Usha - Aurora Simbolica - Numero Due

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Usha - Aurora Simbolica – Anno I – n. 2 – 21 febbraio 2011 Dall’Agenda - messaggi di Mère, in occasione dei suoi compleanni. 1954 - Se avete paura della morte, la morte vi ha già sconfitti. 1958 - Celebrare la nascita di un corpo transitorio può soddisfare una certa sensibilità di fede. Celebrare il manifestarsi dell’eterna Coscienza è una cosa che si può fare in qualsiasi momento della storia universale. Ma celebrare l’avvento di un mondo nuovo, del mondo sopramentale, è uno stupendo ed eccezionale privilegio. 1959 - Conoscere è una buona cosa; vivere è meglio; essere, è perfetto. ( SRI AUROBINDO) 1964 - Sa volonté solitaire affront la loi du monde. Pour arreter la roue fatale, cette Splendeur se leva... Savitri, Libro 1, Canto 2 1968 - Il mezzo più sicuro per affrettare la Manifestazione dell’Amore Divino è di collaborare al trionfo della Verità. Auroville – Matrimandir Auroville Banyan RIVISTA DIGITALE DEDICATA A SRI AUROBINDO E MÈRE yoga integrale – esperienze - traduzioni – articoli [email protected]

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Usha

- Aurora Simbolica – Anno I – n. 2 – 21 febbraio 2011

Dall’Agenda - messaggi di Mère, in occasione dei suoi compleanni. 1954 - Se avete paura della morte, la morte vi ha già sconfitti.

1958 - Celebrare la nascita di un corpo transitorio può soddisfare una certa sensibilità di fede. Celebrare il manifestarsi dell’eterna Coscienza è una cosa che si può fare in qualsiasi momento della storia universale.

Ma celebrare l’avvento di un mondo nuovo, del mondo sopramentale, è uno stupendo ed eccezionale privilegio. 1959 - Conoscere è una buona cosa; vivere è meglio; essere, è perfetto.

( SRI AUROBINDO) 1964 - Sa volonté solitaire affront la loi du monde.

Pour arreter la roue fatale, cette Splendeur se leva... Savitri, Libro 1, Canto 2

1968 - Il mezzo più sicuro per affrettare la Manifestazione dell’Amore Divino è di collaborare al trionfo della Verità.

Auroville – Matrimandir Auroville Banyan

RIVISTA DIGITALE DEDICATA A SRI AUROBINDO E MÈRE yoga integrale – esperienze - traduzioni – articoli [email protected]

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Indice

Editoriale pag. 2 Petali di yoga – rubrica di Jayanti pag. 6 Sri Aurobindo - Sapta Chatusthaya -Traduzione di Maurizio Mingotti pag. 9 Il mito del Paradiso Perduto. Un’esperienza di Mère – di Vivashvan pag. 16 Da “Prières et Méditations de la Mère” - traduzione di Tanya Venusti pag. 23 Il corpo medita se la mente non lo impedisce - di Roberto Maria Sassone pag. 26 Il mantra del Reale – di Tommaso Iorco pag. 32 Dal verticale all'orizzontale - di Zaira pag. 37 Sri aurobindo - Savitri - Libro I° - Canto 3° - Trad. di Bruno Petris pag. 39 Buddhismo e Yoga integrale - di Nicola Mancuso pag. 43 Il corpo – tempio nello yoga integrale – di Miranda Vannucci pag 49 Attimi di consapevolezza - Rubrica di Teresa Cesari – 3 - amore e libero arbitrio pag. 53 Advancing on the sunlight path – Riflessioni e commenti di Jayanti sull’Agenda di Mère pag. 55 La consapevolezza dell’Energia nello yoga integrale – di Claudio Tolomelli pag. 57 Appunti per una pratica integrale. Rubrica di Pino Landi - 3 - Il vitale nello yoga integrale pag 62 Bacheca Pag. 66

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Indice per sezioni

Editoriale……………………………………………………………………………………………....pag. 2 Traduzioni Sri Aurobindo - Sapta Chatusthaya -Traduzione di Maurizio Mingotti…………………………………………………pag. 9 Da “Prières et Méditations de la Mère” - traduzione dal francese di Tanya Venusti……….………………...pag. 23 Sri aurobindo - Savitri - Libro I° - Canto 3° - traduzione di Bruno Petris……………………………………...….pag. 39 Estratti da libri “Il corpo – tempio nello yoga integrale” da “Yoga integrale e psicoanalisi – 3° di M. Vannucci……...pag. 49 Pratica Petali di yoga – rubrica di Jayanti ………………………………………………………………………………………………….….pag. 6 Il corpo medita se la mente non lo impedisce - di Roberto Maria Sassone……………………………………..pag. 26 Il mantra del Reale – di Tommaso Iorco…………………………………………………………………………………………….pag. 32 Dal Verticale all’orrizzontale di Zaira…………..………………………………………………………………………………….…pag. 37 Appunti per una pratica integrale. Rubrica di Pino Landi - 3 - Il vitale nello yoga integrale………….pag. 62 Commenti ai testi Advancing on the sunlight path – Riflessioni e commenti di Jayanti sull’Agenda di Mère………………… pag. 55 Articoli Il mito del Paradiso Perduto. Un’esperienza di Mère – di Vivashvan…………………………………………………pag. 16 Buddhismo e Yoga integrale - di Nicola Mancuso…………………………………………………………………………… .pag. 43 La consapevolezza dell’Energia nello yoga integrale – di Claudio Tolomelli ………………………..……………pag. 57 Testimonianze Attimi di consapevolezza – Rubrica di Cesari Teresa - 3 - amore e libero arbitrio ……………………...pag. 53

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Editoriale

di Pino Landi Cari lettori, questa pubblicazione sta diventando uno strumento di riferimento e collegamento tra tutti coloro che in Italia sono interessati all’insegnamento di Sri Aurobindo e Mère ed alla pratica dello yoga integrale. Nella corrispondenza giunta in redazione è stato particolarmente apprezzato l’indirizzo editoriale di lasciare ampio spazio a tutte le diverse tendenze “operative” che si sono sviluppate tra coloro che hanno il comune riferimento a Sri Aurobindo e Mère, evitando nel contempo ogni disputa di carattere mentale e speculativo. Continuiamo quindi su questa linea, che può essere ben sintetizzata nelle parole già utilizzate nel numero precedente e che non è superfluo ripetere, perché restino ben impresse sulla pagina iniziale della rivista quale intenzione istitutiva e finalità essenziale della stessa: “questo è lavoro svolto da praticanti per l’utilizzo da parte di altri praticanti, consapevoli gli uni e gli altri dei limiti della parola e del ragionamento mentale.. consapevoli gli uni e gli altri della necessità di un nuovo modo di esprimersi e di comunicare, un modo da inventare assieme… nella vera sintesi ed integralità, che non può che avere la sua base nella pratica… nell’esperienza esperita e vissuta.” Nella continuità con la nostra pur brevissima “tradizione”, questo nuovo numero verrà pubblicato nella giornata di “Darshan” del 21 febbraio: giorno del compleanno della Madre. Dice Mère sul significato del COMPLEANNO: “È veramente un giorno speciale nella vita .E' uno di quei giorni nell'anno in cui il Supremo scende in noi - o in cui ci troviamo faccia a faccia con l'Eterno - uno di quei giorni in cui la nostra anima viene a contatto con l'Eterno , e , se rimaniamo un po' consci , possiamo sentire la Sua Presenza dentro di noi . Se noi facciamo un piccolo sforzo in quel giorno , possiamo realizzare il lavoro di molte vite in un attimo di Luce. Ecco perché do così tanta importanza al compleanno - perché ciò che si può raggiungere in un giorno è veramente qualcosa d'incomparabile . Ed è per quello che lavoro anche per aprire la coscienza verso l'alto, così che la persona possa venire davanti all'Eterno. Bambino mio, è un giorno molto molto speciale , perché è il giorno della decisione, quello in cui ci si può unire con la Coscienza Suprema . Perché il Signore ci solleva , in quel giorno alla più alta regione possibile cosicché la nostra anima che è una porzione della Fiamma Eterna , possa essere unita e identificata con la sua Origine. Questo giorno è veramente un'opportunità nella vita . Si è così aperti e recettivi che si può assimilare tutto quello che viene dato . Io posso fare molte cose, ecco perché è importante. È uno di quei giorni in cui il Signore Stesso ci apre le porte completamente . E come se ci stesse invitando a riaccendere sempre di più la fiamma dell'aspirazione . E' uno di quei giorni in cui Egli ci dà . Noi anche , con il nostro sforzo personale , possiamo ottenere questo , ma sarebbe molto lungo, difficile . E questa , questa è una reale chance nella vita , il giorno della Grazia. ******* E’ un fenomeno occulto che succede invariabilmente , senza che noi ne abbiamo la conoscenza , in questo particolare giorno dell'anno . L'anima lascia dietro di sé il corpo e vola su finché s'immerge nella Sorgente per riempirsi e assorbire dal Supremo la sua Luce , Potere ed Ananda ( felicità ) e ridiscende caricata per passare un anno intero . Poi ancora e ancora ... continua così anno dopo anno.

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Nel giorno del suo compleanno il discepolo, o il devoto presente all’Asham può accedere alla stanza di Sri Aurobindo, e nel giorno del compleanno della Madre alla stanza della Madre stessa. Un modo concreto per tenere viva e manifestare la visione che del compleanno aveva la Madre. Continuiamo a leggere le Sue Parole: Recettività nel compleanno D: Mi piacerebbe sapere il vero significato del compleanno. R: Dal punto di vista della natura interiore , l'individuo è più recettivo il giorno del suo compleanno , anno dopo anno e così è un momento opportuno che lo aiuta a fare qualche nuovo progresso ogni anno . D:Come si dovrebbe passare il proprio compleanno ? R: ... nel trovare lo scopo della vita . D:Oggi è il mio compleanno . Voglio che questo giorno sia l'inizio di una vita più spirituale e dunque devo fare qualcosa . Per favore , dimmi che cosa posso fare . R: Non è con la mente che si dovrebbe decidere che cosa fare . Dovrebbe essere un movimento spontaneo che si forma in un'aspirazione costante e sincera . D: Qual è il significato della propria nascita , a parte il suo carattere commemorativo? Come si può usufruire di quest'occasione ? R: A causa del ritmo delle forze universali , si suppone che una persona abbia una recettività speciale il giorno del suo compleanno ogni anno . Si può usufruire di questa recettività facendo delle buone risoluzioni e progressi sul sentiero dello sviluppo integrale.

MIRRA ALFASSA Bambina

SAVITRI - Libro 4, Canto I,vv.199,206 Outlined by the pressure of this new descent A lovelier body formed than earth had known. As yet a prophecy only and a hint, The glowing arc of a charmed unseen whole, It came into the sky of mortal life Bright like the crescent horn of a gold moon Returning in a faint illumined eve. Con i contorni definiti dalla pressione di questa nuova discesa fu formato il corpo più bello che mai la terra avesse conosciuto. Fino ad allora solo profezie e barlumi, luminoso arco di un magico ed invisibile tutto, è giunto nel cielo della vita mortale, splendente come la nascente falce di una luna d’oro che ritorna nella debole luce del crepuscolo.

Le righe che seguono non vogliono certo essere una biografia, prima di tutto perché molti altri, certamente più esperti e qualificati del sottoscritto ne hanno prodotto più di una, poi perché di certi Esseri fuori dal comune non ha molto senso cercare di tracciare la storia fisica e materiale. Gli accadimenti della loro vita procedono su piani di cui noi possiamo avere solamente piccole intuizioni.

Il mio è solo un piccolo semplice omaggio alla figura di Mère nel suo compleanno, e consiste nell’evidenziare qualche passo di quelli da Lei tracciati sulla sabbia di questo mondo. Spero sia un utile stimolo per letture di ben altro profilo, in primo luogo della parole che Mère e Sri Aurobindo hanno scritto su loro stessi.

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MIRRA ALFASSA, colei a cui Sri Aurobindo diede il nome di Mère, LA MADRE, nacque a Parigi il 21 febbraio 1878. Mirra ricevette un'educazione di impronta positivista e materialistica. Dirà di sé stessa: "Ero atea fino al midollo" … "Avevo la più solida delle basi: niente immaginazioni, niente atavismo mistico…" "Però c'era in me una volontà di perfezione, il senso di una coscienza senza limite". Aveva grande attitudine all’arte: studiò musica e pittura, imparò a suonare il pianoforte. Fin dall'infanzia Mirra sperimentò, in modo assolutamente spontaneo e naturale, esperienze non comuni, quelle che vengono chiamate paranormali ( abbandono del corpo materiale, viaggi nelle dimensioni sottili, chiaroveggenza ecc…). A diciannove anni si sposò con Henry Morrisset. Insieme al marito, che faceva il pittore, frequentò Rodin, Renoir, Degas ed altri pittori impressionisti. Lei stessa racconta che incontrò Sri Aurobindo (che le era assolutamente sconosciuto) in sogno verso il 1904: questi sogni si ripetevano di frequente, senza che Mirra potesse dare loro una spiegazione. Nello stesso periodo Mirra incontrò Max Theon, esperto esoterista che pubblicava la “Rivista Cosmica", che riuscì a spiegarle, per la prima volta, il senso delle sue esperienze. Soggiornò per tre anni a Tlemcen in Algeria con Thèon e la moglie. In questo periodo si dedicò allo studio dell’ esoterismo ed alla pratica, sotto la guida esperta di Thèon, che era dotato per altro di notevoli poteri. Per circa cinque anni, a Parigi, Mirra collaborò alla "Rivista Cosmica", scambiando esperienze ed intuizioni in piccoli gruppi di lavoro esoterico. Dopo il divorzio da Morrisset (1908), conobbe il filosofo Paul Richard, che sposò nel 1910. Nel 1914 lo seguì a Pondicherry, dove egli si recò per banali motivi di carriera (era candidato alle elezioni in quel collegio d’oltremare). In questa occasione Mirra, il 29 marzo 1914, incontrò di persona Sri Aurobindo e lo riconobbe come Colui che vedeva la notte nei suoi sogni, e che aveva pensato potesse essere Krisha. Mirra e Paul Richard fondarono nel 1914 la rivista bilingue "Arya", a disposizione di Sri

Aurobindo, per far conoscere il pensiero, le esperienze e rivelazioni del Maestro, anche in traduzione francese. Per un intero anno, ogni giorno, Mirra frequentò Sri Aurobindo; poi, il 22 febbraio 1915 ripartì con il marito. Dopo aver trascorso un anno in Francia si imbarcò per il Giappone, dove rimase 4 anni. Il 24 aprile 1920 Mirra ritornò definitivamente a Pondicherry, resterà accanto a Sri Aurobindo, per proseguire insieme a lui la sua opera, fino all’abbandono del corpo materiale. Sri Aurobindo non aveva l’intenzione di fondare un Ashram, ma si era formato spontaneamente un gruppo di discepoli: in quel periodo una decina, poi 24 nel 1926, e poi sempre di più fino a diventare centinaia. "…La totalità della trasformazione non può essere raggiunta attraverso un solo corpo. Se si vuole avere un'azione generale, ci vuole almeno un minimo di persone fisiche." Così Sri Aurobindo enuncia la ragione del formarsi dell' ashram, che si stava costituendo. Sri Aurobindo affidò a Mére, come da quel momento chiamò Mirra, la direzione quotidiana e concreta dell'Ashram. Era il 24 novembre 1926, Sri Auribindo si ritirò nella propria stanza, senza praticamente uscirne più. “ Senza di Lui io non esisterei, senza di me Lui sarebbe immanifesto” Così diceva Mère. E Sri Aurobindo: "Tutte le mie realizzazioni sarebbero rimaste teoriche, se la Madre non avesse indicato il modo di dar loro una forma pratica." Il lavoro pratico organizzativo crebbe notevolmente all’ashram, che durante la guerra aveva accolto numerosi bambini e donne, Mère comunque continuò, con Sri Aurobindo, nel lavoro di realizzazione della nuova Coscienza. Quella Coscienza superiore che egli aveva raggiunto oltre i piani della mente e della Sopramente, la "Coscienza di Verità", attraverso un nuovo potere di coscienza, da lui chiamato "Supermente", che avrebbe segnato una nuova tappa evolutiva; "L'uomo" diceva infatti Sri Aurobindo "è un essere di transizione. L'evoluzione continua ed egli sarà superato". Il 5 dicembre 1950 Sri Aurobindo lasciò il corpo e Mère, a 72 anni, rimase 'sola' a svolgere il lavoro.

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Sri Aurobindo e Mère avevamo individuato all'interno del corpo una "mente delle cellule", una "mente solare e immortale" capace di aprire la strada ad un altro essere dopo l'uomo". L’obiettivo era quello di superare la loro "mortale memoria genetica" in cui si cela il "nodo della vita con la morte", "Disfare la memoria delle cellule"… Questo sarebbe divenuto il lavoro di Mère, nel proprio corpo. Proseguiva il suo lavoro in quel laboratorio evolutivo che l'ashram rappresentava, ma soprattutto continuava l'immersione nella "nuova specie", attraverso il proprio corpo, che cessava di essere un corpo individuale, ma diveniva il corpo stesso della Terra. "È nella frontiera cellulare che si trova la chiave, ovvero il passaggio della morte. E se la trasformazione è possibile in un corpo è possibile in tutti i corpi". "Sarà proprio il corpo a gettare un ponte tra la vita fisica quale noi la conosciamo e la vita sovramentale che si manifesterà". Nel 1952 fondò il Centro Universitario Internazionale Sri Aurobindo con la finalità di sviluppare un nuovo modo di educare, senza certificati, lauree, diplomi. Uno

sviluppo educativo non finalizzato alla carriera e al denaro. Il 9 dicembre 1958 la Madre fu costretta ad interrompere le attività esterne e a ritirarsi nella propria stanza. Ad 80 anni il suo lavoro, il suo "yoga delle cellule" affrontava l’ultimo nodo. Dallo stesso anno le sarà vicino quotidianamente Satprem, che registrerà per quindici anni, su nastro magnetico, tutte le considerazioni, i commenti, gli sviluppi attorno al suo lavoro, espressi dalla viva voce di lei. Da queste registrazioni, successivamente trascritte, è nata "L'agenda di Mère", dove , in tredici volumi, è scritto una sorta di diario del Suo lavoro alla ricerca di un nuovo modo di essere. Nel 1968 pone la prima pietra di Auroville, città “nata” da una visione che Mère aveva avuto qualche anno prima. E’ questo un esperimento, ancora oggi vitalmente in corso di attuazione, per fornire alla terra intera un laboratorio in cui concentrare i problemi dell’intera umanità, affinché venga cercata la loro soluzione. Nel pomeriggio del 17 novembre 1973, il suo respiro cessò. Aveva 95 anni

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- Rubrica di Jayanti

Risposte brevi al pragmatico di strada “NON CREDO CHE DIO ESISTA…” Quale Dio? Verrebbe da chiedere all’agnostico o all’ateo prima di sostenere qualunque tesi contraria con altrettanta convinzione e fiducia. Quale Dio? Un essere trascendente, onnipotente, creatore del cielo e della terra come altro da sé? Un essere onniscente che sta nei cieli o chissà dove e che un giorno giudicherà i vivi e i morti secondo il criterio di una fede in lui buona o cattiva o secondo l’altro criterio di una condotta morale altrettanto buona o cattiva? Quale Dio? Un Dio padre che ti da una vita valle di lacrime, con tante prove da superare e poi giudicherà tutti dopo la morte, in un aldilà non ben definito, elargendo premi o punizioni, paradisi di pace eterna o inferni di tormento basati sulla negazione della sua presenza? Quale Dio? Un essere che può casualmente affacciarsi alla coscienza quando hai peccato e hai bisogno di perdono per lenire i tuoi sensi di colpa? Quale Dio? Quello a cui si ricorre per chiedere aiuto quando non sai dove sbattere la testa e vorresti il suo miracolo? Quale Dio?

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Tutte queste affermazioni sono spesso quelle che spingono l’ateo ad essere tale e l’agnostico a decidere che l’esistenza di Dio non lo interessa. Io non voglio convincere l’ateo che si sbaglia e neppure distogliere l’agnostico dai suoi più veri interessi. Non voglio perché anche le loro idee hanno un valore positivo nell’orizzonte della Conoscenza e poi non amo le dissertazioni intellettuali: la mia mente sarebbe uno strumento troppo limitato per formulare delle Verità che non possono essere espresse a parole. Posso solo parlare delle mia esperienza personale e dire che fino quasi all’età di venticinque anni non conoscevo che il Dio della religione cattolica, il Dio come l’hanno fatto gli uomini e troppe cose non mi convincevano. Poi conobbi l’insegnamento di Sri Aurobindo e Mère, scoprii il Dio interiore, il Divino amante, l’Uno nel Tutto; un nuovo orizzonte si aprì e tutto diventò molto più chiaro. Oggi, allo scettico che non crede in Dio, posso solo contrapporre una verità del cuore, e affermare con profonda convinzione e fiducia: “CREDO CHE DIO ESISTE”. Ma quale Dio? Dio, o meglio il Divino, come più esattamente l’ha definito la Madre, non è qualcosa di distante, esterno all’uomo, ma è tutt’uno con la sua coscienza: un tutt’uno da scoprire non con la testa, ma da “sentire”, al centro del petto, come una sensazione, un’aspirazione, una fiamma che ti spinge a conoscerlo e realizzarlo. Queste le sue parole: Per chi ha paura della parola Dio, ecco cosa intendiamo per “Divino”: Tutta la conoscenza che dobbiamo acquisire, tutto il potere che dobbiamo ottenere, tutto l’amore che dobbiamo diventare, tutta la perfezione che dobbiamo raggiungere, tutto l’armonioso e progressivo equilibrio che dobbiamo manifestare nella luce e nella gioia, tutti i nuovi e sconosciuti splendori che devono realizzarsi. “Divino” come aggettivo e non “Dio” come soggetto, perché Tutto è il Divino (o Brahman come detto nella tradizione indiana), l’universo intero, il mondo, la natura, lo spirito e la materia.Tutto è il Divino e solo il Divino esiste. Molto efficaci nel rendere l’idea di chi sia il Bramhan o Signore Supremo sono alcuni pensieri e aforismi di Sri Aurobindo: Vedi Dio dovunque e non lasciarti spaventare da maschere. Sappi che ogni menzogna è una verità in costruzione o una verità in demolizione, ogni insuccesso una efficacia nascosta, ogni debolezza una forza che si cela alla propria vista; ogni dolore una segreta e violenta estasi. Se lo crederai fermamente e instancabilmente, vedrai alla fine l’Onnipotente, il Tutto-Verità e il Tutto-Felicità e ne avrai l’esperienza.

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Quando si ha la visione nel cuore, tutto – la Natura, il Pensiero e l’Azione, le idee, le occupazioni, i gusti e gli oggetti – divengono l’Amato e sono fonte d’estasi. Possiamo parlare del Supremo come di un matematico che traduce in numeri un calcolo cosmico, o come di un pensatore che risolve con l’esperimento un problema di rapporti di principi ed equilibri di forze. Ma dovremmo anche parlare di lui come dell’amante, del musicista delle universali e particolari armonie, come del bambino, del poeta. Non basta capire il suo aspetto di pensiero; bisogna afferrare interamente anche il suo aspetto di gioia. Le idee, le forze, le esistenze, i principi sono stampi vuoti, a meno che non siano riempiti con il soffio della gioia di Dio. Il pensiero non è essenziale per l’esistenza e neppure ne è la causa, ma è uno strumento per il divenire: divento ciò che vedo in me stesso. Tutto ciò che il pensiero mi suggerisce posso farlo; tutto ciò che il pensiero rivela in me posso divenirlo. Questa dovrebbe essere l’incrollabile fede dell’uomo in se stesso, perché Dio dimora in lui. Gli altri si vantano del loro amore per Dio. Il mio vanto è che non amavo Dio: fu Lui ad amarmi, a cercarmi e a costringermi ad appartenerGli. Sri Aurobindo aveva il genio dell’umorismo e ha scritto decine e decine di aforismi usando immagini e paradossi in forma meravigliosa per comunicarci la sua visione del Divino Amante. A questi si rimandano coloro che sono interessati ad approfondire la visione.

Jayanti

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[In questa seconda puntata pubblichiamo la prima parte di Sapta Chatusthaya, la cui Introduzione (indispensabile per la piena comprensione del testo) è apparsa nel numero precedente di Usha. N.d.T.]

SRI AUROBINDO

I. SHANTI CHATUSTHAYA

Traduzione di Maurizio Mingotti

Samatā śānti� sukham hāsyam iti śānticatu��ayam

SAMATA

Fondamento della pace interiore è samatā, la capacità di ricevere con mente calma ed equanime tutti gli attacchi e le apparenze delle cose esteriori, piacevoli o spiacevoli che siano, della buona e della cattiva fortuna, del piacere e della pena, dell’onore e della disgrazia, della lode e del biasimo, dell’amicizia e dell’inimicizia, i contatti del peccatore e del santo, o, fisicamente, del caldo e del freddo e via dicendo. Esistono due forme di samatā, passiva e attiva, la samatā nel ricevere le cose del mondo esterno e la samatā nel reagire ad esse.

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1. SAMATA PASSIVA

La samatā passiva consiste di tre elementi:

Titik�ā, udāsīnatā, natih iti samatā.

TITIKSHA

Titik�ā è il sostenere con fermezza tutti i contatti, gradevoli o sgradevoli, senza essere sopraffatti da ciò che è penoso, senza essere trascinati da ciò che è gradevole. Riceverli tutti con calma e fermezza e sostenerli come chi è più forte, più grande e più vasto di ogni attacco del mondo è la disposizione di titik�ā.

UDASINATA

Udāsīnatā è l’indifferenza ai dvandva o dualità; letteralmente significa l’essere ‘assisi in alto’, superiori a tutti i contatti fisici e mentali. L’udāsīna, libero dal desiderio, può sia non sentire il contatto della gioia e del dolore, del piacere e della pena, delle simpatie e antipatie, sia sentire che queste cose toccano la sua mente e il suo corpo ma non lui stesso, essendo egli diverso dalla mente e dal corpo e ‘assiso in alto’ sopra di essi.

NATI

Nati è la sottomissione dell’anima alla volontà di Dio, la sua accettazione di tutti i contatti come suoi contatti, di tutte le esperienze come Suo gioco con l’anima dell’uomo. Nati può essere associata a titik�ā, sentire il dolore ma accettarlo come volontà di Dio, o ad udāsīnatā, sollevarsi in una posizione superiore e contemplare la gioia e il dolore allo stesso modo, come operazioni di Dio negli strumenti inferiori; oppure può associarsi con ānanda, e ricevere ogni cosa come il gioco di Krishna, in sé stesso sempre pieno di gioia. Quest’ultimo è lo stato dello yoghin completo, poiché attraverso questo continuo namaskāra gioioso, o ānandamaya, a Dio, si arriva infine alla completa eliminazione della sofferenza, del dolore e via dicendo, all’intera libertà dai dvandva, e si trova Brahmananda in tutti i più piccoli, banali, i più apparentemente discordanti particolari della vita e dell’esperienza in questo corpo umano.

Ci si libera così completamente della paura e della sofferenza: ānandam brahma�o vidvān na bibheti kutaścana [colui che possiede la gioia del brahman non teme alcuna cosa al mondo – Tayttiria Upanishad, 2,4]. Possiamo dover cominciare con titik�ā e udāsīnatā, ma questo è l’Ananda in cui dovremo giungere al compimento della siddhi di samatā. Lo yoghin accoglie la vittoria e la sconfitta, il successo e l’insuccesso, il piacere e la pena, l’onore e l’infamia con un ānanda uguale, sama ānanda, — all’inizio mediante buddhi-yoga, separandosi dalle sue abituali reazioni mentali e nervose, ed insistendo mediante vicāra [riflessione intellettuale, pensiero della mente] sulla natura vera dell’esperienza stessa e della sua anima che segretamente è Anandamaya, colma di sama ānanda.

Giunge così a cambiare tutti gli ordinari valori dell’esperienza; ama�gala [cattiva fortuna] gli si rivela come ma�gala [buona fortuna], la sconfitta e l’insuccesso come il compimento dell’immediata volontà di Dio e un passo verso la vittoria suprema, il dolore e la sofferenza come

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forme nascoste e corrotte della gioia. Arriva persino lo stadio in cui lo stesso dolore fisico, la cosa più dura da sopportare per la persona fisica, cambia natura nell’esperienza e diviene Ananda fisico; avverrà però soltanto alla fine, quando questo essere umano imprigionato nella materia e soggetto alla mente emergerà dalla propria soggezione, conquisterà la mente e libererà se stesso in modo completo nel corpo, realizzando il suo reale sé ānandamaya in ogni parte dell’ādhāra [mente, vita, corpo, il ricettacolo e veicolo della coscienza].

2. SAMATA ATTIVA

Questo universale o sama ānanda in tutte le esperienze costituisce la samata attiva, che ha tre parti o stadi:

Rasa�, prīti�, ānanda�.

Rasa è l’apprezzativa percezione di quel Guna, quell’āsvāda, gusto e qualità, che l’Ishwara della Lila percepisce in ciascun oggetto dell’esperienza (vi�aya), e per il godimento del quale Egli crea l’oggetto nella Lila.

Prīti� è il piacere della mente in tutti i Rasa, piacevoli o spiacevoli, dolci o amari.

Ānanda è il divino bhoga superiore a qualsiasi piacere mentale, mediante il quale Dio gode del rasa; in Ananda l’opposizione delle dualità cessa del tutto.

SHANTI

Solo quando la samatā è completa, śānti può essere resa perfetta nell’essere. Se nella mente è presente il sia pur minimo fastidio o turbamento possiamo essere del tutto certi che esiste una perturbazione o un difetto nella samatā. La mente dell’uomo è infatti complessa, e persino quando nella buddhi ci si è completamente stabiliti in udāsīnatā o in nati possono esserci rivolte, sensi di disagio, ripensamenti in altre parti. La buddhi, il manas, il cuore, i nervi (prā�a), lo stesso involucro fisico devono essere sottomessi alla legge della samatā.

Śānti può essere sia una calma vasta e passiva fondata su udāsīnatā sia una calma vasta e gioiosa fondata su nati. Il primo tipo può avere la tendenza ad associarsi con l’inazione, quindi il nostro Yoga deve trovare la sua culminazione nel secondo.

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SUKHA

Sukham è il totale sollievo, la completa liberazione da du�kha [dolore], da vi�āda [depressione], che discende dal compimento di samatā e di śānti. Lo Yoghin perfetto non ha mai la minima traccia di dolore in sé, la minima tendenza alla depressione, all’ottenebramento o alla lamentela e alla stanchezza, ma è sempre pieno di luce e di ampiezza sattviche.

HASYA

Hasyam è l’aspetto attivo di sukham; consiste in un attivo stato interiore di felicità e di allegria che nessuna esperienza avversa, mentale o fisica, può turbare. La sua perfezione è il sigillo e lo stampo di Dio sulla Siddhi della samatā. È, nel nostro essere interiore, l’immagine di Sri Krishna che suona il flauto, bālavat, quale eterno bālaka [bambino] e kumāra [ragazzo] nel giardino del mondo.

[Quella che segue è un’altra versione autografa, incompleta, del testo di Shanti Chatusthaya, che Sri Aurobindo scrisse diversi anni dopo la prima stesura. Egli voleva forse rivedere e completare Sapta Chatusthaya, ma per qualche motivo anche questa seconda stesura fu presto interrotta. Eccone comunque il testo, che amplia certi punti solo toccati nella prima versione. N.d.T.]

SAMATA CHATUSTHAYA

La Samata può essere negativa o positiva:

Negativa — Titiksha, Udasinata, Nati.

Positiva — Samarasa, Samabhoga, Sama Ananda.

SAMATA NEGATIVA

Titik�ā. Il potere di sopportare con calma e costanza tutti gli sparsa, piacevoli o penosi che siano, senza alcuna reazione nella parte centrale dell’essere. La mente o il corpo possono desiderare o

soffrire, ma il Purusha che osserva rimane esente da attrazione e turbamento, limitandosi a osservare in qualità di Sakshi [testimone] mentre, in qualità di Ishwara, regge l’organismo tutto con mano ferma e una calma volontà di far cessare i dvandva. Il Purusha non brama i piaceri e non ne chiede. Non rifiuta la sofferenza. Anche quando il piacere o sofferenza sono troppo grandi, la sua volontà è che la mente e il corpo non se ne ritraggano e non li respingano, ma li sopportino con

calma. Si comporta nello stesso modo verso tutti i dvandva, la fame e la sete, il caldo e il freddo, la - pag 12 -

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salute e la malattia, il fallimento e il successo, l’onore e l’infamia, e via dicendo. Si astiene sia dall’accogliere e dal gioire sia dall’evitare e dall’addolorarsi. Si libera di ogni jugupsā, paura,

ritrarsi, ripiegarsi, dolore, depressione ecc., tutti mezzi cioè che la Natura (bhūtaprak�ti) usa per metterci in guardia contro quanto ci è ostile al fine di proteggerci. Il Purusha non incoraggia tali

mezzi; non cerca nemmeno di interferire a tutti i costi con essi, in quanto potrebbero essere necessari per prevenire i contatti avversi; e neppure rifiuta fisicamente, se non come una disciplina temporanea, i contatti piacevoli; interiormente, però, presenta un fronte uguale di resistenza verso

tutte queste cose. Il risultato è udāsīnatā o indifferenza.

Udāsīnatā. L’indifferenza può essere di quattro tipi, tamasica, rajasica, sattwica e trigu�ātīta [sopra od oltre i tre guna]. L’indifferenza tamasica è associata con vairāgya, disgusto, delusione, stanchezza nello sforzo, riluttanza a continuare nello sforzo. Non è in realtà una vera udāsīnatā, poiché tenta di evitare tutto considerando ogni cosa quale causa diretta o indiretta di sofferenza; è una generalizzazione di jugupsā e non deriva da titik�ā ma dal suo contrario. A volte .è chiamata rajasica, in quanto, sebbene sia di natura tamasica, la sua spinta è rajasica: è il desiderio deluso. La udāsīnatā tamasica è utile al vairāgī che desideri sbarazzarsi del mondo con ogni mezzo, ma per chi ricerca la perfezione è una pietra d’inciampo. È utile solo nello scoraggiare la persistenza del rajogu�a, e a tal fine deve essere accettata quando si presenta. Ma è almeno tanto di danno quanto è di beneficio, e, finché non potremo farne a meno, il nostro progresso sarà probabilmente lento, con una serie di oscillazioni tra l’impeto rajasico e la stanchezza tamasica nascente dalla delusione, con la udāsīnatā tamasica quale occasionale liberazione dall’azione logorante di questi opposti.

Trovare il proprio punto d’arrivo finale nella udāsīnatā tamasica è cosa fatale alla perfezione.

La udāsīnatā rajasica è l’indifferenza imposta con lo sforzo, sostenuta da una decisione, resa stabile attraverso una lunga disciplina di sé. È l’indifferenza dell’eroe morale, dello stoico. E più utile di quella tamasica, ma, persistendo in essa, l’anima diviene sempre più dura e ristretta, meno flessibile, meno capace di gioia. La udāsīnatā rajasica, qualora se ne faccia uso, dev’essere sempre superata. E’ infatti uno strumento che può mutarsi facilmente in un ostacolo.

La udāsīnatā sattvica è l’indifferenza che nasce dalla conoscenza. Arriva insieme alla percezione del mondo come illusione o gioco, e di tutte le cose come uguali al Brahman. È calma, luminosa, libera da sforzo, tollerante di tutte le cose, indifferente con un sorriso a tutto ciò che succede, attenta nel rifiutare le reazioni tamasiche e rajasiche. L’indifferenza sattvica è di grande aiuto e, a un certo stadio, è quasi inevitabile, ma ha le sue limitazioni. Rimane separata dal mondo ed è una preparazione per mok�a, per il ritrarsi dalla Lila. Non è indicata come luogo di riposo finale per il sadhaka della perfezione.

La trigu�ātīta udāsīnatā è quella che prende tutte le cose nello stesso modo, senza fare differenza tra reazioni sattviche, tamasiche e rajasiche, ma, conservandosi nell’anima estranea a tutti questi movimenti e questi dvandva, li osserva innanzi tutto con una imparzialità assoluta e, con un costante rifiuto di prendervi parte, li elimina dalla mente e dal pra�a. Essa non gioisce e non s’addolora quando vengono o quando se ne vanno, na śocati, na nandate. Essa considera tutte queste cose come opera di Prakriti e le loro cause come la volontà dell’Ishwara. Questo tipo di

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udāsīnatā costituisce la preparazione per il terzo elemento della samatā, Nati.

Nati. Nati è l’equanime sommissione alla volontà dell’Ishwara. Essa vede in tutte le cose l’espressione di quella volontà e si rifiuta di addolorarsene o ribellarvisi interiormente solo perché i desideri egoistici, le preferenze, le opinioni personali ecc. possono esserne scossi. La sua disposizione è interamente fondata sulla percezione di Dio in tutte le cose e in tutti gli avvenimenti. Essa accetta piacere e sofferenza, salute e malattia, cattiva e buona fortuna, onore e vergogna, lode e biasimo, azione e inazione, fallimento e vittoria, ma non si attacca a nessuna di queste cose. Nati non è un’acquiescenza tamasica all’inazione, una sottomissione al fallimento, una indifferenza alla vita: quella sarebbe la udāsīnatā tamasica. Nati è una condizione attiva; accetta la vita e lo sforzo come parte di Dio e del Suo essere, ma è preparata con animo eguale a ogni risultato. Non ha desiderio per i frutti, ma opera per raggiungere i risultati che le vengono indicati nello spirito di kartavya karma [l’azione che deve essere compiuta], senza tensioni rajasiche né indifferenza tamasica.

Śanti. La pienezza della samatā si misura con il saldo fissarsi di santi in tutto l’essere. Se c’è una calma e serenità assoluta nel cuore e nel prana, esente da reazioni e turbamenti, sensi di fastidio, brame, dolore, depressione e così via, allora si può essere sicuri che la samatā negativa è completa. Se è presente un qualunque turbamento del genere è un segno che c’è qualche imperfezione di titik�ā, di udāsīnatā o di nati.

Tale imperfezione può non interessare la parte centrale dell’essere, ma le sole parti esteriori. Avremo allora una calma stabile al centro, con qualche turbamento alla superficie. Queste perturbazioni superficiali possono anche essere violente e velare la stabilità interiore della śānti, ma quest’ultima torna sempre a prevalere. In seguito il disturbo perde sempre più peso e diventa sempre più debole. Come ultima manifestazione si può presentare sotto la forma di una occasionale depressione della forza, del coraggio, della fede e della gioia dell’anima, negativa e spesso priva di causa apparente; poi sparisce del tutto.

La samatā e la śānti negative sono la preparazione indispensabile per la samatā positiva e l’Ananda. Senza tale fondamento l’Ananda è sempre passibile d’incertezza nella sua durata e d’imperfezione nella sua pienezza completa. Tutte queste cose quindi — la resistenza a tutti i contatti, l’indifferenza a tutte le dualità, la sottomissione a tutti i movimenti della Volontà divina, la pace e la tranquillità interiore perfetta, — sono i primi passi verso la perfezione. La samatā e la śānti negative sono il risultato della śuddhi [purificazione] e la condizione della mukti [liberazione].

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SAMATA POSITIVA

Sulla base di nati si avanza verso la samatā positiva, vale a dire verso Sama Ananda. Il suo fondamento è Atmajnana o Brahmajnana, mediante il quale si percepisce tutto l’universo come un unico essere che si manifesta in una moltitudine di forme e di attività. Quest’ Uno è quindi l’unico Sé di tutti gli esseri, è il mio Sé cosi come il Sé di tutti gli altri, degli amici e dei nemici, dei santi e dei peccatori, di uomini, uccelli e bestie, alberi e pietre, — tutte le cose nella manifestazione sono le forme e le attività del mio stesso Sé.

Non solo, ma questo Sé è nello stesso tempo il Signore del Cosmo, il Purushottama [La suprema Persona divina], il divino Vishnu, Shiva o Krishna, di cui ogni anima individuale è un centro cosciente, consapevole della propria unità con Lui nell’essere e anche della propria diversità nell’universo; e la manifestazione è una Lila o gioco del Signore che, nel Suo essere, è tutto gioia; il gioco stesso, quindi, è non solo un gioco di Esistenza e Coscienza, ma anche di Beatitudine. Sono le dualità nate dal senso dell’ego nel cuore, nella mente e nel corpo a creare il dolore e la sofferenza. Dobbiamo unirci a questo Sé, Signore e Uno e a tutte le cose in Lui, vedendo tutte le cose come il nostro stesso Sé; potremo allora liberarci del dolore e godere del divino Ananda.

Ma, prima, è necessario che accettiamo senza ribellarci e in modo equanime la Lila in tutti i suoi particolari avvenimenti. Questo avviene attraverso nati. Titik�ā è la disposizione di equanime accettazione da parte della mente sensoriale e del corpo, udāsīnatā la disposizione di equanime accettazione da parte della mente e del cuore, nati la disposizione di equanime accettazione propria dell’anima. L’anima accetta tutte le cose come gioco del Signore che è tutto-Beatitudine, come Volontà del supremo Sé e dell’Ishwara. Accetta l’azione insieme ai suoi risultati, senza attaccamento. Ma anche così distaccata, essa deve apprendere ad avere gioia in tutte le cose, proprio come il Signore.

La prima gioia è quella del Sakshi o Testimone, che, osservando l’intera azione dell’universo e anche la propria come chi osserva una rappresentazione teatrale, prova il rasa o gusto completo della cosa attraverso l’intelletto, i sensi e la facoltà estetica. Tutte le cose, tutti gli avvenimenti sono la manifestazione di certi gu�a o qualità nell’essere universale; Dio è anantagu�a, Qualità infinita.

La rosa è una manifestazione della forma, del colore, dell’odore e di altre qualità meno evidenti, ciascuna avente la propria impronta del rasa, della Gioia divina.

(2. continua) Traduzione di Maurizio Mingotti – Copyright www.savitri.info

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Il mito del Paradiso Perduto. Un’esperienza di Mère

di Vivashvan

Aforisma 58 — "L’animale, prima di venire corrotto, non ha ancora assaggiato il frutto della conoscenza

del bene e del male. Il dio non ha toccato quel frutto, preferendo

l’albero della vita eterna. L’ uomo sta in bilico fra il cielo

superiore e la natura inferiore."

(Sri Aurobindo)

Ogni vivente ha un proprio

linguaggio di specie, formato da innumerevoli e disparati segnali e segni…Posizioni nello spazio emissione di odori, suoni o altro sono gli strumenti attraverso cui questo linguaggio si articola. L’uomo ha perduto il contatto con gli altri viventi raffinando sempre di più il solo linguaggio dei suoni, articolandoli secondo la logica mentale. La traduzione in segni scritti di questo tipo di linguaggio non ne modifica la sostanza e ne radicalizza sempre di più l’aspetto mentale. Il linguaggio mentale se da un lato ha ampliato alcune delle possibilità dell’uomo ed è uno dei mezzi attraverso cui si è espandendo ed ha materialmente dominato tutto il pianeta, d’altra parte però l’ha impoverito, rafforzando il suo senso di isolamento dalla totalità degli altri esseri e dal cosmo intero. Il linguaggio verbale e

mentale è diventato anche fattore di separatività e di visione utilitaristica, come, viceversa queste caratteristiche umane hanno contribuito a produrre un linguaggio mentale. Ma il linguaggio universale non si è perduto per sempre per l’uomo. E’ solamente disceso sotto il livello della coscienza ordinaria, là dove giace tutta la storia evolutiva dell’uomo. Emerge di tanto in tanto sia a livello individuale che collettivo e prende la forma di ciò che chiamiamo sogno, visione, immaginazione, oppure simbolo e mito. I miti sono uno dei più grandi tesori che l’umanità possieda: contengono in sé, sotto la loro forma, una sostanza che è insegnamento, conoscenza e saggezza trascendendo tempi e culture. Occorre solo avere la sincera volontà di percepire questo insegnamento, farlo vivere in se stessi, perché nessuna conoscenza è “esterna”.

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Il mito della cacciata dal paradiso terrestre è uno dei suddetti patrimoni dell’uomo, compare a più riprese in paesi e tempi lontanissimi tra di loro. Molti Saggi l’hanno utilizzato per trasmettere un antico insegnamento, qualche religione ne ha deformato la percezione dell’essenza attraverso interpretazioni parziali e inadeguate. Ma questo mito resta là come una pietra preziosa per chi voglia goderne la bellezza ed assorbirne le vibrazioni di luce… Mère: “ In effetti quella storia che sembra così puerile, la storia della Genesi, contiene una verità. Nelle antiche tradizioni del tipo della Genesi è come nei Veda: ogni lettera era un simbolo di conoscenza, il riassunto immaginoso di una conoscenza tradizionale; proprio come i Veda sono la sintesi immaginosa della conoscenza di quei tempi. Ma a parte questo, anche il simbolo aveva una sua realtà, nel senso che davvero è esistito un periodo sulla terra (corrispondente al primo manifestarsi in forme umane della Materia mentalizzata) in cui la vita si trovava ancora in perfetta armonia con tutto quello che c’era stato prima. È solo più tardi che...”

Mère, come riportato nell’Agenda del 11 marzo 1961, viene interrogata da Satprem proprio sul vero significato di questo mito, e Lei spiega non cosa ne pensa, ma come ha vissuto ed esperimentato la cosa. Mère: “Hai qualche domanda?” [in riferimento all’aforisma di Sri Aurobindo citato all’inizio dell’articolo] Satprem: “È vero che è esistito un paradiso terrestre? Perché l’uomo ne è stato cacciato?” Mère:” Dal punto di vista storico — non psicologico: storico — basandomi sui miei ricordi... Anche se non posso provarlo: non si può provare niente, io penso che non esistano prove davvero storiche, cioè giunte fino a noi; oppure, se ne esistono, non le hanno ancora trovate. Però stando ai miei ricordi... (Mère chiude gli occhi, come andandosene alla ricerca della sua antica memoria — continuerà a parlare ad occhi chiusi)... di sicuro, in un dato momento della storia della terra, è esistito una specie di ‘paradiso

terrestre’, nel senso di una vita perfettamente armoniosa e naturale. Vale a dire che c’è stato un tempo in cui la manifestazione della Mente si trovava in accordo — ANCORA in completo accordo — e in totale armonia col procedere ascendente della Natura, senza ancora nessuna perversione e deformazione. Era il primo stadio del manifestarsi della Mente in forme materiali.”

La prima cosa importante è definire

cosa sia questo “paradiso terrestre” questa condizione edenica. Mère non ci racconta cosa ne pensa, ma “quale esperienza ne ha fatto”. L’esperienza di Mère si svolge in una coscienza, certamente non accessibile per i comuni umani, ed anche per questo le sue parole sono utili per una comprensione non intellettuale, ma olistica; ben più utile di studi storici, che non possono che basarsi su teorie mentali, pareri ed illazioni, ed anche dei trattati teologici, che altro non sono che un altro modo della mente di elucubrare.

L’esperienza di Mère parla di una fase dell’evoluzione umana di “transizione”. Un periodo in cui già si era manifestata la Mente sul piano della materia e degli accadimenti, ma ancora non si era sviluppata pienamente e quindi ancora persisteva una armonia completa, quanto inconsapevole, dell’uomo con il suo ambiente. L’uomo non aveva ancora piena coscienza della propria individualità, e l’unione con il Tutto era un istinto, non una scelta.

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In altre parole si potrebbe dire che iniziava allora l’avventura della coscienza che avrebbe dovuto imparare ad individualizzarsi pienamente, prima di superare la separazione e ritornare ad identificarsi con il Tutto, questa volta però in modo del tutto consapevole e volontario. Iniziava insomma un lungo e faticoso giro di spirale… Mère:” Quanto è durato? Difficile dirlo. Ma per l’uomo si trattava di una vita che era quasi la prosecuzione della vita animale. Il mio ricordo è quello di una vita in cui il corpo si adattava in modo perfetto all’ambiente naturale, il clima ai bisogni del corpo e il corpo alle esigenze del clima. La vita era qualcosa di assolutamente spontaneo e naturale, come potrebbe esserlo una vita animale più luminosa e più cosciente; ma non aveva nulla di quelle complicazioni e deformazioni che lo sviluppo della Mente avrebbe aggiunto più tardi.”

Il mito mantiene inalterata la sua sostanza, ma trova ogni volta le forme adatte per la cultura e la psiche dell’uomo, si potrebbe anche dire che in fondo il mito è ricordo. Se così non fosse allora non sarebbe strumento per procedere verso la reale conoscenza, che è sempre svelamento e che non potremmo raggiungere se già non fosse completa in noi. Anche questo del “Paradiso Perduto” è un ricordo. Ricordo di uno stato particolare di cui l’uomo comune può percepire riflessi. Per esempio molte persone hanno un riflesso di ricordo in quella reverenza silenziosa che provano di fronte ai grandi spettacoli della natura, agli alberi millenari, ai paesaggi maestosi, oppure nella compassione, intesa come partecipazione alla comune condizione, nei confronti degli esseri senzienti e viventi.Certo non tutti gli uomini hanno questo tipo di sensibilità, ma d’altra parte non tutti gli uomini sono eguali, anzi si potrebbe dire che ciascuno è posizionato su un diverso gradino di crescita e quindi di diverso grado di ricordo. Il ricercatore spirituale che sia avanzato abbastanza lungo un sentiero di conoscenza e trasformazione, avrà bagliori e visioni sempre più precisi e nitidi in proporzione al suo livello ed ampiezza di coscienza.

Mère ne aveva perciò un ricordo perfettamente nitido e preciso, una esperienza luminosa, essendo parte, in una sola coscienza con l’Energia esecutiva del Divino, la Madre. Mère:”… A dire la verità, quando rivivi quei momenti non ti viene la curiosità di individuare particolari del genere, perché ti trovi in un’altra condizione di spirito, non hai curiosità per queste precisazioni materiali: tutto si trasforma in dati psicologici… “…Di quel periodo mi è rimasto il ricordo. Mi è tornato e l’ho rivissuto quando ho preso coscienza dell’intera vita della terra. Ma non posso dire quanto sia durato, né quale fosse il luogo — questo non lo so. Ricordo solo la condizione, lo stato: che cos’era la Natura materiale, che cos’erano la forma umana e la coscienza umana in quel momento. E quella specie di altri elementi della terra: armonia con la vita animale, e un’armonia così grande con la vita vegetale, una specie di conoscenza spontanea di come usare le cose della Natura, della qualità delle piante, dei frutti e di tutto quanto la Natura vegetale può offrire. E nessuna aggressività, nessuna paura, niente contraddizioni né attriti, NESSUNA perversione: la mente era pura, semplice, luminosa, priva di complicazioni…” …Era.., era qualcosa di così... semplice, pieno di luce, armonioso, estraneo a tutte quelle preoccupazioni che abbiamo oggi — assolutamente fuori da qualunque preoccupazione di tempo e di spazio. Era una vita spontanea, estremamente bella, e così vicina alla Natura! Come un espandersi naturale della vita animale. E non esistevano contrapposizioni, contraddizioni, niente — tutto andava nel migliore dei modi.”

L’Eden come simbolo di una condizione di coscienza, condizione che si è materialmente perduta perché nulla è stabile sul piano della materia e degli accadimenti. Solo nel Divino trascendente e privo di qualificazioni c’è la stabilità e l’eterna immutabile realtà, il resto è Emanazione e tutto ciò che è Emanato tende a riassorbirsi.

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Ma la via del riassorbimento passa attraverso la medesima Volontà, Verità ed Amore che determinò l’Emanazione medesima. Quella volontà non può esprimerla l’animale, che ha la coazione degli istinti e neppure gli dei, che sono limitati dalla loro medesima perfezione. Gli animali e gli Dei non possono evolvere, e quindi non possono scegliere: solo l’uomo evolve e quindi può scegliere. L’uomo è ponte tra la materia e lo Spirito, nell’uomo la coscienza si trasforma, nell’uomo la materia acquisisce coscienza di sé stessa, nell’uomo la coscienza può espandersi fino a percepire il Divino che è involuto in ogni cosa, può riconoscere la sua stessa origine Divina e sapere al Divino ritornare.

L’uomo svolge pienamente il suo ruolo umano come strumento della manifestazione della mente ed incarnando una coscienza di individualità. Ma può scegliere di trascendere l’una e l’altra identificandosi nella sua reale essenza che è il Divino. In fondo la storia del Cristo non è forse il racconto di tutto ciò? Quel Cristo che altro non è che il Divino fatto uomo per insegnare all’uomo la via del ritorno, per riconquistare quella condizione edenica che doveva perduta per poterla poi ritrovare con piena consapevolezza e piena volontà e pieno amore.

Mère:” E l’albero della conoscenza simboleggia un tipo di conoscenza… non più divina, perché ormai derivata dal senso della separazione. E’ stato questo tipo di conoscenza che ha cominciato a rovinare tutto….

…Per un certo tempo, sia di notte che di giorno, in una certa trance, ritrovavo una vita che avevo vissuto ed ero pienamente cosciente che si trattava del diffondersi della forma umana sulla terra – delle prime forme umane in grado d’incarnare l’essere divino superiore. Era il ricordo della prima volta in cui avevo potuto manifestarmi in una forma terrestre, in una forma particolare, individuale (non in una vita in generale, ma proprio in una forma individuale), cioè la prima volta che era avvenuta una congiunzione fra l´Essere superiore e l’essere inferiore grazie al mentalizzarsi di questa sostanza materiale. È una cosa che ho vissuto tante volte, ma sempre in un quadro d’insieme analogo, e con la sensazione assolutamente analoga di una sem-pli-ci-tà così gioiosa, priva di complicazioni, di problemi, senza tutti questi interrogativi: non c’era niente, ma niente di niente del genere! Solo l’espandersi di una gioia di vivere, nient’altro… In un amore generale, un’armonia generale: i fiori, i minerali, gli animali, tutto si intendeva alla perfezione. Solo MOLTO TEMPO DOPO (ma è un’impressione personale), è stato solo molto dopo che… le cose si sono guastate. Forse perché l’evoluzione generale ha reso necessarie, inevitabili, certe cristallizzazioni mentali, affinché la mente potesse prepararsi a passare ad altro. E stato a quel punto che… Mah! … è come precipitare in un buco, in una laidezza, in un’oscurità. Dopo di allora tutto diventa così oscuro, così brutto, così difficile, così penoso. Davvero.., dà proprio l’impressione di una caduta.”

Il serpente allora non rappresenta affatto la negatività, la forza contraria, bensì proprio la Forza Evolutiva che porta l’uomo verso il proprio compimento: prima l’evoluzione mentale, che significa conoscenza, seppure conoscenza di divisione, ma implica consapevolezza e quindi libertà di scelta, che prima mancava. Come può l’uomo superare sé stesso se prima non giunge a realizzare pienamente la sua umanità?. Questo vale sia a livello individuale che dell’intera umanità.

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Il tempo è una dimensione soggettiva, ormai è un concetto acquisito anche dalla scienza fisica: si potrebbe allora aggiungere che è quindi strettamente connesso al livello di coscienza. La visione lineare del tempo è quella più funzionale alla dinamica mentale ed alla comune coscienza di veglia, ma non è l’unica. L’uomo primordiale più armonico alla terra ed al cosmo aveva sviluppato una concezione circolare del tempo e probabilmente quello era “il tempo” che scorreva nell’Eden. Il tempo della specie che incarnerà la Supermente, la Gnosi Divina, sarà compreso in un attimo eterno in cui tutto è presente. Per noi che siamo gli esseri di transizione che faticosamente stanno procedendo per trasformare la propria capacità percettiva e coscienziale, si può proporre una visione “a spirale” che unisca i vantaggi della concezione ciclica, con quelli della visione rettilinea, superandone i rispettivi limiti.Allora dai recessi del nostro inconscio, in cui giacciono accanto passato e futuro evolutivi, ecco ricomparire la identica figura spiraliforme del rettile che eravamo e del tempo che dobbiamo conquistare…

In una visione del tempo siffatta il prossimo giro della spirale prevede il ritorno ad un Paradiso Perduto, ad una Età dell’Oro, conservando ciò che è stato faticosamente guadagnato durante la caduta e la risalita: la consapevolezza e la libertà della scelta. L’uomo come specie si trova ad un bivio e non è scontato per nessuno quale strada imboccherà. Le caratteristiche distintive dell’uomo come tale e che gli hanno consentito il predominio materiale su questa terra sono divenute ipertrofiche e quindi pericolose per l’intero pianeta. I grandi sauri dominarono il pianeta grazie ad una loro caratteristica peculiare: l'enorme mole. Quando questa caratteristica non servì più ad assicurare loro la sopravvivenza ed il dominio sulle altre specie fu completo, essa divenne una specificità priva di qualunque utilità, obsoleta e poi dannosa, fino a determinare probabilmente l'estinzione stessa dei dinosauri. La specie uomo si trova in una condizione molto simile. Le caratteristiche che hanno determinato il suo "successo" sulle altre specie sono state il senso della individualità ( gli animali hanno una coscienza di branco e non individuale) da cui deriva la capacità di utilizzare ogni cosa

per i propri fini ed una notevole aggressività, oltre al pieno sviluppo dell'intelligenza e della mente logica e pensante. Ora queste caratteristiche sono diventate obsolete, il che non significa che vanno rigettate, ma purificate, cioè superate, nei loro aspetti di sopraffazione. Occorre essere levatrici e balie di nuove caratteristiche che definiranno la specie oltre l'uomo. Ciascuno può scegliere di essere l'incubatrice del nuovo, oppure il conservatore del vecchio, ma occorre la consapevolezza che ciò che non evolve e non si trasforma porta inevitabilmente alla distruzione ed alla morte.

L'uomo non è fuori dalla natura, ma con l'uomo possono essere superati i tempi ed i modi di evoluzione della natura medesima: l'evoluzione non riguarderà più il solo aspetto materiale e può diventare un processo consapevole e cosciente. Mère: In fondo hanno guastato la terra. L´hanno rovinata - hanno inquinato l´atmosfera, hanno guastato tutto. Ecco perché bisogna che ridiventi qualcosa di simile [al paradiso terrestre]. Ah, però bisogna fame di strada! - In senso psicologico, soprattutto. Ma anche questa, anche la struttura della Materia (Mère palpa l´aria intorno a sé), con le loro bombe e i loro esperimenti e tutto il resto... ah, ne hanno fatto un tale pasticcio!... Hanno ridotto la Materia a un vero guazzabuglio! Probabilmente - anzi, non probabilmente: è assolutamente certo –la Materia era necessario triturarla, rimescolarla, prepararla, perché fosse in grado di ricevere la COSA, la nuova cosa che non si è ancora manifestata. Prima era qualcosa di molto semplice,armonioso e pieno di luce - ma non abbastanza complesso. E stata proprio questa complessità a rovinare tutto, ma... è questa stessa complessità che porterà a una realizzazione INFINITAMENTE più cosciente - infinitamente di più. E allora, quando la terra diventerà altrettanto armoniosa, altrettanto semplice, altrettanto luminosa, altrettanto pura - semplicemente e puramente divina - da tutta questa complessità se ne potrà ricavare qualcosa.

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Satprem- da "Il materialismo Divino" :"La grande Transizione all'altra specie comincia con una sguardo. Passare da una specie a un'altra non consiste in un cambiamento di struttura, ma in cambiamento di coscienza: il bruco e la farfalla guardano un solo identico mondo. E quando alcuni avranno cominciato a vedere nell'altro modo, sarà il contagio della visione sovramentale; usciremo dall'incubo mentale, sentiremo altrimenti, respireremo altrimenti e costruiremo altrimenti il nostro mondo, perchè lo vedremo altrimenti. E infine la Coscienza stessa prenderà questo corpo per rifarlo secondo la propria visione di immortale bellezza."

C’è una domanda che vene spesso ripetuta quando si accenna all’evoluzione: “Come sarà l'uomo del futuro? “ L'uomo nel futuro sarà eguale a quello odierno e a quello del passato. Dovremo piuttosto chiederci cosa ci sarà oltre l'uomo. L'umanità è nelle condizioni in cui si trovarono i pesci qualche centinaia di milioni di anni fa, quando quelli di loro più avanzati, che meno sopportavano di essere imprigionati in un universo d'acqua, si gettarono fuori sulla spiaggia, per scoprire nuove verità e modalità di vita, un nuovo piano ed un universo diverso. I primi soffocarono, poi impararono a resistere

sempre un po' di più, finché si trasformò anche la materia, a seguito della loro forza di volontà e la loro aspirazione: le branchie divennero polmoni, adatti per farli vivere all'aria e loro divennero anfibi. Gli anfibi non erano più pesci, ma i pesci hanno continuato ad esistere e a trascorrere la loro vita come sempre. Oppure come quando le scimmie più irrequiete ed insofferenti della loro situazione, cominciarono ad utilizzare mani e strumenti e a guardare in alto il cielo, con lampi nella loro grezza mente embrionale, di cui non si rendevano pienamente conto, perché non sapevano cosa fosse il pensiero e non avevano strumenti per definirlo o meglio comprenderlo.

Così per l'uomo. L'umanità tradizionale, mentalizzata, egoista, aggressiva esisterà ancora e sempre, ma il ruolo della mente è esaurito e costringe l'uomo in un universo ristretto. Per coloro che non sopportano più i limiti imposti dalla coscienza di separazione, dalla percezione dei sensi e dalle elaborazioni mentali, c'è la possibilità di slanciarsi sulla "spiaggia" di un nuovo mondo. Costoro sono le avanguardie dell'uomo nuovo, della nuova entità che starà al vecchio uomo, così come l'uomo sta al vecchio scimmione, governato da istinto ed abitudine.

Come l'uomo è stato veicolo per la manifestazione della mente, così il "superuomo" sarà strumento di manifestazione della "Supermente". Non un uomo con caratteristiche umane enfatizzate, con superpoteri come i personaggi dei fumetti, ma un nuovo essere per il quale conoscenza e volontà coincideranno. Sarà attraverso questo essere Supermentale, che trasformerà assieme a sé stesso tutto il piano della materia e degli accadimenti, che si instaurerà nuovamente sulla terra quel Paradiso che era stato Perduto…

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EVOLUZIONE

PASSAI IN UNA DIMORA LUMINOSA E SERENA E VIDI COME IN UNO SPECCHIO DI CRISTALLO

SALIRE UN’ANTICA FORZA SERPENTINA DALLE SPIRALI ASCENDENTI DELLA VIA DEL TEMPO. LA TERRA ERA UNA CULLA PER LA VENUTA DEL DIO

E L’UOMO SOLTANTO UNA TRACCIA NON OSCURA E NON LUMINOSA DEL PASSAGGIO DEL DIVINO VELATO ALLA LUCE DELLO SPIRITO

DAL SONNO DELLA MATERIA E DAL FARDELLO DI PENA DELLA VITA CHE NON SA E DELLA MORTE.

LA MENTE LIBERATA NUOTAVA NELLA VASTITÀ OCEANICA DELLA LUCE, E LA VITA SFUGGIVA AL SUO GRIGIO CONFINE DI TORTURA;

IO VEDEVO LA MATERIA ILLUMINARE LA NOTTE SUA GENITRICE. L’ANIMA POTEVA SENTIRSI PROIETTARE ALL’INFINITO, ETERNA BEATITUDINE DIVINA IL CUORE ROSSO VIVO.

Sri Aurobindo (Last Poems)

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Da “Prières et Méditations de la Mère”

traduzione dal francese di Tanya Venusti

LE 5 FÉVRIER 1913

Comme un chant mélodieux, Ta voix se fait entendre

dans le silence de mon cœur ; et dans mon cerveau il

se traduit par des mots imparfaits qui sont pourtant

encore tout imprégnés de Toi. Et ces mots s’adressent

à la Terre et lui disent : Pauvre Terre douloureuse,

souviens-toi que je suis présent en toi et ne perds

pas l’espoir ; chaque effort, chaque souffrance,

chaque allégresse et chaque angoisse, chaque appel

de ton cœur, chaque spiration de ton âme, chaque

renouveau de tes saisons, tout, tout sans exception, ce

qui te pârait triste comme ce qui te pârait joyeux, ce

qui te pârait laid comme ce qui te pârait beau, tout te

mêne vers Moi infailliblement, et Je suis la Paix sans

fin, la Lumière sans ombre, l’Harmonie parfaite, la

Certitude, le Repos et la Bènèdiction Suprême.

Écoute, ô Terre, la voix sublime qui s’élève.

Écoute et reprens courage.

5 FEBBRAIO 1913

Come un canto melodioso, la Tua voce si fa

spazio Nel silenzio del mio cuore; e nel mio cervello

si Traduce attraverso parole imperfette che

sono tuttavia Ancora totalmente impregnate di Te. E quelle

parole si rivolgono alla Terra dicendole : Povera

Terra addolorata, ricordati che sono viva in te e non perdere la

speranza; ogni sforzo, ogni sofferenza e ogni angoscia,

ogni richiamo del tuo cuore, ogni aspirazione della tua

anima, ogni rinnovarsi delle stagioni, tutto, tutto senza eccezione,

ciò che ti appare triste come ciò che ti appare gioioso, ciò che ti

sembra brutto come ciò che ti sembra bello, tutto ti conduce

infallibilmente a Me, e Io sono la Pace senza fine, la Luce senza

ombra, l’Armonia perfetta , la Certezza, il Riposo e la

Benedizione suprema.

Ascolta, o Terra, la voce sublime che si eleva. Ascolta e riprendi coraggio.

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LE 22 FÉVRIER 1914 Lorsque j’étais enfant – vers l’âge de treize ans et pendant un an environ- tous les soirs dès que j’étais couchée, il me semblait que je sortais de mon corps et que je m’élevais tout droit au-dessus de la maison, puis de la ville, très haut.Je me voyais alors vêtue d’une magnifique robe dorée, plus longue que moi ; et à mesure que je montais, cette robe s’allongeait en s’étendant circulairement autour de moi pour former comme un toit immense au-dessus de la ville. Alors je voyais de tous côtés sortir des hommes, des femmes, des enfants, des vieillards, des malades, des malheureux ; ils s’assemblaient sous la robe étendue, implorant secours, racontant leurs misères, leurs souffrances, leurs peines.En réponse, la robe, souple et vivante, s’allongeait vers eux individuellement, et dès qu’ils l’avaient touchées, ils étaient consolés ou guéris, et rentraient dans leurs corps plus heureux et plus forts qu’avant d’en être sortis. Rien ne me paraissait plus beau, rien ne me rendait plus heureuse ; et toutes mes activités de la journée me semblaient ternes et grises, sans vie réelle, à côté de cette activité de la nuit qui était pour moi la vie véritable. Souvent pendant que je m’élevais ainsi, je voyais à ma gauche un vieillard silencieux et immobile, qui me regardait avec une bienveillante affection et m’encourageait de sa présence. Ce vieillard, vêtu d’une longue robe d’un violet sombre, était la personnification—je l’ai su plus tard--, de celui que l’on appelle l’Homme De Douleur. Maintenant l’expérience profonde, la réalitè presque inexprimable, se traduit dans mon cerveau par d’autres notions que je puis définir ainsi : Bien des fois dans la journée et dans la nuit il me semble que je suis, ou plutôt que ma conscience est concentrée tout entière dans mon cœur, qui n’est plus un organe, ni même un sentiment, mais l’Amour Divin, impersonnel, éternel ; étant cet Amour, je me sens vivre au centre de toute chose sur toute la terre, et en même temps il me semble m’étendre en des bras immenses, infinis, et envelopper d’une tendresse sans limite tous les êtres serrés, groupés, blottis sur ma poitrine plus vaste que l’univers...Les mots sont pauvres et malhabiles, ô divin Maître, et les traductions mentales sont toujours enfantines... Mais mon aspiration vers Toi est costante, et A dire vrai, c’est bien souvent Toi- même et Toi seul qui vis en ce corps, imparfait moyen de Te manifester. Que tous les êtres soient heureux dans la paix de Ton illumination !

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22 Febbraio 1914 Quando ero bambina- intorno ai tredici anni e per circa un anno- ogni sera dopo che mi ero coricata, mi sembrava di uscire dal corpo e di sollevarmi dritta al di sopra della casa, poi della città, molto in alto. Mi vedevo, in quel momento, indossare una veste dorata, più lunga di me ; e mano a mano che salivo, la veste si allungava estendendosi circolarmente attorno e a formare quasi un tetto sopra la città. Allora vedevo uscire da tutte le parti uomini,donne, bambini, vecchi, malati, derelitti; si riunivano sotto la veste distesa, implorando aiuto, raccontando le loro disgrazie, le loro sofferenze e le loro pene. In risposta, la veste, morbida e viva, s’allungava verso di loro individualmente , e nel momento in cui ne era toccato, ciascuno era consolato o guarito, e rientrava nel corpo più felice e più forte di quando ne era uscito. Nulla mi sembrava più bello, nulla mi rendeva più felice; e tutte le attività della giornata mi apparivano tristi e grigie, senza vita reale, se paragonate all’attività della notte che per me era la vita reale. Spesso mentre mi sollevavo in quel modo, vedevo alla mia sinistra un vecchio silenzioso e immobile, che mi guardava con affetto benevolo e m’incoraggiava con la sua presenza. Quel vecchio, dalla lunga veste viola scuro, era la personificazione—l’ ho saputo più tardi—, di quello che vien chiamato l’ Uomo Di Dolore. Adesso l’esperienza profonda, la realtà quasi inesprimibile, si traduce nella mia mente attraverso altri modi che posso dire così : Spesso durante la giornata e la notte mi sembra che ci sia, o piuttosto che la mia coscienza sia concentrata completamente nel cuore, che non è più un organo, né un il luogo del sentimento, ma l’Amore Divino, impersonale, eterno; essendoci quest’ Amore, mi sento vivere al centro di ogni cosa sulla terra, e nello stesso tempo mi sembra di estendermi con braccia immense, infinite, che avvolgono con una tenerezza senza limiti tutti gli esseri raccolti, raggruppati, immersi nel mio petto più vasto dell’universo…. Le parole sono scarne e inadatte, o divino Maestro, e le traduzioni mentali sono sempre infantili.. Ma la mia aspirazione verso di Te è costante, e a dire la verità, sei spesso Tu e Tu solo che vivi in questo corpo, canale imperfetto per manifestarti. Che tutti gli esseri siano felici nella pace della Tua luce!

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Il corpo medita se la mente non lo impedisce

di Roberto Maria Sassone

Negli ultimi anni la richiesta di spiritualità è diventata sempre più evidente e naturalmente, secondo la logica che caratterizza il nostro secolo, questa esigenza è sfruttata come bene di consumo. E’ dovere del ricercatore sincero approfondire questo argomento per restituire ad esso la sua nobiltà e la sua importanza fondamentale, riconducendolo anche all’attuale paradigma sistemico della scienza. Il titolo di questo intervento contiene volutamente una piccola provocazione perché, secondo l’approccio sistemico, anche la mente è una funzione del corpo, intendendo per corpo la totalità dell’individuo. Quando si parla di ricerca spirituale la pratica della meditazione è quella che immediatamente viene presa in considerazione. Il problema però consiste nel fatto che essa è diventato un argomento così consueto da essere adoperato spesso a sproposito; oppure viene commercializzata da una certa mentalità new age, alla stregua del Prozac, confondendola col pensiero positivo o con un rituale mistico che allontana dai mali del mondo e consente di vivere in una nuvoletta rosa. Ma le cose non stanno così perché dietro la meditazione c’è un substrato profondissimo di saggezza millenaria che non può essere trascurato e che può invece essere integrato con il pensiero olistico di cui si è portatrice anche la scienza. Desidero fare a questo punto un’affermazione semplice, ma che spesso viene dimenticata: non bisogna confondere le tecniche di meditazione dalla meditazione vera e propria. Le pratiche di meditazione hanno lo scopo di creare dei cambiamenti nell’assetto del sistema-uomo per renderlo in grado di funzionare in maniera armonica e quindi di recuperare uno stato che i maestri chiamano in vari modi, tra i quali scelgo il nome di Presenza. Definisco la Presenza, come lo stato di piena esperienza del Reale a cui partecipa l’individuo totale. Questo stato cosiddetto spirituale è considerato da alcuni ricercatori uno stato naturale dell’essere umano che si realizza quando il sistema individuale umano funziona in maniera coerente. Le antiche tradizioni sapienziali conoscevano tutto ciò per cui basavano le loro discipline e le loro pratiche sulle funzioni corporee per ottenere questa nuova ristrutturazione del sistema. Basti pensare all’hatha yoga con le sue asanas, posizioni del corpo aventi lo scopo di

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influenzare persino l’attività ghiandolare, oppure alle tecniche del pranayama in cui il respiro veniva usato anch’esso per procurare dei cambiamenti significativi della coscienza. Un’altra tradizione, quella del Tantra, aveva come fulcro della trasformazione della coscienza tutte le funzioni corporee, compresi i cinque sensi e l’energia sessuale e vitale, ed aveva la concezione della sacralità del corpo, come espressione della Shakti, ovvero dell’aspetto dinamico del Divino. Il limite di alcune tradizioni è semmai nel considerare il corpo solo come uno strumento per ottenere uno stato di dissoluzione in una dimensione trascendente. Fu Sri Aurobindo in maniera autorevole a rimarcare questo limite della concezione vedantina che considerava la materia espressione di maya e non dell’aspetto dinamico del Divino. Cito le sue parole: “Lo yogi tende a ritirarsi dall’esistenza comune. (…) Se conquista Dio, sembra perdere la vita, mentre se dirige i suoi sforzi verso l’esterno per conquistare la vita, corre pericolo di perdere Dio. Così si è venuta formandosi in India un’acuta incompatibilità fra la vita del mondo e la perfezione spirituale”. (La Sintesi dello yoga, pag 15) Ma questa concezione sta gradualmente mutando da quando il pensiero orientale inizia a fondersi con il meglio della scienza occidentale. In ogni caso il corpo è il crogiolo in cui avviene il processo alchemico che conduce alla produzione dell’oro, ovvero alla produzione di quello stato di coscienza in cui l’uomo percepisce la sua unità ed il suo collegamento con la sostanza che sottende ad ogni manifestazione della vita. Quindi è nel corpo il segreto, nella sua possibilità di sviluppo e di trasformazione. Nella prima metà del 900 è vissuto Wilhelm Reich, uno psichiatra speciale, allievo di Freud, che è stato un vero precursore in molti campi, ma soprattutto il suo grande contributo è stato quello di inserire nella psicoterapia il corpo, completamente ignorato dalla psicoanalisi. Egli colse l’intimo collegamento tra psiche e corpo, più esattamente tra emozioni rimosse, blocchi muscolari cronici e strutture cognitive ed ideologiche. Da lui nasce la visione dell’uomo come sistema complesso in cui le diverse funzioni interagiscono continuamente. Il carattere di ogni individuo si forma in base a come le funzioni biologiche, istintuali, emozionali e cognitive si strutturano. Ogni sistema ha una sua coscienza che è la conseguenza dell’intelligenza del sistema stesso. In tal modo egli svincolò il concetto di coscienza dalla concezione metafisica ed astratta che si aveva di essa e la rese immanente nell’unità corpo-mente. Il substrato che sottende ogni processo dell’uomo è l’energia vitale che pulsa in esso; questa pulsazione è, secondo Reich, la stessa pulsazione dell’universo. L’essere umano quindi è intimamente collegato al cosmo nella sua natura più essenziale. Ma è proprio questa natura essenziale che viene congelata, deviata e mortificata, a causa della repressione delle pulsioni spontanee dell’individuo. Nella nostra cultura ognuno di noi è costretto a formare una corazza caratteriale che ci imprigiona e che fa morire il contatto profondo con il nostro nucleo vitale e di conseguenza rende distorto il contatto con gli altri e con ogni manifestazione della vita. Poiché la coscienza degli esseri umani è strettamente dipendente dal loro funzionamento, c’è anche un offuscamento della coscienza, se il sistema non è coerente.

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Successivamente un altro grande uomo, Alexander Lowen, esplorò altri aspetti della inesauribile ricchezza del corpo e della sua intelligenza. Nacque così la bioenergetica che nel significato del termine racchiude l’intimo contatto tra energia e vita. Da loro venne un grande contributo, che poi la teoria dei sistemi ha approfondito: ovvero che se modifichi la relazione tra le parti del sistema e le rendi più funzionali, il sistema si riorganizza e quindi si modifica anche l’intelligenza del sistema, che alcuni chiamano la mente del sistema e che a me piace chiamare coscienza. Tutto questo avviene, senza invocare nessuna dottrina spirituale, senza aderire a nessun maestro. Eppure accade una cosa sorprendente, che continua a commuovermi. Quando i miei pazienti, dopo un percorso di scioglimento della corazza caratteriale che consiste, semplificando molto, nella liberazione delle emozioni represse nel corpo, unita alla comprensione storica del processo, iniziano a sentire la loro pulsazione vitale, non più irrigidita dalle resistenze psicoemozionali, entrano in uno spazio di coscienza che ritroviamo identico in molte descrizioni di maestri spirituali. In quei momenti e in quello stato la mente tace e diventa complice dell’intero sistema, assaporandolo come silenziosa testimone. E’ uno stato di meditazione, è uno stato di Presenza. Il corpo stesso è cosciente ed è coscienza. Diceva Sri Aurobindo che il corpo è una forma di coscienza. Mère, la sua compagna spirituale, diceva che solo il corpo può veramente comprendere. Da queste osservazioni si può capire cosa intendo dire quando affermo che il corpo medita. Ora però vorrei spiegare la seconda parte del titolo del mio intervento: “se la mente non lo impedisce”. Detto in questo modo può sembrare che io stia sancendo la separazione tra mente e corpo, contraddicendo ciò che ho espresso precedentemente, ovvero che la mente è parte del sistema corpo. La contraddizione è presto sciolta precisando che la mente che impedisce è la mente disfunzionale, ancorata ai pregiudizi, ai condizionamenti del passato, alle rimozioni dei contenuti libidici ed emozionali, alle sublimazioni, alle razionalizzazioni. E’ evidente che la corazza caratteriale di cui parlano Reich e Lowen è contemporaneamente una gabbia percettiva, emotiva, mentale e cognitiva, ed in base ad essa la mente sviluppa una rappresentazione del mondo che traduce l’esperienza sottostante del sistema. Non dimentichiamo che il cervello rettile e quello limbico si sono sviluppati precedentemente in un periodo molto più lungo rispetto al sistema corticale e che quindi hanno una presa maggiore sulle funzioni mentali che evolutivamente rappresentano una fase ancora giovane. L’uomo è un essere di transizione, diceva Sri Aurobindo. La sua evoluzione non è ancora terminata. Questa mente, incrostata dalla repressione dei movimenti vitali repressi e deviati, è diventata uno schermo. Avendo perso il contatto con le funzioni vitali naturali, l’uomo si rifugia nelle funzioni mentali; se ne va nella testa. In questo modo non viviamo più la vita, ma la pensiamo. Diventa una vita virtuale. Certamente non è casuale che siano aumentate le relazioni tramite web, in cui ognuno può rappresentare se stesso secondo le sue fantasie, diventando un simulacro.

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Non riuscendo più ad avere presa sulla vita per mezzo della percezione, cerchiamo di averne con la mente, creando costruzioni, illusioni, false spiegazioni. Così la mente si è ipertrofizzata ed invece di essere uno strumento che traduce la nostra creatività, diventa la nostra aguzzina. Non siamo noi a pensare, ma è la mente che ci pensa. L’effetto di questa invasività della mente è che ormai noi ci identifichiamo con essa. Invece di avere la percezione dell’identità, l’esperienza di esserci, sentiamo un’identità fittizia fatta di rappresentazioni. Ormai la mente è in ogni nostra azione, persino nella sessualità. Non vediamo un fiore, un albero, uno sguardo, ma ce lo rappresentiamo. Mentre guardiamo, facciamo delle osservazioni, delle interpretazioni. Così ci sfugge l’esperienza diretta dell’oggetto. Ecco perché la mente impedisce al corpo di meditare! Il corpo nella sua dimensione vitale, cellulare, vegetativa è più vicino alla natura. Infatti, quando ci apriamo alle sensazioni, al respiro, alla pulsazione, la mente perde la sua presa e gradualmente si destruttura ed acquista una sua funzionalità naturale. Non dobbiamo dimenticare infatti che anche la mente è una funzione naturale dell’evoluzione. Quindi non è la mente di per sé ad essere un ostacolo, ma la sua disfunzionalità. Reich andò constatando che, quando si scioglie la corazza caratteriale, appare nell’individuo un nuovo modo di funzionare; questo nuovo assetto della personalità lo chiamò carattere genitale. Ma la cosa più sorprendente è che nei pazienti avvenivano delle modificazioni sostanziali. “La nuova struttura psichica -dice Reich- sembrava ubbidire a leggi che non avevano nulla in comune con gli abituali dettami e concezioni della morale. Essa obbediva a leggi che mi erano nuove e di cui non avevo mai sospettato l’esistenza. Emergevano atteggiamenti morali che, pur essendo perfettamente validi sul piano sociale, erano in netto contrasto con le concezioni abituali”. (La Funzione dell’Orgasmo, pag 190). “La profonda contraddizione tra <io voglio ed io non posso> veniva superata. Ad essa si sostituiva un “ragionamento” che vorrei quasi chiamare “vegetativo”(…) Le azioni si ordinavano secondo un principio “autoregolatore”. Questa autoregolazione comportava a sua volta una certa armonia poiché eliminava e rendeva superflua la lotta contro una pulsione frenata, ma che continuava a farsi sentire”. (Ibidem, pag 191). “L’autoregolazione sottrae energia ad un desiderio insoddisfabile, trasferendola su altri oggetti o partner”. (Ibidem, pag 193). Reich afferma quindi che l’individuo, ricondotto al contatto autentico con sé, sviluppa spontaneamente una morale naturale che lo pone in una relazione amorevole con gli altri e con la natura e sviluppa inoltre un non attaccamento all’oggetto di desiderio e una coscienza ecologica. Ma le sue ricerche lo portarono molto oltre, fino al punto di dire che in principio c’era l’energia cosmica. Questa energia si organizza in maniera speciale e produce tutti gli esseri viventi, compreso l’uomo. L’uomo è un frammento di essa. Nell’essere umano questa energia cosmica produce un livello più avanzato di evoluzione, l’io, la consapevolezza di sé. In questa visione dell’individuo vi sono dei chiari richiami ad alcune concezioni orientali che riguardano lo sviluppo delle qualità etiche a cui fanno riferimento gli yogasutra di Patanjali ed il

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sentiero del Buddha come la compassione, l’amorevolezza, l’equanimità e la discriminazione, e riguardano anche la dimensione cosmica dell’uomo, considerato particella divina. Da queste considerazioni emerge evidente come, partendo da un approccio prettamente corporeo, si giunge spontaneamente a toccare esperienze e temi che sono ancora considerati di esclusiva pertinenza spirituale. Prende forma così una tendenza nuova e molto proficua che sana la scissione tra mente e corpo, tra materia e spirito, che appartiene alla visione giudaico-cristiana. In un libro di grande rilievo, La Spiritualità del Corpo, Alexander Lowen dice testualmente nell’introduzione: “Quando mente e corpo sono separati la spiritualità diventa un fenomeno intellettuale – una fede anziché una forza vitale – mentre il corpo diventa semplice carne, o un laboratorio biochimico come nella medicina moderna. Il corpo despiritualizzato è caratterizzato da una relativa insensibilità e mancanza di grazia.” (pag 8). “La vera grazia non s’impara: è un dono di natura che l’uomo riceve in quanto creatura di Dio. Ma quando la si perde la si recupera soltanto a patto di ristabilire la spiritualità del corpo.” (pag 9). Anche Lowen quindi recupera il corpo alla spiritualità che non è più intesa come qualità metafisica, ma che nell’essere umano coincide con il ritrovamento del contatto con l’energia vitale. Egli infatti aggiunge: “Una prospettiva energetica ci darà modo di comprendere la vera natura della grazia e della spiritualità del corpo, senza tuttavia diventare mistici”. (Ibidem, pag 9). L’ultima svolta della scienza è il paradigma quantistico che apre un nuovo capitolo della scienza che recupera fisica e metafisica, spirito e materia e che rivoluziona la conoscenza del meraviglioso fenomeno uomo. Un fruttuoso prodotto di ciò è la PNEI, psiconeuroendocrinoimmunologia. In un suo articolo Francesco Bottaccioli, dice che “l’originalità della PNEI consiste nell’idea che non sia possibile studiare, efficacemente, l’attività dei grandi sistemi biologici e della psiche, separandoli tra di loro. Nella realtà del vivente, essi s’influenzano reciprocamente, dialogano tra loro, attraverso molecole che, spesso, solo artificiosamente, vengono assegnate a questo o a quel sistema e quindi a questa o a quella specializzazione medica”. Con la teoria dei sistemi si afferma che ogni sistema è soggetto a trasformazione e che tale trasformazione si esprime nei progressivi cambiamenti di assetto del sistema. Modificando il sistema si modifica l’intelligenza stessa del sistema, per cui la coscienza è contemporaneamente causa ed effetto del sistema. Forma, struttura, organizzazione e coscienza coincidono in una visione olistica ed integrata. Compare un nuovo elemento che diventa un codice essenziale: l’informazione. Dice Candace B. Pert : “Le informazioni, ecco la tessera mancante che ci consente di superare la scissione tra corpo e mente della concezione cartesiana; perché le informazioni per definizione non appartengono né al corpo né alla mente, anche se riguardano entrambi”. (Molecole di Emozioni, pag 313) L’informazione connette ogni elemento della struttura e determina quindi la relazione, altro aspetto fondamentale. Ogni sistema riceve informazioni ed attraverso di esse si autoregola. Contemporaneamente invia informazioni ad altri sistemi che si autoregolano in base ad esse. L’universo è una danza di informazioni e di relazioni e l’uomo ne è immerso. Tutto ciò è la mente dell’universo, non la mente che intendiamo noi, relativa ai processi cognitivi, ma come la intende Gregory Bateson, ovvero “la struttura che connette”. Egli infatti sostiene l’esistenza di una “sacra unità della biosfera” per la quale tutte le manifestazioni viventi sono collegate. E’ una mente che è un non-luogo, molto simile alla concezione buddista del vuoto che però non è mancanza di qualsiasi cosa, ma è un pieno di significato e non di sostanza. Le parole non sono adeguate a definire queste intuizioni e queste esperienze. Diventa evidente che questa concezione rende impossibile continuare a parlare di corpo, di mente, di organi, di anima, con le stesse categorie meccanicistiche, riduzionistiche, mistiche risalenti soltanto a qualche decennio fà. Ed anche il titolo del mio intervento dovrebbe diventare: “Il corpo medita se ha le giuste informazioni”, ovvero se il sistema uomo ripristina una rete più funzionale di informazioni e di relazioni tra le sue parti. A questo punto cambia anche l’ottica con cui osservare la meditazione, per cui si può affermare che essa sia un processo attraverso il quale si riorganizza il sistema-uomo. Dice Candace Pert: “La meditazione, anche senza la nostra collaborazione cosciente, permette il rilascio di emozioni rimaste cristallizzate sotto forma di blocchi che sovvertono il sano fluire delle sostanze biochimiche nell’unità mente-corpo”. (Ibidem, pag 351). Anche Bottaccioli, dice che la meditazione produce “(…) un rilassamento profondo che non ottunde l’attenzione, anzi

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la potenzia; un maggiore controllo dei circuiti neuroendocrini e specificamente di quello dello stress; una maggiore coerenza cerebrale, una migliore comunicazione tra gli emisferi, una maggiore capacità di adattamento”. (Psiconeuroendocrinoimmunologia, pag 266). Può sembrare un discorso poco romantico, senza afflati mistici, ma forse sono proprio questi afflati suggestivi, condizionati da un idealismo preconfezionato, che impediscono all’individuo di meditare con il giusto atteggiamento, in maniera pulita, senza preconcetti ed attese. Mentre appare più chiaro che l’idea trascendente della spiritualità, toglie sacralità all’individuo corporeo, immanente, con i suoi misteriosi processi biologici che sono continuamente sostenuti da una saggezza sconosciuta. Possiamo mai pensare che la coscienza che sottende questi processi non sia la stessa coscienza che muove i pianeti, le stelle e le galassie? Sono fermamente convinto che proprio il paradigma olistico della scienza, la fisica quantistica e la PNEI saranno lo strumento per ricondurre l’uomo ad una concreta spiritualità perché è nel corpo il segreto della nuova evoluzione, nelle cellule. Dice Sri Aurobindo in un suo sonetto: “Luce che freme d’estasi nei nervi! Luce, Luce creatrice! Ogni cellula ardente, infiammata in una vampa di muto rapimento, conserva un senso vivo dell’Imperituro”. (Light, da Sonnets, vol 5). E Mère, sua compagna di avventure, così aggiunge: “Le cellule sono capaci di vibrare al contatto della gioia divina…” (Satprem -La Mente delle cellule – pag 178) Roberto Maria Sassone – intervento al convegno del 12, 13 novembre, presso l'Università Bicocca di Milano.

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Ora che gli amici dell’associazione culturale aria nuova hanno felicemente completato la pubblicazione dell'Opera poetica di Sri Aurobindo tradotta in versi italiani (in sette volumi con testi originali a fronte), si può dare il via a un incontro incentrato su quello che lo stesso Sri Aurobindo ha definito "il Mantra del Reale" (the Mantra of the Real), di cui la Sua produzione di poesia mistica costituisce un sublime punto d'arrivo, inesauribile fonte di illuminazione e fiamma rivelatrice.

L’evento avrà luogo domenica 10 luglio 2011 presso l'agriturismo Lilaurora di Motrano (in provincia di Siena) e sarà interamente condotto dal poeta Tommaso Iorco, artefice delle traduzioni in versi italiani dei sette volumi (e dell’articolo che segue).

Sappiamo tutti che non si può leggere poesia utilizzando i medesimi crismi che regolano la lettura della prosa: l'universo poetico richiede un approccio completamente diverso, come pure alcune conoscenze senza le quali la musicalità e il ritmo poetico restano preclusi, e la poesia stessa rimarrà oscura, 'difficile' da penetrare.

Per chiarimenti e prenotazione occorre contattare via mail l’associazione aria nuova che, nella persona di Gaia Ambrosini, risponde al seguente indirizzo di posta elettronica: [email protected]

IL MANTRA DEL REALE

di Tommaso Iorco

L’ascesa al monte Parnaso (dimora delle Muse dell’ispirazione) avviene per gradi successivi. Tuttavia, è forte la tentazione di bruciare le tappe per giungere il più in fretta possibile alla vetta… Ed è proprio questa fretta la responsabile di tanti fallimenti e del fatto che i più, confrontandosi con la grande poesia immortale, si sentono come persi nel vuoto, inabili a immergersi nella Bellezza sovrasensibile che pervade i versi per intero, incapaci di coglierne la vera essenza, arrivando perciò a percepire l’incanto poetico come un prodigio illuminativo che abbaglia più che rischiarare e irradiare la coscienza e risplendere in noi. Oppure, peggio ancora, si illudono di aver colto il senso della poesia mediante una semplice operazione intellettiva, esaminando il testo ricorrendo all’analisi logica e illudendosi che, avendo afferrato il giro sintattico e il senso

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compiuto delle parole e dei versi, null’altro resti da cogliere… Purtroppo, così facendo, costoro si perdono la parte più importante del verbo poetico: l’anima di pura Bellezza, Verità e Gioia, unitamente a quell’autentico prodigio di alchimia sonora che può condurci nel dominio stesso delle Muse — e oltre ancora, ai confini dell’ineffabile, in quella sublime Meraviglia (camat) che l’estetica indiana pone al sommo dell’estasi artistica e spirituale insieme.

Allora, come possiamo accostarci efficacemente alla poesia mantrica, per riceverne autentica illuminazione e forza creativa?

Gradus ad Parnassum, esortavano gli antichi — misura bene ogni singolo passo e non saltare a casaccio, non scavalcare quei primi gradini che costituiscono la base imprescindibie di tutto il successivo percorso di ascesa.

E quali sono questi primi gradini? Avventurarsi nel dominio del ritmo e della musicalità,

padroneggiando sufficientemente la metrica. «Il ritmo — scrive Sri Aurobindo nel suo The Future

Poetry — rappresenta la necessità principale dell’espressione poetica, perché è il movimento sonoro che trasporta nel suo flusso il movimento di pensiero nella parola; ed è il suono-immagine musicale che maggiormente contribuisce a colmare, ampliare, rendere più sottile e più profonda l’impressione del pensiero, o l’impressione della sfera emozionale o vitale e a trasportare il senso al di là di se stesso in una espressione di ciò che intellettualmente è inesprimibile — e questo è, da sempre, il potere peculiare della musica» (Style and Substance, IV).

Ma ecco che un brivido freddo percorre immediatamente il lettore che, memore dei penosissimi ricordi scolastici, teme di doversi inoltrare in un ginepraio di tediose teorie, costretto a mandare a memoria una serie

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pressoché infinita di artificiose ‘figure di costrutto’, ardue modalità del linguaggio traslato, complicatissime regole di astrusa prosodia…

In realtà, avviene esattamente l’opposto: ci si introduce nel regno della semplicità e dell’evidenza, dove tutto è regolato dal più autentico spirito di armonia sovrarazionale. E quelli che sembravano misteri impenetrabili, riservati esclusivamente agli iniziati della Parola, si rivelano essere semplici canoni di buon senso e di grazia poetica.

Un solo ingrediente si rivela in realtà necessario: disertare le trattazioni tediose degli accademici e trovare invece un poeta capace di trasferire quelle semplici avvertenze che permettano al lettore attento di trasformarsi in un vivo e gioioso ricettacolo della rivelazione poetica.

Il nostro primo scrupolo nell’accostarci a un’opera poetica, infatti, dovrebbe essere quello di leggere i versi con la stessa cadenza musicale e lo stesso ritmo con cui il Poeta li ha ricevuti e trascritti per noi!

Perciò, rispondendo alla richiesta di quanti, negli ultimi anni, mi hanno sollecitato un approfondimento in tal senso, ecco una giornata tutta dedicata alla Poesia di Sri Aurobindo, dal titolo IL MANTRA DEL REALE.

Se nel passato ho sempre declinato l’invito, è perché mi premeva anzitutto riuscire a concludere la realizzazione del corpus poetico di Sri Aurobindo in italiano — ne sono nati sette volumi con testi originali a fronte… Un’impresa non facile, per un’associazione culturale no-profit come aria nuova, lontana da ogni logica di mercato e decisa a non fare compromessi di sorta con lo spietato mondo dell’editoria.

Ma ora che l’opera è felicemente compiuta, i tempi sono finalmente maturi per un incontro di approfondimento, avendo a nostra disposizione tutto il materiale di cui abbiamo bisogno: poesia lirica, poesia epica, poesia

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drammaturgica di Sri Aurobindo — lirica: Poesie; epica: Savitri / Ilio; drammatica: Perseo il liberatore / I visir di Bassora / Erik / Vasavadatta / Rodogune.

Si tratta, in buona sostanza, di un evento ‘para-teatrale’ costruito su tre fasi distinte ma complementari:

1. L’opera d’inchiostro (un recital su poesie di Sri Aurobindo, lette sia in traduzione sia nell’originale inglese e commentate a braccio in modo da fungere da introduzione ideale nel dominio del mantra, per gradi successivi, per l’appunto, volti a illustrare le tre principali differenze espressive del linguaggio poetico; le Muse, infatti, attraverso la poesia, possono limitarsi a veicolare un messaggio vibrante, recante echi dell’infinito, oppure possono tradurre la fascinosa melodia delle loro arpe celestiali in rime e ritmi poetici di magica bellezza sonora, o, al massimo grado dell’espressione poetica, possono inglobare questi due poteri per trasportarci più in alto ancora, nell’estasi del supremo linguaggio poetico-rivelatorio: il mantra, per l’appunto);

2. La poesia di Sri Aurobindo nell’originale inglese (individueremo, con esempi pratici, le accortezze da seguire nell’affrontare la lettura dei testi originali per coglierne il ritmo e la musicalità — e mi preme sottolineare che anche quanti non conoscono l’inglese avranno modo di percepire la sublime armonia mantrica che sprigiona dai versi di Sri Aurobindo, avendo peraltro il vantaggio di non farsi irretire dal significato verbale e potendo in tal modo abbandonarsi appieno alla loro sublime musicalità);

3. La poesia di Sri Aurobindo in traduzione italiana (facendo anche in questo caso ricorso a esempi concreti, scopriremo il giusto modo di rapportarci a una traduzione poetica — nella fattispecie, si

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tratterà delle mie traduzioni, ma le indicazioni fornite permetteranno di approcciare qualunque altra traduzione e, in seguito, se lo desidereremo e per nostro conto, saremo pure in grado di rivalutare i capolavori della nostra poesia italiana che, con quella inglese, è una delle più ricche in assoluto che l’umanità abbia saputo canalizzare nel corso dei secoli).

In definitiva, i pochi (ma fondamentali) elementi teorici si troveranno inseriti nel modo più naturale e spontaneo nel contesto eminentemente PRATICO dei nostri approfondimenti, sempre supportati dai versi sublimi e dalle liriche radiose di Sri Aurobindo.

Su questi presupposti, vi invito a trascorrere insieme una giornata all’insegna del mantra, nel mezzo della bella natura toscana. È, tra l’altro, un’occasione per stare insieme tra fratelli privi di pretese ‘guruesche’, in compagnia del mantra rivelatore di Sri Aurobindo e, ne sono certo, della Presenza Sua e di Mère.

A presto! TOMMASO IORCO (breve traccia biografica)

Poeta e drammaturgo, grazie alla sua formazione teatrale (e cinematografica) lavora come regista e attore. Nel 1989 ha fondato aria nuova, associazione culturale, compagnia teatrale, casa editrice, centro studi.

Cinque i testi poetici di Tommaso finora pubblicati: Circe (2011), Dana (2009), L’opera della fenice (2004), Alkesti (2001), Amritagni (1996), suscitando il plauso dei maggiori critici di poesia italiana (da Edoardo Sanguineti a Giorgio Bàrberi Squarotti). Recentemente, il compositore classico Filippo Santoro ha musicato sue poesie, creando opere (per soprano e orchestra, o per trio di archi e soprano) accolte favorevolmente negli USA.

Tra i suoi spettacoli teatrali, segnaliamo in particolare Una stagione all’inferno (1993), Pangea (1994), Magna Mater (2000), La luce della memoria (2002), L’aurora di una nuova specie (2005), Kaligone (2009).

Nel 1995 ha realizzato il video Kaosmos, accolto presso la Galleria d’Arte Moderna di Torino e recentemente rimasterizzato (il trailer è su YouTube). Nel 2003 ha pubblicato il saggio Dai Veda a Kalki, riscuotendo notevoli apprezzamenti (fra gli altri, il prof. Mauro Maggi dell'università La Sapienza di Roma, la prof.ssa Marilia Albanese dell'Ismeo di Milano e alcuni tra i più anziani residenti dello Sri Aurobindo Ashram, da M. Lidchi-Grassi a Suprabha Nahar).

Tommaso è uno dei massimi esperti mondiali di Mère e Sri Aurobindo (una passione che è in realtà un puro atto d'amore) e ha tradotto in versi l’intera opera poetica di Sri Aurobindo.

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DAL VERTICALE ALL'ORIZZONTALE

di Zaira

Una volta che si sia a buon punto nella sadhana di affinamento e purificazione interiore, si sentirà di dover integrarla con una sadhana esterna, appartenente alla dimensione dello Karma Yoga. Questo è il passaggio cruciale in cui tutto ciò che si era appreso viene messo alla prova. In questa verifica si ha la reale misura se la purificazione è stata tale da riuscire a superare le difficoltà della concretizzazione condivisa o meno. Perché le cose potessero funzionare si dovrebbe essere a buon punto circa la formazione, l'equilibrio e in controllo dei tre corpi. Si dovrebbe cioè avere coscienza che, nel settore mentale le difficoltà di arrivare ad una condivisione reale dell'idea pur essendo dure possono tuttavia approdare ad un accordo in tempi anche relativamente brevi, ove ci si attenga a dei principi di verità e sincerità, oltre che di logica, a causa del fatto dell'immaterialità del pensiero. Ma in seguito, passando al piano emotivo/vitale, passaggio peraltro indispensabile per caricare il progetto della necessaria energia realizzatrice, le difficoltà tenderanno ad allargarsi a macchia d'olio, per le caratteristiche precipue di quel piano, sommate al fatto che in questo settore la densità, pur rimanendo sottile tuttavia è già più pesante di quella del settore mentale. In altre parole, l'attrito aumenta, e con esso le possibilità di entrare in contrapposizione. C'è da considerare che per quest'aumento di densità oltre che di energia, le persone sentiranno di avere molto di più da perdere o guadagnare che sul piano antecedente, e quindi la prova che dovrà affrontare l'idea per rimanere somigliante all'origine e a non venire del tutto deformata a seconda delle varie e diverse pressioni sarà più ardua. Per quanto in antecedenza le persone abbiano potuto credere sinceramente di volere una realizzazione dell'idea ad un livello impersonale, perché era stato assodato essere giusto ed utile che così fosse, arrivati al livello vitale la reazione immediata verrà ad essere: "Quanto mi rappresenta?…quale livello di visibilità comporterà per ME?…quale utilità reale ne potrò trarre?…" Questi interrogativi di per sé possono essere legittimi, perché se fin dall'inizio se l'idea non avesse dovuto comportare un vantaggio collettivo, sarebbe stato assurdo pensare di attuarla. Il problema è che scendendo dalla dimensione dell'immateriale a quella concreta, l'impulso ad appropriarsi in termini individuali dei frutti dell'idea è sempre in agguato. La cosa potrà venire superata solo ove ci si renda conto che lasciando spazio a queste reazioni arcaiche la luminosità dell'idea si offusca completamente, e perderà quindi quelle qualità innovative che rendevano desiderabile la sua attuazione. In altre parole, il legame verticale deve essere saldamente mantenuto per garantire la purezza del concetto originale, che, al di sopra delle parti, ritorna ad essere uguale per tutti. E' per questo che il legame verticale individuale dei partecipanti dovrebbe essere saldo prima di sperimentare quello orizzontale in termini operativi. Ove vi sia questa condizione, le persone avranno perso in gran parte l'abituale bramosia del

possesso, dell'avidità e del desiderio all'assimilazione individuale coatta, per il semplice motivo che un legame saldo a livello verticale è già di per sé una fonte di nutrimento continuo. E la condizione presenta un duplice aspetto; nel momento in cui si optasse per i vecchi appetiti, la capacità di assimilazione dalla nuova fonte energetica cesserebbe all'istante. Al di là di questo piano ci si ritroverà in quello della materia, in cui, anche qualora si fossero superate positivamente le difficoltà inerenti gli altri due piani, ci si troverà difronte all'ultima e più difficile sfida; e per quanto le problematiche affrontate precedentemente ci fossero sembrate ostiche e dure, al confronto di quelle di quest'ultimo piano ci sembreranno lievi e leggere. La difficoltà di rivestire qualcosa di materia è stata da sempre un processo doloroso; partendo da un punto di piacere ineffabile dato da un istante di unione totalizzante, che fornisce una spinta irresistibile alla discesa, questa, una volta che prenda a concretizzarsi e venire successivamente partorita provocherà inevitabilmente dei dolori direttamente proporzionali alla grandezza della idea stessa.

Nelle foto: cuccioli ad Auroville e Pondicherry

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E, per la legge che spinge ad essere inevitabilmente legati a ciò che si crea, sarà difficile che il prodotto del parto, pur essendo stato comune, non venga rivendicato come proprio in termini individuali. A questo punto, perfino il legame verticale può essere soppesato, in quanto con tutti i vantaggi che comporta, può essere vissuto tuttavia come cosa troppo poco consistente a fronte della tentazione di essere padroni di una creazione concreta, con possibilità di sviluppo e dominio reali nella dimensione fisica. Come restare indifferenti, se da questo possesso dipendessero le possibilità di vivere facendo quello che più piace, e cioè in condizioni di creatività individuale indiscussa, costante e forse anche remunerata?…E' per questo che la competizione per divenire artisti quotati è talmente accesa; in pratica, chi vi riesca può vivere al suo massimo livello essendo per di più pagato per farlo. In questa dimensione, il fare distinzioni di principio serve a poco perché, dato che si è creato, si vuole essere certi che ne sia valsa la pena. Le soluzioni a questo dilemma dovranno necessariamente essere graduali, dato che non si può sperare di pervenire alla perfezione di primo acchito. Vi può essere la tendenza filantropica; dato che si possono avere dei mezzi di sussistenza indipendenti, l'attaccamento alla creazione può essere più distaccato, e vi può anche essere la tendenza a delegare a terzi la sua espansione. Vi può essere l'impulso alla rinuncia; una volta fatto il percorso di creazione, anziché entrare in competizione per

sovrintendere all'espansione, si può allontanarsi per non correre il rischio di vedere deformato l'ideale che si era voluto realizzare. Vi può essere una fiera posizione di difesa a quelle che si pensa possano essere le qualità peculiari della concretizzazione; ma tutte queste tendenze hanno in sé il germe del fallimento dell'idea. Il fatto è che non si può abbandonare la creazione, una volta che si sia realizzata, allo stesso modo in cui non ce ne si deve appropriare in termini individualistici. Per quanto sia duro vedere con distacco ciò che si percepisce come una parte di sé, bisogna riuscire a fare mente locale che tale creazione fin dall'inizio non ci apparteneva, ma era di pertinenza della forza discesa per realizzarla. Tuttavia, come superare queste dinamiche?…Il metodo più sicuro consiste nella prevenzione, come del resto in qualsiasi campo. Presupponendo di imparare dagli errori, sarà bene che, qualora i partecipanti abbiano fatto già delle esperienze di queste dinamiche nella realtà abituale, le visualizzino con raddoppiata attenzione in merito ad un obiettivo di stampo spirituale. In pratica, lo sviluppo della creatività e dell'espressività di ognuno dovrà essere favorita e sviluppata in termini tali da far scaturire la comprensione concreta che il bene individuale dipende dallo sviluppo generale, che, particolarmente in questo caso non può essere requisito o posseduto egoicamente. Questo renderà la crescita globale del gruppo più lenta, ma gli potrà dare una possibilità di successo. La differenza fondamentale rispetto al mondo abituale è che in quest'ultimo si è sempre pressati dall'attesa del risultato; un investimento deve fruttare a breve termine, dato che ci si aspetta del profitto. Nei nuovi termini di azione si dovrebbe avere sempre presente che il profitto consiste nel MODO in cui si procede, più che nel risultato finale, che seguirà in automatico se la modalità seguita sarà appunto quella nuova, o svanirà nel nulla ove ci si riadagi in quella vecchia. Qualora si consolidassero diversi gruppi, si potrebbe ipotizzare uno scambio collaborativo e di sostegno secondo modalità nuove tra di loro, e questo, se fosse portato avanti nei termini giusti, potrebbe costituire il fulcro di una contrattualità più elevata circa il mondo abituale. C'è anche un'altra variabile; nell'ultima metà dello scorso secolo le persone che sono state conquistate dall'insegnamento di Sri Aurobindo e Mère sono andate sempre aumentando e molte di loro si avviano ormai all'età pensionabile. Contemporaneamente, l'attesa di vita è aumentata di molto. Si prospetterebbe quindi una fascia abbastanza consistente di persone che, arrivate alla pensione e cioè in grado di essere garantite a livello di sussistenza, potrebbero utilizzare le loro risorse lavorando a tempo pieno per la concretizzazione della sadhana nelle modalità dello Karma Yoga. Sempre che riescano a contattarsi e ad organizzarsi su basi non egoiche, avendo auspicabilmente effettuato l'indispensabile purificazione negli anni antecedenti. Non si tratta infatti di agire per filantropia, o per interesse individuale, o per sentirsi 'virtuosi'; ma per fare qualcosa che è essenziale realizzare per trasformare il mondo concreto in un luogo in cui vi possa essere un senso, e quindi poterci vivere non da schiavi, ma da vincitori.

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traduzione inedita di Bruno Petris. Continua la traduzione iniziata nel numero 1 della rivista Usha http://it.calameo.com/books/000403637c4c9f04a17cf Bruno Petris arrivo' in India,a Pondichéry, nel 1966. Venne accolto all'Ashram,dove resto'per circa 25 anni. Si stabili' poi nelle vicinanze di Auroville,continuando il suo lavoro di scrittore-traduttore. Ci ha lasciati pochi anni fa. La sua traduzione di alcuni canti di Savitri era in continua elaborazione,dal momento che era consapevole della difficolta' o...dell'impossibilita' dell'impresa. Mimma Anna Saia

SRI AUROBINDO - SAVITRI Book I° - Canto 3° - vv. 297 - 436

“The Yoga of the King: The Yoga of the Soul’s Release” All was revealed there none can here express; Vision and dream were fables spoken by truth Or symbols more veridical than fact, Or were truths enforced by supernatural seals. Immortal eyes approached and looked in his, And beings of many kingdoms neared and spoke: The ever-living whom we name as dead Could leave their glory beyond death and birth To utter the wisdom which exceeds all phrase: The kings of evil and the kings of good, Appellants at the reason’s judgment seat, Proclaimed the gospel of their opposites, And all believed themselves spokesmen of God: The gods of light and titans of the dark Battled for his soul as for a costly prize. In every hour loosed from the quiver of Time There rose a song of new discovery, A bow-twang’s hum of young experiment. Each day was a spiritual romance, As if he was born into a bright new world; Adventure leaped an unexpected friend, And danger brought a keen sweet tang of joy; Each happening was a deep experience.

“Lo yoga del re – Yoga della liberazione dell'anima” tutto vi era svelato di quello che quaggiu' era inesprimibile; visione e sogno erano favole raccontate dal vero, simboli piu' veridici dei nostri accadimenti quotidiani, da sigilli divini confermate ed ingiunte verita'. occhi immortali lo accostarono e guardarono negli occhi, esseri di molti universi gli furono vicini e gli parlarono: i sempre vivi che chiamiamo morti lasciarono la gloria al di la' della morte e della vita per pronunciare verbo di saggezza che eccede ogni parola: i re del male ed i re del bene appellandosi al seggio giudice della ragione proclamarono il loro vangelo degli opposti e ognuno credeva essere il portavoce del divino: le divinita' della luce, e i titani della tenebra, combatterono per il premio prezioso di quell'anima. ogni ora che scoccava la faretra del tempo portava la canzone di una nuova scoperta intonata dal vibrare dell'arco a vergine esperienza. in ogni sua giornata viveva una leggenda spirituale, nascita allo splendore di un altro nuovo mondo; incontro gli balzava l'avventura, un'amica inattesa, pungente dolce aculeo di gioia era il pericolo; ogni avvenimento segnava una profonda esperienza:

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There were high encounters, epic colloquies, And counsels came couched in celestial speech, And honeyed pleadings breathed from occult lips To help the heart to yield to rapture’s call, And sweet temptations stole from beauty’s realms And sudden ecstasies from a world of bliss. It was a region of wonder and delight. All now his bright clairaudience could receive; A contact thrilled of mighty unknown things. Awakened to new unearthly closenesses, The touch replied to subtle infinities, And with a silver cry of opening gates Sight’s lightnings leaped into the invisible. Ever his consciousness and vision grew; They took an ampler sweep, a loftier flight; He passed the border marked for Matter’s rule And passed the zone where thought replaces life. Out of this world of signs suddenly he came Into a silent self where world was not And looked beyond into a nameless vast. These symbol figures lost their right to live, All tokens dropped our sense can recognise; There the heart beat no more at body’s touch, There the eyes gazed no more on beauty’s shape. In rare and lucent intervals of hush Into a signless region he could soar Packed with the deep contents of formlessness Where world was into a single being rapt And all was known by the light of identity And Spirit was its own self-evidence. The Supreme’s gaze looked out through human eyes And saw all things and creatures as itself And knew all thought and word as its own voice. There unity is too close for search and clasp And love is a yearning of the One for the One, And beauty is a sweet difference of the Same And oneness is the soul of multitude. There all the truths unite in a single Truth, And all ideas rejoin Reality. There knowing herself by her own termless self, Wisdom supernal, wordless, absolute Sat uncompanioned in the eternal Calm, All-seeing, motionless, sovereign and alone.

incontri a sommo vertice, colloqui d'epopea, consigli formulati in linguaggi celestiali, labbra occulte esalanti nettaree persuasioni col richiamo dell'estasi il cuore seducevano alla resa, tentazioni soavi sfuggite da reami di belta', felicita' improvvise in arrivo dai mondi della gioia. regno di meraviglia e beatitudine giungeva ora all'ispirata chiarezza del suo udire, esaltante contatto di ignota portentosa realta'. destandosi a un nuovo avvicinarsi del soprannaturale il tatto rispondeva a infinita' impalpabili, e tra grida argentine di porte che si schiudono il lampo della visione folgoro' nell'invisibile. sempre, la sua coscienza, la veggenza cresceva; con un piu' ampio slancio, in volo piu' elevato, varcava egli i confini segnati dal dominio materiale e oltrepassava la zona ove alla vita fa seguito il pensiero. fuori da questo mondo di segni sopraggiunse all'improvviso in un silenzio d'essere, ove mondo non era, e affronto' con lo sguardo l'immensita' ineffabile. la' queste figure simbolo cessarono di avere diritto all'esistenza, scaduto era quanto il nostro senso poteva riconoscere; il cuore al contatto col corpo piu' non palpitava ne' gli occhi piu' osservavano figure di belta'. in rari luminosi intervalli di silenzio riusci' a elevarsi in una regione intatta da ogni segno e densa dei profondi contenuti di cio' che non ha forma, dove il cosmo era assorto nell'estasi dell'uno, tutto riconosceva luce di sola identita', e lo spirito irradiava la propria autoevidenza, lo sguardo del supremo osservava attraverso occhi umani, scorgeva in ogni cosa, ogni creatura, il se', sentiva in ogni pensiero, ogni parola, la sua propria voce. l'unione, la', e' troppo intima per volerla cercare ed abbracciare e l'amore e' anelito dell'uno verso l'uno, bellezza e' un dolce variare dell'uguale e unita' e' l'anima dell'essere molteplice: la', tutte le verita' si fondono in un unico vero, tutte le idee raggiungono una stessa realta'. la', conoscendo se' nel suo se' illimitabile, la saggezza superna, silente ed assoluta, il suo seggio remoto stava di eterna calma, immobile, sovrana, onniveggente, sola.

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There knowledge needs not words to embody Idea; Idea, seeking a house in boundlessness, Weary of its homeless immortality, Asks not in thought’s carved brilliant cell to rest Whose single window’s clipped outlook on things Sees only a little arc of God’s vast sky. The boundless with the boundless there consorts; While there, one can be wider than the world; While there, one is one’s own infinity. His centre was no more in earthly mind; A power of seeing silence filled his limbs: Caught by a voiceless white epiphany Into a vision that surpasses forms, Into a living that surpasses life, He neared the still consciousness sustaining all. The voice that only by speech can move the mind Became a silent knowledge in the soul; The strength that only in action feels its truth Was lodged now in a mute omnipotent peace. A leisure in the labour of the worlds, A pause in the joy and anguish of the search Restored the stress of Nature to God’s calm. A vast unanimity ended life’s debate. The war of thoughts that fathers the universe, The clash of forces struggling to prevail In the tremendous shock that lights a star As in the building of a grain of dust, The grooves that turn their dumb ellipse in space Ploughed by the seeking of the world’s desire, The long regurgitations of Time’s flood, The torment edging the dire force of lust That wakes kinetic in earth’s dullard slime And carves a personality out of mud, The sorrow by which Nature’s hunger is fed, The oestrus which creates with fire of pain, The fate that punishes virtue with defeat, The tragedy that destroys long happiness, The weeping of Love, the quarrel of the Gods, Ceased in a truth which lives in its own light. His soul stood free, a witness and a king. Absorbed no more in the moment-ridden flux Where mind incessantly drifts as on a raft Hurried from phenomenon to phenomenon, He abode at rest in indivisible Time.

la conoscenza, la', per incarnare l'idea non ha bisogno di parole; cercando luogo ove abitare in spazio sterminato l'idea sazia della sua eternita' senza dimora asilo non richiede alla brillante cella incisa dal pensiero, cui esigua mozza le ali allo sguardo feritoia, solo spiraglio al vasto cielo dell'infinito. l'immenso, la', si sposa con l'immenso; l'essere, la', si estende oltre al cosmo; la', esistere e' trovare la propria infinita'. piu' non era il suo centro nella mente terrena; silenzio di chi vede pervase di potere le sue membra; sorpreso da una bianca, silente epifania, era giunto a visione che trascende le forme, a vivere esistenza che trascende la vita, intimo alla coscienza immobile su cui riposa il tutto. la voce che soltanto con la parola puo' muovere la mente divenne conoscenza che taceva nell'anima; la forza che solo nell'azione sentiva di esser vera si stabili' in muta, onnipossente pace. momento di quiete nel travaglio dei mondi, pausa a una ricerca tra la gioia e l'angoscia, la tensione della natura ristoro' nella calma di dio. vasta unanimita' pose fine alle controversie della vita. la guerra dei pensieri, madre dell'universo, lo scontro delle forze in lotta a prevalere nell'urto formidabile cui si accende la luce delle stelle e si forgiano i minuti granelli del pulviscolo, i solchi giranti dello spazio in muta ellisse scavata dal cercare del desiderio cosmico, i rigurgiti lunghi del diluvio del tempo, il tormento che pungola l'implacabile forza della lussuria a risvegliare l'energia nella torpida melma della terra e plasmare col fango la personalita', la fame di una natura nutrita dal dolore, l'assillo della creazione nel fuoco della sofferenza, il destino che castiga con la sconfitta la virtu', tragedia che distrugge lunga felicita', il pianto dell'amore, la guerra degli dei, si estinsero in una verita' che vive sola nella propria luce. l'anima era libera, spettatrice, sovrana. non piu' assorbito dall'agitato flusso dei momenti dove la mente senza tregua e' portata alla deriva travolta da un fenomeno verso un altro fenomeno,

egli trovo' il riposo nel tempo indivisibile:

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As if a story long written but acted now, In his present he held his future and his past, Felt in the seconds the uncounted years And saw the hours like dots upon a page. An aspect of the unknown Reality Altered the meaning of the cosmic scene. This huge material universe became A small result of a stupendous force: Overtaking the moment the eternal Ray Illumined That which never yet was made. Thought lay down in a mighty voicelessness; The toiling Thinker widened and grew still, Wisdom transcendent touched his quivering heart: His soul could sail beyond thought’s luminous bar; Mind screened no more the shoreless infinite. Across a void retreating sky he glimpsed Through a last glimmer and drift of vanishing stars The superconscient realms of motionless Peace Where judgment ceases and the word is mute And the Unconceived lies pathless and alone. There came not form or any mounting voice; There only were Silence and the Absolute. Out of that stillness mind new-born arose And woke to truths once inexpressible, And forms appeared, dumbly significant, A seeing thought, a self-revealing voice. He knew the source from which his spirit came: Movement was married to the immobile Vast; He plunged his roots into the In inite, fHe based his life upon eternity.

come una storia scritta in epoche remote ma messa in scena allora, coglieva nel presente il passato e il futuro: sentiva in un secondo passare gli anni innumerevoli, e vedeva le ore come punti su una pagina bianca. un aspetto dell'ignota realta' ora alterava il senso alla scena del cosmo. questo immenso universo materiale diventava piccolo risultato di una forza prodigiosa: trascendendo il momento, il raggio eterno illuminava quanto ancora mai era stato creato. il pensiero si spense in un silenzio portentoso: il pensare estese la sua azione fino a giungere all'immobilita'; sovrumana saggezza accarezzo' il suo cuore palpitante: l'anima salpava oltre alle sbarre luminose del pensiero; la mente piu' non schermava la sconfinata immensita'. attraverso un cielo vuoto che si ritraeva egli intravvide tra un ultimo bagliore e una deriva di stelle che svanivano, i reami superconsci di pace che non muta dove cessa il giudizio e tace la parola: dell'io non concepibile, solitudine impervia. la' non giungeva forma, e non saliva voce; la' era solo il silenzio e l'assoluto. da quella calma immobile la mente rinasceva ridestandosi a veri un tempo inesprimibili e forme apparvero pregne di muto senso e pensieri che vedono e voci che rivelano. alla sorgente donde scese il suo spirito, era giunto: vasta immobilita' in lui ora sposava il movimento: le radici egli affondava nell'essere infinito, la sua vita basava sull'eterno.

Savitri è stata tradotta integralmente in Italiano da Tommaso Iorco ( edizioni Aria Nuova ) lavoro di grande qualità, che avrà una particolare attenzione su questa rivista. Questa nuova traduzione si affianca a quella “storica” della Paola De Paolis (edizioni Meditarranee). C’è anche una traduzione integrale, scritta a mano e non editata, della Judi Crozzi Si possono trovare traduzioni parziali nel web, in particolare sul sito http://www.savitri.info/ bellissimo spazio, pieno di commenti ed articoli di grande interesse. Vi si può trovare anche una testimonianza, per diretta conoscenza, piena di amore relativa alla traduzione di Bruno oggetto dell’articolo : http://www.savitri.info/?page_id=2068#comment-34

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Articolo di Nicola Mancuso 

Buddhismo e Yoga integrale Parallelismi e divergenze sostanziali 

Nel nostro yoga il Nirvana è l'inizio della Verità superiore, giacché è il passaggio dall'Ignoranza alla Verità superiore. L'Ignoranza dev'essere estinta affinché possa manifestarsi la Verità. Sri Aurobindo - Lettere sullo yoga     

L'idea di questa piccola dissertazione è nata in seguito alla richiesta fattami da un amico

a proposito della comparazione tra il Buddhismo e il pensiero di Sri Aurobindo.

Prima di esporre le mie considerazioni, ritengo utile precisare e chiarire le peculiarità

fondanti e le conseguenti differenze fra il buddhismo e lo yoga in generale per poi fare

l'ulteriore raffronto con lo Yoga di Sri Aurobindo.

In estrema sintesi, come tutti ben sappiamo, lo Yoga è un insieme di tecniche o meglio

un impianto filosofico ed una via tradizionale dell'induismo che vuole ottenere l'unione

(yoga) tra l'uomo, composto da corpo, mente, anima e Dio. Quindi l'obiettivo finale dello

Yoga e suo nucleo centrale di riferimento è Dio, il Divino.

La visione induista dello Yoga vedanta ci dice che siamo fondamentalmente anime

individuali e che stiamo facendo un viaggio distinto da Dio, verso Dio e con Dio come

compagno nella pienezza della Gioia. Krishna dice ad Arjuna che l’essenza di una persona

non può essere uccisa né annullata, non può morire, quindi nessuno può essere "ucciso". Il

suo swadharma di guerriero è quello di difendere e combattere, non potendosi tirare

indietro. Se si rifiutasse, Arjuna verrebbe deriso e additato come un codardo per cui dovrà

combattere, senza alcuna paura di essere ucciso in quanto nessuno potrebbe uccidere la

sua essenza immortale, la sua anima.

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Il Buddhismo nasce in India successivamente all'induismo; con la sua diffusione in Tibet, Sri Lanka, Cina e Giappone acquisì caratteri diversi a seconda delle culture che ebbe a contattare, tanto da rendere alquanto complessa e articolata l’estrapolazione dei suoi principi fondanti originari. Questa intricata complessità è testimoniata dalla differenziazione del suo "testo" sacro rappresentativo detto Canone, di cui riportiamo a titolo di esempio la classificazione nei suoi tre tipi, ognuno per ogni parte del mondo dove è praticato:

• C

Canone Pali: tipico del buddhismo Theravada (Asia Meridionale e Sud-est asiatico, in modo particolare in Sri Lanka, Thailandia, Cambogia, Myanmar e Laos), o Tipitaka cioè composto da tre parti o canestri:

• canestro della disciplina, con le regole di vita dei monaci

• canestro della dottrina, con i sermoni del Buddha

• canestro della fenomenologia che raccoglie gli approfondimenti del canestro precedente.

• Canone Cinese: tipico del buddhismo praticato in Cina, Corea e Giappone, composto da

2184 testi con l’aggiunta di 3136 supplementi raccolti in 85 volumi.

• Canone Tibetano: caratteristico dell’Asia Centrale, in particolare Tibet e Mongolia, diviso in due raccolte:

• Kangyur: composto da 600 testi che comprendono i discorsi del Buddha Shakyamuni

• Tanjur: composto da 3626 testi riguardanti commentari e insegnamenti.

Per lo più la visione buddhista non parla di anima nell'uomo, né prevede l'esistenza di un

Dio a cui mirare, si concentra con decisione sull'uomo e le sue problematiche terrene.

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Questa centralità dell'uomo è dimostrata difatti dagli insegnamenti di base di Siddhārtha Gautama che si basavano sulle sue famose quattro nobili verità:

• La Verità del dolore

• La Verità dell’origine del dolore

• La Verità della cessazione del dolore

• La Verità della via che porta alla cessazione del dolore.

Il buddhismo afferma che tutti possono diventare un "Buddha" cioè un risvegliato, uno

che ha raggiunto l'illuminazione, la felicità e la liberazione dai drammi dell'esistenza. Oggi il Buddha è di conseguenza considerato un modello ideale di uomo saggio che ha risolto alla radice le problematiche e l’infelicità dell'esistenza umana.

Proprio a seguito dell'adattamento alle culture ospitanti il buddhismo nelle sue varie scuole è, secondo me, divenuto una intricata e stratificata ragnatela concettuale, complicata e contorta, difficile da approcciare ai più, e a comprova di ciò porto ad esempio delle comparazioni fra due delle principali scuole buddhiste. Per il buddhismo Theravada, l’obiettivo del ricercatore è quello di raggiungere il Nirvana attraverso la perdita della sua individualità. Il Buddhismo Mahayana, in contrasto con il Buddhismo Theravada, crede che il pensiero Theravada della completa perdita della personalità per raggiungere il Nirvana sia banale ed egoista. D’altro canto il Buddhismo Mahayana crede che il Vuoto sia la verità assoluta!?. Questo vorrebbe significare che tutto è Vuoto, ad esempio anche i pensieri.

Quindi i monaci Mahayana credono nel Vuoto e nei loro testi descrivono così questo

stato “ Il piacere non lo diverte, il dolore non lo infastidisce …. colui che mantiene la dottrina del Vuoto non ha ne cose che gli piacciono ne cose che non gli piacciono. Sa solo cosa gli piace, il Vuoto e lo vede in questa maniera.” !

A proposito della molteplicità delle vie interpretative, anche contrastanti tra loro, in cui il buddhismo si è riconosciuto, Sri Aurobindo illustra la questione: Il Buddhismo è di molti tipi e il tipo interamente nichilista non è che una varietà. Molte scuole buddhiste ammettono un Permanente al di là del regno del Karma e dei Samskara. Anche lo Shunya* degli Shunyapanti è definito, come il Tao di Lao Tse, un Nulla che è Tutto. Così, siccome ammette uno stato superiore 'sopra la mente' che si cerca di raggiungere con una potente disciplina della coscienza, lo si può qualificare di spiritualità. - Sri Aurobindo: Lettere sullo Yoga

Nota: * La parola sanscrita shunya sta per “nulla, assenza, vacuità”

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Ed ancora: Quanto all’Uno dei Buddhisti esistono diverse versioni. Ho appena letto da qualche parte che l’Uno buddhista è un Superbuddha da cui provengono tutti i Buddha – ma mi sembra un rifacimento del Buddhismo in termini vedantini nato in una mente moderna. Si è sempre supposto che il Permanente del Busddhismo fosse Supercosmico e Ineffabile – per questo Buddha non ha mai cercato di spiegare che cosa fosse; logicamente, infatti, come possiamo parlare dell’Ineffabile? Esso non ha in realtà niente a che fare con il Cosmo, che è fatto di Samskara e di Karma.

* Le impressioni nell’avvicinarsi all’Infinito o nell’entrarvi non sono sempre proprio le stesse; molto dipende dal modo in cui la mente gli si avvicina. Da alcuni esso è percepito prima di tutto come infinito al di sopra, da altri come infinito circostante in cui la mente scompare (in quanto energia) perdendo i suoi limiti. Alcuni non avvertono questo assorbimento dell’energia mentale nell’infinito, ma una sua caduta in una inazione totale; altri lo sentono come un’assenza o una scomparsa dell’energia nella sua pura Esistenza. Alcuni sentono soprattutto l’infinito come una vasta esistenza in cui tutto affonda o scompare, (…) Se certe scuole di Buddhisti lo sentono nella loro esperienza come uno Shunyam* senza limiti, i Vedantini, al contrario, lo vedono come positiva Esistenza in sé, senza forma e assoluta. Senza dubbio, sulle varie esperienza sono state costruite varie filosofie, ciascuna proponendo la propria concezione come definitiva; ma dietro ciascuna concezione c’era un’esperienza simile.(…). – Sri Aurobindo: Lettere sullo Yoga

Debbo comunque specificare, ad onor del vero, che con una analisi più approfondita si potranno individuare molte similarità fra buddhismo e yoga in quanto bisogna tener presente che il Buddha storico era induista e come tale assorbì sicuramente le fondamentali influenze dello yoga. Possiamo riassumere quindi che pur trovando nell’uomo il medesimo punto di partenza, yoga e buddhismo si differenziano peculiarmente per il fatto che mentre lo Yoga vuole conseguire l’unione dell’uomo con il Divino, il buddhismo punta essenzialmente all’uomo ed alla sua felicità terrena senza il bisogno di alcun Divino a cui aspirare.

A proposito dell’esistenza o meno della divinità trascendente, è noto l’apologo del Buddha e dei suoi discepoli che lo interpellavano circa l’esistenza di Dio. Al primo, che gli aveva chiesto: «Maestro, è vero che Dio non esiste?», egli rispose: «No, non esiste». Al secondo, che lo aveva interpellato dicendo: «Maestro, Dio esiste,non è vero?», egli replicò: «Certo, Dio esiste». E a un terzo, che – osservata la scena – gli aveva chiesto ragione di quelle due risposte così diametralmente antitetiche, egli disse: «A ciascuno di essi ho detto quello che egli desiderava sentirsi dire. Ma chi vuole trovare la risposta a tale interrogativo, non deve attenderla da altri, bensì cercarla in sé stesso».

Nota: * Shunyam da shunya

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Ed ora veniamo al confronto con lo yoga di Sri Aurobindo. Il Maestro accetta in buona parte l’impostazione dello yoga classico rispetto a Dio, la

Natura e l’uomo con la sua anima, e, pur riconoscendo la bontà degli intenti del buddhismo, ne definisce in modo chiaro ed inequivocabile gli ambiti, i limiti intrinseci e “tecnici”, specialmente per quello che attiene a questa specie di cancellazione, annichilazione o annullamento dell’uomo e della sua soggettività a cui il buddhismo mira, o a quel vuoto o nulla indeterminato o, nella migliore delle ipotesi, a quella specie di immobilità amorfa che chiama nirvana e liberazione, la “liberazione” di un uomo considerato solo in un universo privo di una qualsiasi divinità trascendente. E, relativamente alla “liberazione” ed ai limiti “tecnici” menzionati, eccone un esempio dell’analisi di Sri Aurobindo: L’ego e la sua continuità, dicono i buddhisti, sono un’illusione, il risultato del continuo fluire d’energie e di idee in una determinata corrente. Non esiste alcuna reale formazione di un ego. Quanto alla liberazione, essa è per liberarsi da duhkha ecc… – è un doloroso flusso di energie e per liberarsi dal dolore dev’essere interrotta la loro continuità. Questo è giustissimo, ma come è cominciato questo flusso, perché mai dovrebbe completamente cessare e come può la liberazione giovare a qualcuno se nessuno esiste, se c’è solo una massa di idee e di azioni? Questi sono misteri insolubili.(…) Sri Aurobindo: Lettere sullo Yoga

Il buddhismo in ultima analisi prevede un perfezionamento dell’uomo volto al

miglioramento del suo status umano, mentre lo yoga integrale, non contemplando assolutamente nessun tipo di annullamento, prevede contrariamente il superamento dello status umano mediante la trasformazione dell’uomo e della realtà materiale con la conseguente immortalità del corpo per divinizzazione, una mente e un’anima liberate grazie all’unione con il Divino.

Nello Yoga integrale tutto è il Divino, tutto è un Pieno divino. Lo Yoga integrale ritiene

l’uomo non un mero portatore di dolore e infelicità, ma l’ospite di un’anima piena di ananda e prema, cioè di gioia e amore. Lo Yoga integrale non prevede questa affannosa lotta per la spersonalizzazione dell’uomo ed il suo annullamento in un Vuoto morto e immobile, piuttosto il raggiungimento della ricchezza di una personalità divinizzata e l’assorbimento nella pienezza vivente della realizzazione divina nel Divino.

Resta a noi scegliere se dedicare la nostra vita alla solitaria corsa verso l’annichilazione

e la pace in un Vuoto senza alcun senso promessi dal buddhismo o il cammino del Sole, lo Yoga integrale, in compagnia dell’Amico divino fuori e dentro di noi.

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Il buddhismo è un eccellente strumento di lavoro psicologico come ci dice Sri Aurobindo,

ma lo scopo e l'obiettivo finale del ricercatore dovranno essere diversi da ciò che il buddhismo ritiene essere le verità o realtà ultime. Concludo quindi a tal riguardo con le parole del Maestro: Il Nirvana non può essere allo stesso tempo il termine del Sentiero, oltre il quale niente più resta da esplorare, e un semplice luogo di riposo o piuttosto l'inizio del Sentiero superiore dove tutto è ancora da esplorare... Si potrebbe conciliare le due cose considerando il termine del Sentiero inferiore attraverso la Natura inferiore e l'inizio dell'Evoluzione superiore. In questo caso si accorderebbe esattamente con l'insegnamento del nostro yoga. Sri Aurobindo: Lettere sullo yoga

Nicola Mancuso  

 

AUROVILLE – PADIGLIONE TIBETANO

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Il corpo – tempio nello yoga integrale.

da “YOGA INTEGRALE E PSICOANALISI- vol 3 sull’Amore”

di Miranda Vannucci Abbiamo accennato a come il corpo da un punto di vista psicologico può essere sede di scarico di bisogni e mancanze, conflitti, tensioni, per esempio nell’iper- sessualità; nell’ammalarsi psicosomatico e nell’ammalarsi in genere, -in quanto si ritiene ormai che in ogni malattia ci sia anche, oltre alla predisposizione costituzionale, una componente e causa psichica; e come il corpo è sede delle tempeste ormonali adolescenziali. Nello yoga integrale il corpo è uno dei veicoli e strumenti del lavoro, quindi intanto da conservare il più possibile intatto, sano e forte, da purificare e da amare per questo motivo.

Le parole della Madre al discepolo Satprem: “Mère:Per fare questo yoga , bisogna avere almeno un po’ di senso della bellezza . Chi non ce l’ha perde uno degli aspetti più importanti del mondo fisico. La bellezza d’anima, la dignità d’anima, è una cosa a cui sono molto sensibile. E’ una cosa che mi

commuove e che suscita in me, sempre un grande rispetto. Satprem:Bellezza d’anima ? Mère: Sì, che traspare dal viso: una specie di dignità, di bellezza , di armonia della realizzazione integrale. Quando l’anima traspare nel fisico dà questo aspetto di dignità, di bellezza, di maestà: una maestà che viene dall’essere Tabernacolo. Allora anche le cose che non hanno particolare bellezza si rivestono di un senso di bellezza eterna anzi DELLA bellezza eterna . …” (Satprem . “L’Agenda di Mère”. Vol 1, pag 202) In tutte le iniziazioni religiose….. ci sono prescrizioni molto dettagliate del rituale delle diverse cerimonie: ogni parola da pronunciare e ogni gesto da fare ha una sua importanza, per cui la minima infrazione alla regola o il minimo sbaglio può avere conseguenze funeste. Nella vita materiale è lo stesso: se uno fosse iniziato alla vera maniera di vivere, potrebbe trasformare l’esistenza fisica. Se consideriamo il corpo come tabernacolo del Signore, la scienza medica, per esempio diventa il rituale iniziatico del servizio del tempio e i medici di tutti i generi diventano officianti dei diversi riti del culto. La medicina diventa così un sacerdozio e come tale deve essere considerata. La stessa cosa può dirsi della cultura fisica e di tutte le scienze che si occupano del corpo e del suo funzionamento. Se consideriamo l’universo materiale come rivestimento esterno e manifestazione del Supremo, allora possiamo dire in via generale che tutte le scienze fisiche sono rituali di culto.

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Rieccoci sempre allo stesso punto: la necessità assoluta di una sincerità perfetta, di un’onestà perfetta, la necessità del senso della dignità di quello che facciamo, proprio per poterlo fare come si deve. “Se potessimo davvero conoscere perfettamente tutti i particolari della cerimonia della vita, del culto del Signore nella vita fisica, sarebbe stupendo: sapere e non fare più sbagli, non farne mai più. Compiere la cerimonia al modo perfetto di un’iniziazione…” (Satprem “L’Agenda di Mère” .Vol 1, pag 229) Ancora le parole della Madre che spiega la disciplina e il lavoro da fare nello yoga sulle varie parti, mente, vitale e corpo. “Infine dobbiamo per mezzo di un’educazione fisica, razionale e lungimirante, rendere il nostro corpo abbastanza forte e abbastanza elastico perché diventi nel mondo materiale lo strumento appropriato della Forza di Verità che vuole esprimersi attraverso di noi. …Bisogna sottrarlo a questa tirannia (di mente e vitale) e ciò può essere fatto soltanto tramite l’azione costante con il centro psichico dell’essere. ….Il corpo possiede una notevole capacità di adattamento e di resistenza. E’ capace di fare molte più cose di quanto solitamente si pensi. Se invece di essere governato da padroni ignoranti e dispotici, sarà retto dalla verità centrale dell’essere , ci si meraviglierà di vedere ciò di cui è capace.

..In questa vita equilibrata e sana, una nuova armonia si manifesterà in esso , che rifletterà l’armonia delle regioni superiori e gli darà la perfezione delle proporzioni e la bellezza ideale delle forme. Quest’armonia sarà progressiva, perché la verità dell’essere non è statica; è il continuo dispiegarsi di una perfezione crescente, sempre più totale e onnicomprensiva. Appena il corpo avrà imparato a seguire questo movimento di armonia progressiva, esso potrà , per mezzo di una trasformazione ininterrotta, sfuggire alla necessità della disintegrazione e della distruzione. Allora l’irrevocabile legge della morte non avrà più ragion d’essere …I quattro attributi della verità si esprimeranno spontaneamente nel nostro essere. Lo psichico sarà il veicolo dell’amore vero e puro, la mente quello della conoscenza infallibile, il vitale manifesterà il potere e la potenza invincibili e il corpo sarà l’espressione di una bellezza e di un’armonia perfette. Questa è una cosa poco nota tra i mistici e le persone religiose: in ogni parte dell’essere, il Divino si manifesta diversamente. Nelle parti superiori, Egli si manifesta in quanto Potere, Amore ecc, ma , nel fisico , Egli si manifesta in quanto Armonia e Bellezza. Il problema dell’espressione della bellezza fisica è quindi un problema di ordine spirituale.” (La Madre . “Le Conversazioni 1950-51.” Pag 86 e segg )

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Infine, è importante ricordare che il corpo è sede del lavoro yogico fatto da Sri Aurobindo e dalla Madre verso la trasformazione supermentale della specie umana. Le parole di Sri Aurobindo: “La perfezione supermentale significa che il corpo diventa cosciente, viene riempito di coscienza, e siccome questa è la Coscienza di Verità, tutte le sue attività, i suoi funzionamenti ecc, diventano, per il potere della coscienza in esso, armoniosi, luminosi, giusti e veri, privi di ignoranza o di disordine. …” “Nei Veda si parla di un corpo luminoso posseduto dagli esseri dei piani superiori. Certe scuole di yoga in Oriente e in Occidente, ritengono che nella trasformazione finale sulla terra l’uomo svilupperà un corpo provvisto di queste qualità. Veniva chiamato il “corps glorieux”-corpo di gloria –dal primo istruttore spirituale della Madre.” (Sri Aurobindo. “Lettere sullo Yoga”. Vol 4, pag 291)

“…sarà la supermente a creare la propria base fisica….I processi dovranno ovviamente essere cambiati. In quale misura la costituzione del corpo verrà mutata e in quale direzione, è un altro problema. Come ho detto, esso può divenire, come voi suggerite , radioattivo: Theon (il maestro della Madre) ne ha parlato come di un corpo luminoso , le corps glorieux. Ma tutto ciò non impedisce alla supermente di agire nel corpo attuale per trasformarlo. E’ ciò a cui miro attualmente.

Naturalmente è necessaria una certa trasformazione preliminare, proprio come la trasformazione psichica e spirituale precede quella supermentale. Ma questo è un cambiamento della coscienza fisica giù fino alla coscienza sommersa delle cellule, in modo che esse possano rispondere alle forze superiori, accettarle e, in una certa misura, accettare un cambiamento o per lo meno una maggiore plasticità nei processi. Le regole riguardo al cibo ecc hanno lo scopo di favorire tali processi riducendo gli ostacoli.Non posso dire fino a che punto questo porti ad un cambiamento nella costituzione chimica del corpo. Mi sembra tuttavia che quali che possano essere i cambiamenti preparatori, solo l’azione della Forza supermentale può consolidarli e completarli .” (Ibidem, pag 293) E ancora le parole della Madre a proposito della trasformazione supermentale , ad una delle lezioni tenute il mercoledì al Playground dell’Ashram , a bambini , discepoli, visitatori: “E’ una promessa fatta da tanto tempo, annunciata da tanto tempo-e non qui soltanto: dall’inizio della terra .Sono state fatte predizioni di ogni genere, da parte di ogni genere di profeti.Hanno detto: ‘Ci saranno nuovi cieli e una nuova terra , nascerà una razza nuova , il mondo sarà trasformato …’Tanti profeti ne hanno parlato , in tutte le tradizioni. ...

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La razza nuova ?Aspetta un certo numero di migliaia di anni e la vedrai ! Quando la mente è scesa sulla terra, tra il momento in cui si è manifestata nell’atmosfera terrestre e quello in cui è comparso il primo uomo è passato più o meno un milione di anni. Adesso le cose andranno più alla svelta: perché l’uomo sta aspettando, ha un’idea , anche se vaga; aspetta in qualche modo l’arrivo del dopo-uomo. Mentre le scimmie non stavano certo lì ad aspettare la nascita dell’uomo, non ci avevano mai pensato. Forse per la buona ragione che non sono tanto abituate a pensare ! L’uomo invece ci ha pensato e se lo aspetta: ecco perché le cose andranno più veloci . ‘Più veloci ’vuol dire comunque ancora migliaia di anni, probabilmente.Ne riparleremo tra qualche migliaio di anni ! (silenzio) Gli esseri umani pronti interiormente, aperti e in contatto con le forze superiori, che abbiano avuto un contatto personale più o meno diretto con la Luce e la Coscienza sopramentali, loro sì sono in grado di percepire la differenza nell’atmosfera terrestre. Ma quanto a questo …Solo il simile può conoscere il proprio simile.. In un individuo solo la Coscienza sopramentale può percepire l’azione sopramentale nell’atmosfera terrestre. Quelli che per una qualsiasi ragione hanno sviluppato questa percezione possono vederla. Ma quanti non sono neppure coscienti di un essere almeno un poco interiore, quanti avrebbero una bella difficoltà a dire com’è la loro anima, questi non sono certo pronti a percepire la differenza nell’atmosfera terrestre. Per arrivare a percepirla hanno da fare ancora un bel po’ di strada. Infatti per chi ha una coscienza più o meno incentrata sull’essere esteriore- mentale, vitale e fisico- bisogna che i fatti abbiano un aspetto assurdo ed inatteso per poterli riconoscere: e allora li chiamano miracoli…. …. ADESSO L’UOMO PUO’ COLLABORARE. Cioè può prestarsi al processo, con

buona volontà, con aspirazione- può fare del suo meglio per dare una mano. Ecco perché ho detto che le cose andranno più veloci…. …… Il movimento universale , cioè, va in questo senso (vi ho fatto una lettura qualche giorno fa ): certi individui –che potremmo chiamare i pionieri , l’avanguardia-grazie al loro sforzo e al loro progresso interiore entrano in comunicazione con la Forza nuova che deve manifestarsi e la ricevono dentro di sé. Appunto perché esiste qualcuno che ‘chiama ’la cosa, la cosa diventa possibile ed arriva l’età, l’epoca, il momento, in cui essa possa manifestarsi. E così che è successo, che è avvenuta la Manifestazione. E quindi tutti quelli che erano pronti hanno dovuto riconoscerla. ….. Quella che io chiamo discesa è il movimento individuale in una coscienza individuale. E quando è un mondo nuovo a manifestarsi in un vecchio mondo –come quando, ecco l’analogia, quando la mente si è propagata sulla terra- allora parlo di manifestazione. ” (Sartprem . “L’Agenda di Mère.”Vol 1, pag 93 e segg )

(Per approfondire il lavoro di Sri Aurobindo e della Madre sul corpo e la trasformazione supermentale si veda, tra le altre opere dei Maestri : Sri Aurobindo . “La Manifestazione Supermentale sulla Terra”. “Lettere sullo Yoga ” Satprem . “L’Agenda di Mère” Satprem “Sri Aurobindo. L’Avventura della Coscienza ” )

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ATTIMI DI CONSAPEVOLEZZA Rubrica di Teresa Cesari

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Questa rubrica ci porterà ogni volta la condivisione di alcuni momenti significativi della vita di Terry. Questa condivisione è contestualmente una indicazione ed un dono: per chi saprà entrare in sintonia con le vibrazioni che contiene e per chi vorrà essere illuminato dai bagliori della luce che contiene. Dice Sri Aurobindo che tutta la vita è yoga…

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“ Ricordati perché sei venuto” (Savitri pag 476)

“ Scopri la tua anima, ritrova il tuo sé nascosto” (Savitri pag 476)

“ ….il problema del libero arbitrio o determinazione è il più intricato di tutti i problemi metafisici e nessuno è stato capace di risolverlo, e ciò per un buon motivo, che sia il destino sia la volontà esistono, ed esiste anche da qualche parte un libero arbitrio: la difficoltà è solo come arrivarci e renderlo effettivo….” (Sri Aurobindo lettere dallo yoga volume XIII)

3 - AMORE E LIBERO ARBITRIO                                         

 In seguito ad una certa esperienza che ho avuto tanti anni fa e che ha cambiato completamente la mia vita, ho scritto questa poesia:

Fermare il tempo nell’attimo, è sempre adesso. Non esiste passato e futuro, tutto è immobile nel tempo. La Verità mi attira nella sua Luce, nel suo flusso. Io piccola rimango nel mio “io” Immobile e mobile nel tempo che non esiste. La grande risposta alla mia solitudine è lì che mi chiama, mi trascina, so che mi vuole liberare, dalla prigione. Tutti gli anni passati erano senza senso, proprio perché ero dietro alle sbarre della mia vanità.  

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Dovrò perdere tutto di me, non avrei mai creduto, ma l’amore è così immenso e semplice. Grande Amore, ti ho intravisto, puro Vero al di là di ogni limite e condizione, anche se ora vedo come sei inaccessibile per me che non ho fiducia, chiusa nel mio grande egoismo. Quando toccavo la terra e la sentivo viva, quando guardavo il mio volto e lo vedevo vecchio, quando ascoltavo i miei pensieri ed erano falsi quando sondavo il mio cuore e lo sentivo vuoto quando cercavo…….. Tu eri lì che aspettavi che io ti trovassi.   “Dovrò perdere tutto di me” credo che solo allora si possa scegliere veramente, perdere se stessi è proprio riuscire a liberarsi di tutto quello che c’è in più è donare quella parte che ci impedisce di essere liberi e di amare. “…Ma appena si entra nel sentiero della vita spirituale, questo vecchio destino

predeterminato comincia a ritirarsi. Interviene un fattore nuovo, la Grazia Divina,

l’aiuto di una forza Divina Superiore.” (Sri Aurobindo lettere dallo yoga volume XIII).

Teresa

 

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di Jayanti Chi intraprende lo yoga integrale incontra normalmente delle difficoltà lungo il sentiero perché la vita ordinaria rimane sempre, per tutti, un susseguirsi di ostacoli, conflitti, dolori, sofferenze, delusioni, frustrazioni e fallimenti di ogni genere. Difronte a queste difficoltà il ricercatore dello yoga integrale che cerca di praticare con sincerità il surrender e l’aspirazione, può vedere dietro alle apparenze anche oscure e negative, una Forza segreta che opera, la Forza della Grazia Divina che opera comunque e sempre e nei momenti di sconforto e inadeguatezza peggiori, la Madre ci indica il tono di un appello e la ricerca di una vibrazione interiore…

“SIGNORE, IO NON POSSO FARE NIENTE, FALLO TU PER ME…”

L’ Agenda di Mère – 28 marzo 1964) ...Ma quando c’è un’aspirazione sincera, una volontà sincera... Sai, io faccio di continuo così (gesto di offrire): «Signore, io non posso far niente, fallo Tu per me. Signore, io non posso far niente, fallo Tu per me...». Beh, Sri Aurobindo diceva appunto che se le persone attorno a me non si trovano in contatto diretto col Signore (io lo sono stata fin dalla nascita e ne sono diventata via via più cosciente — il Contatto c'era fin dall'inizio di quest'esistenza terrestre), il contatto possono sempre averlo attraverso un rapporto cosciente con me. E’ facile, dato che si tratta di qualcosa di visibile, di tangibile insomma, che ha una sua esistenza reale; così, basta che uno si metta in uno stato di offerta, e senza bisogno di tante parole e tante frasi, si dica semplicemente, con sentimento sincero: «No, io da solo non so proprio cosa combinare, come potrei fare una cosa del genere? È talmente enorme, come potrei?... Come potrei neanche distinguere bene un movimento vero da uno che non lo è, o tra ciò che porta alla Verità e ciò che non... No, non lo so proprio — e allora affido tutto a Te, fallo Tu per me!»

E poi ripeterselo ventiquattr'ore su ventiquattro, anzi per tanti millesimi di secondo quanti ce ne sono in una giornata, in modo spontaneo, sincero, totale (gesto di offerta): «Ecco, lo affido a Te!». Ah, ecco una difficoltà!... Ah, la tal persona è in cattive acque!... Ah, la situazione è tremenda! Ah... E allora: «Tieni, tieni, tieni! Io non posso farci niente con la conoscenza che ho, fa' Tu quello che ci vuole, fallo Tu; fa' Tu quello che occorre, lo affido a Te».

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Un gesto di ogni minuto, di ogni secondo. Allora dopo un po' ti viene una Risposta TANTO EVIDENTE, sul serio, ma tanto chiara che tutto quello che nutre dubbi e incomprensioni sulle prime si trova costretto a starsene tranquillo e poi finisce per abdicare...........

L’ Agenda di Mère – 15 luglio 1964)

Mère traduce dall’inglese la risposta che aveva scritto a un discepolo, in particolare dove dice:

“…essere riconoscenti, non dimenticare mai questa Grazia meravigliosa del Supremo che conduce ciascuno alla sua meta divina per la strada più corta, suo malgrado e malgrado la sua ignoranza e le sue incomprensioni, malgrado l'ego con tutte le sue proteste e le sue ribellioni”.

È un'esperienza così vera quella trascritta qui! Mai dimenticare questa Grazia meravigliosa del

Supremo che ci porta dritti dritti verso la vera meta, nonostante tutte le ribellioni, tutte le incom: prensioni — direttamente, imperturbabilmente.

Possiamo metterci a gridare, a piangere, a protestare, a ribellarci... «Ti condurrò fino in fondo malgrado te stesso».

Al momento in cui l'ho scritto era così meraviglioso!... Siamo tutti così imbecilli, così ignoranti, così stupidi, non facciamo che lamentarci e dire: «Ah, com'è crudele Dio! (quelli che credono a 'Dio'). Che giudice implacabile è!» — e non capiscono niente! Perché invece è tutto il contrario! Una bontà, una grazia infinita che vi porta là, così, fino alla fine, prrr! — dritti dritti.

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La consapevolezza dell’Energia nello yoga integrale

di Claudio Tolomelli

Il tema dell’Energia costituisce uno

dei principali aspetti di tutti i sistemi di yoga, insieme a quello della Coscienza. Naturalmente, a seconda delle scuole e tradizioni, a questo aspetto viene assegnata una maggiore o minore importanza. Anche Mère e Sri Aurobindo hanno trattato diffusamente, nei loro scritti, questo tema, sottolineando come gli esseri umani siano costantemente immersi in campi di forze e flussi di energie, con cui hanno uno scambio costante, di cui, però, non ne sono quasi mai coscienti.

Per questo motivo, per Mère e Sri Aurobindo un passaggio molto importante della pratica dello yoga integrale consiste proprio nel divenire capaci di percepire il nostro stato energetico, nel diventare consapevoli dei diversi flussi di energia con cui entriamo in contatto e che ci attraversano, nell’imparare a riconoscere i differenti piani da cui la traiamo. In sostanza, occorre sviluppare una sempre maggiore consapevolezza dell’energia di cui si dispone, di quella di cui si ha bisogno (sia nelle attività ordinarie che nella sadhana), di come riceverla, di come

trattenerla, di come usarla. Questa consapevolezza riguarda sia i livelli di energia dei piani inferiori, quella fisica, vitale e mentale, sia gli aspetti sottili ed occulti, sia dei piani più elevati, di natura spirituale.

Sri Aurobindo ci ricorda inoltre che, a mano a mano che si sale nella scala della coscienza, il lavoro sull’energia tende a convergere progressivamente con quello sui piani di coscienza psichici e spirituali, fino a giungere al contatto con quella che la tradizione indiana chiama Shakti, che presenta al tempo stesso i caratteri di una corrente di Forza e di un potere di Coscienza, e che Sri Aurobindo individua come la Forza della Madre divina.

Nello yoga di Sri Aurobindo è questa Shakti che, dopo averci permeato ed illuminato, assume il comando della nostra sadhana e ne permette le più alte realizzazioni. La strada maestra dello yoga integrale consiste quindi nell’aprirsi alla Forza della Madre divina, nel lasciare che il Suo potere operi in noi, ci trasformi, ci sollevi ad una più alta coscienza, trasmuti il nostro essere.

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Al proposito, si riportano di seguito alcuni brani di Mère e Sri Aurobindo. 23 DICEMBRE 1950 Tutti sanno che per risolvere un problema o imparare una lezione occorrono molta concentrazione e molta attenzione, una attenzione ed una concentrazione intellettuali. Ma la concentrazione non è soltanto prerogativa dell’intelletto; può trovarsi in ogni attività dell’essere, anche nelle attività del corpo. Il controllo sui vostri nervi dev’essere tale da permettervi di potervi concentrare totalmente su ciò che fate e di riuscire, grazie all’intensità stessa della vostra concentrazione, a rispondere immediatamente agli urti che vengono dall’esterno. Per pervenire ad una tale concentrazione dovete sapere controllare coscientemente le energie. Siete coscienti delle energie che ricevete e che spendete? Si è più o meno coscienti delle energie che si spendono, soprattutto se se ne spendono troppe! Si tratta qui di uno scambio costante tra la ricezione e il dispendio delle energie. Prima dell’età della ragione, i bambini ricevono molte energie e le spendono abbondantemente, senza pensare, e ciò fa sì che possano giocare per ore senza stancarsi. Ma, a mano a mano che il pensiero si sviluppa, si comincia a misurare e a calcolare il proprio dispendio di energie, anche se, generalmente, ciò non serve a niente poiché, a meno che non si conosca il procedimento che permette di ricevere le energie, è meglio spendere liberamente quelle ricevute piuttosto che lasciarle stagnare dentro di sé. Innanzitutto dovete divenire coscienti delle energie che penetrano in voi, del loro passaggio nell’essere e del loro dispendio. Poi dovete possedere una specie d’istinto superiore che vi faccia sentire da dove provengono le energie più favorevoli; allora vi mettete in contatto con esse tramite il pensiero, il riposo, o qualsiasi altro procedimento - ve ne sono molti. Bisogna sapere quale energia si vuole,

da dove viene e in che cosa consiste. Dopo, viene il controllo sull’energia ricevuta. Il novanta per cento degli esseri umani non assorbe sufficiente energia, o ne assorbe troppa, o ancora non assimila quella che assorbe: appena ne riceve una certa quantità, la butta immediatamente al di fuori, agitandosi, parlando, gridando, ecc. Dovete sapere conservare l’energia dentro di voi e concentrarla interamente sull’attività voluta, e non su altre cose. Se vi riuscirete, non avrete bisogno di ricorrere alla volontà. Per fare ciò che si vuole basta raccogliere tutte le energie ricevute, utilizzarle coscientemente e concentrarsi con la maggiore attenzione possibile. Ma bisogna sapere attribuire un valore reale a ciò che si vuole fare, a ciò che la parte superiore dell’essere vuole fare, poiché fare ciò che si desidera fare non è difficile. (Mère, “Conversazioni 1950-51”, Ed. Arka, pagg. 16-17)

NON SPRECARE L’ENERGIA

Gli esseri umani non sanno come conservare l’energia. Quando succede loro qualcosa, un infortunio o una malattia, vi è una richiesta di aiuto e viene fornita una dose doppia o tripla di energia. Essi si sentono ricettivi e la ricevono. Questa energia viene data per due ragioni: porre rimedio al disordine causato dall’incidente o dalla malattia e dare la forza per la trasformazione, per curare, per eliminare la causa vera della malattia o dell’infortunio.

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Invece di utilizzare l’energia in questo modo, immediatamente gli esseri umani la gettano all’esterno. Cominciano a muoversi, ad essere attivi, a lavorare. Cominciano a parlare, cominciano a dire che si sentono pieni di energia e gettano ogni cosa verso l’esterno. Essi non riescono a tenere nulla. Allora naturalmente, poiché l’energia non era stata data per essere sprecata in quel modo, ma per un uso interiore, essi si sentono svuotate. E questo è universale. Non sanno come fare quel movimento: andare dentro di sé, utilizzare l’energia - non tenerla, essa non può essere conservata - per rimediare al danno fatto al corpo e andare in profondità fino a scoprire le ragione dell’infortunio o della malattia, e in quel punto mutarla in un’aspirazione, in una trasformazione interiore. Invece di fare questo la gente comincia immediatamente a chiacchierare, ad andare in giro, a lavorare, a fare una cosa o l’altra. In verità la grande maggioranza degli esseri umani sente di essere viva solo quando spreca energia, altrimenti non si sente viva. Non sprecare energia significa utilizzarla per gli scopi per cui è stata data. Se l’energia è data per la trasformazione, per la sublimazione dell’essere, essa deve essere usata per quello; se l’energia viene data per rimettere a posto qualcosa che si era disorganizzato nel corpo, essa deve essere usata per quello. Non appena una persone si sente piena di energia, essa si precipita immediatamente nell’azione. O altrimenti, coloro che non hanno il senso di fare cose utili, si mettono a spettegolare. Peggio ancora, coloro che non hanno alcun controllo su loro stessi divengono intolleranti e cominciano a trovare da dire. Se vengono contraddetti, si sentono pieni di energia e vengono colti da un sacro furore. Mère, “Bullettin” agosto 1949 pag. 41-42)

ENERGIA INESAURIBILE

Uno degli aiuti più potenti che la disciplina yogica può dare ad una persona che pratichi lo sport è di insegnargli come rinnovare le sue energie traendole dalla sorgente inesauribile dell’energia universale.

La scienza moderna ha compito grandi progressi nell’arte dell’alimentazione che è uno dei mezzi meglio conosciuti per recuperare le proprie energie. Ma la procedura è, quando va bene, precaria e soggetta a ogni genere di limitazione. Noi non tratteremo qui di questo, poiché esso è un soggetto di cui si è già molto parlato. Si sa comunque, che da quando il mondo e gli uomini sono ciò che sono, il cibo è un fattore indispensabile. La scienza yogica conosce altri mezzi per acquisire energie; noi ne menzioneremo due fra i più importanti.

Il primo consiste nel mettere sé stessi in relazione con le energie accumulate nei mondi materiali e terrestri e nel trarre liberamente da questa sorgente inesauribile. Queste energie materiali sono oscure e semi incoscienti; esse incoraggiano l’animalità nell’uomo, ma allo stesso tempo stabiliscono una sorta di relazione armoniosa fra il corpo umano e la natura materiale. Coloro che conoscono come ricevere ed usare queste energie generalmente hanno successo nella vita e raggiungono tutto ciò che intraprendono. Tuttavia essi dipendono ampiamente dalle condizioni della loro vita e dallo stato della loro salute fisica.

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L’armonia creata in loro non è sicura da tutti gli attacchi, essa generalmente viene meno quando le circostanze divengono avverse.

Il bambino riceve spontaneamente queste energia dalla natura materiale quando getta all’esterno tutte le sua forze senza limite, felicemente e liberamente.

Ma nella maggior parte degli esseri umani, quando crescono, questa facoltà si perde a causa delle preoccupazioni della vita e del posto predominante che le attività mentali vengono ad occupare nella coscienza.

Tuttavia c’è una sorgente di energia che, una volta scoperta, non si inaridisce mai, quali che siano le circostanze esteriori e le condizioni fisiche della vita. E’ quell’energia che si può definire spirituale, che non è più ricevuta dal basso, dalle profondità incoscienti, ma dall’alto, dall’origine suprema dell’uomo e dell’universo, dagli splendori sovracoscienti, onnipotenti ed eterni. Essa è qui, ovunque intorno a noi, impregnante ogni cosa; per entrare in contatto con essa e riceverla basta aspirare sinceramente, aprirsi ad essa con fede e fiducia fino ad ampliare la propria coscienza per identificarla con la coscienza universale.

All’inizio ciò può apparire difficile se non impossibile. Tuttavia se si guarda al fenomeno un po’ più da vicino si può vedere che non è così estraneo, così distante dalla coscienza umana normalmente sviluppata. Peraltro, sono molto pochi coloro che non hanno sentito, almeno una volta nella vita, come se fossero sollevati oltre sé stessi, colmati da una forza inattesa e fuori dal comune che gli ha resi per un momento in grado di fare qualsiasi cosa; in tali momenti nulla sembra troppo difficile e la parola impossibile perde di significato.

Questa esperienza, per quanto fugace possa essere, dà un barlume del tipo di contatto con l’energia superiore che la disciplina yogica può assicurare e mantenere.

Il metodo per ottenere questo contatto può difficilmente essere dato

qui. Inoltre si tratta di una cosa individuale, per ognuno a modo suo, che dipende dal livello in cui si trova, adattando sé stesso al proprio bisogno personale e aiutandolo a fare i passi in avanti successivi. La strada è lunga è lenta allo stesso tempo, ma il risultato vale la pena di intraprenderla. Noi possiamo facilmente immaginare quale potrebbe essere l’effetto di questo potere di attingere a volontà e in tutte le circostanze dalla sorgente illimitate di un’energia onnipotente nella sua luminosa purezza. Fatica, esaurimento, malattia, vecchiaia ed anche la morte divengono semplici ostacoli sulla strada che una volontà pronta è sicura di superare. (Mère, “Bullettin”, agosto 1949, pp. 41-42)

Come si vede, Mère dà consigli pratici su come orientare il proprio sforzo personale per lavorare bene sulle energie e non disperderle, sottolineando quanto sia importante non agitarsi, non essere stressati, non arrabbiarsi. E, ancora una volta, richiama l’importanza della consapevolezza dei nostri movimenti interiori e degli scambi che abbiamo con l’esterno. Il tutto da compiersi in uno stato di calma, di equanimità, di aspirazione tranquilla e costante, di dono di sé alla Madre divina, alla Shakti.

Vediamo, al proposito, un bellissimo brano, tratto dalla famosa opera di Sri Aurobindo “La Madre”.

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LA SHAKTI DIVINA Attraverso la sua Shakti il Divino è presente in ogni azione, in tutto ciò che nell’universo viene fatto, ma velato dalla sua Yoga Maya opera nella natura inferiore attraverso l’ego del Jiva. Anche nello yoga, il Divino è il sadhaka e la sadhana. La Shakti rende possibile la sadhana mediante la sua luce, il suo potere, la sua conoscenza, la sua coscienza, il suo ananda agenti sull’essere fisico e, quando questo si apre a lei, riversando in esso quelle forze divine che rendono la sadhana possibile. Ma fin tanto che la natura inferiore rimane attiva, lo sforzo personale del sadhaka è necessario. Lo sforzo personale che viene richiesto è il triplice lavoro di aspirazione, di rifiuto e di dono di sé. Un’aspirazione vigilante, costante, incessante, la volontà dello spirito, la ricerca del cuore, il consenso dell’essere vitale, la volontà di aprire e di rendere plastiche la coscienza e la natura fisica.

ll rifiuto dei movimenti della natura inferiore; il rifiuto delle idee, delle opinioni, preferenze, abitudini e costruzioni della mente, affinchè la vera conoscenza possa trovare il campo libero in una mente silenziosa.

Il rifiuto dei desideri, delle richieste, delle sensazioni e delle passioni della natura vitale, del suo egoismo, del suo orgoglio, della sua arroganza, della sua lussuria, della sua avidità, della sua gelosia, della sua invidia e della sua ostilità verso la Verità, affinchè gli autentici potere e gioia possano riversarsi dall’alto in un essere vitale calmo, grande, forte e consacrato. Il rifiuto della stupidità, del dubbio, dell’incredulità, dell’oscurità, dell’ostinazione, della meschinità, della pigrizia, della cattiva volontà di cambiare e del Tamas della natura fisica, affinchè la vera stabilità della Luce, del Potere, dell’Ananda prenda dimora in un corpo sempre più divino. Il dono di sé al Divino e della Shakti, di tutto ciò che si è, di tutto ciò che si ha, di ogni piano della coscienza e di ogni movimento. In proporzione al dono e alla consacrazione di sé, il sadhaka diviene consapevole che è la Shakti divina che fa la sadhana e penetra in lui sempre più, stabilendovi la libertà e la perfezione della Natura Divina. Quanto più questa operazione, svolta in piena consapevolezza, sostituisce il suo sforzo, tanto più rapido e vero diviene il progresso. Ma la necessità dello sforzo personale non può essere totalmente eliminata che al momento in cui la sottomissione e la consacrazione, in tutte le parti dell’essere, sono divenute pure e complete. Notate che una sottomissione tamasica che rifiuti di adempiere alle condizioni e richieda al Divino di fare tutto risparmiandovi le difficoltà e tutte le lotte, è un inganno che non conduce né alla libertà né alla perfezione. (Sri Aurobindo “La Madre”, cap II)

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Appunti per una pratica integrale.

Rubrica di Pino Landi

3 - Il vitale nello yoga integrale

L’uomo insiste su vari piani di

esistenza; anche se per la comune coscienza sensoriale e mentale si ha consapevolezza del solo piano fisico, ciò non significa che gli altri piani non esistano e che non vi sia possibilità alcuna di accesso conscio ad essi. Sostenerne l’irrealtà sarebbe come sostenere l’irrealtà dei soli e dei pianeti da un lato o degli atomi e degli elettroni dall’altro, solamente perché i nostri sensi comuni non possono averne contezza. Basta ampliare di un poco le capacità percettive per “sentire” in un qualche modo le “radiazioni” sottili che il nostro corpo materiale emette: non solo il calore corporeo, ma anche piccole forze magnetiche ed elettriche; ed anche energia più sottile connessa ai sentimenti ed ai pensieri. Quante volte entrando in una stanza abbiamo “sentito” l’atmosfera che si era instaurata tra le persone presenti, oppure “sentiamo” l’umore o la predisposizione nei nostri confronti da parte di un interlocutore che non conosciamo e con cui non abbiamo ancora neppure parlato.

Tra le finalità della sahdana c’è anche quella di allargare le capacità di percezione e di consentire all’uomo di lavorare su ogni parte di sé stesso; una sadhana integrale opera su ogni parte dell’uomo, sui fisico, così come sui piani che sono i più prossimi al fisico, cioè il vitale ed il mentale. Una parte essenziale del lavoro consiste nel prendere sempre più coscienza di ciò che accade sui diversi piani e di intervenire sul piano più adatto per il tipo di operazione che si intende portare avanti, di non trascurare alcun aspetto dell’essenza umano per procedere in armonia, nulla trascurando e “lasciando indietro” nel processo di trasformazione. In effetti lo yoga integrale procede anche in modo più complessivo, “sotto e sopra” i piani suddetti, tutto utilizzando al fine della crescita e della trasformazione e, viceversa, ha come finalità la trasformazione integrale, senza trascurare nessun corpo, più o meno

sottile, condividendo od estendendo consapevolezza e Luce dal piano in cui la coscienza è più involuta fino a quello in cui si apre alle qualità Divine.

In particolare abbiamo visto, nella rubrica precedente, come ogni movimento del mentale , ogni realizzazione mentale possono essere usati, dopo che è stato compiuto il lavoro di purificazione della mente stessa, vedremo, in questo articolo, come, in modo del tutto analogo, occorre non rifiutare i movimenti del vitale, ma osservarli, indagarli e conoscerli, al fine di purificarli ed utilizzare la grande quantità di energia che ingabbiano e stringono, il più delle volte facendola dissipare in movimenti contrapposti e contradditori.

Ogni essere vivente partecipa a movimenti, molto simili alle emozioni umane. Anche scientificamente si è dimostrato che le piante provano gioia di essere nutrite o annaffiate, paura se si avvicina loro un paio di forbici (specialmente se già hanno provato l'esperienza di un taglio) e così via. Chi accudisce o ha responsabilità della vita e del benessere delle piante, ha potuto notare come risentano dell’umore e della qualità della “intenzione” di chi si occupa di loro. Così come chi convive con animali sa molto bene quale gamma di sentimenti siano capaci di provare.

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Il vitale è come un bozzolo che circonda ogni creatura vivente, ed in particolare l’uomo materiale e che contiene gli istinti, le pulsioni che si sono sviluppati assieme alla vita e che contribuiscono alla sua permanenza e diffusione. E’ altresì un involucro di sensazioni, di tutta la gamma di sensazioni, da quelle più corporee a quelle più “eteree”, dal fastidio di un prurito al senso di grandezza che ci coglie nell’osservare il cielo stellato. E’ una sorta di “atmosfera” che contiene anche i sentimenti che con la loro intensità “colorano” in un certo qual modo quell’atmosfera stessa, ne determinano cioè la “qualità”.

La vita è scesa e si è instaurata su questo pianeta ben prima della mente e di conseguenza nel vitale è racchiusa, nei meandri del subconscio dell’uomo, tutta la storia evolutiva della terra, dalla coscienza oscura della pietra, attraverso gli istinti più primordiali e brutali della vita che vuole imporsi e diffondersi, fino ai desideri ed alla volontà indotti da una coscienza di separazione, che si è affermata con la comparsa e la dominazione dell’uomo. Facile comprendere che è sul piano del vitale che si focalizzano le energie più potenti ed intense e che queste energie possono essere utilizzate dalle parti scisse e separate della coscienza, ingabbiate tra nodi inconsci. Sono sostanzialmente formazioni energetiche che sul piano vitale hanno acquisito una esistenza autonoma, sono divenute energivore, elementi di disgregazione, fattori di separatezza. In altri termini si può dire che gli “abitanti” del piano vitale sono forti e potenti, quanto inaffidabili e pericolosi. Gli “esseri” del vitale sono più antichi di quelli del mentale e provengono da caverne più buie e nascoste, più lontane dalla luce della coscienza... Occorre affinare in estremo grado la capacità di discriminazione per scoprire quando forti aggregazioni del piano

vitale si travestono da abitanti di piani superiori...

Il lavoro di purificazione del vitale è indispensabile per togliere energia alle parti scisse interiori e quindi procedere verso la loro eliminazione e all’assorbimento di questa energia, per procedere nel lavoro di trasformazione e crescita coscienziale. Ogni volta che si toglie energia ad una porzione di coscienza che “credeva” reale la sua separatezza, contestualmente la si afferisce e si rafforza la consapevolezza dell’unità e della totalità. Anche dal punto di vista delle realizzazioni meramente umane, coloro che riescono ad impedire un frazionamento dell’energia vitale, a conservare la concentrazione dei loro movimenti su un unico obbiettivo, sono destinati al successo, ed appaiono con immense capacità di lavoro e forniti di una energia inesauribile. Ovviamente il lavoro del praticante deve prescindere da basse finalità che, pur imponendosi come centralizzanti delle energie, sono pur tuttavia legate alle pulsioni egoiche e separative del vitale medesimo. L’opera di purificazione del vitale inizia utilizzando le energie del vitale stesso per fini superiori, sotto il controllo della parte più elevata dell'intelletto. Come già spiegato per i pensieri, anche i movimenti del vitale devono essere osservati, nella condizione di silenzio. Non rifiutati, ma neppure accettati, senza concedere loro alcun giudizio, alcuna preferenza, poiché farlo significherebbe dare loro alimento. Osservarli per comprendere da dove provengono e poi lasciarli andare, senza identificarsi con essi in alcun modo. La condizione di equanimità rispetto ai movimenti del vitale non significa affatto che ci si debba trasformare in robot privi di sentimenti, ma semplicemente che non ci si deve lasciare dominare e comandare da essi. Al proposito c’è una bella analogia con i movimenti delle onde del mare.

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La superficie marina è sempre mossa dalle onde che a volte, a causa della forza dei venti, sono anche molto forti e alte; ma già a pochi metri sotto la superficie le acque sono calme e tranquille e non risentono affatto dei movimenti di superficie. La condizione ottimale del nostro vitale è quella delle acque che sono sotto la superficie: immote e stabili a prescindere dai movimenti anche convulsi della superficie stessa. Nell’osservazione appare evidente come le emozioni, i sentimenti e gli stati d'animo non giungono tutti dalla medesima fonte. Alcuni nascono dall'inconscio, provengono dal mondo interiore, attraverso dinamiche che sono per i più totalmente estranee alla coscienza. Altri paiono provenire dal di fuori, quasi un contagio, una suggestione, anche questa in modo del tutto inconsapevole. In ogni caso, qualunque sia la provenienza, salgono come la nebbia, in modo involontario e a poco a poco assorbono tutta la nostra attenzione, invadono, a volte totalmente, il nostro paesaggio interiore. Vi sono vere e proprie entità, a cui poi diamo energia e forza ulteriore con le nostre preferenze ed i nostri pensieri, nel momento in cui interviene la mente, senza farci realmente comprendere, ma aggiungendo confusione a confusione, coazione a coazione. Per essere realmente liberi occorre non consentire alcun collegamento ed alcuna energia, a movimenti che avvengono al di fuori della nostra coscienza. Certamente le capacità di percepire devono essere allenate, allargate e non comuni. Occorre dunque percepire e comprendere da dove questi movimenti giungono, cosa o chi li ha destati e sviluppati e perché. Occorre passarli al vaglio di una retta discriminazione, sottoporli alla gravità di un Centro Permanente interiore, osservali con l'occhio del Testimone... Emozioni, stati d'animo e sentimenti in fondo sono energia: come la luce bianca, passando attraverso un prisma, si colora di tutti i colori dell'iride, così l'Energia, passando di piano in piano e manifestandosi attraverso le individualità, si colora di ciò che quell'individualità esprime...sapremo manifestare energia più pura e sincera, attraverso i nostri

sentimenti e stati d'animo, quanto più saremo entità pure e sincere...Non è un caso che questo punto diventi il crocevia di diversi equivoci, diversi a volte nella forma, ma derivanti da identica inconscia pulsione indotta dalla mente che dal vitale trae energia e che teme tutto ciò che sfugge al suo controllo. Dirò quindi ancora e più esplicitamente che è del tutto negativo e fuorviante evitare le emozioni, rifuggirle, oppure rimuoverle o negarle; dal punto di vista energetico ciò ha il medesimo valore che il tentare di controllarle, oppure quello di cedere loro senza ritegno. In un caso e nell’altro si dà loro alimento energetico con la nostra attenzione e si consente loro nel contempo di dominarci completamente, quanto inconsciamente. Come per un fiume ogni occlusione dell’alveo crea bacini di energia compressa che sfocia inevitabilmente in un’alluvione disastrosa, così come la piena che procede inesorabile senza argini che la delimitano. Ciò che occorre è innanzitutto prendere atto e conoscere questa parte della struttura umana, comprendere appieno la dinamica che la regge e le energie che sono connesse ed implicate. Occorre poi utilizzare lo strumento della discriminazione per individuare cosa c'è e si nasconde dietro alle emozioni, al fine non di sopprimerle o di controllarle, ma di sciogliere le energie che le tengono aggrovigliate come nodi.

Il passaggio finale del lavoro è quello di trasformare e purificare tutto il proprio mondo vitale ed utilizzare queste energie per la crescita e la trasformazione coscienziale. Farò un esempio che spero sia esplicativo.

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L’ amore è una potente emozione di cui tanti parlano, spesso senza sapere effettivamente a cosa si riferiscono. “Amore” dovrebbe in effetti essere un sentimento di apertura e unione, di accettazione e di ampliamento, ma la grande maggioranza degli umani chiama invece in questo modo qualcosa di particolare e separativo. E’ completamente condizionata, nella propria vita, azioni, pensieri da un “amore” per il “suo proprio” partner, i “suoi propri” figli, la “sua propria” famiglia, la “sua propria” patria ecc...Questo “amore” si presenta in una veste accettabile, per la morale comune, ma, comunque si definisca, è soltanto un volgare sentimento di proprietà, una pulsione vitale, un vortice di energia controllato da un ego, da una porzione di coscienza separativa e ignorante. La

soluzione non è sfuggire l'amore per il partner, i figli ecc... ma togliere il torbido senso di possesso, eliminare il timore della solitudine, l’ansia di garantirsi affetto ed attenzione…occorre cioè purificare questo sentimento perché riacquisti l'originale limpidezza originaria, utilizzare l'energia interiore per risalire alla fonte da cui il raggio proviene: la fonte d'Amore, senza aggettivi possessivi...

Anche per la purificazione del vitale, così come per il mentale, occorre un Aiuto che non può che venire dai piani ad essi superiori: in altri termini, la condizione ottimale per lo yoga integrale è quando consentiamo alla Madre di fare lo yoga attraverso di noi. Ma l’Aiuto può giungere solamente se c'è la volontà ed il lavoro, la sincera aspirazione che consentono di ottenere l'aggancio con questi piani.

Questa rubrica è alla terza uscita. Chi è interessato può trovare gli argomenti precedenti

1 – Pratica integrale. Sul n. 0 della rivista Usha: http://it.calameo.com/books/00040363767e96bd34fd9 2 – Lavoro sulla mente. Sul n. 1 della rivista Usha: http://it.calameo.com/books/000403637c4c9f04a17cf

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BACHECA

Questo spazio è destinato alle comunicazioni ed informazioni che i lettori ritengono di rendere pubbliche, e che riguardano i temi trattati dalla rivista.

Questi sono gli indirizzi relativi a gruppi che operano e lavorano avendo come riferimento lo yoga e l’insegnamento di Sri Aurobindo e Mère. La redazione si limita a riportare gli indirizzi segnalati declinando ogni ulteriore responsabilità. Piemonte: [email protected] [email protected] : [email protected]: [email protected]: http://www.supramentalyoga.org/Friuli: http://www.associazionealba.it/Emilia Romagna: [email protected] Toscana : [email protected]

IL MANTRA DEL REALE una giornata dedicata al VERBO MANTRICO DI SRI AUROBINDO (a cura di Tommaso Iorco) domenica 10 luglio 2011 (a Motrano, nella bella campagna senese) - 09:30/10:30 - registrazione partecipanti - 10:30/12:30 - recital L'Opera d'inchiostro (su poesie di Sri Aurobindo) - 13:00/14:00 - pranzo (vegetariano) - 14:30/16:30 - La poesia di Sri Aurobindo nell'originale inglese - 17:00/19:00 - La poesia di Sri Aurobindo in traduzione italiana - 19:30/20:30 - cena (vegetariana) e saluti

N.B.: prenotazione obbligatoria (a causa dei posti limitati)

• per informazioni e prenotazioni:

[email protected]

Nel week end dal 4 al 6 marzo 2011

si terrà a Pescia un incontro di studio e meditazione

incentrato sulle conversazioni di Sraddalù

sui Commenti di Sri Aurobindo alla Isha Upanishad.

L'incontro si terrà presso

l'Albergo VILLA DELLE ROSE, via del Castellare 21 , nei pressi della Stazione

Ferroviaria di Pescia -(Pistoia). Tel 0572-451301

E’ ancora possibile prenotarsi,

telefonando all'Albergo o scrivendo una e_mail a Miranda o al sottoscritto.

[email protected]@libero.it

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