Numero 6 - Turismo

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 numero sei turismo

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Il turismo è il prodotto par excellence della civiltà globale, l’emblema del capitalismo, il punto di fuga della società dei consumi. E anche noi pennivendoli dell’ode a volte vestiamo camicia hawaiana e bermuda. Col monocolo da colonialista amiamo discettare, tornati all’ovile, delle meraviglie che abbiamo incontrato - ma anche e soprattutto del sistema economico e dei rapporti sociali e culturali che soggiaciono a questo processo estivo di migrazione coatta, noto come turismo.Il nostro viaggio nel mondo delle vacanze estive non può che essere, contro ogni standard dell’ode, full- comfort e all-inclusive. Infatti questo mese il giornale sarà due giornali. Il turismo infatti è fatto di sguardi, di immagini e di prospettive - e quindi di due orizzonti degli eventi: quello del visitante, e quello del visitato. Così, ancora una volta, abbiamo tirato fuori dal nostro cappello a cilindro due nuove sezioni e le abbiamo chiamate “Da questa parte” e “Dall’altra parte”.Da questa parte si situa il nostro sguardo di viaggiatore torinese, con le tasche piene di biglietti del pullman stampati in caratteri incomprensibili, alle prese con guide turistiche di paesi lontani, mercanti truffaldini e hostess suadenti. Dall’altra parte, invece, è in agguato lo sguardo del turista sperduto che si trova catapultato nella nostra città, e deve orientarsi fra fiumi, savoiardi a cavallo, sindoni e mummie e obelischi quasi fosse al Cairo.

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numero sei

turismo

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2 - l’ode

e d i t o r i a l eNel 1693 Giovanni Francesco Gemelli 

Careri, calabrese abbiente tediato

dalle liti di casa, lascia la famiglia e

 intraprende una circumnavigazione del 

 mondo che durerà quattro anni. Il suo

viaggio non ha alcuno scopo preciso,

  la sua impresa è puro vezzo, mero

svago, evasione filistea: qualcosa

di incomprensibile per la sua epoca.

Privo com’è di secondi ni, Careri è il 

 primo turista della storia dell’umanità:

viaggia per compiere il viaggio e, più

tardi, poterlo descrivere. Egli inaugura

una tradizione di  viaggi oziosi  , di 

viaggi-sguardo e suggestione, che

oggi fanno la fortuna delle agenzie di 

viaggio.Quasi due secoli dopo, Fileas Fogg

 parte (così ci illude Verne) per la sua

 avventura di 80 giorni. Rapido come

  il progresso, i nestrini possibilmente

chiusi, Fogg, che se ne inschia del 

  paesaggio, è il prototipo del turista

  moderno del pacchetto tutto-compreso  , gli occhi chini sulla guida

turistica più che sul panorama: è lì per 

essere lì, e poco gli importa di fare un

 passo fuori dalla sua carrozza.

Grosso modo è così che affronta il temadel turismo un noto losofo tedesco,oggi ampiamente frequentato (lapipa rigorosamente alla bocca), da

molti intellettualoidi di sinistra - senon riportiamo il suo nome, è soloperché lo riteniamo impronunciabile.Il ritratto che presenta del caro Fileas

Fogg è eccessivamente enfatico, lasua diagnosi del turista moderno

decisamente sommaria; ma le sueparole ci affascinano e ci carezzano,e sono dunque adatte a cominciare ilnostro viaggio nel mondo del turismo.Perché parlare di turismo? Perchéperché perché, sempre perché.Perché il turismo è il prodotto  par 

excellence della civiltà globale,l’emblema del capitalismo, il punto difuga della società dei consumi.Perché anche noi pennivendoli dell’ode

a volte vestiamo camicia hawaianae bermuda , e col monocolo dacolonialista amiamo discettare, tornatiall’ovile, delle meraviglie che abbiamoincontrato - ma anche e soprattutto

del sistema economico e dei rapportisociali e culturali che soggiaciono aquesto processo estivo di migrazione coatta , noto come turismo.Il nostro viaggio nel mondo dellevacanze estive non può che essere,contro ogni standard dell’ode, full-

comfort  e  all-inclusive. Infatti questomese il giornale sarà due giornali:un espediente discutibile, dirannoi nostri detrattori, ma che è statonecessario per affrontare il tema delturismo in maniera comprensiva. Ilturismo infatti è fatto di sguardi, diimmagini e di prospettive - e quindi didue orizzonti degli eventi: quello delvisitante, e quello del visitato. Così,

ancora una volta, abbiamo tirato fuoridal nostro cappello a cilindro duenuove sezioni e le abbiamo chiamate“Da questa parte” e “Dall’altra parte”.

Da questa parte  si situa il nostrosguardo di viaggiatore torinese, conle tasche piene di biglietti del pullmanstampati in caratteri incomprensibili,alle prese con guide turistiche di paesilontani, mercanti truffaldini e  hostess suadenti. Dall’altra parte,  invece, è in agguato lo sguardo del turistasperduto che si trova catapultato nellanostra città, e deve orientarsi fra umi,savoiardi a cavallo, sindoni e mummiee obelischi quasi fosse al Cairo.Nella prima parte del giornale - laddovelo sguardo riposa ancora “da questaparte” - abbiamo invece sperimentatouna scrittura alternativa, diversa daquella scelta nei numeri passati:brevi aforismi, fugaci immagini di

pensiero che seguono un’andaturaframmentata.“Scorciatoie” ci sembra la parolapiù adatta a denire questi brani.Una scorciatoia arriva al succo dellaquestione senza preamboli e lunghigiri di parole. Getta subito sul tavoloda gioco la puntata del pensiero.Una forma breve, poi, è perfetta peril formato del nostro giornale: nonè spaziosa ma allo sesso tempodeposita fra le righe una densità disenso che non si lascia consumare auna lettura immediata.Ma chi si loda s’imbroda. Non lodiamol’ode, allora, e lasciamo a voi ilgiudizio: godete, affondate a dovere il

naso in mezzo ai nostri neri caratteri diinchiostro afghano, nemente rafnatonelle botti di rovere della Tipograa LaMarca, Torino.

novembre ‘11

di NeRi

pagina 3 pagine 4-7

non-luoghi scorciatoie

pagina 8

torino

pagine 10-12

riflessioni

pagina 15

scontripagina 16

sagrepagina 13 pagina 14

cultura  università 

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l’ode - 3novembre ‘11

Turista,migrante,viaggiatore

di Dario Consoli

È l’epoca del turismo di massa, per

tutti. Per chi si reca in paesi dal fasci-no esotico e per chi abita i luoghi deisogni vacanzieri e vede nel turismouna risorsa economica fondamenta-le, pur vivendone sulla propria pelle lecontraddizioni – monopolio di multi-nazionali, sfruttamento lavorativo, de-vastazione del patrimonio ambientalee storico. Capire il turismo signicainterrogare le relazioni fra i luoghi e lestrategie dei corpi che li attraversano,fra i conni geopolitici e i diritti degliindividui.Nel turismo si materializza il parados-so della mobilità e dell’esperienza del-lo spazio e della frontiera nel mondoglobalizzato: “i turisti si recano volen-tieri presso quei paesi dai quali gli emi-grati partono in difcili condizioni, tal-volta a rischio della vita”, scrive Augéin Per una antropologia della mobilità.

Se gli uni possono oramai attraversareconni e raggiungere paesi con estre-ma facilità, agli altri si frappongono

barriere invalicabili. La distinzione ètra quelli che stanno fuori e quelli chestanno dentro quello che Sloterdijk hachiamato il Palazzo di Cristallo, la gi-gantesca serra del comfort all’internodella quale vivono i ceti benestanti deipaesi occidentali.Per garantire il proprio ambiente in-terno e la propria sicurezza, essanecessita solo raramente di connisici, mentre perlopiù “istituisce lesue barriere più efcaci sotto formadi discriminazioni – sono pareti fattedi possibilità di accesso e patrimonimonetari che dividono chi ha da chinon ha, mura che vengono erette conla più asimmetrica delle distribuzioni dichance di vita e opzioni di impiego”.La straticazione della società post-moderna è data dal grado di mobili-tà, ovvero dalla possibilità di sceglieredove andare o restare. È in questosenso che Bauman (Dentro la Glo-

  balizzazione - Le conseguenze sulle

 persone) giustappone al turista la gu-ra del vagabondo. Il primo si muoveperché lo vuole, in un mondo attraentee a portata di mano; il secondo per-ché deve, a causa di una situazioneinsostenibile, e sempre con estrema

difcoltà. Il vagabondo è l’incubo delturista, assediato nella lussuosa cam-pana di vetro in cui vive tanto a casaquanto in vacanza. Egli teme, incon-sciamente, di poter scivolare da unmomento all’altro nella stessa situa-zione.In un altro saggio (La società dell’in-

certezza), Bauman individua nel turistae nel vagabondo, insieme al flâneur  e al giocatore, delle gure, dei modidell’identità caratteristici della con-temporaneità postmoderna. L’indi-viduo moderno è stato un pellegrinoche attraversava il mondo come undeserto, cui conferiva signicato attra-verso il vagabondare.

Le orme sulla sabbia tracciavano unastoria e un cammino riconoscibile eorientato, ciò che veniva chiamato“costruzione dell’identità”. I tipi dellapostmodernità invece, muovendosi inun mondo liquido nel quale l’obiettivoconsiste nell’evitare ogni ssazione,“militano contro la costruzione di retidi doveri e obblighi reciproci che sianopermanenti”. Il turista, in particolare, “èun ricercatore d’esperienza coscientee sistematico. Di un’esperienza nuovae diversa, di un’esperienza di differen-za, e di novità – dal momento che le

gioie di ciò che è familiare si logoranoe cessano di attrarre”.Il turista moderno, dice Augé, è un“consumatore che si crede viaggiato-re”; egli fruisce di uno spazio-tempoappiattito dai cataloghi delle agenzie etransita o si intrattiene in “nonluoghi”(autostrade, aereoporti, villaggi turi-

“Nella società globale il

colombo è il denominato-

re comune di ogni

esperienza turistica”

stici): spazi privi di riferimenti sociali estorici. Per superare le contraddizionidi questa “mutazione antropologica”è necessario recuperare, in contrap-posizione al turismo, il senso auten-tico del viaggio – elemento che rive-ste grande valore simbolico in culturemolto diverse. E per saper viaggiare,bisogna forse esser stati vagabondialmeno una volta nella vita.Il turista non abita i luoghi che visita;egli “consuma l’esotismo […] ma re-sta a casa [sua], anche quando nonlo è”. Il viaggiatore tende invece a trat-tenersi, a dare importanza alla stradaagli spazi attraversati. Egli sta presso il luogo che visita e che, pur vivendouna duplice estraneità (esteriorità dalcontesto visitato, astrazione dal pro-prio sé abituale), riempie di signicatoe di relazioni, sottraendolo al vuoto edesolante destino del  non-luogo. Dauna parte il turista vive il mondo inquanto ridotto a merce di consumo,e come consumatore lo utilizza edesaurisce; dall’altra il viaggiatore sisforza di far emergere il senso cosmo-politico della globalizzazione: il mondocome una grande casa da abitare.Oggi più che mai occorre ripensare e

ridenire la politica di circolazione degliesseri umani. Tanto nella loro veste dituristi, quanto in quella di vagabondio migranti “clandestini”. Categorie chevorremmo veder cadere di fronte alriconoscimento di un bisogno umanofondamentale: la mobilità o, meglio, ilviaggiare.

Da questa parte

Suggestioni su turismo ecapitalismo globali

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novembre ‘114 - l’ode

Fuori da Santa Soa incontro unvescovo irlandese travestito da turista.“Non mi sentirei a mio agio, con ivestiti lunghi”, mi dice. Lo ignoro. Luimi si accosta e mi dà un colpetto conil gomito: “Santa Soa non esiste, insé”. Il suo alito puzza d’alcool. Io miavvicino all’edicio e batto il mio pugnotre volte contro l’ingresso imponente.Non si arrende, è piuttosto invadente.“Mah, sì” -sbuffo di alcool- “l’haipercepita con il tatto. Allora certo cheesiste. È tangibile perché la tocchi,

non è che la tocchi perché è tangibi le.”I suoi denti marci mi danno la nausea.Mi prende per una manica. “Aspetta.Guardati intorno. Cento turisti lastanno osservando. La metà di loroha la macchina fotograca in mano.Poi ci sono due greci, là in fondo, unacoppia. Sono due ortodossi ferventi.Il ciccione sta spiegando alla mogliequanto era bella Santa Soa prima chegli infedeli la conquistassero. Quantoera sacra prima che le piazzasserosopra i minareti! Vedi i suoi gesti? Odiai turchi, le orde di infedeli. Alla lorosinistra c’è un signore con gli occhiali.Un archeologo tedesco, ammira ilpeso storico di queste pietre”. “Dove

vuoi arrivare?”, gli chiedo. “Ci sono trepercezioni differenti. La prima: Santa

Esse est percipiSoa è un’attrazione turistica che sitrascina dietro le fotograe di famigliae qualche sguardo annoiato allaguida. Oppure, e siamo alla seconda,è il ricordo di un simbolo religiosoimmenso, il cuore dell’ortodossia,come pensa il nostro greco. Terzapercezione, quella archeologica,o storico-artistica: un monumentodenso di cultura e memorie delpassato.” Gli dico che ognuno cipuò vedere quello che vuole. “Io dicoinvece che i due greci e l’archeologo

sbagliano di grosso”, mi risponde.“Santa Soa è solo un bel museoda postare su Facebook e le suepietre non vogliono dire altro: essedipendono dai cento sguardi che haattorno”. “Preferirei conservasse lasua sacralità”, sospiro. “Allora mi deviassoldare cento ortodossi ferventi edevi piazzarli qui sotto. Si aggiungonoai nostri greci e arriviamo a centodue,contro cento turisti. È l’egemoniadella percezione. E se gli ortodossi virestano sotto per almeno un giornosono sicuro che il patriarca può ancheinsediarsi, come ai vecchi tempi. Poiperò sarà necessario convertire tuttii turisti futuri, prima che la guardino,

e salvare l’edicio da un un avvenirecircense”

Scorciatoie

Parto da Palermo, al mattino presto.La rotaia non aspetta. Panino dolce intutta fretta, viaggio incosciente, frame

di colline, sonno senza nome.Poi d’argento s’apre Agrigento.Oltre le sue tette guarda il mare e il suoombelico greco.Polvere e sudore di liquirizia, impastodi ulivi e mandorli, cocci e cacti.

Nella voce che sgorga da sotto unparasole bianco, rivive un foro ditrinacria venduto come fosse ancoravergine. Le origini ai porci. Il virusdella ricerca delle origini perdute,pandemico nell’antropologia di inizio‘900, oggi colpisce sempre più i turisti.Neppure una metopa s’è salvata dallasabbia. Neppure un colore avanza

Akragas al morso grigio della pietra. Grovieradi tufo. Un muro inciso di mezzi soli:necro-monolocali.Sagome di dee bianche sgorgano dalnous e si solidicano nel naòs.Eserciti di cacciatori del sacro siaggirano, cane da tartufo al guinzaglio,tra le rovine.Le Nikon spalancate puntano, comefucili protonici, ogni scorcio.Questi erano pagani, bisogna fare

attenzione: qui gli dei si possononascondere ovunque, possono averequalsiasi forma.Un naso di Poseidone dietro quellacolonna, un dito d’Apollo tra queirami, una tetta di Demetra in mezzoai chi indiani. Zeus è un inserviente:i fulmini li jetta a chi non paga per latoeletta.

Due italiani al checkpoint militare perentrare nella Grotta dei Patriarchiad Hebron, dove sono conservatele spoglie di Abramo, Isacco eGiacobbe. “Are you jewish?”, “Ehm,no”, “Are you cristian?”, “Yes”. “Comein”. “And you, are you jewish?”, “No”,“Cristian?”, “No”. “Ehm, but, what...But you aren’t Muslim, are you?”,“No, no”. “Ok, come in”. I controlli

all’ingresso non sono particolarmenterigidi, ma a seconda della religioneprofessata il visitatore segue unpercorso differenziato: ebrei e cristiani

Solo dei colombi da una parte, musulmani dall’altra.Pur riconoscendosi entrambi in

 Abramo, un ebreo ed un musulmanonon lo pregano nello stesso luogo.

  Abramo è diviso da un muro, perpermettere ad entrambi di onorarlo,e di non farlo insieme. A svolazzareda un parte all’altra del complesso,solo dei colombi. L’immagine èretorica, inflazionata, banalmentecinematograca e un po’ ingiusta,ma è suggestiva e vale la pena di

riportarla: sono quei colombi gliunici ad avere la possibilità di vedere  Abramo da entrambi i lati. Les

frontières on s’en fout.

ceci n’est pas une liste

Bosnia: Davide Diena Palestina, Russia: Andrea SalvoniPaesi Caldi: Francesco MigliaccioItalia: Simone Perazzone

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novembre ‘11 l’ode - 5

  Agosto 2011. Il centro storico diNapoli è deserto. Molti negozi fraForcella e Via dei Tribunali sono chiusi.Qualche spaesato turista biondo epallido si aggira per i vicoli. Napolivive la crisi del turismo. La causa: iriuti. La lattina lasciata sul ciglio dellastrada, in una realtà urbana incapacedi smaltirla.

Il riuto fa venire a galla le contraddizionidel capitalismo. Il circolo virtuosodi produzione e consumo lasciai suoi resti fetidi: la  monnezza. Ilsistema deve ridurla, nasconderla inperiferia, accumularla dove nessuno

Vedi Napoliabita. A Napoli questo non accade:l’emergere dell’immondizia portaalla luce le contraddizioni del nostrosistema economico.Sono i brandelli soffocanti di quantosfugge al consumo bulimico atestimoniare l’insostenibilità di unmodello di produzione. Napoli non èuna città arretrata, ma una profezia sulfuturo occidentale.La crisi del capitalismo e la crisi delturismo si intrecciano nella lattina di

Coca Cola schiacciata nei vicoli. La monnezza per la strada pregura ilrovesciamento dell’industria turisticae dei rapporti di forza del capitale. Ilsuono di Utopia ha la melodia delmandolino.

Quando sbarcate nell’aeroporto diun paese straniero, o di una regionedistante, entrate in un fast-food , in unbar, in una tavola calda. A voi la scelta.Basta che siano liali di una grandecatena. Ivi è più facile, nella bocca dellastandardizzazione, trovare le carie,

i denti d’oro, il tartaro accumulato.Le usanze tipiche di un determinatoluogo, come nautili, come detriti fossiliusurpati al loro habitat, s’incrostanoin questi non-luoghi, sopravvivono

Nautili mummicati.Ciò che ha resistito alla gravitàe alla pressione della necessitàuniformante – perché troppo piccolo,perché invisibile, perché nascosto –palesa le irriducibili idiosincrasie diun paesaggio culturale.

 Ad esempio, nell’aeroporto di Napoliin tutti i bar troverete, posato sul

bancone, un piattino con dellemonete. Il caffè è un diritto chetrascende il concetto di proprietàprivata: la comunità se ne fa carico,per chi non può pagare.

Limnos è un isola greca. In mezzoal Mediterraneo, di fronte allo strettodei Dardanelli. Su Limnos cresconomeloni e uve da vino, pomodori emelanzane.Solo forme di vita ben attaccate alsuolo. Il sole e il vento che spazzal’isola non lasciano spazio ad altro.Non ci sono alberi, su Limnos.Nemmeno il turismo riesce adattecchire, se non nelle vie della cittàpiù grande – e solo nei mesi di punta.Limnos è una costellazione di paesinipoco abitati, di strade cotte dal sole e

Isoledi ville poco appariscenti di una sparutaborghesia europea. L’isolamento è unostacolo determinante al colonialismodelle macchine fotograche e il mareè la più radicale forma di opposizionealle invasioni delle cartoline e deivillaggi sulla spiaggia. Utopia nonpoteva che essere un’isola – ogniforma di resistenza o di alternativadeve essere separata dal mondo,dalla metropoli.Per questo l’avanguardia del capitaleva a studiare a Mykonos. Mykonos èla promessa di plastica e di decibel:tutto è conquistabile. Mykonos è lospecchio di Limnos: Distopia.

Nel suq di Fez, Marocco centrale,cerco una teiera. “La vuoi vera?”.Chiedo quale sia la differenza con unateiera nta. “Quella vera la puoi usare,l’altra è solo un soprammobile”. Il suq contemporaneo offre oggetti chedevono testimoniare l’impresa turistica:

cianfrusaglie colorate da disporre sultelevisore prima della cena con gli amici.Il souvenir, ricordo di materia, dischiudeil mercato dell’inutile. Nel frattempoi vasai che da secoli occupavano ilcentro della medina sono costretti dalle

Del ricordo materia  autorità a sloggiare in periferia: il fumodei forni disturba le nari dei turisti.Sulla spianata del Trocadero ogni giornodecine di africani vendono le riproduzionidella Tour. I nuovi migranti vendonomemoria di plastica. Stanno in piedi,in la, come in catena di montaggio.Quale è il valore d’uso di una piccola

 Tour? Quale il valore di scambio? A chi

appartengono i mezzi di produzionedi oggetti che non sono nemmenopiù consumabili? Lo sfruttamentosembra de-realizzarsi: dalla produzioneindustriale alla vendita al dettaglio disimulacri. Dal Marocco a Parigi.

Il suq di Marrakech è il mondo deisogni. Sogni occidentali.Il suq materializza l’immaginarioeuropeo, i turisti in camicie di flanellae pantaloncini corti possono compraretutto quello che hanno sempreimmaginato: spezie, borse di pelle,

vasellame, tessuti, pipe. Lampadea olio variopinte occhieggiano aituristi: una stronata, ancora qualchedesiderio da esaudire. Intanto, nellapiazza Jamal el Fna, alcuni anziani conil turbante incantano i serpenti.L’esotico inizia quando niscel’Occidente, oltre non ha conni:

  Turchia, India e Maghreb sono terredense di odori, sapori sensuali,notti calde sul limitare dei deserti,volti misteriosi di donna. Nel centrodi Marrakech gli incantatori indianiconvivono con venditori abbigliati dabeduini: la cultura degli altri non sidistingue più e l’esotico oriente diventail tema di un parco dei divertimenti.

 Anche nelle Mille e una Notte la culturaindiana vive a anco a quella araba epersiana: geni e principesse, marinaie beduini si affastellano l’uno sull’altro.Come il testo, così la realtà: il mercatoturistico materializza le narrazionioccidentali sull’oriente.

 Aladino vive e vende con noi.

Mille e un Market

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6 - l’ode novembre ‘11

Quando giungo sulla strada acciottolatache conduce al centro di Mostar,mi accorgo che qualcosa non va. Ilfascino discreto e un po’ decadentedi Sarajevo non abita qui.Ha lasciato il posto a una distesainnita di bancarelle e negoziettiricolmi di ogni sorta di souvenir . Qui èpieno di Bosnie. Sul bancone a destraci sono venti Bosnie-termometro appena sopra un centinaio di Bosnie-

 portachiavi. Più avanti fanno bella

Qui è pieno di Bosnie

Atto Secondo

mostra di sé delle Bosnie-grembiule

non meno accattivanti delle Bosnie-

ombrellino che li precedono.Sull’espositore, là in fondo sullasinistra, campeggia una enormeBosnia-orologio.

Non è certo la prima volta nella mia vitache vedo un’accozzaglia di souvenir 

alla mercé del turista medio eppurequesta volta ci rimango un po’ male.Sarà perché non me lo aspettavo quinel mezzo dei Balcani o sarà perchéduecento metri prima la guerradell’altro ieri mi aveva mostrato ben vivii suoi segni,sul prolo accartocciato diun palazzo abbandonato.

Girato l’angolo, la lunga la ininterrottadi banchetti prosegue. Bandieredella repubblica croata stanno abraccetto con cappelli dell’armataserba e spillette dell’esercito regolarebosniaco: anche il caleidoscopiopolitico si ricompone per la gioia delvisitatore.

 Vengo attirato da una cesta: è piena diportachiavi, e questa volta non sonodelle Bosnie ma dei proiettili. Ebbenesi, pure il simbolo del massacro

è diventato souvenir . Anche lostrumento di morte è riprodottoall’innito e viene venduto a modiciprezzi. Un po’ scosso mi avvicino algiovane ambulante deciso a chiederglispiegazioni.“Ma come”, esclamo, ”non vi sembrafuori luogo mettere in vendita dei

Dei proiettilie del loro mercatoAtto Primo

proiettili, questi no a quindici annifa sibilavano impazziti sulle vostreteste, quante persone che conoscevisaranno morte per oggetti comequesti?”.Con la massima naturalezza delmondo e un sorrisetto furbo mirisponde: “Che ci vuoi fare, nevendiamo un sacco, piaccionomolto soprattutto agli americani, epoi la guerra è quello per cui tutti ciconoscono, dovremo pur sfruttarla”.”Comunque ai croati facciamopagare molto di più” aggiungemostrando un cartello che recita: 1

Euro = 2 Marchi bosniaci = 10 Kune. Poche ore più tardi alla frontiera

croata scopriremo che il cambioufciale è 1 Marco = 3 Kune.

  Anche l’odio etnico nel mondo delturismo si misura in denaro, e amodici prezzi. E intanto il turistacompra e spende e tutte le vie delmondo si trasformano in un grandecentro commerciale a cielo aperto.

Si delinea sullo sfondo del cielol’imponenza di Santa Soa, ricordodella Costantinopoli caduta, e sistaglia la Moschea Blu, il tripudioimperiale ottomano. La città antica siaffaccia sul Corno d’Oro e si srotolafra il Gran Bazar e le vie color del miele.Istanbul si concede al tramonto, vistadal mare, mentre il sole si nascondedietro ai minareti e le navi dirette alBosforo lanciano i loro richiami.Contrappunti . Tredici milioni di abitantiin un hinterland sconnato. Il cementoavvolge tutto. Tredici milioni di abitantisi affollano in grattacieli e baraccopoli,ma nessuno abita nel centro antico,fra Sultanahmet e la moschea diSuleymaniye. Questa Costantinopoli,di notte, è una città fantasma: le

vie sono deserte. Dopo il tramontonessuno si inoltra dentro l’Istanbulimmaginata dall’Occidente, restanosolo i negozi chiusi e gli edici gondella gloria trascorsa.Resta il silenzio. Tutto torna in vita almattino: i musei aprono, i venditoriambulanti calcano le strade, i negoziespongono le merci occidentali e isouvenir. Istanbul antica è un grandeparco giochi a cielo aperto. I narghilé sono come lo zucchero lato, o ungiro di giostra.Ma torna sempre la notte e le vieassumono lo stesso aspetto deisentieri che si aprono fra i tendonidel circo, quando il buio scende suivolti sfatti dei pagliacci. Santa Soaforse è crollata da tempo. Oppuredei collezionisti l’hanno smantellata,pezzo a pezzo. Al suo posto, svettauna riproduzione realizzata dallostesso architetto del castello diBiancaveve, a Disneyland.

Circo IstanbulSpunti per immaginareIstanbul

Mi guardo attorno perplesso e un po’stranito prima di incamminarmi versoil celebre ponte a gobba d’asino diMonstar, Bosnia. Il simbolo dellaresistenza prima e della disperazionepoi è stato ricostruito pochi annifa. Ora, in una calda mattinata diagosto, è stracolmo di turisti di ogni

Nell'epoca della 

riproducibilità 

nazionalità.  A pochi metri dal ponte un signore

sui trent’anni, baffetti e occhialini, èimpegnatissimo a riprodurre su telacon indiscutibile precisione il prolodel ponte; tutt’intorno, sulle pareti delsuo negozietto, decine di altri quadrettirappresentano il medesimo soggetto.Penso all’alienazione dell’operaio incatena di montaggio, questo non èpoi tanto diverso. Eppure la legge delmercato lo richiede.Il turista vuole portarsi a casa un pezzodella città. Il pittoperaio glielo offre.

Atto Terzo

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La toponomastica di Mosca è unodegli elementi che segnano conmaggiore evidenza il passaggio che lacittà, e tutta la Russia, hanno vissutonegli ultimi vent’anni. Fatta eccezioneper le vie del centro, in cui i nomi dellestrade sono segnalati da cartelli nuovidi zecca, nel resto della città ci si puòimbattere in nomi di vie cambiati dauna mano approssimativa di vernicee un tratto di penna. Il comunismoche fu è, dove possibile, cancellato o,dove sfruttabile, ridicolizzato. Sotto ai

E qualcosa rimanecartelli che danno nomi nuovi a stradeche in passato onoravano Zukov eLenin, adesso i turisti fanno le foto incompagnia a tre personaggi bizzarri:Lenin, Stalin e Breznev – o dei loro sosia,le loro maschere – che con la Pravda inmano, i baffoni sul viso e le onoricenzemilitari sul petto, si mettono in posa perlo scatto. Le bancarelle, nel frattempo,sono piene di magliette inneggianti alKGB o al silenzio staliniano. I centurioniromani davanti al Colosseo nonpotrebbero essere onorati meglio.

l’ode - 7novembre ‘11

La Tour svetta sugli Champs de Mars,mentre i turisti si fanno fotografarenel tentativo di sorreggerla. Sugli

schermi digitali la Tour brilla nelsuo grigio metallico, nelle cartolinesvetta imponente e nei lm su Parigitestimonia orgogliosa il suo dominiosimbolico. La Tour vive nelle immaginiche invadono la cultura occidentale ecome un virus si duplica nelle calamitesul frigo, nei portachiavi, nei souvenirabbandonati a anco del televisore.Ogni immagine-Tour sussurra ancorale promesse di un tempo: il fulgore delprogresso, la bellezza del metallo, lemagniche sorti del capitalismo.Il rapporto fra oggetto reale eimmagine si è rovesciato: non sonopiù le immagini a dipendere (a ri-presentare) la realtà dell’edicio; ora

avviene il contrario. La Tour-oggetto è stata ormai sopravanzata dalle suerappresentazioni ed è schiava di esse.Ogni mattina, non appena il sole la

Tour Eiffelillumina, la Tour-oggetto insegue ilfulgore delle sue promesse di pixel ,arranca dietro la diffusione delle sueriproduzioni. Il suo corpo vivo, fattodi molecole, si presta allo sguardodi migliaia di turisti e sempre menopotrà soddisfarne le attese. Il ferro èormai antico e il tempo canta il lentodisfarsi della materia: la Tour reale

perde terreno e non è all’altezzadell’immaginario che ha prodotto.Pochi se ne sono accorti: fra leretine e il disfacimento del ferro sifrappongono le immagini registratenella memoria di ognuno. Il segretoregge ancora. Ma cosa accadràquando la prima crepa si aprirà,nel silenzio di una notte? Quando ilvelo di ruggine salterà agli occhi deituristi più attenti?Ogni immagine della Tour coltada lontano (nel pieno delle suepromesse) è un colpo assestatoal duro metallo dell’oggetto. Ogniriproduzione che viene vendutacome soprammobile è una ferita

aperta nell’originale. Ogni flash chedivampa nelle notti parigine è unsecondo di vita sottratto al sognodella Grande Esposizione del 1889.

Nella medina di Fez, come in tuttoil Marocco, un infedele non puòentrare nelle moschee. Il luogo sacrosi concede solo allo sguardo delcredente. L’islam protegge i suoi spazidai flash dei turisti. È l’opposizione piùforte al colonialismo dell’immaginario

capitalistico.In Turchia le moschee sono aperte atutti. Ogni giorno la Moschea Blu diIstanbul è invasa dai turisti e il brusiodelle voci degli infedeli invade i tappeti,si insinua fra le vetrate, corre sulleschiene genuflesse dei musulmani.Il luogo di preghiera diventa unosfondo ideale per quadretti vacanzieridi famiglie occidentali.Poi la piccola giostra si interrompe.La voce del muezzin risuona, gliinfedeli e i mezzi di riproduzionemultimediali sono banditi: durantela preghiera la Moschea Blu diventaun luogo di culto riservato ai solimusulmani. Brevi attimi di redenzionedalla fantasmagoria turistica, mentrefuori dal perimetro religioso i camerierimostrano i menu per la cena e leriproduzioni in miniatura dell’ediciosulle bancarelle aspettano di brillare alsole del mattino a venire.

  Allah è anti-capitalista, seppur rea-zionario. Dio è grande.

IslamEravamo io, Edward Said e PaoloConte, seduti ad un bar sulla spiaggiadi Bergeggi.Conte bevendo la birra faceva i rumoricon la bocca e aveva tutti i baf unti difocaccia. I tedeschi si giravano schifati enoi ci si vergognava alquanto. Ma Paolo

è così: non puoi dirgli niente, lui fa comevuole.Ma questo è il meno. Stavo peraddentare la prima olivella taggiasca,quando Said ha cominciato. Ce l’avevache la Riviera di Levante è solamenteun’invenzione del neo-colonialismoturistico piemontese, che la Liguriaè sotto l’egemonia sabauda e chele agenzie turistiche sono le nuovesedi di questo potere istituzionalee reazionario, teso a riprodurre leimmagini stereotipiche che voglionoquesta regione come tirchia e pocoospitale, etc...Inizialmente stetti zitto. Seguitavo asputare nocciuoli nella sabbia.

Ma lui parlava, parlava... Io me nestrabattevo, tamburellavo i diti sultavolo e pensavo a quando, da bimbo,mangiavo le focaccine al bar dellaspiaggia (che buone focaccine puoiacquistare nei bar delle spiagge liguri,quando sei bambino! Tutte oleose diquell’olio ligure verde e denso!)Stavo davvero reggendo alla grande,

Levantismi ma dopo che pronunziò l’avverbio“foucaultianamente” per la quartavolta, persi la pazienza. “Said...”,dissi. Continuava. “Said...”, ripetei.Imperterrito. “Said...”, ribadii. Comese nulla fosse. “Buon dio Said! Nonme ne frega un cazzo dei tuoi pipponipost-moderni!”, sbraitai. Tacque,leggermente indispettito. Continuai:

“Voglio solo mangiarmi in santa pace unafocaccina. Una focaccina, Said. Mentreil mare lontano si stropiccia come unacoperta, e le alghe si ammonticchiano agrumi verdi e marroni sul bagnasciuga.”“Si, ma...” tentò lui. “Si ma una fottutaminchia” lo dissuasi io, “Sono invacanza, santoilsignore, e questosignica anche che sono in pausa. Inpausa da tutto. Anche dalle questioniepistemologiche, antropologiche, distoria della cultura e del potere... Sonoaldilà, capisci? Sono nel buco d’olio diuna focaccina cosmica. Nell’atarassiatotale. Quindi, lasciami stare. Se proprionon puoi farne a meno, parlane conConte”.

Dopo una briciola di silenzio, Said sigirò verso l’Avvocato, amareggiato.Paolo scosse la testa e, guardandodentro al bicchiere di birra - nito -,bofonchiò: “Genova per noi, è un’ideacome un’altra... zazza-razaran---zazza-zaran”.Poi si alzò, andò al banco, e ordinò ungelato. Si. Al limon.

Rovesciando i rapporti fra oggetto e immagine

Scorciatoie™ è un progetto a cura di François Milieu

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8 - l’ode novembre ‘11

Dall'altra parte

Questa è una storia che ha inizio ametà degli anni Novanta: la città-fabbrica è in crisi, Torino è costrettaa cercare una nuova identità. Si avviacosì un progetto di riqualicazioneurbana, volta al recupero delle areeindustriali dismesse, ma soprattuttoalla creazione di una nuova immaginedi Torino. Il cuore del capoluogoviene così liberato dalle auto, PiazzaCastello nel 2000 torna ad essere ingran parte pedonale, Piazza Vittorio,pur continuando ad ospitare unparcheggio, ha smesso di sembrarlo,ora le macchine stanno sotto e i turistipossono ammirare quella che vienecelebrata come una delle più grandi

piazze d’Europa.Il centro si è ripulito, è pronto afarsi vedere. Un’ulteriore spintaè stata data dai Giochi OlimpiciInvernali del 2006. Hanno portato a

  Torino grandi nanziamenti europei,nazionali, pubblici e privati; sono statil’occasione per l’inaugurazione dellaprima linea della metropolitana, masoprattutto hanno dato alla città l’altavisibilità che cercava da tempo.Da quella data a oggi è stata unacontinua ascesa, Torino ha imparatoa vendersi, ha capito che persoddisfare i turisti deve sempre dareloro qualcosa da fare; si moltiplicanocosì gli eventi che la città ospita: IlSalone del libro, Torino Comics, Bien-

 nale Democrazia, Torino Film Festival,

Torino Spiritualità.   Viene scelta comeCapitale Mondiale del Design nel 2008e come Capitale Europea dei Giovaninel 2010. Persino l’ostensione della

Sindone si trasforma in un’occasioneper ottenere maggiore visibilità.

Un turbinio di eventi che quest’anno,con le celebrazioni per i 150 annidell’Unità d’Italia, ha raggiunto l’apice.Da aprile la città è perennemente infesta, gli eventi si susseguono senzadare tregua ai torinesi. Si moltiplicanoa vista d’occhio le bandiere tricoloreappese fuori dalle case, e sullebancarelle spuntano coccarde epiccole riproduzioni della Mole.

  Torino si sente una grande realtà,pronta a competere con le altre in Italia.Le manca solo il biglie tto da visita. Cosìnel 2010 viene prodotta una guidaLonely Planet apposta per lei. Se daun lato è signicativo che la celebre collana in passato non avesse presola nostra bella città in considerazione,è altrettanto signicativo che Torinonon abbia tutt’ora una vera e propriaLonely Planet. Ne è stata prodottauna versione ridotta, che si chiama“Incontri”, sintomatica: una città che

Riletture

La città sabauda e isuoi mille volti

Come tumi vuoi

di Mara Caibo

si fa in quattro per emergere e nonriceve lo stesso la considerazione che

vorrebbe.“Verrebbe da dire che Torino sia la piùbella delle città italiane meno note (o lameno nota delle città italiane più belle).E quindi forse la più sorprendente ditutte”, recita l’introduzione di AldoCazzullo alla guida. La Torino cheemerge dalla Lonely Planet è gio-vane ed effervescente, ben diversadalla città d’arte impregnata di sto-ria che viene presentata dalle guidedel Touring Club Italiano. È una cittàin cui l’arte fa soltanto da cornice: imonumenti, le piazze, i musei nonsono che uno scenario. La vera cittàpare essere quella in cui gli eventi nondanno tregua, quella fatta di negozi elocali chic, è la città della vita notturnae della  movida. Un palcoscenico chevuole ammaliare i turisti e compiacerli.

  Tutto qui? È davvero questa Torino?No. Torino resta pur sempre il brusiodi Porta Palazzo, meta di migranti,

prima dal Sud Italia e poi dal Suddel mondo, i quartieri di Falchera, di

Barriera di Milano, del trafco di drogae della criminalità. Basta prendere unpullman che si sposta dal centro versola periferia per rendersene conto.Corso Regina Margherita è come unospartiacque, che separa nettamente ledue facce dell'urbe: a sud il lato pulito,elegante, la facciata; a nord il degrado,l’immigrazione, le contraddizioni.Come possono queste due facceconvivere? Semplice. Si fa come siè fatto per anni. Una volta, arrivandoda Corso XI Febbraio all’incrocio conCorso Regina Margherita, con losguardo rivolto alla piazza del Duomonon si vedevano i bei parchetti conl’erba e le panchine che ci sono ora.C’erano giganteschi pannelli colorati,degli enormi trompe l’oeil  che na-scondevano i carri accatastati delmercato e la sporcizia.

 Torino nasconde le sue contraddizionie mostra la facciata.

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Semiotica 

Marketing di una città 

di Eleonora Chiais

Poco più di due secoli fa, nel 1797,il Parlamento della Repubblica Cis-padana sancì ufcialmente la nascitadel tricolore italiano. Con una postilladecretava che bianco, rosso e verdedovevano essere presenti anche nel-la Coccarda Cispadana, “la qualedebba portarsi da tutti”. Oggi, a piùdi due secoli di distanza, sembra chela proposta di Giuseppe Compagnonisia stata presa alla lettera, almenonella città di Torino.

 All’ombra della Mole, in occasione deifesteggiamenti per il 150° anniversariodell’Unità d’Italia, i gadget creati 

  ad hoc sono autentici “must have”.

  Turisti e autoctoni non disdegnanole bancarelle, pronte a soddisfareogni genere di patriottico desideriomodaiolo. Vale la pena di interrogarsisulle cause di questa freneticacorsa allo shopping: seguendo lamassima di Baudrillard, possiamocogliere le innovazioni di una società“attraverso i messaggi emessi dallemerci che la costituiscono”. In questachiave di lettura, l’oggettistica del150° assume un chiaro signicatosociale: coccarde, magliette, cappellie bigiotteria assumono, in tempo dicrisi economica e valoriale, il valore di

 passe-partout  verso un’integrazionesociale altrimenti preclusa.Il meccanismo scatenante di questascelta di stile tricolore è ciò che

  Volli denisce “travestimento” eche consente di creare un “effettodi senso” sugli astanti, attraversomodiche più o meno evidenti del

proprio look: indosso una coccarda

dunque comunico il mio essereitaliano, indosso un cappello alpinodunque esprimo la mia propensionealla vita sana e naturale, indosso ungioiello tricolore dunque sottolineoil mio gusto ricercato e la miapartecipazione ai festeggiamenti.Da un punto di vista  narratologico,l’oggettistica assume un signicato“altro”, tramutandosi in un marchiodistintivo dell’eroe che utilizza igadgets  per distinguersi dall’anti-eroe, che nel caso specico è coluiche non riesce ad inserirsi attivamentenella giostra dei festeggiamenti. Inquesto senso il proliferare di stands non deve stupire: da un lato tutti

sognano il ruolo del protagonista nellanarrazione; dall’altro, in occasionedi eventi sociali, gli individui sentonospesso il bisogno di mascherarsi o,quantomeno, di portare indumentiadatti a (e creati proprio al ne di)inserirli nella comunità attraversoparticolari segni distintivi. Durante taliricorrenze la divisa – che è tipicamenteun strumento elitario utilizzatoper indicare l’appartenenza ad uncircolo ristretto – si trova facilmentein commercio, ma assume “lesembianze” dell’uniforme - “uniforme”nel suo signicato primo, cioè quello diuniformare una massa che altrimentisarebbe necessariamente sfaccettata(multiforme).La decorazione del corpo vainterpretata secondo i codici validinel contesto o almeno, sottolineaancora Volli, rispetto “alla gurapubblica che siamo chiamati a

rappresentare”.  La decisione stessadi indossare un simbolo rimanda alconcetto di appartenenza, rendendol’individuo protagonista della suarappresentazione della vita quotidiana.E si tratta necessariamente di unarappresentazione che deve costruirsiattraverso l’utilizzo di ben deniti vestitidi scena. Nel caso specico, più che diabbigliamento completo si dovrebbe

piuttosto parlare di accessori dimoda intesi nella loro funzione diautentici status symbol. Gli accessori,nel contesto dei festeggiamenti peril 150°, compiono un passaggiovaloriale simile a quello postulatoda Eco nel caso delle merci inseritenelle società consumistiche: “in unasocietà industriale i cosiddetti “simboli 

di status” pervengono in denitivaad identicarsi con lo status stesso”.Raggiungere uno status riconosciuto(e riconoscibile) signicherà possedereuna certa serie di oggetti; in parallelo,anche i singoli oggetti otterrannoun’identità quasi autonoma diventando“simbolo tangibile della situazionecomplessiva”.La forza simbolica degli oggetti,utilizzati come una sorta di marchiomagico, è molto ben descritta daPackard: “L’oggetto è la situazionesociale, ma nel frattempo ne è il segno:di conseguenza non ne costituiscesolo il ne concreto perseguibile mail simbolo rituale, l’immagine mitica incui si condensano sogni e desideri”.Il limite oggettivo degli aspetti positivi(e quasi magici) degli accessori èespresso ancora da Eco: identicandol’oggetto-status symbol  come laproiezione di ciò che vorremmo essere

(come la manifestazione tangibiledella nostra personalità), mette inguardia dalla tentazione a rinunciare,o ad annullare addirittura, la propriapersonalità in un oggetto condiviso,uniformante perché identico per unvasto gruppo di persone.Quindi: oggetto magico o diabolicoaccessorio? Passe-partout  per l’in-gresso nell’universo della condi-visione festante o limite (auto-imposto)alla personalità autonoma? I giudizi dimerito esulano dall’intento iniziale diquesta breve analisi ma, senz’altro,vale la pena sottolineare come, inoccasione delle celebrazioni delcircuito di esperienza Italia 150, l’abitofaccia il patriota.

“Uniforme nel suo sensoprimo, quello di

uniformare le masse”

Italia 150

l’ode - 9novembre ‘11

Sapevatelo!

Lo sapevate?Recenti studi di linguo-archeologia,dimostrano che l’italico cin-cin nonsia un suono onomatopeico del

tintinnar di calici, ma debba essereriferito alla mala abitudine di LuciusQuinctius Cincinnatus, tale da farcoincidere il Latino  prosit  (formaaugurale e propizia) alla sua primaparticella nominale.

Lo sapevate?Nel 1788, la prima edizione diThe  Times mostrava gli usi ecostumi del turista nella Londra diquegli anni. La testata dipingevagli avventori come barbari prontia saccheggiare la città. Il turistamedio viene indicato come donkey, 

 yokel,  pratface e altri termini che ciriserviamo di censurare.

Lo sapevate?Le Royal   Guards inglesi sononote per lo sguardo sso e ilrigore durante il cambio dellaguardia, tanto da stimolare ituristi a prendersene gioco. Conuna normativa recentementeapprovata, Sua Maestà la regina diInghilterra autorizza le Royal  Guards a “mitigare” la foga dei turisti troppogiocondi e rumorosi, servendosi ditaser appositamente concepiti.

Lo sapevate?  A Soa, Bulgaria, i tabacchini sitrovano nelle cantine dei vecchipalazzi sovietici. Per comprareil vostro pacchetto di sigarettedovrete rivolgervi a un commessodel quale vedete a malapena latesta, chinandovi dal marciapiedeno ai bocchettoni delle vecchiecelle d’areazione. È d’uopo,inne, ringraziare con un caloroso“Blagoadarjà” prima di tornare suivostri passi.

Lo sapevate?  A Gersusalemme, Israele, èpossibile acquistare delle iconerafguranti personaggi biblicinell’atto di disinnescare una

bomba. Pare che garantiscano labenevolenza degli Elohim durantele passeggiate nei quartieri piùpericolosi.

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10 - l’ode novembre ‘11

CulturismoRiflessioni - 1

La cultura a Torino e i tagli alla conoscenza 

Pietro Polito, Centro studi Piero Gobetti

Archivio Norberto BobbioIl consiglio regionale straordinario pie-montese del 14 settembre 2001 cheha approvato la politica culturale del-la giunta Cota/Coppola ha segnatouna pagina negativa nei rapporti tra ilPalazzo e la cultura. Un consiglio di-stratto, attento più agli equilibri politiciche al futuro della cultura, ha respintoun ordine del giorno di entrambi glischieramenti mirante a non “metteresul lastrico” gli attori che fanno vive-re le biblioteche, gli archivi, i musei, ilteatro, la musica, il cinema, l’arte. A quel consiglio ho assistito sbalorditoinsieme a cinquanta lavoratori della

cultura: la reazione immediata è sta-ta di sconcerto. Ora, dopo la rabbia,è auspicabile che la cultura offesa sifaccia promotrice di una discussionesenza pregiudizi.Il nodo al centro della contesa pubbli-ca e privata sulla cultura è: “Come simisura la cultura di un territorio? Qualisono gli indicatori che meglio espri-mono la cultura di una comunità?”Provo a rispondere concentrando ildiscorso su Torino.La rete culturale della città è più vastadel cartellone del Circolo dei lettori,della Fiera del Libro, di Torino Spiritua-lità, Biennale Democrazia, Artissimae così via. Da questo punto di vista –

l’offerta culturale ai cittadini e ai visita-tori – Torino ha le carte in regola.

 Aggiungo, a ragion veduta, che la rete

di istituti culturali, intitolati a gure im-portanti della cultura cittadina e natiattorno a una biblioteca e a un archi-vio, costituisce un patrimonio di ine-stimabile valore documentario e civile.

 Voglio darne un primo rapido incom-pleto excursus.Se avessi la responsa-bilità di una proposta rivolta ai cittadinie ai “turisti” che vogliono conoscerel’anima di Torino, suggerirei un cam-mino tra i luoghi di Gobetti, Gramsci,Prospero Marchesini, Frassati, Burzio,Luigi e Giulio Einaudi, Pavese, Firpo,

Levi, Bobbio. Accenno a due itine-rari. Primo itinerario. Vicino al CentroGobetti in via Fabro, trovate la Biblio-teca civica in via della Cittadella e laFondazione Vera Nocentini in via Bar-baroux; in via Garibaldi, a duecentometri il Centro Sereno Regis; in Cor-so Palestro, presso il Museo diffusodella Resistenza, della deportazione,della guerra, dei diritti e della libertà,operano l’Istituto piemontese per lastoria della Resistenza e della societàcontemporanea, l’Archivio nazionalecinematograco della Resistenza, ilCentro Levi.Secondo itinerario. Un altro polo diquesto percorso nella memoria e nellastoria ci porta nella zona dell’Universi-tà in via Po 18. Qui si possono visitarela Fondazione Einaudi e la Fonda-zione Firpo in via Principe Amedeo,non molto più in là l’Accademia delleScienze, inoltre nei pressi di PalazzoNuovo l’Istituto Gramsci e l’Istituto

Salvemini. Tuttavia, a mio avviso, ilprincipale indice della vivacità cultura-le di Torino, sta nella presenza attiva diminoranze culturali indipendenti.Penso in particolare agli operai e aglistudenti che con la loro iniziativa ten-gono aperto l’orizzonte di un futurodiverso.Non è stata compresa e non viene per-cepita nella sua ricchezza e varietà laprotesta dei lavoratori della conoscen-za contro i tagli alla cultura. (Le uni-che voci che si sono espresse, a miaconoscenza, sono quelle di UmbertoEco, Erri De Luca, Tullio De Mauro eMarco Revelli, che si è esposto in pri-ma persona partecipando attivamentealla protesta del 14 settembre).Inne, tra le minoranze vive, segnaloquella della nonviolenza, che in cittàtestimonia concretamente il messag-gio di Gandhi e Capitini. Ogni vol-ta che passo in via Garibaldi e vedoesposta la bandiera arcobaleno colfucile spezzato, respiro una boccatad’aria buona.

Concludo con alcune domande. Sipuò avviare un colloquio tra gli atto-ri istituzionali, gli istituti culturali e leminoranze attive di questa città? Sipuò fare in modo che la politica dellacultura degli istituti e delle minoranzes’incontri e dialoghi con la politica cul-turale della Città, della Provincia di To-rino e della Regione Piemonte? Si puòlavorare insieme per creare un climacittadino aperto che permetta agli isti-tuti di svolgere il proprio lavoro e alleminoranze di esprimersi liberamente inquesto spazio chiamato Torino?Mi sembrano domande legittime per-ché da un lato la vita degli istituti con-solida il legame con le radici, dall’altro

la vitalità delle minoranze, soprattuttoquelle giovanili ma non solo, è un “in-vestimento” sul futuro.

  Torino: qui sì. Gamlebyviken: quaproprio no. Eppure sono due città.È vero, a volte, le città sono comele donne. Non nel senso che sonoaperte a tutti. No, nemmeno nelsenso che sono noiose. Sono comele donne perché si truccano, si ve-stono bene e si rifanno il naso, tut-to per sedurre. Le città, più sonograndi, più sono famose, più sono

macchine da seduzione. Ognuna devedifferenziarsi dalle altre: per un piattotipico, un luogo comune, un monu-mento, tanto che quel simbolo, in unasorta di perverso feticismo, diventa lacittà stessa. Cosa sarebbe Torino sen-za la Mole?Una volta, narrano i poeti, le città era-no più simili a dei prati: spontanee, coiloro autunni e con le loro primavere,non dovevano sedurre gli assenti, maprincipalmente coltivare, essere unterreno di coltura e di cultura per i pre-senti. Oggi, invece, la città si fa slogan:“[Vattelapesca]: dove si trova tutto ciòche la vita può offrire”.Il metodo per eccellenza dell'auto-

diffusione pubblicitaria della città è ilsouvenir-succhiotto. È così che la cit-tà marchia i manzi che si è ripassata,per invogliare gli altri a non essere dameno: "vieni a farti marchiare pure tu".Ci sanno fare, le veline.Ma prima o poi ogni città dovrà purtrovarsi di fronte a un turista roman-tico, che invece di sesso, cerchiquell'amore che è conoscenza pro-fonda, non solo seduzione e fascino.Questo romantico ideale fuggirà daisucchiotti e dai nasi rifatti e, in cerca diun'utopica esperienza autentica dellacittà, il nostro romantico nirà, inevita-bilmente, a Palazzo Nuovo. Cadente,visibilmente vecchio, postindustriale,

Torino erotica 

di Pietruzzo

un po' marcio, corruttore di giova-ni anime. Insomma, la “vera” iconadi Torino. Per questo nelle palle divetro ci andrebbe Palazzo Nuovo.Un chioschetto all'entrata, e vedre-ste quanti turisti accorrerebbero! Sipotrebbero regalare mappe del ma-landrino per consigliare che, se sivogliono bagni puliti, urge salire oltrei tredici metri. Palazzo Nuovo infattiè l'antitesi della città moderna e se-duttrice, dove più ti inoltri e più c'èpuzza, ma per le strade dev'esseretutto lindo e pulito, a prova di pa-scolo turistico. A Palazzo Nuovo in-vece la popò sta dove deve stare: inbasso, all’ingresso. Nessuna falsità.

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l’ode - 11novembre ‘11

Penso a Torino. La penombraesaltala vasta biblioteca laboriosae sembra allontanare gli scaffali;forte, innocente, insanguinata enuova,lei splenderà fra la Mole e i RealiGiardinie traccerà le sue orme sul fangosomargine di un ume di cui ha di-menticato il nome.E danzerà le barbare danze deiMurazzie annuserà nell’intrecciato labirintodegli odori l’odore dell’albae quello dilettevole del Bicerin.Fra le sale del Museo mi immergoin sogni simulacrali e scopro i suoimisterisotto le mura del Castello.Invano si interpongono i convessimari e i deserti del pianeta:

da questa casa di un remoto portodell’America del Sud, ti seguo e tisogno,oh Torino delle rive del Po.Si propaga la sera nella mia animae rifletto

Riscritture

di Jorge Luis Borges

L'altra Torino

che la Torino vocativa del turistaè una Torino di simboli e ombre,una serie di gure letterariee di memoria d’enciclopediae non è la Torino fumosa,funesta popolazioneche, sotto il sole o la diversa luna,sta compiendo perseverante attornoal Pola sua routine di amore, di ozio, e dimorte.

 Alla Torino dei simboli ho oppostoquella vera, quella di carne,quella che decima le tribù dei metal-meccanicie oggi, 13 novembre del 2011,allunga su Miraori una lentaombra - ma già il fatto di nominarlae di congetturare le sue circostanzela rende immagine poetica e non po-polazione viventedi quelle che si affaticano per la terra.Una terza Torino allora cercheremo,senza Mole.Questasarà come le altre una formadel mio sogno,un sistema di parole umanee non la Torino di metalloche opprime la terra. Lo so bene, maqualcosa

mi impone quest’avventura indeni-ta,insensata e antica, e perseveronel cercare lungo il tempo della seral’altra Torino, quella che non è neiversi.

BracciaXXLRiflessioni - 2

Dopo aver letto l'articolo di Politodedicato alla situazione culturale nella

nostra città, cerchiamo anche noi deglispunti di riflessione per approfondire iltema. Rivolgiamo la nostra attenzioneall’amministrazione cittadina e leg-giamo con interesse l’elenco dellanuova giunta comunale: i nostri occhisi soffermano inevitabilmente suMaurizio Braccialarghe, assessorealle   Attività e manifestazioni culturali .Fra le sue mansioni, curiosamente,ne gura una che non avremmoassociato al suo ruolo di assessorealla cultura: Turismo e politiche di 

  indirizzo e coordinamento degli Enti e

settori di competenza. La grammatica dell’amministrazione torinese accorpain un’unica gura politica e istituzionale

il turismo,  la promozione della città, ela cultura (e quanto tradizionalmentene consegue: la gestione di museie biblioteche, i rapporti con entie associazioni culturali, i patrociniagli eventi culturali). Il campo diazione di Braccialarghe attraversa iltessuto culturale della società civile (isoggetti che producono senso, ideee prospettive critiche nello spaziocittadino), il patrimonio culturaledel passato (testi, opere d’arte,documenti) e la produzione dell’offerta

culturale. La cultura confluisce cosìall’interno del mercato delle attrattivecittadine, nella giostra colorata dimanifestazioni che rendono Torino

appetibile, nella compravendita dellaproduzione intellettuale.  Oggi lafrontiera fra turismo e cultura, fra mercie segni è sempre più labile e porosa.E la geograa della cultura nelle nostresocietà è sempre più permeabile alle

ingerenze del mercato. Torniamo aBraccialarghe, al suo curriculum. Fra idiversi impegni ricoperti, notiamo che“dal dicembre 2009, e no all’attualenomina, è stato direttore del Centrodi Produzione TV di Torino”. Anche inquesto caso, niente di sorprendente:è la società dello spettacolo – coni suoi onesti funzionari – a dettare lepolitiche della cultura. Le domandeche vorremmo porre al nostro as-sessore emergono chiare alla lucedel panorama delineato: su quali fontieconomiche si può reggere un’attivitàculturale propositiva e radicata neltessuto urbano? Può ancora esistereun terreno culturale fertile e allo stessotempo indipendente dal turismo edalle leggi del mercato?Le democrazie occidentali hannofornito una risposta spesso con-

vincente: i nanziamenti pubblici. Èil caso allora di valutarne l’efcaciae la praticabilità a partire dalle ultimeesperienze che hanno segnatomolti di noi. Iniziamo dalle pagineche state leggendo. Questo stessogiornale è pubblicato con una formadi nanziamento che da due anninon esiste più: i fondi dell’EDiSU. Glispiccioli stanno nendo e l’avveniredell’orizzonte degli eventi non è roseo.Una realtà marginale, è vero, ma cheal contempo illumina perfettamentei duri colpi che la crisi economicasta apportando allo stato sociale:il sogno di una cultura sostenutadai nanziamenti pubblici sembra

sempre meno realizzabile. Ma nonè solo la contingenza economica arendere problematica l’idea di unacultura nanziata dal pubblico. Molticomponenti della redazione sonoriusciti a realizzare diversi progetti

culturali durante l’amministrazionedi Mercedes Bresso. Con la vittoriadi Cota abbiamo visto i nostri spazidi azione restringersi di colpo. E cisiamo risvegliati: solo ora, da grandi ,ci rendiamo conto che la propostaculturale esiste meglio se è organicaa un determinato gruppo di potereo di governo. La cultura – se non èmercato – dipende sempre più dalleamministrazioni, dal loro colore.

  Appare evidente che diversi ostacolicostellano il nostro futuro di lavoratori 

dell’immateriale: l’assenza di capitali,la dipendenza dall’orientamentodelle amministrazioni, il ricatto del-l’industria culturale. A questo siaggiunga l’isolamento culturale chepercepiamo intorno a noi: è semprepiù difcile essere organici ai contestisociali che abitiamo, riuscire influire neldibattito pubblico di tutti i giorni. Nelsuo articolo, Polito utilizza più volteil termine  minoranza. Chi producecultura a contatto con il territorio (efuori dal rumore dello spettacolo) ècostretto a porsi come un soggettodi nicchia, una forma di resistenza

disperata all’avanzare incontrastatodei nuovi media. Sappiamo chemolti di voi, lettori e studenti, proprionon riuscite a leggerci. Ma dovrebbeapparire ormai chiaro che se nonriusciamo a comunicare con voi

  non è del tutto colpa nostra. Non ciresta che piangere. Ma è proprioquello che non faremo. Mai come oradobbiamo sostenere  l’indipendenza

della cultura, dobbiamo rivendicare

spazi di aggregazione sociale neiquali sia possibile pensare la societàsenza dipendere dalle bomboled’ossigeno del mercato e delleamministrazioni di turno. Senzascivolare in un banale attacco allapolitica istituzionale contemporanea,è necessario ridenire i rapporti chela cultura intesse con economia epolitica. Se ancora vogliamo viveree produrre pagine come quelle chestate sfogliando, la nostra azionedovrà ripercorrere quella di un nostrovecchio amico e compagno di viaggi:il barone di Munchausen - che, nitonelle sabbie mobili, ne uscì fuori da

solo, tirandosi su per gli stivali.

A cura della Redazione

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12 - l’ode novembre ‘11

Urbanismi

I tetti di Torinoal mio fiancodi Giovanni Bouvet

  A seguito della crisi degli anniSettanta, le grandi città industriali

hanno affrontato un periodo diincertezza e declino.Il vecchio modello fordista, basatosull’equazione città-fabbrica, si èdimostrato del tutto inadeguato:l’automatizzazione delle attivitàproduttive, lo sviluppo delle reti dicomunicazione; l’abbattimento dellebarriere alla circolazione di beni ecapitali - tutto ha condotto a unanuova struttura economica, su scalaglobale.È in questo contesto che lecittà devono trovare una nuovacollocazione, in un sistema semprepiù competitivo: da un lato, infatti,resistono grandi centri di importanzamondiale - le metropoli, comeLondra, Tokyo, New York - sedidi multinazionali e grandi istitutinanziari; dall’altro, si trovano ungran numero di “nobili decadute”,

che perdono importanza nel sistemaeconomico e che devono trovare unnuovo modello di sviluppo.

  Torino è sicuramente una delle cittàitaliane che più risente della crisi delmondo industriale: legata a doppiolo con la FIAT, secondo il modello“one company-one town”, nel nuovocontesto economico soffre un periododi forte recessione: le fabbriche

licenziano in massa o chiudonodenitivamente (il Lingotto nel 1982 o leferriere FIAT nel 1992) lasciando grandispazi vuoti all’interno dell’agglomeratourbano.Per ottenere visibilità nel nuovosistema globale, Torino deveriuscire a valorizzare l’insieme dicaratteri socioculturali, naturali edeconomici che le caratterizzano: latradizione industriale va integratacon l’offerta culturale, il patrimonioenogastronomico, la presenza dipaesaggi, edici storici ed ambientidi indubbio valore (come il sistemadelle residenze Sabaude, dal 1997nella lista dei patrimoni dell’umanitàdell’UNESCO).

  Torino prova a crearsi una nuovaimmagine di città vivibile e attiva, inun processo comune a centri comeBaltimora, Rotterdam o Liverpool:

trasporti pubblici ed aree verdi alposto delle grandi arterie stradali, uncentro storico a misura d’uomo e nonmonopolizzato da ufci e istituzioni,musei e centri culturali al posto dellefabbriche (sintomatico è il caso delleOGR, spazio per mostre ed eventiricavato all’interno delle ex-ofcineferroviarie).

  Al centro della mutazione è il nuovo

Piano regolatore, adottato nel 1995, chemette in relazione i molteplici progettidi trasformazione: la riqualicazionedelle sponde del Po, l’interramento deltracciato ferroviario urbano, il raccordoNord-Sud delle tangenziali lungo l’assedi corso Marche.Il nuovo asse di corso Marche deve,nelle intenzioni del piano, diventareun nuovo polo logistico e funzionaleall’area metropolitana, sottraendotrafco al centro cittadino. Il progettoPo, che doveva ridenire le areefluviali come luogo per il riposo ed iltempo libero, si è evoluto nel progettoCorona Verde, che ambisce a costruireun anello ambientale intorno allacittà, collegando tra loro le residenzeSabaude ed aree ora periferiche.L’interramento del tracciato ferroviariointerno è l’intervento più rilevante,anche perché interessa le aree del

centro.Lungo il tracciato della ferroviasi articola il sistema delle spine, che afanca a operazioni di meraspeculazione edilizia (basata sull’ac-coppiata centro commerciale - quar-tiere residenziale ad alta densità),interventi di riqualicazione delvecchio tessuto industriale in zonededicate allo sviluppo culturale (le già

citate OGR), alla ricerca scientica(il raddoppio del Politecnico) e allaqualicazione ambientale (come ilparco Dora, del paesaggista tedescoPeter Latz).Un aspetto cruciale è quello dellavalorizzazione e della promozionedella città, attraverso l’intervento delsettore pubblico con la denizione dipolitiche nalizzate all’organizzazionedi grandi eventi, che portano visibilitàe nanziamenti: caso simbolo èquello dei Giochi Olimpici, chepossono diventare un vero motoreper lo sviluppo di una città, comeaccaduto a Barcellona dopo il 1992.Strategie che, almeno in parte,hanno dato i loro frutti: Torino stacominciando ad essere riconosciutaa più livelli. Quello che ancora non sipuò dire, è se ciò basterà a ripagaregli sforzi e i debiti contratti dalla città.

Riscritture

di Filippo T. Marinetti

L’8 luglio 1910, 800.000 foglietti 

contenenti questo manifesto furono  lanciati dai poeti e dai pittori futuristi 

dall’alto dei cieli di Torino sulla folla

che tornava dalle vacanze.

Così cominciò la campagna contro il 

turismo passatista.

Fu, turisti! Quando gridammo:“Uccidiamo il chiaro di luna!” noipensammo a voi! Ma ora la vocenostra si amplica, e soggiungiamoad alte note “Liberiamo il mondodalla tirannia del turismo! Siamo sazidi avventure erotiche, di lussuria,di sentimentalismo e di nostalgia!”.Perché dunque ostinarti, a offrirci

viaggi ad ogni svolto crepuscolare?Basta! Basta... Finitela di offrire osceniinviti a tutti i passanti della Terra! Iopure turista, impregnato di lussurierare... Ma basta! Tutta questa roba

assurda, abominevole e irritante ci dàla nausea! E vogliamo ormai che lelampade elettriche dalle mille punte diluce taglino e strappino brutalmente letue tenebre misteriose, ammalianti epersuasive!Il tuo grande inganno diventeràfatalmente un gran porto mercantile.

  Treni e tramvai lanciati per le grandivie costruite sui forti terreni nalmentecolmati vi porteranno cataste di

mercanzie, tra una folla sagace,ricca e affaccendata d’industriali e di

commercianti! Non urlate contro lapretesa bruttezza delle locomotivedei tramvai degli automobili e dellebiciclette in cui noi troviamo le primelinee della grande estetica futurista.Potranno sempre servire a schiacciarequalche lurido e grottesco turistanordico dal cappelluccio tirolese.Ma voi volete prostrarvi a tutti i forestieri,e siete di una servilità ripugnante! Vili

 Turisti! Fu-turisti noi vi svegliam! Perchévoler essere ancora sempre i fedelischiavi del passato molle e lascivo, ilerci custodi del più grande bordellodella storia, gl’infermieri del più triste

ospedale del mondo, ove languonoanime mortalmente corrotte dalla lucedell’ inutilità? Oh! Le immagini non mimancano, se voglio denire la vostrainerzia vanitosa e sciocca.Si sa, d’altronde, che voi avete lasaggia preoccupazione di arricchirela Società dei Grandi Alberghi, e cheappunto per questa vi ostinate ad

Fu Turismo

imputridire senza muovervi! Eppuresiete divenuti camerieri d’albergo,ciceroni, lenoni, antiquari, frodatori,fabbricanti di vecchi quadri, pittoriplagiari e copisti. Avete dunquedimenticato di essere anzitutto deiviaggiatori, e che questa parola, nellalingua della storia, vuol dire costruttoridell’avvenire?

“Treni e tramvai lanciati

per le grandi vie ”

5/10/2018 Numero 6 - Turismo - slidepdf.com

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l’ode - 13novembre ‘11

Terra Ferma Corte di Cassazione

di Francesco Migliaccio

Dopo la nomina alla selezione ufcialecome miglior lm straniero , Terraferma sta varcando le nostre frontiere peraffacciarsi sugli schermi internazionali.Crialese si conferma così registaoltreconne, esperto di migrazioni e

di sconnamenti: con Nuovomondo (2006) il regista era riuscito a tracciareun disegno visionario del viaggiooceanico intrapreso dagli italianicostretti a espatriare in America. Forsela miglior pellicola prodotta in Italianegli ultimi anni.Terraferma si riversa sul presente,dà forma alle cronache odierne. Irapporti di forza sono cambiati, ilnostro paese è (ancora) una potenzaeconomica e le sue coste incarnanoil sogno di rivalsa e redenzione deinuovi migranti: le spiagge di un’isolasiciliana sono lo spazio narrativo in cuiprende vita l’ennesimo confronto fra

 gente di qui e gente di là, fra pescatori

antichi e nuovi disperati, fra cittadini eclandestini.Non tanto cinema di viaggio, macinema di viaggiatori: di chi  viaggia.La traversata sui barconi partitidalle coste africane si rovesciaspecularmente nella migrazione intraghetto dei turisti che ogni estateaggrediscono l’isola per godere levacanze. E sulla terraferma si devonoincontrare i clandestini viaggiatori per 

forza e i turisti viaggiatori per svago – in mezzo restano gli autoctoni,schiacciati fra il dovere dell’ospitalitàsancito dalle antiche leggi del maree la miniera turistica da sfruttare: ilmercato del divertimento non puòaccettare i moribondi e gli affamatisullo sfondo delle sue cartoline.I conni sono gli stessi: conni di 

 acqua e di sabbia o conni di segni 

(le  tracce convenzionali sulle cartenautiche) – di qua l’Africa, poi le

acque internazionali, di là l’Italia. Icorpi, invece, sono diversi e tuttodipende dalla direzione: se il corpoitaliano non conosce barriere, la carnemigrante è clandestina, da Identicareed Espellere.Il turismo è il sogno realizzato delmaggio francese: les frontières on s’en

fout – il cosmopolitismo servito fra undépliant e un villaggio estivo. Mentrele politiche migranti ripetono l’orroredella discriminazione, della reclusionee dello sfruttamento: dai campi didetenzione ai campi di pomodori.Ilsoggetto è ricco di spunti, denso diriflessioni possibili.Ma Crialese si ferma alla supercie,all’analisi manichea riassunta inqueste righe. Ci sono gli sfruttatori-meglio se in divisa- e gli sfruttati.

  Tutto viene spiegato attentamenteda un’immagine attenta a nonconfondere il bene con il male, ilgiusto con l’ingiusto. L’emergenza di

 raccontare il dramma e di denunciare

le politiche inaccettabili dell’attualegoverno prosciugano ogni sguardoin profondità, ogni possibilità diproblematizzare le soggettività aconfronto. L’immagine visionariadi Crialese non ha più la forza di untempo e tutte le sperimentazionisembrano infrangersi contro l’ansia ditestimoniare l’orrore.La crisi politica e civile del nostro paesesi riversa sul nostro cinema. Come sequesto nostro presente fosse troppobrutto per diventare opera: il nostrosistema va denunciato, in fretta,così che tutti abbiano coscienza delbaratro-Italia, così da voltare pagina,per una buona volta. Non c’è tempoper fare cinema, l’orrore va urlatochiaramente – senza possibilità difraintendimenti.L’estetica va lasciata a tempimigliori. L’arte è inconcepibile, dopoPantelleria.

La strada ferrata corre sotto leruote del treno che corre sulla stra-da ferrata che corre.Che corre che corre.Che corre che corre.Che corre che corre.Gli scossoni mi tengono sveglio

ma voglio che gli occhi rimanganochiusi. Nell’odore del freddo e delfumo ripenso al ricordo della dolce

 Torino.È bella Torino quando è in prima-

vera.Forse né più né meno di qualsia-

si altra città nel orire di maggio.Firenze e Roma devono essere lostesso, immagino. Ponte Vecchio,la fontana di Trevi.Eppure è a Torino che penso.Gli origami azzurri del cielo tra gli

squarci degli alti cortili, l’odore dirisate, la freschezza delle ragazze,le nuvole impigliate come cenci allaMole.

Le acque danno senso ai ponti ela lontananza ai ricordi.

L’odore di minestra in casa la serae la piega del polso di mia madre.Sono cose che non mi aspettavodi ricordare. E’ sorprendente quelloche l’occhio registra e la memoriarilascia.

I ricordi sono solo scambi chimici.Stimoli, pulsioni. Potremmo quasidire che i ricordi in fondo non esisto-no. Anzi, a ben vedere tutto l’interoeterno passato non esiste. Siamonoi, ora, e qui. Su questo treno checorre sulla strada ferrata che corre.Che corre che corre.Che corre che corre.Una serie di presenti che si rinno-

vano ogni momento e con loro ognimomento rinasciamo, rigenerati danoi stessi con la percezione di ricordi

che non sono altro che scambi chi-mici di stimoli e pulsioni. Potrebberonon essere veri. Potrebbero essercistati iniettati un istante appena pri-ma che questo momento presenteesistesse e facesse di noi esseri chesono. Esseri che siamo.

Torino. L’aria è fredda e qualcheocco di neve entra nel vagone. A 

 Torino starà nevicando?Fra poche settimane sarà prima-

vera, ma sperduto in questo viaggiola primavera pare lontana da venire.

Un paesaggio orizzontale, biancodi cielo e di terra. A volte appena unlo scuro di rami si alza verticale inpreghiera. Ed è tutto quello che dà

movimento a questo immoto viag-giare senza sosta. Le teste dei mieicompagni che ciondolano. L’oriz-zonte che non si muove. Io chetengo gli occhi chiusi e mi sforzo diricordare. Non il passato che non sose sia mai esistito, ma il presente.E’ importante ricordare per non es-

sere cancellati.Ricordare chi sono, ricordare chi

siamo.Ricordare il mio nome.Primo Levi.Ricordalo Primo, ricordalo. Ricor-

dalo. Ricordalo, ricordalo, ricordalo,che corre, ricordalo, che corre, ricor-dalo, che corre, ricordalo, che corre.Che corre che corre.Che corre che corre.Che corre che corre.Che corre che corre.Che corre che corre.

La strada ferrata di Francesco Scarrone

Che vuoldireSaggezza?

5/10/2018 Numero 6 - Turismo - slidepdf.com

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14 - l’ode novembre ‘11

Università 

Commenti orizzontisti

Una magnifica farsa 

aumentarle”. Dall'altro, le condizionidi salute del Rettore (ultimamentedecisamente peggiorate) e la palesevolontà di grossi settori dell'Ateneodi “rottamarlo” al più presto hannoimposto tempi di approvazionedecisamente poco prudenti, sinoal punto di preferire uno Statutotecnicamente vergognoso, ma con

un nuovo Rettore, ad uno Statutoplausibilmente accettabile senzaeccessivi contrasti, ma con il Rettoreattuale in carica per ancora un anno.Ma cos'avrà mai di così maligno loStatuto di Ateneo?Possiamo citare   ad aexemplum lacomposizione dei prossimi venturi inC.d.A. e Senato Accademico.Quest’ultimo sarà designato su “microaree” didattico-disciplinari. I SI e laR29A avevano avanzato la proposta diridisegnarlo su “grandi aree”, così daprevenire eccessivi interessi particolarie ridurre il peso della componentedocente a favore di ricercatori, precari

e tecnici.Per come è stato approvato nellabozza nale, possiamo solamenteafdarci alla generosità dei baroni nellasperanza di non veder scomparireimportanti settori di ricerca, per

quanto marginali. Sono infatti questiad essere sottoposti al rischio di“schiacciamento” da chi ha più poteredi loro.Per ciò che concerne il C.d.A., si puònutrire qualche speranza in più. Graziealla protesta messa in campo dai SIin zona Cesarini dell’approvazionestatutaria, è stata inserita una clausolache limita il potere del Rettore nellascelta dei membri che compongonol’organo; di fatto, senza questaclausola che rimane ancora – perora – lettera morta, il Rettore avrebbepotuto designare da sé, senza alcuntipo di controllo, gli appartenentidi provenienza interna all’Ateneo.Non è difcile immaginare cosaquesto signichi in un ateneo che hadifcoltà persino a concedere elezioniuniversitarie regolari, ogni due anni.Nel complesso, chi scrive rilevaun’immaturità dell’Ateneo che assurgea vero e proprio peccato veniale inquanto causata da gretti e limitatiinteressi personali di un professoreordinario piuttosto che di un dirigenteamministrativo. Quando si compionograndi manovre istituzionali in entipubblici di notevole importanza, comenel caso dello Statuto di Ateneodell’Università di Torino, è prerequisitoessenziale una certa lungimiranza.

Chi si è assunto la responsabilità diappoggiare e favorire l’imbarazzanteiter statutario, approvandolo amaggioranza e chiudendo portein faccia a studenti e ricercatori,ha dimostrato di possedere itratti peculiari del satrapismoberlusconiano, sin nella sua più intimaessenza di insignicanza morale edintellettuale.

Che tali personalità guidino importantistrutture di ricerca (medici, psicologi,scienziati e umanisti di grande rilievoaccademico) denota ancora una voltalo stato di gravissima salute del nostropaese.

“Adesso possiamo sol-

tanto affidarci alla gene-

rosità dei baroni”

Statuto di Ateneo

di Golia MagroNell’ultimo numero dell’ode (“Rap-presentanza”) ci siamo occupatidelle elezioni dei rappresentantidegli studenti. Ci sembra dunquegiusto esporre e commentare i ri-sultati. Ricordiamo, per chi si fosseperso qualcosa, che per ottenerele elezioni gli Studenti Indipendentisi erano dimessi da tutte le carichee che quindi in palio vi erano sola-mente i loro posti.Primo aspetto rilevante è la scar-sa affluenza: meno del 6% (pocopiù di 3000 persone). Nonostantel’astensionismo sia un dato cro-nico per le elezioni universitarie intutt’Italia, il dato è particolarmen-te signicativo se raffrontato conquello delle elezioni del 2009 (re-cord di affluenza, con il 15%) ed èstrettamente correlato con la datadella scadenza elettorale (15 e 16giugno): un periodo in cui le Facol-tà erano sostanzialmente vuote.Sui 3300 e rotti voti totali il 76%(poco più di 2300 voti) è andatoagli Studenti Indipendenti: risultato

notevole, se si considera che nel2009 ne presero circa 3000 conun dato di affluenza ben più alto. Ilrestante 24% (circa 800 voti) dellepreferenze è stato per Comunionee Liberazione, alias Obiettivo Stu-denti.Un risultato simile si registra nellesingole facoltà, se non superiorenella media, con qualche flessionead Economia e Giurisprudenza,uniche facoltà dove i rappresen-tanti dimissionari dei SI hanno per-duto posti. In tutte le altre facoltà siregistrano percentuali a favore deiSI che vanno dall’80% al 97%.Nel complesso, i SI hanno ricon-

quistato tutti i seggi negli orga-ni centrali: due su due in C.d.A,quattro su quattro in Senato Acca-demico, e la maggioranza assolu-ta al Senato degli Studenti.

Numeri

 Ai primi di ottobre è stato approvatotra le polemiche il nuovo Statuto di

 Ateneo, che l'UniTo era stata costrettaa redigere in seguito all'approvazionedella Legge Gelmini dello scorsoautunno. L'iter di approvazione è statolungo e difcile, costellato di proteste emobilitazioni promosse dai ricercatoridella Rete 29 Aprile e dai collettivi

degli “Studenti Indipendenti”. Studentie ricercatori avevano infatti avanzatorichieste di maggiore trasparenza edemocraticità, laddove spesso nelleCommissioni Statuto sono prevalsedecisioni unilaterali che hanno lasciatonumerose ferite aperte nei rapportitra amministrazione accademica estudenti, precari e ricercatori.Non possiamo che evidenziarel'incapacità dell'Ateneo di tener contodei pareri e delle rivendicazioni deglistudenti e di tutti i soggetti che nonsiano professori ordinari.Fondamentalmente, la bozza di Statutoè stata sottoposta a due pressioni: da

un lato, vi era un'esigenza largamentecondivisa tra il corpo docente di“cambiar tutto per non cambiar nulla”,che in linguaggio universitario signicapressapoco “non cedere alcunaquota di potere, anzi, se possibile

Li diamo da sempre

5/10/2018 Numero 6 - Turismo - slidepdf.com

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l’ode - 15novembre ‘11

Le PagellineSpezzone Antagonista – San Pre-

cario (8) Iniziano in sordina, alla spic-ciolata, ma prendono quasi subito latesta del corteo. Crescono in quantitàe qualità con l'avanzare in via Cavour(prime vetrine sfondate e macchinebruciate). A parte qualche discussio-ne di troppo coi compagni di squadra(vedi COBAS) giocano la partita per-fetta. Superato il Colosseo e la tenta-zione di cercare la prima scaramucciacon un cordone qualsiasi, puntano albottino pieno e lo raggiungono: primaincendiando degli ufci del Ministerodella Difesa, poi da protagonisti asso-luti in piazza San Giovanni in Lateranoe negli scontri di Porta San Giovanni.Il palco, che è stato di tanti concertisindacali, il 15 ottobre è tutto per loro:caschi, mazze e bombe carta riempio-no la scena e catturano l'attenzionedi giornalisti e fotogra. Si chiude colbotto e la camionetta in amme cheingrigisce il cielo di Roma al tramonto.Cinematograci.

Global Project (4) Birra, musica etante parole. Lo spezzone che dovevaraccogliere il cartello “Uniti per l'alter-nativa” delude. Stanno in piazza co-

lorati e spillando birra, ripetendo slo-gan e parole magiche, ma senza farscattare la magia. Inconcludenti noall'ultimo: arrivati in piazza San Gio-vanni annusano la puzza di bruciato edi lacrimogeni e fanno marcia indietrocon il loro autotreno carnevalesco elasciano la scena agli ex “amici”. Vor-rei, ma non posso.

Rete della Conoscenza - LINK (6) Ormai gli studenti sono loro, si giocanolo spezzone studentesco con Ateneiin Rivolta (s.v.) ma vincono facilmente.Relegati al fondo del corteo, per scel-ta, non sono certamente i protagonistidella giornata, ma fanno presenza dalpunto di vista numerico. Camionetta,musica e tanti interventi gridati: il lorocompitino lo fanno e anche bene, ten-gono lontani dalla violenza gli studentie la parte di corteo più pacica. Non

arrivano in Piazza San Giovanni né alCirco Massimo. Tornano alla Sapienzadopo una lunga marcia: infaticabili.

COBAS (7) Tanti, organizzati e pacici.I sindacati di base si assumono l'one-re di guidare il corteo degli indignati,indignati anche dalle macchine chebruciano. Mostrano i muscoli contro icaschi neri e le maschere antigas de-

gli antagonisti, facendo da cuscinettotra il resto del corteo e i “facinorosi” earrivando al contatto: rudezza e resi-stenza d'altri tempi. Arrivano in piazzache i caroselli poliziotteschi e gli assaltidel “blocco nero” già infuriano, ma siattestano all'ingresso della spianatae ci rimangono a lungo garantendola sicurezza di molti. Sono costretti alasciare il campo quando con l'avan-zare della Polizia una camionetta con

idrante li tampona e scappa per piazzaSan Giovanni seminando il panico. In-cidentati, ma resistenti.

Indignados de noartri (6,5) Ci sono,ma non incidono molto. Sono ancoratroppo pochi rispetto ad altre nazionie nel mare magnum della protesta no-strana non riescono ad emergere. Su-biscono per tutto il tempo l'attivismodelle altre realtà presenti, la lontananzadai luoghi del potere (irraggiungibili conil percorso concordato) e la difcoltàdi praticare modalità paciche in unoscenario di violenza: si limitano a unruolo di comprimari. A sera piantano letende vicino ai seminaristi del Latera-no. Mezzo punto in più per l'impegno.

Fiom CGIL (6) Compatti e preparati.Le bandiere rosse con la ruota gialla cisono, ci sono gli operai e i leader me-talmeccanici, ma in una giornata comequesta sembrano un po' fuori luogo.Inseguendo i movimenti nelle piazzepiù eterogenee mostrano ancora tutta

Scusa ma ti chiamo crisiCon la manovra di ferragosto(decreto legge n.138) entrano ingioco diverse misure per fronteg-giare la crisi e puntare al pareg-gio di bilancio. Fra le norme en-trate in vigore, spicca l’aumentodell’IVA dal 20% al 21%, volutodalla Mercegaglia, sedicente le-ader di Conndustria. Sarannoprevalentemente i consumatori a

risentirne, e alcuni casi sono piùeclatanti di altri. Nelle università,il rialzo ha colpito drasticamentei prezzi del caffè alle “macchinet-te”. Salvo Peluzzi, direttore dellaFedercom, responsabile delleforniture, dichiara: “La prezzatu-ra era già al minimo, nove anni diinflazione senza che si fosse maideciso di rialzare. […] Non po-tendo aumentare di 1 centesimo,ed essendo impossibile tenere glistessi prezzi, siamo stati costrettial rialzo di 5 centesimi”. Si trattadi un aumento del 15%, all’in-terno di un business che fattura7 milioni di euro l’anno. Un rial-zo che graverà di 200.000 euroannui sulla popolazione universi-taria, andando a minare ancorapiù le nanze, già precarie, deglistudenti.

la loro differenza. In piazza rimangonosindacato e non partito. Avulsi.

Forza dell'Ordine (7,5) Giornata sugliscudi anche per le forze dell'ordine.Sono loro, insieme agli antagonisti, igrandi attori della giornata. Quasi invi-sibili no al gran nale, lasciano scor-rere il corteo e incendiare e devastaresenza intervenire. Si scatenano in viaLabiacana spezzando il corteo tra

“buoni” e cattivi”, ma danno il megliodi loro stessi in Piazza San Giovanni:sul grande palcoscenico del “prato-ne”, con caroselli pazzi a gran velocitàe tto lancio di lacrimogeni, cercano dievitare il contatto sico (dimostrandosiun po' abatini all'inizio degli scontri),ma quando c'è fare sul serio non si ti-rano indietro. Rischiano un paio di vol-te di essere buttati fuori dalla piazza,ma poi cambiano registro e chiudonouna parte degli antagonisti verso PortaSan Giovanni, costringendoli a disper-dersi per poi avanzare no a far fuggiretutti i non violenti dalla piazza. Riesco-no a farsi incendiare una camionetta einfartare un poliziotto, ottengono cosìvisibilità e solidarietà da tutti. Concreti.

Per lei, caro Direttore, è tutta unagrande Festa Nietzschiana, un pren-dersi poco sul serio, un contraddirsiautocompiacente, uno sfascismocontinuo, un immodestia di bassalega, uno spregio della coerenza,un destroide modo di atteggiarsi,

un buttarla in vacca di continuo, as-sieme ai suoi compari di merenda,dannunziani no al midollo, nel rimi-rarsi allo specchio, nell’essere turisti

momentanei della Politica, nellosfottere tutto come se fosse ancient 

 regime. E invece il vecchiardo che lesta scrivendo viene a dirle che non

è vero che gggiovane è bello, chenuovo è sempre bello. Anzi.Giovane può essere anche peggio,molto peggio. Forse a casa sua il

Senso Politico delle cose è talmentenascosto e invisibile da costruire

La redazionerisponde

una ideologia di purezza bucolicasimil ariano-wagneriana. In una

ntissima ducia verso un popolouniversitario che per il 95% se ne

fotte delle vostre verbosità. Ai wagneriani mancano i fatti,i numeri, il rapporto con il reale.

 Ai wagneriani ariani piace spingerel’ideale no alla sua irrealizzabilità,o no alla sua mediocrità, che è lo

stesso in Politica.Manco fosse utopico, il suo discorso. Almeno l’utopia scandaglia il reale e

lo porta un pò più in là. Armando M.

Caro Armando,Ma no, dai.

La Redazione

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 Alla cortese attenzione della

redazione dell’ode,Nel vostro numero di giugno mi ècapitato di leggere la vostra rubrica“sapevatelo!”, nella quale riportate

notizie sconvolgenti e stravaganti. Adun’attenta verica, tuttavia, mi sono

reso conto che tutto ciò che vi erariportato era falso. Come giusticateun comportamento del genere? Non

contravviene all’eticadel giornalismo?Un caro saluto,

 Antonio A.

Caro Antonio,Nel numero di giugno non c’era

nessuna rubrica del genere.La Redazione

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Cara Redazione,Perché ad ogni domanda ci dev’es-

sere una risposta?Giuseppe L.

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Cara redazionedell’orizzonte degli eventi,

 Tutto quello che scrivete è falso.Maria E.

Cara Maria, Anche la tua lettera.

La Redazione

di Adriano Sofferenza 

Roma, 15 ottobre

5/10/2018 Numero 6 - Turismo - slidepdf.com

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La fera dij subiét (era dei schietti) deriva dauna tradizione medievale secondo la quale siaccoglievano le signore locali con dei schi, quandoesse comparivano nel mercato cittadino. Antichiricordi di campi e rivolte da seghe e zappe.

Sagra del Sedano Mole •1 Brumaio 220Torino, Torino, Piemonte

Per il primo anno consecutivo la città di Torinofesteggia il suo Sedano Mole. Verde signore delletavole dei contadini riscoperto recentemente, deveil suo nome oltre che alla provenienza alla sua formaoblunga. I piani dell’ edicio e le sale del museo delcinema saranno invase da questo nobile ortaggioper la prima sagra in verticale mai realizzata

Fiera del Marrone •••6 Vendemmiaio 220 18 Frimaio 220Cuneo, Cuneo, Piemonte

Dame e cavalieri, contadini e contadine, castagnaie castagnaie, giovani  yuppie in costume d’epocadaranno il benvenuto all’autunno con cibi prelibati e

profumi d’antan. Protagonisti assoluti saranno il ReSalsiccia e le Regine Castagne.

16 - l’ode

ode * torinodirezione editoriale

NeRi Marsiliprogetto fotografico

Mirko Isaia, NeRiprogetto grafico

Francesco Olivero, Mirko, Neri

novembre ‘11

Eat love in town di Luca Ampliato

Fiera del Tartufo Bianco •16 Vendemmiaio - 22 Brumaio 220

 Alba, Cuneo, Piemonte

Una ricca festa per celebrale il nobile fungo ipogeo.Il sapore del metano aleggia per la sagra, i rolexsberluccicano festanti, e internazionali massoniplutocratici fanno il loro ingresso in città accolti dacibi luculliani e vini rubini.

Fiera di Santa Caterina ••7 Frimaio 220

Rivoli, Torino, Piemonte

Il conte Verde dei Savoia di suo pugno la indisse,dei contadini la gioia e il vino benedisse, per coleiche tanto sapeva una grande festa le si faceva. Alcontadino non far sapere quanto è buono formaggioe pere.

Corsa Ragliante •18 Vendemmiaio 220Calliano, Asti, Piemonte

L’asina col puledrino, non va dritta al mulino. Unacorsa mozzaato, carote e letame, otto contrade si

sderanno in una corsa senza tempo spingendosiper le vie tortuose della città. Un asino solosopravviverà.

Sagra di San Martin • 23 brumaio 220Canelli, Asti, Piemonte

Il vate pensava certamente a questo incantevoleborgo quando preso d’impeto fervente scriveva “maper le vie del borgo dal ribollir de’ tini va l’aspro odordei vini l’anime a rallegrar”. Con i Ringraziamentidel buon Bacco e del rubicondo Martino, il novelloscorre i umi e i calcagni dei prodi vinaioli nalmentesi riposano lieti.

Sagra della Trippa •1 Brumaio 220

Passerano Marmorito, Asti 

Minestra di trippa, spezzatino di trippa e salamedi trippa, trippa al sugo, trippa in bianco, trippa epesce, trippa e verdure, trippa e fagioli, gelato ditrippa, trippa secca, trippa di trippa. Troppa trippa.

Sagra del Zucòn •5 brumaio 220Meugliano, Torino, Piemonte

Ore 19,00 Inizio distribuzione bagna caòdaOre 20,30 Gara di scopa (per tutta la serata accuratoservizio bar e panini).Ore 21,00 Esibizione del coro “Pulcherada – Ecodella Dora”PORTA LA TUA ZUCCA! GARA   A  CHI CE L’HA  PIÙ GROSSA 

Fera dij Coj • 21 Brumaio 220Settimo Torinese, Torino, Piemonte

In questa incantevole cittadina del ridente hinterland  torinese, come da tradizione quindicennale sifesteggerà l’illustre concittadino il Cavolo. Adafancare l’esposizione di tutte le varietà possibilidi questa nobile verza, ci saranno anche musica,pittura e spettacoli legati in modo fedele al re dellamanifestazione.

Fera dij Subiét ••••Moncalieri, Torino

 Attenzione! Le date dell’edizione di quest’anno non sono attendibili, in quanto calcolate in base al calendario gregoriano. Prima di mettersi in carrozzavi consigliamo di contattare il sindacato dei venditori 

di schietti.

Sagre & Fiere di paese

Fotografie:

Dalla redazione: Neri Marsili, Mirko Isaia,Irene Floris, Valeria Buscemi, Davide Diena

Da Flickr: bernachoc, pierrelag, klearchos,Rafael Gomez, pytiponk, Remo Casella,

Fulvio Varrone, Tambako the jaguar