Numero 2 Volume 6 Dicembre 2014 - Obesity Day...La dieta chetogenica Dieta a basso contenuto di...

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ttualità in Orientamenti per le moderne dinamiche clinico-assistenziali Rivista fondata da Giuseppe Fatati e Giuseppe Pipicelli Numero 2 Volume 6 Dicembre 2014 Periodico semestrale - Poste Italiane SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n° 46 art. 1, comma 1, DCB PISA Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica Fondazione ADI Position Paper La dieta chetogenica Dieta a basso contenuto di FODMAPS nella terapia della sindrome da intestino irritabile Il diabete fra gli anziani istituzionalizzati: management di una popolazione “sommersa Importanza della valutazione nutrizionale e dell’intervento dietetico nelle malattie rare: esperienza di un’attività ambulatoriale

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  • ttualità in

    Orientamenti per le moderne dinamiche clinico-assistenziali

    Rivista fondata da Giuseppe Fatati e Giuseppe Pipicelli

    Numero 2 • Volume 6 • Dicembre 2014

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    Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica

    Fondazione ADI Position PaperLa dieta chetogenica

    Dieta a basso contenuto di FODMAPS nella terapia della sindrome da intestino irritabile

    Il diabete fra gli anziani istituzionalizzati: management di una popolazione “sommersa

    Importanza della valutazione nutrizionale e dell’intervento dietetico nelle malattie rare: esperienza di un’attività ambulatoriale

  • Direttore Scientifi coGiuseppe Pipicelli

    Direttore ResponsabileEugenio Del Toma

    Direttore EditorialeMaria Antonia Fusco

    Comitato di RedazioneMaria Luisa Amerio, Franco Leonardi, Paola Nanni, Lina Oteri, Luciano Tramontano

    Addetto StampaRoberta Gigliotti

    Segretaria di RedazioneAnna Laura Badolato

    Presidente Fondazione ADIGiuseppe Fatati

    Consiglio di amministrazioneSegretarioMaria Luisa Amerio

    TesoriereLetizia Ferrara

    ConsiglieriEnrico BertoliAnna Rita Sabbatini

    Presidente ADILucchin Lucio

    Segretario GeneraleCaretto Antonio

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    TesoriereMaria Rita Spreghini

    ConsiglieriBianco Rosita, Caregaro Negrin Lorenza, Di Sapio Mario, Sileo Fulvio, Oteri Lina

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    © Copyright by Pacini Editore S.p.A. - PisaEdizione: Pacini Editore S.p.A. • Via Gherardesca 1 • 56121 PisaTel. 050 313011 • Fax 050 3130300E-mail: [email protected] • www.pacinimedicina.itStampa: Industrie Grafi che Pacini • Pisa

    EDITORIALEG. Fatati, G. Pipicelli .................................................................................... 37

    FONDAZIONE ADI: POSITION PAPERLa dieta chetogenicaA. Pezzana, M.L. Amerio, G. Fatati, L. Caregaro Negrin, F. Muratori, G.M. Rovera, M. Zanardi .............................................................................. 38

    ARTICOLI DI AGGIORNAMENTODieta a basso contenuto di FODMAPS nella terapia della sindrome da intestino irritabileM. Vincenzi, B. Paolini ................................................................................. 44

    Il diabete fra gli anziani istituzionalizzati: management di una popolazione “sommersa”U. Di Folco, M. Di Lella, C. Tubili................................................................... 48

    Importanza della valutazione nutrizionale e dell’intervento dietetico nelle malattie rare: esperienza di un’attività ambulatorialeB. Paolini, I. Del Ciondolo, E. Pasquini .......................................................... 57

    SEZIONE DI AUTOVALUTAZIONERisposte ai precedenti questionari, 2014, vol. 6, n. 1 ................................... 61

    Numero 2 • Volume 6 • Dicembre 2014

    Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica

    Marketing Dpt Pacini Editore MedicinaAndrea Tognelli • Medical Project - Marketing DirectorTel. 050 3130255 • [email protected] • Twitter: @andreatognelliFabio Poponcini • Sales ManagerTel. 050 3130218 • [email protected] Mori • Customer Relationship ManagerTel. 050 3130217 • [email protected] cio EditorialeLucia Castelli • Tel. 050 3130224 • [email protected]

  • NORME REDAZIONALI

    Attualità in Dietetica e Nutrizione Clinica - Orientamenti per le moder-ne dinamiche clinico-assistenziali è un periodico semestrale dell’As-sociazione Italiana Dietetica e Nutrizione Clinica (ADI).L’obiettivo degli articoli consiste nel fornire ai Medici di Medicina Ge-nerale contenuti di effettiva utilità professionale per la corretta gestio-ne delle casistiche nelle quali si richiedono interventi dietetico-nutri-zionali e di integrazione alimentare combinate ad altre strategie di trattamento.Gli articoli dovranno essere accompagnati da una dichiarazione fir-mata dal primo Autore, nella quale si attesti che i contributi sono inediti, non sottoposti contemporaneamente ad altra rivista e il loro contenuto conforme alla legislazione vigente in materia di etica della ricerca. Gli Autori sono gli unici responsabili delle affermazioni conte-nute nell’articolo e sono tenuti a dichiarare di aver ottenuto il consen-so informato per la sperimentazione e per la riproduzione delle imma-gini. La Redazione accoglie solo i testi conformi alle norme editoriali generali e specifiche per le singole rubriche. La loro accettazione è subordinata alla revisione critica di esperti, all’esecuzione di eventuali modifiche richieste e al parere conclusivo del Direttore. Il Direttore del Giornale si riserva inoltre il diritto di richiedere agli Au-tori la documentazione dei casi e dei protocolli di ricerca, qualora lo ritenga opportuno. Nel caso di provenienza da un Dipartimento Uni-versitario o da un Ospedale il testo dovrà essere controfirmato dal re-sponsabile del Reparto (U.O.O., Clinica Universitaria …).Conflitto di interessi: nella lettera di accompagnamento dell’articolo, gli Autori devono dichiarare se hanno ricevuto finanziamenti o se hanno in atto contratti o altre forme di finanziamento, personali o istituzionali, con Enti Pubblici o Privati, anche se i loro prodotti non sono citati nel testo. Questa dichiarazione verrà trattata dal Direttore come una infor-mazione riservata e non verrà inoltrata ai revisori. I lavori accettati ver-ranno pubblicati con l’accompagnamento di una dichiarazione ad hoc, allo scopo di rendere nota la fonte e la natura del finanziamento.

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    ediToRiale ADI 2014;6:37

    Anche in questo numero della rivista affronteremo argomenti molto at-tuali e di signifi cativo impatto clinico nell’attività routinaria del medico di medicina generale.Nel dettaglio andiamo brevemente ad analizzare i contenuti.L’articolo di Massimo Vincenzi e Barbara Paolini affronta la problemati-ca della dieta a basso contenuto di FODMAP (cibi con alto contenuto di fruttosio, sorbitolo e fruttani).Una dieta ad alto contenuto di FODMAP determina un’aumentata pro-duzione di gas e una distensione colica da fermentazione batterica e incrementa la quantità di acqua nel piccolo intestino dovuta a un alto carico idrico. Da qui l’ipotesi che una ridotta introduzione di FODMAP possa migliorare i sintomi gastrointestinali. Sebbene i dati siano anco-ra limitati, sono incoraggianti nella prosecuzione di studi in tal senso con adozione di strategie dietetiche mirate e che comunque richiedo-no l’intervento di esperti nel campo della nutrizione.Claudio Tubili affronta, invece, il problema relativo al paziente anz iano fragile istituzionalizzato, evidenziando sia la dimensione del problema legata al miglioramento delle cure, sia quindi all’innalzamento dell’a-spettativa di vita.Nell’anziano la condizione patologica differisce da quello del paziente più giovane per la presenza di comorbilità, le suddette sindromi ge-riatriche, in grado di limitare le abilità di autogestione, la relativa inca-pacità a tollerare gli effetti collaterali dei farmaci utilizzati, così come le conseguenze dell’ipoglicemia. L’obiettivo della terapia dovrebbe es-sere stabilito dopo avere effettuato una valutazione multidimensionale geriatrica che permetta un inquadramento globale del paziente.Infi ne Barbara Paolini illustra la sua esperienza nel supporto nutriziona-le nelle malattie rare per le quali l’intervento del dietologo e del dietista è fondamentale, in quanto l’alimentazione può rappresentarne talvol-ta l’unica terapia, o un’attenta e precoce valutazione nutrizionale, ne permette di prevenire o correggere stati carenziali, che spesso sono responsabili della sintomatologia clinica e del precoce esodo infausto dei pazienti. Ed è proprio per il fatto che sono patologie rare l’interven-to dello specialista nutrizionista diventa prioritario e, appunto come ri-marcato precedentemente, fondamentale.

    Giuseppe Fatati Giuseppe Pipicelli Presidente Fondazione ADI Direttore Scientifi co

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    ADI 2014;6:38-43

    Andrea Pezzana1, Maria Luisa Amerio2,

    Giuseppe Fatati3, Lorenza Caregaro Negrin4,

    Fabrizio Muratori5, Giuseppe M. Rovera6,

    Michela Zanardi11 SoSD Dietetica e Nutrizione Clinica,

    Ospedale San Giovanni Bosco, Torino;2 Direttore SOC Dietetica e Nutrizione

    Clinica, Ospedale Cardinal Massaia, Asti;3 Presidente Fondazione ADI;

    4 Dietetica e Nutrizione Clinica, Policlinico Universitario, Azienda Ospedaliera di Padova; 5 Struttura Complessa di Endocrinologia e Diabetologia,

    Ospedale Sant’Anna di Como;6 Primario Medicina, Clinica San Luca,

    Torino; Professore a Contratto, Università di Torino

    Parole chiaveChetogenico, dieta, sovrappeso

    [email protected]

    La dieta chetogenica

    Fondazione adi: PoSiTion PaPeR

    introduzioneNeglianni’20delXXsecolo,neltentativoditrovareterapiedieteti-che idonee a migliorare il controllo dell’epilessia, iniziarono le prime osservazioni sul ruolo di un digiuno ciclico protratto per alcune setti-mane basato sulla restrizione calorica (prevalentemente glucidica) e sull’induzione dell’utilizzo dei corpi chetonici come prevalente fonte energetica.Furonopubblicati4lavorisulruolodeldigiunochetogenico,incuioltreagli auspicati effetti neurologici si descrivevano gli effetti collaterali di dimagramento, aprendo la strada a ulteriori ricerche in questo campo, per approfondirne le indicazioni terapeutiche 1. Nel1921ildott.WilderdellaMayoClinicproponevadistandardizzarele modalità di induzione della chetogenesi con un regime ricco in gras-si e povero in carboidrati 2.Le necessità di approfondire e migliorare l’approccio alla dietoterapia dell’obesità ha fatto rifiorire l’interesse su questo tema dalla fine degli anni’60,conalternanzadimomentipiùentusiasticiseguitidapub-blicazioni critiche o scettiche, ma innegabilmente le diete fortemen-te ridotte in calorie (VLCDs) continuano a rappresentare un ambito di grande interesse metabolico e di potenziale utilizzo clinico; molte delle criticità emerse in letteratura sono peraltro legate a errori nelle indicazioni, nella selezione dei pazienti, nella gestione del piano te-rapeutico, nella tempistica e ancora nella scelta della quota calorica e proteica.Proponiamo pertanto una revisione dei principali dati di letteratura per puntualizzare le potenziali applicazioni di questo approccio dietotera-pico e le condotte gestionali auspicabili.

    definizione e aspetti biochimici: un punto di vista evoluzionisticoL’uomo, nel corso del lungo percorso dalla comparsa dei primi omi-nidi sulla terra alla successiva evoluzione in forme sempre più simili all’attuale genere umano, ha sviluppato competenze metaboliche for-temente influenzate da quelle che sono state le condizioni di vita e di alimentazione.Pur con le diversità legate alle differenze climatiche e ambientali, pos-siamo così riassumere le caratteristiche dell’alimentazione durate da circa2milionidiannifaa8.000annifa(periodopaleoliticoemesoliti-co, o dei fruttivori e carnivori cacciatori e raccoglitori):

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    la dieta chetogenica

    • necessità di gestire la giornata prevalentemente in funzione della ricerca di cibo;

    • ciclica comparsa di periodi di scarsa disponibilità del cibo stesso, alternando periodi di maggior ali-mentazione ad altri di quasi digiuno;

    • ciclica assunzione di elevate quantità di proteine di origine animale in occasione di caccia favorevo-le, con contenuto di grassi medio-basso (consu-mo di soli animali selvatici), da consumare in pochi giorni;

    • apporti medi stimati di circa 70-80 g di proteine e 1.800/2.000kcalorie,congrassinonsuperiorial20%dellecalorietotali;

    • nella già descritta scarsità di carboidrati, gli zuc-cheri semplici erano pressoché assenti;

    • l’apporto di fibre era molto elevato.Queste fluttuazioni hanno molto influenzato il nostro pattern metabolico, che è stato gradualmente diso-rientato dalla costante disponibilità di cibo, già appar-sa con l’avvento dell’agricoltura circa 8.000 anni fa e molto amplificata nell’era moderna industriale e post-industriale.Quel “gene risparmiatore” che aveva fortemente in-fluenzato la selezione della specie, incrementando la sopravvivenza anche in funzione delle capacità meta-boliche sviluppate, è diventato co-protagonista della pandemiadiobesità,diabetetipo2emalattiecroni-co-degenerative correlate alla dieta e allo stile di vi-ta. Infatti, l’incrementata tendenza alla comparsa di resistenza insulinica è stata correlata in vari studi con la sospensione di questa alternanza tra digiuno e sa-zietà, con conseguente ridotta capacità di preservare il glucosio per le funzioni vitali quali l’attività cerebrale e la riproduzione 3.Le cosiddette “paleo-diete”, le diete chetogeniche fortemente ipocaloriche e alcune diete “commercia-li” come la Atkins condividono quindi il recupero di capacità metaboliche sviluppatesi nel periodo prece-dente la comparsa dell’agricoltura.Peraltro l’utilizzo di corpi chetonici a scopo energe-tico è quotidianamente presente in condizioni fisio-logiche, quali la chetosi mattutina e la chetosi dopo sforzi o la fisiologica chetosi dopo un pasto ricco in proteine. Quando si riduce drasticamente l’apporto di gluci-di conseguentemente la modificazione del rapporto tra la concentrazione di insulina e quella di glucagone promuove la mobilizzazione dei lipidi dai depositi tis-sutali promuovendone l’ossidazione a scopo energe-tico; essendo rallentata la conversione del glucosio in piruvato, l’acetil-Co-A viene prevalentemente shiftato verso la produzione di corpi chetonici, che perduran-do la condizione di chetoacidosi vengono utilizzati a livello del sistema nervoso centrale, dove forniscono

    energia e contribuiscono alla comparsa di senso di sazietà, e dal muscolo cardiaco; la loro eliminazione avviene a livello polmonare (alito acetosico) e renale (tamponati dai cationi Na, K, Ca e Mg).A livello pancreatico contribuiscono al miglioramento metabolico in pazienti con insulino-resistenza 4.I livelli “soglia” che inducono questi meccanismi me-tabolicisonodiapportiglucidici inferioriai20-50g/die, mentre non possono essere ritenuti tali gli ap-procciche,anchesedefinitiipocalorici(tra50e150gdicarboidrati/die),noninduconochetogenesi 5 6.

    ambiti potenziali di applicazioneL’esasperata attenzione all’aspetto fisico e alla linea, esaltata da pubblicità e mode, ha creato negli anni un discutibile mercato delle diete, con risvolti esclusiva-mente commerciali e scarso o nessun interesse alla reale salute dei pazienti.In questo uso selvaggio di regimi dietetici sono sta-ti purtroppo inclusi anche approcci potenzialmente interessanti, gestiti per lo più senza la competenza delle professionalità e delle competenze necessarie (medico specialista, dietista), quindi spesso facendo emergere dubbi e perplessità, che però vanno corre-lati più alla scorretta gestione e indicazione, che non alla dietoterapia in sé.La dieta chetogenica ne è un esempio ben preci-so: errori prescrittivi, gestionali e carenza di follow-up dedicato ne hanno spesso fatto emergere solo le ombre. Va invece ricordato che, in casi ben selezio-nati, con una chiara definizione dell’obiettivo e dei tempi massimi di attuazione, conferma la sua validità anche oggi. Le esperienze cliniche pubblicate si riferiscono a stra-tegiedibrevetermine(unperiodochevadalle3-4alle12settimaneneidatidisponibili),mentrerestaancoracontroverso il graduale ritorno a un regime adeguato e il mantenimento dei risultati in una visione di medio e lungo termine, in quanto in alcuni studi i vantaggi dell’approccio chetogenico tendono a ridursi nell’os-servazione di lunga durata versus approcci ipocalorici non induttori di chetosi 7. Un altro ambito di ricerca è costituito dal livello di compliance alla terapia prescritta: infatti un regime dietetico non sempre facile da impostare, in parti-colare in popolazioni abituate ad apporti significativi di zuccheri complessi, può indurre drop-out in una percentuale variabiledi pazienti, finoal 40%circa,dato che sembra molto influenzato dalla corretta se-lezione iniziale 8.Vengono di seguito descritti alcuni dei principali ambi-ti di utilizzo consigliati e descritti in letteratura.

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    la dieta chetogenica

    l’obesità complicata, la grave obesità e la chirurgia bariatricaI dati disponibili a livello nazionale, europeo e mondia-le confermano la pandemia già prospettata dall’Orga-nizzazione Mondiale della Sanità (OMS) alla fine dello scorso millennio.Nel VII rapporto sull’Obesità dell’Istituto Auxologico italiano  9 si evidenzia in particolare la preoccupan-te situazione in età pediatrica (all’ottavo anno di vita il36%deibambini italianihaproblemidipeso,con24%disovrappesoe12%diobesità),mentrenegliadultitra35e55annisievidenziacircail38%diso-vrappesoeil12%diobesità.Le ricadute economiche, sanitarie e in perdita di aspettativa e qualità di vita sono drammatiche e tutte le organizzazioni politiche e sanitarie si stanno interro-gando sugli strumenti preventivi da mettere in atto 10.La complessità della patogenesi (genetica, comporta-mento, influenze dello status socio-culturale) insieme alla scarsa disponibilità di poche terapie farmacologi-che rende spesso difficile un approccio evidence-ba-sed unificato con buone possibilità di successo.In questo scenario anche la dieta chetogenica può fornire una possibilità terapeutica, se gestita da per-sonale esperto e in una popolazione ben selezionata e con una chiara definizione degli obiettivi a medio e lungo termine.Tra i vantaggi di un approccio basato sull’induzione della chetogenesi sono stati descritti:• il fattore motivazionale legato alla rapida attivazio-

    ne del calo di peso;• la riduzione della fame legata alla moderata chetosi;• un miglior mantenimento del trofismo e della mas-

    sa muscolare;• una miglior aderenza alla dieta vissuta dal pazien-

    te come terapia personalizzata 11.Tra gli altri vantaggi descritti in letteratura si ricordano anche possibili applicazioni di tipo preventivo in grup-pi a rischio 12 e miglioramento di marker metabolici e infiammatori con riduzione del rischio cardiovascola-re 13. Alcuni studi hanno dimostrato risultati soddisfa-centi anche in ambito non strettamente sanitario, con programmi commerciali, purché aderenti alle linee guida e co-gestiti da personale esperto  14, mentre, malgrado l’esistenza di dati pubblicati favorevoli  15, c’è ancora molto dibattito nel mondo scientifico sulla somministrazione artificiale di diete chetogeniche, in particolare per via enterale, escludendo l’alimentazio-ne per os.Sempre in tema di obesità, vari lavori prospettano un ruolo per le diete chetogeniche in sinergia con la chi-rurgia bariatrica, ad esempio facilitando un calo pre-operatorio al fine di ridurre il rischio generico e le com-

    plicanze post-chirurgiche, migliorando le comorbilità associate alla grave obesità.I vantaggi sono stai descritti da vari autori anche in termini di miglioramento degli outcome sia a breve che a lungo termine 16 17.

    le patologie neurologicheOltre alla già citate evidenza sul ruolo della dieta chetogenica in alcune forme di epilessia farmaco-resistente o nel miglioramento della risposta ai far-maci stessi, esistono oggi dati incoraggianti sul ruolo della condizione chetosica nella prevenzione o riduzione della progressione in alcune malattie neurodegenerative. I dati disponibili sono per ora più che altro teorici e sperimentali, ma vista la crescente prevalenza si guar-da con interesse a questa potenziale applicazione.In particolare nella malattia di Parkinson, la cui pa-togenesi è da correlare al danno dei neuroni dopa-minergici e all’iperproduzione di ROS, una moderata chetosi può ridurre il danno cellulare aumentando la forma ossidata di coenzima Q 10. Nella malattia di Alzheimer, invece, il potenziale vantaggio è da cor-relare alla capacità metabolica dei corpi chetonici di bypassare il danno funzionale cellulare (inattivazione della piruvico-deidrogenasi e ridotta sintesi di acetil-colina) migliorando le sintesi neuronali 18.

    la sindrome metabolica, il diabete, la naFldAlla luce dei vantaggi già descritti per l’obesità, si può capire come molti altri ambiti clinici trovino applica-zione all’utilizzo della moderata chetosi, tra queste le condizioni di iperinsulinemia o resistenza insulinica in particolare.Tra i vantaggi clinici descritti nel paziente affetto da diabetetipo2ricordiamounmiglioratocontrollogli-cemico 19, vantaggi sulla resistenza insulinica e sul ca-lo ponderale nei diabetici obesi 20 e migliorato funzio-namento delle beta-cellule 21.Tra le complicanze di diabete e sindrome metabolica emerge in modo importante la patologia steatoepati-tica non alcol correlate, che nella evoluzione della no-menclatura in atto (dalla steatosi epatica alla NASH, non alcoholic steato-hepatitis, alla più recente NA-FLD, non-alcoholic fatty liver disease) è caratterizza-ta oltre che da uno specifico quadro anatomopatolo-gico, da iperinsulinemia, iperglicemia ed elevati livelli di FFA (free fatty acids) circolanti. Dieta e stile di vita sembrano essere tra i maggiori fattori patogenetici 22 e quindi molti lavori cercano di evidenziare quali com-

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    La dieta chetogenica

    portamenti potrebbero favorevolmente influenzarne la prevenzione o il trattamento.Sono stati pubblicati alcuni promettenti dati speri-mentali sull’applicazione di una dieta chetogenica nel trattamento della NAFLD 23e anche un contempora-neo lavoro sulla Spanish Ketogenic Mediterranean Diet (un modello in parte ispirato alla dieta mediterra-nea, con forte restrizione glucidica ed elevato appor-to di pesce e olio di oliva) ha dimostrato efficacia nel miglioramento del quadro epatico in pazienti affetti da NAFLD 24.

    la conduzione pratica di un approccio dietoterapico chetogenicoL’avvio di un paziente a un periodo di moderata che-tosi indotta dalla dieta deve prevedere:• una fase di valutazione delle indicazioni e con-

    troindicazioni e dei dati clinico-anamnestici;• una fase di definizione degli obiettivi e dei tempi

    previsti di trattamento;• una fase di programmazione del protocollo diete-

    tico, con successiva graduale uscita dalla fase di chetosi.

    Analizzando i dati riportati in letteratura, comparan-do i vari ambiti di applicazione descritti nei paragra-fi precedenti, possiamo evidenziare come prevalenti indicazioni l’obesità o il sovrappeso con comorbidità (diabetetipo2,OSAS,gravipatologieosteoarticolari).Tra le controindicazioni vanno invece ricordati: l’insuf-ficienza epatica, renale e cardiaca (infarto miocardico acuto – IMA, blocco atrioventricolare – BAV, aritmie maggiori), il diabete tipo 1, la gravidanza e l’allatta-mento, l’età giovanile (infanzia e adolescenza sono escluse da questo tipo di trattamento), le patologie psichiatriche.I dati clinico-anamnestici vanno pertanto raccolti con particolare attenzione alla presenza di controindica-zioni, valutando l’eventuale terapia in atto ed esami ematochimici recenti mirati a evidenziare eventuali patologie d’organo.In caso di avvio alla terapie dietetica chetogenica va chiarito l’ambito di vera terapia metabolica, in cui l’au-togestione del paziente potrebbe esporlo a carenze o inadeguatezze nutrizionali. È pertanto necessario uno stretto monitoraggio clinico e bioumorale program-mando controlli periodici clinici ed ematici; in questo ambito vanno anche ben chiarite le fonti “nascoste” di carboidrati.La terapia andrà modulata e personalizzata definendo un idoneo apporto glucidico (in media compreso tra 20e60g/die,macomunqueinferiorea1gdicarboi-

    drati/kgpesoideale/die),raggiungendoilrangesupe-riore di apporti solo negli individui di sesso maschile e di grossa corporatura. L’apporto proteico consigliato èdicirca1g/kgpesocorporeo/die,equellolipidicotra15e30g/die;lekcalorietotalidevonoessereabi-tualmentecompresetra450e800/die 25.È indicata una supplementazione con bicarbonati di sodioepotassio(1,5-2g/die),polivitaminicostandardeomega-3(1g/die) 26. Rispetto alla gestione pratica e all’elaborazione della dieta sono riportati in letteratura interessanti model-li costruiti con il solo utilizzo di alimenti naturali, tra i quali la già citata “Dieta mediterranea spagnola che-togenica” basata su importanti apporti di proteine da pesce (definite fish blocks) e sulla differenziazione dei vegetali concessi in base all’apporto glucidico. Esisto-no anche esempi di regimi che utilizzano integratori proteici ad hoc, costruiti come pasti sostitutivi o por-tate sostitutive (meal replacements), sia dolci sia sa-lati. La prima proposta mira a una maggior naturalità, ma può essere gravata da maggior monotonia, so-prattutto nella prima colazione e negli eventuali spun-tini. Un approccio misto o “mitigato”, che prevede l’al-ternanza dei due regimi, può contribuire a migliorare la compliance e la piacevolezza della dieta proposta.Si consiglia l’adozione di un regime dietetico gradua-le, che partendo da apporti più marcatamente ipoca-lorici e iperproteici modifichi negli step successivi in modo inverso le proteine (riducendole gradualmente) e le calorie (da aumentare altrettanto gradualmente), con3-4fasiognunadelladuratainmediadi2setti-mane. In letteratura si trovano studi ben condotti che

    Tabella I. Le principali indicazioni e controindicazioni alla die-ta chetogenica.Indicazioni• Obesità grave o complicata (ipertensione, diabete tipo 2,dislipidemia,OSAS, sindrome metabolica, osteopa-tie o artropatie severe)

    • Obesità severa con indicazione alla chirurgia bariatrica (nel periodo pre-operatorio)

    • Pazienti con indicazioni a rapido dimagramento per se-vere comorbilità

    • Non-alcoholic fatty liver disease (NAFLD)• Epilessia farmaco-resistenteControindicazioni• Gravidanza e allattamento• Anamnesi positiva per disturbi psichici e comportamen-

    tali, abuso di alcol e altre sostanze• Insufficienza epatica o renale• Diabete tipo 1• Porfiria, angina instabile, ima recente

  • 42

    La dieta chetogenica

    la gestione delle criticitàSi può quindi affermare che la dieta chetogenica è una terapia che va conosciuta in tutte le sue compo-nenti sia dai sanitari coinvolti nella prescrizione, sia dai pazienti arruolati 27.L’induzione della chetosi può portare a differenti pro-blemi nei primi giorni di terapia o nelle fasi successive. Per migliorare l’effetto terapeutico riducendo i rischi di effetti collaterali è richiesto un periodico monitoraggio dell’aderenza alle indicazioni, delle condizioni cliniche e di eventuali dati ematochimici.La cefalea, il più frequente effetto collaterale precoce presente in circa un terzo dei pazienti, tende a scom-parirespontaneamenteentro72ore.Successivamente sono descritti alitosi (molti pazienti riferiscono la necessità di utilizzo di spray orali o gom-me da masticare rigorosamente senza fonti di gluci-di), xerostomia, stipsi. Alcuni pazienti riferiscono an-che ridotta tolleranza al freddo e vertigini posturali 11. È stata segnalata un’aumentata incidenza di disor-dini biliari e colelitiasi, che ha a volte portato a cole-cistectomia 8.Inoltre i dati disponibili in letteratura sono a volte di-scordanti sugli effetti a lungo termine e sull’entità di drop-out in corso di trattamento.Alcuni lavori evidenziano risultati entusiasticamente migliori rispetto ad altri approcci ipocalorici non che-togenici 7, ma sono anche state riportati dati che dubi-tano sulla reale efficacia a lungo termine, proponendo la necessità di trial di maggior durata 28. Nell’ambito di uno studio già citato 8 un sottogruppo è stato osser-vatoperperiodidi2e3anniconunrecuperoquasitotale del peso perso nella fase chetogenica.I risultati ottenuti sono direttamente correlati al grado di aderenza del paziente alle indicazioni fornite, con-fermando la necessità di un’adeguata selezione dei potenziali candidati.

    conclusioniIn un mondo sempre più affetto da sovrappeso e obesità,incuiildiabetetipo2èinpreoccupanteau-mento, la dieta chetogenica si pone come un’interes-sante alternativa ad altri percorsi terapeutici.Non si può al momento prevederne un utilizzo routi-nario come prima scelta in tutte le forme di sovrappe-so e obesità, ma è da considerare soprattutto laddo-ve sia richiesto un calo ponderale rapido, che aiuti al contenimento del rischio globale di salute e alla moti-vazione del paziente.Deve essere proposto a pazienti accuratamente sele-zionati, sia per caratteristiche cliniche sia per prevista compliance, e richiede un’adeguata conoscenza del-

    hanno protratto la chetosi fino a un periodo massimo di12settimane 8.Il calo ponderale auspicabile descritto è di circa 1-2 kgallasettimana,conpuntemassimedi2,5 kg.In casi di risultati insoddisfacenti può essere verificata l’aderenza alla prescrizione con l’utilizzo di test rapidi urinari per la rilevazione dei corpi chetonici, che do-vrebbe risultare fortemente positiva.

    TABELLA II. Proposta di giornata alimentare con dieta cheto-genica con apporti medi giornalieri di circa 65 g di proteine, 30 g di lipidi, 60 g di glucidi, 770 kcalorie.Colazione1vasettodiyogurtmagro (125g)o1bicchieredi lattescremato(125cc)+3fettebiscottateintegralioppure30gdipaneintegrale+2fettediaffettatomagro(45g)

    Pranzo e cenaCarne magra 100 g o pesce (preferire pesci di piccola taglia,megliosepesceazzurro)150g(prevederepianopersonalizzato isoproteico e isocalorico di sostituzioni con uova o soia e derivati)Verduralibera(gruppo1)o150g(gruppo2)1 cucchiaino di olioPaneintegrale30g,sostituibile2-3voltenellasettimanacon 1 frutto medio (circa 180 g) utilizzando anche piccoli frutti selvatici (more, lamponi, ribes) ed evitando banane, cachi e altra frutta a elevato contenuto di zuccheri

    SpuntinoYogurt greco magro 100 g

    Nella giornata:• Acqua,tisaneetènonzuccheraticc.2.000(conmo-

    derazione il caffè d’orzo)• Polivitaminicoconcopertura100%delleRDA• BicarbonatodiNaeK1,5-2g/die• Omega3:1g/die• Supplementazionidifibra:10g/die•Eventuali supplementazioni di calcio

    Attenzione a zuccheri nascosti in:Caramelle e gomme da masticare, farmaci e integratori, salse (soia, ketchup), aceto balsamico, bevande pronte e da distributori automatici

    Suddivisione delle verdure•Gruppo 1: consumo libero: tutte le verdure a foglia, bie-

    te, broccoli, cardi, cavolfiori, cavoli, cetrioli, cime di ra-pa, fiori di zucca, finocchi, peperoni verdi, ravanello, ra-dicchio, sedano, spinaci, zucchine

    • Gruppo2:consumo inquantitàdefinite:asparagi,car-ciofi, cavolini di Bruxelles, cipolline, fagiolini, melanzane, peperoni gialli e rossi, pomodori, porri, rape, zucca gialla

    •Gruppo3:consumovietato:barbabietole,patate,ca-rote cotte (permesse in piccole quantità se crude)

  • 43

    La dieta chetogenica

    14 Hemmingsson E, Johansson K,Eriksson J, et al. Weight loss and dropout during a commercial weight-loss pro-gram including a very-low-calorie diet, a low-calorie diet, or restricted normal food: observational cohort study.AmJClinNutr2012;96:953-61.

    15 Cappello G,   Franceschelli A,  Cappello A, et al. Ke-togenic enteral nutrition as a treatment for obesity: short term and long term results from 19,000 patients. Nutr Metab(Lond)2012;9:96.

    16 Alvarado R, Alami RS, Hsu G, et al. The impact of perio-perative weight loss in patients undergoing laparoscopic Roux-en-Y gastric bypass.ObesSurg2005;15:1282-6.

    17 Alger-Meyer S, Polimeni JM, Malone M, et al. Preop-erative weight loss as a predictor of long-term suc-cess following Roux-en-Y gastric bypass. Obes Surg 2008;18:772-5.

    18 Veech RL. The The therapeutic implications of ketone bodies: the effects of ketone bodies in pathological conditions: ketosis, ketogenic diet, redox states, insulin resistance, and mitochondrial metabolism. Prostaglan-dins Leukot Essent Fatty Acids 2004;70:309-19.

    19 Hussain TA, Mathew TC, Dashti AA, et al. Effect of low-calorie versus low-carbohydrate ketogenic diet in type 2 diabetes.Nutrition2012;28:1016-21.

    20 Jazet IM,  Schaart G, Gastaldelli A, et al. Loss of 50% of excess weight using a very low energy diet improves insulin-stimulated glucose disposal and skeletal muscle insulin signalling in obese insulin-treated type 2 diabetic patients.Diabetologia2008;51:309-19.

    21 Malandrucco I, Pasqualetti P, Giordani I, et al. Very-low-calorie diet: a quick therapeutic tool to improve beta-cell function in morbidly obese patients with type 2 diabe-tes.AmJClinNutr2012;95:609.

    22 Finelli C, Tarantino G. Is there any Consensus as to what diet or lifestyle approach Is the right one for NAFlD patients?JGastrointestinLiverDis2012;21:293-302.

    23 Okuda T, Morita N. A very low carbohydrate ketogen-ic diet prevents the progression of hepatic steatosis caused by hyperglycemia in a juvenile obese mouse model.NutritionandDiabetes2012;2:e50.

    24 Perez-Guisado J, Munoz-Serrano A. The effect of the Spanish Ketogenic Mediterranean Diet on Nonalco-holic Fatty Liver Disease: a pilot study. J Med Food 2011;14:677-80.

    25 Department of Veterans Affairs. Clinical practice guide-line for screening and management of overweight and obesity(2006).

    26 Yancy WS, Olsen MK, Dudley T, et al. Acid-base analy-sis of individuals following two weight loss diets. Euro-peanEurJClinNutr2007;61:1416-22.

    27 Wheless JW. The ketogenic diet: an effective medical therapy with side effects.JChildNeurol2001;16:633-5.

    28 Samaha FF,  Iqbal N, Seshadri P, et al. A low-carbohy-drate as compared with a low-fat diet in severe obesity. NEnglJMed2003;348:2074-81.

    le modificazioni metaboliche indotte e dei potenziali effetti collaterali da parte del team curante.Trattandosi di una terapia che temporaneamente pre-vede di allontanarsi in modo significativo dalle prin-cipali indicazioni preventive disponibili sulle principali malattie cronico-degenerative, questo obiettivo a bre-ve/medio terminevacondiviso inmodocompletoechiaro con il paziente, prevedendo di riaccompagnar-lo, nel percorso di riabilitazione nutrizionale successi-vo al periodo chetosico, a un regime alimentare bilan-ciato, piacevole e globalmente preventivo.

    Bibliografia1 Wheless JW. History and origin of the ketogenic diet. In:

    Stafstrom CE, Rho JM, eds. Epilepsy and the ketogenic diet.Totowa:HumanaPress2004.

    2 Wilder RM. The effect on ketonemia on the course of epilepsy.MayoClinBull1921;2:307.

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    4 Mitchell GA, Kassovska-Bratinova S, Boukaftane Y, et al. Medical aspects of ketone body metabolism. Clin In-vestMed1995;18:193-216.

    5 Manninen AH. Metabolic effects of the very-low carbo-hydrates diets.JIntSocSportsNutr2004;1:7-11.

    6 Westman EC, Feinman RD, Mavropoulos JC, et al. Low-carbohydrate nutrition and metabolism. Am J Clin Nutr2007;86:276-84.

    7 Stern L, Iqbal N, Seshadri P, et al. The Effects of Low-Carbohydrate versus Conventional Weight Loss Diets in Severely Obese Adults: One-Year Follow-up of a Ran-domized Trial.AnnInternMed2004;140:778-785.

    8 Bischoff SC,  Damms-Machado A, Betz C, et al. Multi-center evaluation of an interdisciplinary 52-week weight loss program for obesity with regard to body weight, comorbidities and quality of life - a prospective study. IntJObes2012;36:614-24.

    9 VII rapporto sull’obesità. Obesità e genetica: oltre lo sti-le di vita.Roma:IlPensieroscientificoEditore2011.

    10 Barnes M. Solving the problem of childhood obesity within a generation. White House Task Force on Child-hood Obesity - Report to the President 2010.

    11 Delbridge E, Proietto J. State of the science: VLED (Very Low Energy Diet) for obesity. Asia Pac J Clin Nutr 2006;15(Suppl):49-54.

    12 Dashti HM, Mathew TC. Prevention of obesity using low carbohydrate ketogenic diet. Kuwait Medical Journal 2009;41:3-12.

    13 Merino J,  Megias-Rangil I, Ferré R, et al. Body weight loss by very-low-calorie diet program improves small artery reactive hyperemia in severely obese patients. ObesSurg2013;23:17-23.

  • 44

    ADI 2014;6:44-47

    Massimo Vincenzi1, Barbara Paolini2

    1 Servizio di Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva,

    San Pier Damiano Hospital, Faenza (RA); 2 UO Dietetica Medica,

    Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Policlinico Santa Maria alle Scotte, Siena

    Parole chiaveIBS, FODMAPs, dieta

    corrisPondenzaMassimo Vincenzi

    [email protected]

    Barbara [email protected]

    Dieta a basso contenuto di FODMAPS nella terapia della sindrome da intestino irritabile

    aRTicolo di aggioRnamenTo

    Nella sindrome da intestino irritabile (IBS) il peggioramento dei sintomi postprandiali, come anche reazioni avverse a uno o più cibi sono un aspetto comune e un’intolleranza ai cibi self-reported è associata con molti sintomi e con una ridotta qualità di vita. In linea con ciò, circa due terzi dei pazienti con IBS escludono alimenti dalla propria dieta nell’in-tento di migliorare i sintomi. Infatti, numerosi pazienti con IBS riferisco-no un’esacerbazione dei sintomi correlata all’introduzione di cibo che può essere in parte dovuta ad una vera e propria intolleranza ad alcuni alimenti, ma che d’altra parte può essere legata ad una ipersensibili-tà viscerale o a modificazioni del microbiota intestinale 1. A dispetto di tutto questo, non vi è alcuna evidenza che supporti un’inadeguata as-sunzione di nutrienti nella maggioranza dei pazienti con IBS.Il microbiota intestinale può essere significativamente modificato dall’introduzione di fibre e di oligosaccaridi fermentabili nonché disac-caridi, monosaccaridi e polioli definiti dall’acronimo FODMAPs (Tab. I). Cibi ad alto contenuto di FODMAP includono quelli con eccesso di fruttosio (miele, pesche, frutta essiccata), fruttani (grano, segale, cipol-le), sorbitolo (albicocche, prugne, dolcificanti) e raffinoso (lenticchie, cavoli, legumi) (Tab. II).Una dieta ad alto contenuto di FODMAP determina un’aumentata pro-duzione di gas e una distensione colica da fermentazione batterica e in-crementa la quantità di acqua nel piccolo intestino dovuta ad un alto ca-rico idrico. In uno studio di Murray et al. 2 è stata determinata la quantità di idrogeno nell’espirato e il contenuto di acqua, di gas colici e la disten-sione intestinale utilizzando immagini ottenute dalla RM dell’addome in volontari sani. L’intake di fruttosio, che ha un alto carico osmotico, è as-sociato con un aumentato contenuto di acqua del piccolo intestino se comparato con il glucosio e l’inulina (fruttano osmoticamente inattivo). Tuttavia, l’inulina aumenta la quantità di idrogeno nell’espirato e la quan-tità di gas colici, in quantità maggiore rispetto al fruttosio e al glucosio.L’ipotesi che una ridotta introduzione di FODMAP possa migliorare i sintomi gastrointestinali deriva dall’osservazione clinica che una pro-porzione non trascurabile di pazienti con IBS tollera scarsamente l’in-take di carboidrati a catena corta.Tuttavia l’incompleto assorbimento di carboidrati nel piccolo intestino non sempre provoca sintomi, in quanto non tutti i soggetti, ad esem-pio, con maldigestione del lattosio e malassorbimento del fruttosio, riportano sintomi.Verosimilmente altri fattori sono implicati, come sopra si accennava, quali le alterazioni nella composizione del microbiota intestinale e l’i-persensibilità viscerale.

  • 45

    La dieta chetogenica

    Alcuni studi hanno dimostrato un effetto benefico della dieta a basso contenuto di FODMAP in pazien-ti con IBS. In uno studio di Staudacher, pazienti con IBS che hanno seguito una dieta a basso contenuto di FODMAP hanno presentato una migliore risposta dei sintomi intestinali sia nel complesso sia individual-mente (ad esempio bloating, dolore addominale, fla-tulenza) raffrontati a pazienti che hanno seguito una dieta standard 3.In un recente trial crossover condotto in Australia da Halmos 4 dove è stata comparata una dieta a basso livello di FODMAP con una tipica dieta australiana che include un’alta percentuale di FODMAPS, per un pe-riododi21giorniciascuno,ipazienticonipiùbassipunteggi per quanto concerne i sintomi gastrointesti-

    nali sono stati quelli a dieta a bassi livelli di FODMAP, rispetto a quei pazienti che erano stati sottoposti a dieta australiana. Gli Autori concludono che visto l’al-to livello di evidenza, la dieta a basso contenuto di FODMAPs può essere utilizzata come terapia first-li-ne.La risposta favorevole alla dieta low-FODMAP è sta-ta in generale ritenuta come principalmente dovuta all’assenza di glutine; tuttavia questa ipotesi non è stata supportata da studi adeguati. Il periodo dello studio è relativamente breve, ma al momento non esi-stono linee guida che indichino per quanto tempo la dieta low-FODMAP debba essere seguita o se la gra-duale reintroduzione dei cibi esclusi possa essere ef-fettuata senza un peggioramento dei sintomi.Alcuni pazienti con IBS hanno riferito un significativo miglioramento dei sintomi gastrointestinali e non ga-strointestinali come la stanchezza mentre effettuava-no una dieta gluten-free.Biesiekierski et al. 5 hanno condotto uno studio cros-soverindoppiociecoin37pazienticongluten sensiti-vity che sono stai posti per due settimane a una dieta low-FODMAP e che a random sono stai assegnati per una settimana a testa a una dieta ad alto contenuto di glutine, basso contenuto di glutine o controllo (whey protein). I sintomi miglioravano in tutti i soggetti fino a

    Tabella I. FODMAPs negli alimenti.Disaccaridi (lattosio)

    Monosaccaridi(fruttosio libero-fruttosio

    in eccesso rispetto al glucosio)

    Oligosaccaridi (fruttani, galatto-oligosaccaridi)

    Polioli (sorbitolo, mannitolo, maltitolo,

    xilitolo)

    Latte Mele Frumento MeleBudino Pere Orzo PereGelato Mango Segale AlbicoccheYogurt Asparagi Cipolla Ciliegie

    Taccole Porro PrugneMiele Parte bianca del cipollotto Cocomero

    Sciroppo di glucosio e fruttosio Aglio FunghiScalogno CavolfioreCarciofi Chewing-gum/mentine/dolcisenza

    zuccheroRape rosse

    FinocchiPiselli

    CicoriaPistacchiAnacardiLegumi

    LenticchieCeci

    Tabella II. Contenuto di fruttani di alcuni alimenti.Contenuto di fruttani in g/100 gPorro

    Asparagi

    Cipolle

    Farina di frumento

    Pasta

    Pane bianco

    3,0-10,0

    1,4-4,1

    1,1-10,1

    1,0-4,0

    1,0-4,0

    0,7-2,8

  • 46

    M. vincenzi, B. Paolini

    quando erano sottoposti a dieta low-FODMAP. I sinto-mi peggioravano in maniera similare quando glutine o whey (siero) venivano aggiunti alla dieta, senza alcuna differenza fra i vari gruppi. In un recente studio di Piacentino presentato al Dige-stive Disease Week di Chicago 6 sono stati compara-ti sintomi gastrointestinali come il bloating, la disten-sione addominale e il dolore addominale in pazienti conIBSsuddivisiintregruppidi20personeciascu-no: 1) dieta low-FODMAP e gluten-free;2)dietalow-FODMAPenormalecontenutodiglutine;3)dietaconnormal-FODMAP e gluten-free. La dieta a basso con-tenuto di FODMAP con o senza glutine è associata con un significativo miglioramento dei sintomi intesti-nali presi in considerazione (bloating, distensione ad-dominale e dolore addominale) in rapporto alla dieta con FODMAP normali e alla dieta glutinata. Gli Autori concludevano che l’esclusione del glutine dalla dieta non aggiunge un significativo beneficio rispetto alla dieta con solo un basso livello di FODMAP.In conclusione questi primi dati limitati che sono sta-ti ottenuti da studi con campionature relativamente esigue supportano il principio che i sintomi della IBS possano migliorare, almeno nel breve termine, con una dieta a basso contenuto di FODMAP. Il fruttosio e i fruttani possono avere diversi meccanismi con cui possono causare i sintomi nella IBS. L’effetto benefi-co della dieta low-FODMAP non appare essere col-legato all’esclusione del glutine dalla dieta. Infine, al momento, non esistono biomarker definiti che pos-sano essere associati alla risposta sintomatologica.Sono pertanto necessari studi long-term che aiutino a individuare indicatori clinici utili nel predire e di con-seguenza nel selezionare pazienti che verosimilmente sono in grado di rispondere a questo tipo di terapia relativamente impegnativa che richiede comunque l’intervento di esperti nel campo della nutrizione. Inol-

    tre, il confronto con altre strategie dietetiche utiliz-zate nel trattamento dei pazienti con IBS, come in-coraggiare pasti regolari, “healthy eating”, evitando pasti abbondanti, riducendo l’introduzione di gras-si, scoraggiando l’eccessiva introduzione di fibre (in particolare solubili), diminuendo l’apporto di caffeina, evitando cibi che causano produzione di gas come i legumi, il cavolo, può rappresentare una via di valuta-zione molto interessante per conseguire informazioni circa le modalità alimentari da applicare nell’ambito della IBS.

    Bibliografia1 Tana C, Umsaki Y, Imaoka A, et al. Altered profiles of in-

    testinal microbiota and organic acids may be the origin of symptoms in irritable bowel syndrome. Neuro-gas-troenterolMotil2010;22:512-9.

    2 Murray K, Wilkinson-Smith V, Hoad C, et al. Differential Effects of FODMAPs (Fermentable Oligo-, Di-, Mono-Saccharides and Polyols) on small and large intestinal contents in healthy subjects shown by MRI. Am J Gas-troenterol2014;109:110-9.

    3 Staudacher HM, Whelan K, Irving PM, et al. Compari-son of symptom response following advice for a diet low in fermentable carbohydrates (FODMAPs) versus standard dietary advice in patients with irritable bowel syndrome.JHumNutrDiet2011;5:487-95.

    4 Halmos EP, Power VA, Shepherd SJ, et al. A diet low in FODMAPs reduces symptoms of irritable bowel syn-drome.Gastroenterology2014;146:67-75

    5 Biesiekierski JR, Peters SL, Newnham ED, et al. No ef-fects of gluten in patients with self-reported non-celiac gluten sensitivity after dietary reduction of fermentable, poorly absorbed, short-chain carboidrates. Gastroen-terology2013;145;320-8

    6 Piacentino D, Rossi S, Alvino V, et al. Effects of low-fod-map and gluten-free diets in irritable bowel syndrome patients. A double-blind randomized controlled clinical study.Gastroenterology2014;146(Suppl):S-82.

    DA RICORDARe

    1. Attenzione ai sintomi del colon irritabile 2.Valutazionedellaqualitàdelladieta3.ValutazionedeilivellidiFODMAPsnelladieta4.Interventodietetico

    5.Monitoraggiocliniconutrizionale

  • 47

    Dieta a basso contenuto di FODMAPS nella terapia della sindrome da intestino irritabile

    SEzIonE dI AuTovALuTAzIonE

    1. Il microbiota nella IBS è:

    a. Modificato

    b. Invariato

    c. Simile a quello delle malattie infiammatorie croniche intestinale

    d. Simile a quello delle neoplasie coliche

    2. L’acronimo FODMAPS indica:

    a. Oligosaccaridi fermentabili, disaccaridi, monosaccaridi, polioli

    b. Frumento, ossidanti, dolcificanti, malto, vitamina A, proteine

    c. Frutta, olio, cibi dolci, maltodestrine, albicocche, pesce

    d. Cibi fritti, orzo, dolci senza zucchero, mele, aglio, pistacchi

    3. La dieta australiana è ricca di:

    a. Proteine

    b. Grassi animali

    c. Carboidrati complessi

    d. FODMAPS

    4. La dieta senza glutine in aggiunta a un’alimentazione a basso contenuto di FODMAP nella IBS:

    a. Migliora il quadro clinico

    b. Peggiora il quadro clinico

    c. Non aggiunge significativo beneficio

    d. È controindicata

  • 48

    ADI 2014;6:48-56

    Ugo Di Folco, Mariarosa Di Lella,

    Claudio TubiliUOS di Diabetologia con DH,

    Azienda Ospedaliera “S. Camillo-Forlanini”, Roma

    Parole chiaveAnziano, diabete, nutrizione,

    fabbisogno proteico

    corrisPondenzaClaudio Tubili

    [email protected]

    Il diabete fra gli anziani istituzionalizzati: management di una popolazione “sommersa”

    aRTicolo di aggioRnamenTo

    introduzione

    (OMS, 2002)

    Ildiabetemellitotipo2,perlasuaelevatadiffusioneeperlafrequenzae la gravità delle complicanze, è una delle più rilevanti malattie a carat-tere sociale, con un notevole impatto economico per i sistemi sanitari di tutti i paesi 1 2.La“pandemiadiabetica”,cheporterà,secondostimedell’OMS,a438milionidimalatinel2030,èdovutaall’aumentodell’obesità,alladiffu-sione di stili di vita sedentari e all’invecchiamento della popolazione, sia nei paesi industrializzati che nel terzo mondo.Esiste una correlazione tra l’aumentare dell’età e la prevalenza di dia-betemellito tipo 2  9: i dati americani del NHANES III (National He-alth And Nutrition Examination Survey), indicano una percentuale del 12,6%nellapopolazionetra50e59anni,del19%tra60e74anni,perraggiungereil20%dopoi75anni.Datisimilisonostatirilevatinel-la popolazione europea  3, con un picco massimo di prevalenza tra i 75-79annieunaflessionedopogli80anni 4. Rispetto ad analisi pre-cedenti(NHANESII1976-1980)laprevalenzadeldiabetenellapopo-lazione anziana tende ad aumentare 6, anche per la maggiore attenzio-ne posta nei confronti della diagnosi negli ultimi anni: nonostante ciò,

    Definizioni Anziano:uomoodonnaconetàsuperioreai60anni. Il concetto di “anzianità” si differenzia da quello di “vecchiaia” in quanto quest’ultimo denota una condizione in cui è carente ogni attitudine al lavoro, mentre la nozione di “anzianità” prescinde da una qualsiasi valutazione relativa alla capacità lavorativa. Le donne egliuominiover60–“anziani”,secondoladefinizionedell’OMSein buona salute possano vivere vite lunghe, piene e produttive, a beneficio sia della famiglia sia della comunità.Giovane anziano:soggettofrai65ei75anni(“Senior”).Anziano anziano:soggettofrai75egli84anni(“Old”).Ultra anziano:dagli84inpoi(“Veryold”).Anziano fragile: persona anziana, affetta da una o più patologie, che, per la particolare sinergia età-malattie, presenta un equilibrio di salute particolarmente instabile.

  • 49

    Dieta a basso contenuto di FODMAPS nella terapia della sindrome da intestino irritabile

    questa è ancora sottodimensionata e di conseguen-za la malattia è spesso non trattata o trattata in ma-niera non adeguata 7 9: in questi casi l’esordio clinico è in genere costituito da una complicanza cardiova-scolare, cerebrovascolare o microvascolare  26. Negli anziani diabetici si osserva incidenza doppia di infarto miocardico, ictus cerebri, insufficienza renale rispetto ai soggetti di pari età non diabetici.Lo studio DECODE (Diabetes Epidemiology: Collabo-rative Analysis of Diagnostic Criteria in Europe)8, che aveva l’obiettivo di individuare i nuovi casi di diabete e la loro mortalità rispetto ai pazienti diabetici anzia-ni già noti, seguendo i criteri diagnostici dell’ADA del 1997, ha dimostrato la presenza di valori glicemici a digiuno alterati nel 10-12%dei soggetti al di sopradei 70 anni; tra tali pazienti, quelli che presentavano un’iperglicemiaa120minutidopocarico,avevanounrischio di morte simile ai soggetti diabetici.

    FisiopatologiaIl diabete costituisce un vero e proprio modello di “in-vecchiamento patologico” accelerato ed amplifica-to  2 4. Più fattori contribuiscono al suo sviluppo con l’avanzare dell’età: la riduzione dell’attività fisica, la sarcopenia, l’aumento della massa grassa e l’obesità addominale, complicata da insulinoresistenza, la di-minuzione della secrezione di insulina, la coesistenza di polipatologia e la contemporanea assunzione di più farmaci 10. Gli anziani diabetici hanno un più alto rischio di mor-te prematura e morbilità per cardiovasculopatie, e presentano con maggiore frequenza le sindromi ge-riatriche che inducono disabilità diminuzione dell’a-spettativa di vita, e che costituiscono le basi di quella condizione di “fragilità” che spesso necessita di rico-vero in strutture di lunga degenza (Established Popu-lation for the Epidemiological Studies of the Elderly, NHANES-III, EPESE;Women’s Health and Aging Stu-dy, WHAS Italian Longitudinal Study of Aging, ILSA). Tutto ciò si verifica soprattutto nel diabete di lunga durata e complicato, e se il controllo glicometabolico non è adeguato; l’iperglicemia cronica è poi associa-ta a glicosuria, perdita di peso e riduzione dell’immu-nocompetenza, fattori che predispongono il soggetto anziano all’insorgenza di infezioni. Anche la Polifarmacoterapia (Polipharmacy) costitu-isce un importante fattore di rischio per importanti eventi avversi e tossicometabolici (soprattutto neu-rologici e cardiovascolari) che possono aggravare la perdita di autonomia.Le più comuni sindromi geriatriche sono:• deficit funzionali motori, con difficoltà nel cammi-

    nare per brevi tratti prestabiliti, salire gradini, ese-

    guire attività quotidiane come fare la spesa, pre-parare i pasti;

    • aumentato rischio di cadute, cadute ricorrenti e fratture: specie nel sesso femminile, in presenza di ipotensione ortostatica, obesità, terapie a rischio di ipoglicemia, riduzione del visus, neuropatia pe-riferica, deformità dei piedi 23;

    • incontinenza urinaria, anch’essa più frequente nel-le donne e in presenza di obesità e di neuropatia , con conseguenti infezioni 22;

    • depressione 16 17; • dolore cronico 24 25;• sarcopenia ed obesità sarcopenica 44;• declino cognitivo 18-21.Spesso l’anziano è affetto da obesità sarcopenica 44, una condizione di malnutrizione proteica da depau-peramento della massa magra in soggetti obesi, do-vuta a inattività fisica, eccessivo introito energetico, insulino-resistenza, incrementata produzione da par-te del tessuto adiposo di citochine proinfiammatorie che sostengono una infiammazione di basso grado. Esiste una correlazione fra diabete e demenza, sia quella di Alzheimer che quella su base vascolare: nel-lo studio di Rotterdam, condotto su una coorte di 7048pazientidietàcompresafra55e95anniseguitiper4anni,l’incidenzadelledemenzeèsignificativa-mente superiore nelle donne e negli uomini diabetici rispetto ai non diabetici 52. L’insulino-resistenza e l’infiammazione di basso gra-do, l’iperglicemia e la variabilità glicemica, la disfun-zione endoteliale, la ridotta neurogenesi e la disfun-zione della barriera ematoencefalica sono fattori patogenetici che nel diabetico giustificano il danno neurometabolico e neurovascolare, e quindi questa associazione 53(Fig. 1). Una volta diagnosticato, il diabete nell’anziano si ge-stisce in linea di massima come nel paziente più gio-vane, sebbene vadano tenuti in debito conto le co-morbilità, le suddette sindromi geriatriche, in grado di limitare le abilità di autogestione, la relativa incapacità a tollerare gli effetti collaterali dei farmaci utilizzati, così come le conseguenze dell’ipoglicemia  54. L’obiettivo della terapia dovrebbe essere stabilito dopo avere ef-fettuato una valutazione multidimensionale geriatrica che permetta un inquadramento globale del paziente: anche se le principali linee guida per il trattamento del diabete insistono sulla necessità di un controllo della glicemia con terapie intensive e sulla necessità di pre-venzione delle malattie cardiovascolari, già l’American Geriatric Societynel2003 27affermava che anche se il controllo dell’iperglicemia è importante, la riduzio-ne della morbilità e della mortalità negli anziani si ot-tengono soprattutto con il controllo complessivo dei fattori di rischio cardiovascolari 28. Gli studi ACCORD

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    U. di Folco, M. di lella, c. Tubili

    e ADVANCE 55hanno poi evidenziato i rischi legati al controllo stretto della glicemia nei soggetti ad alto ri-schio cardiovascolare, con aumento dell’ipoglicemia e della morbilità e mortalità in questi pazienti; pertan-to se il targetdi emoglobinaglicatadi 7-7,5% (53-58  mmol/mol) potrebbe essere appropriato in unapopolazione di anziani in buone condizioni, in quelli fragilièragionevoleattestarsisuvalori

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    Il diabete fra gli anziani istituzionalizzati: management di una popolazione “sommersa”

    timo anno nei diabetici, significativamente più elevato rispetto al gruppo di controllo. Nel complesso emergeva come le cure prestate a questa categoria di pazienti fosse inadeguato, per la presenza di personale non qualificato e per l’assenza di protocolli per la cura del diabete e delle sue com-plicanze, e quanto fossero necessarie linee guida e piani di cura individualizzati per ogni paziente. Alivellonazionalenel2000,nelTrentinoAltoAdige,Friuli-Venezia Giulia e Veneto, è stata eseguita un’in-dagine epidemiologica, mediante l’uso di un questio-nario sottoposto a tutte le case di riposo, pubbliche e private, per valutare la prevalenza della malattia dia-betica e l’adeguatezza del trattamento tra gli anzia-ni istituzionalizzati  34. Il questionario, inviato per po-sta, era suddiviso in più sezioni: la prima a carattere più propriamente epidemiologico, chiedeva il numero totale di ospiti presenti nell’istituzione e, per ciascu-no degli ospiti di cui era nota la condizione di dia-betico, sesso, anno di nascita e di diagnosi, tipo di terapia anti-diabetica in atto, coesistenza o meno di ipertensione arteriosa e l’ultimo valore glicemico di-sponibile. Le altre sezioni indagavano rispettivamente l’assistenza medica offerta dall’istituzione, l’assisten-za infermieristica, le dotazioni diagnostiche presen-ti ed infine l’alimentazione. Questo studio rilevò una prevalenza del diabete del 15,04%, senza differen-za sostanziali tra i due sessi. L’assistenza medica era nell’81,7%dei casi limitata ad alcune ore al giornocon eventuale reperibilità per il resto della giornata. Nel57%dellestruttureesaminatenoneraprevistalapossibilità di effettuare consulenze diabetologiche; i pazienti venivano trattati in alta percentuale con insu-lina(26%)conevidenzadiproblematicitàrelativaallagestione di tale terapia. Dall’analisi dei dati emerse una mancanza di “cultura” diabetologica da parte del

    esempio l’ipoglicemia che, pur venendo evidenziata, non era trattata appropriatamente, ad esempio con le variazioni della quantità di insulina, o con un corretta richiesta di intervento del medico 33. Gli anziani diabetici istituzionalizzati sono stati defi-niti “una popolazione sommersa” da Benbow 30 che effettuò nel 1997 una delle prime ricerche, a Liver-pool, per valutarne le problematiche cliniche. Furono esaminati (tramite un colloquio e un questionario) in 44 istituti 1.611pazienti, il 9,9%dei quali risultaro-noesserediabetici. Il 41%era trattato condieta, il39%conipoglicemizzantioralieil22%coninsulina;il monitoraggio del compenso glicometabolico veni-vaeffettuatoconesamedelleurinenel10%deicasi,esamedelsanguecapillarenel19%econentrambiimetodinel44%deicasi.Il27%deipazientinonve-niva monitorato. Rispetto al gruppo di controllo (in-dividuato senza significative differenze per quanto ri-guardava età, sesso, anni di ricovero in casa di cura), i pazienti anziani diabetici erano affetti da complicanze della malattia in percentuale significativa, in partico-larepresentavanovasculopatiaperiferica il 36%deisoggetti,deformitàaipiediil95%,presenzadiulcereoesitidipregresseulcereil12%,amputazioniil12%,eventi cerebrovascolari il 7%, deficit visivi il 21%. Il64%deipazientinonavevaeffettuatonell’ultimoan-no visite mediche né in ospedale né presso il medico di famiglia. I pazienti affetti da declino cognitivo ave-vano effettuato controlli in percentuale ancora mino-re.Nell’ultimoannoil72%avevaeffettuatounavisitaoculistica o controllo del fondo oculare da parte del medicocurante,il33%uncontrollodell’HbA1c,il28%uncontrollodellafunzionerenale,il18%uncontrollodellemedicazioni ai piedi, il 19%quello della pres-sione arteriosa. Tale studio dimostrava inoltre un alto numero di ricoveri ospedalieri per varie cause nell’ul-

    Tabella I. Principali fattori di rischio nutrizionali nell’anziano fragile (da Carretta et al., 2000) 61.Modificazioni di natura

    Dipendenti dall’individuo Dipendenti dall’ambiente

    Patologica Masticazione inadeguataDispepsia, stipsiDiete sbilanciate Malattie cronichepolifarmacoterapia Demenza

    Scarsa vita all’apertoInadeguata attività fisicaAmbiente di vita malsano

    Psicologica DepressioneVedovanzaDifficoltà a socializzareRifiuto di alcuni cibi per errate abitudini alimentari

    Vita in comunitàLontananza o disinteresse di parenti, amici, operatoriScarse proposte di attività ricreative

    Socio-economica Isolamento socialeBasso reddito

    Scarsa educazione alimentareDiete condizionate da scelte religioseInsufficiente assistenza al pasto

  • 52

    U. Di Folco, M. Di Lella, C. Tubili

    apportogiornalierodiproteineparia0,8 g/kgdipe-so produca un bilancio azotato negativo nei soggetti sedentari e solo marginalmente positivo nei soggetti attivi  42. Da diversi autori e da istituzioni internazio-nali (International Society of Sports Nutrition) 61 arriva dunque la raccomandazione di considerare appro-priate introduzioniproteichesuperiori (1,2-1,4 g/kg/die): solamente in caso di insufficienza renale cronica, la quota proteica va ridotta.Dal momento che è stato dimostrato che la quanti-tà massima di proteine introdotta in un singolo pasto che può essere utilmente metabolizzata per favorire la sintesimuscolareèdicirca30g,el’eventualesurplusè destinato a fini energetici, si suggerisce di suddivida la quota proteica quotidiana in tre o più pasti e spunti-ni,assumendofrai25ei30gdiproteineperciascundiessi(Fig.2) 41. Prodotti dietetici a base di proteine sono stati valu-tati negli anziani al fine di poterne sfruttare gli effetti positivi sullo sviluppo della massa muscolare e della forza, generalmente in associazione ad esercizio. In tal senso si è dimostrata efficace l’assunzione di pro-teine in polvere immediatamente al termine di eserci-zio fisico (training di forza) piuttosto che in tempi suc-cessivi(2oredopo) 46. Rispetto all’utilizzo di proteine intere, effetti superiori sullo stimolo della sintesi pro-teica sembrano essere ottenibili con supplementi a base di aminoacidi essenziali (Essential Amino Acids, EAA), anche in assenza di esercizio fisico 47. Si stan-no, inoltre, valutando miscele di EAA arricchite di leu-cina: un aminoacido che stimola la sintesi proteica agendo direttamente sui meccanismi biomolecolari di regolazione.Diversamente dai giovani, infatti, nei soggetti anziani la presenza di una maggiore concentrazione di leuci-nainunsupplementoabasediEAA(41%contro il26%normalmentepresenteinquestipreparati)sem-bra essere fondamentale per avere significative rispo-ste di stimolo sulla sintesi proteica muscolare 48. Alcuni lavori hanno dimostrato i benefici derivanti dall’utilizzo di creatina in soggetti anziani, specialmente quando accompagnato da lavoro muscolare  49. L’assunzio-ne cronica di creatina (settimane) sembra stimolare la proliferazione delle cellule satelliti e dei mionuclei nei muscoli sottoposti ad allenamenti di forza 50. Un fattore limitante a questo tipo di interventi nell’anziano istituzionalizzato è rappresentato dai limitati carichi di lavoro muscolare che possono essere somministrati.Relativamente alla componente rappresentata dai car-boidrati, questa deve essere assicurata soprattutto da carboidrati complessi possibilmente a basso indice e carico glicemico. Più della metà della razione energe-tica deve essere fornita da pane, pasta, riso, patate e frutta. Dovrebbero essere limitati gli zuccheri “sempli-

    personale in servizio presso gli istituti per anziani e la necessità di istituire dei corsi di formazione nel campo dell’assistenza all’anziano diabetico istituzionalizzato.L’incremento del numero e l’aumentata sopravviven-za dei soggetti anziani diabetici costituisce un nuovo e ulteriore problema per le famiglie, i clinici e per il si-stema sanitario. È importante che l’esame del pazien-te anziano con diabete preveda un’accurata valuta-zione in grado di evidenziare la presenza di limitazioni funzionali in fase iniziale, allo scopo di poter attuare tempestivamente strategie preventive o riabilitative fi-nalizzate al miglioramento della funzione motoria e al-la prevenzione della disabilità.A questo proposito è auspicabile che gli studi clini-ci randomizzati, disegnati per stabilire l’efficacia dei diversi protocolli terapeutici nel paziente diabetico, includano un numero sostanziale di soggetti anziani ed esaminino l’effetto dei vari interventi oltre che sulle classiche complicanze micro e macrovascolari anche sulla funzione fisica e cognitiva.

    Trattamento nutrizionaleAnche nel diabetico in età avanzata una appropria-ta alimentazione è un requisito essenziale per con-servare un buono stato di salute, come affermano le Raccomandazioni Nutrizionali ADI AMD SID 2013-2014 35 36. Le indicazioni teoriche vanno adeguate alle reali condizioni in cui la persona anziana si trova e al-le risorse socioeconomiche sulle quali può contare 38. Le modificazioni fisiologiche correlate all’età, quali il rallentamento del metabolismo basale per la diminu-zione della massa magra e la riduzione dell’attività motoria, diminuiscono il fabbisogno energetico: oltre i 40annidietà,questosiriducegradualmentedicircail5%perdecadesinoai60annid’età,dicircail10%dai60ai70anniediunulteriore10%dopoi70an-ni 37. L’apporto energetico dovrebbe essere coperto peril55-60%daicarboidrati,peril15-20%dallepro-teineeperil25-30%dailipidi 40. In condizioni di istituzionalizzazione i fattori di rischio elencati nella Tabella I e l’allettamento, contribuisco-no a determinare un bilancio di azoto negativo. Uno degli obiettivi principali dell’alimentazione nell’anziano istituzionalizzatoèquellodiprevenire/limitare lasar-copenia, mantenendo il più possibile massa e funzio-nalità muscolare sufficienti ad assicurare un discreto livello di autonomia.Il ruolo delle proteine è di estrema importanza per ta-le obiettivo: negli ultimi anni è stata ipotizzata l’ina-deguatezza delle attuali RDA (Recommended Daily Allowance) in ragione dell’aumentato catabolismo proteico che comunemente si osserva negli anziani istituzionalizzati. È stato infatti, dimostrato come un

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    Il diabete fra gli anziani istituzionalizzati: management di una popolazione “sommersa”

    scolari e renali associate ad un suo eccessivo consu-mo. È preferibile, anche nella persona anziana, suddi-viderel’alimentazionein5pastigiornalieri,3principalipiù2spuntini.

    conclusioniIl diabete di tipo 2 ha una prevalenza progressiva-mente più elevata con il crescere dell’età e raggiun-ge percentuali particolarmente alte fra i soggetti an-ziani istituzionalizzati. La patogenesi è complessa e contempla sia il deficit di secrezione insulinica che l’insulino-resistenza, determinata da molti fattori (dall’incremento dello stress ossidativo alla riduzione dell’attività fisica). Importante è il controllo dell’ipergli-cemia, ma soprattutto quello globale di quei fattori di rischio (ipertensione, dislipidemie), che non solo de-terminano eventi cardiovascolari, ma anche fragilità e disabilità. La presenza di diabete aumenta inoltre il rischio di sindromi geriatriche quali cadute, sintomi depressivi, incontinenza urinaria, deficit cognitivi, po-lifarmacoterapia e sintomatol ogia dolorosa.L’ampliamento della rosa di farmaci utilizzabili nella te-rapiadeldiabetetipo2permetteunasceltapiùrazio-nale e mirata, permettendo una maggiore probabilità di raggiungimento di obiettivi che, modulati sul qua-dro clinico, sono inevitabilmente meno rigidi di quelli determinati per l’adulto. È comune esperienza che l’aderenza alle prescrizioni e il raggiungimento degli obiettivi metabolici è difficile a causa dei deficit cognitivi e fisici, della polipatologia presente, della polifarmacoterapia e della negligenza degli operatori sanitari. Anche nelle situazioni in cui la persona anziana dia-betica è ricoverata in istituto in modo permanente, si impone un’attenzione al trattamento (controlli, tera-

    ci”, quali il saccarosio, nonché gli alimenti e le bevan-de che lo contengono in quantità elevata. Per quan-to riguarda i lipidi, questi devono essere rappresentati soprattutto da grassi mono e polinsaturi di origine ve-getale, mentre vanno ridotti quelli saturi di origine ani-male. In caso di elevati livelli di colesterolo totale o LDL è raccomandabile un ulteriore riduzione dei grassi sa-turial7%concontenimentoaldisottodei200 mg/diedel colesterolo introdotto con gli alimenti.Pur riducendosi il fabbisogno calorico, non si riduce rispetto alle decadi precedenti quello degli specifici nutrienti, che anzi in taluni casi (calcio, vitamina D) au-menta (LARN): è pertanto spesso necessaria l’assun-zione di integratori di questi nutrienti, non solo per il loro ruolo cruciale nella prevenzione dell’osteoporosi, soprattutto nelle donne, ma anche per il supposto, seppur non ancora completamente confermato, ef-fetto positivo nei confronti di altre patologie (tumori, malattie cardiovascolari, lo stesso diabete) 43; inoltre è necessario far bere ogni giorno una buona quantità di acqua (almeno otto-dieci bicchieri) per preservare la funzionalità renale, idratare i tessuti, ammorbidire le feci e ridurre così il rischio di stipsi; per quest’ulti-ma talvolta è necessario ricorrere a un’integrazione di prodotti a base di fibra. Oltre che quello dell’acqua, va incoraggiato il consumo di frutta, verdura, caffè-latte, tè, latte, tisane. Analoga attenzione va posta all’ap-portodivitaminaB12,chemoltospessorisultaca-rente nell’anziano per un deficit del suo assorbimento legato ad una gastrite atrofica, e di acido folico con possibili conseguenze; in caso di ridotti livelli di ta-li vitamine, quali anemia macrocitica e polineuropa-tia sensitivo motoria evento quest’ultimo già di per sé non raro nelle persone con diabete non ben controlla-to. Rimane essenziale contenere l’apporto di sodio al disottodei1500 mgalloscopodiridurreilrischiodiipertensione arteriosa e di tutte le patologie cardiova-

    Figura 2. Diversa distribuzione di 90 g di proteine nei tre pasti principali (da Paddon-Jones, 2009, mod.) 47.

    Adeguata distribuzione di proteine Inadeguata distribuzione di proteine

    Sintesi proteica massima

    Colazione

    ~ 30 g di proteine

    Pranzo

    ~ 30 g di proteine

    Cena

    ~ 30 g di proteine

    Colazione

    ~ 10 g di proteine

    Pranzo

    ~ 20 g di proteine

    Cena

    ~ 60 g di proteine

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    U. Di Folco, M. Di Lella, C. Tubili

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    DA RICORDARe

    1. Il diabete costituisce un modello di “invecchiamento patologico” accelerato e amplificato da vari fattori tra cui ridotta at-tività fisica, sarcopenia, obesità, insulino-resistenza, microangiopatia, aterosclerosi e coesistenza di polipatologie e poli-farmacoterapia

    2. Molti studi hanno illustrato le difficoltà nel trattamento dei pazienti diabetici anziani residenti in case di riposo o residenze protette, evidenziando scarsa capacità gestionale delle complicanze quali l’ipoglicemia

    Gli anziani istituzionalizzati sono stati definiti “una popolazione sommersa” che richiede un particolare “expertise” del te-am di cura

    3. Uno degli obiettivi principali dell’alimentazione nell’anziano istituzionalizzato, oltre a mantenere dei livelli glicemici pruden-tementecontenuti,èquellodiprevenire/limitarelasarcopeniainragionedell’aumentatocatabolismoproteico;pertalemotivo il ruolo delle proteine alimentari è di estrema importanza

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    U. Di Folco, M. Di Lella, C. Tubili

    SEzIonE dI AuTovALuTAzIonE

    1. Uno dei principali fattori di rischio nutrizionali nell’anziano fragile sono:

    a. masticazione inadeguata

    b. dieta sbilanciata

    c. demenza

    d. tutti questi fattori

    2. Esiste una correlazione tra l’avanzare dell’età e diabete mellito?

    a. sì