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    A. Cardillo

    NOZIONI DI METRICA ITALIANA

    La struttura di un verso1 e di una composizione in versi obbedisce a regole2 il cui

    complesso costituisce la scienza della versificazione, la metrica,3 disciplina nata con la

    poesia classica e sviluppatasi in senso moderno con la versificazione delle lingue

    romanze. Essa resta un fondamentale strumento di analisi del testo poetico perch al di l

    di aspetti puramente formali, fornisce elementi indicativi di unepoca e di una civilt,

    nonch dei gusti e della spiritualit di un autore.

    La versificazione greca e quella latina4 erano strettamente connesse alla musica ed

    alla danza. Le parole erano disposte nel verso in modo regolare e costante a seconda

    La bibliografia sullargomento molto vasta e, per i testi pi complessi, accessibile a specialisti; mi limitoa segnalare: Raffaello Spongano, Nozioni ed esempi di metrica italiana, Patron, Bologna 1966; Mario Fubini,Metrica e poesia. Lezioni sulle forme metriche italiane. Dal Duecento al Petrarca . Vol. I, Feltrinelli, Milano19753; Costanzo Di Girolamo, Teoria e prassi della versificazione, Il Mulino, Bologna 1976; Ladislao Galdi,Introduzione alla stilistica italiana, Patron, Bologna 1984; W.Theodor Elwert, Versificazione italiana dalleorigini ai giorni nostri, Le Monnier, Firenze 19917; Aldo Menichetti, Metrica italiana, Antenore, Padova 1993;Sandro Orlando, Manuale di metrica italiana, Bompiani, Milano 1994; Mario Pazzaglia, Manuale di metrica

    italiana, Sansoni, Milano1994; Francesco De Rosa-Giuseppe Sangirardi, Introduzione alla metrica italiana,Sansoni, Milano 1996; Gabriella Sica, Scrivere in versi. Metrica e poesia, Pratiche Editrice, Parma 1996;Giorgio Bertone, Breve dizionario di metrica italiana, Einaudi, Torino 1999; Antonio Pinchera, La metrica,Bruno Mondadori, Milano 1999; Pier Vincenzo Mengaldo, Prima lezione di stilistica, Laterza, Bari 2001;Pietro G. Beltrami, La metrica italiana, Il Mulino, Bologna 20024 (1a ed. Bologna 1991); Giuseppe Sangirardi,Francesco De Rosa, Breve guida alla metrica italiana, Sansoni, Milano 2002.

    1 Il termine verso (versus, da vertere, ) sta ad indicare un segmento discrittura che, obbedendo a determinate regole, si presenta visivamente sul foglio come uno o pi righispezzettati e frammentati, di varia lunghezza; al contrario della prosa (prosam [orationem], aggettivofemminile diprosus, variante diprorsus, ) in cui i righi di scrittura sono continui e laloro lunghezza determinata non dalle intenzioni dellautore ma dallo spazio della superficie scrittoria usata.2 Le norme che regolano la versificazione non sono n tassative, come quelle grammaticali, n universali;

    sono indicative di un modo di intendere da parte dei poeti la versificazione, modo che talvolta si discostadalla norma rientrando nella assoluta individualit del linguaggio poetico. Fubini scrive: (Metrica e poesia cit., p. 29).3 Metriche [techne] : la radice di tale termine metron, misura; il verso classico era costituito da pimisure e da rapporti di misure studiati dalla metrica con il concorso dellaprosodia (prosodia, ) che stabilisce la lunghezza delle sillabe, la loro quantit nel corpo delle parole. Nella metricamoderna il termineprosodia si riferisce alle regole del verso legate alla fonetica, come accento, sillabismo,rima ecc.4 Nellaccostarsi alla metrica classica si tengano presenti i seguenti testi: Carlo Del Grande, La metricagreca, SEI, Torino 1960; Armando Salvatore, Guida allo studio della civilt romana antica, diretta daVincenzo Ussani e Francesco Arnaldi, II edizione, vol. II, Istituto Editoriale del Mezzogiorno, Napoli 1961,

    pp.247-271; M.Lenchantin De Gubernatis, Manuale di prosodia e metrica latina, Principato, Milano-Messina1965; Carlo Del Grande, Elementi di metrica latina e cenni di ritmica e metrica greca, V edizione, Loffredo,Napoli 1972; Bruno Snell, Metrica greca, La Nuova Italia, Scandicci 1997 rist.; Sandro Boldrini, La metricadei romani, Carocci, Roma 2000.

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    della lunghezza o della brevit delle sillabe da cui erano formate, anche nel rispetto di

    esigenze musicali.

    Si distingueva tra sillaba breve e sillaba lunga: convenzionalmente due tempi brevi

    corrispondevano ad uno lungo. Sillabe brevi e/o lunghe, da sole o insieme, formavano una

    unit metrica, il piede,costituito da due a quattro sillabe, con una parte accentata detta

    tesied una parte debole detta arsi;5 il verso era formato da pi piedi nei quali lalternanza

    di sillabe lunghe e sillabe brevi, opportunamente disposte, determinava una speciale

    cadenza o modulazione detta ritmo.

    Laccento ritmico, dunque, diversamente dallaccento tonico o grammaticale, segna

    la maggiore intensit, ovvero il particolare rilievo che la voce conferisce ad una sillaba

    rispetto alle altre. Esso non interessa la parola in quanto tale ma la cadenza che le sillabe

    acquistano nel verso a seconda della loro lunghezza e posizione; laccento tonico o

    grammaticale invece indica la caduta della voce allinterno di una parola su una

    determinata sillaba.

    La letturapiana dellesametro

    Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris

    (Eneide, I, 1)

    segnata dalla cadenza della voce secondo laccento grammaticale di ogni parola; la

    lettura metrica, cio secondo la caduta e il ritmo degli accenti metrici, evidenzia unandamento ritmico a cadenza costante determinato da accenti non sempre coincidenti con

    quelli tonici:

    rma vi |rmque ca | n, || Troi | a qui | prmus ab | ris.

    Questa diversit di accentazione delle parole di un verso a seconda della posizione

    (o quantit) delle sillabe che le compongono spiega il significato di una versificazione

    classica su base quantitativa,cio fondata sulla quantit delle sillabe e sul ritmo scandito

    dallalternanza di sillabe lunghe e brevi.La versificazione italiana ha seguito, come nelle altre lingue neolatine, levoluzione

    del volgare, acquisendo una peculiarit fondamentalmente diversa da quella classica:

    nella nostra poesia, infatti, definita accentuativa, gli accenti grammaticali e ritmici

    normalmente coincidono; ci vuol dire che il verso consta di parole formate da un numero

    di sillabe obbligato disposte in modo che laccento tonico determini il ritmo del verso.

    5 Questi termini si possono incontrare riferiti ad una funzione inversa rispetto a tali indicazioni, per cui arsistaper tempo forte e tesiper tempo debole.

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    La versificazione italiana, inoltre, presenta la rima che la differenzia ulteriormente

    da quella classica.

    I versi

    O garz3ne,^amabil f7gliodi fam3si^e grandi^er7i,sul fiorr3 de gli^anni tu7iquesta sr3te^a te verr7.

    ( G.Parini, Le Nozze, 41-44)

    sono ottonari(i primi tre piani, il quarto tronco) formati di otto sillabe con accenti fissi di 3a

    e 7a; gli accenti metrici in 3a e 7a coincidono con gli accenti tonici nelle parole garzne e

    fglio, famsi ed eri, fiorre tui, srte e verr; da notare, inoltre, la rima eroi : tuoinei

    versi centrali.

    * * *

    Definita la diversit tra poesia quantitativa e poesia accentuativa, legittimo

    domandarsene motivi e tempi.

    Tra le probabili ragioni delle differenze che il latino medievale presentava la

    perdita del carattere quantitativo della versificazione nel quadro di generale sfaldamento

    della latinit avviatosi con la decadenza dellimpero romano; la decisa presenza del latinogrammaticale, infatti, riguardava soltanto gli ambienti ufficiali. Lo stesso latino parlato in

    forma popolare era venuto a sua volta a contatto con elementi pagani e barbarici fino a

    perdere totalmente le caratteristiche originarie per lenta evoluzione. Era andata via via

    perdendosi, in altri termini, la coscienza diretta, operante, come dire parlante, del senso

    quantitativo della lingua latina.6

    6

    Salvatore Battaglia, Formazione e destino della lirica, Liguori, Napoli 1967: (ivi).

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    impossibile stabilire il momento in cui ci sia avvenuto, perch l'evoluzione di una

    lingua legata a fenomeni che si manifestano a seguito di lenta gestazione; certi indizi,

    tuttavia, concorrono a chiarire la questione.

    Il poeta Commodiano vissuto tra il III e il V secolo, nel Carmen apologeticum e nelle

    Istructiones abbandona gli schemi classici della versificazione e 7 punta decisamente sul numero delle sillabe e sullaccento. Lo stesso avviene

    nellopera Psalmus contra partem Donatidi S. Agostino scritta nellultimo decennio del IV

    secolo8.

    La strada della versificazione ritmica ormai era spianata. Dopo qualche esitazione

    determinata dalla resistenza dei modelli classici durante let carolingia, essa prende il

    volo nellundicesimo secolo .9 Il Canto delle scolte modenesi, i Canti goliardici, il Dies irae segnano il

    definitivo abbandono della versificazione su base quantitativa e la definitiva

    caratterizzazione del verso per il numero costante delle sillabe e per la rima.10

    * * *

    Rispetto allaccento della parola finale il verso pu essere:

    sdrucciolo o proparossitono se termina con una parola il cui accento tonico cade

    sulla terzultima sillaba:

    Sparsa le trecce mrbide(A.Manzoni,Adelchi, atto IV, Coro, 1);

    piano o parossitono se lultima parola ha laccento sulla penultima sillaba:

    Chiesa del Dio vivnte;(A.Manzoni, La Pentecoste,10);

    tronco od ossitono se termina con una parola tronca:

    7 Antonio Rostagni (Storia della letteratura latina, III edizione a cura di Italo Lana, vol. III, LImpero, UTET,Torino s. d., p. 374) sottolinea a proposito di Commodiano il termine poeta ritenendo gli altri sempliciversificatori. Cfr. anche Michael Von Albrecht, Storia della letteratura latina. Da Livio Andronico a Boezio,vol.III, Einaudi, Torino 1996, pp. 1322, 1335n.8 Manlio Simonetti, La letteratura cristiana antica greca e latina, Sansoni-Accademia, Firenze 1969, p. 368.9 Luigi Alfonsi, La letteratura latina medievale, Sansoni-Accademia, Firenze 1972, p. 164.10In taberna, parte dei Canti goliardici, presenta strofe di ottonari rimati: , vv. 1-4; il Dies irae

    presenta un ritmo dandamento trocaico reso con ottonari monorimi: (vv. 1-6); nel Canto delle scolte modenesiil ritmo dato da un quinario piano pi un senariopiano o sdrucciolo: , vv. 1-2.

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    col suo sangue la tinta dar.(G.Berchet, Il giuramento di Pontida, 56)11.

    * * *

    La divisione di una parola in sillabe segue le regole grammaticali; la divisione di un

    verso rispetto alle sillabe metriche che lo compongono si fa anche in base a figure

    prosodiche che adattano il numero delle sillabe alle esigenze della versificazione.

    Il verso

    Can1 to2 lar3 mi4 pie5 to6 se7 e8 il9 ca10 pi11 ta12 no13(T.Tasso, Gerusalemme Liberata, I, 1)

    presenta tredici sillabe grammaticali che diventano undici secondo le regole metriche.

    Infatti tra -se e -il interviene una figura detta sinalefe (nellesempio proposto ricorre due

    volte: tra -see e tra e -il) per la quale le tre sillabe si fondono in una sola: -s il); quindi

    Can1 to2 lar3 mi4 pie5 to6 se^e^il (= sil)7 ca8 pi9 ta10 no11.

    I casi in cui il computo metrico delle sillabe diverso da quello grammaticale sono

    la dieresi che divide in due un dittongo, indicata in genere con il segno grafico ( ..) posto

    sulla prima delle due vocali, e la sineresi che si ha quando due vocali che si incontrano in

    iato allinterno di una o tra due parole costituiscono una sillaba sola.

    Esempi di dieresi conclamata:Dolce color dorental zaffiro

    (Purgatorio, I, 13);O settentronal vedovo sito!

    (ivi, 26).

    In mancanza del segno grafico il lettore deve riconoscere i casi di dieresi guidato

    dalle regole che disciplinano tale figura e dalla propria esperienza.

    Lincontro di due o pi vocali allinterno di una parola o alla fine e allinizio di due

    parole di seguito possono dar luogo a pi soluzioni dal punto di vista metrico.Incontro di vocale tonica con vocale atona.

    All'interno del verso tale nesso (mai, mia, mie, lei, voi, io, rea, reo, suo, sua, sue, fui,

    ecc.) normalmente vale una sillaba; due alla fine di parola. Si registrano, tuttavia, specie

    nella poesia dantesca e petrarchesca, casi particolari nei quali il nesso nel corpo del verso

    considerato due sillabe; si tratta di dieresi d'eccezione.

    Incontro di a, e, o con vocale tonica.

    11 Le parole sono bisdrucciole quando laccento cade sulla quartultima sillaba (consderano), trisducciole selaccento cade sulla quintultima (comnicamelo), quadrisdrucciole se laccento cade sulla sestultima(fbbricamicelo); difficilmente, per, questi casi si incontrano nei componimenti in versi.

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    Di norma tale incontro d luogo ad un bisillabo:paese, paura, maestro, beato, leale,

    leone. Lo stesso avviene quando due vocali sono separate da iconsonantica: gioia, noia,

    ecc.

    Ie uatone pi vocale tonica.

    In questo caso la scansione pu essere variabile; ancora pi forte l'oscillazione

    quando il nesso dato da due vocali atone diverse da i e u: prevale quasi sempre il

    bisillabismo. Va tuttavia tenuto presente che i trittonghi -aio, -aia, -oio, -oia, nonch -aiuo,

    -oiuo allinterno o alla fine del verso formano quasi sempre bisillabo. In questi casi -i o -u

    hanno valore di semiconsonante e come tale hanno funzione separativa.

    Iatona pi vocale atona (ia,ie,io,ii).

    In fine di parola di regola formano un monosillabo; eccezioni a questa norma si

    riscontrano nell'uso dantesco.

    Se la prima vocale non i seguita da vocale atona quasi sempre si ha un

    monosillabo.

    Ricorrenza della sineresi.

    Il verso

    E fuggiano, e pareano un corteo nero(G.Carducci, Davanti San Guido, 75);

    presenta tre sineresi: ia di fuggiano, ea di pareano, eo di corteo;

    in

    Galetto fu il libro e chi lo scrisse(Inferno, V, 137);

    tra la a e la o di Galeotto non c sineresi poich laccento cade sulla o;

    nel verso

    parvemi riveder nonna Lucia(G.Carducci, Davanti San Guido, 80);

    la ie la a di Lucia valgono due sillabe perch in fine verso non c sineresi.

    Lasinalefe la fusione, per evitare iato, ai fini fonetici e metrici della vocale o delle

    vocali finali di una parola con la vocale o le vocali iniziali della parola seguente; nel verso

    Ahi quanto^a dir qual era^ cosa dura

    (Inferno, I, 4)

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    A. Cardillo

    ricorrono due sinalefi: la prima tra -to^a e la seconda tra -ra^; in questo caso la fusione

    delle vocali determina il conteggio delle sillabe (-to^a e -ra^ valgono rispettivamente una

    sola sillaba) .

    La dialefe linverso della figura precedente; si ha quando la vocale o le vocali

    finali di una parola non si fondono (cio non si integrano foneticamente e metricamente)

    con la vocale o le vocali iniziali della parola seguente:

    Lacqua era buia_assai pi che persa

    (Inferno, VII, 103).

    L'elisione si ha quando una parola che termina per vocale si incontra con una che

    inizia con vocale e la vocale della parola che precede si elimina:12

    Parev_a me che nube ne coprisse

    (Paradiso, II, 31);se delle due vocali accentata quella che precede, non pu esserci elisione:

    E tu che se cost, anima viva

    (Inferno, III, 88).

    La protesi o prostesisi ha quando lautore aggiunge allinizio di una parola una

    consonante, una vocale o una sillaba per ragioni eufoniche:

    Cloridan, cacciator tutta sua vita,di robusta persona era et isnella

    (L.Ariosto, Orlando Furioso, XVIII, 166, 1).

    Lepentesi vocalica (o anaptissi) si ha quando una vocale in pi inserita nel corpo

    della parola:

    similemente il mal seme dAdamo

    (Inferno, III, 115).

    La paragoge (o epitesi) si ha quando aggiunta una sillaba alla fine della parola:

    Vuolsi cos col dove si puote(Inferno, III,95).

    Laferesi la caduta di una sillaba o di una lettera allinizio di parola:

    che durer del verno il grande assalto;

    (Dante, Rime, C, 58).

    12 Secondo Elwert:

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    A. Cardillo

    La sincope consiste nella caduta di una vocale nel corpo di una parola:

    Mentre che luno spirto questo disse

    (Inferno, V,139).

    Lapocope si ha quando in una parola cade la sillaba finale:

    colui cha tutto l mondo fe' paura;

    (Paradiso, XI, 69)13.

    Lallitterazione la ripetizione di suoni o di sillabe per ottenere un risultato

    acustico; pu essere vocalica o consonantica:

    esta selva selvaggia e aspra e forte

    (Inferno, I, 5).

    La tmesi nella versificazioneitaliana si ha quando una parola di fine verso divisa

    in due parti, di cui una incipitaria del verso successivo:

    cos quelle carole differentemente danzando, della sua ricchezza

    (Paradiso, XXIV, 16-17).

    Lantitesi fonetica si ha quando il poeta, per esigenza di rima o per altro cambia

    una vocale o una consonante (ferute per ferite, savere per sapere, lome per lume):

    Qual savesse qual era la pastura(Paradiso, XXI, 19).

    La metatesi consiste nella trasposizione di lettere allinterno della parola (spengere

    per spegnere, sucido per sudicio):

    s cogni sucidume quindi stinge

    (Purgatorio, I, 96).

    * * *

    Un rapido accenno va fatto a due figure di accento: la sistole e la diastole. La

    prima consiste nel far ritrarre laccento tonico verso linizio di una parola (pita invece dipiet); la seconda il contrario: laccento tonico spostato verso la fine della parola

    (geomtra invece di gemetra):

    La notte chi passai con tanta pita.

    (Inferno, I, 21);

    linguaggio comune vengono fuse insieme - si possono conservare ambedue, se esse sono necessarie perottenere il numero esatto di sillabe>> (Versificazione italiana dalle origini ai giorni nostricit., pp. 30-31).13 Va ricordato, come avverte Elwert, che laferesi, lapocope, la sincope, la protesi, lepentesi, la paragoge

    sono impropriamente considerate figure metriche perch esse (Versificazione italiana cit., p.39).

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    Qual l geomtra che tutto saffige

    (Paradiso, XXXIII, 133).

    * * *

    Lenjambement si ha quando lunit sintattica e concettuale di un verso non si

    conclude con la fine del verso stesso ma continua in quello successivo:

    Sovente ancor ne la trascorsa serala perduta tra l gioco aurea moneta,non men che al cavalier, suole a la damalunga vigilia cagionar; taloranobile invidia de la bella amicavagheggiata da molti, e talor brevegelosia n cagione. A questo aggiungiglimportuni mariti, i quali in menteravvolgendosi ancor le viete usanze[]

    (G.Parini, Il Giorno, Il Mattino, I, 439-447);

    Ogni maceria gorgheggiava. I nidiserano desti, delle rondinelle,in fila sotto i capitelli neri.

    (G.Pascoli, Inno a Roma, La lampada inestinguibile, 632-634).

    * * *

    Anche nella versificazione italiana compare la cesura, figura metrica tipica della

    poesia latina, che rappresenta la pausa secondaria allinterno del verso (la primaria alla

    fine). A differenza di quanto avviene nella metrica classica la cesura nella poesia italiana

    non pu spezzare una parola; cesura vera e propria presente nei cosiddetti versi doppi

    che si dividono in due emistichi(non necessariamente uguali).

    * * *

    I versi italiani prendono il nome dal numero delle sillabe metriche che li

    costituiscono. Il numero dato dalle sillabe contate fino allultima tonica alle quali va

    aggiunta una unit (indipendentemente dal numero delle sillabe che seguono o non

    seguono lultima tonica). La posizione della sillaba tonica nella parola alluscita del verso

    specifica la tipologia del verso.

    In

    Chie1 sa2 del3 Dio4 vi5vn6 te7;

    vivente parola piana; lultima tonica la 6a, (6+1=7), quindi il verso sar un settenario

    piano;

    inSpar1 sa2 le3 trec4 ce5mr6 bi7 de8

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    A. Cardillo

    lultima tonica la 6a seguita da due sillabe; il verso un settenario (6+1=7) come il precedente,

    ma sdrucciolo perch mrbide parola sdrucciola (le due sillabe dopo lultima tonica non

    interferiscono nel conteggio complessivo);

    in

    dal1 lu2 no^al3 lal4 tro5mar6

    (A.Manzoni, La Pentecoste, 8)

    lultima tonica la 6a (6+1=7), che non seguita da altra sillaba perch mar parola tronca. Il

    verso ugualmente un settenario, ma tronco.

    * * *

    A seconda del numero delle sillabe i versi possono essere pari (parisillabi) o dispari

    (imparisillabi).

    I parisillabi sono: Gli imparisillabi sono:

    - quaternari o quadrisillabi - ternari o trinari o trisillabi

    - senari - quinari

    - ottonari - settenari

    - decasillabi - novenari

    - (bisillabi, molto rari). - endecasillabi.

    A questi vanno aggiunti i versi doppi risultanti dallunione di due di alcuni dei versi sopra

    elencati: si avr, quindi, il doppio quinario, il doppio senario, il doppio settenario (detto anche verso

    alessandrino o martelliano), il doppio ottonario.14

    * * *

    E' un ternario un verso in cui l'ultima sillaba15 tonica la 2a. E' poco usato; si trova spesso

    in combinazione con altri versi (Pascoli lo abbina al senario o al novenario) o in alternanza con

    essi.

    Si tace,non gettapi nulla.Si tace,non sode

    romoredi sorta,che forseche forsesia morta?Orrore!

    (A.Palazzeschi, La fontana malata, 26-33).

    14Il bisillabo un verso molto raro; nella poesia antica era alternato con il ternario. Questo che segue un

    esempio moderno di soli bisillabi:Dietro qualche qualche qualche

    qualche viso riso gestovetro, bianco stanco, lesto, []

    (G.A. Cesareo, La locomotiva).15 Nella definizione di un verso per sillaba da intendersi sillaba metrica.

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    E' un quinario un verso in cui l'ultima sillaba tonica la 4a; pu avere accenti di 1a o

    2a,eccezionalmente di 3a; le prime due sillabe prendono il nome di base.

    E fosco laere,

    il cielo mutoed io sul tacitoveron seduto,in solitariamalinconiati guardo e lagrimo,Venezia mia!

    (A.Fusinato,A Venezia, 1-8).

    E' unsettenario un verso in cui l'ultima sillaba tonica la 6a; un altro accento cade

    in posizione libera:

    Sogno dun d destate.Quanto scampanellaretremulo di cicale!Stridule per filaremoveva il maestralele foglie accartocciate

    (G.Pascoli, Patria, 1-6).

    E' un novenario un verso in cui l'ultima sillaba tonica l'8a; generalmente ha

    accenti secondari di 2a e di 5a:

    []

    non altro. Essi fuggono viada qualche remoto sfacelo;ma quale, ma dove egli sia,non sa n la terra n il cielo.

    (G.Pascoli, Scalpitio, 9-12).

    E' un endecasillabo un verso in cui lultima tonica la 10a. E' il verso pi usato

    nella nostra poesia ed quello che conta pi varianti.16

    L'endecasillabo canonico o a minore in presenza di accento di 4a e/o di 8a; in tal

    caso inizia con un quinario. E' a maiore quando ha anche accento di 6a ed inizia con un

    settenario.

    Lo schema ideale considerato il seguente:

    Amor2 e 'l cor4 gentil6 sono^u8na co10sa

    (Dante, Vita Nova, 11).

    Qualche variante:

    16 Dante nel De Vulgari Eloquentia (II,V,3-4) afferma:Quorum omnium endecasillabum videtur esse

    superbius, tam temporis occupatione, quam capacitate sententie, constructionis et vocabulorum; quorumomnium specimen magis [multiplicatur] in illo, ut manifeste apparet; nam ubicunque ponderosa multiplicaturet pondus.[Trad.] Dei quali tutti lendecasillabo appare il pi superbo, sia per durata ritmica, sia per capacitdi pensiero, di costrutti e di vocaboli; ed il decoro di ciascuna di queste cose si moltiplica in esso, come

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    Ca1ntami, o Di4va, del Peli8de Achi10lle

    (V.Monti, Iliade, I, 1);

    scalpita3nti su gli 6lmi a' moribo10ndi

    (U.Foscolo, Dei sepolcri, 211);

    risplender4 su le sciagu8re uma10ne(ivi, 295).

    E' un quaternario un verso in cui l'ultima sillaba tonica la 3a. E' poco usato da

    solo nella poesia italiana; si accompagna spesso con l'ottonario:

    Il poeta, o vulgo sciocco,un pitocconon gi, che a l' altrui mensavia con lazzi turpi e mattiporta i piattied il pan ruba in dispensa.E n meno un perdigiornoche va intornodando il capo ne' cantoni,e co 'l naso sempre a l'ariagli occhi svariadietro gli angeli e i rondoni.

    (G.Carducci, Congedo. 1-12)

    E' un senario un verso in cui l'ultima sillaba tonica la 5; presenta accento

    secondario di 2 ma si trova anche con accento di 1 e 3; usato assai di rado anche dai

    poeti italiani antichi.

    Al Re Travicellopiovuto ai ranocchi,

    mi levo il cappelloe piego i ginocchi;lo predico anch'iocascato da Dio:oh comodo, oh belloun Re Travicello!

    (G.Giusti, Il Re Travicello, 1-8).

    E' un ottonario un verso in cui l'ultima sillaba tonica la 7a; nella forma modernaha accento secondario di 3; anticamente si adoperava nelle varianti di accento di 1, 3,

    5.

    Solitario bosco ombroso,a te viene afflitto cor,per trovar qualche riposofra i silenzi in quest'orror.

    (P.Rolli, Ode d'argenti amorevoli, Solitario bosco ombroso,1-4).

    appare manifestamente; ch dovunque si moltiplicano le cose che han peso, anche il peso si moltiplica(Testo e traduzione secondo ledizione Marigo).

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    A. Cardillo

    E' un decasillabo (da distinguere dal quinario doppio) un verso in cui l'ultima sillaba

    tonica la 9a; pu avere accenti secondari di 3 e 6:

    Soffermati sull'arida sponda,volti i guardi al varcato Ticino,

    tutti assorti nel novo destino,certi in cor dell'antica virt,han giurato:non fia che quest'ondascorra pi tra due rive straniere:

    (A.Manzoni, Marzo 1821, 1-8).

    L'ipermetro un verso che supera di una sillaba la misura degli altri di una stessa

    strofa; in alcuni casi la sillaba finale si fonde, per sinafia, con quella iniziale del verso

    successivo:

    E' l'alba: si chiudono i peta-li Aun poco gualciti; si cova, B

    dentro l'urna molle e segreta, Anon so che felicit nuova. B

    (G.Pascoli, Il gelsomino notturno, 21-24)

    dove il verso 21 ipermetro; la sillaba in pi -lidi petalisi fonde con la prima del verso

    seguente, un, consentendo anche la rima tra il primo e il terzo verso.

    Versi doppi o accoppiati

    Due quinari, due senari, due settenari e pi di rado due ottonari, accoppiati,

    costituiscono un verso composto o doppio o accoppiato. La cesura divide il verso in dueemistichiuguali.17

    Il quinario doppio, diversamente dal decasillabo, diviso in due emistichi uguali

    entrambi con accento di 4:

    Dal mio cantu4ccio, || donde non sen4tose non le re4ste || brusir del gra4no,il suon dell' ore || viene col ventodal non veduto || borgo montano:suono che uguale, || che blando cade,

    come una voce || che persuade. (G.Pascoli, L'ora di Barga,1-6).

    Il senario doppioo dodecasillabo ha in entrambi gli emistichi accenti di 2 e 5:

    Dagli a2trii musco5si, || dai Fo2ri caden5ti,dai bo2schi, dall'ar5se || fuci2ne striden5ti,dai solchi bagnati || di servo sudor,un volgo disperso || repente si desta,intende l'orecchio, || solleva la testa,percosso da novo || crescente romor.

    (A.Manzoni,Adelchi, atto III, coro, 1-6).

    17 Per questi abbinamenti valgono alcune norme: tra il primo e il secondo verso semplice non pu essercielisione e pertanto il secondo verso deve iniziare sempre per consonante; il primo verso non pu essere

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    A. Cardillo

    Il settenario doppio detto anche tetradecasillabo o verso martelliano, conserva la

    struttura dei due settenari che lo compongono che sono sempre piani; si pu trovare un

    emistichio sdrucciolo, come nellesempio tratto da Carducci (verso 2):

    Su i campi di Marengo || batte la luna; foscotra la Bormida e il Tanaro || s'agita e mugge un bosco;un bosco d'alabarde, || d'uomini e di cavalli,che fuggon d'Alessandria || da i mal tentati valli.

    (G.Carducci, Su i campi di Marengo la notte del SabatoSanto 1175, 1-4).

    Il Contrasto di Cielo d'Alcamo presenta una particolare struttura dei due settenari:

    sdrucciolo il primo, piano il secondo:

    - Rosa fresca aulentis[s]ima ch 'apari inver' la state,le donne ti disiano, pulzell' e maritate:

    (Cielo d'Alcamo, Rosa fresca aulentissima , 1-2).

    L'ottonario doppio molto raro nella versificazione italiana:

    Quando cadono le foglie8, || quando emigrano gli augelli8,E fiorite a' cimiteri || son le pietre de gli avelli,

    (G.Carducci, La sacra di Enrico Quinto, 1-2).

    Il novenario doppio altrettanto raro:

    Loreto impagliato ed il busto || dAlfieri, di Napoleone,i fiori in cornice (le buone || cose di pessimo gusto),

    il caminetto un po tetro, || le scatole senza confetti,i frutti di marmo protetti || dalle campane di vetro,18

    un qualche raro balocco, || gli scrigni fatti di valve,gli oggetti col monito, salve, || ricordo, le noci di cocco,[]

    (G.Gozzano, Lamica di nonna Speranza, 1-4)

    * * *

    La rima - elemento caratterizzante la poesia italiana - l'identit di suono,

    dall'accento tonico in poi, di due parole in fine verso:

    La gloria di colui che tutto move Aper l'universo penetra, e risplende Bin una parte pi e meno altrove. A

    (Paradiso, I, 1-3);

    pu esserci rima tra l'ultima parola di un verso e quella centrale del verso successivo; in tal

    caso si parla di rimalmezzo:

    onde, siccome suole,ornare ella si appresta

    tronco; tra i due versi talvolta c una linea di divisione, ma capita spesso di non trovare alcun segno. Negliesempi sopra riportati il segno di cesura mio.18 I versi 2 e 4 sono irregolari perch mancanti di una sillaba nel secondo emistichio; non cos gli altri.

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    A. Cardillo

    dimani, al di' di festa, il petto e il crine.(G.Leopardi, Il sabato del villaggio, 5-7).

    La rima vera e propria va distinta dalle cosiddette rimeimperfette che sono l'assonanza e

    la consonanza; la prima si ha quando due parole hanno uguali soltanto le vocali dalla

    tonica in poi (bllo e snno, decro e stulo); la seconda invece, detta pure assonanzaatona, si ha tra due parole che hanno uguali consonanti ma vocali diverse dall'accento

    tonico in poi (temto e lascito, stlla e stlla) .

    La rima caratterizza in modo determinante una composizione poetica a seconda del

    modo in cui viene articolata e concorre, assieme ad altri elementi, ad evidenziarne suoni

    ed immagini.

    Le rime possono essere:

    a) baciate, caratteristiche del distico, se si succedono l'una dopo l'altra secondo lo schemaAA BB ...

    de' miei mali ti toglie Ala favella, e discioglie Ain lagrime furtive il tuo dolore. BMa datti pace, e il core B

    (V.Monti, Per il giorno onomastico della sua donna, 7-10);

    b) alternate, caratteristiche della quartina, se si succedono alternativamente secondo lo

    schema AB AB

    ch il passero saputo in cor gi gode Ae il tutto spia dai rami irti del moro; Be il pettirosso: nelle siepi s'ode Ail suo sottil tintinno come d'oro. B

    (G.Pascoli,Arano, 7-10);

    c) incrociate o abbracciate, anchesse caratteristiche della quartina, se il primo verso rima

    col quarto e il secondo col terzo (ABBA)

    Io mi credea del tutto esser partito A

    da queste nostre rime, messer Cino , Bch si conviene omai altro cammino Ba la mia nave pi lungi dal lito: Ama perch'i'ho di voi pi volte udito Ache pigliar vi lasciate a ogni uncino, Bpiacemi di prestare un pocolino Ba questa penna lo stancato dito . A

    (Dante, Rime, CXIV, 1-8);

    d) incatenate quando in un gruppo di terzine il secondo verso, chiuso tra due che rimano

    fra loro, rima col primo e il terzo della terzina successiva e il secondo di questa con il

    primo e il terzo della terzina ancora successiva; schema ABA BCB CDC.

    Nel mezzo del cammin di nostra vita A

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    A. Cardillo

    mi ritrovai per una selva oscura, Bch la diritta via era smarrita. A

    Ahi quanto a dir qual era cosa dura Besta selva selvaggia e aspra e forte Cche nel pensier rinnova la paura ! B

    Tant' amara che poco pi morte; Cma per trattar del ben ch'i' vi trovai, Ddir de l' altre cose ch'i' v'ho scorte. C

    (Inferno, I, 1-9);

    e) rinterzate se tre versi rimano con tre successivi, nello stesso ordine, in ordine inverso o in ordine misto

    (ABC ABC oppure ABC CBA oppure ancora ABC BAB ecc.);

    Mostrasi s piacente a chi la mira, Ache d per li occhi una dolcezza al core, Bche 'ntender no la pu chi no la prova: C

    e par che de la sua labbia si mova Cuno spirito soave pien d'amore, Bche va dicendo all'anima: Sospira. A

    (Dante, Tanto gentile e tanto onesta pare, 9 -14).

    La rima iprmetra (da non confondersi con il verso ipermetro) si ha quando una parola sdrucciola

    rima con una parola piana o viceversa; in questo caso la sillaba eccedente ai fini della rima non va

    considerata:

    Ah luomo che se ne va sicuro, Aagli altri ed a se stesso amico, Be lombra sua non cura che la canico-la Bstampa sopra uno scalcinato muro! A

    (E.Montale, Non chiederci la parola, 5-8)

    dove la- di canicola non si considera e pertanto si ripristina la rima BB dei versi 6-7, amico:canico-la.

    Sciolti si dicono i versi che non presentano la successione della rima (il carme Dei Sepolcri di

    Foscolo costituito da 295 endecasillabi sciolti); liberi si dicono quelli che non rientrano in uno schema

    metrico fisso o non seguono in modo regolare le norme della versificazione. I versi liberi, caratteristici della

    poesia del Novecento, talvolta ripropongono strutture che, solo apparentemente, sono al di fuori dei canoni

    metrici.

    * * *

    Lassa linsieme di versi senza uno schema fisso, in numero variabile, rimati o assonanzati. Intempi relativamente vicini lhanno riproposta Carducci, Pascoli e dAnnunzio.

    Esempio di lassa del XII secolo:

    Salva lo vescovo senato, lo mellior chumque sia na[to][che da l] ora fue sagrato, tuttallumma l chiericato.n Fisolaco n Cato non fue s ringraz_ato,e l pap hall[ -ato] per suo drudo plu privato.Suo gentile vescovato ben cresciuto e melliorato.

    (Ritmo Laurenziano, 1-5, da Spongano, op.cit. p.196).

    Lastrofa (o strofe) costituita da un insieme di versi disposti secondo una struttura

    preordinata in cui si svolge un periodo ritmico compiuto con un altrettanto senso logico;

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    A. Cardillo

    tale struttura pu ripetersi pi volte nel testo. Una strofa si compone di un vario numero di

    versi rimati o non.

    Nella versificazione italiana ricorrono varie tipologie di strofe.

    Il distico composto di due versi (di varia misura metrica, dal settenario

    all'endecasillabo, all'otto-novenario, all'endecasillabo) per lo pi con rima baciata:

    "O cavallina, cavallina storna Ache portavi colui che non ritorna; A

    (G.Pascoli, La cavalla storna, 11-12).

    La terzina (detta anche terza rima ) costituita da tre versi (esempio classico sono

    le terzine della Commedia), comunemente con rime incatenate.

    La quartina presenta quattro versi, con rima alternata o chiusa (ABAB oppure

    ABBA):

    S' rifatta la calma Anell'aria: tra gli scogli parlotta la maretta. BSulla costa quietata, nei broli, qualche palma Aa pena svetta . B

    (E.Montale, Maestrale, 1-4);oppure

    Il gigantesco rovere abbattuto Al'intero inverno giacque sulla zolla , Bmostrando, in cerchi, nelle sue midolla Bi centonovant'anni che ha vissuto . A

    (G.Gozzano, Speranza,1-4).

    Dal punto di vista metrico la quartina pu presentare variet di combinazioni: pu essere

    costituita di endecasillabi oppure di endecasillabi e settenari alternati, novenari e settenari,

    quinari ecc.

    La quinta rima presenta strofe di cinque versi, di misura uguale o non, nelle quali il

    quinto spesso ha la stessa rima:

    Io sono una lampada ch' arde Asoave! B

    nell' ore pi sole e pi tarde, Anell'ombra pi mesta, pi grave , Bpi buona, o fratello! C

    Ch'io penda sul capo a fanciulla Achepensa, Bsu madre, che prega, su culla Ache piange, su garrula mensa, Bsu tacito avello; C

    (G.Pascoli, La poesia, 73-82).

    La sestina o sesta rima (da non confondere con la sestina lirica) composta di sei

    versi; i primi quattro hanno rima alternata e gli altri due rima baciata (ABABCC):Part l'ultimo lo sposo, A

    sopraffatto dal pasticcio B

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    A. Cardillo

    e dall'obbligo schifoso Adi legarsi a quel rosticcio. BCon quest'osso per la gola Csi ficc tra le lenzuola . C

    (G.Giusti, La scritta, Parte seconda,1-6).

    Si possono trovare anche le rime ABBAAB, come in Gozzano:Signorina Felicita, a quest'ora Ascende la sera nel giardino antico Bdella tua casa. Nel mio cuore amico Bscende il ricordo. E ti rivedo ancora, Ae Ivrea rivedo e la cerulea Dora Ae quel dolce paese che non dico. B

    (La Signorina Felicita, 1-6).

    Un antico schema, riproposto da Gozzano, prevedeva la rima ABABAB:

    Signorina Felicita, il tuo giorno! A

    A quest'ora che fai? Tosti il caff: Be il buon aroma si diffonde intorno? AO cuci i lini e canti e pensi a me, Ball'avvocato che non fa ritorno? AE l'avvocato qui: che pensa a te. B

    (Idem, 7-12).

    Altre varianti di rima sono: ABBACC oppure AABCCB .

    L'ottava (ottava rima o stanza) formata di otto endecasillabi, i primi sei in rima

    alternata e gli altri due in rima baciata (ABABABCC); tale lo schema della cosiddetta

    ottava toscana:

    Piacciavi, generosa Erculeaprole, Aornamento e splendor del secol nostro, BIppolito, aggradir questo che vuole Ae darvi sol pu l'umil servo vostro. BQuel ch'io vi debbo, posso diparole Apagare in parte, e d'opera d'inchiostro; Bn che poco io vi dia da imputar sono; Cch quanto io posso dar, tutto vi dono. C

    (L.Ariosto, Orlando Furioso, I, 3).

    L'ottava siciliana, di epoca posteriore rispetto alla precedente, presenta rima

    alternata anche negli ultimi due versi (ABABABAB):Da poi che la speranza m' mancata, Amale aggia Amore e quando mai mi prese Bla f che a toe lusinghe hai' donata ! ASia maledette le mie prime imprese Be tu che cruda me te si' mostrata! ASia maledetta tua voglia scortese ! BMa tristo quel che serve a donna ingrata, Ach'al fin si perde l'opere e le spese . B

    (Anonimo del XV sec., cit. da Spongano, p.357).

    Quando dopo l'ottavo verso vi un nono che rima col sesto (e quindi col quarto e

    col secondo) si ha la nona rima, strofa molto rara nella nostra poesia (ABABABCCB):

    Come colui che naviga a seconda A

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    A. Cardillo

    per correnti di rapide fiumane, Bche star gli sembra immobile, e la sponda Afuggire e i monti e le selve lontane; Bcosi' l'ingegno mio varca per l'onda A 5precipitosa delle sorti um-ane: Be mentre a lui dell'universa vita Cpassa dinanzi la scena infinita, C

    muto e percosso di stupor rim-ane. B

    (G.Giusti,A Gino Capponi[1847], 1-9)

    La settima e la decima rima, componimenti a struttura rarissima nella poesia

    italiana, presentano rispettivamente sette e dieci versi con rime ABABCC pi verso

    sdrucciolo senza rima dopo il quinto oppure ABABABCCCB.

    La canzone19 un componimento poetico esemplato dai Siciliani e dai Toscani sul

    modello della cans20 provenzale e portato a perfezione da Dante; costituita da un

    numero variabile di strofe che prendono il nome di stanze.

    Nella canzone antica le strofe sono in numero variabile (fino ad un massimo di

    nove), tutte rispondenti al medesimo schema; chiude il componimento un congedo che

    una strofa di minore lunghezza.

    Le strofe sono composte prevalentemente di endecasillabi e di versi di varia misura

    metrica, in genere settenari o quinari; al posto degli endecasillabi si possono avere

    settenari seguiti da quinari. I versi generalmente sono tredici per ogni strofa.

    La stanza si divide in dueperiodi: fronte e sirma (o sirima).

    La fronte costituita da due raggruppamenti di versi di uguale numero (due, tre,

    quattro ecc.) e con lo stesso schema rimico; i due raggruppamenti prendono ciascuno il

    nome dipiede.

    Un secondo raggruppamento di versi, detto volta, anchesso uguale per numero di

    versi e per schema rimico, costituisce la sirma.

    Fronte e sirma sono unite da un verso che rima con quello precedente e che

    prende il nome di chiave o diesi.Lo schema classico il seguente:

    1 A a

    1o piede 2 B b

    3 C c

    19

    La struttura della canzone e della ballata ampiamente analizzata e descritta da Pietro G. Beltrami, Lametrica italiana, cit., pp. 211-236 e 248-258.20Per la derivazione trobadorica di canzone e ballata si veda il Dizionario di linguistica diretto da Gian Luigi

    Beccaria, cit., ad vocem.

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    A. Cardillo

    fronte 4 A a

    2o piede 5 A a

    6 B b

    chiave 7 C c

    8 D d

    1a volta 9 E e

    10 E e

    sirma 11 D d

    2a volta 12 F f

    13 F f

    21

    Esempio di canzone petrarchesca che ricalca lo schema precedente:

    Chiare, fresche et dolci acque, A1piede ove le belle membra b

    pose colei che sola a me par donna; Cfronte gentil ramo, ove piacque a

    2piede (con sospir' mi rimembra) ba lei di fare al bel fiancho colonna; C

    diesi herba et fior' che la gonna cleggiadra ricoverse d

    1volta co' l'angelico seno; eaere sacro, sereno, e

    sirma ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse: D2volta date udenza insieme f

    a le dolenti mie parole extreme. F[]Se tu avessi ornamenti quant'i voglia X

    congedo potresti arditamente y

    uscir del boscho, et gir in fra la gente. Y(F.Petrarca, Chiare, fresche et dolci acque).

    Molte sono le varianti della canzone classica; la struttura stata modificata pi volte

    nel corso dei secoli da numerosi autori che ne hanno adattato lo schema ai loro gusti ed

    alle mode dei loro tempi.

    La canzone costituita da pi strofe, stanze, formate di endecasillabi e versi alternati

    in vario metro; si distingue in:

    a) canzone petrarchesca;

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    A. Cardillo

    b) canzone leopardiana;

    c) sestina lirica;

    d) canzone pindarica.

    La canzone leopardiana dapprima conserva la struttura tradizionale ma con alcune

    varianti (All'Italia); poi diventa un componimento libero per quel che riguarda la struttura

    delle stanze, il loro numero e le rime.

    Silvia, rimembri ancoraquel tempo della tua vita mortale,quando belt splendeanegli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,e tu, lieta e pensosa, il limitare 5di giovent salivi?

    Sonavan le quietestanze, e le vie d'intorno,al tuo perpetuo canto,allor che all'opre femminili intenta 10sedevi, assai contentadi quel vago avvenir che in mente avevi.Era il maggio odoroso: e tu solevicos menare il giorno.

    Io gli studi leggiadri 15talor lasciando e le sudate carte,ove il tempo mio primo

    e di me si spendea la miglior parte,d'in su i veroni del paterno ostelloporgea gli orecchi al suon della tua voce, 20ed alla man veloceche percorrea la faticosa tela.Mirava il ciel sereno,le vie dorate e gli orti,e quinci il mar da lungi, e quindi il monte. 25Lingua mortal non dicequel ch'io sentiva in seno.

    (G.Leopardi,A Silvia, 1-27).

    La sestina lirica, detta pure sestina provenzale, obbedisce a regole molto artificiose.

    Presenta sei strofe di sei endecasillabi con un congedo di tre. In ogni sestina al posto della

    rima la ripetizione delle sei parole-rima finali della prima strofa. Nel congedo le parole-

    rima si ripetono, tre al centro dei versi, tre alla fine:

    Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra Ason giunto, lasso!, ed al bianchir de' colli, Bquando si perde lo color ne l'erba; Ce 'l mio disio per non cangia il verde, Ds barbato ne la durapetra E

    21 I tre punti indicano che la strofa pu essere ampliata con un ulteriore variabile numero di versi. Lo stessoschema metrico e rimico ripetuto per quante sono le strofe; chiude il componimento un congedo. Le lettereminuscole indicano i versi di misura metrica minore; le maiuscole quelli di misura metrica maggiore.

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    A. Cardillo

    che parla e sente come fosse donna . F

    Similemente questa nova donna Fsi sta gelata come neve a l'ombra; Ache non la move, se non comepetra, Eil dolce tempo che riscalda i colli Be che li fa tornar di bianco in verde Dperch li copre di fioretti e d'erba. C[]

    Quantunque i colli[B] fanno pi nera ombra [A],sotto un bel verde [D] la giovane donna [F]la fa sparer, comuom petra [E] sotterba [C].

    (Dante,Al poco giorno ed al gran cerchio d'ombra, 1-12, 37-39).

    Per l'uragano all'apice di furia AVicino non intesi farsi il sonno; B

    Olio fu dilagante a smanie d'onde, CAperto campo a libert dipace, DDi effusione infinita il finto emblema EDalla nuca prostrandomi mortale. F

    Avversit del corpo ebbi mortale FAi sogni sceso dellincerta furia AChe annebbiava sprofondi nel suo emblema EEd, astuta amnesia, afono sonno, BDa echi remoti inviperivapace DSolo accordando a sfinitezze onde. C[]Crescente d'ultimo e pi arcano sonno [B],E pi su d'onde [C] e emblema [E] dellapace [D]Cos divenni furia [A] non mortale [F].

    (G.Ungaretti, Recitativo di Palinuro, 1-12 e 37-39).

    La canzone pindarica, detta anche alla greca, costituita da tre parti:

    a) strofe;

    b) antstrofe;

    c) epdo.

    Le prime due parti sono uguali nel numero dei versi e nelle alternanze delle rime; laterza parte pi breve o pi lunga e presenta un diverso schema rimico:

    (Strofe)Se torrente spumoso, Aper erta via, figlio di giogo alpino, Bfacesse unqua a ritroso, Aqual meglio consigliato, il suo cammino; Ameraviglia profonda Cingombreria del montanar la fronte Din rimirar che l'onda, Cquasi pentita, ritornasse al monte. D

    (Antstrofe)O tanto in Ciel gradita E

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    A. Cardillo

    suora di Marta, io senza frode ascolto, Fche una stagion tua vita Ever' gli abissi trascorse a fren disciolto; Fe poscia in un momento Gformasti in sulla terra orme novelle, He con piume di vento Gti rivolgesti a sormontar le stelle. H

    (Epdo)Che fu ci? come avvenne? Alta mercede Italor comparte il gran Monarca eterno; Lperch l'uomo, ver' lui rivolto il piede, Imai non si prenda la mercede a scherno. LSovra l'alme ostinate egli s'adira, Med caro di lui chi ben sospira. M

    (G.Chiabrera, Per santa Maria Maddalena, 1-22)

    * * *

    La ballata un componimento dalla struttura complessa e varia, di origine fiorentina

    e bolognese, risalente allincirca alla met del 200 e praticato dagli stilnovisti che lo

    portarono ad un alto grado di perfezione.

    Si compone generalmente di una ripresa o ritornello cantato e danzato da un coro tra

    una stanza e laltra e di una strofa o stanza cantata da un solista22 (uomo o donna). La

    stanza costituita da una o pi coppie di versi a ciascuna delle quali dato il nome di

    mutazione opiede: si ha unaprimamutazione, una seconda mutazione e cos di seguito;

    un elemento terminale della prima strofa formata da uno o pi versi a cui si d il nome di

    volta introduce il ritornello il cui ultimo verso rima con lultimo della stanza. Il numero di

    stanze vario; i versi possono essere endecasillabi o settenari o gli uni e gli altri.

    La ballata detta maggiore, mezzana, minore, piccola in base al numero dei versi che

    compongono la ripresa; stravagante quando la ripresa ha pi di quattro versi, minima

    quando la ripresa costituita da un settenario o da un ottonario.

    Lo schema pu essere il seguente:

    1 x2 y

    3 y

    ritornello 4 x

    5 a

    1a mutazione 6 b

    7 a

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    A. Cardillo

    stanza 2a mutazione 8 b

    9 a

    10 b

    11 b

    12 x

    1 x

    2 y

    3 y

    ritornello 4 x

    5 c

    1a mutazione 6 d

    7 c

    stanza 2a mutazione 8 d

    9 c

    10 d

    11 d

    12 x

    e cos di seguito23.

    Esempio di ballata maggiore:

    Ballata, i' vo che tu ritrovi Amore, Xripresa e con lui vadi a madonna davante, Y

    s che la scusa mia, la qual tu cante, Y

    ragioni poi con lei lo mio segnore. XTu vai, ballata, s cortesemente, A 5

    1 mutazione che senza compagnia bdovresti in tutte parti avere ardire; Cma se tu vuoli andar sicuramente, A

    2mutazione retrova l'Amor pria, bch forse non buon senza lui gire; C 10per che quella che ti de audire, C

    volta s com'io credo, ver di me adirata: Dse tu di lui non fossi accompagnata, D

    22

    Per gli aspetti musicali della ballata si veda la voce curata da Raffaello Monterosso in Enciclopediadantesca cit.23 Le lettere minuscole indicano i versi di misura metrica minore; le maiuscole viceversa. Si soliti indicare iversi del ritornello con le ultime lettere dellalfabeto.

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    A. Cardillo

    leggieramente ti faria disnore. X[]

    (Dante, Ballata, i' vo' che tu ritrovi Amore).

    Esempio di ballata piccola o ballatetta:

    ripresa "Rose al verziere, rondini al verone!" X1 mutazione Dice, e l'aria alle sue dolci parole A

    sibila d'ali, e l'irta siepe fiora. B2 mutazione Altro il savio potrebbe; altro non vuole; A

    pago se il ciel gli canta e il suol gli odora; B 5volta suoi nunzi manda alla nativa aurora, B

    a biondi capi intreccia sue corone. X(G. Pascoli, Il Mago).

    Esempio di ballata stravagante:

    Perch'i' no spero di tornar giammai, Xballatetta, in Toscana, y

    ripresa va ttu, leggera e piana, yo dritt'a la donna mia, w

    ritornello che per sua cortesia w 5ti far molto onore. z

    1 mutazione Tu porterai novelle di sospiri, Apien'e di doglie e di molta paura; B

    2 mutazione ma guarda che persona non ti miri Ache sia nemica di gentil natura: B 10che certo per la mia disaventura B

    tu saresti contesa, cvolta tanto da llei ripresa, c

    che mi sarebbe angoscia, ddopo la morte, poscia, d 15pianto e novel dolore. z

    Tu senti, ballatetta, che la mortemi stringe s, che vita mabbandona;

    e senti come l cor si sbatte forte

    per quel che ciascun spirito ragiona. 20Tanto distrutta gi la mia persona,

    chi non posso soffrire.Se tu mi vuoi servire,mena lanima teco- molto di ci ti preco - 25quando uscir del core.

    D, ballatetta mia, a la tu amistatequestanima che trema raccomando:

    menala teco, nella sua pietate,a quella bella donna a cu ti mando. 30

    D, ballatetta, dille sospirando,quando le se presente:

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    A. Cardillo

    vien pe istar con voi,partit da Colui24 35che fu servo dAmore>>.

    Tu, voce sbigottita e debolettachesci piangendo de lo cor dolente,

    collanima e con questa ballatettava ragionando della strutta mente. 40

    Voi troverete una donna piacente,di s dolce intellettoche vi sar dilettodavanti starle ognora.Anima, e tu ladora 45sempre, nel suvalore.

    (G.Cavalcanti, Perch'i'no spero di tornar giammai)

    Esempio di ballata moderna:Sale un gemito lungo per la santa A

    ripresa ombra del tempio vedovo di gemme, Bche dalla sacra a Dio Gerusalemme Brinnova il lutto e di squallor s'ammanta. A

    Sale anelante il gemito d'un cuore, C1 mutaz. prorompendo dall' ombra, ove l'estrema D

    fece agonizza, con armoniche ale. E

    Un lamento di gravi organi muore C2 mutaz. nel pio silenzio che ne romba e trema, D

    e nel silenzio il gemito pio sale. E

    E ancora sei tu che dal cuor tuo regale Evolta guerrier Davidde, umiliato e calmo, F

    misericordia supplichi nel salmo Fche, in suo gemito eterno, ascende e canta. A

    (G. Marradi, Venerd santo)

    Il sonetto un componimento di quattordici endecasillabi divisi in due quartine

    e due terzine, le due quartine sono a rima alternata (ABAB, ABAB) o incrociata (ABBA,

    ABBA); le terzine invece sono a rime alternate (CDC, DCD) o incrociate (CDC, CDC) o

    replicate (CDE, CDE) o invertite (CDE, EDC). Il sonetto caudato o ritornellato quando

    alle terzine regolari sono aggiunti uno o due versi in genere a rima baciata ed un altro

    verso (settenario) riprendente la rima dell'ultimo. La sonettessa presenta pi di una replica

    della coda. Il sonetto doppio o rinterzato presenta un settenario dopo ogni verso dispari

    delle quartine e delle terzine; il sonetto minore, invece, composto di versi pi brevi

    dell'endecasillabo. Il sonetto continuo quando quartine e terzine hanno la stessa rima;

    lanacreontico presenta versi pi brevi dell'endecasillabo ed in pi ha una coda.

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    A. Cardillo

    La struttura del madrigale (poesia per musica) risale al XIV secolo: una, due o tre

    terzine seguite da uno o pi distici. Nel corso del '500 la sua composizione fu affrancata

    da rigide regole. In base alla lunghezza i madrigali prendono il nome di madrigaloni,

    madrigalesse, madrigalini.

    Un esempio di madrigale classico:

    Pallidetto mio sole, Aai tuoi dolci pallori Bperde l'alba vermiglia i suoi colori. BPallidetta mia morte, Ca le tue dolci e pallide vole D 5la porpora amorosa Eperde, vinta, la rosa. EOh piaccia a la mia sorte Cche dolce teco impallidisca anch'io, F

    pallidetto amor mio! F 10(G.B. Marino, dalla Lira, Pallore di bella donna).

    Lo strambotto siciliano presenta otto versi e schema rimico ABABABAB; era

    accompagnato dal suono di uno strumento musicale:

    Siedon fanciulle ad arcolai ronzanti, Ae la lucerna i biondi capi indora: B

    i biondi capi, i neri occhi stellanti , Avolgono alla finestra ad ora ad ora: B

    attendon esse a cavalieri erranti Ache varcano la tenebra sonora? B

    Parlan d'amor, di cortesie, d'incanti: Acos parlando aspettano l'aurora. B(G. Pascoli, Notte).

    Il rispetto toscano simile allo strambotto ma le rime sono diverse (ABABABCC,

    oppure ABABCCDD); pu essere di sei o di otto versi:

    Pi che lo mele hai dolce la parola, Asaggia e onesta, nobile e insegnata; Bhai le bellezze della Camiola, AIsotta la bionda e Morgana la fata; Bse Biancifiori ci fossi ancora, A

    delle belezze la giunta passata. BSotto le ciglia porti cinque cose: Camore e foco e fiamma e giglio e rose. C

    (Anonimo del XIV secolo cit. da Spongano, p.259).

    Lo stornello una strofa di tre versi, di cui il primo di solito un quinario e gli altri

    due sono endecasillabi uniti da consonanza atona. Il secondo endecasillabo rima col

    quinario e il verso intermedio in assonanza atona rima con gli altri due secondo lo schema

    ABA:

    Fior tricolore,

    Tramontano le stelle in mezzo al mareE si spengono i canti entro il mio cuore.

    24 , rima siciliana; cfr. Spongano, op. cit., p. 101n.

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    A. Cardillo

    (G.Carducci, da Rime e ritmi, Congedo, 1-3).

    Il polimetro un insieme di versi pari e/o dispari che si avvicendano senza una

    regola precisa e con rime costituite di volta in volta in vario modo .

    CENNI DI METRICA BARBARA

    I tentativi di riprodurre nei versi italiani il ritmo di quelli classici iniziarono a partire

    dal Quattrocento ma trovarono qualche realizzazione nel corso del Rinascimento. Si

    trattava, comunque, di forzature in forte contrasto con una poesia di tipo accentuativo.Carducci, Pascoli e d'Annunzio hanno realizzato compiutamente quellidea facendo

    rivivere forme di versificazione opportunamente adattate tratte dal repertorio classico.

    Con metricabarbara comunemente s'intende il complesso dei versi ad imitazione

    quanto a struttura e a dinamica del ritmo dei metri greci e latini.

    L'esametro, il verso latino per eccellenza,in italiano reso con un

    settenario pi novenario;

    settenario pi ottonario;senario pi novenario;

    quinario pi novenario;

    quinario pi decasillabo;

    ottonario pi novenario.

    Ri1 cor2 do3. Ful4 vo^il5 so6 le7 || tra^i1 ros2 si3 va4 po5 ri^e6 le7 nu8 bi9calde al mare scendeva, come un grande clipeo di rame

    che in barbariche pugne corrusca ondeggiando, poi cade.[settenario pi novenario](G. Carducci, Una sera di San Pietro, 1-3).

    Tra1 le2 bat3 ta4 glie^,O5 me6 ro7, || nel1 car2 me3 tuo4 sem5 pre6 so7 nan8 ti9la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra 'l sonnoin riva di Scamandro, ma il cor mi fugg su 'l Tirreno.[settenario pi novenario]

    (G.Carducci, Sogno d'estate, 1-3).Il pentametro reso in genere da un

    quinario pi settenario;

    settenario pi settenario;

    quinario pi senario sdrucciolo;

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    A. Cardillo

    settenario tronco pi ottonario tronco.

    Lesametro ed il pentametro insieme costituiscono ildistico elegiaco:

    Surge nel chiaro inverno la fosca turrita Bologna,e il colle sopra bianco di neve ride.

    l'ora soave che il sol morituro salutale torri e 'l tempio, divo Petronio, tuo;

    le torri i cui merli tant'ala di secolo lambe,e del solenne tempio la solitaria cima.

    (G.Carducci, Nella piazza di San Petronio, 1-6).

    La strofa saffica si compone di tre endecasillabi e un quinario (qualche volta al posto

    del quinario si pu trovare anche un settenario) in rima alternata, chiusa o senza rima:

    Di sereno adamantino su 'l vasto

    squallor d'autunno il ciel azzurro brilla,come di sua belt nel conscio fastola tua fredda pupilla.

    (Idem,Autunno romantico, 1-4).oppure

    Il treno andava. Gli occhi a me la brezzapungea tra quella ignota ombra lontana;e m'invadea le vene la dolcezza

    antelucana:(G.Pascoli, L'isola dei poeti, 1-4).

    La strofa alcaica formata da quattro versi di cui due quinari doppi (un quinario pianoed uno sdrucciolo); un novenario piano; un decasillabo (accento secondario di 6 o 7);

    oppure due quinari piani.

    Gelido il vento pe' lunghi e candidiIntercolonnii feria, su tumuliDi garzonetti e sposeRabbrividian le rose

    Sotto la pioggia, che, lenta, assidua,Sottil, da un grigio cielo di maggioBattea con faticoso

    Metro il piano fangoso;(G.Carducci, Primavere Elleniche, III Alessandrina, 1-8);

    Questo la inconscia zagaglia barbaraprostr, spegnendo li occhi di fulgidavita sorrisi da i fantasmifluttuanti ne l'azzurro immenso.

    (Idem, Per la morte di Napoleone Eugenio, 1-4).

    La strofa asclepiadea italiana di tre tipi, mentre quella oraziana era di cinque tipi;

    la seconda, la terza e la quarta latina hanno le corrispettive in italiano.

    L'asclepiadea del secondo sistema (asclepiadea II) resa con tre endecasillabisdruccioli o tre coppie di quinari sdruccioli e un settenario sdrucciolo:

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    Tu parli; e, de la voce a la molle auralenta cedendo, s'abbandona l'animadel tuo parlar su l'onde carezzevoli,e a strane plaghe naviga.

    (G.Carducci, Fantasia, 1-4).

    L'asclepiadea III ha due coppie di quinari sdruccioli, che si alternano con due

    settenari sdruccioli:

    Sull'et giovane, ch'avida suggeresuol d'amor tossico, simile al nettare,quando il piangere dolce,e dolcissimo l'ardere

    celeste grazia sovra i miei meritia me mostravi, vergine nobile.Oh che agevole giogo!

    Che piacevole carcere! (G.Chiabrera, Le vendemmie di Parnaso, XLII, 1-8).

    L'asclepiadea IV ha due coppie di quinari sdruccioli, un settenario piano ed uno

    sdrucciolo:

    Sotto l'olimpico riso de l'aerela terra palpita: ogni onda accendesi,e trepida risaltadi fulgidi amor turgida.

    (G.Carducci, Su l'Adda, 41-44).

    La strofa giambica pu essere resa con cinque endecasillabi sdruccioli; i versi

    possono essere anche in numero di quattro; in tal caso possiamo trovare quattro

    endecasillabi sdruccioli, oppure un endecasillabo sdrucciolo pi un settenario sdrucciolo

    ripetuti una sola volta:

    Quale una incinta, su cui scende languidalanguida l'ombra del sopore e l'occupa,disciolta giace e palpita su 'l talamo,sospiri al labbro e rotti accenti vengonoe sbiti rossor la faccia corrono;

    (G.Carducci, Canto di Marzo, 1-5).

    La strofa archilochea composta di due versi: ad un endecasillabo sdrucciolo

    segue un settenario doppio il secondo del quale sdrucciolo (il primo piano):

    Ma voi volate dal mio cuor, com'aquilegiovinette dal nido alpestre ai primi zefiri.

    Volate, e ansiosi interrogate il murmure

    che gi per l'alpi giulie, che gi per l'alpi retiche,

    da i verdi fondi i fiumi a i venti mandano,grave d'epici sdegni, fiero di canti eroici.