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NOVEL

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Roberta Damiata

STAVO CERCANDO TELa storia di Can prima di Sanem

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Stavo cercando tedi Roberta DamiataCollezione Novel

ISBN 978-88-04-74108-4

DayDreamer © Gold su Licenza RTI - Mediaset© 2021 Mondadori Libri S.p.A., Milano

I edizione aprile 2021

librimondadori.it

Revisione di Alice Grisa - Zampediverse Cura redazionale di studio pym

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Prologo

Ieri (1995)

«Yeter, artık dayanamıyorum…» Le urla e il suono dei cocci rotti rimbombano nella mia

stanza. “Ho paura, sono solo.”Le parole di mia madre vengono interrotte dalle lacrime,

e i pugni che papà dà alle porte mi fanno tremare. Sono pa-ralizzato, non riesco a muovere le mani che tengono stret-ta la coperta sopra la mia testa.

«Non mi vedrai mai più e non lo vedrai mai più.» La voce della mamma sembra disperata. Perché dice que-

ste parole? Sento il suono dei suoi passi veloci. Papà non la ferma. Una porta sbatte, i vetri delle finestre tremano e poi il silenzio. È ancora buio fuori. Ci fosse un po’ di luce avrei il coraggio di alzarmi, ma tremo e non per il freddo. Ho sentito spesso le loro urla, ma questa volta è diverso. Lo capisco dai singhiozzi di papà: fanno piangere anche me.

“Sono grande. Sono il fratello maggiore. Sono io che devo proteggere Em, che forse avrà sentito le urla della mamma e si sarà spaventato.”

Mi faccio coraggio, tiro fuori un piede e poi l’altro. Il pa-vimento ghiacciato blocca le mie lacrime. Sono in piedi. Mancano pochi passi alla porta.

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“Sono grande, sono coraggioso.”Giro la maniglia. Anche papà se n’è andato. “Em, arrivo, non avere paura: ci sono io.”Entro nella stanza e per fortuna il tappeto mi riscalda il

cuore e i piedi, che ora corrono verso il lettino. È così bella questa cameretta, come il mio fratellino che di sicuro dor-me tranquillo.

«Em, sono qui» sussurro nella penombra «non avere pau-ra, rimarrò a dormire con te e ci terremo per mano... Em?»

La coperta con le nuvole verdi giace solitaria sul pavi-mento e l’orsacchiotto da cui non si separa mai è sparito.

«Emre, dove sei?»Em non c’è. Anche lui se n’è andato.

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Istanbul, vista sul Bosforo (2014)

Mi gira la testa. Il locale lungo il Bosforo, uno dei tanti che frequento tutte le sere, brulica di voci e risate. Ho bevuto troppo, ma in definitiva non è quello che faccio sempre? Com’è che si chiamava quella con cui parlavo? Afet? Sì, la bella Afet dai lunghi capelli neri. Non l’avevo già conosciu-ta da qualche parte? No, quella era Esin la rossa…

L’acqua scorre lenta e le luci della città che si specchia-no sul mare sono l’unica certezza di questa vita. Chissà chi abiterà in quella casa con la finestra illuminata. Anche loro avranno una bella figlia dai capelli lunghi? Chissà quanti amori avranno visto nascere queste luci e quanti bambini avranno sognato di partire guardando le barche che scivo-lano sull’acqua. Ho bisogno di bere ancora. Un altro giro per festeggiare la serata. E pensare che non volevo nean-che uscire stasera.

«Can? Can… dove sei finito?»Sono uscito in terrazza per schiarirmi le idee, ma la voce

di Metin blocca i miei pensieri: «Il fidanzato della ragazza ti sta cercando» mi dice concitato.

«Quale ragazza?»«Quella con cui parlavi poco fa.»Ricordo di aver chiacchierato di viaggi e cibo vegetaria-

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no, con lei e con il barista. Non sapevo che la ragazza fosse lì con il fidanzato. Non sarebbe comunque cambiato nien-te, per me era solo una conversazione a tre. Non sono in-teressato a lei.

«Io non ho fatto niente, Metin» rispondo confuso, cer-cando di raccogliere le idee.

Ma lui continua: «Questo lo immagino, ormai ti conosco bene, a volte ho l’impressione che le eviti addirittura». Non ne posso più, la testa comincia a farmi male. Devo andare via, tornare a casa, fare una doccia.

«Ehi tu, Divit.»Una voce arriva da dentro il locale. Esce un ragazzo tatuato, seguito da altri due. Dal modo

in cui camminano mi sembrano ubriachi. Ma anche io non ci sono andato leggero stasera.

«È lui il fidanzato della ragazza» spiega Metin. «Ti sta-va cercando.»

«Vieni qui se sei un uomo!» continua a urlare, avvicinan-dosi minaccioso.

«Can, per favore, non andare. Lascia stare» mi implora Metin. «Vuole solo difendere la sua donna.»

«Ti farò pentire di averci provato con la mia ragazza» pro-segue l’altro.

«Manteniamo la calma, per favore» risponde Metin. «Se ci dici qual è il problema, ne parliamo.»

«E tu chi sei? Stanne fuori» gli intima l’uomo, dandogli una spinta. Metin perde l’equilibrio rischiando di cadere.

Sorreggo il mio amico e fisso l’uomo dritto negli occhi. Di sicuro sta cercando guai. «Chiedi subito scusa» gli ordi-no, ma lui mi ignora.

«Non ti devi mai più avvicinare alla mia ragazza, hai ca-pito?» La sua voce si mescola al mormorio dei presenti nel locale e alle luci dei cellulari che riprendono la scena.

«Quello è Can Divit» interviene il suo amico. «Il rampollo d’oro di Istanbul.»

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Residenza Aksu – Istanbul (2002)

Ce l’ho quasi fatta, pochi passi e sono in salvo. Sento il fia-to sul collo del signor Adil che arranca dietro di me.

«Questa volta l’hai fatta grossa, Can! Non ti salverà nes-suno» dice con la voce rotta dal fiatone.

Forse non è stata una buona idea tagliare tutti i fiori del suo giardino, però avevo perso una scommessa e io man-tengo sempre la parola data.

Sono a un isolato da casa, riesco a vedere il muro in lon-tananza. Ancora pochi passi e sarò dentro. Da un vicolo spunta il giardiniere del signor Adil. È grosso, muscoloso e anche lui ringhia il mio nome.

“Sono davvero in trappola.” Mi guardo intorno dispe-rato, in cerca di una via di fuga, ma sono con le spalle al muro… “Giusto, il muro!”

Mi giro e comincio ad arrampicarmi come un gatto, men-tre il signor Adil e il giardiniere corrono tutti e due nella mia stessa direzione, quasi scontrandosi. Le piante di rose rampicanti mi graffiano le ginocchia, ma il loro profumo è talmente forte da non farmi sentire le spine. Le ho viste uguali al Palazzo di Topkapı, dove viveva il sultano. Forse questa è un’altra delle sue residenze?

Sono finalmente in cima al muro. Guardo in basso i due

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con aria di sfida ed è proprio in quel momento che perdo l’equilibrio e precipito dall’altra parte. Cado con un tonfo sordo. Il dolore è lancinante. Devo essermi rotto qualco-sa. Cerco di alzarmi ma un suono inconfondibile mi para-lizza. Mi giro lentamente e il cane più grande mai visto in vita mia mi sta fissando e comincia a ringhiare. Ora la mia scelta è morire sbranato o per mano del signor Adil. Nien-te male per uno che ha solo tredici anni.

«Aras, vieni qui.» Da lontano vedo arrivare di corsa una creatura bellissi-

ma. I lunghi capelli neri sembrano una tempesta mossa dal vento. Ha un vestito bianco e rallenta il passo quando mi vede. Si avvicina e mi osserva con un’espressione curiosa, come se fossi una delle prede che sicuramente quel molos-so prenderà ogni giorno.

«Cosa ci fai qui?» mi dice, mentre con la piccola mano tie-ne fermo l’animale trattenendolo per il collare. Ha le guan-ce arrossate dalla corsa, ma è fiera come una guerriera e mi osserva spiazzandomi con due occhi nocciola che somiglia-no a foglie d’autunno dai riflessi d’oro.

«Tu sei la figlia del sultano?» chiedo incantato.«Chi, io? Ma no, come ti viene in mente?»«Le tue rose somigliano a quelle del Palazzo del Topkapı

e pensavo che…» Il ginocchio mi fa male e vedo che un rivolo di sangue

sta colando fino ai sandali. «Ti sei ferito?»«No, non è niente» mento e cerco di respirare forte l’odore

delle rose per evitare di concentrarmi sul dolore lancinante.«Ce la fai ad alzarti?» Mi allunga la mano. Io la afferro come un’ancora di sal-

vezza e mi alzo in piedi, trovandomi di fronte ai suoi occhi grandi e profondi. Non sento più alcun male.

«Mi chiamo Esel» dice, «e tu devi essere Can.» «Sì» rispondo stupito. «Ma come fai a sapere chi sono?» «Ti vedo spesso, abiti nella villa laggiù» dichiara, indi-

cando con il dito in direzione di casa mia.

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Sento le sue parole ma mi perdo in quelle iridi screziate d’oro. Un senso di calore mi prende allo stomaco e mi fa di-menticare qualsiasi cosa. Sembra un angelo. Forse è un angelo.

Mi sorride e il sole sopra le nostre teste pare fare le capriole. Non capisco cosa mi stia succedendo, ma improvvisamente tutto quello che mi circonda non ha senso. Le mie guance scot-tano e ho il desiderio di non andare mai più via da quel posto.

«Io non ti ho mai vista in giro» balbetto.«Non vengo spesso qui fuori perché io sono…»«Eseeeeeel!» Il cane sfugge alla presa e si dirige abbaiando verso un’al-

tra figura che corre nella nostra direzione. Man mano che si avvicina vedo che si tratta di un’altra ragazza. Ha i capel-li biondi e anche lei indossa un lungo vestito che si muove al ritmo dei suoi passi. Quando arriva davanti a me mette le mani sui fianchi e respira profondamente prima di par-lare: «Esel che ci fai qui? Lo sai che non devi stare in giar-dino. Il tuo posto è nelle cucine vicino a tua madre».

«Sì, scusi» risponde Esel, un po’ intimorita da quella ra-gazza che ha pressappoco la sua età.

«Tu sei il figlio di Aziz, vero?» chiede la nuova arrivata girandosi verso di me. Ha gli occhi verdi e le labbra a for-ma di cuore.

«Sì, sono il figlio di Aziz Divit, e tu?» «Io mi chiamo Polen. I nostri padri si conoscono dai tem-

pi della scuola. Sono appena tornata dall’America e pen-so che ci vedremo spesso, sai?» mentre conclude la frase si gira nuovamente verso Esel, che nel frattempo è rimasta immobile come una statua.

«Sei ancora qui?» le dice in modo altezzoso. «Ora ci pen-so io a curare Can.»

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Casa di Sanem Aydın – Beykoz Kundura, Istanbul (2004)

Non mi piace il vestito azzurro che indosso. Mia madre ci tiene tanto ma di sicuro stava molto meglio a mia sorella Leyla, la prin-cipessa bionda che lo ha indossato per il suo compleanno due anni fa. Oggi invece è il mio, di compleanno, e io ci tenevo tantissi-mo a sentirmi carina. Sono una delle poche bambine del quartie-re che lo festeggia, perché a mia madre non sembra vero di avere un’occasione per poter fare una torta.

Mentre mi pettina i capelli, tirandomeli all’indietro con una spazzola per farmi la coda, penso che prima o poi le rimarran-no tutti in mano per quanto li tira. Per questo ogni mattina pri-ma di andare a scuola cerco di sfuggirle e lei mi insegue per tutta casa fino a che non suona Ayhan e io esco al volo, spettinata. Lei però non si arrende. Si affaccia alla finestra brandendo la spazzo-la allo stesso modo del matterello che usa per minacciarmi quan-do faccio qualcosa che non va, e mi urla di tornare indietro: «Sa-neeeeem, dove vai con quei capelli?».

Io faccio finta di non sentirla e con Ayhan accelero il passo in direzione della scuola, che è a pochi isolati da casa mia.

«Buongiorno papà» dico passando davanti alla porta del-la bottega dove mio padre e quello di Ayhan stazionano sem-pre per chiacchierare e sorseggiare del tè. Ogni mattina mi fer-mo lì con la mia amica del cuore e lui ci regala un panino dolce

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appena arrivato dal forno vicino. Mentre mi abbraccia per sa-lutarmi, spesso mi sussurra: «Anche stamattina sei riuscita a sfuggire a tua madre? Hai i capelli che somigliano a un cespu-glio di more».

Io sorrido e so che lui mi comprende anche se ogni sera, pur di dar ragione a mia madre che si lagna della mia trasandatez-za, finge di arrabbiarsi e mi dice: «Se domani non ti fai pettina-re, non passare da me a prendere il panino!». Però poi fa mi l’oc-chiolino e capisco che non dice sul serio.

Dunque, il mio vestito azzurro. Non mi piace, ma come seconda figlia sono destinata a portare tutti gli abiti di mia sorella Leyla. Andrebbe anche bene, se lei non fosse più alta di me e non avesse gusti completamente opposti ai miei. Vestitini, rouches, fiocchi, colori tenui. Ma perché deve vestirsi così? Adoro quando posso invece mettermi un paio di pantaloni e una maglietta ed essere li-bera di giocare per il quartiere insieme ad Ayhan, che avendo un fratello maschio ha la fortuna di indossare tutto quello che le piace.

Oggi sono circondata da tutti i miei amici. C’è Osman, il fra-tello di Ayhan, Muzaffer, il ragazzino più strano del quartiere che ho soprannominato Zebercet, mia sorella Leyla con la solita espressione da principessa acida, Ayhan, la mia amica del cuore, e qualche altro compagno di classe tra cui Cahide, che è la mia compagna di banco anche se con lei non è che vada proprio d’ac-cordo. Però mia madre tiene alle formalità e lei è la figlia della più chiacchierona del quartiere. È arrivata solo da un paio di anni, ma ci è voluto poco perché lei e la sua famiglia diventassero i più antipatici e insopportabili.

«Sanem, vuoi che tutti ci parlino dietro?»«No, mamma, ma io non la sopporto.»«È la tua compagna di banco? Allora verrà alla tua festa. E vedi

di mettere il vestito azzurro, quello che stava tanto bene a Leyla.» “Ecco, appunto” penso “a Leyla, non a me.”

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Zurigo (2004)

«Mamma, perché stiamo tornando a Istanbul?» la voce di Emre è piena di aspettativa, mentre sale insieme a Hüma la scaletta dell’aereo che li sta riportando a casa. Lo atten-dono due ore e cinquantatré minuti esatti di volo, che ha diligentemente impostato sul nuovo cronografo che lei gli ha comprato a Zurigo. A tredici anni, non è più il bambino che era partito con la mamma anni prima, lasciando il fra-tello e il papà. Ora è un ragazzino biondo con gli occhi az-zurri, colori rari in Turchia ma molto comuni in Svizzera, dove di giovani come lui ce ne sono a bizzeffe.

Ha sentimenti contrastanti rispetto a questo ritorno. Da una parte lasciare i suoi amici è molto doloroso, dall’al-tra sente la mancanza di Can e la protezione che suo fra-tello, pur così diverso da lui, gli dava. Pensa anche a suo padre e un senso di imbarazzo lo colpisce, come se sua madre, seduta al suo fianco con in mano un bicchiere di scotch, potesse leggergli i pensieri e restarne delusa. Lui ama suo padre, ma quello che Hüma gli ha raccontato du-rante tutto quel tempo lontano da casa gli ha confuso idee e sentimenti.

«Tuo padre ti vuole bene, ma è più interessato a Can. Ecco perché ti ha lasciato con me.»

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Quella frase, ripetuta mille volte, gli si era cementata nel-la mente ma aveva faticato a farsi spazio nel cuore. Gli pia-ceva pensare che Aziz fosse orgoglioso di lui, di quel figlio che studia in Svizzera e che ha quasi dimenticato come si parla in turco, ma che ora, poco più che un ragazzo, cono-sce correttamente altre due lingue. Adora immaginare che quella lontananza sia stata un tormento anche per suo pa-dre e che, non appena si fossero rivisti, quella lunga sepa-razione sarebbe diventata solo un brutto ricordo.

Provava nostalgia per la Turchia, nonostante l’avesse la-sciata quando era troppo piccolo per comprendere appie-no cosa significasse quella terra per lui. Anche se non ri-cordava bene la lingua aveva però vividi ricordi di alcuni sapori e odori inconfondibili, che custodiva gelosamente nella memoria nonostante fossero stati pian piano sostitui-ti dai piatti elaborati e dai profumi costosi che aveva tro-vato a Zurigo.

Adesso è quello che si può definire un giovane promet-tente rampollo della società europea. Non sfigurerebbe in Inghilterra o in Italia, anche se a un piatto di sushi o a uno di pasta preferisce le köfte che gli preparava la tata a Istanbul. Un ricordo lontano ma vividissimo, così come quello del-le carezze di Aziz e dei giochi con Can.

«Non trovo giusto che suo fratello prenda in mano l’azien-da di famiglia» aveva sentito la madre confessare di nascosto a un’amica. Quella frase, un tarlo che picchiava forte sotto le perfette acconciature, a quanto pare era diventata un vero e proprio scopo da perseguire visto che stavano tornando: si-curamente per riconquistare il terreno perduto.

Quando il cronografo gli ricorda che sono passate due ore e quaranta minuti dalla partenza, la voce del comandan-te richiama puntuale l’attenzione dei passeggeri: «Signore e signori, tra qualche minuto atterreremo all’aeroporto di Istanbul. Siete pregati di allacciare le cinture di sicurezza e riporre il tavolino in posizione verticale di fronte a voi».

Hüma posa il bicchiere, in cui restano solo poche goc-ce del liquore che aveva sorseggiato per tutto il tempo, si

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lecca le labbra e guarda Emre scompigliandogli affettuo-samente i capelli: «Tesoro ci siamo; andiamo a riprenderci ciò che ti appartiene».

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Stavo cercando te, il prequel di DayDreamer

Le Ali del Sogno, dal

27 aprile in libreria

e sugli store online

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