Numero 7 / Anno IV / Dicembre 2009 The Postal Gazette 33 ... · Adua - 1896 La battaglia di Adua,...

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A destra: lettera da Adua, capoluogo del Tigrè, per Massaua, affrancata con 20c. sopra- stampato “Colonia Eritrea”, annullato col bollo in azzurro “Adua/24 nov.95/Asmara”. La città restò italiana dal 3 aprile al 9 dicembre 1895 quando fu evacuata per le pressioni del governo costretto a tale decisione più che da valutazioni militari. La battaglia di Adua si svolse pochi mesi più tardi, il 1° marzo del 1896. The Postal Gazette 33 Numero 7 / Anno IV / Dicembre 2009 In alto: tre mesi dopo la battaglia di Adua, nel maggio 1896, componenti della Missione italiana ricercano i Caduti da seppellire. Nella foto, i resti dei soldati di Arimondi, ancora allineati fianco a fianco in posizione difensiva ai piedi del colle Rebbi Arienni. Lo stesso generale Arimondi si difese a sciabolate fino alla morte. Sopra: lettera da Kassala per Milano dell’8 maggio 1895, affrancata con 20 cent. soprastampato “Colonia Eritrea”, annullato col bollo in cartella “Kassala (Keren)” e data manoscritta. Kassala divenne Collettoria Postale dal 15 febbraio 1895 e fu ceduta agli inglesi nel dicembre 1897 entrando a far parte del Sudan. Adua - 1896 La battaglia di Adua, che una intera generazione di italiani non riuscì a dimenticare, ebbe inizio il 1° marzo 1896 alle prime luci dell’alba. Il comandante dell’esercito e Governatore dell’Eritrea, generale Oreste Baratieri, la sera del 29 febbraio diede ordini ai tre generali Albertone, Dabormida e Arimondi, di marciare lentamente verso l’interno con tre colonne e di mantenersi sem- pre collegate e ben ordinate. Il piano prevedeva di arroccarsi su ottime posizioni e là attendere il nemi- co. La marcia fu talmente lenta che in nove ore di cammino le truppe avevano percorso solo una quindicina di chilometri e senza rimanere collegate tra loro al punto che restarono completamente iso- late l’una dall’altra: già alle 3 di notte, Arimondi comunicò a Baratieri che gli era necessario sostare perché la colonna Albertone, alla sua sinistra, era in ritardo e perché Dabormida, alla sua destra, aveva perduto ogni contatto. L’esercito italiano era formato da 15.000 combattenti tra italiani e ascari. Il Negus approfittò delle circostanze con indubbia abilità. La grande occasione gli si era finalmente presentata: gli italiani avevano abbandonato le loro posizioni protette e avanzavano allo scoperto, in mezzo a valloni, depressioni accidentate e ambe irraggiungibili. L’esercito etiope era formato dai 120.000 uomini di Menelik e dell’imperatrice Taitù, oltre agli eserciti dei grandi ras come Maconnen, Mikael, Alula e i tigrini del ras Mangascià. Appena ebbe notizia che Baratieri era partito, Menelik si preparò alla battaglia, ma per attaccare aspettò le prime luci dell’alba, quando gli italiani erano già stanchi per aver marciato tutta la notte. Il generale Albertone fu il primo ad essere attacca- to, alle 6, mentre si spingeva in avanti verso il Chidané Marét e quindi si trovò del tutto isolato dalle altre colonne. Nella conca di Adua era quasi impossibile orientarsi: non vi erano pietre miliari, di Alessandro Arseni

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A destra: lettera da Adua, capoluogo del Tigrè, per Massaua, affrancata con 20c. sopra-stampato “Colonia Eritrea”, annullato col bollo in azzurro “Adua/24 nov.95/Asmara”. Lacittà restò italiana dal 3 aprile al 9 dicembre 1895 quando fu evacuata per le pressionidel governo costretto a tale decisione più che da valutazioni militari. La battaglia diAdua si svolse pochi mesi più tardi, il 1° marzo del 1896.

The Postal Gazette 33Numero 7 / Anno IV / Dicembre 2009

In alto: tre mesi dopo la battaglia di Adua, nel maggio 1896, componenti dellaMissione italiana ricercano i Caduti da seppellire. Nella foto, i resti dei soldati diArimondi, ancora allineati fianco a fianco in posizione difensiva ai piedi del colle RebbiArienni. Lo stesso generale Arimondi si difese a sciabolate fino alla morte.

Sopra: lettera da Kassala per Milano dell’8 maggio 1895, affrancata con 20 cent.soprastampato “Colonia Eritrea”, annullato col bollo in cartella “Kassala (Keren)” e datamanoscritta. Kassala divenne Collettoria Postale dal 15 febbraio 1895 e fu ceduta agliinglesi nel dicembre 1897 entrando a far parte del Sudan.

Adua - 1896La battaglia di Adua, che una intera generazione diitaliani non riuscì a dimenticare, ebbe inizio il 1°marzo 1896 alle prime luci dell’alba.Il comandante dell’esercito e Governatoredell’Eritrea, generale Oreste Baratieri, la sera del29 febbraio diede ordini ai tre generali Albertone,Dabormida e Arimondi, di marciare lentamenteverso l’interno con tre colonne e di mantenersi sem-pre collegate e ben ordinate. Il piano prevedeva diarroccarsi su ottime posizioni e là attendere il nemi-co. La marcia fu talmente lenta che in nove ore dicammino le truppe avevano percorso solo unaquindicina di chilometri e senza rimanere collegatetra loro al punto che restarono completamente iso-late l’una dall’altra: già alle 3 di notte, Arimondicomunicò a Baratieri che gli era necessario sostareperché la colonna Albertone, alla sua sinistra, erain ritardo e perché Dabormida, alla sua destra,aveva perduto ogni contatto. L’esercito italiano eraformato da 15.000 combattenti tra italiani e ascari.

Il Negus approfittò delle circostanze con indubbiaabilità. La grande occasione gli si era finalmentepresentata: gli italiani avevano abbandonato le loroposizioni protette e avanzavano allo scoperto, inmezzo a valloni, depressioni accidentate e ambeirraggiungibili. L’esercito etiope era formato dai120.000 uomini di Menelik e dell’imperatriceTaitù, oltre agli eserciti dei grandi ras comeMaconnen, Mikael, Alula e i tigrini del rasMangascià. Appena ebbe notizia che Baratieri erapartito, Menelik si preparò alla battaglia, ma perattaccare aspettò le prime luci dell’alba, quando gliitaliani erano già stanchi per aver marciato tutta lanotte.Il generale Albertone fu il primo ad essere attacca-to, alle 6, mentre si spingeva in avanti verso ilChidané Marét e quindi si trovò del tutto isolatodalle altre colonne. Nella conca di Adua era quasiimpossibile orientarsi: non vi erano pietre miliari,

di Alessandro Arseni

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strade dal tracciato continuo, punti di riferimentoche non fossero le cime dei monti e, come poi fuaccertato dalla commissione d’inchiesta, l’esercitoera privo di adeguate carte topografiche. Accaddequindi che il generale Albertone si era spinto ottochilometri oltre l’obiettivo, in base ad uno schizzotopografico sbagliato.Alle 7,30 Albertone era già costretto a chiedere rin-forzi a Baratieri: lo assalivano 15.000 abissininella solita formazione a mezzaluna. Ma Baratieriricevette il messaggio solo dopo un ora e mezza epensava che la sua compagnia di sinistra fosseimpegnata contro un nemico in ritirata. Quando sidecise a dare ordini a Dabormida di correre in aiutodi Albertone, era già troppo tardi: lo stessoDabormida era ormai duramente impegnato e delresto gli ordini risultarono confusi e topografica-mente poco chiari, perché comandavano contem-poraneamente a Dabormida di prestare aiuto adAlbertone e di andare ad occupare la collina diBelah, come se le due località fossero contigue,mentre invece distavano parecchi chilometri.Albertone, quindi, mandò al contrattacco l’8°Battaglione ascari che spazzò via il nemico ma, allafine dell’azione, si trovò con solo cinque ufficiali ita-liani superstiti su diciassette. La rotta fu inevitabi-le: priva della guida degli ufficiali, si tramutò in unmassacro. Alle 11 del mattino tutto era finito,Albertone fu catturato e la colonna non esistevapiù.Nel frattempo, le truppe del generale Dabormidaavevano sbagliato strada e la colonna era finita inmezzo al vallone di Mariam Sciavitù, un luogodesolato dove avevano fatto sosta, mentre alla sini-stra si addensavano i combattenti di ras Mikael, diras Mangascià e della temibile cavalleria WoloGalla. Era chiaro che i 4.000 uomini di Dabormidapoco avrebbero potuto resistere contro i circa50.000 etiopici che li circondavano.

Sotto: busta contenente ilbiglietto qui riprodotto alato, da Adi Ugri 2 marzo1896 per Torino, recanteil bollo di franchigia“Colonia Eritrea/Com. del1° Batt. Fant. Afri.”. Alverso bollo di arrivo aTorino del 18 marzo. Nelbiglietto, il cui testo èriportato per intero nellapagina seguente, un uffi-ciale racconta al padre ildolore della sconfittanella battaglia di Adua,svoltasi il giorno prece-dente.

In basso: la vittoriadell’Etiopia sugli italianirimase a lungo nellamemoria degli indigeni.Ecco come un artista etio-pe, al tempo, riprodusseuna immagine della batta-glia di Adua. L’immagine ètratta dalla “Cronaca delRegno di Menelik II”, con-servata presso il MuseoAfricano di Roma.

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The Postal Gazette 35Numero 7 / Anno IV / Dicembre 2009

Adi-Ugri 2-3-96

Papà carissimo,purtroppo è avvenuto un combattimentoassai sfavorevole nella giornata di ieri.Non ti posso dare particolari maggiori chequesti avuti stamattina. Alle 7 le truppeindigene attaccarono la linea Scioana neipressi di Adua e furono sbaragliate. I bian-chi in sostegno attaccarono alla loro volta esubirono la stessa sorte. Si ritirarono aEntisciò dove potettero sostenere un altroattacco dei Scioani e ritirarsi su Saganeiti eCoatit. Circa la nostra sorte non ne sappia-mo nulla. Il fatto che se si tratta di resisterecol Forte siamo in condizioni ottime e suquesta strada possiamo fare argine se nonci girano.Tolto il dispiacere dei nostri caduti e dellasconfitta il nostro morale è alto e non dispe-riamo di rimetterci. Volevo telegrafarti, matemevo metterti in maggiori pensieri sul mioconto. Pare che i nostri abbiano vendutocara la vita e che gli Scioani abbiano avutodelle perdite considerevoli. Raccomando amamma di non stare in pensiero per me chesono come in una cassa forte.Abbraccia affettuosamente tutti, tuo aff.

Enrico

Il generale Oreste Baratieri, Governatore dell’Eritrea ecomandante l’esercito, nel 1860 si era unito volontarioai Mille di Giuseppe Garibaldi e partecipò con successoalla presa di Capua. Ancora affiliato alle "camicie rosse"dal 1860 al 1866, prese parte alla sfortunata battagliadi Mentana del 1867 contro l'esercito francese e nel1872 abbracciò la vita militare, dove ottenne il ruolo dicapitano. Il 18 febbraio 1892 fu designato governatoredella colonia eritrea e comandante in capo delle truppecol grado di maggior generale e poi di generale coman-dante. La dura sconfitta di Adua provocò la contempora-nea caduta di Baratieri e di Francesco Crispi. Baratieri,dal 5 al 14 giugno 1896, comparve in giudizio sottol’accusa di “omissioni, negligenze e abbandono dicomando di Guerra” ma il generale riuscì a dimostrareche furono i comandanti delle colonne a disobbedirgli. IlPubblico Ministero chiese una condanna a dieci anni,mai giudici assolsero l’imputato “per inesistenza di reato”.

Dopo una battaglia, che vide lo stesso generale allatesta del 6° Reggimento italiano, si tentò di aprireun varco per il colle di Dongollo Armaz, già occu-pato dagli abissini, ma senza successo. La colonnadi fanti e artiglieri, in ritirata, fu massacrata e lostesso Dabormida ucciso durante gli scontri.Era adesso la volta della colonna Arimondi. Essaaveva all’ala sinistra un battaglione di ascari alcomando del tenente colonnello Galliano, l’eroe diMacallé, e alla destra due reggimenti di bersagliericomandati dai colonnelli Compiano e Stevani. Ilprimo attacco scioano venne sulla destra e respin-to; i bersaglieri partirono al contrassalto per impa-dronirsi della posizione del colle Zebon Darò cheriuscirono a raggiungere, ma facendosi praticamen-te distruggere.Fu a questo punto che il disastro si verificò all’alasinistra dello schieramento dove, inspiegabilmente,i 1.200 ascari di Galliano, reduci da Coatit e daMacallé, uno dei più gloriosi reparti dell’esercitocoloniale italiano, volsero le spalle non appenaattaccati.Galliano, catturato, fu mandato davanti alla tendadi Menelik ma al suo rifiuto di vedere l’imperatore,due guerrieri lo misero in ginocchio e lo decapitaro-no. Nello stesso tempo cadde anche Arimondi: feri-

to da una pallottola al ginocchio, circondato dagliabissini, si appoggiò ad un mucchio di cadaveri,estrasse la spada e si difese finché non fu sopraf-fatto e ucciso.La notizia che la colonna Albertone era statadistrutta e che quella di Dabormida aveva le orecontate, giunse a Baratieri verso mezzogiorno.Decise quindi di ritirarsi, dopo aver tentato invanodi costituire un nucleo di resistenza a Yeaha. Lacolonna superstite perse tre volte la strada, ma perfortuna gli abissini, paghi della schiacciante vitto-ria, la inseguirono solo per pochi chilometri. Alle 9della sera, gli scampati di Adua trovarono riparo adAdì Cajè.Baratieri, fuori di sé, ormai condannato come capomilitare e uomo politico, inviò a Roma un telegram-ma in cui diceva: “Invano ufficiali cercavano trat-tenere soldati su qualcuna delle successive posi-zioni, pochi nemici irrompenti e pochi cavalieriscioani scorrazzanti bastarono a travolgere tutto.Allora cominciavano le vere perdite; soldati comepazzi gettavano fucili e munizioni per l’idea che sepresi senz’armi non sarebbero stati evirati, e quasitutti gettarono viveri e mantelline...”. Dalle sueparole, sembrava che ogni colpa fosse addebitataalla truppa.La sconfitta fu cocente: rimasero sul terreno oltre4.000 italiani e duemila indigeni, il 46% degli uffi-ciali, e la cattura di 1.900 soldati italiani. Ai circa400 indigeni catturati dagli etiopi, che avevanocombattuto con gli italiani, Menelik fece amputarela mano destra e il piede sinistro affinché nonpotessero più montare a cavallo, né usare le armi.La dura sconfitta di Adua mise in piena luce l’im-maturità coloniale dell’Italia umbertina. Il GovernoCrispi cadde, lasciando la successione al marchesedi Rudinì. A Roma si volle ad ogni costo la pace conMenelik, che fu firmata il 26 ottobre 1896 adAddis Abeba, con un protocollo per liberare i prigio-nieri che languivano nel più tragico abbandono,mancanti di tutto, e che il Negus si rifiutava di libe-rare subito. Si convenne che i prigionieri italiani,dichiarati liberi, sarebbero stati consegnati adHaràr.

In alto a destra: il forte di Adigrat in un disegno d’epoca.Nella campagna italo-etiopica del 1895-’96 il forte erail centro di rifornimento dell’esercito di Baratieri. Dopo labattaglia di Adua, la sua guarnigione fu investita dagliabissini che la strinsero d’assedio per 65 giorni, fino aquando il generale Baldissera potè rioccupare la posizio-ne, dal 4 al 18 maggio, per cederla poi a ras Mangascià.