppa Campioni!Leggere è fondamentale, istruzione e cultura sono le basi dell’uomo…e noi leggiamo, altro che, ma amiamo farlo fantasticando e scavando nella storia del calcio, quello puro, quello vero…il British Football…e allora ecco la presentazione di ”Il maledetto United”.Storia della nascita del “primo Ferguson” se vogliamo paragonare quest'ultimo al mitico Matt Busby!!Si racconta la tragedia di Monaco con particolari impressionanti, le partite del prima e del dopo incidente, la gloriosa vita di un club che che possiamo paragonare a quello attuale...un libro da leggere per capire da dove nasce il blasone dei Diavoli Rossi.Concludiamo questo nuovo numero e questa nuova esperienza, con il racconto di uno dei nostri migliori partecipanti al forum, Alessandro, alias Mc Giro che ci presenta il suo meraviglioso viaggio nella capitale irlandese, Dublino.Foto e simpatiche descrizioni dell’autore, rendono il racconto sorprendentemente “reale”.Un consiglio…leggetelo, perché vi sembrerà di averlo vissuto!!

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Anche questo editoriale è concluso, ora tocca a voi godervi la stesura di questo numero, ricordandovi sempre che il forum e la fanzine vanno avanti grazie al vostro contributo, quindi se amate essere i principali artefici di un simpatico progetto questi sono i risultati…tutti i protagonisti…noi e voi.

Grazie,Jimmy76

INDICE

1. Liverpool – Prima finale di FA Cup – 19502. Tow Law Town3. E i Wolves diventarono Campioni del Mondo4. Recensione Libro “Quel Maledetto United”5. Dublino – Jan. 2012

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LIVERPOOL – PRIMA FINALE DI FA CUP – 1950

Quando, nel 1950, il Liverpool fece per la prima volta il suo ingresso allo stadio di Wembley, l’avversario era l’Arsenal. Avrebbe dovuto essere un evento importantissimo nella storia del club ma, in una grigia giornata nella capitale, una sconfitta per 2-0 prolungò l’attesa dei Reds per la gloria in FA Cup.La richiesta di biglietti per vedere il Liverpool a Wembley per la prima volta fu, come si può immaginare, esorbitante. Al club furono assegnati appena 10.000 biglietti e non furono certamente sufficienti, dal momento che a volere assistere al match erano in più di 100.000.Eric Doig (tifoso del LFC): “Sono stato molto fortunato a trovare un biglietto per quella partita. Ai quei tempi alle squadre venivano dati meno posti di quanti ne vengono dati oggi. Si era molto fortunati se si aveva un biglietto: penso che furono meno di 20.000 i tifosi che riuscirono ad andare allo stadio.”

Billy Liddell (giocatore del LFC 1938-61): “In quelle poche settimane prima del gran giorno scoprimmo tutti di avere molti più amici di quanti pensassimo. Di alcuni di loro non mi ricordavo nemmeno, ma tutti volevano un biglietto per la finale di Coppa! Il peggio arrivò nelle ultime due settimane, quando l'eccitazione a poco a poco salì e sembrava che la metà della popolazione maschile di Liverpool volesse essere a Wembley per sostenerci.”Quelli che ebbero la fortuna di trovare un biglietto viaggiarono alla volta del sud dell’Inghilterra con animo fiducioso. I

Reds avevano già battuto i Gunners due volte in campionato in quella stagione ed erano leggermente favoriti per portare a casa la coppa.Albert Stubbins (giocatore del LFC 1946-53): “Due settimane prima della finale di FA Cup giocammo contro l'Arsenal ad Highbury e li battemmo. E, poche settimane prima, avevamo giocato contro di loro ad Anfield e li avevamo battuti anche in quell’occasione, senza alcun problema, quindi credevamo di avere una buona possibilità di vincere a Wembley.”Eric Doig: “A quei tempi non vi erano posti a sedere, o almeno, in gran parte dei settori la partita si guardava stando in piedi e noi eravamo stipati come sardine. C’erano di sicuro 100.000 persone. Pioveva abbastanza, ma quel che contava era solo l'emozione di essere lì per la prima volta. E’ stato magnifico.”Albert Stubbins: “Wembley era davvero un meraviglioso terreno di gioco. Il giorno prima avevamo fatto una visita preliminare dello stadio in modo da poter controllare il campo ed era davvero un bellissimo campo. L'intero evento è stato qualcosa che non dimenticherò mai.”Tuttavia per un giocatore del Liverpool la prima visita del club a Wembley rappresentò un’enorme delusione. Nonostante il goal segnato nella semifinale vinta contro l’Everton, Bob Paisley fu escluso dalla squadra che avrebbe affrontato l’Arsenal, cosa che provocò non poche polemiche. Un infortunio lo aveva tenuto fuori nei quattro match di campionato giocati dai Reds prima della

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finale di coppa e, anche se dimostrò di essere in forma, gli fu preferito Bill Jones. La decisione non fu presa dall’allenatore George Kay, ma da una commissione scelta di nove dirigenti con un giudizio di 5-4 in favore di Jones. Paisley rimase sconvolto dall’esclusione e, dal momento che sarebbero passati ancora molti anni prima dell’introduzione dei cambi, non ebbe nemmeno la consolazione di entrare nel corso della gara.Bill Jones (giocatore del LFC 1938-54): “Io e Bob eravamo migliori amici. Facevamo più o meno tutto insieme nel club. Mi è dispiaciuto moltissimo per lui e mi sono sentito a disagio. So che a Bob è dispiaciuto, gli è dispiaciuto molto.”

Bob Paisley (giocatore del LFC 1939-54): “Non riesco a descrivere come mi sono sentito quando ho appreso che ero fuori dalla formazione che sarebbe scesa in campo a Wembley. E’ il genere di cosa che ti può accadere solo nei sogni, o meglio, nei tuoi peggiori incubi.”Laurie Hughes (giocatore del LFC 1942-60): “Di solito giocavo centravanti, con Bob sulla sinistra, ma quella volta fu Bill Jones, che nelle partite precedenti aveva giocato da centravanti, a schierarsi alla mia sinistra. Non so se è stata una buona mossa o no, ma non

credo che i giocatori sulla fascia abbiano giocato la loro miglior partita, quel giorno.”Il capitano Phil Taylor guidò con orgoglio la squadra contro il capitano avversario Joe Mercer, un viso noto per i Reds. L’ex stella dell’Everton, che aveva continuato a vivere a Hoylake anche dopo aver lasciato i Toffees, si era regolarmente allenato ad Anfield fino a un paio di giorni prima del grande match.Joe Mercer (capitano dell’Arsenal): “Quando Arsenal e Liverpool si qualificarono per la finale di Wembley, io non ebbi più il permesso di allenarmi con i giocatori del Liverpool. Mi allenavo da solo, nel pomeriggio, ma ogni volta che incontravo i giocatori del Liverpool dicevo loro che ci avrebbero certamente battuti in finale. Nutrii la loro fiducia e questo ci diede un vantaggio.”Per evitare confusione in campo, entrambi i club furono costretti a giocare con le loro seconde maglie. Il Liverpool scese in campo con maglietta bianca e pantaloncini neri, mentre i giocatori dell’Arsenal indossarono magliette color oro antico e pantaloncini bianchi. Su una scivolosa superficie di gioco, i Reds iniziarono vivacemente ma, dopo soli 17 minuti, subirono un goal di Reg Lewis e non riuscirono a riprendersi da questa battuta d’arresto.Phil Taylor (giocatore del LFC 1936-54 e capitano nel 1950): “Dal punto di vista tattico, l'Arsenal vinse prima ancora di scendere in campo. Forbes si prese l’incarico di fermare Liddell. Naturalmente tutti i nostri attaccanti segnavano, ma noi tutti consideravamo Billy Liddell il nostro matchwinner. Giocava come esterno di sinistra, ma era solito inserirsi e segnare dei gran goal. Forbes lo sapeva e fece in modo che Liddell non si rendesse troppo pericoloso.”Eric Doig: “Da quel che mi ricordo, i giocatori dell’Arsenal fecero in modo di rendere sicura la sconfitta del Liverpool, mettendo Liddell fuori combattimento fin dai primi minuti di gioco e, naturalmente, era lui l'uomo più pericoloso.

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Ci rimasi molto male, perché, ovviamente, alcuni dei loro giocatori si resero protagonisti di entrate molto dure ed i loro centrali scesero in campo apparentemente per annullare la forza d'attacco del Liverpool, è andata così.”Bill Jones: “Mi ricordo che Billy Liddell prese un po' di botte da Alec Forbes, che non fu troppo carino nei suoi confronti.”Billy Liddell: “Un’entrata di Alec su di me suscitò molte polemiche, ma lungi da me l’attribuirgli cattive intenzioni. Sono assolutamente sicuro che non ne aveva. Avevamo giocato insieme nella nazionale scozzese ed eravamo sempre andati estremamente d’accordo.”Phil Taylor: “Per tutta la partita giocammo di più, ma creammo pochissime occasioni da rete.”Bill Jones: “Colpii la traversa con un colpo di testa che ci avrebbe dato l’1-1.”Albert Stubbins: “L'intervallo si stava avvicinando e l'Arsenal era sull’1-0, quando Billy Liddell colpì di sinistro indirizzando il pallone sulla fascia. Non appena la palla arrivò io saltai, ma non riuscii ad impattare la sfera per un pelo. Credo che se fossi riuscito a pareggiare in quel momento avremmo potuto vincere la partita.”

Il goal che diede all’Arsenal la coppa arrivò al 62’ minuto, ancora una volta da Lewis. Freddie Cox crossò dalla destra e Lewis, a 18 metri dalla porta, tirò di prima alle spalle di Cyril Sidlow.Billy Liddell: “Negli ultimi venti minuti lottammo con le unghie e con i denti per avvicinarci alla porta ed i difensori dell'Arsenal

si diedero un gran daffare per tenerci lontani. Jimmy Payne, Bill Jones e Willie Fagan ci andarono vicini, ma la palla non andò in rete.”Albert Stubbins: “Anche se il risultato non fu a nostro favore, avere fatto parte del primo Liverpool che giocò a Wembley fu molto speciale. Preferisco esserci arrivato ed aver perso che non esserci arrivato affatto, perché giocare la finale di FA Cup fu un’esperienza meravigliosa.”Ranger (inviato del Liverpool Echo): “Il Liverpool combatté valorosamente, ma non era abbastanza forte in attacco per superare la difesa di ferro dell’Arsenal.”Joe Mercer: “Li abbiamo battuti giustamente e nettamente. Quel giorno abbiamo avuto successo e la pioggia - non smise un momento di piovere - ci ha dato una mano.”Billy Liddell: “Abbiamo fatto del nostro meglio per non dare motivo di vergogna alle migliaia di persone di Liverpool che erano lì a sostenerci. Tuttavia l’Arsenal fu il degno vincitore.”Albert Stubbins: “L’Arsenal era in forma quel giorno e noi no, tutto qui. Giocarono molto bene. Non si trattò di fortuna, segnarono due goal e basta.”

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Nonostante la sconfitta, il Liverpool 48 ore dopo ritornò a casa a testa alta e, ad attendere i giocatori, vi fu un sorprendente benvenuto. Più di 100.000 persone fiancheggiarono le strade del centro della città per salutare i finalisti di coppa ed il sostegno del pubblico di Liverpool non avrebbe potuto essere maggiore se avessero vinto il trofeo.

Wembley Stadium, 29 aprile 1950Arsenal – Liverpool 2-0 (17’, 62’ Lewis)Arsenal: Swindin, Scott, Barnes, Forbes, Compton L, Mercer, Cox, Logie, Goring, Lewis, D. Compton - Allenatore: Tom WhittakerLiverpool: Sidlow, Lambert, Spicer, Taylor, Jones, Hughes, Payne, Barone, Stubbins, Fagan, Liddell -Allenatore: Goerge KaySpettatori: 100.000

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TOW LAW TOWN

“Tutto è possibile, basta volerlo veramente”. Questa frase, fatta pronunciare da James Matthew Barrie al suo Peter Pan nel 1904 , si addice pienamente all’impresa compiuta dal Tow Law Town FC nel 1998. Innanzittuto diciamo che ci troviamo in un paesino - Tow Law, appunto - situato sui Monti Pennini, nella Contea di Durham e abitato da circa 2200 anime. I bianconeri locali, soprannominati “The Lawyers”, non hanno mai ovviamente lasciato le categorie dilettantistiche e hanno un seguito nella Northern League di poche centinaia di appassionati. Il paese tra l’altro si trova in una delle zone più fredde d’Inghilterra, con temperature che spesso, soprattuto nei mesi invernali, scendono sotto lo zero (fenomeno non così consueto nel resto

dell’isola). La squadra locale , fondata nel 1894, in poche occasioni nel passato era salita agli onori della cronaca per qualcosa di rilevante in campo calcistico. Al massimo si poteva ricordare la minicavalcata in FA Cup nella stagione 1967/68, quando i Lawyers raggiunsero il primo turno della competizione. Sorteggiati in casa, distrussero totalmente il Mansfield Town, seppellendolo con un perentorio 5 a 1. Sicuramente il clima gelido diede loro una mano, tanto che l’allenatore ospite disse che “giocare a Tow Law in inverno era come giocare al Polo Nord”. Nel turno successivo i bianconeri furono sorteggiati nuovamente in casa, avversario lo Shrewsbury Town. Anche in questo caso il clima giocò la sua parte, visto che su un terreno completamente gelato i locali riuscirono a fermare i più blasonati avversari con un pareggio per 1 a 1. Prima del replay nella sede della FA Cup venne effettuato il sorteggio del III turno, quello insomma che molti ritengono il vero inizio della coppa più antica del mondo (visto che anche le squadre delle due divisioni maggiori cominciano a prendervi parte). Ebbene, se il Tow Law fosse riuscito a passare il turno, avrebbe affrontato ancora in casa nientepopodimeno che l’Arsenal. Possiamo immaginare la gioia dei Gunners ad affrontare un viaggio in montagna ai primi di gennaio per giocare su un campo innevato e con il termometro abbondantemente sotto lo zero. Fortunatamente per loro, lo Shrewsbury travolse il Tow Law per 6 a 2 e pose fine al sogno dei bianconeri. Questo paesino dei Pennini tornò poi a far parlare di sè perchè nella stagione 1979/80 vi giocò Chris Waddle, funanbolico asso che incantò successivamente le platee di White Hart Lane, Newcastle, Sheffield (sponda Wednesday) e Marsiglia. Waddle stesso, che non era nato molto distante da li, ammise candidamente in un’intervista a fine anni Ottanta che, prima di andarci a giocare, non aveva mai sentito parlare di un posto chiamato Tow Law...

Ma veniamo al vero miracolo. Nel 1998 i bianconeri montani fecero una cavalcata incredibile nella FA Vase Cup (praticamente l’equivalente della FA Cup riservata alle squadre dilettanti). Furono talmente bravi da raggiungere la finale e andare così a giocarsela a Wembley contro il Tiverton. Il 9 maggio del 1998 praticamente tutto il paese - e forse qualcuno in più visto che a tifare per i Lawyers c’erano più di tremila tifosi –seguì la squadra a Wembley. Il clima non era a loro favorevole, visto che su Londra splendeva un bellissimo

sole primaverile e la temperatura era adatta anche per un picnic fuori porta.

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Il Tow Law non avrebbe potuto sfruttare il vantaggio di giocare ad Ironworks Road il loro terreno di gioco, quasi perennemente ghiacciato e attraversato da venti siberiani. Qualcuno all’epoca soprannominò il Tow Law come la “Bolivia del calcio inglese”, visto che i sudamericani sfruttano al massimo il vantaggio di giocare sulle alture di La Paz, dove avversari non abituati a volte provano scompensi ed hanno difficoltà di respirazione. I bianconeri in ogni caso quella finale la giocarono

alla morte e soccombettero solo per un gol subìto a 10 minuti dalla fine. Gli abitanti di Tow Law comunque ringraziarono i loro beniamini per quella splendida passerella nello stadio nazionale e per quella bella gita al sud che si erano concessi. Il ritorno al paese fu ovviamente trionfale e non mancarono il giro sull’autobus scoperto per le vie del paese e la carovana di tifosi al seguito bardati con sciarpe, bandiere e coccarde celebrative dell’evento storico. Nel calcio britannico il legame con la comunità è qualcosa di difficilmente spiegabile a chi ha bisogno del 'colpo' di mercato per farsi tornare

l'entusiasmo. Nessun tifoso del Tow Law Town invidia Cristiano Ronaldo al Manchester United o Lampard al Chelsea: al di là di fumosi discorsi tecnici, di immagine o sui massimi sistemi, la differenza con il resto del mondo è proprio questa. ( di Luca Ferrato)La storia di questo club e quell'avventura di Coppa è sicuramente una delle chiavi fondamentali che attira l'attenzione e l'interesse di tanti appassionati di calcio genuino..è il perfetto emblema di cosa sia e di cosa voglia dire Non League.

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RECORDSFA Cup best performance: second round proper replay - 1967-68FA Trophy best performance: second round proper replay - 1982-83FA Vase best performance: runners-up - 1997-98FA Amateur Cup best performance: third round replay - 1970-71

OGGIIl Town Low Town gioca attualmente in Northern League Division One (step 5 di Non League, equivalente al 9°livello della pyramid di calcio inglese), praticamente subito sotto alla Division One North della UniBond Northern Premier League.Putroppo per problemi di distanza (Nord Inghilterra) e quindi per costi troppo elevati i clubs di questa lega, spesso, sono costretti a rinunciare alla promozione al livello superiore, oltre al fatto che spesso gli stadi non rispondono ai requisiti minimi richiesti per giocare in Northern Premier League (UniBond). A proposito recentemente il Tow Law Town ha fatto lavori di adeguamento allo stadio oltre che alla ristrutturazione di un edificio da adibire a "Club House" obbligatoria.Questo invece e' il mitico Davidone, tifoso dei Lawyers, spesso va in terra d'Albione a seguirli

Filippo 1975

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E I WOLVES DIVENTARONO CAMPIONI DEL MONDO

Ci sono favole dove non sempre il lupo è cattivo. Ci sono paesi dove è amato e rispettato. Ci sono luoghi, dove il lupo vive in pieno centro urbano. In una città nel cuore delle West Midlands inglesi, chiamata Wolverhampton. Esattamente fra la Jack Hayard way e Waterloo road, in una tana “dorata” chiamata Molineux. Dove, proprio davanti all'ingresso del covo, c'e un uomo di bronzo con un pallone da calcio in mano che corre e sembra fuggire dalla tana del lupo. Quell'uomo si chiamava William “Billy” Ambrose Wright, faceva il calciatore, ma poteva fare anche il santo, se è vero come è vero che in 541 partite non è mai stato ammonito, nè, tanto meno, espulso. Un gentiluomo nato a Ironbridge, poco fuori da Telford, il 6 febbraio 1924. E lui, proprio come San Francesco ha parlato con il lupo, ma non per ammansirlo. Anzi, voleva che tutti lo temessero. Ha contribuito a farlo diventare famoso, importante. Il lupo in questione per chi non lo avesse ancora capito è una squadra di calcio con delle divise color oro. E' il Wolverhampton Wanderers. E in un gelido lunedì del dicembre 1954 è diventato campione del mondo...

Bisogna fare un piccolo ma doveroso passo indietro. Wembley, 25 novembre 1953. Mentre i Wolves viaggiano sicuri verso il loro primo titolo nazionale, Inghilterra e Ungheria si affrontano in una sorta di disfida per decidere chi fra i maestri d'oltremanica e i fenomenali magiari fosse la squadra del momento. In un nebbioso pomeriggio nel nord di Londra, le antiche e radicate certezze inglesi crollarono di fronte alle prodezze di Puskas e compagni. Il 3-6 finale fu un autentica onta per la nazione. Ogni speranza di vendetta, “una vittoria per il mio regno” mutuando sportivamente il Riccardo III, da consumarsi nella gara di ritorno, fissata per il 23 maggio 1954 al Nepstadion di Budapest, fu spazzata via insieme alla squadra coi tre leoni sul petto, con un risultato ancora più umiliante. Ungheria 7 Inghilterra 1.Intanto in First Divsion, il Wolverhampton conquista il titolo e si lancia in una serie di amichevoli in notturna per raggiungere una

fama che esca anche dai confini nazionali. Il 30 settembre 1953, si accendono le luci sul Molineux nel senso letterale del termine. C'e da inaugurare l'impianto di illuminazione e fu chiamata la nazionale sudafricana. Finirà 3-1 per i padroni di casa. Altri avversari furono il Celtic di Glasgow, gli argentini del Racing Club Avellaneda, il First Vienna, il Maccabi di Tel Aviv e lo Spartak Mosca. Tutti sconfitti tranne i viennesi, che costrinsero i Wolves al pareggio senza reti. Quando fu annunciato che la prossima squadra a tentare di espugnare il Molineux sarebbe stata la grandissima Honvéd, l’attesa, non solo a Wolverhampton, ma in tutto il Paese, fu immensa. Il trono d'Inghilterra sfidava i più forti d’Europa. Walter Scott avrebbe fatto suonare trombe da torneo come nei duelli del suo Ivanohe.Per il football inglese era l’occasione per una piccola rivincita e per recuperare una parte dell’orgoglio perduto. Il compito dei lupi era di quelli proibitivi. Dovevano affrontare una formazione per cinque undicesimi (Bozsik, Lorant, Kocsis, Puskás e Czibor) identica alla squadra che a Budapest, la primavera precedente, aveva impartito alla nazionale un’autentica lezione di calcio. Era anche una chance per il nostro Billy Wright di mettere a posto un paio di cosette. Capitano nel Wolverhampton e in nazionale, era stato l’unico del suo club presente a Wembley e al Nepstadion e ora doveva vedersela di nuovo con lui, il “Colonnello” Férenc Puskás.

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Il 13 dicembre, in 55.000 ammirano i Wolves scendere sul terreno di gioco sfoggiando le nuove casacche satinate, scelte, perché risultassero più brillanti sotto la luce dei riflettori. La Honvéd si presenta in tenuta bianca listata da strisce orizzontali rosse sulla maglia. Il campo è pesante le squadre fanno fatica. I primi minuti trascorrono in sterili batti e ribatti sulla metà campo. Il fango avvinghia il pallone incollandolo al terreno, mentre la zona di centrocampo assomiglia sempre di più a un campo arato.

L’atmosfera però è straordinaria si respira l'aria del grande evento, ma lo stadio ammutolisce quando, da una fortunosa punizione di Puskás dal limite, concessa dopo che la palla era rimbalzata su una mano di Flowers, Kocsis insacca di testa. Wolves 0, Honvéd 1. Appena un minuto dopo, il centravanti inglese Swinbourne ha nei piedi l'occasione per pareggiare ma il portiere ospite Farago è attento e sventa la minaccia. Brillante contrattacco ungherese e Machos, al 14’ infila il secondo pallone alle spalle di Williams. Sotto due a zero in meno di un quarto d’ora. La partita sembra in ghiaccio. Però i Wanderers rifiutano la resa e ricacciano la Honvéd nella sua metà campo, concedendole solo qualche timido contropiede. Per due volte Smith, schierato all’ala sinistra al posto dell’infortunato Mullen, potrebbe accorciare le distanze. Farago è chiamato in causa più volte, ma risponde sempre

presente. Dopo l'ultima parata Wright si guarda intorno incredulo. Intanto arriva la fine del primo tempo e sinceramente in pochi credono nell' impresa. Ma occorre sempre diffidare della grinta e dell'orgoglio delle squadre britanniche. La voce del manager Stan Cullis risuona nel silenzio dello spogliatoio:“Siete troppo nervosi. Tornate in campo e giocate come fate sempre”. L'incitamento sortisce l’effetto desiderato, dato che nel giro di quattro minuti i suoi ragazzi tornano in partita. Appena entrato in area, Hancocks viene atterrato da Kovács. L’arbitro concede il penalty fra le proteste degli ungheresi. Il minuscolo numero sette si rialza e dal dischetto calcia secco in rete: 1-2. È il segnale per l’assalto alla diligenza ungherese. Puskás e compagni si chiudono cercando di colpire solo di rimessa. Broadbent giganteggia sulla linea mediana, Flowers e Slater danno grande sostegno a Wright, mentre Shorthouse e il sudafricano Stuart, l’unico non inglese in maglia oro, si esaltano. La gara riveste un importanza tale da essere trasmessa in diretta per radio e alla BBC. Il pubblico di casa impazzisce di gioia quando, a quattordici minuti dal termine, Swinbourne guadagna il meritato pareggio. I Wolves poi infilano una serie di corner che però non porteranno a niente. Arriva anche un traversone di Wilshaw che impatta la testa di Swinbourne ma la palla sfila di poco fuori.

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L'azione successiva sarà quella del trionfo. Smith vola sulla fascia sinistra, supera due difensori e centra per lo stesso Swinbourne che gira a rete fra il boato della folla: 3-2.

“Adesso i Wolves possono dirsi campioni del mondo” scriverà il “Daily Mail”. La cosa nonva giù all’inviato de “L’Équipe” Gabriel Hanot che ribatte: “Questa è stata solo una partita, ma deve essere presa in considerazione l'idea di un torneo europeo per squadre campioni nazionali”. Il suo giornale porterà a fondo la proposta trovando un formidabile alleato in Santiago Bernabéu. Pochi mesi dopo la Coppa dei Campioni è realtà. Ma questa è un altra storia..

Wolverhampton (Molineux Ground), 13 dicembre 1954Wolverhampton Wanderers-Honvéd 3-2Wolverhampton Wanderers (2-3-5): Williams - Stuart, Shorthouse - Slater, Wright, Flowers -Hancocks, Broadbent, Swinbourne, Wilshaw, Smith.All.: Cullis.Honvéd (2-3-5): Farago - Palicsko, Kovaks - Bozsik, Lorant, Banyai - Budai, Kocsis, Machos, Puskás, Czibor.All.: Marosi.Arbitro: Griffiths.Marcatori: Kocsis (H), Machos (H), Hancocks (W) su rigore, Swinbourne (W) 2.Spettatori: 55.000 circa.

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RECENSIONE LIBRO: IL MALEDETTO UNITED

“The Damned United” è il romanzo di David Peace basato sul racconto dei famosi 44 giorni passati dal grande allenatore inglese Brian Clough alla guida del Leeds United Football Club nel 1974.Premetto che prima di aver letto questo bellissimo romanzo, non conoscevo nel dettaglio né la storia di Clough, né, in particolare, la storia di questi 44 giorni, e quindi non posso esprimere giudizi riguardanti la fedeltà di Peace nei confronti della realtà dei fatti nel descrivere certi episodi, certi aspetti del carattere di Clough, certi riferimenti a vari personaggi, tra cui calciatori famosi come Bremner, Giles e Mackay ed allenatori come Don Revie.Quello che so è che sono rimasto assolutamente affascinato dalla persona di Brian Clough, così come descritta nel libro, e dalla sua carriera da allenatore, oltre ad essere rimasto molto ben impressionato dal romanzo, che ho letto in pochi giorni con grandissima passione e curiosità.Non so come mai Peace abbia deciso di raccontare proprio quei 44 giorni in particolare, proprio i peggiori, dal punto di vista professionale dell’allenatore inglese, invece di raccontare i fantastici anni passati da Clough ad allenare il Nottingham Forest che ha guidato alla conquista del campionato inglese ed addirittura a vincere per due volte la Coppa dei Campioni, ma penso che lo abbia fatto proprio per cercare di capire cosa sia successo per fare in modo che il legame tra Brian ed il Leeds non potesse funzionare e per capire quali siano state le cause che hanno portato alle

dimissioni del manager.Per un allenatore così bravo, che ha saputo portare ad importantisuccessi, piccoli club come Derby County ed, appunto, successivamente, il Forest, fu davvero strano il fatto che non riuscì a restare alla guida del Leeds che a quei tempi era la squadra campione inglese in carica, la squadra considerata più forte e con grandi campioni tra le sue file. Ma è stato interessante scoprire come un uomo di enorme successo abbia vissuto quei giorni nei quali i dirigenti ed i giocatori del Leeds non lo hanno saputo capire, ma soprattutto nei quali lui stesso per primo non era convinto dell’incarico che aveva accettato perché non sentiva sua quella squadra, non sentiva suoi quei giocatori, non sentiva suo il campionato appena vinto da Don Revie, l’allenatore che lo aveva preceduto e che aveva portato in alto il Leeds, non sentiva suoi quei tifosi, non sentiva suo quello stadio, non sentiva sua quella città.Nell’animo di Clough regnava l’incertezza ed il dolore per aver

dovuto abbandonare il suo Derby County, i suoi giocatori, la sua gente, il suo titolo vinto. Solo a Derby si sentiva a casa. Inoltre a Leeds tutti erano rimasti attaccati al ricordo di Revie ed ogni confronto tra i due allenatori suscitava un certo sentimento di rabbia in Clough che di Revie non sopportava i metodi nell’affrontare le partite, i metodi “sporchi” secondo lui, di vincere le partite, e l’atteggiamento arrogante nei suoi confronti, dimostrato negli incontri infiniti tra il Derby ed il Leeds negli anni precedenti.Ogni sfida tra il suo Derby ed il Leeds era un’occasione per diventare una sfida personale tra lui e Revie, addirittura quando Clough ne prese il posto al Leeds volle cambiare tutto nel suo ufficio, dalla sedia alla scrivania, ma soprattutto i “dossier” su arbitri e squadre da affrontare;

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Clough voleva trasformare il Leeds in una squadra onesta, una squadra sì vincente, ma onesta e corretta, ma dentro di sé lo considerava sempre lo “sporco Leeds” ed il continuo riferimento a Revie diventa quasi un’ossessione. Anche con i giocatori, troppo legati a Revie ed abituati ai suoi metodi, il rapporto fu sin dall’inizio difficile, tanto che Clough disse loro di dimenticare tutto quello che avevano vinto fino a quel momento, perché lo avevano vinto con l’imbroglio, e che il suo obiettivo era quello di vincere, ma secondo il suo stile e non secondo lo stile di Revie, il cui nome non doveva essere mai più pronunciato.Il romanzo racconta uno alla volta ogni singolo giorno dei 44 che Brian passò nella Società dello Yorkshire, in prima persona, infatti è proprio lui, Brian Clough, nell’immaginazione dell’autore ,che parla, che soffre, che si emoziona, che si racconta, che esterna le proprie paure e preoccupazioni, ma anche le sue gioie e le sue speranze. La particolarità del romanzo sta nel fatto che mentre vengono raccontati i giorni al Leeds, ci sono anche i ricordi di Clough, brutti, verso la fine prematura della sua carriera da calciatore ,comunque positiva con ben 251 gol in 274 partite, seppur in seconda divisione in squadre come Boro e Sunderland con il quale ottenne una promozione in prima divisione , a causa di un grave infortunio per il quale soffrì moltissimo, e belli, verso l’inizio della sua carriera da allenatore, cominciata molto presto all’Hartlepools e continuata con i successi alla guida del Derby County, nel quale non era solo un semplice allenatore, ma molto di più per la squadra e per la città, era un simbolo, era Cloughie.Quindi mentre ci si trova a leggere la sofferenza e l’insofferenza di Clough nei suoi giorni a Leeds, ci si immerge all’improvviso, invece, nei giorni dapprima felici in cui allenava il Derby e vinceva con il Derby e poi tristi nei giorni che seguirono il suo addio ai Rams.I ricordi di Clough al passato sono molto frequenti in quei 44 giorni e spesso i fatti narrati vengono collegati ad altri episodi riguardanti i tempi in cui era calciatore prima ed allenatore poi. Anche alcuni personaggi sono collegati al passato, come per esempio Stokoe che era in campo il giorno del brutto infortunio di Clough ed era in panchina ad allenare il Sunderland contro il suo Derby, il già citato Don Revie, e poi il costante riferimento a Peter Taylor, grande amico e collaboratore di Brian, compagno nei giorni ad Hartlepools, Derby e Brighton. Ma fu proprio quando Clough decise di lasciare il Brighton per accettare le offerte del Leeds che Peter decise di non seguirlo e di abbandonarlo. La scelta di Brian di lasciare dopo una sola stagione il Brighton sembrò infatti all’amico una decisione scorretta nei confronti del presidente Mike Bamber che aveva creduto in lui anche quando, dopo il licenziamento dal Derby County, la sua carriera da allenatore sembrava seriamente compromessa a causa anche di sue dichiarazioni in televisione contro la FA ed a causa delle voci messe in giro da Longson, presidente del Derby, circa il suo brutto carattere ed il suo modo di gestire la squadra.Anche la nazionale inglese sembrava snobbarlo per gli stessi motivi, tanto che quando Alf Ramsey venne licenziato, il nome di Clough, che in quel momento allenava il Brighton in terza divisione, non comparve nemmeno tra i possibili candidati alla successione, ma venne nominato, ancora lui, Don Revie. Il capitolo nazionale si collega al passato ed al difficile legame tra il “dannato” Clough e l’Inghilterra; così come non venne preso in considerazione per allenare la nazionale del suo paese, cosa che lo avrebbe riempito di orgoglio, non venne preso molto in considerazione nemmeno da calciatore. Non gli bastarono i tanti gol segnati. Ma i motivi di maggiore rimpianto per lui derivavano dall’abbandono di Peter, soprattutto nei giorni infelici a Leeds, un vero tormento per Clough che tentò anche di convincerlo a tornare con lui, ma inutilmente.

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Spesso in quei tristi giorni i ricordi di Brian vanno al vecchio amico fidato con il quale spesso si era anche scontrato, ma che alla fine rimaneva sempre il suo unico vero amico, compagno di mille battaglie, ma allo stesso tempo traditore.Un’altra figura importante nel romanzo è rappresentata dalla moglie di Brian: mai descritta nel dettaglio e mai protagonista, ma la sua presenza si sente ed anche molto in ogni decisione del marito, in ogni momento difficile, in ognuno di quei momenti, nella vita di un uomo, in cui l’unica persona che veramente si vorrebbe accanto è la persona che si ama, e la persona da cui ci si sente amati.Il libro ci aiuta a capire soprattutto l’aspetto umano, piuttosto che quello da allenatore, di Brian Clough, un personaggio certamente importante nella storia del calcio inglese, uno che parlava in faccia a tutti, uno che ebbe il coraggio di definire “bastardi” i dirigenti e la squadra della Juventus che eliminò il suo Derby in semifinale di Coppa dei Campioni in modo quanto meno sospetto, viste certe decisioni arbitrali, uno che era diventato anche un opinionista televisivo, visto quanta era ormai la sua popolarità e visto quanto la gente lo ascoltava e lo seguiva.Per lui folle intere si muovevano in cortei di protesta quando venne licenziato dal Derby, per lui i suoi giocatori erano pronti a scioperare per riaverlo come allenatore, ma alla fine non bastò e quando decise di andare al Leeds solo la famiglia gli restò accanto, ma lui, in quella città, si sentiva maledettamente solo e contro tutto e tutti. Molti anni più tardi, purtroppo, ma questo non è nel libro, riuscì anche a riunire le tifoserie rivali di Forest e Derby che vollero dargli il proprio addio dopo la sua tragica morte.Secondo il mio modesto parere Clough è stato veramente uno dei più grandi personaggi del calcio, tanto da meritarsi statue e riconoscimenti a Middlesbrough, Derby e Nottingham, non soltanto per essere riuscito a portare successi importanti due club poco blasonati, ma anche per aver saputo sempre dire quello che pensava andando sempre contro, se ce n’era bisogno, e mantenendo un ideale di calcio pulito, onesto e sincero.Penso che a Leeds molti rimpiangano quei 44 giorni e che avrebbero voluto vedere Clough alla guida dello United per molto più tempo.Questo però è il destino di questo tipo di persone: persone che dicono quello che pensano senza preoccuparsi delle conseguenze, persone che pur di mantenere il proprio orgoglio sono disposte a rischiare, persone che amano il calcio vero, quello fatto di passione, lealtà ed impegno e che purtroppo, a volte, il calcio non capisce, così come successe in quei famosi 44 giorni.

Conor Adam

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DUBLINO- JAN.2012

3 gennaioE' il 3 Gennaio, finalmente arriva il giorno tanto atteso dal settembre 2007, data del mio ultimo viaggio nella capitale Irlandese. Per me si tratta della 4^ volta ma l'emozione è al momento della partenza è sempre la stessa. La mia ragazza è dubbiosa, non crede sia un luogo adatto a lei dalle descrizioni ricevute coi racconti dei miei precedenti viaggi a Dublino (e anche a Glasgow). Non le piace la pioggia, il vento, il clima che cambia troppo facilmente, i pub, la lingua inglese, le persone che bevono un po' troppo e tutte le cose con cui la stresso durante il resto dell'anno (Celtic, Giunness, musica folk ecc.), ma per amore ha comunque deciso di fare questo "sacrificio". Per ora mi limito ad anticipare che durante la vacanza ogni tanto mi è venuto il dubbio se la persona accanto a me fosse davvero lei o lo spirito di qualcuno si era impossessato del suo corpo.Partenza da Bergamo alle 10.40, arriviamo a Dublino che sono le 12.20 (GMT). L'autobus per il nostro hotel parte alle 12.30, tempo di uscire dall'aeroporto e non facciamo in tempo a prenderlo, ci tocca aspettare il successivo alle 13.30. Per ingannare l'attesa si prende qualcosina da mangiare, che io accompagno con la prima birra della vacanza. Prendiamo l'autobus, in circa 20 minuti siamo alla fermata Red Cow LUAS Station, quella vicino all'hotel. C'è un vento fortissimo. Il panorama dall'ultima volta è cambiato, ora a separarci dall'albergo c'è una specie di superstrada, per

raggiungerlo ci tocca fare un giro largo passando sopra un cavalcavia dove il vento si sente ancora di più. Pochi minuti a piedi e raggiungiamo la nostra meta. Alle 14.30 siamo già in camera.Alle 16.00 usciamo, per fare un primo giretto in centro. Torniamo alla fermata della LUAS (il tram di Dublino), e saliamo sul primo in direzione Connolly Station (passano ogni 5 minuti) e in mezzora siamo in Abbey Street. Giriamo un po' per le vie e i negozi del centro, scattando qualche foto durante un breve tour generale del luogo e facendo i primi acquisti da Carroll's (per il

momento mi limito a un quadretto di Temple Bar), poi andiamo al centro commerciale di Jervis, poco distante, dove si trova anche il Celtic Store. Inizio a spendere come un dannato: maglia Home della stagione in corso di Gary Hooper e diversi DVD. La mia ragazza mi compra, senza che neanche me ne accorgessi talmente ero preso dallo shopping, una cravatta del Celtic. Entriamo anche in una libreria, dove ho visto diversi titoli che mi piacerebbe acquistare, ma mi sono limitato solamente all'autobiografia di John Giles (colonna del Leeds United anni '60/'70) uno dei miei giocatori del passato preferiti in assoluto. Usciamo dal centro commerciale, attraversiamo il fiume Liffey passando dal caratteristico Ha' Penny Bridge e sono già le 19.00, ora perfetta per buttarsi in uno dei fantastici pubs che affollano Temple Bar. Ci infiliamo nel più grande e famoso, quello con lo stesso nome del quartiere. E' pieno di gente, e stanno suonando musica live (ovviamente folk). Si tratta più che altro di Pub Songs, io gradisco ma preferisco comunque le Rebel Songs. La mia ragazza invece sembra gradire molto, molto più di quando certe canzoni le metto in macchina e canticchia applaudendo divertita. Bevo un paio di Guinness.

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Dal palco parte una canzone che ho già sentito ma di cui non ricordo il titolo, ma parla dell'I.R.A. mi alzo in piedi e inizio a canticchiare applaudendo. Poi una delle mie preferite: The Boys Of The Old Brigade. Incredibilmente nessuno canta nel locale, solamente io. Ed è qui che mi sono ricordato la "triste realtà" della Repubblica d'Irlanda (EIRE): bisogna sempre distinguere quelli che pensano che la loro nazione è l'EIRE e quelli che pensano che la loro nazione è l'Irlanda Unita. Al Sud sono molti (governi compresi) che se ne fregano di unire l'isola. E la prova la si ha da queste piccole cose. Parentesi politico-sentimentale a parte, usciamo dal locale (sono quasi le 21.00), consumiamo un veloce pasto al Burger King in O'Connell Street e decidiamo di tornare in albergo, dato che la stanchezza inizia a farsi sentire.

4 gennaioLa mattina ce la prendiamo un po' comoda e, dopo un'ottima colazione in hotel, prendiamo la LUAS verso il centro, che raggiungiamo quando ormai sono le 11.00 passate. Da Abbey Street, lungo il pezzo finale di O'Connell Street, passando dall'O'Connell Bridge fino a Westmoreland Street e College Green. Siamo di fronte al famosissimo Trinity College. Fondato nel 1592 dalla Regina Elisabetta I, per soli studenti di religione protestante, al fine di fermare il flusso dei giovani Dublinesi che si trasferivano sul continente per studiare col rischio di ''essere contagiati dalle idee papiste''. In seguito, nel 1793, quando le regole iniziarono a essere meno rigide prevedendo la possibilità di accettare anche studenti cattolici, la Chiesa proibì loro di frequentarla, al punto che fino al 1970 i cattolici che si iscrivevano al Trinity College potevano considerarsi scomunicati.

Entriamo a fare un giretto, visitando la Old Library che custodisce il celebre Book Of Kells, libro che contiene la traduzione latina dei quattro Vangeli, accompagnata da note introduttive ed esplicative, il tutto corredato da numerose illustrazioni e miniature colorate. Usciamo, passando da Dame Street davanti alla Bank Of Ireland, un tempo sede del parlamento e risalendo verso le viette di Temple Bar. Facciamo shopping nel negozio accanto al noto pub, dove acquisto una felpa (tipo giacchetto della tuta) con lo stemma delle 4 Province dell'Irlanda Unita, credo sia un merchandasing legato alla nazionale di rugby che, come saprete, è l'unica che unisce Repubblica e Nord Irlanda. Ci fermiamo a pranzare da Gallagher's Boxty House, un ristorante tradizionale irlandese. Ambiente accogliente e veramente tipico oltre a un'ottima cucina e camerieri simpaticissimi, se vi trovate a Dublino ve lo consiglio vivamente (www.boxtyhouse.ie/). A questo punto la mia

ragazza dà i primi segni di cedimento, affermando che la cucina irlandese non è male come credeva e che le strade di Dublino, nonostante non possa per ovvi motivi essere paragonata ad altre capitali come Londra o Parigi, hanno un fascino e un'atmosfera davvero particolari.Finito il pranzo riprendiamo il nostro giro turistico risalendo dall'Ha' Penny Bridge in O'Connell Street che percorriamo per tutta la sua lunghezza, con diverse soste per lo shopping, fino a Parnell Square, dove si trova il monumento dedicato al politico (uno dei tanti) che ha guidato i moti d'indipendenza nella seconda metà dell'800. Attraversiamo tutta la piazza e arriviamo così al Garden Of Remembrance, un piccolo giardino-monumento dedicato a ''all those who gave their lives in the cause of Irish Freedom'' dalle prime ribellioni nel 1798 fino alla guerra d'indipendenza del 1921.

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Visitiamo anche il Dublin Writers Museum che si trova lì di fronte, museo molto caretteristico da visitare assolutamente con l'audioguida (disponibile anche in italiano) che fa ascoltare anche dei passi tratti direttamente dalle più famose opere letterarie di Wilde, Joyce, Swift e altri. Da lì torniamo indietro fino ad Abbey Street per prendere la LUAS per il ritorno in albergo, verso le 17.00.

Alle 20.00 siamo di nuovo in centro per cenare, decidiamo di tornare da Gallagher's perché voglio provare il loro "Murphy's Stew", una versione cotta nella birra Murphy's del classico stufato irlandese. Veramente ottimo e per nulla pesante, nonostante la quantità servita nel piatto. Dopo cena proviamo ad entrare nel Temple Bar, ma è troppo pieno. Optiamo quindi per un altro pub, The Auld Dubliner. Non è pienissimo. Stupendo. Luci basse e una suggestiva atmosfera d'altri tempi. Unica pecca la clientela sembra essere composta esclusivamente da turisti, cosa che mi viene confermata anche dal barista quando sono andato a ordinare da bere, che, scherzando, mi dice che il pub in realtà dovrebbe chiamarsi "The Auld Foreigner" dato che è frequentato più dai turisti che dai Dublinesi. Ovviamente anche qui musica folk live. Prendiamo posto in prima fila. Il cantante non è male, ma

nessuno oltre me conosce le canzoni, così, quando intona la canzone "Molly Malone" (una specie di inno per i veri Dublinesi) e nessuno lo segue cantando, nonostante le sue richieste di fargli da coro, prova in ogni modo a incoraggiare il pubblico in maniera anche divertente (metterò il video sotto). Per farmi riconoscere vado a fargli una richiesta, "Dirty Old Town", lui accetta felice, complimentandosi con me per essere stato l'unico ad aver almeno canticchiato le canzoni precedenti. Gli spiego brevemente la mia passione per la sua terra e lui, stupito e sempre più felice, in cambio mi regala la canzone richiesta. Vorrebbe che cantassi con lui, ma, non avendo ancora bevuto abbastanza, rimango lucido e gli dico che non è il caso. Seguono altre canzoni, il pubblico prende sempre più coraggio e inizia almeno ad applaudire a ritmo della musica, compresa la mia ragazza che si diverte molto e ammette che le piacerebbe se ci fossero dei posti così anche qui da noi (lei che odiava l'irlanda e i pub). Inizia a canticchiare anche lei, ormai, stando insieme a me da quasi 2 anni, conosce più o meno le canzoni (o almeno le melodie). Verso fine serata cede completamente: ordina una Guinness e canta applaudendo Whiskey In The Jar. Io, vedendola, sono quasi commosso. Finita l'esibizione, verso le 23.00, dopo l'ultima birra, rientriamo alla base. Mezzora di tram con la mia ragazza che canticchia le canzoni ascoltate in precedenza. Ancora una volta l'Irlanda ha rapito un cuore.

5 gennaioIn questa giornata il clima si presenta più amico, il forte vento che aveva caratterizzato i due giorni precedenti sembra essere sparito e le nuvole ogni tanto lasciano spazio a un timido sole. Per il momento c'è comunque da dire che ancora una volta sto riuscendo nell'impresa di non trovare pioggia in Irlanda (s differenza dei miei viaggi in Scozia dove non ho mai visto il sole in 4 anni). L'iter è quello solito, LUAS fino ad Abbey Street e da lì parte il tour. La nostra meta odierna sono le cattedrali e la Dublino Georgiana. Ci aspetta una lunga camminata lungo Dame Street, accompagnata dalle solite soste per lo shopping e, per volere della fidanzata, mi tocca anche cedere alle brodaglie in vendita da Starbucks. Passiamo davanti al Citu Hall e al Dublin Castle, il castello, che non visitiamo perché, consiglio per tutti, non ne vale veramente la pena. Arriviamo in

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fondo dove c'è la Christ Church. La chiesa ha origini antichissime: costruita in legno dai vichinghi nel 1038, venne poi rifatta in pietra nel 1169 da Strongbow, conquistatore normanno.

Da lì ci rechiamo dall'altro lato della strada per visitare "Dvblinia" (www.dublinia.ie/), un divertente museo della Dublino vichinga e medievale dove è possibile scoprire la storia antica della città interagendo con le varie statue di cera (credo) esposte, situata in quella che una volta era la Synod Hall della cattedrale, aggiunta durante i restauri del XIX secolo e collegata alla stessa da un ponte coperto. Usciamo e ci incamminiamo subito lungo Nicholas Street e, in meno di 10 minuti, raggiungiamo la St. Patrick's Cathedral, che sorge nel punto in cui San Patrizio,

attingendo acqua da un pozzo, battezzò i pagani. La chiesa è circondata da un bel giardino dove nei giorni estivi vale la pena fermarsi a riposare. Sicuramente per chi visita Dublino o ha a cuore la storia d'Irlanda questo è un luogo che trasmette tantissime emozioni, anche per quelli non credenti come me.Si avvicina l'ora di pranzo, e ci incamminiamo in direzione della sempre vivace Grafton Street al cui termine (inizio per noi che arrivavamo dal lato opposto) si trovano il St. Stephen Green, bellissimo parco da visitare tutto, col suo arco di ingresso, il cui aspetto attuale è dovuto al denaro investito da Sir Arthur Guinness (l'inventore della birra) e il St. Stephen's Green Shopping Center, un centro commerciale dallo stile molto particolare che vale la pena di visitare non solo per fare compere. Pranziamo velocemente da Burger King, ormai sono le 14.00 e dobbiamo ancora finire il nostro giro. Ci godiamo un pochino gli spettacoli dei numerosi artisti di strada che riempiono la via e ci incamminiamo poi lungo Nassau Street, e da lì raggiungiamo Merrion Square i cui curatissimi prati e le aiuole sono fiancheggiate su tre lati da splendidi edifici Georgiani dai portoni colorati e decorati con lunette a ruota di pavone. Scattiamo un paio di fotografia all'oscar Wilde Memorial, una statua colorata del celebre scrittore e alla sua casa d'infanzia, posta dall'altro lato della strada. Sulla via del ritorno entriamo a visitare la National Gallery (ingresso gratuito), e giunti in prossimità della statua di Molly Malone, mi faccio immortalare, come il peggiore dei turisti, insieme a un simpaticone vestito da Leprechaun (il famosissimo folletto Irlandese). Si fa buio, decidiamo così di rientrare in albergo a riposare prima di uscire nuovamente per cena.La mia ragazza chiede di passare nuovamente la serata a Temple Bar in qualche pub che suona musica folk live. Ovviamente non posso rifiutare la proposta. La cena è sempre nel vivacissimo quartiere di Temple Bar, questa volta allo "Shack" (www.shackrestaurant.ie/) un altro ristorante tipico Irlandese, un po' più caro e dall'ambiente un po' meno rustico e più di classe. Ordino un'ottima bistecca in crema di Whiskey e funghi, piatto che mi ha lasciato davvero estasiato. Il pub scelto questa volta è l'appariscente Oliver St. John Gogarty. Dopo aver consumato una birra però decidiamo di andar via: il cantante alterna musica tradizionale a successi pop più recenti e l'ambiente è troppo affollato e poco caratteristico. La ragazza chiede di tornare all'Auld Dubliner e io accetto volentieri la proposta. Ci sono due ragazzi che suonano, il pubblico applaude a ritmo di musica. Io ordino da bere, la mia ragazza prende posto e inizia ad applaudire divertita, in un video registrato è stata anche sorpresa mentre canticchiava applaudendo la canzone "Belle Of Belfast City". E' l'ultima sera e bevo qualche birra in più, così sono chiamato un po' troppo spesso a qualche visita al bagno.

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Ed è in bagno che incontro un ragazzo che, vedendomi la sciarpa del Celtic, attacca a parlare con me pensando fossi scozzese come lui (anche se non ho capito bene di dove fosse, credo Paisley). Gli spiego che sono italiano e la sua reazione è sempre quella (la stessa di quando vado a Glasgow) di disponibilità e meraviglia mista a una certa curiosità. Gli racconto dell'Italian Celts CSC e delle nostre trasferte annuali nella sua terra, lui è davvero stupito e vorrebbe continuare la serata insieme facendo il giro di altri locali, gli spiego a malincuore che non è possibile perché sono in compagnia della mia ragazza e presto dovremmo rientrare in albergo (erano le 23.30 e l'ultimo tram è alle 00.30). Durante il viaggio di ritorno lei mi fa notare che il 17 Marzo, giorno di San Patrizio, cade di Sabato e che, dato che nessuno dei due lavorerebbe, volendo potremmo fare un salto di un paio di giorni solo per i festeggiamenti, dato che la città l'abbiamo appena visitata.

6 gennaioEd eccomi a raccontare l'ultimo giorno di questa splendida vacanza. Gran parte del tempo vola via per sistemare i bagagli facendo in modo di infilare, non senza fatica, tutti gli acquisti fatti in questi giorni...partire per questi luoghi col bagaglio a mano Ryanair è sempre una sofferenza e una grande difficoltà! Il volo di ritorno è alle 18.25, quindi abbiamo tempo per visitare le ultime cose. La nostra metà è la famosa Guinness Storehouse, il museo interno alla fabbrica della birra Guinness, un alto edificio di 5 piani a forma di pinta (chicca suggerita dalla guida). Non è granché ad essere onesti, è la classica trovata per turisti: giri per ampi spazi chiusi seguendo un percorso, tra vecchie bottigli, pubblicità e vecchi macchinari in disuso. Sicuramente non vale i 14 € che si spendono per entrare ma è un'esperienza comunque da fare soprattutto per chi visita per la prima volta Dublino. In cima c'è il Gravity Bar, il pub più alto d'Irlanda dove è possibile assaporare una

Guinness (la più perfetta che potrete mai bere) ammirando dall'alto tutta la capitale.Finito il tour, dopo gli ultimi acquisti allo store, davvero enorme e su due piani, andiamo in centro per pranzare, sempre da Gallagher's dove ordino delle ottime salsicce cotte in salsa di Guinness e rosmarino, servite con un ottimo puré di patate. Teriminato il pranzo un po' tardi, ultima pinta di birra a Temple Bar e poi ci mettiamo sulla via del ritorno per l'hotel, dal quale ci separa la solita mezzora di tram, per recuperare le valigie e aspettare l'autobus che alle 16.50 ci riporterà in aeroporto. Alle 16.40 siamo in perfetto orario alla

fermata, ma il tempo passa e l'autobus non si vede. Inizia a farsi buio e piovere (finalmente vedo la pioggia in Irlanda!!!). Passano le 16.50, le 17.00. Dell'autobus nemmeno l'ombra. Inizio a diventare nervoso. Sono quasi le 17.15, tra poco più di un'ora l'aereo decolla e noi siamo ancora lì. Chiedo a un signore del posto se per caso fosse la fermata giusta a cui attendere. Lui conferma e si offregentilmente di chiamare un taxi (nel pieno spirito dell'ospitalità e della gentilezza Irlandese) nel caso in cui avessimo urgenza di raggiungere l'aeroporto, quando ecco l'autobus svoltare ed arrivare. Sono le 17.25!!!

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L'autista si scusa per il ritardo, dice di aver trovato molto traffico. In mezzora arriviamo all'aeroporto, superiamo i controlli di corsa e alle 18.15 ci mettiamo in coda per l'imbarco. Ironia della sorte il gate è ancora chiuso, l'aereo partirà con 30 minuti di ritardo!!!Si conclude così l'ennesima vacanza eccezionale nella capitale Irlandese, la prima in compagnia della mia ragazza. Ogni volta è sempre come la prima, il rammarico e la tristezza al momento del viaggio di ritorno sono sempre forti, molto più che nelle altre città europee visitate. La magia e l'atmosfera di Dublino non hanno pietà di nessuno, nemmeno di una persona scettica come era la mia ragazza la mia ragazza. E, ancora una volta, torno indietro con la certezza che un piccolo miracolo è stato compiuto: rubare un pezzo di cuore a chi l'ha visitata per la prima volta, e lasciare con una forte nostalgia chi vorrebbe fermarsi lì per sempre ma è costretto a salutarla dall'oblò di un aereoplano.

The end.

McGiro

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Arrivederci al prossimo numero