The Wheel of Time Chain Novel - capitolo 2
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Transcript of The Wheel of Time Chain Novel - capitolo 2
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Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i
Camminatori dei Sogni.
Lʹispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla
quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia in continua evoluzione, nuovi giocatori portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovr affrontare
un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.
«Che accidenti ha quella da fissare?» biascicò Mab, guardando un punto alle spalle di Hysaac. Dopo essersi accomodati nellʹultima
stanza che avrebbero condiviso, i ragazzi erano scesi per la cena e poi si erano intrattenuti nellʹampia sala comune della locanda
per rilassare i nervi, cosa di cui Mab soprattutto aveva disperato bisogno. Probabilmente per questo aveva mandato giù qualche
bicchiere di troppo, era finalmente tornata a parlare dopo quanto era accaduto quel giorno, ma adesso era decisamente ubriaca.
Anche Hysaac aveva alzato un poʹ il gomito, ma era riuscito a non farsi coinvolgere in tutti i giri dʹalcol che lei gli aveva proposto,
quindi anche se non era del tutto sobrio, manteneva ancora una discreta lucidità. A quelle parole si era girato seguendo lo sguardo
di Mab: ad un tavolo erano seduti cinque Manti Bianchi, quattro uomini e una donna, la quale stava palesemente fissando la sua
compagna. Il ragazzo si girò nuovamente verso di lei, le prese lʹennesimo bicchiere di mano, per la verità quasi già finito e disse
«Eʹ meglio se ce ne andiamo»
Quindi si alzò, fece il giro del tavolo e prendendola per le mani, lʹaiutò ad alzarsi dalla panca
«Che fai? Ce la faccio benissimo da sola» protestò lei, che appena si liberò dal sostegno, incespicò sulle proprie gambe e fu di nuovo
afferrata da lui prima di cadere in avanti. Mentre lei sbuffava ammettendo di aver bisogno di aiuto, Hysaac divertito la scortò fino
in camera. La bella donna bionda, la Figlia della Luce, non aveva smesso per un solo istante di tenerle addosso gli occhi gelidi
mentre attraversavano la sala.
Appena in camera, Mab si trascinò fino al primo letto e ci si lasciò cadere sopra a peso morto, pancia in basso, braccia spalancate e
le gambe che pendevano di lato.
«Ti fidi se sto di spalle?» disse il ragazzo girandosi a contemplare la porta, mentre aspettava che lei si svestisse. Non udendo alcun
rumore, si girò: Mab era ancora nella stessa posizione.
«Mab?»
e poi le si avvicinò. Scuotendole una spalla ripetutamente lʹaveva fatta mugugnare
«Che vuoi? Lasciami dormire»
«Non puoi dormire così. Dai, tirati su almeno»
Lʹaiutò a sistemarsi un poʹ più decentemente sul letto, le sfilò gli stivali quando già si era riaddormentata, dopo di che si fermò a
lungo a riflettere sullʹipotesi di toglierle i vestiti. Infine prese una coperta e gliela mise addosso: se si fosse svegliata mentre le
slacciava anche solo la giubba, avrebbe potuto ucciderlo e non per modo di dire. Aveva sinceramente paura di lei, da una parte,
dallʹaltra beh...
«Mh... grazie» farfugliò lei, senza nemmeno aprire gli occhi.
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Sembrava così indifesa lì in quel momento, era così bella.
«Di nulla, buonanotte».
Nonostante un poʹ di mal di testa, si era svegliato presto ed era subito uscito per andare in banca, dove aveva ritirato il denaro da
dare a Mab. Ora se ne stava seduto su una piccola poltrona in un angolo della stanza, un gomito sul bracciolo e la mano a pugno
piantata contro una guancia per sostenersi la testa, qualche spiraglio di luce passava attraverso le ante della finestra quel tanto che
gli bastava per poter vedere la ragazza, che ancora dormiva. Non sapeva nulla di lei, era anche onestamente spaventato dalla vita
che pareva condurre, eppure allʹidea di lasciarla andar via si sentiva male. Continuava a guardarla già da diversi minuti,
chiedendosi come aveva potuto non capire subito che era una donna: i capelli corvini avevano si un assurdo taglio pari che
scendeva di poco sotto le orecchie, ora le coprivano in modo scompigliato una guancia, nascondendo parzialmente quei suoi occhi
strani, neri e misteriosi come la notte e quel grazioso neo vicino allʹangolo sinistro della bocca, ma i suoi lineamenti erano così dolci
che più lʹosservava più si sentiva stupido per aver creduto per un paio di giorni alla bugia che gli aveva raccontato.
Aveva una tale confusione per la testa: si aspettava che la sua vita sarebbe cambiata una volta abbandonata Kiendger, ma certo
non poteva immaginare che in soli cinque giorni avrebbe avuto a che fare con unʹincanalatrice in persona, avrebbe scoperto sulla
propria pelle che i trolloc non erano creature inventate per spaventare i bambini, avrebbe assistito allʹomicidio di un Manto Bianco
e ne sarebbe stato indirettamente complice. No, questo davvero non se lʹera minimamente immaginato. Ancora stentava a credere
che fosse successo davvero e che il dolce viso che ora stava guardando appartenesse alla responsabile di quasi tutto ciò. In realtà
una parte di lui ammetteva in tutta onestà di non riuscire a rendersene conto, anzi di non volerlo proprio accettare. La cosa che
più lo impressionava è che lei invece sembrava aver affrontato tutto con la fredda naturalezza di qualcuno tutto sommato
abituato a quel genere di cose, questo lo spaventava e lo confondeva sopra ogni altra cosa. Da quello che era accaduto il giorno
prima e da alcune mezze frasi che lei aveva detto mentre si ostinava a tenergli nascosto praticamente tutto, aveva capito che
doveva essere strettamente invischiata nei traffici dei Manti Bianchi, per necessità più che per altro. Non credeva fosse una persona
malvagia, anzi, ma apparteneva ad un mondo così distante dal suo da non poterlo concepire e dire che probabilmente lei era di
poco più grande di lui, ma sembrava esserci un abisso che li poneva su due dimensioni lontanissime per quello che lei doveva aver
già vissuto alla sua giovane età.
Mab si mosse, aprì un occhio, lo vide e scattò come un gatto impaurito, per poi rilassarsi subito dopo emettendo un lungo sospiro
appena realizzato che si trattava solo di lui. Mugugnò qualcosa che poteva essere un saluto, mentre si stropicciava gli occhi. Poco
dopo si prese la testa tra le mani emettendo un pietoso lamento e rimase così per qualche minuto, finchè si alzò e si diresse verso il
bacile per immergere la faccia nellʹacqua fredda. Appena si fu asciugata, prese un lungo respiro, si girò verso Hysaac con
unʹespressione che non mostrava emozioni particolari e disse
«Eʹ meglio che io parta subito» e si mise a raccogliere le sue cose.
Il ragazzo era sconcertato, non poteva liquidarlo così come se niente fosse!
«Resta qui» era ancora seduto sulla poltrona, schiena rigida contro il velluto e le mani che stringevano i braccioli.
Mab tornò a guardarlo per un attimo solo accigliata, ma non smise di preparare il proprio bagaglio.
«Davvero Mab, non voglio che tu te ne vada»
«Sei un tesoro Hysaac, ma non è che lo posso scegliere. Questa la posso prendere io?» disse mentre provava la cuffia di lana che gli
aveva fatto sua madre. Hysaac allora si alzò, le tolse il copricapo dalla testa e il sacco che stava riempiendo dalle mani. Svettava
sopra di lei, non che lei fosse bassa, per essere una donna era nella media, era lui che era molto alto. Sperava che almeno quello gli
avrebbe conferito un minimo di autorità.
«Prendimi sul serio una volta tanto: non posso pensare che continuerai a vivere in quel modo.»
Mab si riprese il suo bagaglio seccata
«Ripeto, non è una cosa che posso scegliere: io devo andare»
«Lʹaltro giorno se non ci fossi stato io, chi ti avrebbe aiutata con la ferita? Non posso permettere che tu continui ad affrontare tutto
questo da sola!»
«Se non ci fossi stato tu, me la sarei cavata alla meno peggio come ho sempre fatto e ti posso assicurare che ho passato momenti
anche peggiori. Hysaac per favore, non rendere le cose più difficili»
«Allora verrò con te!”»
Mab si mise a ridere
«Non dire cose a cui non credi nemmeno tu»
Era vero, non credeva di volerla davvero seguire, sangue e ceneri, non sapeva nemmeno dove! Però sentiva di dover far qualcosa
per stare ancora con lei o non se lo sarebbe perdonato.
«Almeno rimani qualche giorno, il tempo di guarire del tutto» il tono era di patetica supplica, se ne rendeva miseramente conto.
Mab allungò una mano per poggiargliela su una guancia
«Basta Krooche, questo è un addio» le sue labbra sorridevano, gli occhi no
«Krooche?»
«No, niente scusa, gli effetti dellʹalcol»
Sembrava stupita di quel che aveva detto. Hysaac ricordava di aver letto su un libro di filosofia che certi errori avevano significati
reconditi, in particolare chiamare una persona col nome di unʹaltra poteva essere facilmente riconducibile a desideri inespressi.
«Chi è? Conosco un ufficiale maggiore dei Figli con quel nome»
«Eʹ solo un errore, ho bevuto troppo ieri sera. Smettila!» rispose secca. Aveva ripreso energicamente a mettere le sue cose nel sacco
e sembrava non ammettere repliche sullʹargomento, non cʹera più nulla da fare.
Lui abbassò la testa e si lasciò cadere a sedere in fondo ad uno dei letti
«Quel sacchetto è per te» e gli indicò il sacchetto di monete. Lei lo prese, mise qualche moneta nel borsellino che legò in cintura,
altre le infilò sotto la camicia e unʹaltra parte ancora la mise nel bagaglio. Si lisciò un poʹ gli abiti sgualciti su cui aveva dormito, si
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passò la soda sui denti e si spazzolò i capelli. In fretta indossò stivali e mantello, raccolse le sue cose e gli si avvicinò
«Mi dispiace averti coinvolto in tutto questo, dimenticati del mio nome e anche di quello che hai sentito pronunciare dallʹuomo di
ieri, però mi dispiacerebbe se ti dimenticassi di me»
e detto questo si chinò su di lui, gli passò una mano su una guancia fino a fargli scorrere le dita tra i capelli e lo baciò.
Con il cuore che gli martellava in petto e le idee che gli turbinavano in testa, stava ancora cercando qualcosa, una qualsiasi cosa da
dire, quando realizzò che la porta si era già richiusa per sempre alle spalle di Mab.
Sangue e morte colmavano la valle. Uomini e donne ingaggiavano battaglia contro centinaia di creature deformi. Il fuoco
scaturiva dalle loro mani, le spade saettavano senza sosta. Figure dalle sembianze umane si muovevano come ombre silenziose,
quasi immuni al tocco delle lame.
Due uomini si trovavano al centro di quel tumulto, schiena contro schiena, fronteggiando quegli esseri senza volto.
La lama nera del Myrddraal si scontrò con quella marchiata con l’airone: un forte clangore riempì l’aria e scintille sprizzarono
ovunque. Sinuosa come un serpente la creatura attaccava con rapidità, passando da un movimento all’altro con sorprendente
eleganza, ma l’uomo riuscì ad avere la meglio su di essa e con un violento fendente gli staccò la testa.
Il giovane alle sue spalle combatteva con altrettanto ardore la creatura che aveva di fronte: fendente dopo fendente le spade si
scontrarono ripetutamente finché il ragazzo non trafisse il nemico.
I capelli castani al vento, il viso spossato, il giovane si voltò per raggiungere il compagno, ignaro del Myrddraal ancora vivo alle
sue spalle che calava implacabile su di lui la lama nera...
«No!» gridò Merian tirandosi su di scatto a sedere.
Brienne si svegliò immediatamente e due coltelli comparvero nelle sue mani.
«Che succede?» chiese alla ragazza distesa accanto a lei.
Respirando con affanno e sudando copiosamente, gli occhi sbarrati per il terrore che brillavano nella notte, Merian afferrò una
mano della donna – il coltello sparì all’istante nella manica ‐ e sussurrò in preda all’ansia:
«Il ragazzo, lui è...» Lasciò la frase a metà, troppo scossa per continuare.
Brienne ripose anche l’altro coltello al sicuro nella sua manica, si guardò intorno con circospezione e, avvedendosi che nessuno era
sveglio, allungò una mano verso la ragazza accarezzandole i capelli come per rassicurarla.
«Non è nulla Merian, è stato solo un brutto sogno. Respira profondamente e cerca di calmarti, va tutto bene.»
Dette da lei quelle parole di conforto suonavano strane, nulla che non fosse brusco usciva mai dalla bocca della donna, ma Merian
sconvolta com’era sul momento non vi fece caso.
«Non era solo un sogno, Brienne. Lo sai di che parlo.» Rabbrividì, e accortasi solo allora di stringere ancora la mano dell’altra
allentò la presa, senza tuttavia abbandonare del tutto il contatto.
«L’uomo, quello dagli strani occhi, era insieme al giovane e combattevano schiena contro schiena due creature...» Fece una smorfia
prima di continuare. «Erano orribili. Non ho mai visto nulla di simile. Potevo avvertire il terrore emanare da quelle... cose e il
volto era pallido e privo di occhi. Privo di occhi, ti rendi conto?» Adesso stringeva con forza entrambe le mani di Brienne, ma la
donna non si scostò e ricambiò la stretta facendole un sorriso rincuorante. Un sorriso! Da Brienne! Forse stava ancora sognando, si
disse Merian, improvvisamente consapevole del comportamento dell’altra donna.
Scacciò dalla sua testa Brienne ‐ non aveva tempo per questo adesso ‐ e continuò:
«Il secondo Myrddraal, lui… lei, non so cosa accidenti sia, per la Luce! Stava per uccidere il ragazzo quando mi sono svegliata. Ho
visto la sua lama che scendeva per colpire alle spalle ma non so cosa sia successo dopo.»
Brienne sospirò sollevata e lasciò andare la presa.
«Se non hai visto uccidere il ragazzo allora non puoi sapere con certezza che sia morto. Ti sei svegliata prima che la spada lo
colpisse, giusto? E se l’altro uomo lo avesse salvato? Tu stessa hai detto che è un grande combattente, ha ucciso decine di nemici e
persino uno di quegli esseri a sangue freddo!» Parlava cercando di infondere sicurezza alle sue parole, ma sembrava volesse
convincere più se stessa che Merian.
«Hai detto che doveva sbrigarsi a fare qualcosa di importante e lo hai visto insieme al ragazzo, forse era questo che doveva fare:
salvarlo. Sono sicura che ci sia riuscito. Ricorda che lui potrebbe essere il Drago Rinato, credi davvero che non sia stato in grado di
difendere un ragazzo dopo quello che ha fatto?» Adesso credeva davvero in quello che diceva e Merian si rilassò e abbozzò un
sorriso.
«Forse hai ragione Brienne. Se quell’uomo è davvero il Drago Rinato sarà stato di sicuro in grado di difendere il ragazzo. E’ solo
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che...» Si strinse nelle spalle, a disagio, scostandosi da Brienne che attendeva immobile come una statua senza dire una parola.
«Questi sogni mi lasciano in bocca un sapore amaro, è difficile conviverci. Tutto quello che vedo non è mai piacevole e non posso
fare nulla per cambiare gli avvenimenti. Sogno cose che nemmeno capisco ma che stranamente conosco...» Sospirò. «A volte
vorrei solo essere una persona normale, niente sogni e niente...Potere.» Fece una smorfia amara e si volse per sdraiarsi di nuovo,
ma Brienne la prese per una spalla per farla girare.
«Il tuo è un dono Merian, non pensarlo mai come qualcosa di diverso.»
La ragazza alzò lo sguardo verso l’altra donna, sorpresa per la sua gentilezza, ma c’era sarcasmo nella voce quando le rispose:
«Un dono dici? Hai visto a cosa mi ha portato. Siamo persone pericolose, dobbiamo essere controllate, tenute lontane dagli altri e
in luoghi che ci garantiscano il distacco dall’Ombra, come quello in cui vivevo fino a poco tempo fa.» Disse con una nota di
tristezza.
«Vuoi davvero farmi credere che per te quel posto era come una casa? Non essere ipocrita ti prego.
I Manti Bianchi rendono schiave le persone che hanno a che fare con il Potere, ed è questo che hanno fatto di te, una schiava,
qualsiasi cosa tu voglia raccontare a te stessa.»
La gentilezza era svanita, anche se sussurrare rendeva le parole della donna meno dure del solito.
«Mi hanno dato una casa quando nessun altro voleva o poteva darmela. Cosa avrei dovuto fare? Il minimo che potessi rendere
loro era la mia assoluta devozione. Non sono pentita della mia scelta, il mio è un dono pericoloso Brienne, non sai cosa la gente
come noi è capace di fare.»
«Non esistono doni buoni o pericolosi Merian. Sono le persone a fare la differenza, attraverso i loro intenti e le loro azioni. Siamo
noi a decidere chi vogliamo essere.» Fece una pausa per guardarsi intorno e poi aggiunse in tono perentorio:
«Vieni con me.»
Si alzò e si diresse verso gli alberi che delimitavano la piccola radura nella quale si erano accampati quella notte. Avevano
cavalcato per quasi tutto il giorno cercando di mantenere un’andatura costante che li portasse il più lontano possibile dalla città.
Rohedric non aveva ancora detto quale fosse la loro meta, solo che si trovava molto a nord tra le montagne, e che se volevano
arrivarci sani e salvi avrebbero dovuto allungare il percorso evitando la strada, per cui si erano diretti a nord‐ovest e si erano
inoltrati nei boschi che circondavano le grandi città dei Manti Bianchi poste sulla Via Occidentale.
Il terreno accidentato e la copertura degli alberi che lasciava filtrare poca luce non avevano permesso loro di avanzare
speditamente, ma almeno erano al sicuro e Rohedric contava comunque di arrivare a destinazione ‐ qualunque essa fosse ‐ in una
settimana al massimo.
Merian si alzò senza fare domande e seguì l’altra donna fino al breve corso d’acqua appena entro i margini della boscaglia.
Brienne si sedette su un masso e indicò a Merian di fare lo stesso prima di cominciare a parlare.
«Che cosa sai del tuo potere ragazza?»
Merian la guardò con circospezione: si sentiva confusa dal comportamento di Brienne, le sembrava quasi che l’altra donna
nascondesse qualcosa, ma era per natura curiosa e voleva arrivare a fondo di tutte le cose, buone o cattive che fossero.
«Non ne so molto a dire il vero. Da quando i miei genitori hanno scoperto che potevo incanalare mi hanno mandato a Ishamera e
non conosco altro che la mia vita all’interno di quelle mura. Vivere in uno stedding mi ha permesso di allontanarmi dalla
tentazione e nella mia mente è rimasto solo un vago ricordo di quello che potevo fare. Adesso che sono fuori dalla città è come se
qualcosa si facesse strada in me, qualcosa che spinge per prendere possesso delle mie facoltà. Se è questo il Potere, mi spaventa
Brienne.»
L’altra donna la guardò per un lungo momento, cercando con cura le parole, prima di parlare.
«Tutto ciò che conosciamo al mondo è governato dall’Unico Potere, Merian.
Quando incanali accedi a quella che viene chiamata la Vera Fonte, più precisamente alla sua parte femminile, saidar. La sua forza
può essere travolgente e devi imparare a controllarla, ma quando lo fai, oh Merian, che sensazioni straordinarie potrai provera!»
Brienne sorrideva rapita, come se vedesse quella meraviglia con i suoi occhi in quell’istante.
«Come fai a sapere queste cose?» chiese Merian stupita. «Sei un’Incanalatrice? No, non può essere, tu...»
Brienne si riscosse e osservò l’altra donna aggrottando la fronte, poi si alzò e le diede le spalle.
«Mia madre lo era. Mi ha istruito su tutto quanto c’era da sapere sul Potere prevedendo che un giorno la scintilla sarebbe
comparsa in me. Aveva una grave malattia, ed essendo l’unica persona della comunità a sapere incanalare, non voleva rischiare di
lasciare sua figlia senza un’adeguata preparazione quando se ne sarebbe andata. Avevo dieci anni quando successe.» Emise un
sospiro tremante e Merian pensò che stesse piangendo; mosse le labbra per cercare parole di conforto, ma Brienne continuò:
«Si sbagliava. La scintilla non è mai comparsa, sebbene a lungo l’abbia desiderata.» Si girò di scatto e la voce divenne
all’improvviso dura.
«Mia madre era una brava donna, guariva le persone grazie a ciò che il Creatore le aveva donato, non puoi dire che questo sia
frutto dell’Ombra.»
Merian era disorientata, sembrava che qualcosa di solido l’avesse colpita, non sapeva cosa dire:
una confidenza così intima era l’ultima cosa che si aspettava da parte di Brienne.
Provò un moto di affetto nei suoi confronti, forse dopotutto quella donna severa e rude non era poi così male. Sentì che poteva
fidarsi e che quanto le aveva detto era la pura verità, almeno agli occhi di Brienne, e le rispose con sincerità:
«Non metto in dubbio le buone azioni di tua madre Brienne e mi dispiace che tu debba essertene separata così presto, hai tutta la
mia comprensione.»
Brienne sembrava altrettanto sorpresa dalla reazione dell’altra, a giudicare dall’espressione del suo viso, e mosse leggermente il
labbro in quello che doveva essere un sorriso.
«Se vuoi posso aiutarti a controllarlo,» disse dopo un momento, non c’era bisogno di specificare a cosa si riferisse. «Purtroppo non
posso darti altro che le indicazioni che mia madre diede a me, spero saranno sufficienti.» Senza attendere una risposta si sedette a
gambe incrociate di fronte Merian e le prese le mani.
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«Chiudi gli occhi e svuota la tua mente da ogni pensiero. Mia madre mi diceva sempre di quanto questo fosse difficile all’inizio,
ma con il tempo ti verrà naturale come respirare. Ricorda che prima di poter controllare il Potere devi abbandonarti ad esso.»
Merian annuì, incrociò le gambe a sua volta e chiuse gli occhi.
«Ora immagina un bocciolo di un fiore, i petali, le foglie, il suo odore...ogni dettaglio. Immagina di essere il bocciolo stesso, un
bellissimo fiore che si schiude alla vita.»
Un bocciolo che si schiude, pensò Merian concentrata.
Un bocciolo… una margherita, un giardino, un giorno di sole su un campo fiorito, camminare all’ombra degli alberi, passeggiare
mano nella mano con Mat... oh le sue dolci labbra, il suo caldo sorriso, i baci appassionati...
«Merian!» la sgridò Brienne. «A che accidenti stai pensando?»
La ragazza aprì gli occhi di scatto e arrossì quando si rese conto che stava sogghignando come una stupida ragazzina: la sua mente
aveva cominciato a vagare per luoghi che era meglio non prendere, non in compagnia di altre persone almeno!
«Scusami Brienne,» disse con imbarazzo «mi sono distratta.»
«A chi stavi pensando?» le chiese l’altra con un sorriso malizioso. «Non pensare di ingannarmi, so bene che espressione ha una
donna quando pensa a un uomo.»
Merian storse le labbra aggrottando le sopracciglia e chiuse gli occhi riprendendo l’esercizio, ignorandola deliberatamente. Sentì
Brienne ridacchiare.
Questa volta riuscì a mettere da parte Mat, sebbene con riluttanza, e un bocciolo si aprì pian piano dentro di lei, verso una luce,
divenendo un tutt’uno con essa. Si abbandonò completamente alla luce, sentendola scorrere dentro di sé, avvertendo il Potere
avvolgerla come l’abbraccio di un uomo, l’abbraccio di Mat... e inevitabilmente perse il controllo di nuovo: luce e fiore
scomparvero insieme a saidar.
Provò e riprovò per quella che sembrò un’eternità ‐ era davvero difficile concentrarsi, qualsiasi cosa pensasse l’associava a lui ‐ ma
infine riuscì ad attirare a sé quella forza e a controllarla abbastanza a lungo da incanalarla in un flusso che formò una piccola
fiammella azzurra. Sorrise deliziata mentre la teneva alta sul palmo della sua mano guardandola con orgoglio: era qualcosa che
veniva da lei, creata da lei! Brienne la osservava in silenzio, un lieve riso sulle labbra e un velo di tristezza negli occhi.
Quando la fiamma si spense si alzarono all’unisono scambiandosi sguardi compiaciuti che non avevano bisogno di parole. Mentre
si dirigevano verso il campo ancora avvolto dal sonno, Merian si sentiva il cuore più leggero: il Potere la intimoriva ancora, ma
adesso conosceva un modo per controllarlo e questo la rendeva infinitamente più sollevata. Aveva anche pensato per un momento
che tra lei e Brienne sarebbe potuta nascere un’amicizia, ma si dovette ricredere quando l’altra parlò.
«Prova anche solo ad accennare a quanto accaduto stanotte e pregherai il Creatore che ti trovino i Trolloc!» Le disse poco prima di
entrare nella radura.
La Brienne di sempre era ritornata.
Era il crepuscolo quando Norah giunse a casa, stanca ed assonnata dopo una giornata trascorsa in città a fare pratica di
Guarigione. Aprendo la porta, la ragazza anticipava con trepidazione l’aroma della cena pronta che probabilmente l’attendeva in
cucina: la pratica del Potere le suscitava sempre un appetito vorace. Con disappunto, però, si rese conto che l’unico odore che
proveniva dall’interno era quello acre del fumo, causato da un camino che non tirava più a dovere. Dimion era seduto accanto al
focolare, lo sguardo perso nel vuoto ed un espressione preoccupata in volto. In piedi alle spalle del padre, Julian fu il primo a
girarsi verso di lei, sorridendole; era però un sorriso tirato e gli occhi del ragazzo mostravano anch’essi una certa inquietudine.
Così adesso lo sa anche Dimion, si disse Norah, rassegnata. Troppo esausta e nervosa per salutare, si andò ad accomodare nella
poltrona libera, di fronte ai due uomini.
«Norah, ragazza mia, sembri stremata!», le disse Dimion dopo averla squadrata. Lei però non rispose: non ne vedeva il motivo.
Perchè perdere tempo a spiegare quando evidentemente Julian gli ha già raccontato tutto? Non potrebbe risparmiarmi la vergogna e
l’imbarazzo? Norah non aveva mai pensato seriamente di potere nascondere il proprio disagio a Dimion, colui che aveva da
sempre considerato un padre, colui che continuava a vegliare su di lei e su Julian nonostante il loro desiderio di indipendenza, e
colui che riusciva ancora a leggerle nell’animo nonostante il bisogno di intimità e riservatezza di tutte le ragazze in età
adolescenziale. Egli doveva ormai sapere che la stanchezza che Norah mostrava in viso non era solamente dovuta ai propri studi,
per quanto duri ed estenuanti potessero essere. Julian avrebbe dovuto tenere il segreto degli incubi per sè: con lui Norah non si
vergognava del fatto che in un angolo nascosto della propria mente si annidasse un incomprensibile richiamo per cose oscure. Ma
con Dimion sarebbe stato diverso. L’uomo era premuroso, comprensivo e delicato quanto suo figlio, eppure Norah sapeva che di
fronte a lui avrebbe provato imbarazzo nel mettere a nudo i propri sogni e le proprie paure.
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Dimion la osservò attentamente: il suo sguardo indagatore non aveva perso, con gli anni, la minima traccia d’intensità. L’esperto
Guaritore dei Nad’al sembrava insensibile all’invecchiamento, così come tutti gli incanalatori, anzi probabilmente ancor più di
altri, grazie alle sue conoscenze mediche. Quando Dimion finalmente aprì bocca, Norah era pronta ad un interrogatorio, ma si
sbagliava. «Cʹè una cosa importante che ti dobbiamo dire. Ecco, è... una storia. Una storia che ti riguarda da vicino e che io e
Julian avremmo dovuto raccontarti tanti anni fa, ma mio figlio ha sempre temuto che ti potesse spaventare.». Norah alzò lo
sguardo incrociando quello di Julian, ma il ragazzo si voltò di scatto verso il focolare.
«E onestamente anch’io avevo sperato, per un certo tempo, che i fantasmi del passato se ne fossero andati per sempre. Adesso,
però...», riprese Dimion con voce improvvisamente roca, «Posso vedere chiaramente che la Ruota ha ripreso a ordire quella trama
nel Disegno che ci unisce: noi tre, il popolo dei Nad’al... forse tutti gli uomini. Sei grande abbastanza per affrontare il tuo destino,
Norah; è giunto il momento di raccontarti tutto dal principio. Julian, per favore, dille cosa ricordi di quella notte.». Chiamato in
causa, il giovane sembrò stranamente a disagio: Norah, abituata a vederlo deciso e sicuro di sè, si stupì dell’incertezza sul suo
volto. Dopo un attimo, tuttavia, senza staccare gli occhi dal fuoco del caminetto, Julian cominciò lentamente a narrare...
La neve cadeva a fiocchi, facendo da sfondo a una notte gelida ma splendente. Era incredibile come così in alto sulle montagne il
cielo sembrasse incombere, con le sue migliaia di luci stellari. Julian si divertiva a osservare le stelle e a disegnare con quei puntini
luminosi forme di tutti i tipi, al sicuro dalla neve sotto il tetto spiovente del portico di casa. Il silenzio era la colonna sonora perfetta
per una notte del genere. Entro pochi minuti suo padre l’avrebbe richiamato in casa, per evitare che si prendesse un raffreddore o
peggio; non aveva mai sopportato l’uso della Guarigione quando si poteva prevenire la malattia semplicemente col buonsenso. Ma
Julian quella notte voleva stare lì, da solo ad aspettare il suo ottavo compleanno.
Molti ritenevano strano che un bambino preferisse stare solo anziché giocare con gli altri bambini. Ma a Julian non importava, a
lui la solitudine piaceva: poter ponderare tranquillamente i suoi pensieri, senza prendere parte a stupidi giochi infantili, poter
passare tutto il giorno cacciando, imparando a seguire le tracce… ah quello si che era il vero divertimento! Certo, forse la sua
natura solitaria era dovuta anche al fatto che viveva fuori dalla città e che le possibilità di stare con gli altri bambini erano davvero
poche. A volte desiderava davvero qualcuno con cui passare del tempo…
Sospirando, si alzò a sedere e le assi di legno del portico scricchiolarono, infastidendo la serenità di quella notte, ma Julian non se
ne rese neanche conto perché il suo sguardo si era fermato, attonito, verso il limitare del bosco che circondava casa sua: nella
penombra spiccava, nera più che mai, una figura.
Migliaia di brividi gli attraversarono tutto il corpo e una lacrima gli rigò involontaria la guancia sinistra. Non riusciva a respirare,
immobile nel gelo, adesso, penetrante più che mai. Anche la figura nera era immobile, la sagoma di un uomo alto, totalmente
indefinibile all’ombra di uno dei Grandi Alberi, a parte due puntini luminosi che avevano inchiodato lo sguardo di Julian. Due
occhi gialli che gli avevano ghiacciato il sangue nelle vene. Il ragazzo non seppe mai definire con certezza quanto tempo durò
quella sensazione di puro terrore e le parole cominciassero nuovamente a formare dei concetti ragionevoli nella sua testa. In quel
momento, quasi contemporaneamente, gli affiorarono mille domande, accavallandosi.
Luce! E questo chi è? Come ha fatto a trovare il sentiero di questa casa?Quegli occhi gialli.. non possono essere umani! Devo chiamare
papà! No! E se mi muovo ed è un nemico? Ci metterei in pericolo tutti… Sangue e maledette ceneri! Che faccio?
Non trovava il coraggio di muoversi, né di trovare una soluzione. Se quello li fosse stato davvero un Manto Bianco sarebbe stata la
fine di tutto. Se i nemici dei Ribelli per eccellenza avessero davvero trovato la strada di Calavron tutti i Na’dal sarebbero stati
perduti. Ma i Manti Bianchi avevano gli occhi gialli? Le descrizioni che aveva letto su di loro non ne accennavano…
No, un momento. Quello li non può essere un Manto Bianco. I Manti Bianchi si muovono in massa, non hanno il coraggio di
avventurarsi nei Boschi della Sera da soli. Ma che mi è venuto in mente!
Cercando di respirare normalmente, di calmarsi, piano piano Julian raccolse le gambe e fece per alzarsi, convincendo se stesso che
forse lo sconosciuto era un viandante, qualcuno che voleva raggiungere la città e si era perso. Succedeva spesso che i viaggiatori
non riuscissero a trovare la strada per la segreta città dei Na’dal. La segretezza era tutto per i Ribelli, soprattutto per la Casata della
Guarigione.
Forse gli serve aiuto per curare quegli occhi gialli! Anche io sarei terrorizzato da me stesso se mi ritrovassi con occhi del genere…
Proprio mentre il ragazzo si alzava, però, un rumore strano gli raggiunse le orecchie: una specie di strappo, ma più acuto e, nel
silenzio della notte e con uno sconosciuto di fronte, non era per niente rassicurante. Con i sensi in allerta e, di nuovo, la paura
annodata nello stomaco, Julian sondò immediatamente tutto il limitare del bosco, per poi concentrarsi sulla figura ammantata di
nero e… Ma dove è finita?!
Stupito, iniziò a spaziare con lo sguardo tutto l’ambiente circostante, alla ricerca di uno scintillio giallo ma non vi era più segno
dello sconosciuto; facendosi coraggio scese i gradini del portico e, lasciando orme fresche sulla neve che continuava a cadere, si
avvicinò di un paio di passi al vicino bosco.
Scrutava in ogni direzione e cercava di auto convincersi della propria sanità mentale, quando la vide: sdraiata a occhi chiusi,
pallida quasi quanto la neve con cui veniva a contatto, vi era una bambina nuda.
Luce! Ma così morira! Se già non lo è…
Julian corse verso la piccola, a occhio e croce un paio d’anni più piccola di lui, e inginocchiandosi le tastò subito il polso. Batte
ancora ma è debole!
«Papà!!» urlò con quanto fiato aveva in gola «Papà corri c’è un bambina in fin di vita, presto!»
Alle prime urla il padre di Julian, Dimion, si precipitò fuori, arrancando nella neve per raggiungere il proprio figlio.
«Julian, stavo giusto per venirti a chiamare! Che è successo, figliolo?» disse mentre raggiungeva il bosco ma, senza attendere
risposta, appena vide la piccola, le toccò il petto e, imprecando, iniziò subito a muovere le mani su e giù, dal torace alla bocca della
bambina. Julian non poteva vedere i flussi del potere, ma sapeva che suo padre stava utilizzando Saidin per Guarire. I movimenti
convulsi delle mani di Dimion scandivano i battiti del cuore del figlio, gli occhi terrorizzati di Julian davano, invece, sprono al
padre. Dimion non si sarebbe mai permesso di fallire davanti a quegli occhi terrorizzati!
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I secondi sembravano ore, la fronte di entrambi era impregnata di sudore, la fatica dell’uno accompagnava l’ansia dell’altro e,
quando finalmente Dimion si accasciò accanto al corpo della bimba, tirando un sospiro di sollievo, Julian seppe che suo padre ce
l’aveva fatta. L’aveva guarita! Beh non a caso era uno dei migliori Guaritori della città!
«Prepara delle coperte in casa, Julian, la porto dentro…».
Il ragazzino non se lo fece ripetere e corse dentro casa, salì le piccole scale interne e aprì l’armadio del padre, prendendo due coperte
pesanti; poi si diresse nella sua camera, verso il suo armadio e prese qualche maglione e un paio di pantaloni Mica può rimanere
nuda! pensò, correndo poi al piano inferiore, dove vide il padre adagiare il piccolo corpo bianco della bimba sul piccolo divano del
salotto, accanto al fuoco.
Dopo averla vestita e coperta, il pallore candido della pelle era stato sostituito da un bel colore roseo e i capelli, che erano sembrati
neri poiché fradici, adesso stavano diventando castani. Julian si accertò anche che il corpo avesse la regolare temperatura, la
temperatura giusta affinché un corpo continui a vivere.
Adesso anche lui poteva tirare un sospiro di sollievo e, voltandosi verso il padre, era pronto a congratularsi con lui… quando gli
tornò in mente che cosa era successo pochi attimi prima di trovare la bambina e nella mente gli si stamparono lancinanti quasi da
far male, i due occhi gialli dello sconosciuto. Chiuse di scatto gli occhi, come per proteggere se stesso da quella visione, mentre
sembrava che migliaia di spilli incandescenti gli attraversassero per un attimo tutta la superficie del corpo.
«Che c’è, figliolo? Qualcosa non va?»
Non ottenendo nessuna risposta Dimion si avvicinò al figlio e, prendendolo per le spalle, lo costrinse a guardarlo negli occhi.
«Julian ma che hai? Sembri terrorizzato! Che cos’è successo?»
«Ah…» non sapeva che rispondere, anzi non era sicuro di saperlo fare.
Sai papà ho visto un uomo nero che mi fissava dal limitare del bosco con degli occhi gialli che mi hanno terrorizzato come mai in vita
mia. Poi è sparito nel nulla e al suo posto c’era lei. Certo, come no. Come minimo mi Sonderà finche non troverà la Macchia Nera nel
mio cervello. Quasi quasi ci faccio un pensierino. Chissà che non sia impazzito davvero…Dove è finito quell’essere???
«Ah… ma no papà sono soltanto un po’ scosso, tutto qui» disse per rassicurare Dimion, accompagnando le parole con un sorriso
tirato, molto tirato.
Dimion, forse, decise di credere alle parole del figlio poiché, accarezzandogli la testa, gli sorrise e gli assicurò che la bambina si
sarebbe rimessa presto.
«Certo però non ho capito come ha fatto a spuntare dal nulla una bambina tra i boschi… l’hai semplicemente trovata li?»
«Eh, beh.. si mi sono avvicinato al bosco e l’ho trovata distesa lì»
«Mmm… dovrò parlarne in città domani. Questo evento può significare tutto o nulla. Ma voglio essere tranquillo. È un periodo di
grande incertezza, cambiamenti, eventi improbabili che si verificano regolarmente… tutto come nelle scritture»
L’ultima parte era stata più un sussurro sinistro, come se Dimion stesse meditando fra sé… ma Julian non ci fece molto caso.
Ultimamente suo padre passava molto tempo in camera sua o nella biblioteca della città, quando si recavano li, a studiare e
contemplare antichi scritti, a mormorare fra sé, a parlare con qualche anziano pronto a perdere tempo. In un altro momento
Julian avrebbe chiesto a cosa si stesse riferendo Dimion con quelle parole, ma la sua mente, al momento, era occupata da un unico
pensiero: lo sconosciuto e a come accidente fosse riuscito a dissolversi così nel nulla.
Non sono pazzo. Io l’ho visto! Sangue ceneri devono esserci per forza delle tracce! Così scoprirò da dove è arrivato e dove si è cacciato!
«Padre, mi sa che ho perso il mio coltellino fuori; vado a vedere se riesco a trovarlo…»
«Ma Julian è tardi, domani lo cercheremo insieme prima di andare in città»
«Ma no ci sto un attimo! Vado e torno»
«Ah… va bene, ma fai presto. Ne ho avuto abbastanza oggi di bambini quasi congelati…».
Dimion stava sorridendo al ricordo rievocato dal racconto di Julian: «Mi ricordo di quel tuo coltellino... te lo regalammo che eri
ancora un bambino, lo conservi ancora?». Julian però non rispose: ora era lui ad osservare attentamente Norah, probabilmente
aspettandosi una reazione da parte della ragazza. Norah, da parte sua, non sapeva cosa pensare. Aveva sempre saputo, in cuor
suo, di non essere la figlia naturale di Dimion: questo era evidente perfino dal loro diverso aspetto fisico; in famiglia non se n’era
mai parlato, però, e Norah non aveva mai provato il desiderio di scoprire qualcosa di più. Da quando aveva ricordi, Dimion e
Julian erano sempre stati la sua famiglia e tra loro lei si era sempre sentita amata ed accettata. Aveva accettato il vuoto di memoria
che riguardava i primi anni della sua esistenza come una conseguenza di qualche evento scioccante che le doveva essere capitato
prima di essere adottata, ma senza esserne mai veramente turbata: in fondo qualsiasi cosa fosse successa in passato non
comprometteva la sua felicità attuale. Almeno finchè non erano incominciati i brutti sogni... E dunque Julian vide quegli occhi
gialli. Perchè non me l’ha detto subito quando gli ho parlato dei miei incubi? Norah si sentì tradita: il ragazzo avrebbe dovuto
confidarsi con lei come lei aveva fatto con lui.
Dimion improvvisamente ruppe il silenzio che si era creato chiedendo, a tutti e a nessuno: «Come fa una bambina a sbucare dal
nulla? E per di più quasi morta? E perché Julian era così terrorizzato? Sentivo che mio figlio mi stava nascondendo qualcosa, ma
non volevo turbarlo chiedendoglielo. Speravo che il giorno dopo le risposte srebbero arrivate dalla bambina stessa...». Per un
attimo ancora il crepitio del fuoco fu l’unico rumore nella stanza, poi Julian riprese da dove era stato interrotto.
Il bambino osservò il padre avvicinare la poltrona al fuoco e al divanetto che faceva da ricovero, probabilmente preparandosi a
passare la notte li, a fianco della vita che aveva appena salvato. Julian uscì di casa, eccitato e terrorizzato al tempo stesso.
Ultimamente diceva un po’ troppe bugie al padre. Si ripromise di non farlo più da quel momento in poi.
Avvicinandosi al bosco, acuì i sensi, come sempre quando cacciava, anche se adesso si trattava solo di cercare delle impronte e
sperando al tempo stesso di non incontrare mai più quegli occhi innaturali.
Luce, mi hanno a dir poco terrorizzato. Che strana serata però! Un losco individuo che sparisce e una bambina mezza morta al suo
posto! Luce!
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Arrivò col cuore martellante dove pochi minuti prima giaceva il corpo della bambina ed esaminò il terreno circostante alle orme
che lui e suo padre avevano lasciato. Nulla…
Forse la neve appena caduta le ha cancellate…peccato non ne sia caduta abbastanza, però.
Sospirò cercando di aguzzare ancora di più la vista, tastando il terreno con le mai: solo le radici del Grande Albero e l’erba. Girò
attorno al grosso tronco secolare, ma non vi era alcuna orma, né un accenno di traccia.
Lui era qui… proprio accanto al Grande Albero. Ma non ci sono orme da nessuna parte!
Frustrato ma sollevato, stava per abbandonare la ricerca e iniziare a farsene una ragione quando si accorse che una radice
dell’albero era tranciata di netto. E anche l’erba circostante…
Niente in natura può tagliare in modo così perfetto. E poi andiamo!?! Cosa è tanto potente da spezzare una radice come questa! È
enorme!
Attonito, si alzò in piedi e, guardandosi intorno un ultima volta, tornò a casa di corsa, perso in speculazioni degne del pazzo Key,
giù in città…
Alla fine ho più domande di prima!
Dentro vide suo padre seduto nella sua poltrona accanto alla bambina beatamente addormentata.
Spero che lei possa chiarire quello che è successo stasera altrimenti impazzisco
«Trovato il coltellino?», chiese Dimion.
«Sì sì, era poco lontano a dove abbiamo trovato lei..» lo informò con un altro sorriso di circostanza.
«Peccato! Poteva essere una scusa per regalartene uno nuovo» gli rispose scherzando il padre «E, a proposito... buon compleanno,
figliolo! È abbastanza tardi perché sia già domani. Otto anni… sarà un anno importante per te, potrai fare il test per l’ammissione
all’accademia dei Na’dal, iniziare a imparare».
Era vero… per questo aspettava con impazienza il suo ottavo compleanno. Era l’anno in cui si poteva iniziare l’addestramento di
Guaritore.
«Non sappiamo ancora se sono portato, padre. Potrei non avere il Talento.»
«Ma tu ci speri no?»
«Certo… lo sai che farei di tutto per diventare bravo almeno la metà di te. Quello che hai fatto stasera con questa bambina, quello
che fai ogni giorno.. salvare vite umane è.. è la cosa più bella di questo mondo».
«Sono contento di sentirti parlare così… sono sicuro che mi renderai orgoglioso», lo diceva con convinzione, gli occhi già pieni
d’orgoglio al solo pensiero di quanto potente il figlio potesse un giorno diventare, di quanto importante potesse essere per il futuro
dei Na’dal.
«Lo spero papà, lo spero… intanto voglio solo andare a dormire. Buonanotte»
«Buona notte figliolo…»
Salendo verso la sua camera, Julian si sentiva già meglio. Voleva davvero rendere orgoglioso suo padre. Sarebbe stato il migliore
Guaritore dei Na’dal di sempre!
«Ecco. Questo è tutto.», disse secco Julian. Suo padre però non sembrva soddisfatto. I ricordi del figlio lo avevano fatto sorridere,
socchiudendo gli intensi occhi celesti, tanto che Norah si era chiesta se non si fosse perso completamente nella rievocazione; in
realtà Dimion era, al contrario, assolutamente coinvolto e partecipe: «No, figliolo, c’è molto altro ancora. Ma prima, perchè non
vai a prendere quella bottiglia di liquore che ci ha regalato Madama Jyll? Penso che un sorso ci aiuterebbe tutti quanti...». Il
ragazzo però, solitamente così ubbidiente e premuroso nei confronti del padre, ora espresse tutto il proprio malcontento sbuffando.
«No, aspetta: faccio io.», si affrettò a dire Norah, e si avviò verso la dispensa. Non era un gesto di gentilezza: la ragazza in realtà
aveva bisogno di sottrarsi per un istante agli sguardi degli altri, per nascondere la tensione crescente che, ne era certa, le si sarebbe
potuta benissimo leggere in volto. L’agitazione che provava non era per aver appreso di essere stata trovata abbandonata, nuda ed
incosciente, e di aver rischiato la morte a quella giovanissima età, ma era causata da un improvviso ricordo che stava riaffiorando
alla memoria. Ne era certa: questo era un suo ricordo; non un sogno, né qualcosa di raccontato, ma un frammento di vita vissuta.
Non avrebbe dovuto permettere che le si affezionasse. Ancor meno avrebbe dovuto permetterlo a sè stessa, maledizione. Stava
letteralmente scappando, la fredda fermezza che credeva di aver guadagnato negli anni aveva vacillato ad ogni parola di Hysaac,
un ragazzotto appena conosciuto. Forse non era stato tanto lui in sé a farla sciogliere, quanto quella sensazione raramente provata
in vita sua di sincero calore umano, ma poco importava, non poteva permetterselo. Era solo un ostacolo in più da superare e allora
correva per lasciarselo alle spalle: giù per le scale, attraverso la sala, dietro fino alle stalle, in un attimo era in strada che si
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mischiava tra la gente in sella ad Oberon, il castrone nero che aveva dovuto comprare durante il viaggio.
Mascherava lʹansia di dover passare ancora una volta le mura con aria spensierata, guardandosi attorno, ma notando appena la
moltitudine di persone che affollava le vie e la maestosità di una delle maggiori città della confederazione. Svoltato lʹangolo i
cancelli sarebbero stati in vista, decise una breve sosta per acquistare qualche frutto e una pagnotta da un gruppo di mercanti.
Scese da cavallo e mentre selezionava le mele da comprare fu colpita da un profumo particolare, un aroma floreale dolce e intenso,
rosa, gelsomino, qualcosa che aveva già sentito, qualcosa che la riportava indietro nel tempo. Socchiudendo gli occhi si girò piano
istintivamente seguendo il proprio fiuto, di fianco a lei, leggermente dietro cʹera la donna che la sera prima la guardava con troppa
insistenza nella sala comune della locanda. Le caddero di mano le mele nel riconoscere, ora a mente lucida, un volto che mai si
sarebbe aspettata di rivedere, non dopo dieci anni. Sgranò gli occhi, spinse la donna al petto facendola cadere a terra e saltò in
groppa ad Oberon spronandolo alla corsa. Gli occhi di tutti i passanti erano su di lei, Hilda, questo il nome della Figlia della Luce,
si era prontamente rialzata e aveva gridato che qualcuno la fermasse, ma grazie alla Luce nessuno aveva dimostrato riflessi tanto
pronti o il coraggio di frapporsi ad un cavallo al galoppo, soprattutto non cʹerano altri Manti Bianchi nei paraggi.
Svoltò nelle stradine che riportavano alla locanda pur conscia del fatto che sarebbe stato il primo posto dove Hilda lʹavrebbe
cercata, ma non poteva lasciare Hysaac ad affrontare le ripercussioni della sua vigliaccheria.
Spalancò la porta della camera con violenza, trovò Hysaac ancora seduto come lʹaveva lasciato, il ragazzo si girò a guardarla
stupito passandosi i palmi delle mani sugli occhi arrossati.
«Dobbiamo andarcene, sbrigati!» Mab aveva già preso a raccogliere tutte le cose del giovane infilandole malamente in un sacco.
Lui ancora cercava di smaltire lo choc.
«Ho preso tutto?» disse poi lei guardandosi attorno. Lui fece altrettanto, poi annuì. Dava lʹidea di uno che non voleva far domande
per la paura delle risposte che avrebbe potuto ricevere.
Stavano procedendo a cavallo con calma tra i viottoli meno frequetati, cercando solo di non sembrare due fuggiaschi, la locanda
già non era più in vista da un poʹ quando uscirono le prime parole dalla bocca di Hysaac.
«Dove stiamo andando?»
«Ci sto ancora pensando» doveva riuscire a far perdere ogni loro traccia e non sarebbe stato troppo difficile visto che nessuno fino a
quel momento aveva saputo i loro veri nomi. Poi doveva fare in modo che nessuno potesse riconoscerli e ce la poteva fare, ma era
necessario agire alla svelta.
Scelse unʹaltra locanda, più vicina alle mura, ma dallʹaltra parte della strada principale rispetto a quella della sera prima e mandò
Hysaac a chiedere la stanza. Prima di farlo entrare, gli lisciò e tirò indietro i capelli il più possibile
«Fatti dare una camera per te e tua moglie. Paga anticipatamente e offrigli qualcosa in più perchè si dimentichi di noi appena ce
ne saremo andati» Hysaac aprì la bocca, chiaramente avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma ci rinunciò prima ancora di parlare.
Saliti in camera, Mab sfogò i nervi prendendo a pugni un cuscino, aveva dannatamente voglia di gridare per la frustrazione, ma
non lo fece. Come accidenti lʹaveva riconosciuta dopo tanti anni! Maledizione! Non sapeva cosa aspettarsi da quella donna, allora
era poco più di una recluta e ora poteva aver voglia di rimediare allʹerrore commesso per pietà nei suoi confronti. Ma cʹera una
cosa che la faceva dubitare: se così fosse stato lʹavrebbe potuta far arrestare direttamente la sera prima.
Hysaac la stava guardando in silenzio, Mab sospirò e si alzò dal letto, avrebbe cominciato con lui, sperando che quella donna non
fosse riuscita in qualche modo a risalire alla sua identità
«Siediti» gli disse prendendo una sedia e mettendola davanti allʹunico specchio della stanza. Lui obbedì, ma si drizzò
immediatamente quando la vide prendere in mano un paio di forbici
«Che intenzioni hai?»
«Devo fare in modo che chi ci ha visti da quando siamo arrivati non ci riconosca più. Siediti»
«Tu non mi fai nulla, se non mi spieghi cosʹè successo»
«Hysaac per favore, non è per cattiveria, è meglio che tu certe cose non le sappia neanche»
Lui sbuffò e incrociò le braccia per mostrare la propria ostinazione.
«Sono tornata a riprenderti perchè non volevo lasciarti in balia dei Figli della Luce che mi sarebbero venuti a cercare. A questo
punto, se non vuoi fare come ti dico, sono affari tuoi, io la coscienza pulita ce lʹho. Credo che staranno benissimo i tuoi boccoli
nella mano del boia quando mostrerà la testa mozzata»
Hysaac deglutì sonoramente, ma non si fece convincere
«Voglio sapere cosʹè successo»
«Eʹ una storia troppo lunga, Hysaac. Smettila di fare il bambino e siediti qui. Non ho tempo da perdere.»
Il ragazzo non fece una piega, la guardava solo con aria di sfida. Dannato zuccone!
«Dʹaccordo! Arrangiati allora!» e si chinò a raccogliere il proprio bagaglio. Quella gran donna di Hari, che la Luce potesse sempre
risplendere su di lei, le aveva infilato nel bagaglio un abito da donna e una parrucca, un oggetto che solo chi faceva quel tipo di
mestiere poteva conoscere. Sperava di rivederla un giorno solo per poterla ringraziare di tutto, lo pensava anche mentre estraeva
lʹabito e si rendeva conto che pochi non avrebbero capito da dove provenisse: tra quelli che la donna aveva a disposizione
probabilmente quello era il più sobrio, ma lʹampia scollatura e i lacci di seta rossa su lana nera la dicevano lunga. Non era
decisamente quanto una fuggiasca che desiderava passare inosservata avrebbe desiderato, ma forse il mantello avrebbe celato
abbastanza.
«Mentre mi cambio, mi faresti almeno la cortesia di andare a cercarmi qualcuno disposto a scortare una signora fino al prossimo
villaggio?» non sarebbe stato plausibile che una donna uscisse sola dalla città.
Hysaac tolse gli occhi sgranati dallʹabito per dire
«Perchè? Io non vado bene?»
«Tu rimarrai in città, tu andrai allʹAccademia»
«Ma io pensavo...»
«Prima che tu ti faccia altre strane idee, chiariamo subito la questione. Hai visto cosa mi può accadere ogni giorno, no? Faccio
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fatica a badare a me stessa, non posso pensare anche a te. E non provare ad offenderti per questo! Sii ragionevole»
Il ragazzo era chiaramente deluso, aprì la bocca per protestare, ma poco dopo la richiuse e annuì mestamente. Senza dire altro
uscì.
Da sola nella stanza, Mab tornò a pensare a Hilda. Dieci anni non lʹavevano cambiata molto, bella lo era già allora, ora sembrava
solo più glaciale o forse il brivido che aveva provato incrociando il suo sguardo era solo dovuto alla paura che le incuteva. Non si
sarebbe mai scordata il giorno in cui proprio quella donna aveva deciso della sua vita: obbedendo agli ordini dei suoi superiori,
Hilda aveva scortato la prigioniera fuori dalle mura di Daing, su un dirupo roccioso, uno dei tanti di quella zona arida e spoglia.
Mab sapeva qualʹera il motivo di quel viaggio e ci stava andando incontro con rassegnazione, anzi rincuorata dal fatto che almeno
non avrebbe assistito alla caduta della sua città nelle avide mani dei Manti Bianchi. Ma Hilda, rinfoderata la spada, lʹaveva
guardata negli occhi e piangendo aveva semplicemente detto di non poterlo fare. Non si era scomposta, le lacrime continuavano a
rigarle le guance, ma niente del suo portamento elegante e impeccabile sembrava mutato. La giovane Figlia della Luce,
discendente di una tradizione familiare di blasonati ufficiali della confederazione, nel trovarsi ad eseguire la condanna di una
ragazza di pochi anni più piccola, era stata assalita per la prima volta e in modo violento dal dubbio che la visione della giustizia
con cui era stata indottrinata fin dalla culla non fosse poi così corretta. Era stata quindi lei quel giorno a scambiare la morte di Mab
per una vita di continua schiavitù, in un modo o nellʹaltro, non ricordava più le volte che lʹaveva maledetta per questo.
Seppur finti, si accarezzava davanti allo specchio i lunghi capelli che le ricadevano fino alle scapole in morbidi ricci quasi neri,
quando sentì bussare e la voce di Hysaac che la rassicurava con un
«Sono io»
Mab aprì e fu costretta a trascinare dentro il ragazzo, che era rimasto inebetito nel vederla vestita così
«Sei incantevole» aveva quasi balbettato una volta entrato
Mab cercò di non sorridere, ma non le riuscì
«Dovʹè la mia scorta?» chiese quindi
«Ti sta aspettando nella sala comune. Vuoi già ripartire?» non faceva nulla per mascherare la sua tristezza.
«Non ha senso aspettare oltre» riprese in mano le forbici «Prima per favore, lascia che ti tagli i capelli, mi farebbe sentire più
tranquilla»
«Se non te lo permetto, rimarrai?» chiese il ragazzo, che però già si stava sedendo davanti allo specchio
«No, Hysaac» e cominciò a tagliargli i capelli.
Quando ebbe finto, la barba, che da quando lei gli aveva detto che gli stava bene non si era più rasato, era più lunga della chioma
che lei gli aveva lasciato in testa. Lo convinse a radere anche quella. Nemmeno lei lo avrebbe riconosciuto ora, si augurava che
bastasse, ma davvero non poteva portarlo con sé e doveva ammettere che le dispiaceva.
«Siamo pronti!» disse risoluta, ma sembrava ancora più difficile dire addio la seconda volta.
Il risveglio fu assai duro dopo una nottata passata quasi insonne: la schiena le doleva per il continuo rigirarsi nel giaciglio,
cercando di trovare una posizione comoda che faticava a trovare, e le girava la testa.
Merian era già in piedi, fresca come una rosa, come se avesse dormito il più dolce sonno!
Si stava spazzolando con cura i capelli rosso fuoco ‐ l’impiastro di Ariel aveva funzionato anche fin troppo bene ‐ come se non
avesse altra preoccupazione al mondo, ed era persa in qualche suo pensiero come al solito: uomini, senza alcun dubbio.
Quella ragazza mi farà impazzire! pensò Brienne massaggiandosi la schiena e imprecando sottovoce per ogni punto intorpidito
che premeva.
Non era mai stata molto brava nel prendersi cura di se stessa ‐ era più abile a infliggere ferite che non a curarle ‐ e i suoi massaggi
erano alquanto scarsi, ma l’idea di rivolgersi ad Ariel per un toccasana non le sfiorò la mente nemmeno per un istante.
«Che il Creatore mi fulmini seduta stante se andrò a chiedere qualcosa a quell’arpia di erborista!» disse a denti stretti mentre si
alzava malvolentieri in piedi. Il movimento le costò una fitta ai reni che le fece sfuggire un’altra imprecazione e questa volta non
troppo sottovoce.
«Buongiorno anche te Brienne,» le disse Ariel tutta sorrisi mentre le passava accanto proprio in quel momento con quel suo odioso
ondeggiare dei fianchi.
Brienne le rispose con un ghigno mormorando qualcosa di incomprensibile, ma evidentemente alla donna bastò perché le fece un
cenno con la testa e continuò per la sua strada senza ulteriori commenti.
Lasciò le coperte dove si trovavano ‐ non aveva alcuna intenzione di chinarsi di nuovo ‐ e tornò al ruscello della notte prima per
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godersi qualche momento tutto per sé immersa nell’acqua fresca, per non dire gelida, del mattino.
Mentre si allontanava dal campo notò che non aveva visto Rohedric in giro e si chiese dove potesse essere a quell’ora presto.
L’uomo era meticoloso oltre ogni dire e si sarebbe aspettata di vederlo già in sella al suo cavallo ancora prima che si svegliassero
tutti, strano quindi che non fosse presente.
Pensò che forse potesse essere andato in esplorazione con Neal e Kain e lo maledisse per non avergliene parlato, ma già mentre lo
pensava se ne pentiva: per quanto la facesse arrabbiare non riusciva proprio a inveire contro quell’uomo, era la sua più grande
debolezza e saperlo non rendeva le cose più facili.
Imprecò di nuovo.
Lasciatasi alle spalle il pensiero di Rohedric si spogliò per entrare nell’acqua. Non era molto profonda ‐ le arrivava a malapena al
ginocchio ‐ ed era davvero troppo fredda, ma si accovacciò e cominciò a lavarsi, resistendo all’impulso di uscire.
Un rumore alla sua destra le fece alzare di scatto la testa, guardinga, pronta ad affrontare a mani nude chiunque si stesse
avvicinando.
Si bloccò a occhi sbarrati quando vide chi ne era la fonte: Rohedric era in piedi sul terreno davanti a lei ‐nascosta dagli alberi che
piegavano sul ruscello nel punto in cui voltava ‐ gocciolante e... nudo!
Brienne arrossì e si acquattò ancora di più voltandosi dall’altra parte, ma dopo un brevissimo momento si attentò a guardarsi alle
spalle. Lui era ancora lì, ignaro della presenza della donna, intento ad asciugarsi con una calma che sarebbe stata snervante in
qualsiasi altro caso ma che in quel frangente era benedetta dalla Luce! Cercando di fare meno rumore possibile Brienne si voltò del
tutto e trattenne il respiro mentre lo osservava, o per meglio dire spiava, al sicuro nel suo nascondiglio.
«Sangue e maledettissime ceneri!» Alto, ampie spalle, una bella muscolatura... Luce, quell’uomo era perfetto!
Aveva molte cicatrici che gli attraversavano il corpo e una di esse tagliava in due il tatuaggio sul braccio sinistro che ogni
combattente di Hamadrelle aveva deciso di fare in onore di Lord Mat: un triangolo con la punta rivolta verso il basso, uno strano
simbolo che l’uomo stesso aveva deciso una volta a conoscenza delle intenzioni del popolo. I Camminatori dei Sogni avevano detto
che era scoppiato a ridere mentre ne parlava, ma non aveva dato spiegazioni e loro non avevano chiesto. Qualunque cosa
significasse era nota solo a lui e al momento a Brienne importava soltanto dell’uomo che le stava di fronte, che per sua sfortuna
adesso si stava vestendo.
«Dannazione!» mormorò la donna mentre Rohedric tornava al campo.
Merian era ancora persa nei ricordi della notte scorsa e le sensazioni meravigliose che aveva provato mentre accedeva alla Vera
Fonte e chiamava a sé saidar, quando Brienne le si fece incontro uscendo dagli alberi. Aveva un’espressione strana, sembrava
scioccata e assorta allo stesso tempo.
«Che ti è successo? Sembra tu abbia visto un fantasma,» le chiese non appena le si avvicinò.
L’altra le rispose in modo brusco di farsi i dannati affaracci suoi ‐ testuali parole ‐ ma guardava da un’altra parte mentre parlava.
Merian seguì la direzione del suo sguardo e di colpo comprese.
Non poté fare a meno di sorridere maliziosa mentre guardava da Rohedric a lei, entrambi con i capelli ancora bagnati, ma
Brienne le diede un pizzicotto sul braccio e rispose acida:
«Togliti quel sorriso idiota dalla faccia! Non è come credi... purtroppo,» aggiunse sottovoce ‐ ma non abbastanza ‐ facendo una
smorfia.
«Kain è venuto a chiedere di te, aveva bisogno di parlarti di qualcosa,» le disse Merian per cambiare argomento. Brienne non
sembrava entusiasta della cosa, perché grugnì e le volse le spalle dirigendosi verso il suo giaciglio a grandi passi. L’altra la seguì
quasi correndo e incalzò:
«Qual è il problema? A me sembra simpatico.» A differenza del suo torvo compagno Kain sembrava un tipo a posto, sempre
sorridente ed educato con le donne, oltre ad essere molto attraente. Neal, al contrario, con quello sguardo truce e quella cicatrice
che gli deformava la bocca in un orrendo ghigno, ti faceva venire voglia di trovarti il più lontano possibile da lui.
Brienne evidentemente non la pensava così, perché al suo commento rispose con una risata di scherno e un enigmatico “Vedrai!”
La giornata procedeva esattamente come quella precedente, lentamente e senza avvenimenti degni di nota, cosa che tutti tranne
Rohedric vedevano come un segno positivo. L’uomo era irrequieto, sebbene non lo desse a vedere apertamente, e sembrava si
aspettasse un attacco da un momento all’altro.
Brienne si teneva alla larga il più possibile, e quando lui le si avvicinava per consultarsi sulla strada da prendere, lei arrossiva
oppure cominciava a farfugliare parole senza senso... o entrambe le cose.
Rohedric dal canto suo si limitava a guardarla aggrottando la fronte, ogni tanto volgendo lo sguardo verso Merian in cerca di
spiegazioni, ma non indagava oltre grazie alla Luce! La situazione era davvero ridicola e quando finalmente l’uomo si decise a
cavalcare da solo, Brienne non fu l’unica a tirare un sospiro di sollievo.
«Perché non glielo dici?» azzardò Merian dopo qualche tempo. Brienne le rivolse una tale occhiata che Merian pensò che fosse un
bene che l’altra donna non potesse incanalare.
«Dirgli cosa, ragazza? Che è eccessivamente paranoico e si preoccupa fin troppo?»
Merian alzò lo sguardo al cielo sospirando profondamente e Brienne la guardò in tralice, spostando la conversazione su di lei.
«E tu che mi dici, invece? A chi è che pensi in continuazione?»
Merian la guardò con aria innocente e Brienne scoppiò a ridere.
«Andiamo, sono una donna anche io! Scommetto che chiunque sia, ti sta creando un sacco di problemi. Tipico degli uomini,»
aggiunse sbuffando.
«Cosa te lo fa credere?»
«E’ da ieri che sembri turbata, e non è per via del colore dei capelli!»
Merian le sorrise ma non c’era divertimento nei suoi occhi.
«E’ per via di Mat... Lord Mat, come lo chiamate voi, e di quel che mi ha detto.» Sospirò.
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11 di 81 22/04/2012 17.12
«Un nuovo Drago è comparso e questo significa che si avvicina il momento in cui anche lui sarà di nuovo intessuto nel Disegno.
Potrebbe essere chiunque, anche qualcuno non ancora nato, in fondo nessuno sa quanto ci vorrà prima che venga combattuta
l’Ultima Battaglia. L’unica certezza che abbiamo è che prima o poi svanirà dal Mondo dei Sogni e io non lo rivedrò mai più.»
«Sei innamorata di lui!» sibilò Brienne sbigottita.
«Posso capirlo,» aggiunse riprendendosi all’istante «è un uomo affascinante.»
Merian si girò di scatto e la scrutò cercando di capire, e Brienne le spiegò con un mezzo sorriso:
«A volte è apparso in sogno anche noi, lungo il tragitto che ci ha condotti a te. Non c’è nessuno tra di noi che cammina nei sogni,
per cui sarebbe stato impossibile contattarlo, ma lui poteva contattare noi.»
Merian rimase in silenzio, guardando in basso un punto fisso davanti a sé, e Brienne continuò:
«Sei giovane e bellissima, Merian, potresti avere qualsiasi uomo...»
«Ma io non voglio qualsiasi uomo!» la interruppe l’altra alzando lo sguardo su di lei. «Voglio lui!»
Brienne la osservò un momento, si volse poi verso Rohedric e le rispose in tono amaro:
«La vita è dura, non sempre possiamo avere ciò che desideriamo di più.»
Merian non aveva di che ribattere, Brienne aveva ragione purtroppo, e proseguirono in silenzio finché Rohedric non alzò una
mano per fermare il gruppo nei pressi di un piccolo villaggio.
L’uomo attese che Neal e Kain tornassero dall’avanscoperta prima di spronare il suo cavallo al trotto ed entrare nel villaggio di
Zemai.
Il gruppo era partito soltanto tre giorni addietro, ma nonostante fossero avanzati senza troppa velocità, era stato comunque
difficile seguirne le tracce. Chiunque ne fosse al comando era molto bravo nello scegliere la strada da percorrere.
Quel giorno però sembrava esserci stata una svolta: delle orme fresche indicavano che erano vicini e con un po’ di fortuna si
sarebbero fermati al prossimo villaggio.
Forse si sentivano abbastanza sicuri da rischiare una sosta in un’accogliente locanda, dopo la permanenza nei boschi, e allora la
sua ricerca sarebbe giunta al termine, finalmente li avrebbe raggiunti!
Muoviti.. dannazione so che ci sei, MUOVITI!
Non ne era certo ma ormai il sole doveva essere già tramontato. Quel pomeriggio stava percorrendo gli stretti cunicoli del
monastero, dopo aver lasciato un piccolo gruppo di pellegrini a meditare su alcune frasi senza senso, lette da un antico libro,
quando iniziò a credere di essere seguito. Doveva trattarsi di un Fratello o di una Sorella e ringraziò la Luce per aver benedetto
quel luogo privandolo del Potere, altrimenti se ne sarebbe accorto troppo tardi. Raggiunta una zona poco frequentata e priva di
candelabri aveva continuato a camminare al buio per poi appostarsi dietro ad un angolo, in attesa del suo inseguitore. Nelle
ultime due settimane, da quando le notizie sulla progenie dell’ombra si erano diffuse, il monastero era diventato un luogo sempre
meno sicuro. La Famiglia si stava spaccando in diverse fazioni e Siadon iniziava a credere di aver scelto quella con meno
possibilità di sopravvivenza.
Non posso essermi immaginato tutto.. oppure sì?
Era immobile da troppo tempo ma per quanto le sue gambe reclamassero movimento, il minimo rumore poteva essergli fatale.
Di solito il Potere rendeva tutto più semplice, sembrava fatto apposta per essere usato in situazioni simili, sarebbe bastata una
semplice tessitura per capire dove si trovava il suo inseguitore. Senza quella tempesta di fuoco nelle sue vene si sentiva
vulnerabile, i suoni parevano ovattati e non vedeva praticamente nulla nell’oscurità, per non parlare degli odori. Sapere che anche
il Fratello o la Sorella dietro l’angolo si sentiva allo stesso modo non era di grande aiuto.
Qualcosa nella luce cambiò. All’inizio era più una sensazione, come se potesse distinguere meglio le ombre, poi divenne una
certezza. Qualcuno stava percorrendo lo stesso corridoio che l’aveva condotto fin lì. Strinse il pugnale cercando di ignorare il
torpore che risaliva dalla mano fino alla spalla. Ci fu un rapido movimento, un’ombra scattò da dietro l’angolo ed il suo corpo
reagì d’istinto. Non era certo di cosa fosse accaduto, ci mise qualche attimo per ricordare la rapida sequenza di parate che l’aveva
portato a fissare due occhi di ghiaccio a poca distanza dai suoi.
Il bruciore si stava facendo sempre più presente, non doveva essere un taglio profondo, probabilmente era molto simile a quello
che lui stesso aveva provocato alla Sorella. Erano bloccati l’uno dall’altra, entrambi con un pugnale premuto contro la gola
fermato più che dai propri avambracci, dalla consapevolezza di non poter causare una morte tanto rapida da lasciare scampo a sé
stessi.
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I passi erano sempre più vicini e la debole luce gli permise di riconoscere il volto che stava a pochi centimetri dal suo. Tempo
prima aveva interrogato quella Sorella, ricordava quanto fosse fredda e priva di emozioni. Lentamente spostò il proprio peso verso
il muro, lei capì e senza fare alcun rumore spostarono i piedi per avvicinarsi alla parete. Rimasero immobili, fissandosi a vicenda
per qualche attimo, fino a che due figure in veste grigia non apparvero dall’angolo alle spalle della Sorella. Senza distogliere lo
sguardo da quegli occhi gelidi, Siadon registrò l’immagine di due uomini che procedevano parlando a bassa voce. Uno dei due
reggeva un candelabro mentre l’altro un grosso libro. Continuarono senza cambiare direzione e dopo pochi passi erano già spariti
nel cunicolo successivo.
Il bruciore era aumentato ed iniziava a sentire la bocca impastata. Radice blu.Pensò cercando di rilassarsi il più possibile, senza
mollare la presa sulla Sorella. Riuscì soltanto a respirare più lentamente ma dubitava di poter rallentare il proprio battito in quel
momento. Poco dopo un leggero ronzio gli riempì le orecchie. Foglie dell’accecato? Quindi non vuoi uccidermi?Con la poca luce
rimasta non riusciva a vedere la Sorella, poteva però immaginare i suoi occhi spegnersi lentamente, i suoi muscoli irrigidirsi.
Sentiva il respiro della donna farsi sempre più breve e con le ultime forze cercò di allontanarsi da lei spingendo con la mano libera.
La resistenza fu debole ma Siadon dovette sforzarsi con tutto sé stesso per riuscire a comandare quella gelatina che percepiva al
posto delle proprie braccia. Sentì le gelide pietre del pavimento contro la propria guancia senza essersi reso conto di cadere. Il
ronzio era ormai una tempesta che gli impediva di pensare lucidamente. La sua preoccupazione più grande, prima di perdere i
sensi, era rivolta alla direzione nella quale sarebbe caduta la Sorella e quel suo maledetto pugnale.
Quando erano partiti da Coraman, quella mattina, il cielo era coperto da poche nubi, poi, nel corso della mattinata e fino allo
scontro con i Trolloc, le nubi si erano andate addensando in una spessa coltre plumbea che non lasciava presagire nulla di buono.
Difatti, non molto tempo dopo essere ripartiti alla volta del passo di Avende, forti raffiche di vento gelido avevano iniziato a
colpirli portando con sé alcuni fiocchi di neve. «Sangue e maledette ceneri!», esclamò Morgan segnalando di fermarsi. Quando
tutti lo ebbero raggiunto, disse: «Temo che, se già qui incontriamo dei fiocchi di neve, ci aspetta una risalita molto difficile. Il passo
è molto alto, e a quella quota di sicuro ha già iniziato a nevicare da un po’.». Guardarono tutti verso le alte montagne dove si
trovava il passo: la visuale era parzialmente coperta dalle spesse nubi, che avvolgevano i monti dalla cima a circa metà della loro
altezza. «A occhio e croce», intervenne Murriel, «Siamo distanti ancora quattro o cinque ore dal passo. Senza contare che, se cade
molta neve, potremmo essere rallentati.».
«Già...», convenne Rourke, «Non mi va di provare a valicare il passo al buio e con la neve: qualche cavallo potrebbe azzopparsi,
oppure una slavina ci potrebbe seppellire tutti quanti. Sarebbe meglio accamparci da qualche parte per la notte e vedere come
evolve il tempo.».
Mentre parlavano, Morgan aveva estratto dalla tasca la cartina e la stava studiando attentamente. Trovato quel che cercava disse:
«Avete ragione entrambi, tentare di valicare con queste condizioni potrebbe essere molto pericoloso, non me la sento di rischiare
uomini e cavalli. Ma guardate qui.» e, porgendo loro la cartina, indicò il punto, «E’ segnata una piccola grotta a non più di un’ora
di cavallo. Io direi di raggiungerla e di passare lì la notte... Sarà sempre meglio che stare all’aperto con questo tempo!». «La
conosco.», intervenne Murriel che era di Coraman, «E’ spesso usata come riparo dalle pattuglie, ed è attrezzata con scorte di legna,
viveri e fieno per i cavalli.». Gli altri annuirono, sollevati dall’idea di non dover affrontare l’ascesa al passo in condizioni così
difficoltose. Date le disposizioni di marcia, ripartirono tutti.
Mentre giungevano alla grotta, la nevicata si infittì: in breve tempo, da pochi fiocchi portati dal vento si era scatenata in una vera e
propria bufera. Non era inusuale che in quelle montagne così a Nord nevicasse anche all’inizio della primavera; inoltre l’inverno
era stato particolarmente freddo e stentava a lasciare la presa su quelle terre.
La grotta era situata in fondo ad una galleria ben nascosta: chi non avesse saputo esattamente dove cercare difficilmente avrebbe
trovato l’ingresso. Al termine del cunicolo si aprivano due ambienti: il primo, ampio abbastanza da consentire a un centinaio di
uomini di accamparvisi, aveva pareti levigate dal Potere in cui erano fissati a intervalli regolari anelli metallici per le torce, oltre a
diverse rientranze che ospitavano ordinate cataste di legna da ardere, e ad altre, poste più in alto per impedire agli animali selvatici
di raggiungerle, contenenti le scorte di cibo; la seconda sala, altrettanto ampia, era invece attrezzata come stalla: il pavimento
ricoperto di paglia, due corde a cui impastoiare i cavalli, mangiatoie, e una buona scorta di di fieno.
Appena entrati, alcuni dei giovani si occuparono dei cavalli, togliendo loro le selle, strigliandoli, impastoiandoli e riempiendo le
mangiatoie. Altri accesero torce e fuochi, prepararono i giacigli per la notte, e si diedero da fare per cucinare qualcosa di caldo.
Morgan osservò Davrath che aiutava con i cavalli: bene, occorre tenerlo occupato, così non avrà tempo di farsi troppe domande. Poi si
fece aiutare da Murriel, che era piuttosto forte in Spirito, per posizionare alcune tessiture d’allarme attorno all’ingresso esterno e
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lungo tutto il corridoio, al fine di non essere sorpresi nel sonno. Nonostante le protezioni, decise che avrebbero comunque stabilito
alcuni turni di guardia.
Dopo aver consumato una soddisfacente cena, Morgan caricò la pipa e la accese, prendendo ampie boccate. Il fumo azzurrino
saliva pigro andandosi a perdere in quello dei fuochi e delle torce che aleggiava sotto al soffitto dell’alta caverna; sembra esserci uno
sbocco per il fumo, lassù, si disse Morgan, chissà se questo rifugio è stato interamente scavato con il Potere o se l’hanno ricavato da una
grotta esistente. E si ritrovò ad immaginare che esistessero, come nella sua Tsorovarin, gallerie nella roccia per attraversare le
montagne e raggiungere la valle di Coraman senza alcun ostacolo. Attorno a lui era sceso il silenzio: Davrath, probabilmente
spossato dalla camminata e dagli eventi della giornata appena trascorsa, si era assopito su un giaciglio poco lontano, Rourke aveva
raggiunto alcuni dei soldati che, attorno al fuoco al centro della sala, si stavano scambiando i racconti della battaglia; il resto dei
ragazzi, esclusi i pochi che erano di guardia, dormivano già.
******
La battaglia era stata molto breve, nonostante i Trolloc fossero stati in netta superiorità numerica. La strategia scelta dal giovane
capitano di quegli altrettanto giovani guerrieri era ottima e, unita alla mortale abilità di ciascuno di loro, aveva contribuito a far
prendere allo scontro un esito imprevisto.
Dal suo nascondiglio il Cacciatore aveva osservato attentamente lo svolgersi della battaglia e l’incontro avvenuto tra i due giovani.
Sicuramente il suo padrone non sarebbe stato contento: i due manipoli erano stati mandati proprio per cercare di impedire questo
incontro, ma non era stata presa in considerazione la possibilità che, proprio a causa alla presenza dei trolloc, il giovane lupo
sarebbe stato mandato fin lì per combatterli.
«Ta’veeren.», borbottò il Cacciatore, «Devono esserlo entrambi.». Quando il gruppo di guerrieri si allontanò, uscì dal suo
nascondiglio, una depressione nel terreno collinare di quella valle. Si incamminò lesto per seguirli, mantenendosi comunque a
una distanza sufficiente a non farsi scoprire.
Sempre da lontano scorse il gruppo cambiare direzione. Avranno preferito accamparsi in zona e aspettare la fine della nevicata, ben
sapendo che in queste condizioni il passo è impraticabile, sorrise malevolo continuando a seguirli. Una volta scoperto dove passeranno
la notte potrò comunicare la loro posizione e il Padrone manderà qualcuno per sistemarli, è stata una fortuna che la mia missione mi
abbia portato a passare da qui!
Dovette pedinarli per poco più di un’ora prima di vederli entrare in un incavo nella parete rocciosa, che, nonostante le sue abilità,
difficilmente avrebbe notato altrimenti. Nascondendosi nuovamente, attese il completo calare delle tenebre prima di togliere da
sotto la giubba un fischietto d’osso finemente intagliato. Guardando l’oggetto attentamente ci si poteva accorgere che si trattava
della falange di un dito umano, levigata fino a che l’osso non era diventato simile ad avorio, ed incisa con strani caratteri, che
pochissimi avrebbero saputo riconoscere come quelli usati a Thakan’dar.
L’uomo portò il fischietto alle labbra e vi soffiò flebilmente. Attese a lungo prima che un grosso corvo dall’impennato nerissimo e
con crudeli occhi rosso sangue si venisse ad appollaiare su un ramo poco lontano. Avvicinandosi al volatile, l’uomo stese un
braccio e, quando l’uccello vi si posò, gli comunicò sommessamente il proprio messaggio: «Il giovane lupo e l’altro ragazzo sono
dentro quella grotta. Vola veloce e comunica la loro posizione a quanti più manipoli possibile, questa volta non devono riuscire a
scappare!». Poi, con un movimento del braccio incitò il corvo a prendere il volo «Ora va, svelto!».
Mentre il volatile spariva nella nevicata notturna, il Cacciatore voltò le spalle all’ingresso della caverna e si incamminò
velocemente, senza preoccuparsi di lasciare tracce, dato che la nevicata prometteva di durare ancora quanto bastava a coprire
abbondantemente ogni cosa. Adesso posso riprendere la mia missione, pensò, e arriverò a Coraman con almeno mezza giornata di
anticipo sui ragazzi. Dazar sarà compiaciuto di avere queste notizie per primo.
Siadon stava vagando nell’oscurità attraverso stretti cunicoli, avrebbe voluto correre ma non riusciva a muoversi velocemente.
Sapeva di dover scappare, andarsene da quel posto ovunque si trovasse. Non ricordava come vi fosse arrivato ma doveva trattarsi
di una miniera o qualcosa di simile, l’assordante rumore dei carrelli che sferragliavano sui binari e delle pietre che rotolavano non
gli dava tregua. Provò a riprendere fiato reggendosi ad una parete, sicuro che di lì a poco avrebbe rivisto il suo ultimo pasto,
quando diverse urla mostruose riuscirono quasi a sovrastare l’incessante baccano. Maledicendo sé stesso riprese a muoversi
cercando di allontanarsi da quelle bestie, non li vedeva ma sapeva che erano trolloc, parecchi trolloc. Svoltò un angolo e si trovò di
fronte a due uomini vestiti con delle tuniche simili a quelle usate al monastero. Rimasero immobili, con il volto in ombra fino a
che uno dei due mosse il candelabro che reggeva e Siadon si trovò a fissare una faccia priva di occhi.
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Aveva qualcosa di gelido premuto contro la guancia, la testa gli pulsava e una serie di punti luminosi danzavano dietro le sue
palpebre. Lentamente riprese conoscenza, percepì la sua mano stretta attorno ad un’elsa, riuscì a muovere le dita dei piedi, le
gambe e si accorse di essere sdraiato sul pavimento di uno stretto corridoio. Nella penombra distinse un corpo accasciato poco
distante e si ricordò che lui ed una Sorella erano quasi morti.. no, lui aveva ucciso la Sorella ma non ne ricordava il motivo.
Rimase sdraiato fissando il soffitto mentre cercava di organizzare le idee Quella strega mi ha avvelenato.. ma quando.. dove sono
finiti i trolloc? Lentamente si ricordò di essere al monastero ed i dettagli di quanto successo si fecero sempre più vivi man mano il
mal di testa scemava. Bene, era solo uno stupido sogno.. poi gli tornarono in mente i due uomini che aveva visto prima di perdere i
sensi. Oppure no?.
Rimase sdraiato a lungo, conosceva gli effetti di quel veleno e sapeva che muoversi non era una buona idea. Veniva usato spesso
prima degli interrogatori, provocava forti allucinazioni se non si manteneva la calma e quando si è legati ad un tavolo, circondati
da ferri incandescenti, rimanere tranquilli non è per nulla facile.
Chi erano quei due? Dovevano essere due Fratelli, nessun altro aveva il permesso di raggiungere quella zona del monastero.
Eppure nessuno della famiglia avrebbe indossato il grigio dopo essere rientrato. Che fossero due Fratelli non ancora tornati,
assieme e senza scorta era davvero impossibile. Due fratelli ci avrebbero visti. Era una semplice verità ma non riusciva ad accettarne
le implicazioni: due esterni vagavano indisturbati in settori proibiti del monastero e non sembravano affatto intimoriti,
probabilmente non era la loro prima volta.
Sentì una porta chiudersi in lontananza e ricordò di trovarsi sdraiato nel mezzo di un corridoio al fianco di un cadavere. Si guardò
attorno, in cerca di un nascondiglio poi si alzò lentamente e trascinò la Sorella in una stanza buia poco distante. Protetto
dall’oscurità ascoltò il proprio battito respirando lentamente, era ancora debole e quel breve sforzo l’aveva affaticato più di quanto
avrebbe voluto. Dei passi leggeri attirarono la sua attenzione, soppesò il pugnale della Sorella osservando l’incrocio mentre il
rumore si faceva più vicino. Nella penombra vide una figura avvolta da una tunica svoltare l’angolo e fermarsi immobile al centro
del corridoio. Poi lentamente ruotò la testa nella sua direzione, il volto era nascosto dall’oscurità ma Siadon poteva percepire che lo
stava fissando. L’attimo successivo la figura si era avvicinata brandendo una spada ed il pugnale della Sorella stava sfrecciando
verso il suo petto ma al posto di rimanervi conficcato lo oltrepassò come se non esistesse.
Maledetto idiota! Calmati, respira. Pensò mentre l’immagine prodotta dalla sua mente si dissolveva e sentiva il pugnale rimbalzare
contro le pietre della parete opposta. Si sdraiò nell’angolo più nascosto della stanza, dietro quelle che al tatto dovevano essere
alcune casse di legno dimenticate da anni. Poi si concentrò sul proprio battito ignorando qualsiasi rumore o sensazione, non era in
grado di distinguere la realtà dalle allucinazioni ma sapeva che entrambe avrebbero potuto ucciderlo con la stessa facilità. Udì
delle voci ed una volta vide due enormi trolloc scavalcare il suo nascondiglio per infilzarlo con delle picche ma con il passare del
tempo avvenimenti simili si fecero sempre più radi fino a quando si convinse che il veleno aveva ormai perso ogni effetto. Rimase
sdraiato un altro po’ prima di rendersi conto di non vedere più assolutamente nulla, anche la poca luce che arrivava dal corridoio
se ne era andata. Dannata strega, m’hai tenuto qua sotto per quasi due giorni! pensò stupito mentre costeggiando la parete si
avvicinava al corridoio. Dove sei? Era certo di aver raggiunto l’angolo nel quale aveva lasciato il corpo della Sorella ma non lo
trovava, probabilmente alcune di quelle voci non erano frutto della sua mente, qualcuno doveva averlo spostato.
Non molto tempo dopo, Siadon era fermo davanti all’ingresso delle proprie stanze, qualcuno era stato lì da quando lui era uscito.
Prendeva sempre delle precauzioni per accorgersene, soprattutto da quando le notizie sulla progenie dell’ombra avevano fatto
impazzire praticamente tutti nel monastero. Qualche filo strappato o delle pagliuzze del materasso, niente di appariscente ma non
rimanevano mai al loro posto se qualcuno apriva la porta ed ora non erano dove le aveva lasciate. Estrasse il pugnale ed aprì
velocemente, trovandosi di fronte a Thea, seduta sulla poltrona che leggeva un piccolo libricino usurato dal tempo mentre con la
mano libera puntava una balestra verso la parete. Poi si accorse di fissare l’immagine della Sorella riflessa nel suo specchio,
spostato di fianco al camino in modo da attirare l’attenzione e dare a Thea il tempo di agire senza correre rischi.
Com ʹera accaduto al suo ingresso in città, anche ora la guardia al cancello nord indugiava sulla lettera che Mab gli aveva mostrato
per poter uscire indisturbata. Il manto bianco aveva chiamato un altro soldato, aveva fatto leggere il foglio anche a lui e poi si
erano messi a discutere tra loro in modo che lei, dallʹalto del suo cavallo, non riuscisse a sentirli. Di tanto in tanto guardavano lei e
il suo accompagnatore, per Mab nascondere la tensione che le dava quellʹattesa si faceva sempre più difficile, ma non doveva
perdere la compostezza che ci si aspettava da una signora quale voleva sembrare. Il suo accompagnatore era di poche parole, anzi
aveva sentito la sua voce una sola volta, quando si era presentato prodigandosi poi in un inchino malriuscito, un gesto a cui
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chiaramente non era abituato, ma che qualcuno gli aveva detto di fare. Poco importava che fosse uno zotico rissaiolo da taverna,
anzi il fatto che sembrasse tuttʹaltro che sveglio aveva solo lati positivi. Se ne stava fermo sul cavallo, emettendo ad intervalli
regolari un sibilo dal naso, lʹevidente ricordo delle varie volte che se lʹera fatto spaccare. Ora però quel fischio ripetitivo le urtava i
nervi, insieme al confuso mormorio di quei due stramaledetti Figli che continuavano a discutere. Calma, doveva mantenere la
calma.
«Cʹè qualche problema?» Hilda uscì dal passaggio che portava alle vedette sopra le mura, poteva essere lì fin da quando Mab era
arrivata ai cancelli e averla riconosciuta. Oberon si mosse e Mab dovette tirare le redini per calmarlo, si era sempre stupita di
quanto quegli animali sentissero lo stato dʹanimo di chi avevano in groppa. Hilda intanto si era avvicinata ai due soldati, che con
la massima reverenza le aveano mostrato il foglio, le decorazioni sulla divisa della donna davano ragione di tanto rispetto nei suoi
confronti. Lei afferrò la lettera, alzò un sopracciglio poi guardò Mab, non era sicura ma quello che le comparve per un breve
istante ad un angolo della bocca sembrava un sorrisetto compiaciuto.
«Lasciate perdere questa: conosco la signora, mi occupo io di lei. Portatemi il mio cavallo» disse ai due soldati, quindi riportò lo
sguardo su Mab «Potete congedare il vostro accompagnatore, se non vi dispiace sarò io stessa la vostra scorta fino alla prossima
città»
A che gioco stava giocando? Le avrebbe voluto strappare dalle orbite quei maledetti occhi celesti che le stava puntando contro, se
solo avesse potuto.
«Non vorrei mai disturbare un ufficiale dei Figli della Luce per così poco»
Hilda allungò una mano guantata di pelle bianca e la pose sopra il pugno con cui Mab stringeva le redini di Oberon.
«Nessun disturbo, credetemi, nessun disturbo.» Mab non aveva scelta.
Le mura di Dobied erano alle loro spalle, Mab non osava parlare, sperava che lo facesse lʹaltra donna, ma soprattutto aspettava con
impazienza il momento in cui sarebbero state abbastanza lontane dalla città per poter incanalare e liberarsi così di lei. Ma non
poteva essere tanto semplice, doveva esserci qualcosa: Hilda sapeva chi era lei, sapeva cosa poteva farle e nonostante questo
continuava a cavalcarle a fianco sul suo grigio come se effettivamente scortasse una semplice nobildonna.
Quando lʹeffetto della città svanì potè percere di nuovo la Fonte, con la coda dellʹocchio osservò la sua compagna: ancora niente,
non una parola, non unʹespressione che potesse tradire le sue intenzioni, nientʹaltro che il suo dannatissimo portamento sicuro ed
elegante.
Erano abbastanza lontane dal centro abitato ormai e nessuno era in vista, lentamente tirò le redini di Oberon per farlo fermare,
abbracciò saidar, preparò flussi dʹaria, li avvolse attorno alla donna e li vide svanire. Mab battè le palpebre, poi rifece la stessa
operazione col medesimo risultato per altre due volte, al terzo tentativo la rabbia e la frustrazione erano tanto forti da farle
perdere il contatto con la Fonte. Hilda intanto si era fermata, si girò lentamente a guardarla, ancora una volta apparvero per un
istante un paio di pieghe accanto allʹangolo sinistro della sua bocca.
«Non puoi usare il Potere su di me» disse senza battere ciglio «Avanti, fai marciare quel cavallo, non voglio fare notte prima dʹaver
raggiunto un posto decente in cui dormire» quindi si era girata in avanti ed era ripartita.
Cosa? Questa proprio non lʹaveva mai sentita: persone su cui il Potere non aveva effetto? Non ne aveva mai sentito parlare, però
aveva appena visto coi suoi occhi i flussi sciogliersi al contatto con quella donna. Come poteva essere? Un insistente formicolio alle
mani le diceva che ormai la calma era persa. Raggiunse Hilda e praticamente urlò.
«Cosa significa?»
Per quanto lei fosse sconvolta, lʹaltra donna al contrario manteneva una calma serafica da fare invidia alle leggendarie Aes Sedai
di cui aveva letto su libri che pochi sapevano fossero ancora in circolazione.
«Non sono tenuta a spiegartelo, Mabien Asuka... o preferisci che ti chiami Lamya Jabar?» non si era nemmeno degnata di girarsi
a guardarla.
«Come sarebbe che non sei tenuta?» un momento... come poteva sapere di Lamya Jabar? Quello era il nome con cui la
conoscevano a Kiendger, che ne sapeva lei?
Si sentì affogare dalle mille domande che avrebbe voluto farle, ma rimase solo a guardarla a occhi sbarrati, respirare sembrava
essere diventato difficile. Hilda si girò.
«Credo che avremo molto di cui parlare, noi due»
Le girava la testa per la confusione, per la paura, per la rabbia. Quella donna le doveva delle spiegazioni, non sapeva nemmeno
da dove cominciare a chiedergliele, ma non poteva continuare a farsi prendere in giro in quel modo. Poteva essere anche immune
a Saidar, per quanto la cosa la lasciasse basita, ma la lama di un pugnale avrebbe trafitto la sua carne come quella di ogni altro
comune mortale. Il tempo di estrarre lʹarma però che Hilda glielʹaveva già fatta volare via con un fendente e senza nemmeno
scomporsi sulla sella. Ora le puntava la spada al petto, più per ammonimento che per minaccia.
«Calmati. Non sopporto le persone agitate. Ogni cosa a suo tempo: quando troveremo un posto tranquillo ti spiegherò quel che
puoi sapere, e tu dirai a me quel che voglio sapere io. Ora per favore cerca di comportarti come ci si aspetta da una signora e non
incanalare a meno che non te lo...»
La testa continuava a vorticare, non riusciva a smettere di respirare affannosamente, sentì la voce di Hilda come perdere tonalità
di parola in parola, si rese conto che aveva gli occhi aperti, ma non riuscivano a mettere a fuoco, sapeva che stava per cadere da
cavallo, ma non realizzava come avrebbe potuto impedirlo.
La prima cosa che percepì fu il buon profumo del mantello bianco che la copriva, ma riconquistate lucidità e forze, lo fece subito
da parte e si sollevò. Tutto attorno cʹera boscaglia, abeti per lo più e il terreno roccioso ricoperto di muschio tipico delle regioni del
nord. I cavalli erano legati ad un albero poco distante, la strada non si vedeva, Hilda nemmeno.
Ancora un leggero torpore le impediva di stare in piedi senza doversi reggere da qualche parte, non sarebbe scappata lontano in
quello stato.
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«Non ti facevo tanto delicata» La voce di Hilda arrivò allʹimprovviso da dietro le sue spalle, sembrava essersi materializzata dal
nulla.
«Tu non hai idea di quello che mi è capitato nel giro di nemmeno una settimana, è già tanto che possa essere ancora qui a
raccontarlo. Ci mancavi solo tu ora, cosa vuoi, per la Luce?» Non voleva più perdere le staffe, quindi lo disse con tono pacato, ma
ormai le aveva già dato la soddisfazione di sobbalzare quando lʹaveva sentita parlare poco prima. Con una mano si sosteneva al
tronco dellʹalbero più vicino, con lʹaltra si massaggiava una tempia. In un primo momento aveva pensato di essere stata
avvelenata, no, era solo troppo troppo nervosa.
Hilda raccolse il proprio mantello, lo controllò e ripulì, poi indossandolo oltrepassò la ragazza, sembrava sondare il terreno e
prestare attenzione a qualcosa.
«Chiariamo subito la situazione: prima di tutto non sei tu a fare le domande. Ad ogni modo non è il luogo né il momento questo
per affrontare certi argomenti» la sua voce era piatta e non molto alta, si fermò e girò la testa come se avesse sentito un rumore
che necessitava di maggiore attenzione, ma poi proseguì «Ti dirò una cosa sola, così magari ti dai una calmata. Non ho intenzione
di denunciarti o peggio, almeno non se farai quanto ti chiedo» aveva parlato camminando lentamente e ora era tornata davanti a
lei e la guardava dritto negli occhi, il ghiaccio non era tanto gelido «Mi servi. Non intralciarmi e segui i miei ordini, avremo
entrambe di che guadagnarci. Intesi?»
Mab si sforzò di sostenere lo sguardo della donna.
«Come puoi pretendere che mi fidi?»
«Per ora pretendo solo che tu mi obbedisca, non ti conviene fare altrimenti» poi la sua espressione cambiò, sembrò farsi più grave
«Non ti sarei venuta a cercare, se non fosse stata una cosa importante, se non fosse stato necessario.»
«Che significa che mi sei venuta a cercare? Vorresti farmi credere che quellʹincontro non è stato casuale?»
«Ti ho detto che non sei tu a fare le domande, comunque è stato meno casuale di quanto tu possa immaginare» Poi finalmente le
tolse gli occhi di dosso e Mab si accorse solo in quel momento che durante lo scambio di battute era finita per appiattirsi al tronco
dellʹalbero a cui era inizialmente solo appoggiata. Quella donna le faceva paura, le aveva appena svelato che aveva bisogno di lei,
per chissà cosa, il che metteva Mab in una posizione da un certo punto di vista vantaggiosa, ma comunque le incuteva timore, le
incuteva uno stramaledetto timore! Appena le aveva girato le spalle, la ragazza aveva tratto un lungo sospiro di sollievo e si era
staccata dallʹalbero.
«Ce la fai a riprendere il viaggio? Per un poʹ dovremo procedere a piedi: raggiungeremo un sentiero battuto che porta ad un
villaggio piuttosto grande, verso nord. Arriveremo che sarà già buio, ma a questo punto è meglio non riprendere la via principale»
«Ho capito che non devo fare domande, ma almeno sapere dove stiamo andando mi farebbe piacere.»
Hilda aveva intanto raggiunto i cavalli e li stava slegando.
«Andiamo dove stavi andando tu»
«E dove stavo andando io?»
«A nord, no? E sappiamo entrambe da chi...»
«C...cosa?»
«Non fare lʹingenua Mabien! Dovresti sapere meglio di me che ci son cose che alcuni Figli nascondono con la stessa cura con cui ne
cercano informazioni... Li raggiungeremo, è quello che volevi anche tu, no?»
Mab rimase allibita: era stata invischiata nei traffici più sordidi in cui si muoveva Krooche in quegli ultimi anni, ma era convinta
che fosse un fenomeno ristretto quanto pericoloso. Il fatto che una come lei, una Figlia di ben altra risma rispetto a quello che era
stato il suo padrone fino a pochi gorni prima, sapesse certe informazioni significava che circolavano più di quanto avesse
immaginato.
Senza rendersene conto Mab si mise a ridere in modo isterico.
«E tu, una Figlia della Luce che per di più porta il nome degli AlʹKishira, vorresti ʺandare al nordʺ... e con me?» disse continuando
a ridere, finchè non si trovò Hilda ad un palmo che di nuovo la fissava, glaciale come la morte.
«Non cʹè niente da ridere, è esattamente quello che succederà e credimi, non cʹè niente di divertente, ma finchè farai quel che ti
dico andrà tutto bene. Hai finito con le domande ora?»
Un rumore di fronde che si muovevano, uno sbattere di ali e un verso stridulo precedettero una coppia di corvi che si alzavano in
volo a non molta distanza da loro.
«Maledizione! Sbrighiamoci» la voce di Hilda si era fatta secca, prese Mab per lʹavambraccio e le mise in mano le redini di Oberon.
Il fatto che la donna temesse i corvi era un pessimo segno: Mab sapeva che i corvi facevano parte in un certo senso della progenie
dellʹOmbra. In un mondo che rifiutava lʹesistenza del Tenebroso era del tutto impossibile avere conoscenze di argomenti del
genere che la confederazione vietava nel modo più assoluto. Doveva ringraziare Krooche per quel che sapeva, grazie a lui era
riuscita ad avere copie di libri proibiti, testi riguardanti profezie, studi sullʹuso del Potere e ricerche storiografiche risalenti a epoche
precedenti che lʹOrdine dei Figli della Luce provvedeva a bruciare... ufficialmente. Se Hilda temeva i corvi, significava che temeva
il Tenebroso perchè in qualche modo ci aveva a che fare, ma non poteva credere che proprio lei fosse una Serva dellʹOmbra. Certo
non le stava simpatica e non stava facendo niente per guadagnarsi la sua fiducia, però che si fosse legata allʹOmbra non le
sembrava possibile: quando aveva deciso di renderla schiava piuttosto che ucciderla, lʹaveva fatto per pietà, per bontà a modo suo.
No, non poteva essere.
Cʹerano una marea di cose che Mab avrebbe voluto sapere da lei, ma impallidivano tutte di fronte al dubbio di essersi appena fatta
incastrare da una Serva dellʹOmbra e ora non riusciva a pensare ad altro mentre procedeva osservando quasi ipnotizzata il sole
ricamato sul mantello bianco che pendeva alle spalle di Hilda.
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«Anche io sono contento di vederti» le disse osservando il dardo della balestra puntato verso di lui.
«Ho creduto che fossi morto» sentì rispondere mentre spostava una panca contro la porta. Sono ancora avvelenato o è davvero
preoccupata?
«Gurlav è morto e Tamara è scomparsa, immagino che io sarei stata la prossima se non ti avessi aspettato qui»
«In quanti siamo rimasti?»
«Fino a ieri nove. Poi ho trovato un messaggio di Tamara e mi sono nascosta. Lei sapeva cosa stava per accadere»
Nove e nessun anziano, non accetteranno mai la nostra posizione. «Quanti.. che significa lo sapeva?»
«Penso che l’abbia sognato, sapeva che la sua ora era vicina. I bambini ci sono ancora tutti, dopo Elsa siamo quelli con più
esperienza. Siadon, non possiamo farcela.»
Tolti loro rimaniamo in quattro, quei maledetti sono stati veloci. In soli due giorni, probabilmente meno, li avevano resi inoffensivi.
Non sarebbero riusciti a convincere nessuno, non senza anziani e per di più con diversi Fratelli e Sorelle che non avevano mai
abbandonato il monastero, che non avevano ancora provato davvero di essere meritevoli, dei bambini secondo i canoni della
Famiglia. Gli altri avevano deciso di non credere nella rinascita del Padre ma la via da seguire ancora non era stabilita. Parecchi
sostenevano che bisognava continuare sulla strada percorsa negli ultimi decenni però Siadon sapeva che c’era almeno un’altra
corrente di pensiero. Se qualche giorno prima era un sospetto, dopo aver visto degli esterni nelle segrete del monastero ne aveva la
certezza, quei due dovevano avere la protezione di qualcuno per sopravvivere e di certo quel qualcuno non voleva mantenere le
cose inalterate.
«Hai ragione, non possiamo convincerli» Le rispose infine mentre ispezionava diversi recipienti stipati in una cassapanca,
posandone alcuni sul pavimento.
«Dobbiamo trovare Elsa e cercare un modo per andarcene da qui. Cosa stai cercando?»
Aveva pensato diverse volte a quel momento, intimorito ma anche curioso di sapere come si sarebbe sentito e come avrebbe
reagito Thea. Ora che non era più un’ipotesi, ora che lo stava vivendo davvero, si sentiva quasi deluso nel non provare particolari
emozioni. Estrasse un cofanetto di legno rosso intarsiato, i motivi dell’intaglio richiamavano una foresta acquitrinosa. Ogni volta
che lo osservava non poteva evitare di domandarsi cosa passasse per la testa all’artigiano per spingerlo a credere che qualcuno
avrebbe pagato per una decorazione simile.
«Un modo per ucciderli tutti.»
Thea lo studiò per qualche istante «Sei drogato?»
Non sembra poi molto stupita, possibile che non ci sorprenda più nulla? Eppure si ricordava un tempo in cui aveva osservato rapito
un menestrello far ruotare in aria qualche palla colorata, quando i colori della primavera bastavano per farlo sorridere. Ricordava
Thea i primi anni al monastero, le volte che avevano gioito o pianto assieme. Cosa siamo diventati? Che senso ha se l’ombra può
generare simili creature?
«Siamo condannati Thea, ogni Fratello ed ogni Sorella ci rinnegherà e cercherà di ucciderci l’attimo dopo averci riconosciuti. Voglio
solo fare in modo che non siano troppi.»
Lei continuò a studiarlo «Non mentirmi»
«Questo posto è maledetto dalla Luce, tutti noi lo siamo. Alcuni discepoli dell’ombra camminano tra noi indisturbati,
probabilmente coperti da qualche Fratello o da qualche Sorella. Non possiamo permetterlo.»
«Come l’hai saputo?»
Perché nemmeno questo ti stupisce? Allontanò ogni emozione ed elencò mentalmente tutte le armi che teneva nascoste nella
stanza. La più vicina era una spada corta in un fodero inchiodato sotto la cassapanca che stava esaminando.
«Non guardarmi così, Tamara mi ha lasciato il diario su cui annotava i suoi sogni. Sapeva cosa stava per succedere e ci ha inviati
ad interrogare quei ribelli perché ci riteneva in grado di prendere la decisione giusta se le cose fossero andate male.»
«Uccidere tutti o andarcene?»
«Non è scritto ma dice che tu avresti incontrato qualcuno che ti avrebbe aiutato a ricordare qualcosa e che se fossi sopravvissuto
avresti diviso per sempre la Famiglia. Diceva sempre che i sogni sono difficili da interpretare, credevo intendesse che ce ne
saremmo andati ed avremmo creato una nuova setta ma immagino che anche dividere la Famiglia tra vivi e morti possa andare.»
«L’unica Sorella che ho incontrato mi ha ricordato che i veleni possono uccidere in molti modi. Dubito che intendesse questo.»
«Come hai scoperto che ci sono Fratelli votati all’ombra?»
«Ho visto due uomini vestiti di grigio nel corridoi proibiti agli esterni, erano soli e camminavano a loro agio, devono avere
l’appoggio di qualcuno.»
Thea lo fissò perplessa «Non mi pare questa grande prova.»
«Mentre ero privo di sensi ho creduto di essere in una miniera infestata dai trolloc, c’erano anche quei due tizi ed uno di loro era
uno di quei mostri pallidi senza occhi. Poi mi sono svegliato.»
«Sei sicuro di non essere ancora avvelenato? Vuoi uccidere tutti per un’allucinazione?»
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Tutto sommato qualcosa può ancora stupirci pensò Siadon sollevato.
«Non era un’allucinazione e nemmeno un sogno, non so come ma era diverso.»
«Io ti credo ma non sarà facile spiegarlo agli altri, proviamo almeno a cercare quei due.»
Quel pomeriggio si appostarono nella stanza usata come nascondiglio il giorno prima. Siadon dubitava che sarebbe servito a
qualcosa ma era certo che nelle sue stanze sarebbe stato molto meno al sicuro. Mentre osservava i corridoi farsi sempre più scuri
pensò al modo migliore per abbandonare il monastero ma più ci provava, più forte si faceva in lui la convinzione di perdere
qualcosa di importante. Apparteneva a quelle mura, era l’unico posto al mondo nel quale poteva vivere senza bisogno di mentire.
Era perso nei ricordi quando vide delle luci farsi sempre più luminose, svegliò Thea sfiorandola e lei lo raggiunse senza fare alcun
rumore. I passi si avvicinarono sempre di più fino a quando due persone apparvero da dietro un angolo per poi scomparire nel
corridoio successivo, seguite da altre due ed una quinta a chiudere la strana processione. Tutte vestivano tuniche grigie.
Aspettarono qualche attimo, poi li seguirono nel labirinto di cunicoli fino a quando il gruppetto attraversò un portone
chiudendoselo alle spalle. Nell’oscurità avanzarono fino a raggiungere l’ingresso, poi rimasero immobili ad ascoltare.
Sembrava che all’interno stessero tutti parlando contemporaneamente, sicuramente erano più di cinque, probabilmente una
ventina. Luce, stanno pregando! Il pensiero colpì Siadon all’improvviso, così come le parole della litania. Conosceva la religione dei
Figli della Luce, i pellegrini che raggiungevano il monastero si aspettavano di incontrare dei preti, quindi tutti i Fratelli e tutte le
Sorelle studiavano i dogmi e le preghiere di quella fede. Quello che stava ascoltando ora però era l’esatto contrario, era una lode
all’ombra, un giuramento di obbedienza, la richiesta di esaudire un desiderio in cambio di qualcosa, non riusciva a cogliere ogni
parola ma dal tono delle voci gli sembrava che la cerimonia stesse per raggiungere un momento importante. Improvvisamente la
preghiera si interruppe, il silenzio era rotto solo dal pianto di una donna. Poi anche quel rumore scomparve, sostituito da alcuni
colpi sordi e da qualcosa di liquido che veniva versato sul pavimento.
Ancora avvolto dall’oscurità, sentì Thea disegnarli sul braccio alcuni segni. Uccidiamoli tutti
Le prese la mano e tracciò un «Sì» sul dorso, poi risalì il braccio fino ad arrivare alla nuca e la baciò.
Si allontanarono in silenzio dal portone e percorsero un lungo tratto di corridoio fino a raggiungere il primo incrocio, poi si
nascosero e rimasero in attesa. Questa è l’unica via d’uscita e la percorreranno a piccoli gruppi per non farsi scoprire. Pensò Siadon
sorridendo.
A prima vista il villaggio di Zemai era sembrato nient’altro che un semplice agglomerato di case incassate alla rinfusa in un’ampia
valle, costruito in vista delle lontane montagne a nord su una terra dormiente e lontana dalle città. Ma man mano che la comitiva
procedeva si era accorta ben presto che quella prima impressione era sbagliata: tra le molte case di semplice legno spiccavano
alcuni edifici dai tetti in pietra, posseduti probabilmente da qualche mercante, e sembrava che ogni singola persona di quel luogo
si fosse riversata sulle miriadi di viuzze che si diramavano in ogni dove. Zemai ricordava in tutto e per tutto un formicaio. Era pur
sempre un piccolo villaggio ma la sua organizzazione lasciava senza fiato, con addirittura due torrette di guardia ben nascoste che
però un osservatore attento poteva scorgere fare capolino sopra la linea degli alberi.
Merian cavalcava insieme a Brienne in groppa a Shan ‐ il suo cavallo era stato infatti lasciato andare prima di entrare al villaggio,
nessuno voleva rischiare che la gente del luogo notasse il marchio dei Manti Bianchi sull’animale ‐ e non vedeva l’ora di arrivare a
destinazione per poter fare finalmente un bagno caldo. Era emozionata mentre entrava nel paese: un luogo in cui poteva
finalmente camminare libera senza dover chinare la testa davanti a nessuno o aver paura di essere punita; inoltre era eccitata di
fronte all’idea di dormire in una locanda. Non si spiegava il perché ma le stuzzicava la fantasia più di ogni altra cosa,
probabilmente un ricordo delle storie che le raccontavano da bambina in cui in ogni avventura che si rispettasse sembrava esserci
l’obbligo di un soggiorno in una locanda dai nomi strani!
Quella in cui si fermarono non richiamava però alcunché di bizzarro e Merian fu quasi delusa quando, scesa da cavallo, si fermò
ad osservare l’insegna penzolante del grande edificio di mattoni rossi. Mostrava la scritta “Il Grigio Pellegrino” in brillanti caratteri
color argento sopra la figura di un vecchio dalla lunga barba appoggiato al suo bastone da viaggio.
Niente di strano dunque, solo un luogo che invitava i viandanti a riposarsi dopo una lunga giornata di cammino. Doveva essere
davvero stanca se cominciava a desiderare delle avventure, come se la situazione in cui si trovava non fosse già abbastanza
movimentata. Sorrise tra sé al pensiero mentre seguiva Rohedric e Ariel all’interno, tallonata da Brienne che borbottava sottovoce
lanciando occhiate feroci all’erborista.
Gli altri tre erano stati mandati in cerca di informazioni utili e di un nuovo cavallo per lei: a quanto pareva Jon era molto bravo in
queste cose e suo fratello si fidava ciecamente di lui nonostante la giovane età. Merian non sapeva nulla di cavalli ‐ solamente
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come evitare di cadere ‐ e per lei era sufficiente che il nuovo acquisto fosse più docile del precedente.
Se dall’esterno la locanda era sembrata insignificante, l’interno tuttavia mostrava tutto il suo splendore: la sala comune si
estendeva di fronte a loro illuminata a giorno dalla moltitudine di lampade appese tra le ampie finestre lungo i due muri laterali,
poste tra un tavolo e l’altro; nel mezzo, per tutta la lunghezza della stanza, si trovavano altri tavoli più piccoli che ospitavano
alcune persone sedute su panche, barili o sgabelli, intenti a bere e a giocare a dadi. Ai due angoli opposti della parete alla loro
destra vi erano due camini accesi che mantenevano l’ambiente nel giusto tepore, e in fondo si poteva scorgere una scala che
portava al piano superiore accanto a un tendaggio, nell’angolo di fronte al camino, che senza dubbio nascondeva una porta.
Non appena ebbero messo piede all’interno la locandiera si fece loro incontro mostrando un ampio sorriso. Era una donna di
mezza età, dai lunghi capelli corvini che mostravano un tocco di grigio sulle tempie e il seno più grande che Merian avesse mai
visto! Non era per niente bella e il vestito nel quale era strizzata rendeva evidente che fosse un po’ troppo in carne, ma ogni uomo
nella sala si era girato a guardarla mentre si avvicinava, e persino Rohedric non poté fare a meno di osservare intensamente
l’ampia scollatura mentre si chinava profondamente davanti ai nuovi arrivati.
Uomini! pensò Merian alzando gli occhi al cielo mentre nello stesso momento Brienne sbuffava sonoramente. Ariel sorrise alla
donna e fece un leggero inchino mostrando a sua volta la propria scollatura quasi fosse una gara, e la sala si riempì di mormorii.
Merian si sentì a disagio e si strinse nel suo mantello, e la loro ospite rise così forte tanto da far riprendere Rohedric dalla sua
distrazione.
«Che la Luce splenda su di te e la tua dimora mia signora,» disse con un leggero cenno del capo «io mi chiamo Loras e questa è
mia moglie Sarah.» Indicò Ariel questa volta e Brienne si limitò solo a fare una leggera smorfia, in fondo si rendeva conto anche
lei che vestita come un soldato non poteva certo sembrare una moglie credibile. «Veniamo da un lungo viaggio e gradiremmo
avere al più presto una sistemazione per noi e il nostro seguito. Ci serviranno tre stanze e apprezzeremmo molto anche un buon
pasto e un bagno caldo.»
Disse tutto questo con il suo solito garbo, sorridendo e parlando in tono suadente come solo lui sapeva fare, e la locandiera si
interruppe a metà della sua risata pendendo dalle labbra dell’uomo come fosse un pesce in attesa dell’amo: Rohedric faceva questo
effetto alle donne...
Madama Tinin chiamò con voce impacciata una delle giovani cameriere per accompagnarli al piano superiore, e dopo un ulteriore
inchino andò nelle cucine a sbraitare ordini.
Una volta che la ragazza se ne fu andata, Rohedric assegnò loro le stanze: Merian si ritrovò con sua grande sorpresa insieme a
Brienne – che stranamente non disse nulla ‐ e lui si sistemò con il fratello lasciando ad Ariel una camera tutta per sé. L’uomo non
diede il tempo a nessuna di riposarsi, e così, subito dopo aver lasciato i bagagli nelle stanze, si ritrovarono di nuovo nella sala
comune.
Dietro la tenda accanto alla scala si nascondeva effettivamente una porta che portava a una stanza privata, e fu qui che la
compagnia si accomodò per parlare in privato.
Madama Tinin venne personalmente a portare loro la cena, e si fermò qualche istante con la scusa di volersi intrattenere con dei
forestieri le cui notizie erano sempre ben accette. In realtà fu solo lei a parlare, incoraggiata dal sorriso di Rohedric, che la guardava
nel tipico modo di un uomo che desideri soltanto una cosa da una donna. Da come l’altra rispondeva a quegli sguardi languidi era
evidente che non le interessava molto né delle notizie dei nuovi arrivati, né del fatto che l’uomo potesse essere sposato: sembrava
che non esistesse altro che lui, e le altre donne dovettero provvedere loro stesse a versarsi il vino speziato nei loro calici.
Brienne era sempre più stizzita e mangiava ogni cosa con la stessa aria allegra di un condannato a morte, mentre Ariel
interpretava la parte della moglie gelosa che ogni tanto scoccava un’occhiataccia al marito e richiamava l’attenzione tirando su col
naso o schiarendosi la gola. Merian era l’unica che riusciva a godersi il pasto: pressoché indifferente a ciò che le accadeva intorno,
era occupata a divorare una coscia di pollo più grossa della sua mano; negli ultimi tre giorni si era cibata soltanto di quello che il
gruppo aveva portato con sé per il viaggio – vale a dire carne secca, pane e formaggio ‐ non avendo avuto tempo per cacciare, e
nemmeno a Ishamera si era mai potuta godere un pasto così fastoso. Ma una cosa che disse la donna la fece bloccare mentre
addentava una fetta di pane tostato.
A quanto pareva il villaggio di Zemai commerciava con la città più vicina dei Manti Bianchi, ShaidarShain, per questo era così
fiorente e pieno di vita, con i lavoratori che si davano da fare per soddisfare le sempre più crescenti richieste dei loro compratori. “Il
Grigio Pellegrino” era l’unica locanda del villaggio e di conseguenza i mercanti si ritrovavano qui a portare a termine i loro affari;
nulla di preoccupante dunque, non fosse per il fatto che alcuni di loro spesso erano accompagnati da guardie degli stessi Manti
Bianchi. La donna trovava la loro presenza rassicurante, convinta che quei soldati facessero al meglio il loro lavoro, ed era
terrorizzata dagli Incanalatori.
«Sono come animali, mio signore, lupi famelici che si nascondono la Luce sa dove in attesa che qualche malcapitato abbia la
sventura di trovarsi dalle loro parti. L’ho visto con i miei occhi,» annuì convinta la donna «circa un anno fa, quando uno di quelli
è entrato nella mia locanda facendosi passare per una mercante.» Merian mandò giù tutto d’un sorso il vino che aveva nel calice
guadagnandosi un’occhiata stupita da Brienne, cui non fece caso ‐ anzi fece per versarsi altro vino ‐ ma l’altra donna le strappò di
mano la caraffa. Arrossì violentemente e tornò a volgere lo sguardo imbarazzato sulla locandiera mentre Brienne la teneva
d’occhio dalla parte opposta del tavolo.
«Grazie alla Luce in quel momento erano presenti due Manti Bianchi, e uno di loro ha riconosciuto l’impostora. Sapessi quanto ci
è voluto per portarla via, continuava a blaterare che “l’Ombra stava tornando” e che tutti erano in pericolo e che dovevano
rivolgersi ai Ribelli se volevano salvarsi! Bah, un sacco di assurdità, non è vero mio signore?»
Rohedric le sorrise più ampiamente e, versando del vino nella coppa della donna, le disse:
«Hai perfettamente ragione, a certa gente non dovrebbe essere permesso di vagare libera per le strade.» Alzò la sua coppa per bere
e la donna imitò il gesto, ma Rohedric si limitò ad accostare le sue labbra al bordo fissando la locandiera con intensità. Madama
Tinin arrossì – cosa che sembrava impossibile per una donna del suo stampo ‐ e si inumidì le labbra smaniosa prima di bere.
Merian non poté fare a meno di sogghignare: quell’uomo ci sapeva proprio fare!
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Senza smettere di fissare la donna, Rohedric prese la coppa con entrambe le mani e si chinò in avanti verso di lei. Tamburellò con
le dita sul bordo guardandola ancora per un po’ e poi assunse la sua solita espressione pensierosa, alzando gli occhi al cielo e
inclinando la testa da un lato. Dopo un momento riportò quegli occhi penetranti su di lei e la donna quasi sobbalzò.
«Quello che hai detto mi ha riportato alla mente una storia… ma non voglio farti perdere altro tempo, senza dubbio hai del
lavoro da sbrigare.» La donna fece per ribattere ma Rohedric non le diede il tempo. «Avremo modo di parlare ancora, non
temere,» aggiunse provocante: in quella frase era inteso molto di più che una semplice chiacchierata, e la donna se ne rendeva
perfettamente conto a giudicare dalla sua espressione. Si alzò per andarsene, ma Rohedric la fermò facendo un cenno con la mano
come se gli fosse venuto in mente qualcosa da dirle solo in quel momento.
«Ah, Madama Tinin. Mi chiedevo… per caso ti ricordi come era fatta quella donna? Non vorrei mai dovermi trovare faccia a
faccia con lei senza saperlo.» La donna rise forte e rispose:
«Non devi preoccuparti di questo mio signore, i Manti Bianchi l’hanno portata a Jennji insieme al resto della sua banda. In ogni
caso,» aggiunse dopo un momento di esitazione «se proprio ci tieni mio signore, ricordo molto di più del suo aspetto fisico, conosco
il suo nome: si chiamava Eleanor.»
Merian sgranò gli occhi così tanto che temette di farli uscire dalla testa, e quasi si strozzò con un pezzo di pane nel sentire il nome.
Rohedric contrasse forte la mascella e sospirò irritato ma non le disse nulla; tornò a sorridere alla locandiera, la ringraziò per tutte
le sue attenzioni e quella se ne andò soddisfatta.
Non appena la porta si fu richiusa alle spalle della donna, nella sala scoppiò un tumulto:
«Dobbiamo andarcene subito via da qui, non possiamo rischiare che i Manti Bianchi ci scoprano.»
«Rilassati Brienne, come al solito prendi le cose dal verso sbagliato, nessuno sa chi siamo e...»
«Scusa tanto se voglio andarmene prima che lo vengano a sapere, Ariel! A volte mi chiedo cosa diamine ci sia dentro le tue erbe
per farti ragionare in questo modo!»
«Di sicuro quello che non metto nelle tue pozioni, altrimenti saresti più intelligente di così!»
«Come ti permetti! Tu! Sei...»
Nessuno seppe mai cosa fosse Ariel, perché Merian si intromise nel discorso:
«Eleanor era la mia compagna di cella! E’ fuggita con i Ribelli un anno fa!» gridò per sovrastare la voce delle donne.
Brienne e Ariel si zittirono per un momento, guardando entrambe Merian, ma prima che questa potesse proferire parola,
tornarono alla carica con più foga di prima, parlando una sull’altra contemporaneamente.
«E’ andata con i Ribelli e non ci hai detto nulla?»
«Una dannata Devota scappata con i dannati Ribelli! Quando pensavi di dircelo dannazione?»
«E perché non sei andata anche tu con lei?»
«Diamine ragazza, se avessi avuto un po’ di sale in zucca saresti scappata anche tu!»
«Sangue e maledettissime ceneri, donne! Smettetela per amore della Luce!» Le donne ammutolirono, improvvisamente consce
della presenza di Rohedric, che sembrava avessero dimenticato. L’uomo era rimasto in silenzio per tutto il tempo, senza dubbio
riflettendo su quanto aveva appena appreso e meditando sul da farsi, finché non ne aveva avuto abbastanza ed era esploso in uno
dei suoi rari scatti d’ira.
«E’ questa l’idea che avete di discrezione? Tanto varrebbe mandare fuori Merian a scagliare una sfera di fuoco!» Merian deglutì
con forza, imbarazzata; Brienne arrossì e dedicò il suo interesse all’orlo sbeccato della sua coppa, e Ariel sorrise compiacente come
se la colpa di tutto fosse stata delle altre due.
«Bene signore, ora che vi siete calmate possiamo tornare a parlare come persone civili.» Si appoggiò più comodamente allo
schienale della sedia e incrociò le gambe, sorseggiando il vino che aveva ancora nel bicchiere. Nessuna aveva il coraggio di aprire
bocca – persino Ariel non si azzardava a farlo ‐ e aspettarono con calma che l’uomo finisse di bere.
«Merian, il fiore che tu hai visto... il nostro popolo lo chiama Rosa‐Stella, è una rara pianta che cresce da qualche parte chissà dove
nelle Montagne della Nebbia. I mercanti che ogni primavera scendono fino al nostro villaggio la vendono a caro prezzo e a piccole
dosi, ma le sue proprietà curative sono così eccezionali che lo paghiamo ben volentieri. Certo, conoscere il luogo esatto in cui cresce
sarebbe per noi un sogno, ma non è per questo che te ne ho parlato.» Posò il bicchiere vuoto sul tavolo prima di continuare. «E’
stato grazie a questo indizio che sapevamo di doverci recare a nord per incontrare il Drago Rinato. Ora, se aggiungiamo che la tua
compagna scappata da Ishamera stava andando a nord insieme ai Ribelli, è evidente che la loro dimora si trovi tra le Montagne
della Nebbia. Ma non solo, possiamo concludere con certezza che il nostro Drago si trovi con loro, se non è addirittura uno di
loro.»
Sorrise compiaciuto e si versò dell’altro vino, guardando le tre donne una alla volta come per capire se avessero afferrato il
concetto.
Merian non riuscì a trattenersi oltre:
«Vuoi farmi credere che stiamo vagando a caso verso le dannate montagne del nord senza sapere esattamente dove andare,
avendo con noi come unico indizio soltanto un dannato fiore che cresce su chissà quale dannata cima?»
Brienne la fissò a bocca aperta, e stavolta anche Ariel non riuscì a nascondere lo stupore, sebbene lo mascherò all’istante girandosi
stizzosa verso la compagna e mormorando qualcosa a voce bassa. Merian colse le parole “vicinanza” e “male”, e guardò le due
donne di traverso.
Come se lei in tutta la sua vita non avesse sentito abbastanza imprecazioni da dovere essere obbligata a impararle da Brienne!
Ridicolo!
Rohedric richiamò l’attenzione con un leggero colpo di tosse, e all’istante tre paia di occhi lo fissarono: stupore, sdegno e rabbia si
riversarono su di lui. L’uomo alzò le mani disarmato e abbozzò uno dei suoi sorrisi, ma probabilmente sentì che era meglio non
sfidare la sorte e si fece serio in volto.
Si schiarì ancora una volta la voce prima di rispondere a Merian:
«Vedi ragazza, quando siamo partiti da Hamadrelle non sapevamo altro che quello che ci aveva detto Lord Mat, molto poco per
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dirla tutta, ma abbiamo comunque intrapreso questa missione perché ci fidiamo di lui... e del Disegno. Così come il tuo sogno si è
rivelato al momento opportuno, sono sicuro che anche la strada che dobbiamo percorrere si spiegherà dinnanzi a noi quando sarà
ora. La Ruota tesse i fili del Disegno come vuole, Merian, ma a volte alcuni riescono a piegarli secondo il proprio volere.»
Con queste parole misteriose Rohedric congedò le donne, e Merian se ne andò in camera sua a riflettere, mentre Brienne invece
preferì rimanere a giocare a dadi nella sala comune.
Non fece in tempo a poggiare la testa sul cuscino, e a cominciare a meditare su quanto le aveva detto Rohedric, che si addormentò.
In basso di fronte a lei si trovava la valle in cui aveva assistito allo scontro dei due uomini con quelle creature orrende, e si chiese se
fossero riusciti a sopravvivere. Erano trascorsi quasi due giorni da quando aveva avuto quel sogno, ma nulla poteva dirle se
quanto aveva visto fosse già accaduto.
Sospirò amareggiata e si accinse a scendere la collina, ma non appena fece un passo si ritrovò in un attimo nella valle sottostante.
Sorpresa si guardò intorno per capire cosa fosse successo e le si bloccò il respiro quando vide un uomo alle sue spalle. Era alto e
ammantato di nero, un’ombra tra le ombre degli alberi, e l’elsa di una lunga spada spuntava da dietro la schiena. Non riusciva a
vedere altro ma qualcosa in lui gli conferiva un’aria familiare. L’uomo fece un passo verso di lei e si fermò, incerto se proseguire o
meno: sembrava confuso e guardava da una parte all’altra come se cercasse una via di fuga.
Merian lo guardò più intensamente, e mentre l’uomo si girava ancora verso di lei, colse un bagliore nei suoi occhi, e allora non
ebbe più dubbi. Gli andò incontro spedita e si fermò a un passo da lui, sorridendo.
«Sei vivo!» disse sbalordita, quasi si fosse aspettata il contrario.
L’uomo aggrottò le sopracciglia e si grattò la corta barba, chiedendo confuso:
«Ti conosco forse?»
Merian osservò con intensità quegli strani occhi verdi screziati di giallo e si chiese come avesse potuto trovarli spaventosi la prima
volta che li aveva visti: lontani dall’essere inquietanti, li trovava di una bellezza singolare, perfettamente adatti a quel volto duro
ma gentile.
«Io sono Merian,» rispose dopo un lungo momento, e poi, prendendogli la mano «ti ho già incontrato prima d’ora, ma l’ultima
volta che ti ho visto ho creduto che fossi morto, insieme al ragazzo che era con te.»
L’uomo corrugò la fronte e le afferrò il polso saldamente, fece per aprire bocca ma Merian lo interruppe.
«Non devi aver timore, non sono una servitrice dell’Ombra se è questo che ti preoccupa. Non so ancora bene cosa mi stia
succedendo, ma non ha nulla a che fare con quelle abiette creature...»
«Come sai del ragazzo? E della Progenie dell’Ombra?» la interruppe l’altro con voce perentoria.
Aveva aumentato la presa su di lei e la fissava con quei suoi occhi dorati, che adesso non trovava più così affascinanti, e cominciò
ad avere paura. L’uomo non accennava ad allentare la stretta e Merian dovette raccontargli ogni cosa, anche se con riluttanza,
nella speranza che l’altro le credesse e non le facesse nulla di male. Dai suoi sogni non gli era mai sembrato un uomo malvagio,
ma preferiva non dare nulla per scontato. Continuò a fissare l’altro per tutto il tempo cercando di non mostrare timore – senza
essere sicura di riuscirci però‐ e quando infine ebbe terminato il racconto, l’uomo le lasciò andare il polso.
«E’ una situazione assai strana,» rispose pensieroso, grattandosi di nuovo la barba «ma voglio fidarmi di te. Il ragazzo, Davrath,
sta bene. Sono riuscito a parare l’affondo del Myrddraal e a finirlo prima che potesse nuocergli. Ora siamo accampati in una
caverna per ripararci da una forte nevicata fuori stagione, e appena possibile ci dirigeremo verso una delle nostre città.» Il cambio
di tono nella sua voce lasciò Merian stupita, poco prima era sembrato pronto ad ucciderla e adesso le parlava con gentilezza: anche
lei volle fidarsi di lui.
«Io e i miei amici ci stiamo dirigendo a nord, è da lì che vieni?»
L’uomo la guardò ancora una volta sorpreso e accennò un sorriso, si guardò rapidamente intorno e si incamminò verso un punto
non lontano al riparo degli alberi. Aspettò che Merian gli si avvicinasse prima di parlare, guardandola dall’alto verso il basso.
«Il mio nome è Morgan, Morgan Neglentine, e vengo da Tsorovarin, una delle principali città di quelli che i Manti Bianchi
chiamano Ribelli. Io e il mio gruppo siamo stati inviati a sud per pattugliare il territorio alla ricerca di Trolloc, ultimamente ne
sono stati avvistati parecchi e il mio clan da sempre si occupa di fornire guerrieri addestrati a difesa delle varie città.» Fece una
pausa come per giudicare le sue reazioni, ma Merian lo guardava impassibile e allora proseguì. «Come ti dicevo stavamo
rientrando dopo esserci scontrati con due manipoli di quelle bestie, ma una forte nevicata ci ha sorpresi per strada e siamo stati
costretti a ripararci.» L’uomo la fissò ancora una volta e Merian si sentì all’improvviso a disagio. In che modo poteva dirgli ciò che
pensava senza correre il rischio che l’altro scappasse a gambe levate, lontano il più possibile da quella donna pazza che aveva di
fronte? Da qualsiasi lato affrontava la questione risultava comunque complicata, per non dire assurda, ma tergiversare non
serviva a nulla per cui, arrossendo, si decise a parlare.
«So che ti sembrerà strano, ma il motivo per il quale abbiamo intrapreso questo viaggio ti riguarda personalmente. Siamo alla
ricerca del Drago Rinato e…» esitò, traendo un profondo respiro, prima di proseguire in un soffio «sono fermamente convinta che
sia tu, Morgan.»
Ecco, l’aveva detto. L’avrebbe visto fuggire con le ali ai piedi adesso?
L’uomo, al contrario, rimase impassibile di fronte alla rivelazione, ma forse era più per lo sbigottimento a giudicare dalla sua
faccia. Distolse lo sguardo da lei e non disse nulla per quella che parve un’eternità, e in quel silenzio Merian poté sentire i battiti
del suo cuore così forte che temette che anche l’altro potesse udirli. Che cosa sarebbe accaduto se l’uomo non avesse accettato quello
che il Disegno aveva in serbo per lui? Rohedric e gli altri avrebbero continuato la loro missione in ogni caso? Questi e altri pensieri
le riempirono la mente uno dopo l’altro, nell’attesa che Morgan parlasse, e sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa per non
spaventarlo più del dovuto, ma cosa? Mentre ancora cercava una risposta nella sua testa, Morgan finalmente si girò verso di lei e,
stranamente, sorrideva.
«Sai, per un momento ci ho quasi creduto,» disse con una nota di amarezza nella sua voce, «ma non credo sia questo il mio
destino.» Sembrava lontano da lei, perso nei suoi pensieri, e fissava un punto oltre le sue spalle. Merian si girò a guardare e per un
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momento le parve di vedere un’ombra più scura nel fitto degli alberi, ma scomparve così velocemente che non ne fu sicura.
Quando tornò a posare il suo sguardo su Morgan, l’uomo aveva riassunto la sua solita espressione sicura, come se nulla fosse
accaduto.
«Non essere così presuntuoso da conoscere il tuo destino Morgan,» fece lei non appena incrociò i suoi occhi «io stessa ho fatto
questo errore, e ti posso assicurare che per quanto tu lo rifugga, esso si piegherà su di te e farà in modo che si compia, che tu lo
voglia o no.»
Morgan fece per ribattere, ma all’improvviso divenne una forma sfocata, indefinita, e per quanto Merian cercasse di afferrargli il
braccio e trattenerlo, non vi riuscì, e l’uomo svanì davanti ai suoi occhi così com’era comparso.
Prima di uscire a sua volta dal sogno, tornò nella valle ammantata dalle ombre della sera e guardò la collina dalla quale era
arrivata. Sarebbe riuscita a risalirla facendo un solo passo? Non ebbe il tempo di provare: poco più in là del punto in cui lei e
Morgan si trovavano poco prima, ora le parve di scorgere la figura di un uomo che la osservava e per qualche strano motivo ne
ebbe paura. Non aspettò di vedere se la sua sensazione aveva fondamento.
Chiuse gli occhi e uscì dal sogno.
Si era addormentato senza accorgersene, probabilmente la stanchezza lo aveva sopraffatto non appena si era rilassato, e subito era
finito nel Sogno dei Lupi; lo confermava il fatto che, pur trovandosi nella caverna con le torce e i fuochi spenti, vi fosse comunque
una tenue luce diffusa, che proveniva da tutte le direzioni. Mentre si stava chiedendo come mai si trovasse lì, un lupo mai visto
prima gli si parò davanti: era un animale massiccio dal manto nerissimo, più grande anche di Nebbia d’argento, con gli occhi
dorati che brillavano nella penombra.
«Seguimi.», gli disse la voce del lupo nella propria mente, «E non fare domande: a suo tempo avrai tutte le risposte. C’è qualcuno
che devi incontrare presto.».
Mentre ancora stava parlando, l’enorme lupo si avviò fuori dalla caverna, senza dargli il tempo di ribattere, e a Morgan non restò
che seguirlo. Una volta fuori, il lupo si diresse verso un boschetto di abeti, girandosi per accertarsi che il giovane lo stesse seguendo
«Qui, Piccolo Orso: prima di andare all’incontro esamina attentamente questa zona.».
Strano come nel sogno non stesse nevicando: il cielo era plumbeo, ma una fioca luce dava un’aspetto evanescente al paesaggio
montano; l’aria, l’erba, le fronde degli alberi, tutto era immobile. Giunto accanto al lupo, il ragazzo, invero un po’ stupito dello
strano comportamento dell’animale, girò circospetto nella piccola radura racchiusa dagli alberi, senza trovare però nulla di insolito.
Stava per riferirlo al lupo, quando il suo naso colse, pur attenuato, un odore insolito... freddo gli venne da dire, che lasciava la
sensazione di qualcosa di innaturale. Sgranando gli occhi, si volse verso il grande lupo dicendo
«Quest’odore: non l’ho mai sentito prima d’ora e non riesco a capire di cosa si tratta!».
L’animale gli rispose attraverso un flusso di pensieri:
«Imprimitelo bene nella memoria: l’essere cui appartiene questo odore è molto pericoloso. Stai molto attento qualora dovessi
incrociare il suo cammino!».
Il lupo lasciò a Morgan ancora un momento, quindi disse al ragazzo:
«Stammi vicino ora, ti porterò al luogo dell’incontro.».
Non appena il giovane si avvicinò al lupo il mondo attorno si fece come sfocato, e di colpo si ritrovò ai margini di un bosco in vista
della valle dove, quella mattina, avevano incontrato i trolloc. Ora, nel Sogno dei Lupi, non si vedevano cadaveri, e tutto era
tranquillo.
D’improvviso, a pochi passi da lui comparve una ragazza. Un attimo prima non c’era nulla e, in un batter di ciglia, ecco proprio
davanti a lui comparire una sconosciuta. Era una donna giovane e decisamente bella; alta, con la pelle ambrata e folti capelli
biondi, lunghi fino alla vita, che incorniciavano un viso dall’ovale perfetto in cui risplendevano occhi verdi come smeraldi. Non
conoscendola, pensò di nascondersi e subito un mantello nero con cappuccio gli apparve addosso. Nel frattempo il grosso lupo si
era come volatilizzato. Si stava per nascondere dietro un tronco, quando la ragazza lo notò. Maledizione, pensò, facendo un passo
verso la donna e guardandosi attorno, per vedere se ci fossero altre sorprese. Avvicinandosi a lei, si calò il cappuccio del mantello
sulle spalle.
La ragazza lo squadrò per qualche istante, quindi, improvvisamente, si avvicinò a lui dicendo sbalordita:
«Sei vivo!».
Morgan aggrottò le sopracciglia e sollevò una mano a grattarsi la corta barba perplesso
«Ti conosco forse?» domandò alla donna.
La giovane pareva persa nei propri pensieri e passò un breve attimo prima che si riscuotesse
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«Io sono Merian.»
rispose infine prendendogli la mano
«Ti ho già incontrato prima d’ora, ma l‘ultima volta che ti ho visto... ho creduto che fossi morto.» proseguì con la suo voce
morbida, «E così anche il ragazzo che era con te».
Morgan, stupito, le strinse il polso sottile con una presa salda ma gentile, e stava per chiederle spiegazioni, quando ella aggiunse
velocemente:
«Non devi avere timore, non sono una Servitrice dell’Ombra, se è questo che ti preoccupa! Non so ancora bene cosa stia
succedendo, ma io non ha nulla a che fare con quelle abiette creature!».
Aumentando un po’ la stretta, e guardandola dritta negli occhi, il giovane la interruppe parlando con voce ferma
«Cosa ne sai del ragazzo? E della progenie dell‘Ombra?».
Merian, o quale che fosse il suo vero nome, ammutolì, un po’ spaventata da quella reazione improvvisa; però, dapprima un po’
riluttante poi più decisa, gli raccontò di come aveva sognato lo scontro avvenuto tra lui e i suoi uomini e i manipoli di trolloc
incontrati quella mattina, e di come si fosse svegliata quando il Myrddraal stava per colpire alle spalle il giovane che avevano
soccorso. Parlando, non staccò mai lo sguardo dal suo, e Morgan, non avendovi letto segni di menzogna, decise di fidarsi della
ragazza. Del resto alcune tra le Camminatrici dei Sogni tra i ribelli, a volte, avevano sogni premonitori.
«E’ una situazione assai strana...», commentò pensieroso, lasciandole andare il polso e grattandosi nuovamente la barba.
«Ma voglio fidarmi di te. Il ragazzo, Davrath, sta bene. Sono riuscito a parare l’affondo del myrddraal e a finirlo prima che
potesse nuocere; ora siamo accampati in una caverna per ripararci da una forte nevicata fuori stagione e, appena possibile, ci
dirigeremo verso una delle nostre città.».
Dopo un momento di silenzio la giovane disse: «Io e i miei amici ci stiamo dirigendo a nord, è da lì che vieni?».
Accennando un sorriso Morgan le fece segno di seguirlo, si avvicinò agli alberi cercando un posto comodo quindi si sedette per
terra indicandole di mettersi a proprio agio.
«Il mio nome è Morgan.», disse una volta che anche lei si fu seduta, «Morgan Neglentine, e vengo da Tsorovarin, una delle
principali città di quelli che i Manti Bianchi chiamano ribelli, io e il mio gruppo siamo stati inviati a sud per pattugliare il territorio
alla ricerca di trolloc, ultimamente ne sono stati avvistati parecchi e il mio clan da sempre si occupa di fornire guerrieri addestrati a
difesa delle varie città. Come ti dicevo,», proseguì, «Stavamo rientrando dopo esserci scontrati con due manipoli di quelle bestie,
ma una forte nevicata ci ha sorpresi per strada e siamo stati costretti a ripararci.».
La guardò attentamente per studiare le sue reazioni: pareva calma, anche se gli occhi tradivano una certa inquietudine.
«So che ti sembrerà strano», disse lei, «Ma il motivo per il quale abbiamo intrapreso questo viaggio ti riguarda personalmente»;
mentre diceva questo arrossì, diventando se possibile ancor più bella. Passarono alcuni battiti di cuore prima che, forse per timore
di qualche sua reazione simile a quella di poco prima, continuasse un poco incerta «Siamo alla ricerca del Drago Rinato. E...»,
esitò ancora per un breve istante, «Sono fermamente convinta che sia tu, Morgan.» concluse tutto d’un fiato.
Il giovane rimase interdetto, non sapendo bene come rispondere. Mentre pensava a cosa dirle qualcosa lo fece girare verso gli
alberi, dove intravide la figura del grosso lupo. Voltandosi nuovamente verso di lei, le disse sorridendo:
«Sai , per un momento ci ho quasi creduto! Ma non credo sia questo il mio destino.».
Mentre le rispondeva, la voce del lupo echeggiò nella sua mente facendolo girare nuovamente vero gli alberi
«Siamo rimasti qui troppo a lungo, Piccolo Orso: è ora che tu vada!».
Stava ancora ascoltando il lupo quando si accorse che Merian gli stava dicendo qualcosa. Prima, però, che potesse chiederle di cosa
si trattasse, il mondo attorno a lui si fece nuovamente nebuloso. Quando la realtà tornò più distinta, si accorse di trovarsi
nuovamente alla grotta, il lupo di fronte a lui con gli occhi gialli che scintillavano,
«Devi assolutamente rientrare nel tuo corpo ora: c’è bisogno di te nel mondo reale!».
Morgan si sentì allora come svanire e vide il proprio corpo dissolversi, mentre il lupo si era voltato per andarsene.
«Aspetta!», gridò Morgan, «Dimmi almeno qual è il tuo nome.»;
L’animale si girò un momento verso di lui e l’immagine che giunse alla mente di Morgan fu quella di un possente toro con le
ampie corna stranamente rilucenti.
«Giovane Toro...», borbottò mentre prendeva coscienza che qualcuno lo stava scuotendo con forza.
«Morgan!», gli giunse all’orecchio la voce allarmata di Murriel,
«Svegliati, le sentinelle hanno avvistato diversi manipoli di trolloc che si stanno avvicinando!».
Immediatamente, ogni traccia di sonno scomparve da lui, sostituita da un profondo senso d’urgenza; si alzò velocemente
impugnando la spada, lasciata poco lontano e, archiviando nei reconditi della propria mente quel che era successo nel sogno, disse
a Murriel:
«Maledizione! A quanto pare quelli incontrati non erano gli unici, allora. Va a svegliare tutti quelli che ancora dormono e fa
preparare i cavalli. Che tutti siano pronti il prima possibile! Intanto vado a vedere com’è la situazione fuori.».
Mentre la ragazza correva ad eseguire gli ordini lui si diresse a grandi falcate verso l’ingresso della caverna. Speriamo non abbiano
individuato l’ingresso, pensò, mentre attorno a lui i ragazzi già svegli si apprestavano a raccogliere le proprie cose.
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Sangue, Siadon non ci aveva pensato. Avevano sorpreso solo due gruppi, sette persone in tutto e per quanta attenzione vi avessero
prestato il corridoio ne era imbrattato in diversi punti. Ancora una volta maledisse il Potere per essere tanto utile nel nascondere le
tracce Quella dannata cosa è fatta apposta per servire l’ombra.
Thea lo raggiunse dopo aver nascosto l’ultimo cadavere, fissò per un attimo le mura poi lo guardò negli occhi, stava per dire
qualcosa quando in lontananza sentirono il portone aprirsi. Invece di parlare gli sorrise e soffiò sulle candele, l’oscurità più
completa li avvolse immediatamente. Siadon fece per muoversi ma il corpo di lei lo spinse contro il muro, sentiva il suo respiro sul
proprio collo mentre il portone veniva chiuso. Rimasero fermi per un lungo momento, ascoltando i rispettivi battiti accelerare
mentre la stringeva a sé con un braccio accarezzandole una coscia con l’altro. Lei alzò la gamba piegandola dietro la sua ed iniziò a
baciargli il mento, salendo lentamente fino a mordergli piano l’orecchio. Le accarezzò la schiena poi la sollevò da terra reggendola
con entrambe le mani, lei gli cinse le gambe attorno alla vita premendo il proprio corpo contro il suo mentre i loro cuori battevano
all’impazzata ed i respiri, nei brevi istanti in cui le loro labbra erano separate, si facevano pesanti. Il rumore dei passi indicava che
due persone erano sempre più vicine e una debole luce si faceva sempre più consistente.
Mi farai impazzire. Pensò Siadon mentre muovendo le gambe ruotava sé stesso in modo che Thea potesse appoggiare la propria
schiena contro la parete. Lei sciolse l’abbraccio allargando le braccia e si lasciò cadere all’indietro trascinata dal proprio peso. L’aria
le uscì dai polmoni con un gemito soffocato quando le sue spalle si fermarono contro le grosse pietre intagliate secoli prima. Nei
riflessi delle luci che si avvicinavano la vide aggrapparsi con una mano ad un vecchio candelabro fissato sopra di loro mentre con
l’altra gli stringeva la nuca, affondando le unghie nella carne tanto forte da farlo sanguinare, mescolando al piacere il senso di
bruciore che il sudore gli provocava a contatto dei graffi. Ormai i passi iniziavano ad essere davvero vicini e una lontana parte di
Siadon si accorse che i nuovi arrivati erano in tre, l’ultimo doveva essere un Fratello o una Sorella troppo abituata al Potere per
preoccuparsi di muoversi davvero in silenzio. Anche Thea se ne era accorta perché un attimo dopo si trovò a baciare l’aria mentre
le gambe di lei allentavano la presa attorno alla sua vita.
Credo di non aver mai desiderato tanto ammazzare qualcuno.
Allontanò tutte le emozioni, sentendole graffiare ed urlare contro la sfera immaginaria che aveva eretto attorno alla sua mente.
Ora era tutto più nitido, una frazione rispetto a come sarebbe stato usando il Potere ma abbastanza da poter percepire le due
persone che stavano per svoltare l’angolo e la terza che le seguiva. Immerso in un senso di calma assoluta sentiva l’odore
dell’umidità emanato dalle pareti mischiarsi a quello del sangue, della cera, del sudore e di Thea. Come in risposta le urla si
abbatterono selvaggiamente contro la sfera e fu solo la voce di un uomo a non fargli perdere la concentrazione.
«Fermi» era un tono piatto, privo di emozioni ma il rumore di passi cessò in modo tanto improvviso da far credere a Siadon che
almeno una persona si fosse immobilizzata con un piede ancora alzato. Un fruscio rivelò che qualcuno si stava inginocchiando,
probabilmente per esaminare da vicino una macchia di sangue.
«Spegnete..» continuò la voce ma ormai era troppo tardi, con uno scatto Thea aveva già oltrepassato l’angolo lanciando due
pugnali. Siadon saltò tra alcune figure indistinte gettandosi sull’uomo inchinato che stava ancora esaminando il sangue sulle
proprie dita. In qualche modo riuscì a scansarsi abbastanza rapidamente da evitare che la ginocchiata gli rompesse il naso,
assecondò l’impatto sfruttandolo per allontanarsi ed un istante dopo i due si stavano fronteggiando in un complesso scambio di
parate ed affondi. Per Siadon l’esistenza si ridusse ad una serie di movimenti istintivi, con l’unico scopo di uccidere l’avversario. Il
tempo divenne un concetto privo di significato, tutti i suoi sensi erano impegnati a portare a termine quel compito e solo una
lontana parte di lui si ricordava di poter essere qualcosa di diverso che un assassino. Udì un suono famigliare, come di un soffio
attutito seguito da un secondo e poi un altro ancora ed i movimenti dell’uomo si fecero meno precisi.
«Siadon non ucciderlo» conosceva quella voce, qualcosa gli diceva che apparteneva a qualcuno di importante ma non riusciva a
comprenderne il significato. «Siadon ascoltami! Non ucciderlo!» L’uomo era diventato lento, aveva rinunciato ad attaccare e si
difendeva in ogni modo, parando con le braccia quando i pugnali erano troppo distanti, respirava a fatica e sanguinava da diversi
tagli. «Siadon fermati!» Thea e bloccò il proprio pugnale poco prima che affondasse nella gola dell’uomo. Indietreggiò mentre le
gambe di quello cedevano facendolo rovinare a terra.
Avvolto dal nulla della sfera immaginaria analizzò sé stesso con fredda lucidità, non era ferito ma la velocità del combattimento
doveva averlo provato, di certo la stanchezza sarebbe arrivata presto. Era diventato un’arma come gli avevano insegnato in quel
monastero, allontanando sé stesso per evitare che il dubbio lo rallentasse, per evitare di vedere la sofferenza di chi aveva di fronte,
di chi stava uccidendo. Si concentrò sulle emozioni escluse dalla sfera osservandole una ad una con attenzione, in quel momento
erano la cosa più bella che avesse mai visto, erano la prova della sua esistenza. Tornare sé stessi dopo essere diventati un’arma non
era facile, le sensazioni meno intense rischiavano di rimanere distanti e con il passare del tempo ci si trasformava in persone
incapaci di provare emozioni. Lentamente permise ai propri sentimenti di raggiungerlo, li accolse gelosamente sperimentando il
dolore, la soddisfazione, la perdita, la felicità, la rabbia, il desiderio e la frustrazione rimanendo sorpreso nel vederne uno che non
si sarebbe aspettato di ritrovare. Thea pensò sorridendo mentre le sfera andava in frantumi inondandolo di vita e riportandolo alla
realtà.
Il pavimento del corridoio era ormai coperto di sangue, non sarebbero più riusciti a cogliere di sorpresa nessuno e dovevano
occuparsi dell’uomo privo di sensi. Thea lo stava fissando con aria pensierosa
«Vado a chiamare Elsa, sono sicura che vorrà conoscere il nostro nuovo amico»
«Bene vi aspetteremo nella sua locanda preferita, troveremo di certo un tavolo libero»
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25 di 81 22/04/2012 17.12
Gli sorrise sollevata e se ne andò. Lui la seguì con lo sguardo fino a che non si confuse con le ombre poi si girò e sferrò un calcio
all’uomo svenuto Non potevate aspettare?
Il pronostico di Hilda era stato esatto: era buio pesto quando le due donne raggiunsero Yree, un villaggio nel mezzo delle pianure
del nord. Se lʹobiettivo era arrivare alle città dei ribelli, che si trovavano per lo più tra le Montagne della Nebbia, di lì a poco la
strada avrebbe preso a salire, per quanto ne sapeva. Aveva raccolto ogni documentazione possibile in proposito, ma cʹera ben poco
di ufficiale e in ogni caso, pur avendo appreso a memoria la topografia di quelle zone, non era mai stata da quelle parti e il
panorama che ora aveva davanti agli occhi era ben diverso dai disegni tracciati sulle cartine geografiche: col chiaro di luna di
quella notte, il biancore delle alture innevate riluceva nonostante la distanza ancora notevole, le Città della Notte potevano essere
ovunque lassù.
Il freddo era pungente e lʹimpatto col calore di una sala comune dallʹampio camino acceso riuscì a strappare un sorriso a Mab
appena varcata la soglia della locanda del Buon Giaciglio. Non era la prima volta che viaggiava in compagnia di un Manto Bianco,
ormai non la stupiva più la velocità con cui il locandiere di turno si asserviva ad ogni comando degli ufficiali: in men che non si
potesse dire erano pronte per le nuove arrivate due stanze, un bagno caldo e una cena succulenta, come Hilda aveva chiesto.
La stanza non era di lusso, così come non lo era la locanda in sé, ma era molto meglio di quanto si sarebbe potuta permettere
viaggiando sola. Un attimo dopo essere entrata, la Figlia della Luce la raggiunse, portando con sé alcune delle sue cose
«Pensavi davvero che ti avrei lasciata sola?» aveva risposto al suo sguardo interrogativo.
Ora capiva il motivo per cui aveva chiesto per lei una camera con un letto grande. Era talmente spaventata, stanca e disorientata
in quel momento che onestamente non aveva nemmeno pensato che sarebbe potuta scappare nella notte. Quelle erano state le
prime parole di Hilda dopo... dopo i corvi.
«Dove pensi di andare vestita in quel modo?» nel vederla senza il mantello, Hilda era rimasta interdetta di fronte alla scollatura
del suo abito. Le fece indossare uno dei suoi: Mab era di poco più bassa dellʹaltra donna, quei pochi centimetri che le mancavano
in altezza li riempiva però con rotondità femminili che allʹaltra non è che mancassero del tutto, ma non erano tanto evidenti, così
lʹabito le calzava bene. Era più pudico, decisamente più pudico di quello che indossava prima, sobrio ed elegante, ma pur sempre
lʹabito di una donna soldato: la foggia era semplice, il tessuto era una soffice lana color verde scuro, la pratica gonna divisa per
cavalcare veniva parzialmente coperta da una sorta di lunga stola bianca che copriva le spalle e scendeva lateralmente fino ai piedi,
chiusa in vita con un intreccio di lacci, il che lo faceva aderire ai fianchi... pudico perchè mostrava poca pelle nuda, ma alla fine
non era certo monacale.
Mentre faceva il bagno riconobbe le essenze floreali tipiche del profumo di Hilda, che era immersa nella vasca oltre il divisorio di
legno: quel profumo era stata la prima cosa di lei ad averla colpita e doveva esserle rimasto ben impresso per averlo riconosciuto a
dieci anni di distanza. Forse era il fatto che le persone profumate erano una rarità, forse semplicemente le piaceva quella
fragranza, oppure a colpirla tanto era il contrasto tra quella delicata dolcezza e la rigida freddezza della donna che lʹemanava.
La cena fu tanto abbondante che in certi periodi della sua vita se la sarebbe fatta durare un mese intero. Insieme allo stufato di
patate, il cameriere posò sul tavolo un piccolo pezzo di carta arrotolato che Hilda fece immediatamente sparire con un rapido gesto
della mano, neppure Mab, che pure le sedeva di fronte, lʹavrebbe visto se non fosse stata particolarmente attenta in quel
momento. Lo sguardo che la bionda le piantò dritto negli occhi dimostrava che si era accorta che lei aveva visto quel passaggio,
lʹintimazione a tacere era implicita.
Quando tornò in camera, nonostante tutto quello che le era accaduto, nonostante il fatto che avesse un polso incatenato alla
sponda del letto, nonostante la presenza della sua «carceriera» nellʹaltra metà del morbido materasso, non tardò a prendere sonno.
Solo un pensiero si fece strada prima di addormentarsi: sperava con tutto il cuore che Hysaac stesse bene e che ora dormisse agli
alloggi dellʹaccademia. La cosa che le faceva più male era che se anche avesse saputo che così non era, non avrebbe potuto far nulla
per aiutarlo. Poi il sonno vinse sui rimorsi di coscienza.
Un rumore metallico accanto al proprio orecchio lʹaveva svegliata non troppo gentilmente: aprendo gli occhi aveva trovato Hilda
intenta ad aprirle la serratura con cui lʹaveva bloccata al letto. La donn era già vestita e qualcosa sembrava macchiare la sua solita
maschera di imperturbabilità.
«Vestiti» aveva detto secca «Dobbiamo partire»
Ancora poca gente riempiva le vie del villaggio quando le percorsero per uscire, ma invece di dirigersi verso nord, come Mab si
aspettava, Hilda imboccò uno svincolo che andava verso est. Procedendo, le abitazioni si diradavano, i palazzi lasciavano il passo
ai cortili e alle fattorie. La Figlia della Luce cambiò ancora direzione e prese uno sterrato che portava ad un casolare, prima di
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arrivarvi svoltò ancora in direzione di un piccolo recinto, dove un uomo stava radunando un gregge che di lì a poco avrebbe
probabilmente condotto al pascolo. Nel vederle arrivare lʹuomo si fermò e appena furono abbastanza vicine, con un cenno della
testa indicò Mab.
«Eʹ con me, tranquillo. Ma facciamo presto» disse Hilda scendendo da cavallo. Lasciò Ghibli, il suo grigio, a Mab e seguì lʹuomo
fino ad un capanno poco distante. Doveva essere un suo informatore, forse il messaggio che aveva ricevuto la sera prima
riguardava quellʹincontro, avrebbe potuto usare il Potere per ascoltare quello che si dicevano mentre camminavano e mentre
fingevano una compravendita di formaggio, ma temeva che lei in qualche modo potesse accorgersene.
Dopo pochi minuti Hilda tornò e ripresero il viaggio, verso nord questa volta. Nella luce limpida di quel mattino le montagne,
seppur ancora lontane decine di chilometri, si stagliavano nette alla fine della pianura. Stavano superando le ultime fattorie
quando ebbe appena il tempo di vedere Hilda che sguainava la spada, prima di essere strattonata con violenza giù da Oberon.
Mentre, spalle a terra, bloccava la mano di un uomo e il pugnale che questa stringeva, sentì il tintinnare di oggetti metallici che si
urtavano, poi il rantolo di dolore di qualcuno. Un attimo dopo, mentre stava cercando di far spazio alla calma necessaria per poter
incanalare, vide spalancarsi gli occhi e la bocca del suo aggressore, la forza dellʹuomo svanì di colpo, poi notò Hilda che con un
piede lo spingeva da una parte, estraendo intanto la spada con cui lʹaveva ucciso. A terra alle sue spalle cʹera un altro uomo morto.
Non cʹera niente lì attorno dietro cui nascondersi, come avevano potuto farsi cogliere di sorpresa in quel modo?
Come avrebbe dovuto immaginarsi, la donna bionda non le allungò una mano per aiutarla a rimettersi in piedi, ma lʹincitò a
voce a sbrigarsi mentre già risaliva su Ghibli e lo spronava al galoppo. Mab la raggiunse il più in fretta possibile e appena le fu di
fianco, senza che le avesse chiesto nulla, Hilda, continuando a fissare la strada che sfrecciava davanti a loro, disse
«Uomini Grigi. Sai di che si tratta, vero?»
Lo sapeva, si che lo sapeva, ma non ne aveva mai incontrati prima. Il suo stomaco diventò un blocco di ghiaccio.
«Dimenticati di avere un tetto sopra la testa la prossima notte: eviteremo i villaggi almeno fino a domani sera anche se questo ci
allungherà la strada, faremo solo qualche breve sosta per far riposare i cavalli. Non credo di doverti spiegare a questo punto da chi
o meglio da cosa devo scappare, quindi se ci tieni alla pelle incanala solo se strettamente necessario. Appena possibile ti dirò di più,
ora limitati a seguirmi.»
Non ci pensava nemmeno ad allontanarsi da lei a quel punto, non avrebbe fatto un solo passo lontano da quella donna ormai:
anche se era stata proprio lei a metterla in quella situazione, emanava una sicurezza tale che pareva essere in pieno controllo degli
eventi, una sicurezza sufficiente a rassicurare Mab, per quanto la cosa la infastidisse.
Marciarono quasi ininterrottamente per tutto il giorno, si spostavano ancora verso nord, ma deviando leggermente verso est
avevano lasciato le ampie distese di campi per avvicinarsi ad una zona più selvaggia, lontana dai centri abitati. Le montagne
erano sempre più vicine, il freddo sempre più pungente e cominciavano a vedersi tracce di ghiaccio e neve sul terreno man mano
che avanzavano.
Quando iniziava a far buio Hilda decise di fermarsi per la notte: risalendo un piccolo torrente che scorreva in mezzo ad una zona
boschiva dalla vegetazione non troppo folta, avevano trovato riparo tra gli anfratti di grossi massi che si poggiavano lʹuno contro
lʹaltro. Legati i cavalli, prepararono un letto di sterpaglie, sopra cui si strinsero attorno lʹunica grossa coperta che Hilda aveva nel
sui bagaglio: presto il calore del corpo dellʹaltra donna cancellò la sgradevole sensazione di disagio del trovarsi a così stretto contatto
con lei.
«Non è ancora il momento delle spiegazioni, immagino» disse Mab anche per stemperare lʹimbarazzo.
«Non mi sento al sicuro da certe orecchie dopo un solo giorno di marcia.» rispose lʹaltra, piuttosto bruscamente.
«Volevo solo sapere una cosa... per adesso»
Al silenzio di Hilda, Mab continuò
«Il ragazzo che hai visto con me quella sera alla locanda...»
«Se non ha fatto niente di stupido, non gli è successo niente, se è questo quel che vuoi sapere. Mi interessavi tu, non lui»
Aveva voglia di abbracciarla... il freddo, doveva essere il freddo.
L’unica candela accesa aveva ormai assunto una forma completamente nuova, la cera sciolta e poi indurita creava un’infinità di
increspature e bolle lungo tutta la parte rimanente. Siadon la stava osservando da ore, seduto sopra ad un tavolo in un angolo
buio della stanza. L’uomo legato ai pali aveva iniziato a riprendere conoscenza da poco, lo vedeva guardarsi attorno sospettoso
mentre provava a forzare le catene attento a non far rumore. Tutto sommato non era uno sprovveduto, pur svegliandosi legato di
fronte ad una serie di strumenti da tortura non si era lasciato prendere dal panico e stava studiando la situazione.
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Chi sei? Siadon se lo stava domandando da quando l’aveva trascinato lì, non era un suo Fratello e non era maledetto dal Potere
ma di certo era un buon assassino. Se i Figli della Luce avessero deciso di porre fine alla Famiglia, avrebbero potuto inviare gente
simile per screditare il monastero e dichiararlo devoto all’ombra per poi attaccarlo apertamente ma non credeva molto in questa
spiegazione.
L’uomo si stava guardando attorno, evidentemente convinto di essere da solo perché ormai non mascherava più i suoi tentativi
pur continuando a prestare attenzione per non far rumore. Probabilmente credeva che ci fossero delle guardie fuori dalla porta e
non voleva attirare l’attenzione. Siadon continuò a studiarlo dal suo nascondiglio. Gli era di fronte ma la luce della candela non lo
raggiungeva e tra i due c’era la debole fiamma, l’uomo non poteva vederlo. Divertente pensò appoggiando una mano sul tavolo ed
iniziando a grattare lentamente con l’indice, domandandosi che effetto avrebbe avuto quel suono ritmico sulla mente allucinata
dell’uomo. Con ogni probabilità Thea aveva usato un estratto di foglie dell’accecato, un veleno che lui stesso conosceva fin troppo
bene.
Il prigioniero non reagì subito, continuò a studiare le catene per qualche attimo ma poi si immobilizzò ed i suoi occhi iniziarono a
scrutare l’ombra. Siadon mantenne costante il ritmo contando ogni volta fino a tre prima di ricominciare a grattare il legno con
l’unghia. L’uomo chiuse gli occhi ed il suo respiro divenne più lento e regolare.
Non male, ora con tutte le dita.
L’effetto era piuttosto approssimativo ma per una mente in quello stato poteva bastare, probabilmente quel rumore si sarebbe
trasformato in una qualche bestia impegnata nello scavare una via d’uscita dalla propria gabbia. Siadon contava sulle esperienze
dell’uomo, se avesse assistito a qualche tortura di certo quei ricordi l’avrebbero messo in gran difficoltà.
Lentamente lo vide irrigidirsi, cercando a fatica di mantenere il proprio respiro sotto controllo fino a che gli occhi si spalancarono e
guizzarono in tutte le direzioni nella disperata ricerca del pericolo, mentre il sudore gli imperlava la fronte.
Molto bene Siadon si sgranchì i muscoli ormai intorpiditi dall’immobilità prolungata, poi tornò a sedersi nel silenzio studiando
l’uomo. Era evidentemente vittima di allucinazioni ma manteneva un certo autocontrollo, non sarebbe riuscito ad urlare con quel
morso in ferro tra i denti ma nemmeno ci provava e tutto sommato non si agitava molto. Ad ogni modo ci mise parecchio tempo
per calmarsi.
La candela aveva nuovamente cambiato forma e Siadon stava pensando a qualche altro gioco che gli permettesse di muoversi
quando sentì la voce di Elsa
«Siadon? Scusa il ritardo, abbiamo aspettato di esserci tutti»
«Benvenuta Sorella, entrate pure» rispose lui. La porta era spalancata, quei saluti servivano più ad evitare di colpirsi a vicenda per
sbaglio che per altro.
Tutti? Pensò vedendola entrare da sola. Stava per chiedere spiegazioni quando lei lo anticipò
«Gli altri sono sparsi nei corridoi qui attorno, temo che non sarà una cosa silenziosa» disse sorridendo all’uomo che la stava
studiando con sospetto. «E nemmeno molto piacevole.. per te»
Siadon si avvicinò alla candela osservando Elsa estrarre i propri strumenti dalla borsa e posizionarli con cura sul tavolo di fronte
all’uomo «Ti piacerà Sorella, è uno in gamba»
Il volto di lei si illuminò dalla felicità
Luce, fa che non mi trovi mai al posto di questo disgraziato
Il pomeriggio di due giorni dopo stava passeggiando con lungo le mura più alte del monastero. Il vento era ancora gelido e privo
degli odori della primavera ma il sole scaldava abbastanza da rendere piacevole lo stare all’aperto. Era una di quelle rare giornate
davvero limpide, tanto da poter scorgere il luccichio del mare interno. Tomas, un giovane Fratello considerato ancora un bambino
dalla Famiglia, lo stava seguendo in silenzio da parecchio camminando al suo fianco.
«Non pensi mai di farti una vita lontano da qui?»
«Per me è troppo tardi. Anche se me ne andassi porterei una parte di questo luogo con me.»
Il ragazzo parve sorpreso da quella risposta, ancora poco abituato alla sincerità dei Fratelli nelle discussioni quotidiane. Era
arrivato l’inizio dell’estate precedente, figlio di un alto ufficiale dell’Esercito della Luce tanto codardo da non avere il coraggio di
ucciderlo con le sue mani. Siadon non riusciva a decidere se per Tomas fosse stata una fortuna o una disgrazia. Per lui era stato
diverso, lui aveva già ucciso prima di varcare quella soglia. Il monastero era già casa sua prima di conoscerlo, forse addirittura da
prima che Gurlav lo trovasse in quel dannato vicolo, tanto tempo addietro.
Il ragazzo continuò abbassando la voce, quasi bisbigliando «Quindi.. quando noi ce ne andremo non cambierà nulla?»
Siadon sorrise «Cambierà tutto. Ci daranno la caccia e prima o poi ci troveranno ma nel frattempo continueremo a combattere
l’ombra.» lo guardò negli occhi «Tu ucciderai, oppure verrai ucciso. Sta a te la scelta.»
Tomas distolse lo sguardo puntandolo verso l’orizzonte «Non credo di esserne in grado»
«Chiunque lo è, soprattutto quelli come noi.» gli rispose soppesando la possibilità di spingerlo oltre la merlatura.
No, un bersaglio in più tornerà utile durante la fuga.
«E se avessero ragione i ribelli? Se non fossimo maledetti?»
«I ribelli.. Quelli che hanno rinnegato i Tiranni per poi costruire altre società basate sul Potere? Dagli tempo e ripercorreranno gli
stessi errori, si considereranno sempre più superiori agli altri per diritto di nascita ed alla fine tornerà la schiavitù. La gente non ha
bisogno del Potere, ha bisogno di uguaglianza.»
Il ragazzo non parve molto convinto, rimase in silenzio ad osservare uno stormo di corvi volteggiare sopra il passo delle tre pietre,
un valico non ancora percorribile per le abbondanti nevicate che collegava Hirlomap ad Harama. Poi continuò con voce incerta:
«Tu la pensavi così anche prima di arrivare qui?»
«Io vengo da Samrie, ho sempre detestato gli incanalatori. Quando ho scoperto di esserlo volevo uccidermi.. A dire il vero ci stavo
riuscendo piuttosto bene ma poi un Fratello mi ha trovato.»
Tomas apparve sorpreso. Poteva capirlo, gli avevano insegnato che la Famiglia cercava nuovi adepti nell’Esercito della Luce o tra i
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fanatici religiosi e soprattutto che gli incanalatori scoperti durante le missioni andavano uccisi al più presto.
«E ti ha portato qui?»
«No, mi ha interrogato, torturato e messo alla prova diverse volte, solo dopo parecchio tempo ho scoperto dell’esistenza del
monastero. Non mi ha ucciso subito solo perché seguiva la persona che ho accoltellato quella notte» l’espressione di Tomas era
sempre più incredula «visto che volevo morire avevo pensato di farlo portando qualche incanalatore con me.. anche se
sinceramente dubitavo di riuscirci»
«Dubitavi di poter uccidere una persona?»
Idiota «Esatto. Ora vediamo di trovare gli altri.»
Con il sangue blu ci si doveva nascere e Hilda cʹera nata: in quel preciso momento aveva la stessa eleganza di una regina seduta
sul proprio trono, quando invece si trovava a cavallo di una sella e in abiti militari sgualciti da tre giorni pressochè ininterrotti di
viaggio. Mab era stata educata per anni a comportarsi come una regina, qualcosa nel suo portamento certamente ci aveva
guadagnato, ma nei suoi modi non cʹera nulla di lontanamente paragonabile alla naturale regalità di Hilda. Persino la divisa
bianca dei Figli della Luce non poteva mettere in ombra la sua femminilità, men che meno turbarne lʹindiscutibile bellezza. Era
elegante, bella e autoritaria fino allʹarroganza, tutto molto di più di quando lʹaveva conosciuta una decina dʹanni prima. La
maturità aveva marcato le sue caratteristiche e aveva cancellato ogni traccia di incertezza nel suo modo di affrontare le situazioni:
con tutto quello che stava accadendo, la calma che almeno apparentemente sembrava mantenere aveva dellʹincredibile ed era
sincero motivo di ammirazione da parte di Mab, che invece si sentiva ormai in totale balìa degli eventi. Che Hilda fosse solo una
Figlia della Luce o una Serva dellʹOmbra, il risultato cambiava ben di poco, lʹunica cosa su cui valeva la pena concentrarsi era
come riuscire a scappare dalla trappola, se mai fosse stato possibile farlo.
Avevano raggiunto le prime alture, come previsto avevano preso a salire sentieri sempre più ripidi in mezzo a macchie di bosco
sempre più fitte e sempre più coperte di neve. Aveva ormai rinunciato a capire dove potessero essere, ma da quando avevano
raggiunto le montagne avevano cambiato nuovamente direzione, andando verso ovest. Era primo pomeriggio quando Hilda
decise una sosta accanto ad uno stagno, che raccoglieva le acque della piccola cascata creata dalla parete rocciosa che vi si
immergeva.
«Svelta, accendi il fuoco e non disturbarmi per nessuna ragione... a meno che non ci sia un qualche pericolo, ovviamente.» disse
Hilda mentre toglieva le bisacce dal suo cavallo e le posava a terra. Mentre Mab obbediva, vide la donna allontanarsi di qualche
passo per raggiungere il bordo dello stagno e cominciare a spogliarsi. Si tolse ogni singolo indumento posandolo, facendo la
massima attenzione a non sporcarlo, sul basso ramo di un albero a lei vicino. Quando fu completamente nuda avanzò in acqua,
in quellʹacqua che probabilmente, se non fosse stato per il continuo movimento a cui la sottoponeva la cascata, sarebbe stata
ghiacciata. Che accidenti aveva in mente? Se voleva lavarsi poteva farlo in modo più veloce e meno cerimonioso, visto il freddo
che faceva.
Cercando di ravvivare il fuoco di cui Hilda avrebbe presto avuto molto bisogno, Mab guardava incredula la figura longilinea della
donna immergersi lentamente in acqua. Un riflesso le fece notare un particolare che fino a quel momento le era sfuggito, un
anello al pollice della mano destra, lʹunica cosa che aveva tenuto addosso.
La Figlia continuò ad avanzare, lʹacqua le arrivava sopra la vita quando raggiunse la cascata: lasciò che per qualche secondo
lʹacqua le scorresse sul volto e poi tornò indietro. Mab non riuscì a fare a meno di andarle incontro con la coperta, anche se si
aspettava in risposta un ammonimento per non aver rispettato quello che le era stato detto poco prima. Si stupì nel vedere invece
Hilda accogliere il gesto senza fiatare.
Mentre la donna, ovviamente infreddolita, si posizionava accanto al fuoco, Mab le portò qualsiasi cosa la potesse asciugare e
riscaldare, ma Hilda continuava a tremare, perciò si vide costretta a sederle a fianco e stringerla, ma puntualizzò la sua irritazione
nel farlo
«Devi essere completamente pazza! Questa almeno spero me la spiegherai»
«Così è cominciato, così doveva finire» mormorò lʹaltra con voce tremante
«Cosa vuol dire?»
Hilda tacque qualche secondo poi continuò
«Quando rientrai dalla missione a Daing in cui ti conobbi, non riuscii a fare a meno di parlare a mio padre dei dubbi che avevo
sullʹOrdine, dubbi che a mio padre non solo non erano mai venuti e mai verranno, ma che nemmeno poteva ascoltare. Per farmi
rinsavire e comprendere a pieno lʹimportanza dellʹOrdine fece mettere il mio nome nella lista dei partecipanti ad una delle
missioni speciali, missioni in cui reclute scelte si trovano a combattere in prima fila. Il nemico in via ufficiale erano banditi e la
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feccia della società da cui la brava gente doveva essere preservata e in effetti anche quello capitava, ma quello che poi si andava a
cercare erano i Ribelli. Secondo mio padre in quel modo avrei visto coi miei occhi cosa faceva quella gente e quanto fosse
importante il compito dei Figli della Luce nel continuare a difendere il popolo non solo da loro eventuali attacchi, ma anche dalla
loro stessa esisteza. Dopo un paio di missioni andate a vuoto, li trovammo. La battaglia ebbe luogo a pochi chilometri da qui, i
Ribelli ci attaccavano per ucciderci come facevamo noi con loro, poi lʹarrivo di un gruppo di trolloc cambiò le cose e rese lo scontro
un bagno di sangue maggiore di quanto sarebbe stato. Ci salvammo in tre, un mio compagno e il nostro maggiore e fu grazie ai
ribelli. Di loro erano sopravvissuti un incanalatore e tre soldati. Appena conclusa la battaglia il maggiore trafisse lʹincanalatore, i
soldati ribelli ci attaccarono e mi trovai a dover uccidere un uomo che mi aveva salvato la vita poco prima. Il punto di vista del
maggiore era ben diverso dal mio: non esisteva redenzione per i ribelli e questo caso non sarebbe stato unʹeccezione. Ucciderli era
stato adempiere al nostro dovere.»
Si fermò per raccogliere in un panno i capelli ancora bagnati e rivestirsi. Non indossò più la divisa, ma un abito da donna in
velluto blu, con la gonna divisa per cavalcare. Era strano vederla così, tra lʹabito e il tremore, aveva unʹaria in un certo senso più
umana. Forse era anche per quello che stava finalmente raccontando, anche se lo faceva senza il minimo coinvolgimento emotivo,
almeno per quel che dava a vedere.
Si posizionò ancora accanto al fuoco in modo che le asciugasse i capelli nel più breve tempo possibile mentre li pettinava e
continuò.
«Come premio per quella vittoria ci diedero un periodo di licenza: la prima cosa che feci fu tornare sul luogo della battaglia, trovai
questo stagno e mentre facevo il bagno, riflettendo su quello che me aveva significato quel che avevo vissuto, decisi che avrei fatto
di tutto per risanare lʹOrdine che mi appariva ottenebrato da convinxioni che dovevano essere riviste oltreche infangato da
membri che non avevano più alcun rispetto dei principi fondatori in cui io credevo fermamente, ancora ci credo in realtà, ma a
volte temo di essere rimasta la sola. Credo che ormai la ferita sia insanabile, lʹOrdine sta marcendo al suo interno e ora, mentre
lʹOmbra avanza, devo ammettere che i ribelli sono lʹunica speranza.»
Doveva essere arrivato il momento delle spiegazioni che Mab tanto attendeva, finalmente quelle che riceveva da Hilda non erano
più mezze frasi e inutili risposte che la maggior parte delle volte lʹirritavano oltre che non darle nessuna informazione.
Lʹattenzione di Mab fu assorbita in modo particolare da una cosa che necessitava di qualche chiarimento in più
«Cosa vuol dire che lʹOmbra avanza?»
«Te ne sarai accorta anche tu, no? Mi hai detto che quella ferita te lʹhanno fatta dei trolloc, quante altre volte ne hai visti in
prossimità di un centro abitato? In questi anni, le mie indagini mi hanno portata alla triste verità dellʹesistenza di una rete di Figli
legati allʹOmbra, un fenomeno che temo si stia allargando sotto i paraocchi delle alte sfere dellOrdine, in coincidenza con la
presenza più massiccia di progenie dellʹOmbra. Non mi fido abbastanza di te per metterti al corrente di tutto quello che so e in
fondo di molto non ho nemmeno la prova, spero che i ribelli abbiano le risposte che sto ancora cercando. Per questo mi servi: tu
mi porterai da loro.»
«Come credi che possa portartici io? Non so nemmeno se lasceranno entrare me in una delle loro città! Per non parlare del fatto
che quanto a fiducia, il sentimento è reciproco e per quanto ne so niente di quello che mi stai dicendo potrebbe essere vero. Sei
ripiombata nella mia vita dicendomi che il nostro incontro non era un caso, che non posso usare il Potere su di te e gongolando
per tutta una serie di misteri simili...»
«Se ti svelassi tutte queste cose, mi crederesti poi?»
«Non lo so, forse no, ma almeno sarebbe qualcosa di più di quegli insopportabili sorrisetti che ogni tanto mi lasci intravedere.»
In tutta risposta ne comparve un altro, che la Luce la folgorasse! Poi cominciò una chiacchierata molto lunga, ma quelle che
ricevette non furono risposte, bensì domande e lʹargomento principale era Krooche. Seguendo il suo proposito di scovare le mele
marce dellʹordine, era giunta al suo nome, anche se le sue indagini erano partite dalla città in cui era di stanza, DinDieb, che pur
si trovava da tuttʹaltra parte rispetto a dove Krooche muoveva i propri traffici. Hilda volle sapere i nomi di tutti i suoi collaboratori,
di tutti i suoi nemici e lʹentità delle missioni che le faceva svolgere, poi finalmente si degnò di spiegarle come sapeva di lei, come
sapeva di Lamya Jabar
«Gli uomini parlano... tanto, davanti a un boccale di birra in più e una donna che gli faccia credere chissà cosa, parlano anche
troppo. Ho scoperto presto che non era troppo difficile ottenere informazioni anche piuttosto riservate, quando addirittura
pericolose. Le voci che mi giungevano su quellʹuomo erano impressionanti, già da tempo avevo raccolto materiale più che
sufficiente per poterlo accusare di tradimento, ma volevo andare a fondo, così attesi di vedere se grazie a lui sarei riuscita a
prendere anche un pesce più grosso che continuava a fuggirmi. Intanto cominciavano ad arrivare voci su Lamya Jabar, la sua
ʺdonnaʺ» calcando quella parola, la guardò dritto negli occhi con una chiara nota di disprezzo, ma Mab non replicò
«Ultimamente quando chiedevo di Krooche sentivo parlare più di questa donna che di lui. Due cose mi colpirono: una era il fatto
che la descrizione che me ne veniva fatta corrispondeva alla tua, lʹaltra riguardava una predizione che mi era stata fatta tempo
prima. Un uomo, rinchiuso a DinDieb con lʹaccusa di essere un Servo dellʹOmbra per strani poteri che aveva dimostrato di avere,
mi predisse che un giorno avrei incontrato qualcuno a cui la mia vita era strettamente legata anche se ancora non lo sapevamo:
mi disse che già una volta le nostre trame si erano intrecciate nel Disegno, influenzando a vicenda il nostro destino e che
avremmo avuto bisogno lʹuna dellʹaltra per raggiungere i nostri obiettivi. Non ci avevo mai creduto, non fino in fondo, non finchè
non ti ho ritrovata in quella taverna a Dobied. Ero partita da una decina di giorni per scendere fino a Kiendger, quando a Dobied
e venni a sapere che qualcuno mi aveva messo i bastoni tra le ruote per non farmi scoprire troppo probabilmente: Krooche era
stato arrestato addirittura dagli Inquisitori e il caso non era più di mia competenza. La sera dopo ti vidi in quella locanda: conciata
in quel modo, dovetti guardarti attentamente per essere certa che fossi tu, ma a quel punto non ho potuto più fare a mano di
ripensare a quella predizione.»
Mab non poteva credere alle proprie orecchie, allʹimprovviso la presenza di quella donna al suo fianco si era fatta terribilmente
pesante, un qualcosa di ineluttabile. Hilda doveva aver letto lo sconcerto nei suoi occhi perchè continuò
«La ruota sta intrecciando i fili del nostro disegno, ormai non potevo più girare liberamente per Dobied senza imbattermi in te!»
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rise, una risata fredda, tesa «Quando sei stata fermata ai cancelli, non potevo credere ai miei occhi: di tutti gli ufficiali che
potevano firmarti il permesso, doveva capitartene proprio uno coinvolto nella fuga di Krooche»
Cosa? Mab rimase senza fiato per qualche istante.
«Krooche è fuggito?»
«Eʹ quanto mi è stato riferito, strano vero?» tese le labbra in un sorriso amaro «Arrestato per evitare che potesse trascinare con sé
altri Fratelli per colpa mia e poi lasciato scappare. La notizia del suo arresto e della sua fuga mi sono arrivate a distanza di un
giorno appena lʹuna dallʹaltra. Qualche giorno dopo il suo arresto pare che sia scoppiata una sorta di rivolta interna, le notizie
ufficiali sono scarse, ma la situazione pareva volgere in favore di Krooche quando siamo partite da Dobied. Che hai da sorridere?»
Stava sorridendo? Non se nʹera accorta
«No, forse la sorpresa» in effetti si sentiva stralunata per quella notizia, in qualche modo la agitava e si, le faceva incredibilmente
piacere. Cercò di ricomporsi e di cambiare argomento
«Quel prigioniero ti ha predetto solo il nostro incontro? Non ti ha detto altro?»
«Nientʹaltro che ti devo dire» rispose calma lʹaltra, stringendo una delle tazze di tè che intanto avevano messo a scaldare.
Ovviamente era ancora intirizzita dal freddo e i suoi lunghi capelli biondi non erano ancora asciutti. Mab continuava a pensare
che fosse fuori di testa per quel che aveva fatto, un motivo in più per non fidarsi di lei.
«Cʹè altro che vuoi sapere?» le chiese
Mab attese un attimo e poi
«Perchè il Potere non ha effetto su di te?»
Hilda nascose un sorriso portando la tazza alle labbra
«Come ti ho detto poco fa, non mi fido di te, non ho nessuna intenzione di cedere anche il più piccolo vantaggio che ho. Altro?»
Lo sguardo torvo che le stava rivolgendo non scompose minimamente Hilda, che tornò a sorseggiare il suo tè, avvolgendo la tazza
con entrambe le mani. Mab notò di nuovo lʹanello che portava al pollice: era una fede larga che le prendeva tutta la prima falange,
liscia, piatta e di un lucido color argento, non aveva segni o decori particolari.
Distolse lo sguardo prima che lʹaltra potesse pensare che stava studiando lʹoggetto e chiese
«Da cosa o chi scappi, o forse dovrei dire scappiamo, di preciso?»
«Di preciso non lo so, ma devo essere arrivata vicina a qualcuno di parecchio pericoloso, vista la compagnia che mi ha messo alle
calcagna. O forse qualcuno sa quali informazioni ho per le mani, sa che sono vere e vuole chiudermi la bocca prima che le
divulghi. Mi sono fatta una marea di nemici e sono arrivata al punto che davvero non so più di chi posso fidarmi allʹinterno della
Confederazione, devo riuscire ad arrivare ai ribelli»
Si girò a guardarla come se questo dipendesse da Mab, la determinazione del suo sguardo la metteva in soggezione: anche lei
voleva raggiungerli, ma come già le aveva detto, non dipendeva da lei il fatto che ci riuscissero. Mab preferì cambiare discorso
«Cʹè unʹaltra cosa che forse tu potresti sapere: cosʹè successo a Daing, dopo?»
Dal balcone delle sue stanze osservò per una volta ancora il paesaggio che si estendeva sotto di lui, passando da un valico al
successivo, da una vetta all’altra. La luce del tramonto tingeva di rosa la neve, le immagini si mescolavano ai ricordi degli ultimi
anni che scorrevano davanti come un libro disegnato. Siadon era nato in quel luogo, sentiva di appartenergli e la cosa lo
affascinava e preoccupava al tempo stesso. In realtà era stato partorito in una città molto distante ma tra quei vicoli lontani era
anche morto. La sua vera vita era iniziata il giorno in cui qualcuno l’aveva chiamato Fratello. Sorrise rendendosi conto di non
ricordare chi fosse stato il primo o la prima ad averlo fatto, ma quelle emozioni ritornavano vive ogni volta che ci pensava, era
una delle poche cose a cui teneva davvero.
Molto più in basso le case di Hirlomap erano già avvolte dall’oscurità, rotta soltanto dal riflesso di qualche fuoco. La foresta
circostante saliva fino alle vette ancora illuminate e gli fece pensare a Rosa ed al vecchio marito, si sorprese di provare una punta di
dispiacere nel convincersi che probabilmente non li avrebbe rivisti mai più.
Addio pensò dando un’ultima occhiata.
Stavano per fuggire dal monastero o per morire nel tentativo. Dopo aver sigillato la porta che dava sul balcone, Siadon si assicurò i
pugnali e le lame che aveva preparato durante il pomeriggio, pensando un’altra volta a quanto avrebbe dovuto abbandonare.
Rigirò tra le mani una pipa in legno bianco intarsiato che aveva comprato non molto tempo prima a Kiendger. Il primo e l’ultimo
di voi dovranno bastare pensò posandola in una tasca e guardando con rimpianto la collezione di oggetti che teneva sopra al
camino.
Riesaminò l’equipaggiamento, assicurandosi che i veleni fossero ben protetti. Prese dal tavolo una piccola fiala e trattenendo il
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respiro ne versò la polvere contenuta su un braciere nascosto dietro alla poltrona
Vi ricorderete di queste stanze.
I corridoi del monastero erano deserti. L’uomo interrogato da Elsa aveva detto che quella sera ci sarebbe stata una cerimonia
importante, molti dei corrotti vi avrebbero partecipato ma non tutti. Purtroppo avevano anche scoperto che buona parte della
Famiglia si era convertita all’ombra e che l’entrata era sorvegliata da diversi traditori. Nell’ultimo periodo erano persino riusciti a
far passare gente senza che nessuno se ne accorgesse, l’uomo che avevano catturato era uno di questi.
Thea lo stava aspettando sotto ad una scala, come lui vestita completamente di nero tranne che per il volto. Presto anche quello
sarebbe stato ricoperto da bende scure, lasciando scoperti solo gli occhi. Dovremo prendere dei vestiti a Hirlomap, oltre che cavalli e
provviste. Luce fa che i Figli dell’avamposto non abbiano idea di cosa stia succedendo qui.
Le accarezzò il mento senza dire nulla mentre lei lo fissava negli occhi con un sorriso malizioso, rigirandosi una benda tra le dita.
Aspettarono in silenzio e dopo poco furono raggiunti da Elsa e dagli altri, avevano perso tre bambini in quei giorni, erano rimasti
solo in sei. Sapevano tutti cosa stavano per fare e Siadon fu sollevato nel vedere la fredda decisione nello sguardo di Tomas. Non si
fidava di quel ragazzo ma ora poteva sperare che non avrebbe esitato nell’eliminare una minaccia.
Pochi attimi dopo, lui e Thea stavano avanzando radenti alle pareti di un corridoio. Ne avrebbero dovuti attraversare diversi e di
certo i Fratelli e le Sorelle di guardia li stavano sorvegliando tutti. Tomas li seguiva poco più indietro stringendo un arco scuro con
una freccia già incoccata. Siadon si fermò appiattendosi dietro ad un angolo, ascoltando e catalogando ogni minimo rumore. L’olio
delle torce bruciava poco distante, con le fiamme mosse dalla costante corrente d’aria che percorreva quei cunicoli. Avvolto dal
nulla si concentrò su qualcosa di più ritmico, qualcosa che si stava avvicinando lentamente: un respiro. Attese qualche istante. La
sua mano scattò oltre l’angolo, conficcando una lama nella gola dell’uomo che stava per svoltare. Accompagnò il corpo a terra per
evitare di fare troppo chiasso, domandandosi chi fosse, quando un pugnale di Thea lo superò con un sibilo trafiggendo il cuore di
un Fratello comparso dal nulla. Rimasero immobili qualche istante studiando la situazione fino a che furono abbastanza sicuri di
essere di nuovo soli. Osservò Tomas fissare i due corpi ed il sangue che iniziava ad estendersi tra le pietre del corridoio, il volto teso
tradiva le sue emozioni, vedere morire due persone doveva aver messo alla prova la sua sicurezza. Dannazione ragazzo, svegliati!
Ora dovevano sbrigarsi, l’uscita non era molto distante ma quella non era la loro destinazione. Non sarebbero riusciti ad uscire
inosservati e non avevano alcuna possibilità di aprirsi un varco con la forza. Loro tre erano lì solo per confondere i corrotti,
speravano che qualche corpo li distraesse abbastanza da dare loro il tempo di scappare da un’altra via. Quando nel pomeriggio
avevano discusso quella possibilità Siadon aveva riso credendolo uno scherzo, tuttora dubitava che degli assassini esperti cascassero
in un tranello tanto semplice ma l’alternativa non gli piaceva affatto quindi aveva proposto di occuparsene di persona. Nel
frattempo l’altro gruppo sarebbe salito sulle mura ed avrebbe cercato un modo per calarsi tra le rocce e la neve raggiungendo il
pendio che li avrebbe permesso di fuggire.
Percorsero alcuni corridoi con una lentezza esasperante, fermandosi ogni pochi passi per ascoltare. In due occasioni aspettarono
immobili nell’ombra che delle persone si allontanassero dalla loro strada. Avevano ormai raggiunto le scale che salivano sulle
mura quando sentirono dei sussurri.
«Ho visto qualcosa muoversi t’ho detto! Meglio se non andiamo su da soli. Tu aspetta qui, io vado a chiamare qualcuno.»
«Vengo anche io..»
«No tu tieni d’occhio la scala e se vedi qualcuno urla più che puoi»
«Ma... allora rimani tu, vado io»
«Cos’è? Hai paura del buio?»
«No.. è che.. io sono più veloce»
«Ecco bravo, se vedi qualcuno urla e corri più veloce che puoi»
Siadon era ancora stupito dall’incertezza e dalla paura che aveva percepito in quel breve dialogo Che ci fanno due idioti simili nel
monastero? quando una figura piuttosto robusta gli passò davanti senza notarlo. Riprendendosi sfiorò l’avambraccio di Tomas
ordinandogli di fermarlo, sentì l’arco tendersi ma la freccia rimase incoccata, il ragazzo era bloccato. Dannazione imprecò mentre
un pugnale abbandonava la sua mano e raggiungeva alle spalle il malcapitato, facendolo rovinare a terra in una posizione
scomposta. Un fruscio alle sue spalle gli diede la conferma che Thea si era occupata della sentinella rimasta. Aspettò qualche
istante rimanendo in ascolto. Con uno scatto serrò la mano al collo di Tomas trascinandolo fuori dall’ombra per poterlo guardare
negli occhi.
«E’ già abbastanza difficile senza dover badare a te ragazzo, svegliati o non uscirai vivo da qui»
«Io.. scusa, hai ragione»
Scusa? Luce io ti.. Thea lo abbracciò da dietro, «Andiamo» gli sussurrò in un orecchio.
La corda passava nell’anello di un rampino incastrato in una crepa sulla cima delle mura, le due metà precipitavano tese,
confondendosi tra le rocce nell’oscurità sottostante. Siadon era rimasto da solo, avvolto dal vuoto percepiva appena il freddo
pungente del vento. Sperò che Elsa e gli altri avessero trovato un modo per uscire da quella parete, secondo i piani non sarebbero
servite più di tre o quattro calate per scovare una serie di cenge in grado di portarli al sicuro ma ora, studiando con brevi occhiate
l’abisso, iniziava a domandarsi se non si stessero calando in una trappola di sassi e ghiaccio. Come in risposta le corde si
allentarono, Thea aveva raggiunto la fine del primo tratto. Dopo averla raggiunta avrebbero recuperato la fune, cancellando ogni
possibilità di tornare sui loro passi. Scrutò le mura e le strutture interne del monastero, salutandole un’ultima volta mentre
controllava che non vi fosse nessuno pronto a sganciare il rampino facendolo precipitare, sarebbe bastato un calcio per farlo uscire
dalla crepa. Osservando quel piccolo gancio precario recuperò un po’ di corda, si sporse aggrappandosi con la destra appoggiando i
piedi su un blocco di pietra che sporgeva di poche dita dal muro. Le due funi scendevano tra le sue gambe tuffandosi nel vuoto
sottostante. Guardò un’altra volta il rampino mentre avvolgeva le corde dietro una coscia facendole risalire fino alla spalla opposta
e tenendole con la mano libera dietro la schiena. Non era la prima volta che scendeva in quel modo ma nessun castello aveva
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mura alte tanto quanto quella parete. Dopo poco raggiunse le prime rocce coperte di neve, le corde erano gelate ed iniziava ad
essere più difficile manovrarle. Doveva anche prestare attenzione ai sassi precari per evitare di farli precipitare verso i suoi
compagni.
Thea lo stava aspettando su una cornice che tagliava la parete fermandosi appena sotto una sezione strapiombante. Pensando al
rampino sulle mura non osò dondolarsi per raggiungerla così tornò a scaricare il peso sulle proprie gambe e percorse lentamente lo
stretto sentiero, le tracce di chi lo aveva preceduto erano ben marcate ma ad ogni passo non mancò di pestare ancora la neve prima
di procedere.
Tirarono un capo della corda per recuperarla fino a che rimase bloccata, la sezione gelata aveva raggiunto l’anello e non riusciva a
piegarsi abbastanza da scorrere. Dannazione imprecò Siadon tirando sempre più forte. Diede qualche strattone ed
improvvisamente la tensione cessò, la fune stava scendendo libera. Subito dopo iniziarono a sentire il rampino rimbalzare sulle
rocce sopra di loro. Luce! Si appiattirono alla parete mentre con un sibilo il gancio li sorpassava precipitando nel vuoto, seguito
dalla corda e qualche masso.
«Tomas ha insistito per scendere per primo, credo voglia dimostrare di essere utile trovando la strada che hanno percorso gli altri»
sussurrò Thea mentre lui avvolgeva la fune.
«Almeno reagisce, spero solo capisca chi è prima di farci ammazzare tutti»
«Siadon, è ancora un bambino e non è cresciuto per strada»
«Stava per dare l’allarme e lui non è stato in grado di fermarlo»
«Me ne ha parlato prima, dice che non riusciva a fare a meno di pensare che quello non era maledetto dal Potere»
«Luce.. è più idiota di quanto pensassi! Perché lo difendi?»
«Perché è simpatico» rispose lei sorridendo «e perché forse un innocente potrà tornarci comodo»
Siadon la osservò per un istante mentre si assicurava la corda recuperata in vita, lasciandola penzolare contro una gamba.
«Di certo non come guardia» rispose infine lui ridendo.
La seconda calata si fermava su una larga spaccatura inclinata che scendeva non troppo ripida verso destra, la neve accumulata
l’aveva trasformata in uno scivolo bianco, disturbato solo dalle orme del gruppo di Elsa. I buchi lasciati disegnavano una curiosa
scala che si perdeva molto più in basso, dove la spaccatura raggiungeva una larga cengia e girava attorno ad un costone di roccia
nera.
Tomas lo stava aspettando. Come lo raggiunse, Siadon gli passò la corda che teneva in vita e con un cenno di capo il ragazzo iniziò
a scendere affondando piedi e mani nella neve, stando attento a sfruttare le orme già presenti. Era circa a metà dello scivolo
quando Thea raggiunse Siadon ed insieme recuperarono la seconda corda. Iniziando a scendere si resero conto che Tomas si era
fermato poco sopra la cengia, quando lo affiancarono videro che lo scivolo si faceva più ripido e la neve lasciava il posto da uno
spesso strato di ghiaccio verde. Tomas si era avvicinato alla roccia ed aveva fatto passare la corda attorno ad un sasso incastrato in
modo piuttosto precario in una fessura.
«Bravo ragazzo» lo incoraggiò Siadon mentre quello si lasciava andare all’indietro affidando il proprio peso alla corda, con i piedi
che scivolavano sul ghiaccio. «Avevi ragione, è già servito a controllare quanto tiene quel sasso» sussurrò poi a Thea quando il
Tomas raggiunse la cengia sottostante.
Superando il costone videro che la cornice proseguiva ancora per un buon tratto, da dove si interrompeva il pendio innevato non
era molto distante, ormai erano ad un terzo della parete. Seguirono quel sentiero in piano studiando preoccupati le orme che
trovavano. I tre che li precedevano si erano fermati diverse volte ed in alcuni punti la neve era sporca di sangue. Procedettero
spediti fino a raggiungere una corda, questa volta fissata a tre rampini incastrati in diverse fessure. Perché l’hanno fissata? Si
chiese Siadon, immaginando subito dopo la soluzione Dannazione, hanno un ferito che non può calarsi da solo
«Sbrighiamoci»
Elsa era seduta raggomitolata in una larga spaccatura della roccia, in diversi punti le sue vesti erano ricoperte da un sottile strato di
ghiaccio.
«Un sasso ha rotto il braccio di Lern e Nar’ba lo stava portando qui, non ce l’hanno fatta» fu tutto quello che disse.
«Siamo scesi parecchio, non può mancare molto» rispose Siadon sporgendosi per guardare verso il basso. La parete si tuffava
ripida e non riusciva a vederla per un gran tratto ma il pendio era vicino, forse sarebbe bastata una sola corda. Scrutando nella
neve sottostante vide due forme scure immobili, era dispiaciuto per la loro perdita, soprattutto per quella del Fratello.
«Sangue e ceneri!» furono le prime parole di Merian appena sveglia.
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Non le capitava spesso di imprecare, in effetti quasi mai, ma gli ultimi giorni avevano messo a dura prova la sua pazienza, senza
contare poi i continui mal di testa che provava ogni volta faceva quei sogni: si, era davvero difficile rimanere calma.
La sua mente si stava pian piano svuotando dei brutti ricordi e le vecchie abitudini, e per la prima volta in vita sua cominciava a
sentirsi libera di esprimere se stessa. Brienne e la sua costante e opprimente presenza non c’entravano nulla, qualsiasi cosa dicesse
Ariel. Quella donna bisbetica era solo un altro dei suoi grattacapi e nient’altro!
«Si, è così... nient’altro» disse decisa mentre si sforzava di alzarsi dal letto.
Si portò le mani alle tempie e chiuse gli occhi per un momento prima di mettersi in piedi. Il sogno di quella notte le aveva lasciato
un malessere peggiore del solito, e aveva bisogno di andare immediatamente da Ariel prima di andare a parlare con gli altri.
A giudicare dal letto intatto accanto al suo, o Brienne si era svegliata molto presto quella mattina ‐ rimettendo in ordine in modo
impeccabile ‐ o non era ancora tornata dalla sera prima: la seconda ipotesi sembrava certamente la più probabile...
Sospirando si decise a prepararsi, e poco dopo uscì con passo malfermo dalla camera.
La stanza dell’erborista si trovava proprio di fronte alla sua, separata da questa soltanto da un ampio tappeto con motivi
complicati che non riusciva a identificare. Elaborati candelabri su piedistalli erano posti ai quattro angoli del lungo corridoio, con
grossi specchi alle loro spalle che servivano a diffondere maggiormente la luce. Tuttavia, il chiarore sui muri a quell’ora non era
dovuto alle candele, ma alla luce del sole da poco levato che proveniva dall’unica finestra in fondo al corridoio.
Alle pareti tra le altre porte vi erano appesi arazzi le cui trame si riuscivano a intravedere appena nella scarsa luminosità
mattutina: motivi floreali, bizzarri uccelli dalle ali variopinte e con becchi prominenti, e quelli che sembravano essere enormi gatti
dallo strano manto maculato. Merian si ripromise di guardare più da vicino quei disegni una volta fatto pieno giorno ma per ora
doveva occuparsi di faccende più importanti, come risolvere il dolore lancinante che sembrava aprirle in due la testa!
Non appena fece per bussare, la porta si aprì all’improvviso, e un uomo intento ad allacciarsi la camicia andò quasi a sbattere su
di lei, alzando lo sguardo appena in tempo per vederla e rivolgerle uno dei suoi soliti sorrisi ammalianti.
«Buongiorno Merian, dormito bene?» disse Rohedric con noncuranza. Alla donna ci volle un attimo per riprendersi dalla sorpresa,
ma rispose al saluto educatamente riuscendo anche ad abbozzare un sorriso. In quel mentre Merian si accorse di una figura
barcollante che avanzava dalle scale alla loro sinistra, e che con ogni probabilità aveva assistito alla scena, a giudicare dallo sguardo
inferocito che scoccò all’uomo una volta che si fu avvicinata. Rohedric salutò anche la nuova arrivata ma l’indifferenza era sparita
dalla sua voce, sostituita invece da… imbarazzo? Perché mai doveva sentirsi imbarazzato da Brienne? No, sicuramente aveva
interpretato male, doveva essere colpa di quel maledetto mal di testa!
«Io dovrei…> balbettò Merian per placare la tensione nell’aria. «Io dovrei parlarvi.»
I due si guardavano in cagnesco, o meglio, Brienne guardava l’altro in malo modo mentre Rohedric si limitava a sostenere lo
sguardo, ignorandola completamente entrambi. A volte si comportavano come dei bambini! Si schiarì allora la voce e aggiunse più
decisa: «Stanotte ho fatto un sogno.»
Impresse una certa enfasi sull’ultima parola e inarcò le sopracciglia per sottolineare l’importanza di quanto detto. Rohedric riportò
immediatamente l’attenzione su di lei, ma Brienne osservava ancora l’altro con sguardo omicida. Se si comporta così con lui, pensò
Merian distrattamente, chissà cosa farà con Ariel!
«Parleremo al mio ritorno,» disse intanto l’uomo finendo di abbottonarsi la camicia. «Rimani qui alla locanda con Brienne e non
parlare con nessuno.» Rivolse un’ultima fugace occhiata a Brienne e si diresse a grandi passi in direzione delle scale. La donna
continuò a seguirlo con lo sguardo, e fu solo dopo che scomparve alla vista che si voltò verso Merian, grugnendo:
«L’hai sentito, no? Parleremo al suo ritorno. Io vado a dormire. Tu cerca di non cacciarti nei guai. Buonanotte!» Diede le spalle a
Merian senza darle il tempo di ribattere, e un basso brontolio la seguì lungo il breve tragitto fino alla sua stanza, finché non
richiuse, sbattendo, la porta alle spalle. Probabilmente avrebbe continuato fino ad addormentarsi, pensò Merian mentre si
rivolgeva nuovamente alla porta, ora socchiusa, di Ariel. Bussò flebilmente e attese che l’erborista le desse il permesso di entrare,
prima di mettere piede nella stanza.
Ariel era seduta comodamente a un basso tavolino china su qualcosa, ma Merian poteva vedere dallo specchio lì accanto che era
intenta a scrivere su un pezzo di pergamena, e che sorrideva.
«Immagino tu non sia qui per augurarmi il buongiorno, vero Merian?» disse la donna scherzosamente senza alzare lo sguardo dal
suo lavoro. «Ho un forte mal di testa e…»
«Sei qui per uno dei miei intrugli» la interruppe l’altra sorridendo ampiamente. Non era una domanda.
Merian aggrottò la fronte confusa, in imbarazzo: se rispondeva di sì voleva dire che considerava gli impiastri di Ariel delle
brodaglie, come li chiamava Brienne, e senza dubbio la donna si sarebbe offesa… o forse no? A differenza di Brienne, l’erborista
era sempre gioviale e gentile, ma c’era qualcosa in lei, Merian non sapeva dire cosa, che la rendeva nervosa: come se fosse a
conoscenza di qualcosa che nessun altro sapesse e che trovasse questa cosa estremamente divertente. Ma se diceva di no…
Ariel si accorse del suo cipiglio e ridacchiò, voltandosi finalmente verso di lei, ma rimanendo ancora seduta al tavolo.
«Oh non preoccuparti ragazza, ho un gran senso dell’umorismo io, non come tu sai chi...» Non c’era bisogno di specificare a chi si
riferisse.
«Non startene lì impalata come un sacco! Posso avere la lingua avvelenata talvolta, ma non ho mai morso nessuno… bè, a parte il
fondoschiena di qualche bel giovane.» Le strizzò l’occhio con aria complice e rise più forte. Era incredibile come riuscisse a essere
provocante anche quando si divertiva a prenderla in giro. O forse non stava scherzando? Merian abbozzò un sorriso nervoso e fece
un passo verso la donna.
La stanza di Ariel era più grande di quella che lei condivideva con Brienne, ma aveva un solo grande letto ‐ ancora disfatto ‐ e
un’ampia finestra che dava su un cortile. Il resto dell’arredamento era semplice come quello della sua camera: un tavolo, un paio
di sedie, un piccolo armadio e una brocca e un bacile per lavarsi. La differenza era che le cose qui non erano ammassate, senza
contare inoltre che ci alloggiava una sola persona.
Per Merian comunque non era un grosso problema condividere una piccola stanza con un’altra persona, e quella che aveva adesso,
seppur piccola, era una reggia se paragonata alla cella nella quale aveva vissuto per tutta la vita. Era Brienne a lamentarsi, come al
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solito!
In quelle poche ore da che erano arrivati, Ariel era già riuscita a rendere la stanza adatta alla sua presenza: file di erbe
penzolavano dal soffitto, legate a una cordicella appesa da una parete all’altra, barattoli con dentro ogni genere di cose riempivano
il tavolino, e un piccolo pentolino era stato messo a bollire con dell’acqua in un angolo su uno strano aggeggio fatto di pietra.
L’odore pungente di numerose erbe differenti aleggiava per tutta la stanza, ma tutto sommato era abbastanza gradevole.
Ariel non accennava a volersi alzare, così Merian fu costretta ad avvicinarsi al tavolo, dove gettò un rapido sguardo a quanto stava
scrivendo la donna: una lista interminabile di parole scritte in una grafia incomprensibile lasciavano supporre fosse un elenco delle
cose da comprare.
Non appena fu accanto alla donna, questa si alzò e le poggiò prima una mano sulla fronte, poi le girò il viso da una parte e
dall’altra ‐ senza troppa delicatezza ‐ e infine le fece aprire la bocca facendole tirare fuori la lingua. Era una consuetudine, aveva
detto Ariel, per controllare che non fosse malata.
Appurato che tutto fosse normale, Ariel si accinse a prepararle il solito infuso disgustoso e, vedendo che Merian sempre ritornava
con lo sguardo al letto disfatto, la donna ridacchiò di nuovo e disse con malizia:
«Non c’è niente di meglio che la compagnia di un uomo per scaldarsi nelle fredde notti invernali… anche se ormai l’inverno è
finito.» Le strizzò di nuovo l’occhio e le porse la tazza fumante. Il sorriso che Merian le rivolse diceva che si trovava d’accordo con
lei, anche se, a malincuore, non aveva idea di cosa potesse significare giacere con accanto un uomo.
«Rohedric è un uomo affascinante,» proseguì Ariel con un sorriso astuto, «lo avrai notato anche tu, e certamente sa come
muoversi tra le lenzuola. Ma credimi, non è l’unico ramoscello che si può cogliere in un prato.»
«Vuoi dirmi che non senti niente per lui?» chiese Merian incredula prima di riuscire a controllarsi.
Ariel rise forte e si portò una mano sul petto e l’altra al fianco, guardandola come se fosse una bambina.
«Mia cara, quando un uomo ti desidera ardentemente la cosa migliore che puoi fare è lasciargli credere che anche tu sia
interessata. Sarebbe di certo un’azione crudele non assecondare la sua passione, non credi? Se poi l’uomo in questione è uno come
Rohedric… bè, puoi senza dubbio capire che il gioco vale la candela.»
Merian la guardò sbalordita per un momento ma si riprese subito facendo un breve cenno di assenso con la testa per assicurale che
aveva capito. Cercò comunque di nascondere il rossore sulle guance mandando giù tutto d’un fiato ciò che rimaneva dell’infuso.
Quella donna non aveva ritegno!
Una volta finito di bere ringraziò Ariel, che ancora sorrideva compiaciuta, e uscì dalla stanza a grandi passi.
Il villaggio brulicava di gente già a quell’ora presto: negozi appena aperti che esponevano la loro mercanzia in vetrine invitanti, o
su banchetti posti davanti all’ingresso; contadini che si recavano ai campi pronti per un’altra dura giornata di lavoro; bambini che
correvano qua e là appesantiti ancora dal sonno… ognuno era immerso nei propri affari, indifferente al passaggio di due estranei
lungo le vie del loro paese. Era una bella cittadina, e si poteva pensare di fermarcisi per un po’, non fosse stata così vicina alle
dimore dei Manti Bianchi.
«Allora fratello,» chiese Rohedric mentre si guardava intorno con finta aria incuriosita «che te ne pare di Merian?»
«Dico che è troppo giovane per te!» rispose l’altro ridendo.
Jon era andato in cerca di un buon cavallo per Merian non appena arrivati, il giorno prima, ma sapeva che non aveva il permesso
di pagare alcuna somma finché Rohedric, suo fratello maggiore e comandante della banda, non avrebbe controllato di persona.
Non perché non si fidasse di Jon, sia chiaro, ma il denaro cominciava a scarseggiare e bisognava fare attenzione a ogni minimo
acquisto finché non avessero raggiunto le montagne. Dopo di che Rohedric sperava che i Ribelli ‐ ammesso che li avessero trovati ‐
avrebbero dato loro vitto e alloggio finché ce ne fosse stato bisogno. Non era una bella cosa da pensare, ne era consapevole, ma non
potevano sperare in niente di meglio per ora.
Chissà che cosa il Disegno ha in serbo per la mia gente? si chiese ancora una volta pensando al futuro.
Chissà che cosa ha in serbo per me?
Si scrollò di dosso quei pensieri, ben sapendo che non potevano avere risposta al momento, e si rivolse al fratello, sorridendo a sua
volta.
«Non capisco perché tutti pensiate che debba infilarmi nel letto di ogni bella donna che vedo,» disse con aria innocente, «ho mai
dato questa impressione?» Jon rise di gusto e Rohedric si unì a lui, sentendosi sereno per la prima volta dopo tanto tempo, grato
della presenza del fratello. Gli vennero in mente i bei momenti passati insieme giù a casa, quando Trolloc e Myrddraal erano solo
storie per spaventare i bambini, e il Drago Rinato una leggenda antica quanto la loro terra.
Prima o poi tutte le cose finiscono, pensò amareggiato, e quelle belle prima delle altre.
«Credo che la presenza di Brienne non le faccia bene,» disse all’improvviso Jon distraendo Rohedric dai sui pensieri, «ma forse
Ariel può fare da controparte.»
L’uomo sbuffò nel sentire il nome dell’erborista, e Jon lo guardò corrugando la fronte, confuso.
«Ariel non è tanto meglio di Brienne in fatto di atteggiamento, puoi credermi» disse Rohedric facendo una smorfia.
«Credevo che voi due… insomma…»
«E’ solo una piacevole compagnia, nient’altro. All’inizio era solo divertimento, ma lei si è affezionata troppo, e adesso non so come
farle capire che per me non è nulla di più che un bel modo di passare il tempo.» Scosse la testa e sospirò. «Non è certo una cosa
che puoi dire a una donna senza rischiare di spezzarle il cuore, non credi.» Non era una domanda, ma Jon rispose lo stesso con un
cenno d’intesa della testa. Nonostante la differenza di età, loro due si capivano alla perfezione.
Era sempre così tra uomini. Non c’era bisogno di dare spiegazioni, di doversi giustificare o essere costretto a chiedere scusa per
qualcosa che non si era ancora fatto. Certo, sarebbe stato bello trovare una donna con la quale condividere le proprie esperienze,
sentire una certa complicità… ma questo voleva dire essere innamorati e Rohedric non credeva nell’amore, non più ormai. Il
tempo in cui si lasciava andare alle emozioni era passato, ora era tempo di pensare, di agire, e nulla al mondo per lui era più
importante che trovare il Drago Rinato e assisterlo fino all’Ultima Battaglia. Tutto il resto era solo una distrazione, donne
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comprese, anche se queste avevano qualcosa per la quale valeva la pena distrarsi. Ariel era ne era la prova: bella, con grandi occhi
scuri e lunghi capelli corvini che scendevano in morbidi riccioli fino ai fianchi generosi. Luce, quella donna era così provocante da
fare dimenticare persino il proprio nome! Ma era solo un gioco per Rohedric, eccitante e sorprendente, ma pur sempre un gioco.
I due fratelli camminarono in silenzio per un lungo tratto, ogni tanto fermandosi in questo o in quell’altro negozio come ogni
comune avventore.
Jon era affascinato soprattutto dalle botteghe degli artigiani e, ogni qual volta ne incontravano una interessante, Rohedric era
trascinato dentro a forza dal fratello. E questo, si disse in seguito Rohedric, risultò essere un bene.
Si trovavano su un’ampia strada affiancata da basse case di legno ‐ segno che qui la zona apparteneva ai più poveri ‐ che
proseguiva dritta per un lungo tratto. A un certo punto si snodava in due direzioni: a destra si perdeva in lontananza per portare
infine all’entrata posteriore del villaggio, e a sinistra scendeva fino alle stalle di cui Jon aveva parlato. All’angolo di questa strada si
trovava proprio un piccolo magazzino che vendeva ogni genere di oggetti fatti in legno, e Jon, avendone preso atto la sera prima,
volle entrare immediatamente per mostrarlo al fratello. Rohedric si era stancato di tutti quei negozi uguali gli uni agli altri, ma
Jon insistette che questo era diverso, perché il proprietario era cieco e nonostante ciò riusciva a realizzare delle cose incredibili.
All’uomo non restò altro che assecondare il fratello, e così entrò nella bottega sospirando spazientito, anche se dovette ammettere ‐
seppur mai ad alta voce ‐ che la curiosità l’aveva vinto.
Non appena i due ebbero messo piede all’interno, una pattuglia di Manti Bianchi comparve sulla strada alla loro destra
dirigendosi verso le stalle. Rohedric li vide con la coda dell’occhio e si voltò di scatto dall’altra parte, prendendo in mano il primo
oggetto che gli era capitato a tiro e mostrandolo a Jon, in modo da fargli volgere le spalle ai Manti Bianchi.
«Sangue e ceneri fratello!» sbraitò Jon facendo voltare i pochi clienti presenti. «Non pensavo che avessi bisogno di ricorrere a certe
cose per avere successo con le donne!» Il ragazzo rideva di gusto e Rohedric lo guardò senza capire. Gli ci volle un attimo per
rendersi conto di cosa stesse parlando. Preoccupatosi di non farsi scorgere dai Manti Bianchi non aveva visto cosa aveva afferrato:
la scultura di un uomo grande come il palmo della sua mano, con il fallo più grosso che Rohedric avesse mai visto! Sangue e
ceneri, una statua che prometteva fertilità! Tra tutte le cose che poteva trovare! Grugnì irritato e la rimise a posto senza troppa
delicatezza, guardando Jon che adesso era piegato in due dalle risate. Le altre persone scossero la testa e alcuni tornarono a
rivolgersi ai loro affari, ma una bassa signora dal mento pronunciato rivolse loro uno sguardo così carico di sdegno che fece quasi
imbarazzare Rohedric… e questo era dir tanto.
«Vogliate scusarlo,» disse l’uomo voltandosi verso gli avventori e facendosi serio in volto, «mio fratello ha preso un brutto colpo in
testa quando aveva cinque anni, e da allora la sua mente non ha mai smesso di crescere.»
Jon smise di colpo di ridere scoccando un’occhiataccia al fratello, ma Rohedric ignorò lo sguardo e si avvicinò a lui per sussurrargli
quanto era appena successo. L’altro spalancò gli occhi e si sporse per guardare fuori, ma i Manti Bianchi era già spariti da tempo,
grazie alla Luce!
«… non credo che un gruppo così fitto sia qui solo per accompagnare mercanti» proseguì Rohedric sempre a bassa voce. «Sarà
meglio tornare alla locanda e vedere se Madama Tinin ha qualche informazione in più.» Jon annuì e si girò verso la porta,
desideroso di tornare al sicuro nelle sue stanze, ma palesemente riluttante a dover lasciare la bottega e le sue meraviglie.
«Vorrei poter uscire da qui…»
Era probabilmente la quarta volta che Brienne lo ripeteva. Nemmeno Kain ormai riusciva più sopportarla, di questo Merian era
sicura.
L’uomo era occupato a tentare di ricomporre uno di quei rompicapi di ferro con cui gli piaceva tanto giocare, all’apparenza
indifferente ai discorsi della donna. Merian, sedutagli accanto, gli rivolgeva di tanto in tanto fugaci occhiate di nascosto, e si era
così accorta che non era poi tanto interessato al suo passatempo come lo era di Brienne. La donna, dal canto suo, si limitava a
tirare su col naso ogni qual volta lo sorprendeva a guardarla. Era davvero una scena divertente.
«Che utilità abbiamo stando chiusi qui dentro?» proseguì Brienne incrociando le braccia al petto.
«Loro se ne stanno fuori a girovagare per la città, solo la Luce sa a fare cosa, e noi qui ad annoiarci…»
Merian sospirò esasperata.
Dopo che aveva scoperto che Ariel era uscita quella mattina, dopo i due fratelli, Brienne era diventata irrequieta, convinta che la
donna fosse da qualche parte insieme a Rohedric. Di certo la nottata in bianco non le aveva giovato, nonostante avesse dormito un
po’, e se si aggiungeva poi il suo carattere... Ma non c’era nulla che le si potesse dire per tranquillizzarla, non dopo che aveva visto
Rohedric uscire dalla stanza di Ariel quella mattina. Avrebbero dovuto aspettare pazienti che smettesse di bollire.
Impresa alquanto ardua.
Brienne continuava a borbottare come aveva fatto per tutta la mattinata, ignorata da tutti. Nemmeno Neal le concedeva più una
risposta ormai, si limitava soltanto a scuotere la testa e a sorridere. L’omone se ne stava seduto di fronte a Merian con un libro in
mano ‐ un’associazione che sembrava difficile da credere ‐ e non alzava mai la testa dalla sua lettura, grazie alla
Luce! Al pensiero di incontrare il suo sguardo le veniva voglia di sprofondare sulla sedia.
Brienne non aveva tutti i torti comunque, anche se non glielo avrebbe mai confessato. Se ne stavano lì seduti da ore senza fare
nulla, e Merian ormai si era fatta e disfatta la treccia almeno un centinaio di volte. Ogni tanto ripensava a quanto le aveva detto
Ariel, e con lo sguardo perso in lontananza, le mani che accarezzavano i capelli, immaginava di scaldarsi accanto a Mat in una
fredda notte di inverno.
Ah, che cosa sublime deve essere! pensò con gli occhi fissi al soffitto e lo sguardo vuoto.
D’un tratto si accorse di essere osservata dall’oste dietro al bancone e, guardandosi intorno notò che chiunque altro all’interno della
sala scoccava loro di tanto in tanto delle occhiate curiose. Osservò poi le persone sedute al tavolo con lei e capì: Brienne che
parlottava da sola, lei stessa persa in sogni a occhi aperti, due omoni dall’aspetto inquietante che passavano il tempo in attività fin
troppo ordinarie… in effetti dovevano essere un quadretto a dir poco interessante agli occhi degli altri!
Sorrise tra sé e tornò ad occuparsi dei suoi sogni. Dov’era rimasta? Ah si, Mat le stava massaggiando il collo, baciandolo di tanto in
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tanto con delicatezza…
«E va bene allora,» esplose Brienne interrompendo le sue fantasie «conterò fino a dieci, dopo di che uscirò da questa locanda, che
sia ritornato oppure no, dannazione!»
Dannata donna, pensò irritata, che tempismo!
Alzò lo sguardo verso Brienne, facendo una smorfia, e nel fare ciò incontrò quello di Neal: l’uomo sogghignava per via di quanto
detto da Brienne e Merian sorrise, suo malgrado, a sua volta. Si sorprese di riuscire a sostenere quello sguardo per molto più che
un istante.
Forse non è poi così inquietante come sembra...
«Uno,» cominciò Brienne, senza prestar loro attenzione.
Merian scosse la testa dimenticandosi di Neal e ritornò al suo fantasticare a occhi aperti.
«Due…»
L’uomo dal canto suo la guardò ancora per un momento e poi si dedicò di nuovo al libro.
«Tre…»
«Finalmente!» si lasciò sfuggire Merian raddrizzandosi sulla sedia e lasciando andare la lunga treccia. Dalla sua posizione riusciva
a vedere molto bene la porta d’ingresso, e in quel mentre Rohedric e Jon avevano fatto capolino cercando con lo sguardo i quattro
amici. Brienne smise di colpo di contare, afferrando il suo boccale e cercando di sembrare a suo agio, per niente impaziente. Non
alzò nemmeno lo sguardo su Rohedric quando questo si avvicinò, facendo finta di accorgersi della sua presenza solo dopo che lui
l’ebbe salutata.
Non cambierà mai! pensò Merian alzando gli occhi al cielo.
«Ho bisogno di parlarvi,» disse Rohedric facendo cenno alle due donne. «No, restate pure qui voialtri, ce ne andiamo noi.»
Lasciando Jon al tavolo insieme agli altri, Brienne e Merian si affrettarono a seguire l’uomo che procedeva svelto diretto alle scale
in fondo alla sala, verso il piano superiore e alle loro stanze.
Rohedric le aspettava già davanti alla porta della loro camera e sembrava perso nei suoi pensieri, come spesso succedeva quando
qualcosa lo turbava.
Cosa sarà successo? si chiese Merian preoccupata. Ma una volta entrati, Rohedric cambiò espressione, e rivolse il suo sorriso scaltro
a Brienne.
«Sai, dovresti farci un pensierino.»
«Di che accidenti stai parlando?» chiese lei aggrottando la fronte.
L’uomo ridacchiò e incrociò le braccia, indicando la porta con un cenno della testa.
«Non dirmi che non ti sei accorta di come ti guarda?»
Brienne grugnì, intuendo di chi stesse parlando l’altro. Merian si volse dall’altra parte per nascondere il suo divertimento,
osservando i due di sottecchi dallo specchio accanto al suo letto.
«E’ un idiota!» Fu l’unica risposta che Brienne gli concesse. Rohedric le sorrise di nuovo, ma questa volta non c’era scherno in quel
sorriso, l’uomo sembrava anzi essere compiaciuto.
Brienne non sembrava essersi accorta di nulla, aveva infatti imprecato e si era girata dall’altra parte, incontrando lo sguardo di
Merian.
Sei una stupida! sembrava voler dire quello sguardo.
«Di cosa volevi parlarci?» chiese Brienne cambiando discorso mentre andava verso il piccolo guardaroba.
Rohedric si sedette su una delle sedie e fece cenno a Merian di fare lo stesso prima di parlare. Aspettò che anche Brienne si sedette,
ma quest’ultima non accennava a volersi voltare, impegnata com’era a rovistare nell’armadio in cerca di solo la Luce sapeva cosa!
Rohedric sospirò irritato e raccontò quanto era accaduto al villaggio quella mattina.
Merian spalancò gli occhi nel sentire della presenza dei Manti Bianchi, e persino Brienne si preoccupò abbastanza da alzare lo
sguardo da quanto stava facendo.
«Credi che stiano cercando noi?» chiese Merian non appena si fu ripresa dallo choc iniziale.
«Senza alcun dubbio stanno cercando qualcuno… ma non so dire se quel qualcuno siamo noi.»
«Forse sono stati avvertiti della presenza di Trolloc nelle vicinanze… o di un gruppo di Incanalatori Ribelli. In fondo siamo vicini
alle montagne e non sappiamo con certezza dove si trovino le loro fortezze.»
«E’ quello che voglio scoprire, Brienne. Madama Tinin può esserci d’aiuto in questo.»
Brienne sbuffò infastidita ma non disse nulla, senza dubbio gelosa della locandiera e preoccupata di come Rohedric potesse
guadagnarsi quell’aiuto. Merian provò una moto di comprensione nei confronti dell’altra donna. Lei non sapeva cosa avrebbe fatto
al suo posto se avesse saputo che l’uomo che desiderava amoreggiava con altre donne, ignorandola completamente.
Gli uomini sanno essere così ciechi a volte…
Le parole di Brienne le fecero venire in mente il sogno della sera prima. Come aveva fatto a dimenticarsene? Si preoccupava
troppo per quella donna!
«I Ribelli si trovano a Tsorovarin,» esordì guadagnandosi un’occhiata stupita da entrambi. Non diede loro il tempo di aprire bocca
e cominciò a raccontare quanto le era accaduto in quello strano sogno così simile alla realtà.
Quando finì Rohedric sembrava più turbato di prima, ma c’era anche eccitazione nel suo sguardo: finalmente poteva condurre
con esattezza i suoi uomini verso una meta che avrebbe significato una svolta nella sua vita, e in quella di tutti loro. Perché
sembrava così scosso allora?
«Sembra che tu ce l’abbia fatta ragazza,» disse infine dopo qualche momento di esitazione.
La guardò negli occhi e le fece un sorriso, ma non uno dei suoi soliti impertinenti sorrisi, no… c’era dolcezza in quell’espressione.
Merian non poté fare a meno di ricambiare a sua volta.
Anche Brienne sembrava ad un tratto triste, e allora Merian capì.
Queste persone erano venute da lei perché la ritenevano in grado di trovare il Drago Rinato, era diventata una missione per loro…
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e per lei. Ma adesso che quell’uomo era stato trovato, o quasi, lei a cosa serviva? Forse pensavano che non sarebbe più stata utile
alla loro causa e che adesso era giunto il momento di lasciarla indietro. Erano così sicuri che lei non avrebbe più voluto continuare
questa assurda avventura piena di pericoli e con gente che conosceva a malapena?
Lo credono perché è ciò che gli ho fatto credere. Ma sono davvero pronta ad andare per la mia strada?
Volse lo sguardo prima su uno, poi sull’altra, cercando di capire cosa si nascondeva dietro gli occhi di ognuno di loro, cercando di
cogliere il più piccolo indizio riguardo le loro intenzioni.
Rohedric asserì con la testa, come per assicurarle che comprendeva e che la scelta spettava a lei. Brienne la guardò solo per un
momento prima di tornare a voltarsi verso l’armadio e ciò che conteneva.
Sembrava arrabbiata.
Per un solo, brevissimo momento il suo pensiero era stato quello di alzarsi e uscire da quella locanda, allontanarsi da Zemai e
tornare a casa. In fondo si trattava solo di tornare indietro per chissà quante miglia e dirigersi a ovest, verso il mare. Ma una volta
tornata chi l’avrebbe accolta? Ammesso che i suoi genitori fossero ancora vivi, cosa avrebbe impedito loro di rispedirla a Ishamera
un’altra volta? No, lei non aveva una casa, non l’aveva mai avuta. Ormai il suo posto era con questa banda che l’aveva salvata
dalla sua misera vita e le aveva offerto una seconda possibilità.
Sorridendo apertamente si rivolse verso la donna che le dava le spalle.
«Penso che dovrai sopportarmi ancora per un po’ Brienne , chissà quali pericoli potrete trovare sulla vostra strada…
un’Incanalatrice può tornarvi comodo.» Il sorriso sul viso di Rohedric si allargò ma Brienne si limitò a tirare su col naso.
Orgogliosa e cocciuta come un mulo!
«E inoltre,» proseguì Merian senza dare sfogo ai suoi pensieri, «dobbiamo essere assolutamente sicuri che questo Morgan
Neglentine sia davvero il Drago Rinato, prima di liberarvi di me.»
«Vero!» rispose Rohedric alzandosi. «A quanto pare abbiamo ancora bisogno del tuo aiuto Merian.» Era tornato a chiamarla col
suo nome adesso, era un buon segno. Lei annuì con la testa e l’uomo fece per andarsene.
«Trovati!» Brienne emerse dall’armadio con un fagotto in braccio e l’aria soddisfatta dipinta in volto.
Rohedric e Merian la guardarono incuriositi.
«Sono i miei coltelli,» proseguì Brienne con un ampio sorriso. «Li avevo messi da qualche parte in una delle borse e non li
trovavo.»
Merian sospirò. Solo quella donna poteva perdere qualcosa dopo solo appena un giorno averla messa al sicuro in un armadio!
Brienne si grattò la nuca con la mano libera, e per un attimo sembrò imbarazzata… Brienne! Ma si volse subito per chiudere
l’armadio e andò verso il suo letto per mostrare il prezioso tesoro.
Quando srotolò l’involto a Merian si bloccò il respiro, c’erano almeno una ventina di pugnali lì dentro, e tutti dalla forma diversa:
sottili e appuntiti con una lama molto lunga; robusti e seghettati come fossero un pettine; con la lama ricurva e larga, la punta
come un uncino; con tre lame… ce n’erano almeno due per ogni tipo. Era davvero incredibile!
Brienne avendo notato lo sguardo allibito di Merian, si era raddrizzata orgogliosa in tutta la sua altezza, e aveva cominciato a
spiegare l’utilizzo di ogni coltello.
«…e questo serve per intrappolare l’arma avversaria» disse infine indicando lo strano pugnale con le tre lame.
Lo scoppio improvviso della risata di Rohedric fece voltare di scatto le due.
«Vedi Merian,» disse l’uomo incrociando le braccia al petto, mentre rideva divertito, «ti avevo detto che possedeva più coltelli che
vestiti!»
Brienne imprecò sottovoce e estrasse dal rotolo uno strano coltello dalla punta più acuminata e sottile che avesse mai visto ‐
Brienne l’aveva chiamato “succhiasangue” ‐ insieme a un altro paio di coltelli poco più spessi e lunghi: il primo lo ripose
accuratamente all’interno di uno stivale, e gli altri due finirono in ognuna delle maniche.
«Sarà meglio che tu rimanga qui Merian,» disse alzando lo sguardo su Rohedric una volta finito di armarsi, «mentre io cerco di
scoprire qualcosa.» L’uomo scosse la testa, perdendo il sorriso:
«Sai Brienne, penso che un uomo non ti farebbe affatto male, dovresti cominciare a cercarti una qualche compagnia»
«Come fai tu ad esempio?» sbottò la donna adirata.
Rohedric fece una smorfia e si voltò verso la porta. Senza voltarsi avvertì entrambe che sarebbero rimasti al villaggio finché la via
non fosse stata sicura.
«… cosa che scopriremo senz’altro non appena Brienne farà ritorno dal suo sopralluogo» disse con una punta di acidità voltandosi
appena verso la donna. Non aspettò di sentirla ribattere però, aprì la porta e se ne andò.
Una volta uscito Brienne si sedette sul letto, in preda allo sconforto. Merian non aveva mai visto Rohedric comportarsi così, mai
l’uomo si lasciava andare a simili provocazioni, anche messo a dura prova da una come Brienne. Questa stava arrotolando con
cura il suo fagotto ‐ forse con troppa cura ‐ e Merian le si avvicinò cauta appoggiandole un mano incerta sul braccio.
Brienne alzò di scatto la testa, e vide che c’erano lacrime sul suo volto.
«Tu non hai idea di cosa significhi desiderare qualcuno che non puoi avere…» La sua voce non era tuttavia addolorata: sembrava
furiosa.
«Ah no?» rispose Merian portando le mani sui fianchi e alzando pericolosamente un sopracciglio. «Almeno Rohedric è un uomo
in carne ossa! Il mio è soltanto un sogno, un bellissimo sogno, certo, ma che non potrà mai essere di più. Vorrei poterlo incontrare
su questa terra e parlarci così come sto facendo con te ora. Vorrei potere andare a dormire sapendo che al mattino, svegliandomi,
lui sarebbe accanto a me. Ma so che niente di tutto questo potrà mai accadere. Un giorno mi sveglierò dal sogno e lui non sarà più
con me… e allora
farà male.» Non voleva scaricare tutta la sua frustrazione su Brienne, ma quella donna aveva la capacità unica di farla infuriare!
« Perché allora non chiudi con questa storia prima che sia troppo tardi?» rispose l’altra asciugandosi le lacrime.
«Perché è già troppo tardi…» Merian sprofondò sul letto accanto a Brienne, sospirando.
«So bene che dovrei smettere di pensare a lui, di cercare di vederlo, parlarci... ma non credo che il mio cuore lo sopporterebbe.
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Preferisco vivere anche un solo momento di vera passione e soffrirne, piuttosto che una vita intera serena ma priva di amore, lo
puoi capire?»
Brienne la guardò negli occhi per un lungo momento, quasi la stesse studiando, ma infine annuì riluttante:
«Si, certo, lo capisco…»
Mentre usciva dalla stanza si chiese cosa le fosse passato per la testa per essersi lasciata andare così davanti a quella donna.
Piangere come una ragazzina! pensò Brienne adirata. Come se non mi fossi già scoperta abbastanza, dannazione!
Meglio uscire da quella stanza all’istante e farle credere di essere una donna comprensiva e piena di amore e passione, e tutte
quelle ridicole cose da donnicciola. Non era certo come Ariel!
Ariel… il solo pensare a quella donna le faceva ribollire il sangue nelle vene. Dannata erborista! Dovevano essere stati quegli
stramaledetti intrugli a far correre Rohedric alla sua porta… e non solo… Che rabbia!
Rinunciò a infilarsi i guanti e li ripose non troppo delicatamente dietro la cintura, con le mani che le tremavano ancora per la
collera.
Imprecò a denti stretti mentre scendeva le scale verso la sala comune, ripensando alla canzonatura di Rohedric a proposito di
trovarsi un uomo. Chi accidenti era lui per dirle cosa doveva fare? Come si permetteva? Se voleva un uomo sapeva come trovarlo,
e non era vero che possedeva più coltelli che vestiti… bè forse si, ma non era questo il punto!
E qual è il punto Brienne? si chiese mentre raggiungeva la sala comune. Che perdi tempo con un uomo che non ti merita, ecco qual è!
Seduti al tavolo che aveva lasciato c’erano ancora Kain e Neal, ora intenti a giocare a carte con quel mascalzone di Jon, l’esatta
copia di suo fratello maggiore! Brienne accelerò il passo vedendo che Kain si era accorto di lei ‐ doveva uscire di lì prima che l’uomo
cominciasse a importunarla ‐ ma poi le sovvenne un pensiero: le parole di quella sciocca di Merian si erano fatte strada nella sua
mente più di quanto avesse creduto. In fondo non aveva tutti i torti, la passione va assecondata, anche se la sua sofferenza non
sarebbe derivata di certo da un amore infranto… non in questo caso almeno.
Sospirando si avvicinò perentoria ai tre e, battendo una mano sul tavolo al posto di Kain, si rivolse all’uomo guardandolo dritto
negli occhi:
«In camera mia, stanotte!»
Senza attendere risposta si volse verso la porta, e con ampie falcate uscì dalla locanda prima che potesse pentirsi di quanto aveva
appena fatto.
Avevano trovato una baita di cacciatori alle prime luci dell’alba, abbandonata in attesa della bella stagione. Il villaggio era ancora
distante ma si erano abbassati parecchio e la neve non era più tanto alta. Anche la temperatura era piacevole e la primavera
iniziava a mostrare i primi segni. Nel sottobosco, ai bordi della radura, si potevano scorgere alcuni fiori bianchi sbucare dal leggero
manto nevoso e l’odore di legno ed erba accentuava il senso di calore che i deboli raggi del tramonto riuscivano a trasmettere.
Siadon osservava ammirato il sole scendere dietro le montagne, seduto su una panca in legno, con i piedi appoggiati su un ceppo
di betulla e la testa contro la parete. Tra le mani teneva uno scoiattolo intagliato nel legno, trovato all’interno, le proporzioni
dell’animale non erano molto realistiche, la testa era decisamente troppo piccola ed una zampa era più grande dell’altra. Scorrendo
le dita su quelle imperfezioni Siadon riusciva ad apprezzare l’impegno dell’intagliatore, la sua volontà di creare qualcosa di bello
con le proprie mani e la testardaggine nel voler migliorare la propria abilità, come dimostravano gli altri lavori sparsi nel capanno.
Avevano dormito tutto il giorno, protetti da una serie di sensori. Ora potevano pianificare le loro mosse in modo lucido, senza la
costante sensazione di essere spiati, o peggio, di essere il bersaglio di qualche freccia già in volo.
«Scusami Tomas, mi sono comportato davvero male con te»
Il ragazzo stava osservando il tramonto appoggiato allo stipite della porta, si voltò sorpreso
«Tu? Ma.. sono io ad aver sbagliato»
Siadon lo guardò negli occhi
«Ti ho ordinato di uccidere una persona, ho voluto forzarti a farlo. Non eri pronto quindi non sei tu ad aver sbagliato. Prima o poi
lo sarai ed allora ti chiameremo Fratello ma se ieri tu avessi ucciso quell’uomo ora il suo fantasma ti distruggerebbe.»
«No io.. si.. Voglio far parte della Famiglia, non so cosa m’è preso. Ieri pomeriggio ero deciso e pronto a farlo eppure non sono
riuscito a scoccare, continuavo a pensare che non era un Maledetto, che non era giusto»
«Proveremo con un approccio più normale, con un Incanalatore e senza tutta quella fretta. Sei sulla buona strada, stai parlando di
cosa hai provato ed è quello che facciamo ogni volta tra Fratelli. Ce la farai»
Tomas parve sollevato e tornò ad osservare il tramonto, poco dopo Thea ed Elsa li raggiunsero portando del tè bollente. La prima
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prese posto al fianco di Siadon mentre l’altra si sedette gambe incrociate su un blocco di granito che sporgeva dalla parete
formando una panca.
«Dobbiamo decidere molte cose» disse Elsa dopo qualche sorso, le mani sottili cingevano la tazza fumante mentre con lo sguardo
ammirava le nuvole tingersi di rosso.
«Prima di tutto chi siamo, qualcuno del villaggio conosce voi due come cacciatori e me come sacerdotessa. Potremmo avervi
assunto come guide, due religiosi che chiedono una scorta per viaggiare non dovrebbero destare alcun sospetto. Sperando che i
Figli all’avamposto non abbiano l’ordine di fermare qualsiasi sacerdote del monastero. Se tutto va bene dovremmo riuscire ad
andarcene domani stesso.. ma dove?»
Fino a quel giorno si erano preoccupati di come uscire dal monastero, cosa fare una volta riusciti era un tema del tutto nuovo.
«Io ho qualche contatto a Samrie» rispose Siadon dopo un lungo silenzio, senza molta convinzione «gli Incanalatori lì sono odiati
come se la tirannia fosse finita ieri, chiunque ci cercherà non avrà vita facile.»
Thea prese da una tasca un vecchio libricino usurato «Questo è il diario che ci ha lasciato Tamara, vi sono appuntate parecchie sue
visioni. La maggior parte non sono molto chiare e gli appunti sono più che altro supposizioni ma sapeva che in qualche modo un
piccolo gruppo avrebbe lasciato il monastero per cercare il Padre. A dire il vero riporta che due piccoli gruppi l’avrebbero fatto. Ad
ogni modo le visioni successive a quella parte fanno riferimento alle città dell’Ovest, credo che dovremmo andarci»
I quattro rimasero in silenzio per qualche momento, mentre di fronte a loro uno scoiattolo scendeva circospetto da un abete per
annusare contrariato una vecchia pigna.
«Potremmo imbarcarci a Dodieb, ho alcuni rifugi sicuri nella periferia» continuò Elsa. Al suono della sua voce l’animaletto si rizzò
allarmato per poi correre ad arrampicarsi sull’albero più vicino.
Siadon bevve un lungo sorso apprezzando il calore della bevanda. Il sole era ormai ridotto ad una sottile linea oltre la catena
montuosa «Tomas, tu che ne pensi?»
«Io?» rispose il ragazzo stupito dal trovarsi coinvolto nella decisione
«Noi quattro siamo quello che rimane della Famiglia, non sei ancora un Fratello ma ne fai comunque parte quindi anche la tua
opinione è importante»
«Io.. ho sempre vissuto a Jennji, ci sono molti Figli della Luce ma è una città circondata da pianure e case sparse, da lì parte la Via
Occidentale. Una volta abbandonato il porto non è difficile rimanere nascosti, mio padre diceva sempre che le pianure a Nord
sono un covo di ribelli. Magari potremmo trovare qualche informazione.»
«La strada del tramonto» lo interruppe Thea sfogliando il diario. Si fermò a leggere alcuni appunti mentre gli altri tre la
guardavano incuriositi. «Ecco: Sulla strada del tramonto in molti seguiranno le sue orme. Tamara non sa a chi appartengono ma
è certa che in qualche modo portino al Padre.»
Quella stessa notte stavano scendendo verso Hirlomap nell’oscurità del bosco. Non avevano bisogno di torce, il Potere permetteva
loro di percepire ogni dettaglio dell’ambiente circostante e di muoversi senza emettere alcun rumore. L’unico ad avere qualche
difficoltà era Tomas che non aveva mai sperimentato il senso di nausea che poteva dare quella tecnica, soprattutto se si continuava
a voler usare gli occhi. A parte un paio di pause forzate per far riprendere equilibrio al ragazzo, procedettero spediti raggiungendo
le prime abitazioni nel cuore della notte. Avevano pianificato tutto prima di lasciare il capanno dei cacciatori. Come prima cosa
avrebbero recuperato delle provviste e dei vestiti più comuni rispetto ai completi neri che indossavano. Successivamente si
sarebbero introdotti nelle stalle dei Figli della Luce per requisire dei cavalli, inizialmente pensavano di farlo in modo più legale ma
poi avevano deciso che era meglio evitare di lasciare qualsiasi traccia.
Mentre le donne si dileguavano in cerca di abiti della loro misura, Siadon comunicò tramite dei gesti con Tomas. «Tutto bene?
Riesci a vedere?»
«Sì»
Introdursi nella stanza di qualcuno addormentato era una delle prime prove che gli adepti dovevano superare, di per sé era una
cosa abbastanza semplice e nel Monastero l’addestramento era costante e duro ma il ragazzo non l’aveva mai fatto usando il
Potere.
Siadon fece un cenno col capo e si allontanò sperando che andasse tutto per il verso giusto. Il contatto con la Fonte lo rendeva
euforico dopo tanti giorni di astinenza e spesso si sorprendeva con il sorriso sulle labbra. Scelse una casa che sapeva appartenere ad
un falegname alto più o meno quanto lui, scassinò la porta con dei flussi di Aria senza voltarsi, non aveva bisogno degli occhi per
essere certo che nessuno lo stesse guardando. L’arredamento era semplice ma bello, ogni mobile era stato realizzato dal
proprietario con maestria e Siadon si concesse qualche momento per ammirare gli intagli nella trave del caminetto. Immerso
nell’oscurità non li stava guardando davvero ma i sottili Flussi di Spirito che lo circondavano gli mostravano una scena di caccia.
Un grosso cervo veniva seguito da diversi cani e da due persone, una impegnata nel tendere un lungo arco e l’altra nel soffiare in
un corno. Indirizzò altri Flussi, percorrendo le corna dell’animale, gli alberi ed i volti dei cacciatori, seguendo le venature del legno
e le scanalature che le assecondavano. Contrariato per essersi distratto tanto si impose di passare oltre e salire le scale, al piano
superiore c’era una sola stanza. L’uomo e la moglie dormivano abbracciati in un piccolo letto sotto numerose coperte e di fianco
c’era una culla imbottita di cuscini. Il bambino all’interno riposava col sorriso dipinto sul volto, muovendo occasionalmente i piedi
e le mani mentre Siadon apriva i cassetti di un mobile cercando degli indumenti. Prese dei pantaloni e la camicia meno bella che
trovò, oltre ad una maglia di lana cercando di lasciare tutto il resto in ordine. Controllò la stanza rimanendo immobile e trovò
subito quello che stava cercando, il piede di un armadio era cavo ed all’interno c’erano diverse monete. Si avvicinò ed ispezionò il
legno trovando un lato scorrevole, lo aprì mentre il bambino si muoveva nel sonno ed aggiunse un disco d’oro ai risparmi nascosti.
Era una cifra davvero alta per dei vestiti ma non era un problema per lui e di certo quella gente ne aveva più bisogno. Dopo aver
preso delle provviste all’emporio del villaggio, tornò al punto in cui si erano divisi, gli altri lo stavano aspettando.
Bene, ora mancano solo i cavalli
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Mentre Tomas ed Elsa erano all’interno della stalla, Thea e Siadon rimasero all’esterno pronti ad addormentare chiunque si fosse
avvicinato. Hirlomap era un villaggio tranquillo, a quell’ora le poche taverne erano chiuse e nemmeno le guardie dei Figli della
Luce sembravano essere sveglie.
«Certe donne hanno idee davvero interessanti in fatto di sottovesti...» sussurrò lei sfiorando il suo orecchio con le labbra «spero che
i rifugi di Elsa abbiano diverse stanze»
«Dobbiamo aspettare fino a Dodieb? Tu mi torturi»
Lei sorrise avvicinandosi, Siadon percepì le proprie tessiture venir sfiorate da quelle di lei, una forza invisibile ed aliena che
giocava con i suoi sensi, avvicinandosi al suo corpo per poi ritirarsi.
«Magari potremmo trovare una locanda con stanze troppo piccole per quattro persone»
«La scorta dovrebbe lasciare dormire in pace i propri padroni»
Lei lo baciò sorridendo «Allora faremo bene a prendere una stanza distante dalla loro» disse poi ritirando i propri flussi e tornando
a sorvegliare la zona.
Quand’è riuscita a farmi impazzire? Pensò Siadon costringendo il proprio cuore a rallentare e spostando la propria attenzione
sull’ambiente circostante.
Hilda girò leggermente il volto di lato per guardarla negli occhi, lasciò trasparire un velo di tristezza, ma fu solo questione di un
attimo prima di tornare illeggibile come suo solito. Riportò con calma lo sguardo sul fuoco davanti a loro e cominciò
«A Daing è successo quello che temevi. Eʹ stato qualche anno fa, ma ancora adesso non esistono rapporti ufficiali su quanto o
meglio come è accaduto. Ottenere le informazioni che ho è già stata unʹimpresa: Daing è così facile da tenere lontano dagli occhi
della Confederazione. Cinque anni fa circa re Bartelʹien è stato ucciso, Shelheevʹien ha accusato Doesalʹkin di esserne lʹassassina il
giorno in cui sarebbe stata incoronata regina. Insieme a Shelheevʹien cʹera il suo inseparabile colonnello Imogean, con un
reggimento intero di Figli della Luce. Doesalʹkin è stata giustiziata senza processo, la famiglia Reydʹkin, il fronte dʹindipendenza e
molti semplici civili si sono ribellati, è stata una carneficina. Cryvelʹien da allora è re, Shelheevʹien lo manovra e Imogean si
occupa di mantenere la pace con la forza, oltre che di mantenere i rapporti con la Confederazione trasmettendo le sue verità, che
parlano solo del fatto che i Figli della Luce avevano represso una rivolta e avevano guadagnato più potere in città.» *
Mab affondò il viso tra le mani, la sua città era caduta definitivamente ai piedi di quella strega, che lʹaveva consegnata ai Figli
della Luce. Glielʹavrebbe fatta pagare, un giorno le avrebbe fatto pagare ogni vita che si era presa in cambio del proprio dannato
potere!
«Mi dispiace»
Mab sollevò di scatto il volto dalle proprie mani nel sentire pronunciare quelle parole.
«Immagino sia questo il tuo obiettivo, trovare qualche alleato con cui tornare a Daing» continuò Hilda, riusciva a sembrare
sincera anche se non partecipe al dolore.
Mab annuì e rispose senza troppa convinzione
«Un giorno...»
Non osava illudersi davvero di riuscire nel proprio intento: erano passati dieci anni da quando aveva giurato vendetta a
Shelheevʹien ed era ancora lì, nemmeno a metà del suo percorso. Non voleva illudersi, ma continuava a stringere i denti e a lottare
giorno dopo giorno, ostacolo dopo ostacolo.
Rimasero qualche minuto in silenzio, poi Hilda posò la tazza e si passò le mani tra i capelli: non cʹera bisogno di toccarli per capire
che non erano ancora asciutti.
«Saremo ad Hama in un paio di giorni, credo. Non ci sono villaggi da qui alla città, ma se partiamo subito dovremmo riuscire a
raggiungere una fattoria abbandonata prima che faccia buio: non sarà il massimo, ma lʹultima volta il tetto ancora reggeva e il
camino era utilizzabile.»
Hama! Gioia e paura si mischiarono con violenza in unʹemozione che la lasciò senza fiato, iniziò ad immaginare la città e a
chiedersi come le avrebbero accolte, il che le provocò un fastidioso nodo alla gola, motivo per cui decise di evitare di pensarci:
qualsiasi cosa sarebbe accaduta, lʹavrebbe affrontata al momento. Non aveva alcun senso fasciarsi la testa prima di averla battuta.
«Sono ancora bagnati, vero?» chiese
«Vanno bene così, non voglio far notte qui» tirò su il cappuccio del mantello e si alzò
Mab la seguì per fermarla «Non dire sciocchezze, Hilda. Ti verrà un accidente. Se potessi usare il potere su di te, potrei asciugarteli
in un attimo»
Lʹocchiata di Hilda fu di rimprovero e di divertimento insieme «Non provarci con me»
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Mab alzò gli occhi al cielo, non valeva nemmeno la pena di insistere con lei.
Raccolte le loro cose, si rimisero a cavallo. Da come si stringeva nel mantello era chiaro che avesse freddo, ma se non la lasciava
incanalare, non poteva aiutarla in nessun modo, quindi alzò le spalle e continuò a seguirla.
La luce del giorno si stava spegnendo velocemente: se il vento continuava a soffiare in quella direzione, il giorno dopo avrebbe
quasi certamente portato con sé la plumbea coltre di nubi che ora schiacciava il tramonto.
Il sentiero finiva a quel che rimaneva del cortile di una vecchia fattoria: tra le tracce di neve, erbacce alte e piante rampicanti
ricoprivano lo spiazzo libero dagli alberi e parte dei muri dellʹabitazione, le imposte di una sola finestra erano chiuse e quasi
intatte, per il resto erano divelte, rotte o completamente assenti. Avvicinandosi Mab si stupì nel vedere di fianco alla fattoria un
cavallo legato steso a terra. Hilda aveva già lasciato la stretta sullʹapertura del mantello e aveva afferrato della spada.
Nel sentirle arrivare, il cavallo mosse la testa, era vivo. Hilda scese da Ghibli e passò le sue redini a Mab perchè glielo tenesse, ma
la ragazza la fermò.
«Una spada potrebbe non bastare» le disse a voce bassa, dopo essere a sua volta scesa da Oberon. Stranamente lʹaltra non obiettò.
Legati i cavalli, si avvicinarono attente a non fare rumore, ma i passi scricchiolavano sulla neve e le sterpaglie rinsecchite. Era
lʹunico rumore che si sentiva. Oltrepassato il vano dove non esisteva più una porta, si trovarono di fronte ad una sala con resti di
mobilia e pavimenti logorati dal tempo, lʹintonaco ai muri non esisteva più e cʹerano punti in cui i mattoni avevano ceduto. Il
camino in fondo alla sala era stato usato di recente, ora vi rimaneva solo cenere. Seduto a terra non molto distante cʹera un uomo
che fissava il vuoto davanti a sé.
«Sashell» lo chiamò piano Hilda, ancora la spada pronta allʹuso.
Lʹuomo non si mosse minimamente. Sembrò non accorgersi di loro nemmeno quando gli si avvicinarono.
«Sashell» lo chiamò ancora Hilda, toccandogli una spalla.
Lʹuomo alzò la testa, ma il suoi occhi sembravano guardare oltre la donna. Gli abiti di buona foggia mal si combinavano
allʹaspetto sciupato, i capelli trasandati e la barba incolta. Teneva la bocca leggermente aperta, tracce asciutte di bava gli
circondavano labbra secche e screpolate fino a sanguinare, sembrava non toccassero acqua da qualche giorno.
Hilda cercò di scuoterlo delicatamente
«Sashell, che ti è successo?»
ma lʹuomo continuava a sembrare inanimato.
«Chi è questʹuomo?» chiese Mab
Hilda le fece segno di tacere e poi a voce bassa
«Stammi vicina» e lʹintimò a seguirla. Non riuscì a mascherare il fatto che fosse spaventata, un brivido percorse la schiena di Mab
per tutta la sua lunghezza.
Lʹabitazione era composta da unʹaltra stanza e un piano superiore a cui si accedeva da una scala a pioli, che non fu facile utilizzare
visto lo stato del legno di cui era fatta. Uscirono, girarono tutto attorno al casolare, entrarono in quel che rimaneva del fienile e in
una baracca che forse era stata una stalla. Non trovarono nulla. Raggiunto il cavallo legato, Hilda si chinò ad accarezzarlo, poi
andò a prendere i loro due: dalle bisacce estrasse una borraccia e la svuotò per far bere lʹanimale. Impastoiarono tutte e tre le bestie
e tornarono dentro la casa.
La donna si abbassò davanti allʹuomo, gli prese il volto tra le mani senza che questo reagisse in alcun modo, stessa cosa quando
provò ancora a scuoterlo e a schiaffeggiarlo persino. Infine la donna abbassò la testa desolata.
«Aiutami a portarlo fuori»
Lo dovettero trascinare, perchè nonostante lo avessero messo in piedi, sembrava non saper camminare. Mab provò più volte ad
incrociare lo sguardo della sua compagna, anche solo per leggere qualcosa nella sua espressione, ma fu inutile, Hilda continuava a
fuggirlo.
Portarono lʹuomo tra i primi alberi oltre il cortile. Hilda lo schiaffeggiò ancora una volta
«Sashell, dì qualcosa!» lo scosse «Parla! Reagisci» ma non ottenne la benchè minima reazione.
«Mabien, vai ad accendere il fuoco nel camino. Io arrivo tra un momento.»
«Cosa vuoi fare?»
«Mabien, per favore, entra in casa» le girava le spalle, nel tono secco della sua voce si faceva strada una nota di amarezza.
Mab la prese per una spalla, costringendola a girarsi
«Cosʹha questʹuomo?» temeva di conoscere la risposta, ma non voleva crederci
Hilda lo guardò ancora una volta
«Non ho mai visto niente del genere, ma corrisponde a quanto ho letto sullʹeffetto del bacio del Draghkar. Ora puoi entrare per
favore?»
La ragazza obbedì, ma poi rimase sulla soglia a guardare: Hilda abbracciò lʹuomo, poi lo colpì con la spada e lo lasciò cadere a
terra. La vide chinarsi e poi muoversi, forse cercando di comporre il corpo in modo decente, dal momento che non poteva offrirgli
una degna sepoltura. Poi si fermò, ma non si alzò. Mab andò ad accendere il fuoco.
Hilda rientrò diversi minuti dopo, portava con sé tutti i loro bagagli, che intanto aveva scaricato dai cavalli. Fuori era già diventato
buio, ma dentro il casolare il fuoco illuminò chiaramente gli occhi lucidi della donna. Si mise a sedere a terra, accanto al camino e
porse a Mab il formaggio, lʹunica cosa commestibile che avevano con loro.
«Tu non mangi?» disse la ragazza a bocca piena
«Non mi va»
Come se non fosse successo niente di particolare, si era messa ad affilarsi la spada mentre i caldi colori del fuoco giocavano sul suo
volto più pallido del solito. Senza togliere gli occhi dalla lama, disse
«Ci saremmo dovuti incontrare qui almeno due giorni fa. Quel Draghkar era qui per me e non mi illudo di potermene star
tranquilla perchè non mi ha trovata. Starò di guardia questa notte»
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Non sprecò fiato a proporle di fare a turno: aveva già sottolineato più volte il fatto che non si fidava di lei. Mab invece si rendeva
conto di aver già cominciato a mettere in dubbio la propria primaria riluttanza nei confronti della donna: il suo istinto la portava a
non avere paura, lʹesperienza di contro la spingeva a stare in guardia e a non credere a tutte quelle sue belle parole. Era una Figlia
della Luce, maledizione! Non aveva un solo motivo razionale per crederle, non uno, eppure la tentazione era forte, forte quanto il
bisogno di alleati che aveva, forte quanto la necessità di avere qualcuno con cui spalleggiarsi in quella lunga ed estenuante lotta
per raggiungere il proprio obiettivo.
Doveva aver rimuginato su Hilda fino ad addormentarsi. Si svegliò con il proprio mantello che le faceva da coperta, era ancora
buio e la sua compagna giaceva in modo scomposto a pochi metri da lei.
* nota (presente anche su Wiki)
Bartel Darakʹien (Bartelʹien). Successore di re Weeler Reydʹkin e fratello maggiore di Shelheevʹien.
Shelheeve Darakʹien (Shelheevʹien). Sorella minore di Bartelʹien e madre di Cryvelʹien. Dopo la morte del marito si è unita al
colonnello Imogean, in una relazione non ufficiale, ma palese a tutti.
Doesal Reydʹkin (Doesalʹkin). Legittima erede al trono in successione a Bartelʹien.
Cryvel Darakʹien (Cryvelʹien). Figlio di Shelheevʹien e discendente più giovane della famiglia Darakʹien durante la guerra interna
per il trono. Mabien Asuka era una delle adʹien tra cui ha scelto la sua sposa.
Aprì gli occhi di scatto e due lacrime involontarie scivolarono ai lati del suo viso e si tuffarono tra i capelli. Era comodamente
sdraiata e si ritrovò a fissare quello che sembrava un tetto in legno. Non voleva richiudere gli occhi: la paura che quella visione
ritornasse a tormentarla era troppo forte. Stava quasi per rimettersi a piangere al solo ricordo quando una mano caldissima le
toccò la fronte. Trasalendo, si alzo subito a sedere, rannicchiando le gambe al corpo, trattenendo il respiro e rabbrividendo come
non mai.
«Povera piccola, stai tranquilla, qui sei al sicuro...».
Parole che ricordavano troppo quelle che erano riecheggiate nell’incubo. Stava veramente per mettersi a piangere
«Mi chiamo Dimion. Mio figlio Julian ti ha trovata ieri notte al limitare della nostra casa… eri quasi morta assiderata e ti ho
Guarita, stai tranquilla adesso stai bene. Avevi solo bisogno di riposo».
Dimion sorrise cercando di sembrare il più rassicurante possibile, ma senza avere molto successo. Norah, dal canto suo, aveva
troppo vicina la visione di qualche minuto prima per smettere di tremare.
Luce, dove sono? Chi è quest’uomo? Perché non ricordo assolutamente nulla? Luce!
«Ah… piccola, stai tranquilla, sul serio qui non hai di che temere. Dimmi, come ti chiami?»
Norah era ancora rannicchiata su se stessa, ma alzò lo sguardo sull’uomo e, sembrando un po’ più rassicurata, rispose con una
flebile voce esitante:
«No.. Norah»
«Norah, hai un bellissimo nome. Dalle parti dell’est, se non sbaglio, Hama forse?»
Norah abbassò lo sguardo, sfuggendo a quello di Dimion:
«Io.. io non lo so. Non ricordo nulla.».
Se la risposta sorprese il suo interlocutore, lei stessa era stupita della propria lacuna, ed anche angosciata…
«Va bene, non preoccuparti… forse hai ancora bisogno di riposar...»
«No! Non voglio riposare!». La sola idea di poter incorrere nuovamente in quel brutto sogno le diede la forza di ignorare la
terribile stanchezza che ancora gravava su di lei.
«Va bene, va bene, se non vuoi… tranquilla, adesso tutto è finito.», disse quel gentile signore con un altro sorriso confortante.
Norah si rasserenò un po’ a quelle parole, anche se rimase ancora accovacciata su se stessa, pensierosa e angosciata al tempo stesso.
Non ricordo nulla, com’è possibile? Io sono Norah…Norah e poi? Chi sono io? Luce! Chi erano i miei genitori? Cosa mi è successo?
L’angosciante ciclo di pensieri venne interrotto dalla comparsa di un ragazzino, sembrava di un paio d’anni più grande, che
scendeva delle scale; sembrava ancora assonnato e quando si accorse di lei fece un breve sorriso e la guardò attentamente. Anche
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Norah non riusciva a non guardarlo, le sembrò quasi che fossero uniti da qualcosa, così, istintivamente.
«Julian, ben svegliato!»
Entrambi i bambini trasalirono al suono di quella voce entusiasta, ma poi, quando Dimion abbracciò il figlio augurandogli buon
compleanno, Norah si rilassò quasi completamente. Inspiegabilmente, infatti, si fidava di quel ragazzino e la tensione di quei
pochi minuti da quando aveva aperto gli occhi l’aveva stancata parecchio. Appoggiò la testa sullo schienale del divanetto e chiuse
per un attimo gli occhi. Quando la visione non apparve, le sembrò quasi di essere uscita da un incubo e tirò un sospiro di sollievo.
Norah riemerse da quel ricordo come risalendo in superficie da sott’acqua: i contorni delle cose erano più nitidi, i colori più vivi e le
sensazioni più nette. Poteva sentire Julian e Dimion parlottare sommessamente nella stanza a fianco: le loro voci erano troppo
basse per distinguere le parole, ma era chiaro dai toni diversi che il padre stava rimproverando il figlio, il quale a sua volta si
scusava. In un qualche modo era confortante sapere che questo era il suo presente, la sua realtà: per qualche attimo, infatti, Norah
aveva temuto di essere intrappolata in quella memoria così vivida della propria infanzia. Ed è sempre rimasta qui, in un angolo
della mia mente, per tutti questi anni, pensò la ragazza; eppure non l’avevo mai rammentata prima d’ora: è come riscoprire una
parte della mia vita di cui non sospettavo l’esistenza. E probabilmente quel ricordo sarebbe rimasto dormiente per sempre, non
fosse stato per il racconto di Julian.
Non ricordava da quale brutto sogno si fosse svegliata quella mattina di tanti anni prima, ma senza dubbio sarebbe potuto essere
uno dei tanti che da qualche mese ora infestavano le sue notti. Ombre, sangue, morte, luoghi tristi e desolati: le immagini si
mescolavano caoticamente rendendo molto difficile interpretare quei sogni. Se adesso che aveva diciotto anni gli incubi ricorrenti la
terrorizzavano e le facevano passare lunghe notti insonni, Norah poteva facilmente immaginare il trauma che essi dovevano
averle inflitto quando era appena bambina.
Finalmente individuò il piccolo fiasco che cercava, in mezzo a tutte quelle anfore e bottiglie che affollavano la dispensa. Lo afferrò
con una mano, mentre con l’altra prelevava tre coppe di metallo, poi ritornò nella sala. Qui versò un dito del denso liquido bruno
in ciascuna delle coppe, captandone subito l’aroma penetrante, che ricordava l’odore inconfondibile del Bosco della Sera. Era infatti
un liquore tipico di Calavron, distillato facendo fermentare le spesse foglie dei Grandi Alberi che crescevano unicamente nella
vicina foresta.
«Mi dispiace di essere stato così sbrigativo nel raccontare, Norah.», disse Julian mentre accettava la coppa che lei gli stava porgendo
«Il fatto è che non mi piace parlare di quella sera. L’ombra che vidi allora ha sempre guastato ai miei occhi il ricordo del tuo
ritrovamento. Quel giorno è il momento in cui tu sei entata a far parte della nostra famiglia, ed è, per questo, una delle mie
memorie più care. Ma quella misteriosa presenza rovina tutto... è come se gettasse uno scuro presagio su di noi.». Dimion gli
scoccò un’occhiata in tralice all’udire qull’ultima frase, ma non disse nulla. Norah ebbe un brivido, ma riuscì a mascherarlo
fingendo di avere freddo e avvicinando la propria sedia al fuoco; dopo un momento disse: «Qualcosa ricordo. E’ un po’ vago, ma
sta riaffiorando poco a poco. Era probabilmente il mattino dopo, e tu mi chiedesti...»
«Stai bene?»
Era il bambino. Aveva una voce squillante, ma non le diede fastidio, anzi le sembrò ancora più rassicurante di quella del padre.
«Credo di si… si.»
«Sicura? Hai una faccia orribile»
«Julian!» si intromise il padre, rimproverandolo.
«Scusami padre, volevo dire che non mi sembra stia molto bene, tutto qui»
«Ma sì che sta bene… o almeno fisicamente è sana come una tigre», esclamò soddisfatto Dimion, dando una pacca sulle spalle del
ragazzo e lasciandoli soli. Tra i due cadde un silenzio imbarazzato.
«Scusa se sono stato scortese prima», disse alla fine Julian «Come avrai capito sono Julian»
Le tese la mano e aspettò che Norah gliela stringesse: la sua sembrava caldissima a confronto con la propria, piccola, pallida e
tremante.
«Hai freddo? Quelle coperte non sono abbastanza?»
«No, grazie sto bene così…»
«Va bene… ehm.. e tu sei?»
«Norah…»
«Beh piacere Norah… Non so se hai già parlato con mio padre, ma mi chiedevo, ecco, come sei finita qui vicino, ecco?». Lo chiese
tutto d’un fiato, sembrava avesse paura di porre la domanda e anche di sentire la risposta.
Di nuovo Norah sentì l’angoscia formarle un nodo in gola, ma questa volta decise di rispondere a quel ragazzino che, a quanto
pareva, l’aveva salvata.
«Io non lo so, non ricordo nulla di quanto mi sia successo», gli disse tristemente.
«Oh…», sembrò stupito ma stranamente sollevato «Non ricordi proprio nulla? Nessuno?», mise particolare enfasi sull’ultima
domanda e sembrò scrutare la bambina ancora più in fondo, come per carpirle la verità. Norah sentì un brivido lungo la schiena.
Qualcuno…sì qualcuno ricordo.
«No… nessuno»
«Ah.. beh.. magari sei stordita. Capita a volte con la Guarigione», disse esibendo un sorriso tirato, cercando di essere amichevole e
di rassicurarla ancora con qualche parola.
Norah non capiva come mai ci stesse riuscendo. Neanche lo conosceva quel ragazzino. Fatto sta che, dopo poco tempo, i due si
ritrovarono a ridere insieme di una battuta sui Manti Bianchi; beh almeno a sorridere.
Durante il racconto di Norah, Julian aveva distolto lo sguardo, ma il suo imbarazzo era evidente. Oh Julian, pensò divertita la
ragazza, come puoi imbarazzarti ancora dopo che ci conosciamo da una vita? D’altra parte era sempre stato così, lui: sicuro di sè e
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perfino un po’ cocciuto con amici e conoscenti, ma con le ragazze diventava timido ed impacciato. E questa è la sua caratteristica
che amo di più, realizzò Norah.
Questa volta Dimion non era riuscito a leggerle nel pensiero, oppure più probabilmente aveva deciso di ignorarlo; lo sguardo del
padre adesso era serio e concentrato: «Dunque in effetti tu ricordi qualcosa.», le disse, più come affermazione che come domanda.
«Prima del racconto di Julian non ricordavo nulla di allora. Poi, invece, mi è tornato in mente il nostro primo incontro.», rispose la
ragazza, sorridendo nuovamente del disagio che dimostrava Julian quando si parlava di loro due, specialmente davanti al padre.
«Niente che riguardi la notte precedente, però. Non ho nessuna idea di come io sia potuta finire qui. Anche se, in effetti,
l’immagine degli occhi gialli, così come l’ha descritta Julian, appare a volte nei miei sogni... Ma, chissà, potrebbe essere stato un
lupo avvicinatosi alla radura in cerca di cibo, i suoi occhi resi gialli dal riflesso della lanterna...».
Non ci credeva nemmeno mentre lo diceva, ma per darsi coraggio aveva bisogno di inventarsi le risposte che non riusciva a trovare
nella propria memoria. Non era un semplice lupo quella sera, e non è un lupo che occupa i miei sogni: è una presenza malvagia. Ma
comunque sia, anche se questo avesse qualche connessione con il mio passato, dopo dieci anni è ormai evidente che non ha più a che
fare con la mia vita. Con grande sollievo di Norah, Dimion sembrò giudicare l’ipotesi del lupo plausibile e non insistette oltre su
questo dettaglio. Invece, girò il capo verso il figlio e gli disse: «Continua tu adesso, Julian. Raccontale del viaggio in città che
facemmo più tardi quel giorno. Potrebbe richiamarle altre memorie...».
«Vedo che avete fatto amicizia. Bene!».
Dimion era ricomparso sulle scale, con un grande arco in mano e una faretra piena di frecce.
Mentre suo padre scendeva le scale, sulla faccia di Julian comparve un sorriso entusiasta come non mai… Quanto aveva
desiderato un’arma con cui cacciare seriamente!
«Padre…»
«Lo so che lo desideravi da tanto. L’ho fatto apposta per te. Non troppo grande ma neanche un arco per bambini. Questo è l’arco
di un cacciatore, Julian. Sei quasi un uomo, ci pensi?»
«Padre, io…», alzò lo sguardo dalla bellissima arma in mano al padre per incrociarne lo sguardo orgoglioso e abbracciarlo stretto.
«Grazie…» sospirò sul torace del padre, che lo abbracciò ancora più stretto.
Julian aveva quattro anni quando sua madre se n’era andata e da allora lui aveva avuto solo suo padre. Avevano vissuto bene
ugualmente. Suo padre non gli aveva mai fatto mancare nulla e l’aveva cresciuto con tanto amore. Certo aveva sacrificato la sua
carriera assicurata all’interno del Consiglio degli Anziani, però non aveva mai fatto pesare sul figlio la decisione. Julian amava suo
padre e avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui.
Sciogliendo l’abbraccio, Dimion si rivolse a Norah, che li guadava senza una vera espressione.
«Piccola, solitamente per il compleanno di mio figlio, gli faccio passare una giornata a Calavron… ti senti abbastanza in forze?»
«Se non stai bene restiamo qui, Norah. A me va bene lo stesso», disse Julian sorridendo; era sincero, ma l’avrebbe fatto a
malincuore.
La bambina comunque accettò e Dimion la condusse fuori, dove l’aiutò a salire a cassetta sul suo carro. Intanto Julian, in silenzio,
ispezionava il bosco che circondava, fitto e vicinissimo, il piccolo cortile della casa. La loro casetta sembrava fosse posizionata lì, nel
bel mezzo del Bosco della Sera, quasi per errore. Tutt’intorno crescevano quelli che la gente definiva, e a ragione, i Grandi Alberi,
mentre sullo sfondo si vedevano i picchi delle Montagne della Sera. Mentre caricava il carro con tutto ciò che Dimion voleva far
riparare in città, Julian scrutava il Bosco ininterrottamente, non riuscendo a non togliersi di dosso la sensazione di essere osservato.
Quegli occhi gialli l’avevano tormentato anche durante i sogni, come aveva sospettato prima di addormentarsi. Aveva sognato che
quegli occhi lo stessero scrutando nel profondo, che stessero perforandogli il cervello, che si stessero insediando nei suoi pensieri per
non andare più via.
Scacciando quel genere di pensieri, finì di caricare un’ultima botte da riempire di vino in città e salì a cassetta accanto a Norah. La
guardò e le sorrise cercando di rassicurare quel faccino perpetuamente triste e angosciato.
Neanche io vorrei svegliarmi in un posto sconosciuto e non ricordare nulla di quanto mi è successo. Anche io mi sentirei spaesato.
Povera bambina.
«Dov’è che mi hai trovato?», chiese lei d’un tratto.
«Ehm.. lì.», rispose Julian indicando il luogo accanto al Grande Albero più vicino alla casa.
«Da sola… li sulla neve tutt’a un tratto?»
«Beh sì…», le rispose Julian abbassando lo sguardo e sperando che non gli facesse altre domande.
Pensa se le dicessi cosa ho visto prima… scapperebbe a gambe levate, terrorizzata peggio di quanto no lo sia già, pensò con amarezza.
Ma Norah non fece ulteriori domande.
Dimion uscì di casa e salì anch’egli sul carro: «Pronti?».
Senza attendere risposta incitò la giumenta bianca e cominciarono ad arrancare nella neve verso l’ala destra del bosco.
Norah ora ricordava nitidamente quella serena giornata di fine inverno in cui aveva visto Calavron per la prima volta.
Cominciava a rivivere quei momenti con la stessa intensità con cui Norah bambina li aveva vissuti anni prima. Per quanto
bizzarro le potesse sembrare adesso, da piccola aveva messo da parte con semplicità le mille domande che doveva aver avuto allora
in testa: la spontanea natura che contraddistingue ogni bambino le aveva fatto accettare con naturalezza la proposta di una gita in
città, se non altro per non essere di peso ai suoi salvatori.
Julian stava proseguendo il suo racconto, ma ora Norah non aveva bisogno di seguire le sue parole: attraverso le fiamme del
focolare poteva vedere i solchi tracciati dal carretto nella neve fresca e la nuvoletta di fiato del cavallo che si volatilizzava nella
pallida luce invernale...
Norah si chiedeva come avrebbero fatto a viaggiare ancora in quelle condizioni, arrancando nella neve. Di quel passo avrebbero
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raggiunto la città il mese dopo. Nell’ultima ora avevano fatto si e no un quarto di miglio.
«Ti conviene non essere una spia, sai?», esclamò d’un tratto Julian.
«Come?»
Il ragazzo rise della sua faccia stupita.
«Ho detto: ti conviene non essere una spia, perché quello che stai per vedere è un segreto. Se venisse scoperto la città dei Na’dal
sarebbe veramente perduta!»
«Prima devono sapere come fare per svelarlo questo segreto, figliolo… e in ogni caso, i Na’dal non sono certo degli sprovveduti.».
«No, certo padre… ero solo divertito dalla faccia di Norah. Sicuramente avrà creduto che avremmo raggiunto la città viaggiando
in carro, con la neve. Volevo anticiparle cosa succederà tra un po’...»
«Cosa succederà?» s’intromise la bambina, intrigata da tutto quel parlare di segreti e dei Na’dal.
«Vedrai, bambina…», Dimion adesso era concentrato. Guardava fisso davanti a sé, poi si tolse il mantello, la giacca e la camicia,
ignorando il freddo. Julian tremò al fianco di Norah e la bambina vide che egli guardava il padre con venerazione, quasi. E
altrettanta concentrazione, come se desiderasse vedere ancora più a fondo cosa stava succedendo. Norah, d’altro canto, non vedeva
nulla fuori dall’ordinario: il bosco continuava a scorrere lento al loro passaggio. Poi d’un tratto, Dimion fece scorrere la propria
mano destra sul petto, scoprendo una forma dapprima indistinta, poi via via sempre più dettagliata, finchè non si formò il
tatuaggio di una mano a coppa e di una sfera di luce splendente tenuta sospesa su di essa…
«Il simbolo dei Na’dal…», sospirò Julian ammirando con desiderio quel disegno così perfetto da sembrare reale, e anche Norah
rimase affascinata e attonita da ciò che i suoi occhi stavano registrando.
Dimion nel frattempo aveva alzato la mano destra di fronte a se e, quando Norah staccò lo sguardo dal tatuaggio, rimase a bocca
aperta: di fronte a sé non aveva più l’infinità del bosco, quell’intricato insieme di enormi alberi sempreverdi e rami scheletrici
colpiti dall’inverno, tutto su uno sfondo niveo splendente a causa dei forti raggi solari di quella mattina, ma una cittadella piena di
vita e affollata di negozi: erano giunti a Calavron.
Siadon stava ancora provando ad allontanare la presenza di Thea quando improvvisamente, attraverso le tessiture, percepì
qualcuno incanalare all’interno della stalla. Dannazione! La rabbia per aver sottovalutato la situazione scomparve assieme a tutte
le altre emozioni mentre focalizzava una sfera espandersi attorno a lui. Camminò lentamente verso un lato del portone,
impugnando due lunghi pugnali ricurvi, all’interno qualcuno stava lottando usando il Potere. Chiuse gli occhi per concentrarsi su
quanto le sue Tessiture gli stavano riportando. Una barriera invertita impediva ai suoni di abbandonare la stalla, permettere ai
sensori di attraversarla poteva rivelare la sua presenza a chi la stava reggendo ma non aveva scelta. La quiete che regnava
all’esterno venne sostituita dai versi degli animali spaventati, dai loro zoccoli che pestavano la terra battuta, dalle cinghie che
venivano tirate e da una cacofonia di rumori indistinti. Percepì un attacco di Acqua ed Aria svanire nel nulla quando il contatto
con la Fonte di un uomo veniva distrutto da una forza invisibile.
La battaglia fu tanto intensa quanto breve, quando raggiunsero l’entrata solo l’agitazione dei cavalli e la barriera che bloccava i
rumori tradivano la tranquillità che li circondava. Aprì gli occhi per comunicare con Thea, era certo che anche la donna sapesse dei
corpi inermi all’interno. Elsa e Tomas giacevano a terra immobili, erano riusciti ad eliminare un uomo ed a rendere inoffensivo
un suo compagno ma Siadon sapeva che non erano soli, la barriera ne era la prova.
E questi chi sono? Con dei flussi di Spirito stava percependo una donna nascosta sopra ad un mucchio di fieno, teneva una lunga
cerbottana d’osso vicino alle labbra, pronta a colpire chiunque varcasse la soglia. Elsa era riuscita ad abbattere le sue difese prima
di cadere ed ora sarebbe bastata una debole luce per renderla visibile Possibile che non se ne sia accorta? Poco distante c’era anche
un’altra persona, era ancora nascosta alle tecniche che stava usando Siadon ma il suo peso creava un affossamento nel cumulo di
fieno che lasciava pochi dubbi.
«Due sul fieno. Altri?» Chiese a Thea gesticolando
«Una donna sul tetto. Ci sta cercando. I nostri amici sono ancora vivi. Vogliono catturarci.»
Siadon sorrise mentre rilasciava la maggior parte dei flussi di Spirito per intrecciare una spessa barriera di Aria dirigendola sopra
la stalla. Poco dopo un’ombra cadde con un tonfo a qualche metro da loro, colpita durante il volo da un pugnale di Thea.
«Ci ha trovati»
«Idiota» rispose lei prima di chinarsi per recuperare l’arma.
«Proviamo dal tetto?»
In risposta la donna afferrò con due mani lo spigolo della stalla ed opponendo i piedi contro la stessa pietra si arrampicò
velocemente, poco prima di raggiungere la cima si sporse agguantando una trave del soffitto e scomparve con un unico volteggio.
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Siadon la seguì domandandosi se davvero si fosse lasciato scappare un sospiro o se l’aveva solo pensato.
Percorsero alcuni metri senza far rumore, fino a trovare una botola aperta. Una scala a pioli scendeva su di un soppalco proprio
sopra al cumulo di fieno. Rimasero immobili per un lungo periodo, esplorando con dei flussi di Spirito l’ambiente sottostante. La
donna con la cerbottana era ancora al suo posto ma ora sembrava sola.
«Ne vedo uno»
«Anche io»
«Cerco con la rete»
Rilasciò quasi tutte le Tessiture, accontentandosi di mantenere solo poche protezioni, e stese un reticolo invertito di Spirito creando
una sorta di cubo. Spostò l’intreccio esplorando tutta la lunghezza del soppalco senza incontrare alcun disturbo, quindi iniziò a
controllare la zona sottostante. Era un metodo lento e dispendioso ma solo poche tecniche riuscivano ad ingannarlo. Trovò un
uomo appoggiato ad una grossa trave e senza perdere tempo modificò leggermente i flussi aggiungendo Fuoco ed Aria, stringendo
rapidamente le maglie attorno alla sua testa. La barriera svanì all’improvviso, gli animali iniziavano a calmarsi ma Siadon era
certo che non sarebbe passato molto tempo prima che qualche Figlio della Luce uscisse per controllare cosa li stesse spaventando
tanto.
Cercò la donna con la cerbottana e la trovò accasciata tra la paglia secca.
«Morta.» Sentire le dita di Thea tracciare lentamente quel segno lungo il suo collo, mise a dura prova il controllo che aveva sul
reticolo. In qualche modo riuscì a mantenerlo ed a riprendere l’esplorazione.
«Possiamo scendere» confermò dopo qualche momento. La vide inginocchiarsi verso la scala e poi perdere l’equilibrio scivolando
all’interno senza opporre resistenza. Registrò alcuni suoni sordi provenire da dietro di lui ed un bruciore intenso iniziò a
diffondersi dalla sua nuca, sentì le proprie Tessiture svanire ed il contatto con la Fonte farsi sempre più sfuggente. Dannata radice!
Dopo anni di assunzione costante era riuscito a sviluppare una buona tolleranza, oltre ad una leggera dipendenza. Conosceva
bene gli effetti di quel veleno, se la dose era in grado di escludere lui dalla Fonte di certo sarebbe bastata per far perdere i sensi alla
maggior parte degli Incanalatori per almeno un giorno intero. Privo di Potere la notte gli sembrò davvero buia. Cadde di lato,
lentamente e quasi senza accorgersene si trovò sdraiato a fissare la volta stellata. Chiuse gli occhi e si concentrò sul formicolio che
attraversava il suo corpo. Rimani sveglio dannato imbecille.
«Ricrea la barriera» era un sussurro rauco ma immediatamente percepì un uomo incanalare mentre due mani salde lo
trascinavano per le caviglie verso la scala.
Fu grato ai cavalli per essere ancora tanto rumorosi da coprire i gemiti che gli sfuggirono raggiungendo il soppalco, l’avevano
lasciato cadere senza tante cerimonie e solo dopo qualche momento si convinse di essere ancora tutto intero.
«Sicuro che non ce ne siano altri?» la voce apparteneva ad un ragazzo. Siadon fu sollevato nel trovare una punta di
preoccupazione nel suo tono, soprattutto nel realizzare che dei Fratelli non avrebbero mai usato delle parole per comunicare in
una situazione simile.
«No ma Jaro ha detto quattro e noi gli porteremo questi quattro. Ora taci e dammi una mano!»
Lo sollevarono e lo gettarono oltre il parapetto, non era certo di essere riuscito a muoversi come un corpo inerme durante la caduta
ma i suoi aggressori non sembrarono farci caso. Atterrò sulla paglia secca e poco dopo un peso morto lo travolse. Thea...
Sentì i due uomini trascinare qualcosa sulla terra battuta e si arrischiò a socchiudere un occhio ma il cumulo di fieno nel quale era
sprofondato gli impediva di vedere la scena, così si concentrò sui rumori. Gli animali ancora in movimento ne coprivano la
maggior parte ma era abbastanza sicuro che i due uomini fossero rimasti soli. Lavoravano senza parlare e Siadon immaginò
stessero perquisendo i loro prigionieri per privarli di qualsiasi arma.
Qualche momento dopo giaceva sul legno di un carro coperto abbastanza grande da permettergli di distendersi senza toccare le
estremità, gli aggressori stavano legando dei cavalli preparando la loro partenza. Tese i muscoli muovendosi senza far rumore,
nell’oscurità del carro sentiva il debole respiro dei suoi compagni attorno a lui. La Fonte sembrava ancora troppo distante ma era
abbastanza sicuro di poter recuperare velocemente e la cosa lo preoccupava.
Non vogliono portarci lontano. Possibile che lavorino per il monastero? Come sapevano che saremmo stati in quattro?
«Sali, sta arrivando qualcuno» era la voce rauca. L’uomo aveva già preso posizione alla guida del carro a poca distanza dalla testa
di Siadon, oltre il telo che copriva il carro. Lo sentì incanalare una gran quantità di Potere poi i cavalli iniziarono a trainare,
incentivati da alcune vigorose frustate.
Poco dopo i rumori della stalla svanirono, sostituiti da un silenzio surreale rotto soltanto dal movimento del carro e dalla brezza
che filtrava dal rivestimento. Era sorpreso, si aspettava una fuga rocambolesca con tanto di esplosione del portone ancora chiuso e
palle di fuoco per dissuadere dall’inseguimento chiunque stesse per scoprirli, invece rallentarono. Non capiva nemmeno come
l’uomo riuscisse a condurre tanto male un carro lungo una strada battuta quanto quella di Hirlomap. Gli sembrava di percorrere
un sentiero pieno di buche e dopo l’ennesima testata decise che tutto sommato poteva anche smettere di fingersi svenuto ed iniziò
a reggersi al carro.
«Dovʹè quella dannata strega?» Disse la voce rauca dopo aver fermato i cavalli con alcuni versi poco convinti
«Sicuro che lʹincrocio sia questo?»
«Certo dannazione! Il posto è quello giusto, è lei che manca.»
«Che facciamo?»
Qualcuno sputò rumorosamente «Andiamo a cercarla, secondo Jaro vive in un villaggio abbandonato ad Est»
«Viaggiando?»
«No... magari sta venendo a cavallo, rischieremmo di non incontrarla.... Tieni, segui il sentiero più battuto e svegliami all’alba. Se
non la incontriamo per strada dovremmo arrivare al villaggio prima di sera, con loro ancora addormentati. Poi saranno affari suoi
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tenerli buoni.»
«Che possa bruciare, lei ed anche Jaro! Dove sʹè cacciata? Se non riesce a convertirli siamo fregati!»
«Oh ce la farà vedrai, l’ho vista solo una volta e m’è bastata. Quella non è una donna, te lo dico io! E quando avrà finito avremo
quattro soldatini obbedienti e ben addestrati che eseguiranno i nostri ordini»
«Anche troppo addestrati, per poco non ci ammazzavano tutti!»
«Jaro aveva ragione, devono esserci altre sette. Comunque rilassati, li abbiamo presi. Ora divideremo la paga in due e tra qualche
giorno saremo più forti di prima.»
«Già! Ma questa volta non spendo tutto per Nataly e Rosa»
«Hahaha! Ragazzo ci sono metodi peggiori per spendere l’oro!»
«Beh... Ne troverò uno migliore.... Dopo qualche notte in loro compagnia....»
«Hahaha mi pare una buona idea! Ora lasciami riposare, voglio essere sveglio prima che i nostri amici capiscano di essere ancora
vivi. Non abbiamo ancora finito, stai in guardia.»
«Va bene, lanterne basse e pugnali a portata di mano. Tengo la strada principale, se qualcosa non va ti sveglio altrimenti ci
vediamo all’alba.»
«Bene»
Buona notte pensò Siadon respirando profondamente e muovendosi senza far rumore. Percepiva la presenza di alcune deboli
tessiture quindi rimase sdraiato e, pur continuando a ripetere degli esercizi per raggiungere la Fonte, non vi si avvicinava mai
troppo. Non che fosse in grado di incanalare, la radice stava ancora facendo il suo dovere, ma non voleva correre rischi.
Aveva tempo e si concentrò sulle Tessiture che sentiva vicino a lui. Spirito, quasi del tutto. Non sapevano della sua finzione quindi
non servivano a controllare il loro stato. Dopo qualche riflessione decise che quei flussi avrebbero svegliato l’uomo dalla voce rauca
se qualcuno avesse incanalato.
Perfetto. Tramortisco il ragazzo, l’uomo si sveglia ed incanala, io lo trovo e lo escludo dalla Fonte, poi aspetto che gli altri si riprendono e
li interroghiamo. No meglio non rischiare, ammazzo il ragazzo tanto è l’altro a comandare. Qualcosa di rapido, Aria e Fuoco dritti
nella testa poi mi sposto ed appena capisco dov’è l’altro lo prendo.... E se non incanala? L’allarme lo sveglia, sa che qualcuno sta
usando il Potere.... che bruci, deve incanalare! Il ragazzo è sveglio se attacco l’uomo se ne accorge subito e poi non sa nemmeno dove
siamo.... Dove siamo? Entro sera da una donna in grado di convertirci, potrebbe essere qualcuna nel Monastero ma che strada è?
Dovrebbe salire e non sento il fiume. No stiamo attraversando il bosco, deve essere la zona pietrosa verso Sud, tra poco raggiungeremo
la strada battuta che taglia il prato dove ho incontrato Thea la prima volta.... Thea.... Concentrati dannato idiota! Bene, l’uomo è
proprio qui dietro quindi il ragazzo deve essere più o meno lì, e la testa.... Quanto può essere alto? La voce sembrava venire da lì.... no
dovrò alzarmi e cercare meglio, se sbaglio sono fregato. Quindi, mi alzo e trovo il ragazzo e poi si inizia.... Bene.... Dannata radice
quanto ci metti?!
Ancora parecchio ammise dopo alcuni esercizi.
Jaro, sarebbe interessante incontrarlo. Questi tizi appartengono ad una setta, dovremo farci dire quale e da chi prendono ordini.
Prendono una paga ed il ragazzo l’ha spesa con due prostitute, nessuna setta lascia tanta libertà, più probabile che sia votata
all’Ombra. Magari dagli stessi uomini che ora sono nel monastero.... Luce, quante altre? Dannati Manti Bianchi, hanno addestrato
un esercito di assassini ed ora è l’Ombra a comandarli. Jaro deve sapere qualcosa ed anche questa strega, dobbiamo trovarli. Chissà
perché questa donna gli fa tanta paura, che sia un’altra creatura tipo quei cosi senza occhi?
Siadon iniziava a temere che l’alba sarebbe arrivata troppo presto quando finalmente la Fonte gli apparve più vicina e ferma. Si
alzò lentamente e si spostò di lato, le lanterne all’esterno proiettavano delle deboli ombre sul telone, molto tenui ma abbastanza
marcate da disegnare il busto di una persona magra con la testa che si muoveva assecondando il movimento del carro. Allargò le
gambe trovando un equilibrio migliore, poi allungò la mano destra verso l’ombra, seguendone i movimenti ritmici, preparando la
sinistra in direzione dell’uomo addormentato.
Soldatini obbedienti un corno!
Pensò tuffandosi nel fiume in piena e scagliando due piccole sfere infuocate che attraversarono il telo e penetrarono a fondo nel
cranio del ragazzo. L’altra figura rimase immobile ma Siadon percepì il legame con la Fonte che stava creando e lo attaccò
selvaggiamente, distruggendolo. L’uomo urlò, alzandosi di scatto e cadendo di schiena dal carro. I cavalli nitrirono imbizzarriti e
scattarono in avanti costringendo Siadon ad aggrapparsi all’intelaiatura. Con dei flussi sottili di Aria lacerò il telo e dopo alcuni
rapidi movimenti raggiunse le redini, ancora strette tra le mani del ragazzo. Poco dopo riuscì a calmare gli animali, li costrinse a
rallentare fino a fermarsi e li legò velocemente all’albero più vicino per poi correre verso le urla dell’uomo. Si sentiva pieno di vita,
l’alba sarebbe arrivata più tardi ma il cielo appariva già più chiaro. Colmo di Potere riusciva a distinguere ogni dettaglio attorno a
lui, ogni rumore ed ogni profumo apparivano nitidi. Sentiva il proprio cuore battere lentamente, profondo come un tamburo,
riempiendo di fuoco ogni sua vena. L’uomo stava correndo tra gli alberi, gridando e tenendosi il volto tra le mani. Ad ogni passo
lo vedeva più vicino, respirava il suo odore distinguendo il sudore delle sue carni ed il terrore della mente, sconvolta dall’attacco
che l’aveva separata brutalmente dalla Fonte. Lo raggiunse con un ultimo balzo, afferrandogli i capelli e tirandolo a sé. Caddero
entrambi a terra e Siadon gli fu addosso in un istante, colpendolo ripetutamente e soffocandolo con un laccio invisibile fino a fargli
perdere i sensi. Lo legò stretto con dei flussi di Aria e mentre lo trascinava verso il carro si concesse alcuni momenti per guardarsi
attorno. Non c’era nessun fiume, gli alberi erano diversi da quelli che crescevano attorno ad Hirlomap e tra le alte chiome non
scorgeva alcuna montagna incombere sulla vallata. Guardando meglio non gli parve proprio di essere in una vallata.
«Dove?» Come?
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La luce filtrava attraverso le tende dell’unica finestra, immergendo la piccola stanza nel bagliore accecante del tardo sole
mattutino. Brienne fece una smorfia e si girò dall’altra parte, rannicchiandosi ancora di più sotto le coperte che condivideva con
Kain.
Luce, Kain! pensò rizzandosi di scatto a sedere emergendo dalle coltri, imprecando sottovoce per l’improvvisa luminosità che le ferì
gli occhi. Cercò di scavalcare l’uomo che ancora dormiva al suo fianco, ma l’idiota era ancora avvinghiato a lei e non accennava a
lasciare la presa. Il suo movimento non l’aveva smosso nemmeno di un pollice!
Con tutta la delicatezza che riuscì a trovare, staccò ad una ad una le dita dell’uomo appoggiate alla sua vita. Perché mai doveva
essere tanto accorta poi? Se gli avesse urlato qualcosa avrebbe ottenuto lo stesso risultato e.... in meno tempo.
Stupida donna! pensò imprecando a denti stretti. La vicinanza di Merian non ti fa bene, ti stai rammollendo!
Kain grugnì qualcosa e lo sentì muoversi accanto a sé ‐ il suo corpo piacevolmente caldo contro il suo ‐ e Brienne si fermò di colpo.
Mossa sbagliata: l’uomo aveva recuperato la posizione.
Lo osservò per un momento, il viso dalla forma perfetta, i lineamenti ben marcati addolciti nell’atto di dormire, una ciocca dei
capelli castani che gli ricadeva sul viso… e si sorprese nel constatare che lo stava in effetti ammirando. Era un uomo molto bello,
dovette ammettere Brienne, reso ancor più affascinante da quegli strani occhi nocciola dalla forma affusolata che lo facevano
sembrare costantemente allegro.
In realtà era poco avvezzo alla risata, e quando lo faceva era generalmente per scherno altrui.
Che cosa mi è saltato in testa? si chiese scuotendo la testa, lo sguardo ancora fisso su Kain.
L’uomo aprì un occhio e vide che Brienne lo fissava, e senza preoccuparsi di chiederle cosa stesse facendo l’attirò a sé per baciarla.
Per un attimo aveva anche pensato di resistergli, ma perché privarsi del piacere di baciare un uomo che lo faceva così bene?
Aveva sempre creduto, giù al villaggio, che le sue fossero solo storie per vantarsi con gli altri uomini ‐ tipico comportamento
maschile ‐ ma aveva piacevolmente constatato che l’uomo ci sapeva davvero fare. Qualsiasi cosa negativa si potesse dire su Kain,
certamente non comprendeva la sua conoscenza delle donne.
Luce che nottata! pensò Brienne mentre si lasciava andare ancora una volta tra le braccia dell’uomo.
Le labbra di Kain si posarono sulla sua pelle, mordendole delicatamente il collo, poi un orecchio…
Chissà se Jon è riuscito a convincere Merian? si chiese mentre le dita di lui correvano su tutto il corpo sfiorandola appena,
muovendosi per tracciare segni invisibili attorno al suo ombelico… per poi afferrarle un seno…
O quello, o andare a dormire nelle stalle con Neal! La faccia di Merian le apparve davanti agli occhi ‐ sconvolta anche al solo
pensiero di potersi trovare accanto a quell’uomo ‐ e soffocò a stento una risata.
Kain alzò lo sguardo su di lei incuriosito ma le sorrise con aria complice senza lasciare andare la presa.
Strinse quindi più forte e si chinò su di lei, seguendo con la lingua ogni singola linea del suo corpo.
Se Jon è scaltro almeno la metà di suo fratello ‐ e lo è senz’altro ‐ avrà trovato sicuramente un modo per convincerla.
I denti affondarono nella carne come per richiamarla alla realtà e il respiro divenne affannoso, mentre le dita dell’uomo
percorrevano sentieri proibiti seguite ansiose dalle sue calde labbra.
In fondo non c’è nulla di male nel condividere una stanza con una donna. Specie se quella camera ha un letto vuoto. Dannato
Rohedric!
Cercò di concentrarsi su quanto stava accadendo attorno a lei, su di lei, ma il pensiero continuava a tornare all’uomo che molto
probabilmente in quello stesso momento si trovava sotto le lenzuola di Ariel, la porta della sua camera a pochi passi di distanza da
lei…
Frenò l’istinto di alzarsi e varcare quella soglia – non sarebbe servito a nulla in fondo ‐ e riportò la mente sull’uomo che in quel
momento stava facendo di tutto per farla impazzire, mentre le stringeva con forza i fianchi, continuando a baciarla, morderla,
leccarla…
Ah Rohedric…
Per quanto si sforzasse di evitarlo i suoi pensieri correvano sempre a lui: gli occhi ammalianti, il sorriso seducente, le forti
braccia.... Luce quanto desiderava essere stretta da quelle mani! Quanto desiderava sentire il suo corpo caldo muoversi su di lei,
dentro di lei… senza mai darle il tempo di respirare…
Il cuore le palpitò impetuoso nel petto quasi a volersi liberare dalla costrizione della sua gabbia, e avvertì il battito di Kain
muoversi all’unisono con il suo: il torace dell’uomo adagiato contro quello di lei, il suo respiro una brezza sul viso che portava con
sé sommessi lamenti ansiosi di essere rilasciati.
Si muoveva con lei, in perfetta armonia, ogni suo gesto volto al solo scopo di sentirla ansimare.
Al diavolo Rohedric!
Afferrò Kain con entrambe le mani e lo spinse con forza facendogli volgere la schiena al letto. Senza mai staccarsi dall’uomo gli fu
sopra in un attimo con un balzo felino e continuò a muoversi con veemenza in preda ad una travolgente passione.
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«Che io sia folgorato Brienne! Dove hai imparato a fare certe cose?» Kain era ancora adagiato comodamente sul suo letto e non
accennava a volersi alzare. Aveva un braccio dietro la testa e guardava fuori della finestra con aria assorta, respirando a fatica,
mentre l’altra mano ciondolava oltre il bordo a sfiorare il pavimento, muovendo le dita quasi stesse toccando corde invisibili di
un’arpa presente solo nella sua testa.
Brienne gli rivolse un’occhiata minacciosa, che lui però non colse, ma si trattenne dal rispondergli: aveva altri pensieri per la testa
al momento, come ad esempio cercare di capire dov’era andato a finire un suo stivale. Dove diamine l’aveva lanciato Kain? Aveva
giurato di averlo visto andare a finire sotto il letto di Merian. In una stanza così piccola non poteva essere finito chissà dove,
dannazione!
«Prova a guardare nell’armadio,» le disse Kain senza distogliere lo sguardo dal quadrato di cielo azzurro. «E’ lì che ho cominciato a
spogliarti.»
Brienne grugnì e si alzò da terra per andare a controllare: accidenti a lui, aveva ragione! Le rivolse un sorriso malizioso, ricordando
senza dubbio quanto era successo la sera prima, e lei arrossì suo malgrado.
«Hai intenzione di restare lì tutto il giorno?» gli chiese per nascondere il suo imbarazzo.
Era più tardi di quanto credesse e molto probabilmente, al contrario di quanto aveva pensato, Rohedric a quell’ora doveva già
essere nella sala comune a fare i preparativi per la giornata, mentre lei e Kain si attardavano per sfogare i loro impulsi naturali.
Per un momento riuscì persino a sentirsi in colpa ma fu un breve, brevissimo momento: l’istante successivo stava già imprecando
a denti stretti. Qualsiasi cosa stesse facendo adesso Rohedric non cambiava il fatto che quei due avevano passato la notte insieme…
più di una, accidenti a loro!
«Perché no? E’ così comodo, specialmente se si è in compagnia…»
«Non farci un’abitudine Kain, è stato solo un caso.»
«Io direi due…» Di nuovo quel sorrisetto, che fosse folgorato!
Si decise però ad alzarsi e cominciò a cercare in giro i suoi vestiti: anche lei non era stata da meno nella foga del momento. Arrossì
di nuovo e lui rise, una genuina risata che non gli sentiva fare da quando erano ragazzini. La cosa la preoccupò non poco.
«Pensi che il piano di Rohedric sia buono?» gli chiese per cambiare argomento.
Era tutta la notte che ci pensava ‐ tra un bacio e l’altro ‐ e più si sforzava di comprendere le ragioni dell’uomo, più gli sembravano
assurde. Assecondava Merian come una figlia prediletta e questa cosa la infastidiva. Non era gelosa, ma da quando Rohedric
sapeva di lei e di quanto aveva detto loro Lord Mat, di quanto Brienne fosse coinvolta, era diventato morboso nei confronti di
quella ragazza. Forse sperava di avere un rapporto decente almeno con lei, visto che con Brienne non riusciva proprio ad andare
d’accordo. E di certo non per colpa sua, lei ce la metteva tutta per la Luce, ma quell’uomo riusciva sempre a tirare fuori il suo lato
peggiore!
«Entrare in una città governata dai Manti Bianchi ‐ un ex‐stedding per l’esattezza ‐ con nessuna possibilità per Merian di
incanalare, per quanto debole il suo controllo sull’Unico Potere attualmente sia; intrufolarci in una prigione; portare in salvo
unʹaltra Incanalatrice, nonché vecchia compagnia di cella della nostra amata Devota, e scappare a nord alla ricerca di leggendari
gruppi di ribelli che combattono contro la Confederazione… si, direi che sia un ottimo piano in effetti.» Lʹuomo aveva continuato
ad allacciarsi i calzoni mentre elencava con disinvoltura tutti i punti dellʹidea di Rohedric, senza accorgersi dello sguardo allibito di
Brienne, rimasta a bocca aperta ad osservarlo con uno stivale ancora in mano.
Come aveva potuto sperare nel buon senso di quellʹ uomo! Quando si trattava di combattere era sempre pronto a sguainare la
spada, non importava quanto pericolosa fosse la battaglia.
«Andare a salvare Eleanor è lʹidea peggiore che Rohedric abbia mai avuto! Intrufolarsi in una città brulicante di Manti Bianchi
senza nemmeno sapere se riusciremo ad uscire vivi da questa!»
«Dovresti fidarti di più del tuo amato Rohedric…» le rispose lʹaltro con una smorfia amara. «Sai bene che non rischierebbe le
nostre vite se non fosse sicuro della riuscita del piano.»
Questa poi… Kain che difendeva Rohedric!
«Non dubito delle sue buone intenzioni,» le rispose lei accalorandosi, «ma dellʹesito finale. Per quanto ne sappiamo abbiamo quei
maledetti alle calcagna da quando abbiamo lasciato Ishamera, senza contare quelli che già si trovano qui…»
«Che si trovano qui per seguire le tracce dei Ribelli, non le nostre,» la interruppe lʹaltro.
«… e noi vogliamo dirigerci dritti dritti nella bocca del nemico? Lo trovo assurdo e insensato, due cose che non vanno dʹaccordo con
Rohedric.» Sono più nel mio stile… aggiunse mentalmente.
Kain si fece serio in volto e si avvicinò a lei per abbracciarla.
«Cosʹ è in realtà che ti turba?»
Brienne si scostò e si occupò del suo stivale, ignorando la domanda dellʹuomo.
Chi diamine pensava di essere! Aveva passato una notte con lei e già credeva di poterle leggere nella mente, cercando significati
nascosti dove non cʹera nulla.
E allora perché era così infastidita?
Il giro di perlustrazione del giorno prima non aveva dato molti frutti, lʹunica cosa che aveva scoperto era che i Manti Bianchi si
trovavano a Zemai perché sospettavano che un gruppo di Ribelli si aggirasse nei dintorni, probabilmente con l’intenzione di
salvare i detenuti di Jennji. Quando Merian era venuta a conoscenza di questo fatto aveva immediatamente pensato a quanto
aveva detto Madama Tinin la prima sera ‐ una donna di nome Eleanor era stata catturata al villaggio e portata alla prigione più
vicina, Jennji ‐ e aveva insistito affinché lʹintera banda andasse a salvarla.
E Rohedric ha detto di sì, stupido idiota!
Kain aveva ragione su un punto: qualcosa la turbava, e non era il pensiero di rischiare la propria vita… ma lʹidea che Merian
venisse catturata di nuovo.
«Sangue e stramaledette ceneri!»
Kain la guardò accigliato, unʹaltra domanda gli si leggeva negli occhi, ma Brienne lo anticipò dicendogli che non cʹera nulla di cui
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preoccuparsi ‐ non aveva intenzione di parlare ad alta voce, dannazione! ‐ e che era tempo di uscire da quella stanza. Lʹuomo
stranamente non ribatté e seguì in fretta Brienne prima che lei gli sbattesse la porta sul naso.
La prorompente locandiera le si era avvicinata immediatamente non appena aveva messo piede nella sala comune, rivolgendole
un sorriso scaltro accennando allʹuomo che le era dappresso, ma Brienne non le diede il tempo di fare domande chiedendole invece
dove fossero i suoi compagni. Madama Tinin tirò su col naso ‐ stizzita dalla brusca reazione dellʹaltra ‐ e le rispose senza troppe
cerimonie, tornando subito dopo a occuparsi dei suoi affari a testa alta e ancheggiando come unʹoca impazzita.
Brienne scosse la testa e si diresse verso la porta esterna, seguita da Kain che la tallonava senza sosta.
Trovò Rohedric esattamente dove la donna le aveva indicato: seduto su un basso muro che delimitava un piccolo orticello di fronte
alla locanda, fumava la sua lunga pipa con aria assorta, salutando di quando in quando un passante con un cenno del capo.
Nessun altro era con lui.
Brienne lo salutò e non appena si voltò si accorse che lʹuomo sembrava arrabbiato. Rivolse a Kain un solo breve sguardo e lʹuomo
si allontanò di alcuni passi per lasciarli parlare da soli.
Come accidenti faceva? A lei ci era voluta lʹintera mattina per mandarlo via e a Rohedric era bastata unʹocchiata!
«Ho mandato Jon a prendere il cavallo per Merian. Partiamo non appena ritornano. Lei ha insistito per andare con lui e non ho
avuto il cuore di dirle di no.» Fece uno strano sorriso, come quello di un padre al pensiero dell’adorata figlia, assurdo! Brienne
evitò di commentare, non aveva voglia di litigare quella mattina… non ancora almeno.
Si schiarì la gola e ribatté nel tono più gentile che riuscì a trovare:
«Non credi che sia un tantino pericoloso lasciarla da sola in un villaggio sconosciuto assediato da nemici?» Riuscì persino ad
abbozzare un sorriso!
«Non è da sola, Jon è con lei, in caso non avessi sentito…» rispose l’altro spazientito.
Ma che accidenti aveva?
La guardò bieco per un lungo momento, aspettandosi una risposta a tono da parte dellʹaltra, ma vedendo che non arrivava si
limitò a tirare dalla sua pipa volgendo lo sguardo altrove. Rilassati Brienne, non è ancora il momento di discutere.
«Te la sei spassata ieri notte,» disse lui allʹimprovviso cogliendola di sorpresa. «Non credevo che Kain fosse il tuo tipo ma tu sei
sempre stata fonte di sorprese…» Con queste parole si voltò a guardarla dritta negli occhi come in segno di sfida.
Brienne sentì che la rabbia che aveva tentato così difficilmente di controllare stava affiorando in superficie sempre più
velocemente, ma riuscì a fare un sorriso tirato mentre gli rispondeva:
«Ho avuto di meglio, ma tutto sommato non se la cava male.» E con tutta la malizia che riuscì a trovare continuò: «Penso che
potrei abituarmi ai suoi corteggiamenti…»
Forse aveva colto nel segno perché lʹuomo si fece serio e la sua voce divenne un dolce sussurro.
«Stai attenta a quel che fai Brienne. Ci sono ferite che non si rimarginano facilmente. Kain è un uomo viscido, è con noi solo
perché è il miglior combattente che conosca.... dopo di me sia chiaro» aggiunse sogghignando.
Brienne lo guardò sconcertata, il viso arrossato per lʹimbarazzo nel sentire che lʹuomo teneva a lei, ma tutta la magia appena
creata svanì nellʹattimo in cui lʹaltro riaprì bocca.
«E comunque…» continuò Rohedric sorridendo, «non sei lʹunica a potersi divertire. Ariel conosce certi giochetti....»
«Non mi interessa grazie, » lo interruppe Brienne bruscamente. «Sarà meglio che vada a mangiare qualcosa.» Fece un cenno a
Kain e entrambi tornarono nella sala comune, mentre Brienne borbottava a denti stretti maledicendo Ariel e ʺi suoi giochettiʺ.
Dire addio al tepore della locanda, il chiasso allegro del villaggio, i suoi mille volti e colori… era stata la cosa più dura che Merian
avesse fatto. Anni e anni di schiavitù lʹavevano abituata a non avere nulla da perdere ma la sensazione di quella mattina era stata
più forte che mai, come di abbandono.
Sospirò di nuovo mentre cavalcava al fianco di Brienne sul suo nuovo cavallo. Lʹaveva chiamato
Dovienya, una parola che le era sembrata di buon auspicio. Non sapeva cosa volesse dire ma lʹaveva sentita pronunciare più volte
da Mat e le era sembrata appropriata per la sua giumenta. Si ripromise di chiedergli il significato quando lʹavesse incontrato....
sperava il più presto possibile.
Sospirò ancora.
Erano partiti non appena lei e Jon erano arrivati, sebbene dovettero aspettare che Brienne preparasse la sua roba. Da quanto aveva
appreso Merian, lei e Kain erano rimasti chiusi in camera quasi tutta la mattina, e questo era il motivo per cui Rohedric era così
irritato quel giorno, pensava Merian.
Stavano cavalcando da molte ore, riposandosi brevemente ogni qual volta trovavano un posto sicuro, e il sole aveva appena
cominciato il suo cammino verso ovest, quando allʹimprovviso Neal li raggiunse di corsa dalla retroguardia.
«Sembrerebbe che il nostro inseguitore non abbia mollato la presa,» disse a Rohedric facendo un sorriso. Cʹera ammirazione nella
sua voce.
Uomini! pensò Merian scuotendo la testa. Qualcuno li stava seguendo da giorni e loro si compiacevano della bravura del loro
avversario. Che differenza faceva se era un bravo soldato o un idiota? Era pur sempre un nemico no?! Non credeva che avrebbe
mai capito i soldati.
Rohedric sorrise a sua volta e disse loro di spostarsi dalla strada. Questa volta non sarebbe corso a rifugiarsi in nessun luogo,
voleva vedere in faccia il loro astuto inseguitore.
Dopo quella che parve unʹeternità, nascosti immobili dietro gli alberi che circondavano una piccola radura, Merian avvertì
finalmente qualcosa: un leggero rumore di foglie proveniva dallʹaltro lato, seguito dal tonfo inconfondibile degli zoccoli di un
cavallo.
Jon scattò in piedi, arco già pronto in mano con una freccia incoccata, e non appena la figura uscì dagli alberi il dardo partì. A
Merian sfuggì un urlo sommesso.
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Rohedric e Jon uscirono dal nascondiglio nellʹistante stesso in cui la vittima si accasciava a terra, e solo dopo aver visto che questa si
muoveva ancora Merian li seguì a sua volta. Brienne e Ariel non avevano atteso troppo e scalpitavano per arrivare sul posto
ognuna per prima, seguiti dappresso dai due omoni come fossero guardie del corpo.
Una volta che si fu avvicinata a sua volta a Merian si bloccò il respiro.
«Che io sia folgorata Jon! Se non avessi preso la spalla sarebbe…» Guardò la figura a terra e si chinò per assisterla, mentre gli altri,
ripresisi dalla sorpresa, stavano già cominciando a tempestarla di domande.
«Se avessi voluto ucciderla sarebbe morta» rispose il giovane fieramente. Merian lo guardò storto per un momento e si rivolse alla
donna accasciata accanto a lei, che adesso rideva apertamente nonostante la ferita.
«Credevo che non sarei riuscita a trovarti Niende,» disse questa rivolgendosi a Merian, «ma grazie alla Luce il capo di questa
banda non è così bravo a coprire le tracce!» Rohedric ignorò il commento e sorrise, ma aprì comunque la bocca per dire
qualcosʹaltro: Merian lo anticipò intuendo il suo pensiero.
«Quella persona non esiste più, il mio nome è Merian,» disse la ragazza sorridendo affettuosamente. «E’ così che devi chiamarmi
adesso… Arlene.»
La vista che accolse Morgan quando giunse all’imboccatura della caverna non fu delle migliori: tre nutriti gruppi di Trolloc,
comandati da alcuni Myrdraal, si stavano avvicinando lentamente ma inesorabilmente al punto dove, nel sogno, aveva avvertito
lo strano odore. Il panico lo colse nel rendersi conto che i Trolloc tagliavano loro la strada per raggiungere il passo di Avende,
passaggio obbligato per rientrare a Coraman.
Forse conoscono le nostre intenzioni?
Si chiese senza troppa convinzione: l’Ombra ignorava l’ubicazione delle Città della Notte, quindi non potevano immaginare che il
gruppo fosse costretto ad usare il passo.
E se fosse iniziata un’invasione su larga scala? O se invece conoscessero un modo di percepire continuamente la posizione di Davrath?
Morgan scosse la testa cercando di ragionare. Rimandò l’interrogativo sul come i Trolloc fossero apparsi nel posto giusto al
momento giusto e si concentrò invece sul modo in cui evitare lo scontro, in quanto le forze in campo dicevano che, questa volta,
non ci sarebbe stata speranza per i suoi ribelli. I nemici sembravano non avere ancora localizzato l’ingresso della caverna, ma
all’apparenza stavano cercando di formare un accerchiamento attorno al punto in cui, nel sogno, Giovane Toro lo aveva messo in
guardia. Questo forse avrebbe dato a Morgan il tempo di organizzare una fuga silenziosa. Le schiere di trolloc erano disposte ad
arco, di fatto impedendo ai ribelli di scappare verso nord e verso ovest; la parete rocciosa al di sopra della caverna era troppo ripida
ed esposta per pensare ad una scalata; l’unica via d’uscita era costeggiare il versante della montagna verso sud.
Esattamente dalla parte opposta a dove siamo diretti, pensò cupamente Morgan, un bell’affare davvero!
Ma sapeva di non avere scelta: una volta distanziati i trolloc, avrebbero aggirato la catena montuosa dove degradava, e avrebbero
infine ripreso il cammino verso nord sullʹaltro versante. Per cui, chiamando a sé uno degli uomini, gli impartì questi ordini:
«Sellate i cavalli e conduceteli lungo il tunnel, in fila di due. Dì a Rourke e Murriel che dovranno condurre la colonna verso sud il
più silenziosamente possibile, cercando di entrare velocemente nel fitto di quegli alberi laggiù. Camminate smontati, ma tenetevi
pronti a cavalcare ad un mio segnale di pericolo. Prima di fare uscire gli altri, però, mandami dieci incanalatori: staremo di
retroguardia.».
Il soldato annuì deciso e partì di corsa verso l’interno della caverna. Nel frattempo Morgan si abbassò a carponi nella neve alta e
avanzò per qualche metro fuori dall’ingresso; i propri sensi acutizzati percepivano le sagome scure muoversi con cautela tra la
vegetazione imbiancata, e i bassi grugniti dei trolloc che fiutavano l’aria. Nonostante i myrdraal fossero riusciti in un qualche
modo a fare muovere i trolloc con circospezione, gli alberi erano troppo radi in quest’area perchè un numero tale di creature
potesse passare inosservato, soprattutto su uno sfondo completamente bianco. Si trattava probabilmente di tre manipoli distinti,
ognuno numeroso almeno quanto i due incontrati la mattina precedente.
«Siamo pronti.», disse una voce alle sue spalle.
Voltandosi, Morgan vide dieci dei suoi che si avvicinavano scavando un solco nella coltre bianca, mentre Murriel e Rourke erano
in piedi sulla soglia della galleria e lo osservavano, in attesa del suo segnale. Il capitano ribelle non perse altro tempo e fece un
gesto deciso con la mano verso sud. Vide i primi guerrieri uscire allo scoperto con sguardi incerti, sussurrando piano ai propri
cavalli per tranquillizzarli; entrambi gli uomini e gli animali percepivano il pericolo e si sentivano esposti. Dal canto suo, Morgan
poteva solo fare affidamento sulla pessima vista dei Trolloc e sulla luce ancora tenue dell’alba. Le creature avevano ormai
raggiunto il punto esatto del sogno e i myrdraal cominciavano a dare segni d’impazienza, saettando senza rumore di qua e di là.
Morgan diede una rapida occhiata alle proprie spalle: gli ultimi due soldati erano ora usciti dalla grotta e si accodavano alla
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colonna, che per metà della sua lunghezza era già al riparo del bosco. Improvvisamente, uno degli uomini accovacciati di fianco a
lui gli afferrò il braccio facendolo voltare, poi gli indicò sopra alle loro teste una macchia nera che volteggiava in circolo. Un corvo,
intuì Morgan prima ancora di riconoscere l’uccello: non poteva essere altro visto che, da quando erano apparsi i Trolloc, non v’era
traccia di altri animali. Cominciò una tessitura d’Aria per intrappolare il volatile, ben sapendo che l’uomo al suo fianco stava già
facendo lo stesso. Un’istante prima che i due incanalatori potessero agire, però, l’odioso verso del corvo ruppe il silenzio
sovrannaturale che si era creato. Con la disperazione negli occhi, Morgan si girò verso i Trolloc: ogni singolo muso animalesco era
rivolto verso il punto in cui il corvo, ora ingabbiato in una bolla d’aria, agitava freneticamente le ali e cercava di lanciare altri
allarmi, ovattati però dalla tessitura. Pur non avendo individuato i ribelli, i Trolloc si lanciarono all’unisono nella direzione del
corvo, e presto li avrebbero scoperti. Morgan mandò un uomo a prendere gli undici cavalli rimasti, legati appena dentro la grotta,
poi segnalò ai soldati che erano in coda alla colonna di montare e lanciarsi al galoppo. Infine, diede rapidi ordini agli altri
incanalatori su come intralciare l’avanzata del nemico: se avessero creato le stesse tessiture contemporaneamente, sarebbero forse
potuti essere abbastanza efficaci.
Al suo segnale, il terreno davanti all’ondata di Trolloc esplose in un getto di terra e neve. Questo fece impietrire di paura le prime
file, che vennero travolte dai compagni che seguivano. Nel trambusto che seguì, il suolo fu percorso da qualche piccola scossa,
mentre grossi abeti venivano sradicati e si abbattevano sulle creature. Mentre i Trolloc ricomponevano le righe, sospinti dalle
frustate dei Fade, la neve che ricopriva il terreno antistante cominciò a ghiacciare rapidamente, ispessendosi a vista d’occhio.
Quando i mostri, al suono dei loro corni, si lanciarono in una nuova carica, si ritrovarono a pattinare su un massiccio strato di
ghiaccio: gli zoccoli e gli artigli delle bestie deformi scivolavano e slittavano inesorabilmente, e la loro avanzata sembrò fermarsi
nuovamente. La placca di ghiaccio, però, non era larga abbastanza per intralciare tutto lo schieramento, e numerosi Trolloc
riuscirono ad aggirarla sui lati. Gettando uno sguardo alle proprie spalle, Morgan vide che la colonna era sparita nel fitto della
foresta;
«Montate!», ordinò ai suoi, e i ribelli, pur affaticati dallo sforzo di incanalare quantità di flussi a cui non erano abituati,
ubbidirono prontamente. Salito a cavallo, Morgan intessè uno scudo d’aria a qualche metro d’altezza, che li avrebbe riparati
durante la ritirata da un eventuale lancio di frecce.
Mentre spronava la propria cavalcatura verso sud, però, si rese conto che il versante destro dello schieramento nemico, aggirato il
ghiaccio, si lanciava verso il punto in cui la colonna di ribelli era penetrata nel bosco.
I Trolloc avrebbero puntato diritto su di noi, ragionò Morgan, evidentemente i Fade hanno avvistato gli ultimi dei nostri prima che si
mettessero al coperto, e ci vogliono tagliare l’unica via di fuga.
Non vedeva, peraltro, alcuna alternativa se non spingere i cavalli al massimo e cercare di anticipare i nemici ai primi alberi: se
avessero ingaggiato battaglia sarebbero stati raggiunti dal grosso delle forze nemiche e sopraffatti. Intanto, sfruttando la loro
rapidità, due myrdraal avevano spregiudicatamente superato le prime file dei Trolloc e si precipitavano avanti per tagliare la
strada ai ribelli. Ad un tratto, un nugolo di proiettili guizzò di fianco a Morgan, andando a colpire i myrdraal e arrestandone
l’avanzata. Con una rapida occhiata il ribelle notò i due incanalatori dei Ladrielle che continuavano a gettare una specie di dardi
infuocati verso i comandanti nemici: le tessiture venivano create così velocemente che Morgan riuscì solo a distinguere che Terra e
Fuoco erano in qualche modo combinati per creare questa micidiale arma.
Più veloce e più difficile da schivare che una palla di fuoco, riflettè, anche se non altrettanto potente; l’arma giusta contro i myrdraal,
dovette forzatamente ammettere.
Uno dei due esseri ammantati, scaraventato a terra dai colpi, appariva in difficoltà, mentre l’altro non aveva tardato a rimettersi in
piedi e riprendere l’inseguimento; gli incanalatori invece davano segni di stanchezza, vacillando pericolosamente sulla sella.
Quando si trovavano a pochi istanti dal raggiungere il fitto del bosco, resosi conto di non potere anticipare il Fade, Morgan deviò
improvvisamente, puntando direttamente sulla creatura. Il myrdraal sembrò per un attimo preso alla sprovvista, ma poi decise di
fermarsi e affrontare l’avversario, che forse aveva compreso essere il comandante. Senza chiedersi se i compagni lo stessero
seguendo o meno, Morgan cercò di focalizzare la propria mente soltanto su saidin e sui propri movimenti. Memore del proprio
errore del giorno prima, sapeva che caricare a cavallo quelle creature dall’agilità sovrumana sarebbe stato fatale per la propria
monta, e forse anche per se stesso. Quindi, bilanciandosi con le mani sul pomello della sella, portò i piedi sul dorso del cavallo,
restando accovacciato fino all’ultimo per non svelare il proprio intento; poi, diede uno strattone di lato alla briglia, facendo deviare
traiettoria all’animale e contemporaneamente spiccò un balzo in alto, che prolungò sostenendosi con flussi d’Aria.
Con la mente tornò alla propria infanzia, quando gli allievi della tecnica di combattimento dei Neglentine venivano portati in
barca al largo del lago di Tsorovarin. Qui, nella stagione estiva, si conduceva una delle più importanti esercitazioni del loro
addestramento: l’acrobazia. Gli allievi dovevano eseguire determinati tuffi acrobatici, che richiedevano, oltre ad un’eccellente
coordinazione degli arti, anche un accurato uso del Potere, per infondere spinta e slancio adeguati ai gesti atletici. Un flusso d’Aria
troppo debole o troppo energico, oppure incanalato al momento sbagliato, potevano risultare in una caduta rovinosa in acqua,
talvolta molto dolorosa.
Il segreto sta nel combinare armonicamente movimento fisico e tessiture, ripetè mnemonicamente a se stesso Morgan. Dai tempi
delle esercitazioni, la sua tecnica era migliorata al punto che adesso non solo riusciva a compiere ad occhi chiusi numerosi tipi
d’acrobazia, ma in molti casi poteva contemporaneamente eseguire forme di combattimento con la spada, il ché era, d’altra parte,
lo scopo ultimo della tecnica di Tsorovarin. E così, mentre compiva una capriola in aria, Morgan estrasse il suo spadone, dal fodero
che portava legato alla schiena, con una versione leggermente modificata di Aprire il ventaglio. La capriola non era puramente
scenografica, ma aggiungeva la propria forza rotatoria al movimento della spada, che Morgan teneva a due mani, dritta sopra la
propria testa. Non si era aspettato che il myrdraal assistesse passivamente alla propria fine, e non si stupì nel vederlo scivolare di
lato, pronto a colpire a sua volta. La creatura dell’Ombra, tuttavia, non si aspettava che Morgan, con Il cinghiale si precipita giù
dalla montagna, modificasse a mezz’aria la traiettoria del colpo in una rasoiata orizzontale. Grazie al Potere, il colpo non perse
niente della propria violenza nella parabola, e mandò letteralmente in frantumi la lama nera del myrdraal, per poi proseguire la
devastazione nel corpo umanoide del mostro. Morgan non perse tempo a cercare di finire l’avversario: sarebbe occorso troppo
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tempo, e i trolloc lo avrebbero raggiunto. Raggiunse quindi il cavallo, che, ben addestrato, si era fermato appena rimasto senza
cavaliere; montò in sella e spronò verso il bosco, volgendo rapidamente lo sguardo a studiare la situazione: gli inseguitori, privati
delle loro guide, titubavano, forse scoraggiati dal fatto di dover inseguire nemici a cavallo. Morgan però lanciò uno sguardo più
oltre, al resto dello schieramento dell’Ombra, nel quale alcuni myrdraal continuavano a spronare all’attacco i propri trolloc, forse
contando sul fatto che i ribelli non avrebbero potuto cavalcare troppo velocemente nel fitto della foresta.
Perlomeno ho dato un po’ di vantaggio ai miei, si disse Morgan, curvandosi sulla sella mentre il cavallo si inoltrava tra la
vegetazione.
Hilda! Inciampando nella gonna e nel mantello che lʹaveva coperta, raggiunse maldestramente la compagna. La girò verso lʹalto e
le prese la testa, portandosela in grembo: scottava. Stupida!
La vide aprire debolmente gli occhi
«Cosa....» deglutì sonoramente senza riuscire a completare quella che, dal cipiglio che mostrò, sarebbe stata certamente unʹaccusa
nei suoi confronti
«Non ti ho fatto niente. Cose come questa capitano a chi fa il bagno in mezzo alla neve e poi va a cavallo con i capelli bagnati»
Hilda teneva gli occhi aperti a fatica, eppure riuscì a guardarla male.
La trascinò vicino al camino, la coprì con tutto quello che trovò e poi si mise a ravvivare il fuoco che nel frattempo si era quasi
spento.
«Mabien» la chiamò con voce affannata
La ragazza si girò e si chinò obbedendo al segno che le stava facendo la donna. Appena fu abbastanza vicina, Hilda le bloccò un
polso con la catena a cui già aveva chiuso il proprio allʹaltra estremità. Mab tirò istintivamente indietro il braccio, ma era già tropo
tardi. Le uscì un grugnito a denti stretti mentre osservava sgomenta il morso dʹacciaio sulla propria pelle.
Lʹaltra si stava rilassando come se fare quello scatto le fosse costato unʹenorme fatica: aveva lasciato ricadere le braccia e la testa al
pavimento e ora, a occhi chiusi, prendeva lunghi respiri.
«Dovevo aspettarmelo» disse infine Mab, sedendosi a terra accanto a lei.
«Mabien» prese un lungo respiro «Lo so che potresti liberartene, ma ti prego, non fare stupidaggini! Non adesso che siamo così
vicine!» parlava lentamente, con un accenno di fiatone «Se ti metti ad incanalare qui ora, tanto vale che tu accenda un falò usando
tutta la foresta. Non fare stupidaggini!» sollevò un poʹ la testa per poterla guardare meglio
«Ora guardami dritto negli occhi e dimmi che non incanalerai»
Mab sorrise ironica e alzò il polso incatenato
«E dopo avermi messo questo grazioso bracciale, vorresti dirmi che crederesti alla mia parola?»
Hilda lasciò ricadere la testa sul pavimento e sospirò
«E poi smettila di chiamarmi Mabien. Mab! Mi chiamo Mab! Non cʹè nessun onore nel portare il titolo di una famiglia di
traditori!»
Lʹaltra non rispose, rimase immobile per qualche minuto a guardare il soffitto, gli occhi semichiusi brillavano per la febbre.
«Mab, non mi deludere» poi parve addormentarsi.
Il fuoco illuminava la stanza in modo irregolare producendo lʹunico rumore che Mab poteva sentire, oltre al respiro un poʹ pesante
della compagna. Non riusciva a smettere di osservare con sospetto ogni ombra che si muoveva danzando con le fiamme e ogni
spiraglio che i muri e le imposte rotte lasciavano al buio e allʹassoluto silenzio della notte là fuori. Non ricordava di aver mai
desiderato tanto avere un qualsiasi cosa di alcolico da trangugiare fino a perdere i sensi. Non aveva paura, era letteralmente
terrorizzata.
Figli votati allʹOmbra, Uomini grigi, Draghkar.... cosa stava succedendo? Malediceva lo scarso interesse che aveva sempre avuto
per lo studio delle profezie, iniziava a temere che con tutto quello che stava accadendo, sarebbero potute tornarle utili. O forse era
meglio non sapere proprio niente: nella sua vita aveva sempre dovuto fare i conti con la fatalità e si era piuttosto abituata a
pensare che a volte non si poteva far altro che rassegnarsi al volere della Ruota. Cosʹaveva fatto lei per essere trascinata da una
sconosciuta nel bel mezzo del nulla, braccata dai Figli della Luce da una parte e da Servi dellʹOmbra dallʹaltra?
Mantenere la calma non era mai stato il suo forte, le situazioni dʹattesa come quella poi le davano lʹangoscia. Aveva bisogno di
camminare, doveva riuscire a tranquillizzarsi.
Cʹera un trucco per poter incanalare senza che altri lo potessero percepire, Ellis glielʹaveva insegnato, lo aveva usato altre volte, ma
ora temeva potesse non essere sicuro. Odiava farsi prendere dallʹemotività, ma sentiva il panico accelerarle i battiti attimo dopo
attimo rubandole la razionalità. Rimase diversi minuti a fissare il metallo che la teneva imprigionata, poi si decise: prima doveva
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creare uno schermo a flussi invertiti di spirito e aria e fare in modo di mantenerlo mentre intesseva gli altri flussi di terra e aria
con cui aprire la serratura. Impiegò un poʹ per raggiungere la quiete necessaria per farlo, ma appena si lasciò andare a Saidar, fu
tutto più facile.
Era libera. Lʹeuforia durò un istante: era libera di far cosa?
Scartò sul nascere lʹidea di scappare, consapevole delle difficoltà che avrebbe comportato. E in tutta onestà non se la sentiva di
abbandonare lì quella stupida febbricitante: gli anni di nefandezze al fianco di Krooche non le avevano davvero insegnato niente!
Poi senza Hilda temeva di doversela cavare da sola contro chissà cosa, riconosceva che la presenza di quella dannata Figlia la
faceva sentire più tranquilla, che la Luce folgorasse lei e la sua stramaledetta insicurezza!
Respiri profondi e regolari avrebbero dovuto calmarla, camminare avanti e indietro per la stanza anche, ma nulla sembrava
efficace in quella notte che sembrava essere durata unʹeternità. Il nero della notte stava schiarendo per lʹalba incipiente, quando si
chinò per lʹennesima volta a tastare la fronte della compagna. Solo in quel momento le tornò in mente lʹanello che aveva notato
ad un suo dito il pomeriggio precedente. Spostò ciò che la copriva, fino a lasciare libera la sua mano destra, lʹoggetto metallico
riluceva freddo al suo pollice. Controllando che la donna non si svegliasse, eseguì nuovamente la tessitura invertita per creare la
barriera e poi provò ad avvicinare un flusso qualsiasi alla sua compagna: com ʹera accaduto la prima volta che ci aveva provato, lo
vide dissolversi nellʹaria. Nello stesso momento sulla superficie dellʹanello parve passare una sorta di sostanza oleosa nera, che
indusse Mab a posarvi un dito sopra: non sentì nulla di diverso dal contatto con comunissimo metallo. Per accertarsi di non aver
visto male, riprovò, convogliò un intreccio più complesso di tessiture addosso a Hilda e il risultato fu lo stesso, ma lʹeffetto sulla
superficie dellʹanello si protrasse più a lungo. Doveva trattarsi di un angreal, non poteva essere nientʹaltro. Non avrebbe avuto
occasioni migliori di quella per toglierglielo. Un altro sguardo al volto di Hilda confermò che dormiva ancora profondamente. Mab
prese delicatamente la mano della donna e con due dita cominciò lenta a muovere lʹanello, tirandolo e ruotandolo
contemporaneamente in modo da evitare il più possibile che facesse attrito mentre lo sfilava.
Ora lʹanello era nel palmo della sua mano, lo posò a terra e incanalò, i flussi passarono attraverso Hilda, come sarebbe accaduto
con chiunque altro. Mab sentì le proprie labbra incresparsi in un sorriso compiaciuto. Ma ora che fare di quella vittoria?
Raccolse lʹanello e lo strinse in mano mentre si rialzava e riprendeva a camminare ossessivamente avanti e indietro per la stanza,
lo sguardo fisso su Hilda. Cʹerano un paio di modi per entrare nella mente di una persona usando il Potere: se voleva capire quello
che tramava davvero quella donna, se voleva accertarsi di avere al fianco qualcuno di cui si poteva fidare, doveva provare una di
quelle strade.
Il modo migliore per farsi dire tutta la verità da qualcuno era usare flussi che erano sempre stati banditi tra le Aes Sedai, motivo
per cui non aveva mai letto altro che leggende sullʹuso della compulsione, così come sulla tessitura per sondare pensieri e ricordi. Si
trattava in ogni caso di tecniche simili alla guarigione, che richiedevano capacità in cui lei era sempre stata piuttosto scarsa.
Rimaneva una sola via da percorrere, quella che le dava meno certezze e che presentava un grossissimo svantaggio: legarsi a Hilda
non le avrebbe permesso davvero di accedere ai suoi pensieri, le avrebbe solo fatto percepire le sue emozioni, cosa da cui poter poi
dedurre altro, le avrebbe inoltre permesso in un certo senso un controllo su di lei e una sorta di garanzia, perchè la Figlia avrebbe
pagato in egual misura qualsiasi cosa fosse capitata a lei. Lʹenorme svantaggio stava nel fatto che ogni cosa valeva per entrambe le
parti del legame, era a tutti gli effetti unʹarma a doppio taglio, che per quanto la potesse tutelare da certi pericoli, le avrebbe
precluso definitivamente ogni via di fuga.
Si accorse improvvisamente dellʹintenso scrosciare di un acquazzone che copriva ogni altro rumore, si inginocchiò al fianco di
Hilda e, valutando lʹoccasione forse unica che aveva al pensiero che probabilmente non sarebbe mai più riuscita a toglierle lʹanello,
rimase a guardare quellʹangelico viso di bambola per qualche minuto. Poi sospirò, chiuse gli occhi e portò alla mente ogni ricordo
su quella tessitura, la eseguì, si chinò sulla donna e prendendole la testa tra le mani, la mise in azione. Hilda aprì gli occhi di
scatto, Mab strinse più forte le dita tra i suoi capelli finchè ne avvertì il dolore anche su sé stessa. Percepiva lo spavento rimbalzare
tra lei e lʹaltra donna, alimentandosi. Sentì freddo, mal di testa, disorientamento, unʹimmensa rabbia che si stava formando alla
presa di coscienza della situazione: erano tutte sensazioni di Hilda. Erano legate.
La primavera era già arrivata da un pezzo in quelle terre. Lʹerba era verde brillante, costellata di petali colorati ormai caduti e di
alberi rinvigoriti da nuovi germogli. A poca distanza da dove si erano fermati, Siadon aveva trovato una radura nascosta quanto
bastava per non far scorgere il carro dalla strada. Se ne stava seduto per terra, su di un sasso piatto che aveva scelto come sedia,
con la schiena appoggiata al legno di una ruota e godendosi la pace di quel luogo. Lʹodore di muschio e terra umida, il rumore dei
cavalli a riposo mischiati al cinguettio ed ai movimenti furtivi degli animali nel bosco, lo scricchiolio del carro alle sue spalle, gli
ricordavano i giorni che aveva passato al servizio di Mastro Lucas. Vecchio pazzo pensò sorridendo mentre tornava con la mente al
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loro primo incontro.
Era unʹaltra giornata torrida, con il sole che batteva a picco sul mercato di periferia a Samrie. Il piccolo Siadon avrebbe voluto
seguire i suoi amici al fiume ma quel giorno non poteva, aveva un lavoro speciale. Questa volta era una cosa grossa, non la solita
pagnotta o qualche frutto che poi una volta mangiati si trovava affamato come prima. E nemmeno i pochi spiccioli che la gente si
portava al mercato, almeno quella disarmata e senza guardie del corpo, gli altri avevano certamente parecchi soldi ma lui non
voleva rimetterci le mani o finire in qualche cella. No, questa volta era un vero lavoro su commissione, avrebbe ricevuto del
denaro e non era unʹaltra fregatura. Quella donna gli avrebbe dato una moneta dʹoro, oro vero, lʹaveva vista! Lʹanticipo in monete
di rame era già nelle sue tasche ed in cambio di unʹinutile statuetta, lʹoro sarebbe stato tutto suo, unʹintera moneta! Avrebbe
potuto fare tutto quello che voleva. Quella notte avrebbe dormito in un letto vero, non nascosto in qualche buco puzzolente.
Avrebbe addirittura cenato in una locanda ma prima doveva prendere quellʹaffare. Il mercante era un vecchio, seduto mezzo
addormentato dietro al suo banco. Capelli incolti, striati di bianco come la barba lo facevano assomigliare ad un pellegrino delle
rovine, protagonista delle peggiori storie per spaventare i mocciosi. Anche se qualcuna era vera ovviamente, Siadon lo sapeva, ma
dalle altre non si faceva spaventare. Il vecchio vendeva cianfrusaglie di ogni tipo e di certo le scritte con cui aveva tappezzato il
carretto dovevano essere invitanti, come le parole di quello del circo ogni volta che arrivava in città. Anche se Siadon non sapeva
leggere. Purtroppo per entrambi però, non sembravano funzionare molto bene: pochissime persone si fermavano ed ancora meno
distraevano il mercante. Siadon aveva individuato la statuetta al primo sguardo, camminando davanti al carretto fingendo
indifferenza. Si era subito allontanato con la brutta sensazione di essere osservato da sotto quelle spesse sopracciglia. Passando tra
le altre bancarelle era riuscito a nascondersi lì vicino e stava aspettando il momento giusto, lo stava aspettando da un bel pezzo
quando finalmente qualcuno parlò al mercante, dalla voce sembrava una donna. Siadon non perse tempo, dopo un rapido
sguardo uscì camminando dal suo nascondiglio, si avvicinò con noncuranza al banco ed afferrato il bottino si girò come niente
fosse per tornare dietro al carro. Sbattendo contro un uomo gigantesco, con lʹelsa di una spada ancora più grande che gli sbucava
da dietro una spalla. Rimase pietrificato dal terrore, tanto che non udì le parole che uscirono dalla bocca di quel mostro. Solo dopo
qualche momento sentì la voce di un vecchio alle sue spalle
«Va tutto bene, è il mio giovane assistente.»
Sentire il prigioniero raggiungere la Fonte riportò Siadon alla realtà. Lʹuomo era legato ad un tronco di fronte a lui e si fingeva
privo di sensi.
«Davvero poco Potere. Quanto basta per non farti impazzire ma non abbastanza per poterti liberare.»
Lʹuomo aprì gli occhi, freddi e privi di emozioni. Una profonda cicatrice gli attraversava la guancia destra, salendo dal mento e
perdendosi tra i capelli lunghi e neri, attraversando un gonfiore ben più recente e diversi graffi che si era fatto con le proprie mani,
mentre correva urlando.
«Grazie per averlo tenuto, mi sarebbe dispiaciuto perderlo» continuò Siadon mostrando il suo pugnale.
«Unʹarma davvero affascinante» la voce rauca era tranquilla mentre osservava il campo improvvisato «dove siamo?»
«Si, è esattamente la domanda che volevo farti. Il tuo amico ha condotto il carro fino quasi allʹalba, poco distante da qui. Stavamo
andando a trovare una signora e seguendo la strada arriveremmo in serata. Quindi, dove siamo?»
«Nord‐Ovest di Jennji, ad un paio di giorni dalla città, ci stavamo dirigendo verso Est per raggiungere un piccolo villaggio, non so
come si chiama, la donna che dovevamo incontrare vi si è stabilita da poco. Ero bruciato vero? Come hai fatto a guarirmi?»
«Facciamo così, io te lo dico e tu mi spieghi come abbiamo fatto ad arrivare qui.»
Lʹuomo sorrise «Quei dannati Manti Bianchi tengono al guinzaglio anche voi vero? Vi lasciano imparare qualche trucchetto utile
ai loro scopi ma nulla di tanto pericoloso da poterli minacciare davvero. Era così anche per noi, poi sono arrivate delle persone ed è
cambiato tutto, ora siamo liberi.»
Siadon lo studiò per qualche istante Mi stai interrogando, vuoi sapere di più sulla Famiglia.
«Jaro è una di queste persone?»
«Dannato bastardo, hai finto per tutto il tempo vero? Com ʹè possibile?»
Siadon alzò le spalle con noncuranza «Dovresti chiederlo a chi ti ha dato il veleno.»
«Lʹho preparato io stesso quel maledetto veleno» qualcosa nel suo sguardo stava cambiando «sui tuoi amici ha funzionato»
«O magari è quello che volevamo farvi credere» lʹuomo esitò Bene «Magari volevamo distruggervi fino alla radice. Ci stiamo
riuscendo piuttosto bene non trovi?»
«E poi tornerete come dei cagnolini obbedienti dal vostro Inquisitore?» la voce era carica di disprezzo.
Siadon si alzò mostrando un sorriso rassegnato e si diresse verso il retro del carro Sono davvero poche le sette con un inquisitore al
comando, sono troppo fanatici per sopportare la vicinanza agli incanalatori
Poco dopo era di ritorno con della carne secca ed una borraccia «Non serve chiederti di non fare sciocchezze vero?» disse prima di
liberargli le mani lasciando il cibo poco distante.
«Lʹultimo pasto del condannato?»
«Chi può dirlo? Come ti chiami?»
«Ron»
«Io sono Siadon. Ron, abbiamo bisogno di qualcuno che ci conduca da Jaro e dalla donna, che ci dica quante altre persone ci sono e
cosa aspettarci una volta arrivati lì.» Sperava di riuscire a infondere qualche speranza, non avrebbe sottovalutato unʹaltra volta la
situazione. Lʹuomo era legato e privo di Potere ma fino a che Thea e gli altri non si fossero svegliati, lui non avrebbe fatto nulla di
pericoloso «Mi piacerebbe anche capire come abbiamo fatto a lasciare Hirlomap. Credo che dovremmo iniziare proprio da questo.»
Lʹuomo stava masticando rumorosamente «Con così poco Potere sarà difficile»
«Puoi iniziare a spiegarmelo, non abbiamo fretta»
«Gli altri sono ancora svenuti vero?»
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Siadon sorrise, era il momento di sembrare amichevole «Si, siamo caduti in trappola come quattro idioti. Non ci siamo fatti
catturare per distruggervi.»
Molto utile davvero pensò euforico intrecciando nuovamente i flussi. Una sottile linea argentata tagliò lʹaria davanti a lui,
allargandosi fino a mostrare le rovine ormai vinte dalla vegetazione che stavano dallʹaltra parte del collegamento.
«Cosʹè quello?» Era Thea, non lʹaveva sentita scendere dal carro.
«Sono le antiche rovine di Samrie. E questo.... è il metodo che ci ha condotti fino a qui.»
«Vuoi dire che se lo attraverso raggiungo quelle rovine?» rispose lei poco convinta
«Già, incredibile vero? Può portarti in qualsiasi posto, più o meno. Come stanno gli altri?»
«Sono svegli. Tomas sentiva qualcuno incanalare e stavamo cercando di capire chi comanda» si avvicinò a Ron, ancora legato
mani e piedi al tronco, studiandone i lividi e ricevendo un sorriso dallʹuomo. Lei ricambiò con un pugno dritto in volto,
spaccandogli un labbro.
«Thea, lui è Ron. Ron ti presento Thea» Disse Siadon rimanendo seduto sul suo masso.
Lʹuomo sputò a terra qualcosa di rosso «Eʹ un vero piacere»
«Ci ha portati a Nord‐Ovest di Jennji e si è gentilmente offerto come guida per raggiungere una simpatica signora che vorrebbe
tanto.... convincerci ad obbedire ai suoi ordini. Ron dovrebbe anche farci conoscere un certo Jaro, un suo superiore che sapeva in
quanti saremmo stati.»
Si alzò porgendo il pugnale a Thea, lei lo prese guardandolo dubbiosa «Ron, temo che la nostra piccola tregua sia finita» disse
Siadon avvicinandosi lentamente al prigioniero, mentre creava una complessa rete di spirito. Lʹuomo osservò per qualche istante
le Tessiture che prendevano il loro posto, poi spalancò gli occhi «Come puoi conoscerlo? Chi siete?»
«I tuoi migliori amici Ron» rispose Siadon spingendo la tessitura fino a farla scomparire nella testa del prigioniero.
«Dimmi Ron, ti ricordi perché Jaro ti ha mandato a cercarci?»
«Certo!» Rispose sorridendo, contento di essere utile «Da quando i manti bianchi hanno revocato i nostri sigilli, dichiarando
fuorilegge chiunque li porti, lʹoro scarseggia. Eʹ sempre più difficile trovare dei buoni assassini, cʹè sempre più lavoro ed è sempre
più pericoloso. Allʹinizio bastava spaventare qualche contadino, ora ci troviamo spesso a dover far fuori qualche guardia, a volte
senza nemmeno usare il Potere. Qualche giorno fa Jaro è arrivato tutto contento dicendo che la nostra non era lʹunica setta, che i
manti ne comandavano diverse e che sapeva dove trovare quattro tizi come noi. La strega li obbligherà ad unirsi a noi e non
vorranno neppure essere pagati, diceva. Beh non sarà felice di scoprire che per avere voi quattro ne abbiamo persi sei»
«Mi spiace, in quanti siamo rimasti?»
«Ci siamo noi cinque, Jaro ed almeno altri sette o otto al rifugio e tre o quattro in giro a cercare lavori. Poi ci sono i ragazzi nuovi,
mezza dozzina ma hanno appena iniziato lʹaddestramento.»
Troppi... Ma di che sta parlando? Stanno creando una setta loro?
«Ron, la nostra setta era molto diversa. Per me tutto questo è nuovo e sono curioso, come vi siete organizzati e perché avete
bisogno di tanti lavori?»
«E stato il Prete Nero, ci ha insegnato come Viaggiare e dopo esserci ribellati ai Manti Bianchi ci siamo spostati qui per creare un
rifugio. Niente di complicato, abbiamo preso una casa molto isolata ci siamo stabiliti lì. Col tempo poi il Prete ha radunato altra
gente, soprattutto Incanalatori ma a loro non dice tutto, loro se ne stanno lì a studiare ma cʹè sempre qualche lavoro sporco da fare
per proteggerli e quello lo fa fare a noi, la paga è buona e veniamo trattati come signori, vedrai!»
«E questo Prete Nero da dove viene?»
Ron si rattristò visibilmente «Non lo so.... mi spiace.... lʹho visto la prima volta in caserma, qualcuno deve averlo fatto entrare di
nascosto, non so da dove venga. Ci ha raccontato un sacco di cose.... sulla storia, sulle stelle sulla natura degli uomini.... diceva che
eravamo schiavi e mostrato cosa avremmo potuto fare da uomini liberi.... non ricordo altro....»
Siadon rimase in silenzio riflettendo su quanto appreso. Il reticolo di Spirito impediva a Ron di mentire, lo rendeva anche
desideroso di compiacere i suoi nuovi amici quindi doveva essere tutto vero. Forse lʹuomo conosceva qualche trucco per distorcere
la verità ed aggirare la Tessitura ma Siadon dubitava fosse possibile, soprattutto senza il Potere.
Poco prima anche Tomas ed Elsa erano scesi dal carro, avevano sistemato una cassa vicino al prigioniero e vi si erano seduti. Ora
stavano masticando della carne secca, lʹuna con aria felice e spensierata, come se stesse partecipando ad una scampagnata, lʹaltro
con uno sguardo tra il curioso ed il preoccupato mentre studiava la testa di Ron. Thea invece sembrava parecchio arrabbiata e
continuava a lanciare occhiatacce al prigioniero cercando di non farsi vedere, nello stato emotivo in cui era forzato avrebbe anche
potuto mettersi a piangere come un bambino se avesse pensato di essere odiato.
Elsa si allungò fino a sfiorare con la mano una coscia di Ron ʺCaro... questa donna che dovremmo incontrare... chi è? La conosci?ʺ
lʹuomo rimase senza fiato per qualche istante, perso nei suoi occhi fino a quando lei si ritirò accarezzandolo lentamente,
sorridendo con malizia a Tomas mentre si sistemava sulla cassa.
Luce donna... Ti piace proprio torturare la gente pensò Siadon divertito.
ʺIo... Lei...ʺ pareva stordito, poi prese a parlare in fretta quasi scocciato dal doversi interrompere per respirare ʺNon conosco il suo
nome. Lʹho vista solo una volta, quando è venuta al tempio diversi giorni fa. Nemmeno gli altri la conoscevano, persino il prete
non si fidava di lei ma in qualche modo la temeva. Però lei conosceva noi, quello che facevamo. Ha due occhi neri che ti
inchiodano, come se vedesse i tuoi pensieri e non il tuo volto, è tanto pallida e spigolosa da sembrare un cadavere. Eʹ piuttosto
bassa e tanto magra che un uomo...ʺ si fermò guardando Elsa preoccupato ʺbe insomma è anche molto magra. Non ne sono
sicuro perché lʹabito le copriva il capo ma credo abbia i capelli grigi anche se dal volto non sembrava affatto una vecchia. Quel
giorno ha parlato con Jaro e con il prete, poi è andata via e non ne ho più sentito parlare fino a quando Jaro ci ha radunati per
venire a prendervi. Diceva che lei ci avrebbe aspettato allʹincrocio stanotte ma non cʹera, quindi stiamo andando in un villaggio
abbandonato ad Est di qui, non so di preciso dove ma Jaro dice che è lì che vive e che vi avrebbe...ʺ esitò ancora ʺsi ecco... secondo
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Jaro vi avrebbe convinto ad unirvi a noi.... Luce quanto sei bella!ʺ concluse ammirando Elsa.
Siadon rimase immobile, trattenendo quasi il fiato ed anche Thea aveva smesso di giocare con il pugnale. Si scambiarono uno
sguardo allarmato intuendo che entrambi avevano lo stesso sospetto. Nella sua mente stava ricomponendo gli ultimi
avvenimenti, come se provasse a rimettere insieme i pezzi di un vaso rotto. Lʹultima missione, lʹincontro nella sala con il trolloc
smembrato, la frattura della Famiglia, la sua scomparsa ed il diario... poi la fuga e la cattura da parte di gente che sapeva
addirittura in quanti sarebbero stati.
Nessuno di noi lʹha mai interrogata... Nessuno di noi ha assistito alla sua morte... nessun cadavere
ʺOh... sei troppo gentileʺ era la voce di Elsa, con un tono suadente e calmo ʺQuesta donna... ha per caso un piccolo neo sotto
lʹocchio destro e una vocina graffiante?ʺ
Tamara. Anche Elsa crede che la donna sia lei
ʺSi ce lʹha, me ne ero dimenticato! La sua voce invece la ricordo bene, degna dello scheletro a cui assomiglia!ʺ
Un lungo silenzio avvolse il gruppo, rotto soltanto dagli sporadici rumori del bosco e dal debole fruscio delle vesti di Tomas che
osservava preoccupato i volti dei suoi compagni.
«Va... va tutto bene?» Domandò incerto Ron, visibilmente a disagio
Elsa attese qualche istante, regalando un sorriso dolce allʹuomo, poi spostò la propria attenzione su Siadon e Thea che risposero con
un debole cenno del capo.
«Certo caro, va tutto bene» il prigioniero seguiva le sue labbra con occhi rapiti «Ti ricordi se....» continuò lei con voce mielosa,
avvicinandosi lentamente fino ad accarezzargli il volto «Oltre al metodo per coprire lunghe distanze con pochi passi, i preti neri vi
hanno insegnato qualche altra tessitura?» chiese con tono complice, quasi sussurrando mentre lui si godeva il contatto della sua
mano con gli occhi chiusi
«Solo una, per sconvolgere la mente di un prigioniero...» lei si avvicinò ancora «molto utile ma la strega ne conosce una forma
migliore, obbliga le persone ad eseguire certi ordini...» concluse cercando di alzare il mento verso quello della donna fermandosi a
poca distanza, trattenuto dalle corde che lo legavano al tronco.
Elsa si avvicinò fino a sfiorarlo mentre si sedeva cavalcioni sulle sue gambe. Lʹuomo strattonò con forza i nodi, ignorando il dolore
che gli provocava nella speranza di riuscire a baciarla. Lei gli sorrise indietreggiando un poco mentre si raddrizzava sulle proprie
ginocchia «Allora credo che le domande siano finite amore mio...»
Forzò le corde ancora più forte di prima, lasciandosi sfuggire qualche gemito mentre lʹarticolazione di un polso usciva dalla sua
sede. Elsa gli concesse un ultimo sguardo invitante poi lo schiaffeggiò senza alcun preavviso lasciandolo interdetto. Lo colpì ancora,
graffiandolo. Lentamente il volto di Ron si trasformò in una maschera di terrore. Secondo la sua mente sconvolta la donna che
più amava al mondo lo stava respingendo, doveva averla delusa in un modo terribile ma non riusciva a comprendere quale. Lei lo
odiava e lui non aveva modo di riparare.
«Perché?» singhiozzò mentre le lacrime iniziavano a solcargli il volto.
«Eʹ solo colpa tua maledetto mostro!» Rispose con rabbia mentre un nuovo schiaffo scendeva rapidamente.
«Cosa ho...» ma un pugno lo interruppe trasformando la frase in un lamento
Elsa non aggiunse altro, continuò a colpirlo ignorando le sue suppliche fino a quando fu certa che fosse svenuto. Si pulì le mani
con calma usando le vesti dellʹuomo, canticchiando sottovoce. Poi si alzò e sorridendo soddisfatta si rivolse a Tomas
«Bene ragazzo, spero tu abbia seguito con attenzione. Dovrai imparare più in fretta del normale e non so quante altre occasioni
avremo per insegnarti lʹarte dellʹinterrogatorio»
«Eʹ stato... incredibile, era davvero convinto di amarti?»
Lʹha pestato a sangue davanti ai suoi occhi ed è questa la sua domanda? Pensò Siadon stupito.
«Oh si, la sua mente ne era assolutamente certa. Tanto che se fosse stato più anziano avrebbe anche potuto morire di crepacuore.
Avrebbe amato anche te se avessi usato il metodo giusto.»
«Anche un uomo?»
«Sì» rispose Elsa compiaciuta «purtroppo però a volte non possiamo usare il Potere, più o meno come ora. Per fortuna questi idioti
hanno preso gran parte della nostre cose, ti farò vedere come si usano gli strumenti che mi sono portata, non sono molti ma è
possibile ottenere degli ottimi risultati. Anzi forse sarà anche più istruttivo dato che spesso non si ha altro a disposizione. Appena
si sveglia ti spiego come interrogare una persona attraverso al tortura, se poi riusciremo anche ad incanalare ci divertiremo
parecchio. Ora dimmi, cosa ti ricordi delle lezioni al monastero?»
Bravo ragazzo pensò Siadon mentre Tomas ripeteva le basi senza trascurare i dettagli. Si alzò raggiungendo Thea, la donna stava
ascoltando il giovane, facendo del suo meglio per apparire indifferente ma lui la conosceva abbastanza bene da leggere
preoccupazione e rabbia nei suoi occhi.
«Vado a raccogliere della legna»
«Ti accompagno. Rimarremo in vista del campo, non voglio più sottovalutare questa gente»
«Che ne pensi di Tamara?» le chiese dopo alcuni passi
«Penso che siamo fortunati ad esserci liberati prima di incontrarla... ed io che ero pure infuriata per aver perso il suo dannato
diario nelle stalle! Le ho creduto come una stupida ragazzina, ho studiato le sue menzogne per giorni senza mai dubitare... Luce
quanto la odio!» Erano anni che Siadon non la vedeva tanto arrabbiata «Ci sta usando dallʹinizio. La missione contro quelle ribelli
serviva a convincerci che il Padre fosse arrivato, ci conosceva abbastanza bene da sapere che avremmo lasciato la Famiglia per
trovarlo e quando ha fatto entrare i suoi preti nel monastero è scomparsa. Ha lasciato alla più stupida di noi un messaggio
enigmatico e quello stupido diario sapendo che alla prima occasione saremmo scappati. Ha istruito lei i preti su quando tenere una
cerimonia importante sapendo che ne avremmo approfittato. E visto che Hirlomap è lʹunico paese in quella dannata valle sapeva
benissimo dove saremmo andati a cercare dei cavalli ed ha mandato i suoi uomini a prenderci. Quello stupido libretto serviva solo
a confonderci, magari con qualche indizio per essere sicura di tenerci al guinzaglio anche se non fosse riuscita a catturarci.... Che
stupida!»
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«Ci ha fregati davvero bene» acconsentì Siadon con tono calmo «Gurlav siamo sicuri che sia morto?»
«Sì, ho visto io stessa il corpo. Credi sia stata lei? Eʹ unʹanziana da sempre... dannazione non so nemmeno come combatte!»
«Non lo so. Potrebbe essere, è morto proprio quando lei è scomparsa ma la stessa cosa vale per molti altri» si fermò dopo aver
raccolto un ramo secco, aspettando che lei si voltasse poi continuò guardandola negli occhi «Sfogati. Torna nel campo e massacra
Ron di botte come ha fatto Elsa oppure prendi la bottiglia di liquore che trovi sul carro e scolatela... puoi anche insegnare a Tomas
a lanciare i pugnali usandolo come bersaglio se preferisci, fai quello che ti serve ma non maledirti per quanto è successo. Siamo
scappati dal monastero perché è diventato un luogo votato allʹombra, siamo sopravvissuti ed ora siamo liberi di cercare il Padre.
Tamara ci ha usati nel suo gioco in un modo che probabilmente non conosceremo mai, forse senza di lei il monastero sarebbe
ancora un posto sicuro ma non possiamo esserne certi. Siamo vivi e liberi, esattamente come volevamo essere dopo la fuga ed ora
conosciamo meglio i nostri nemici. Non sarà una vittoria ma non è nemmeno una sconfitta.»
Thea lo fissò infuriata per qualche istante poi lo colpì con uno schiaffo tanto forte da farlo voltare con un fastidioso fischio nelle
orecchie «Hai ragione» disse afferrandolo per le vesti e tirandolo verso di sé «devo sfogarmi».
Lo scatto di Hilda la colse di sorpresa: ancora frastornata dallʹintricata miscela di emozioni provenienti in parte da lei e in parte dal
legame, Mab si trovò schiena a terra, braccia ai lati della testa schiacciate sui polsi dalle mani dellʹaltra donna. Hilda le era
piombata addosso in modo fulmineo immobilizzandola, il suo viso era spaventoso: ad appena una spanna dal suo, parzialmente
oscurato dai lunghi capelli biondi che le scendevano ai lati fino a mischiarsi a quelli di Mab, era una maschera dʹira gelida, gli
occhi due pugnali di ghiaccio che la trapassavano, la bocca una smorfia di ferocia. Mab aveva il cuore in gola, non si era aspettata
una simile reazione. In realtà non aveva pensato a quel tipo di conseguenze e ora, ora era troppo tardi. Non stava ferma per i polsi
bloccati, era impietrita da quello sguardo e sconvolta dallʹingestibile marasma di emozioni che cavalcavano il legame, dominate
dallʹira. In tutto ciò lʹinopportuna punta di piacere che le dava il fatto di sentire così intenso il profumo di quella donna era la
goccia che faceva traboccare il vaso della sua lucidità.
La stretta sui polsi la costrinse ad aprire la mano in cui ancora teneva stretto lʹanello. La testa di Hilda seguì il tintinnio del metallo
sul pavimento e i suoi capelli frustarono il volto di Mab. Solo in quel momento la donna si era accorta di non avere più lʹoggetto al
dito: lo afferrò frettolosamente e lo rimise usando solo la mano destra, per poi tornare a bloccare il braccio di Mab e a fissarla con
uno sguardo, se possibile, ancora più terribile del precedente.
«Cosa mi hai fatto?» la pressione sui polsi era aumentata, le stava facendo male. Avrebbe dovuto sentirlo anche Hilda, ma
sembrava troppo fuori di sé per rendersene conto.
La voce di Mab uscì balbettando «Siamo legate»
Invece di chiederle cosa significasse, Hilda premette ancora più forte sulle braccia inerti di Mab, per poi sollevarsi leggermente
subito dopo. Doveva aver avvertito il dolore questa volta perchè staccò prima una mano poi lʹaltra torcendo i polsi prima di
riappoggiarsi più delicatamente. Quindi trucidò Mab con lo sguardo.
«Toglimi subito questa cosa!» le ringhiò in faccia
«Non posso.... io.... io» le stava per dire che non era in grado di farlo, quando lʹaltra le liberò le braccia, alzandosi e rimanendo a
cavalcioni sopra di lei. Un attimo dopo le afferrò i sobri ricami che decoravano il suo abito allʹaltezza del petto e la sollevò
violentemente a sedere davanti a lei. Non cʹera nulla della sua solita delicata soavità in quel momento.
«Perchè lʹanello non funziona?» ringhiò «Ti ho detto di togliermi questa cosa! Il Potere è.... è» si toccò una tempia, forse perchè
come lei era infastidita dal ronzio delle sensazioni che si mischiavano tra loro «Toglimelo!»
«Io.... io non so farlo»
Lo schiaffo fu secco e fulmineo, non per questo meno doloroso. Mab si consolò pensando che almeno stava facendo male anche a
lei, anche se non lo diede a vedere.
«Perchè non funziona?» chiese di nuovo premendo lʹanello
«Una volta usata la tessitura, non serve più il Potere per mantenere il legame. Speravo di poter capire di più su di te, volevo capire
quanto posso fidarmi....» tentò di giustificarsi, sentendosi stupidamente in colpa.
«Taci» disse Hilda asciutta, poi spinse Mab facendola ricadere con la schiena al pavimento, mentre lei si rimetteva in piedi. Nel
farlo ebbe un mancamento, che la costrinse ad appoggiarsi al muro. Il legame le aveva trasmesso le energie di Mab, facendola
riprendere, ma solo poche ore prima era svenuta per la febbre e ora si stavano spartendo il malessere che ne conseguiva.
Senza staccare le mani dal muro, né girarsi a guardarla, Hilda le chiese spiegazioni su quello che comportava quellʹunione forzata.
Si era già ricomposta, la sua voce era di nuovo ferma e calma, ma il legame non celava nulla del suo turbamento interiore, della
rabbia che le ribolliva dentro e soprattutto dello sdegno e del senso di disgusto che le dava la consapevolezza di essere in un certo
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senso toccata dal Potere. Mab, mentre cercava un modo composto per stare seduta lì a terra, disse quello che sapeva: non molto in
realtà, spiegò solo che da quel momento tutto ciò che avesse provato una lʹavrebbe avvertito anche lʹaltra, che si trattasse di una
sensazione fisica o solo mentale lʹavrebbero condivisa.
«La morte di una potrebbe significare la morte dellʹaltra» dopo quella frase, rimase in silenzio aspettando una reazione che invece
Hilda, che continuava a stare di spalle, non ebbe. Quindi continuò
«Questo è quello che hanno tramandato le Aes Sedai dalle epoche passate. Fino a prima di legare te non potevo immaginare cosa
significasse davvero, non mi aspettavo che fosse una cosa così....» non riuscì a trovare una parola per descrivere lʹintensità di quel
qualcosa che aveva letteralmente invaso una parte della sua testa «Volevo.... volevo solo poterti leggere dentro»
«E ci stai riuscendo?» la donna bionda si girò piano mentre lo diceva, appoggiò la schiena al muro e incrociò le braccia sotto il seno.
«Meno di quanto speravo» era inutile mentirle a quel punto «Ma magari imparerò»
Una punta dʹirritazione attraversò il legame come una breve saetta. Era addirittura divertente sentire gli umori dellʹaltra donna
così instabili e suscettibili, mentre esteriormente continuava a mantenere la sua bella maschera di serenità. Ma evidentemente
Hilda aveva avvertito il suo divertimento, a giudicare dallʹocchiataccia che un attimo dopo le regalò insieme ad una frecciatina
verbale
«Magari imparerò prima io a controllare questa.... cosa»
Come aveva immaginato fin da subito, quel legame era unʹarma a doppio taglio, si stava già pentendo della decisione presa solo
pochi minuti prima, ma ormai era in gioco e non poteva far altro che giocare.
Il fuoco del camino stava cedendo alle infiltrazioni che i vecchi muri della casa concedevano alla pioggia battente. Quellʹunica
stanza si stava riempiendo di fumo, nonostante porte e finestre fossero tuttʹaltro che chiuse. Ma almeno non erano là fuori,
esposte a quello scroscio violento.
«Ci muoveremo verso nord alle prime luci dellʹalba. In qualsiasi condizione.» con quella frase Hilda le strappò quella misera
consolazione, come se le avesse letto nei pensieri. Che fosse folgorata!
Cercando di mantenere la calma, replicò
«Non mi sembra il caso che tu esca con questo tempo. Se non ti avessi legata, saresti ancora qui a terra moribonda.»
«Questo posto non è sicuro. Prima raggiungiamo i ribelli, meglio è per entrambe»
«Hilda, ti reggi in piedi a stento. Lo sento, maledizione!»
«Sopporto meglio la febbre, che la compagnia di qualche creatura dellʹOmbra!»
Era cocciuta come un mulo!
«Non è una questione di preferenze, in queste condizioni non puoi affrontare un viaggio di chissà quanti giorni ancora!»
«Non manca molto ad Hama»
«Quanto? Quanto esattamente?»
Al silenzio di Hilda, Mab incalzò
«Non lo sai, non puoi sapere dove si trova quella dannata città! Non sai nemmeno come ci entreremo, se mai ci entreremo! In
ogni caso, non ci voglio arrivare trascinandomi dietro il tuo cadavere!»
«Ce la farò»
Non cʹera bisogno di lanciarle qualcosa addosso o imprecarle contro, sapeva che a farle capire quanto la stava odiando in quel
momento ci stava già pensando il legame. «Che differenza vuoi che ti faccia qualche ora! Questo posto non è meno sicuro di
qualsiasi altro, lo sai bene quanto me! Ora torna qua a riposarti e a scaldarti prima che il fuoco si spenga del tutto. Mi danno
molto fastidio i tuoi capogiri!»
Hilda si avvicinò al camino e allargò lʹabito per potersi sedere, quindi stese le gambe lateralmente e appoggiò il peso su un solo
braccio. Fissava le deboli fiamme del fuoco e con lʹindice si faceva ruotare lʹanello attorno al dito. Per un istante guardò Mab con la
coda dellʹocchio e concesse, chiaramente malvolentieri
«Aspetteremo che cali un poʹ la pioggia.... un poʹ»
Mab le sedeva accanto, non molto distante e non le toglieva gli occhi di dosso. Cʹera qualcosa, il legame le trasmetteva qualcosa che
non riusciva a decifrare. Chiedere sarebbe stato inutile. Distolse lo sguardo da Hilda e lo portò sul fuoco, mentre si stendeva di
nuovo per cercare di riposare ancora un poʹ.
Aveva albeggiato, si era fatto giorno e loro avevano passato le prime ore a discutere animatamente su quando fosse il momento di
rimettersi in viaggio. In realtà lʹunica che si agitava era Mab, che dovette usare le mani per impedire più di una volta che Hilda
uscisse e montasse in sella. Ripresero poi effettivamente la strada quando probabilmente aveva smesso di piovere già da un poʹ di
tempo, ma loro, prese dalla loro discussione, non se nʹerano accorte. Le nubi gonfie che coprivano il cielo facevano capire che si
trattava solo di una tregua, ma sarebbe stato impossibile dissuadere ancora Hilda.
La donna bionda chiaramente non aveva ancora recuperato pienamente le forze, il che rese un vero tormento i quattro giorni di
viaggio vagando senza una meta troppo precisa tra le foreste, ma Hilda non ammise una sola volta di aver bisogno di una sosta o
di qualsiasi tipo di aiuto da parte di Mab: se mai lʹaveva odiata, ora il sentimento andava ben oltre.
La pioggia aveva sciolto gran parte dei residui di neve che ancora erano ammonticchiati qua e là, lʹinverno stava per finire per
fortuna, ma per Mab cambiava poco, abituata al clima più mite delle regioni del sud da cui proveniva. Più salivano, più il freddo
pungeva e le condizioni fisiche di Hilda non aiutavano. La pioggia si trasformò in nevischio allʹalba del quinto giorno da quando
erano ripartite, le loro scorte di cibo erano finite e della città non cʹera nessuna traccia, peggio ancora, non cʹera proprio traccia di
vita umana da nessuna parte! Più di una volta Mab era arrivata a pensare che quelle dei ribelli fossero solo leggende e che loro
stessero viaggiando, rischiando la pelle, per niente.
Il legame si riempì di agitazione allʹimprovviso. Mab puntò subito gli occhi sulla sua compagna e la vide attenta ad ascoltare
qualcosa.
«Luce! Cosa sono? Corri Mab!» urlando allungò una mano verso le redini di Oberon, per farlo girare insieme al proprio cavallo
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dalla parte opposta rispetto a quella verso cui stavano marciando. Entrambe spronarono poi i rispettivi animali alla corsa, ma
dopo pochi istanti orde scomposte di Trolloc correvano tra gli alberi insieme a loro, superandole. Sembrava fossero a loro volta in
fuga da qualcosa.
Fece appena in tempo ad analizzare la situazione quando si sentì mancare il respiro per un forte urto al costato. Perse la presa
dalle redini di Oberon e sentì lʹanimale sgusciarle tra le gambe in un attimo. Le ultime cose che ricordò furono la sensazione di
cadere allʹindietro, il tonfo del proprio corpo attutito dallo spesso strato di fango misto a neve, freddo al collo e alla nuca e una
figura scura che scendeva su di lei.
«Eʹ stato incredibile! Al monastero era interessante ma Luce! Usando il Potere è... quel coso pulsava ancora mentre lo tenevo
davanti agli occhi di Ron!» la voce di Tomas mostrava tutto il suo entusiasmo. Aveva assistito Elsa durante la tortura del
prigioniero ed ora continuava a parlarne come un bambino a cui è stato appena regalato un giocattolo nuovo.
Siadon stava raggiungendo gli altri per concludere il suo turno di guardia, passato ad osservare le stelle mentre sottili filamenti
invertiti di Spirito pattugliavano la zona circostante al carro. Si avvicinò al fuoco, osservandone i riflessi sui volti dei suoi
compagni. Tomas era seduto su di un vecchio tronco trascinato lì per essere usato come panca, gesticolava eccitato e cambiava
spesso posizione mentre descriveva nei dettagli la sua recente esperienza. Lʹoscurità della notte, rotta dal bagliore tremolante delle
fiamme e dalle ombre che danzavano attorno a loro, rendeva il tutto surreale. Sembravano quattro amici in campeggio, solo che
quanto stava ascoltando non era una storia per spaventare le ragazze, delle persone normali non avrebbero riso e banchettato
ascoltando quelle parole.
«La prima volta che lʹho fatto vedere a Siadon è stato male!» aggiunse Elsa interrompendo il monologo a ruota libera di Tomas,
lasciandolo sorpreso e facendogli perdere il filo del discorso.
«Davvero?»
«Non solo la prima» rispose Siadon ridendo mentre si sedeva accanto a Thea, accettando della carne secca.
«Haha, è vero ma quella volta eri diventato più pallido tu di quel disgraziato! Ricordo che mi sono dovuta voltare per non ridere,
poi ti ho spedito a prendere la prima cosa che mi passava per la testa»
«Un secchio dʹacqua. E li ho controllati tutti per portarti il miglior secchio dʹacqua del campo, soprattutto il più distante!»
Quando le risate si calmarono Elsa si alzò «Bene, è il mio turno di guardia». Si avvicinò a Tomas chinandosi come per sussurrargli
qualcosa e lo baciò sulla bocca lasciandolo interdetto «Buona notte... Fratello» lo osservò divertita per un istante, poi si allontanò
nellʹoscurità della notte aggiustandosi i pugnali e le vesti.
Il ragazzo parve confuso, come risvegliato improvvisamente da uno strano sogno «Io... ho ucciso un uomo»
«A Tomas, il mio nuovo Fratello!» brindò Thea alzando una bottiglia di un liquido trasparente.
No, quella roba no! Siadon non era ancora riuscito a levarsi quel disgustoso sapore dalla bocca, ci stava provando da almeno due
ore. «O forse vuoi cambiare nome?» domandò la donna contraendo la faccia in unʹespressione sofferente e passando a Siadon il
liquore.
«Cambiare nome? Perché?» Tomas pareva ancora incerto di quale fosse la realtà
«Non lo so. Per tagliare con il passato... per evitare che la gente che hai incontrato si ricordi di te... non cʹè un motivo preciso»
Thea parlava deglutendo spesso «Luce quella roba... fa davvero vomitare!»
«Voi lʹavete cambiato?»
«Solo Elsa...»
«Il mio nome mi piace, non voglio cambiarlo»
«A Tomas, il mio nuovo Fratello!» Siadon bevve un lungo sorso e poi passò il liquore al ragazzo «Questa roba devʹessere un
veleno» aggiunse disgustato.
Tomas osservò il fuoco per qualche momento, rigirandosi la bottiglia tra le mani, poi si alzò sorridendo e con occhi lucidi guardò i
suoi compagni. «A me, il vostro nuovo Fratello!« disse orgoglioso prima di bere avidamente.
Thea e Siadon lo osservarono increduli mandar giù diversi sorsi, prima di staccarsi dalla bottiglia con un verso indistinto e
barcollare incerto per qualche passo verso lʹalbero più vicino. Alzò la mano per appoggiarvisi ma lo mancò di parecchio e ruzzolò a
terra, trovandosi sdraiato ad osservare un mare di stelle mentre tossiva, rideva e biascicava parole incomprensibili allo stesso
tempo.
«Dovremo modificare i turni di guardia» disse Thea ridendo mentre tirava la veste di Siadon per farlo sedere al suo fianco.
«Già, è meglio se riposi» si sdraiò sulla coperta, coprendone il lato più lontano dal fuoco e lasciando che lei poggiasse la testa sul
suo petto. Lʹaccarezzò giocando con i suoi lunghi capelli neri. Lo divertiva poterlo fare, ora che lei aveva sciolto la complessa treccia
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con cui li teneva legati solitamente.
«Ti ricordi la prima volta che siamo rimasti soli?» Parlò con voce bassa, quasi un sussurro. Siadon notò qualcosa di strano nel suo
tono ma non riusciva a comprendere cosa.
Dubbio? Paura? «Come se fosse ieri» rispose, facendo scendere le dita fin dietro un orecchio, sfiorandole il collo come in quella
notte tanto lontana. «Vicino a Hirlomap, ci eravamo quasi congelati in una pozza del fiume. Il giorno dopo incontrammo Rosa e
io ti presentai come se fossimo una coppia. Non me lo perdonasti per mesi»
«Te lo meritavi» sentenziò lei con tono allegro e privo di incertezze «non si inganna così una fanciulla indifesa» sollevò una mano
fino a trovare quella di lui. La strinse dolcemente portandosela davanti alle labbra per baciarla, poi la adagiò sul proprio petto
custodendola sotto la sua.
Rimasero abbracciati a lungo, ascoltando i propri respiri e guardando le stelle senza parlare. Il fuoco scoppiettava proiettando la
sua luce tremolante sulle loro forme, mentre Tomas alternava momenti di silenzio a brevi discorsi ben poco comprensibili di cui si
intuivano solo alcune parole.
«Che facciamo ora?» chiese Thea riprendendo il suo posto dopo aver aggiunto due grossi legni al fuoco.
Siadon non si era accorto di essersi addormentato «Non riesci a dormire?»
«Mi prendi in giro? Ho dormito per quasi un giorno intero in quel dannato carro»
«Hai ragione...» rispose rassegnato sbadigliando «Non lo so, oltre a trovare dei vestiti normali... di nuovo. Hai dei rifugi qui
vicino?»
«No, sono tutti gestiti dai Manti Bianchi. Forse dovremmo andare verso la città, ci allontaneremmo da chi ci ha rapiti e potremmo
studiare meglio la situazione. Mi preoccupa la storia dei sigilli»
«Anche a me. Senza i sigilli è tutto più complicato: niente accesso alle armerie ed ai tesori dei Figli, niente letti e pasti caldi nelle
loro caserme, niente informazioni dalle loro spie.» concluse sbadigliando nuovamente.
Thea sospirò girando la testa in modo da poterlo guardare negli occhi prima di parlare «Da soli non lo troveremo mai, usiamo i
ribelli, anche loro lo stanno cercando»
La osservò per alcuni secondi in silenzio, accarezzandole il viso con un dito mentre le implicazioni dellʹultima frase si facevano
strada nella sua mente. I ribelli. Non conoscevano molto di loro, qualcosa di più rispetto ai Manti Bianchi, erano certi della loro
esistenza per lo meno ma non sapevano a cosa sarebbero andati incontro. Di certo avrebbero incontrato degli incanalatori esperti e
gruppi ben più organizzati di quelli che periodicamente scovavano nelle periferie. Dovevano trovare una copertura formidabile
per conquistare la loro fiducia. Diverse possibilità iniziarono a farsi strada nei suoi pensieri, sarebbe stata la loro più grande
impresa. Lʹeccitazione allontanò qualsiasi traccia della sonnolenza che fino a poco prima intorpidiva la sua mente.
«Ci uccideranno tutti» le sussurrò piano
«Sì, ma solo quando lʹOmbra si troverà le fornaci stracolme per tutte le anime corrotte che le avremo rispedito. Se riusciremo ad
avvicinarci al Padre per loro sarà la fine.» «Questa volta si pentirà davvero per averci maledetti»
«In città spremeremo ogni nostro contatto, dobbiamo scoprire il più possibile su di loro» rispose Thea dopo essersi sollevata un
poco per avvicinarsi, lasciando che Siadon le liberasse il volto dai capelli.
«Poi dovremo inventarci una storia mentendo il meno possibile, di certo ci interrogheranno. E se usassero le nostre stesse
tessiture?»
«Allora dovremo ingannare anche noi stessi» sussurrò Thea poco convinta, poi continuò decisa «ma per ora vediamo di ottenere
più informazioni e troviamo unʹottima copertura»
«Hai ragione. Sapranno che siamo incanalatori e non possiamo nascondere che sappiamo combattere, potremmo essere quello che
rimane di un gruppo clandestino che si occupava di cercare altri come noi, è molto vicino alla realtà. Siamo davvero quello che
rimane della Famiglia e facevamo proprio quello, certo dovremo mentire sul resto e dire che combattevamo contro i Manti Bianchi
per difendere o liberare chi trovavamo.»
«Il nostro gruppo doveva essere davvero incapace se nessuno tra quelli che abbiamo salvato è ancora in vita. La cosa potrebbe
creare sospetti non credi?»
«Hmm sì, non va bene...»
«E se raccontassimo la verità?»
«Vorrei morire dopo averli distrutti, non prima»
«Beh sì, non tutta la verità. Solo che siamo scappati da una setta di assassini al servizio dei Manti Bianchi per trovare gli
incanalatori nel loro dominio. Magari riusciamo anche ad usarli per distruggere le sette, dobbiamo considerarle tutte
compromesse. Sarebbe un buon inizio per causare la morte di un sacco di incanalatori da entrambe le parti, anche se dovessero
giustiziarci subito dopo.»
Siadon rimase a pensare qualche istante, osservandola e seguendo con le dita i suoi lineamenti «Mi piace» sussurrò prima di
baciarla «ma siamo in quattro, non reggeremmo a diversi interrogatori. Non sapendo di mentire»
Thea si raddrizzò, seduta cavalcioni su di lui. Con sguardo deciso, quasi infuriato gli premette lʹindice contro il petto «Va bene ma
non lascerò che lʹOmbra tocchi i nostri ricordi! Non gli permetterò di corrompere anche quello che cʹè tra noi due! Quindi se pensi
di dimenticarti di me tanto facilmente, scordatelo!».
«Ancora? Ma non vi stancate mai voi due?» Elsa li stava raggiungendo dopo il turno di guardia.
«A volte è più testardo di un mulo... Prova tu a farlo ragionare» le rispose Thea senza spostarsi e lanciando a Siadon unʹocchiata
minacciosa. Lʹaltra donna alzò le spalle, come se le fosse stato detto che lʹacqua è bagnata, poi si sedette vicino al fuoco allungando
le mani per scaldarsi.
Thea lo scrutò con rabbia unʹultima volta negli occhi, senza alcun preavviso si rasserenò e si chinò fino a baciarlo per poi alzarsi,
recuperare alcuni coltelli ed una spada ricurva e sparire nella notte.
Siadon rimase a fissare lʹultimo punto nel quale lʹaveva vista per alcuni attimi, con unʹespressione incredula.
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Luce... com ʹè successo?.... Si è sempre mossa in quel modo o questa volta era ancora più provocante?
«Hai intenzione di darmi una mano o intendi rimanere nel mondo dei sogni ancora per molto?»
Elsa si era avvicinata a Tomas, profondamente addormentato. Con un piede gli diede un paio di colpi ben poco affettuosi tra le
costole senza che il ragazzo mostrasse alcun tipo di reazione.
Sussurrò qualcosa, avvicinandosi Siadon riuscì solo a cogliere «Non cʹè gusto, non sente nulla!» ma gli bastò per ricordare quanto
a quella donna piacesse giocare sulla pelle di chi faceva qualche stupidata, soprattutto se si trattava di uomini. Tra gli adepti del
monastero era considerata un vero incubo.
«Portiamolo vicino al fuoco prima che si congeli» gli disse con tono piatto e mentre si chinava per afferrare i piedi di Tomas, lo
guardò con unʹespressione divertita «poi vedremo di... ragionare»
«Sarà una strage! Certo moriremo tutti ma è unʹidea fantastica!» rispose Elsa con occhi grandi e sorridendo felice. Siadon sapeva
che era molto brava nel nascondere le proprie emozioni ma era certo che questa volta fosse sincera. Lʹaveva ascoltato con
attenzione mentre le spiegava come avevano pensato di procedere, osservando il suo volto illuminarsi sempre più ad ogni
passaggio. Vedere tanto entusiasmo per un chiaro suicidio lo preoccupava ancora un poco ma Elsa era sua Sorella da molti anni ed
aveva imparato a conoscerla.
Tu sei più pazza di me e Thea messi assieme! Pensò Siadon divertito.
Erano seduti uno di fianco allʹaltra vicino al fuoco, verso Est il cielo iniziava a tingersi di blu e Tomas ancora dormiva
profondamente. Il turno di guardia di Thea non era ancora a metà.
Si era appena girato per controllare il fuoco quando uno schiaffo improvviso gli fece fischiare le orecchie.
«Sei uno stupido» il tempo di voltarsi e cogliere il volto di Elsa, già tornato alla solita aria seria con un accenno di follia nascosta,
ed un secondo schiaffo gli fece infiammare anche lʹaltra guancia.
Dannata pazza si girò sollevando un braccio, pronto a fermare un terzo colpo o a vendicarsi di quelli subiti, non ne era certo si
stava muovendo seguendo lʹistinto. Uno sguardo veloce alla donna lo fece tornare calmo, era ancora seduta di fianco a lui e gli
stava sorridendo come se niente fosse.
«Ha ragione lei» disse Elsa con tono da paternale
Che sorpresa! pensò Siadon massaggiandosi una guancia.
«Niente compulsione su noi stessi, scordatelo! Ed ora lasciami dormire, appena Tomas si riprende abbastanza da capire dove
siamo, partiamo per Jennji, conciati come siamo dovremo avvicinarci di notte alla città, quindi difficilmente riposeremo prima di
domani mattina.»
Norah non riusciva a scrollarsi di dosso lo stupore di quel repentino cambiamento d’ambiente.
Luce che meraviglia! ma cos’è sucesso??? Come?
Guardandosi alle spalle, si accorse che il carro era come uscito direttamente da uno degli alti edifici in pietra della città.
Luce! È come se fossimo sempre stati qui… Anche io voglio saper fare una cosa del genere! È sempre più meraviglioso!
«Chiudi la bocca o ingoierai qualche insetto!».
Voltandosi, Norah si accorse che Julian sogghignava apertamente, ma la curiosità vinse la tentazione di rispondergli
adeguatamente per le rime.
«Ma come ha fatto?», mormorò verso il ragazzino indicando Dimion, che aveva indossato nuovamente camicia e mantello e
salutava allegramente la gente per strada.
«Ma con il Potere, ovviamente! E’ meraviglioso, non trovi? Non vedo l’ora di saperlo incanalare anche io!» e in effetti quel
desiderio gli si leggeva perfettamente in faccia…
Il Potere…
«Julian… che cos’è il Potere?».
Il ragazzo la guardò come se avesse chiesto cosa fosse il Sole. Poi ridacchiò, chiedendole se stesse forse scherzando e quando lei
rispose ingenuamente di no, tornando serio, aggrottò pesantemente le sopracciglia, pensieroso.
Infine, schiarendosi la voce e cercando di usare un tono accademico iniziò a spiegarle, o meglio cercare di spiegarle cosa fosse il
Potere.
«Ah.. beh l’Unico Potere è una specie di energia magica. Alcune persone, come mio padre, sanno incanalarlo, ossia utilizzarlo per
fare certe cose».
Sembrava avesse difficoltà a trovare le parole giuste
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«Insomma, tu incanali l’Unico Potere, Saidin per i maschi e Saidar per le femmine, e puoi fare qualsiasi cosa!», concluse con
un’alzata di spalle e un sorriso a trentadue denti.
Norah, dal canto suo, non aveva capito nulla. Ma la possibilità di fare tutto quello che si vuole era davvero attraente!
«E come, come si fa a imparare?»
«Semplice! Se hai la scintilla del Potere dentro di te vai all’accademia e impari!»
«E come si capisce se si ha la… scintilla?», chiese Norah scandendo bene la nuova parola.
«Eh beh… di solito si capisce verso i dodici, tredici anni. Accade qualcosa di inspiegabile, magari si avvera un tuo desiderio
fortissimo, oppure riesci a fare qualcosa di straordinario, e dopo qualche giorno ti senti male, una.. febbre di solito, e poi stai subito
bene, come se non fosse successo nulla! Ma, di solito, all’accademia se ne accorgono subito! Gli incanalatori riescono a riconoscersi
tra di loro, vedono la scintilla all’interno di tutti coloro che la possiedono già o che possono imparare…»
«Si può imparare? Io… potrei imparare?»
«Ma certo che puoi! Cioè, no… non tutti possono. Vedi, ci deve essere sempre la predisposizione ad accogliere dentro di se il Potere.
C’è chi nasce con la scintilla e prima o poi incanala sicuro, poi c’è chi può imparare ad aprirsi alla Vera Fonte, cioè all’Unico Potere
e invece chi non può perché non può, ecco. Chiaro?».
La guardò speranzoso e sorridente e Norah non volle fargli capire che in realtà era più confusa di prima, così gli sorrise
timidamente di rimando e annuì.
Nel frattempo il carro aveva raggiunto quella che era la Via Maestra, una larga strada di terra battuta fiancheggiata da negozi di
tutti i tipi, le cui facciate erano diverse per colore a seconda dei prodotti che vi si vendevano: il verde dell’ortofrutta sfociava nel blu
della macelleria, per poi cozzare col rosso della sartoria e subito dopo continuare col giallo di un emporio… un miscuglio
eterogeneo da far male agli occhi che culminava in un enorme torre a spirale di pietra che sembrava incombere sul resto degli
edifici della città. L’austerità della costruzione grigio scuro colse Norah di sorpresa e, inconsapevolmente, la bambina si rannicchiò
su sé stessa, di nuovo insicura e angosciata dalla situazione strana in cui si era ritrovata quella mattina.
«Bambina che succede?»
Dimion e Julian la guardavano preoccupati. La manona del Guaritore corse verso la fronte di lei, appurandone la frescura. «Credo
sia solo preoccupata padre…»
«Mmm... beh è comprensibile. Quella torre è la Colonna degli Anziani. Ci dirigeremo lì e metteremo a conoscenza gli Anziani
della tua situazione.». Il tono di Dimion cercava di essere rassicurante ma, suo malgrado, lasciava trapelare una certa insicurezza,
come se non fosse del tutto certo di voler informare di quella faccenda qualcun altro, anche se comprendeva la necessità di
parlarne agli Anziani. Non era cosa di tutti i giorni che una bambina ti piombasse fuori casa, sola e mezza morta. «Sono gli
uomini più saggi della città, loro sapranno cosa fare… troveranno sicuramente una spiegazione.».
Anche dopo che Julian aveva smesso di raccontare, Norah aveva proseguito la propria ricostruzione degli eventi di quella giornata
lontana, dilungandosi ancora per qualche istante nei ricordi, riassaporando la meraviglia che aveva suscitato in lei da bambina la
vista di Calavron, quella stessa città che adesso conosceva come il palmo della propria mano.
Calavron non era una grande città. Si trovava in una bellissima valle circondata da alte mura di pietra, tra due picchi altissimi: le
Rosse Sentinelle, così chiamate per il caratteristico terreno bruno‐rossiccio che vi risiedeva. Anche in pieno inverno la neve non
toccava le due cime, mentre all’interno della valle la città ne veniva sommersa.
Fortunatamente le strade venivano sempre adeguatamente spalate dalla Sorveglianza Cittadina con dei semplici flussi d’aria. La
neve, accantonata e compattata ordinatamente all’interno dei grossi recipienti posti ai margini delle mura orientali, veniva in
seguito depurata e utilizzata come riserva d’acqua in estate in caso di siccità. Calavron aveva da sempre sofferto escursioni
termiche del genere e gli abitanti erano corsi ai ripari dopo tanti anni d’esperienza. Adesso tutto era quasi automatico, la natura
meccanica della vita era impregnata in profondità nelle ossa del popolo Na’dal; nulla poteva scalfire la loro determinazione ad
andare avanti, sempre e comunque, affrontando qualsiasi difficoltà.
Norah bambina, invece, non aveva mai sentito parlare del Potere e dei suoi utilizzi prima di entrare a far parte del clan dei
Nad’al; era concepibile, quindi, che la sua prima reazione fosse stata quella di incredula meraviglia. Anche in seguito, però, la
ragazza aveva sempre manifestato un interesse ed un’attenzione speciale per il Potere e tutto ciò che lo riguardava: vi era attratta
al di là del comprensibile fascino che esso ispirava in tutti i giovani.
«Ecco, stiamo venendo al punto importante.», la voce di Dimion riscosse Norah dai suoi pensieri. «C’è qualcosa che non ho mai
rivelato a nessuno, nemmeno a te, Julian.».
Norah spalancò gli occhi per la sorpresa e notò la stessa reazione incredula da parte di Julian. Il fatto che le fosse stata nascosta la
storia del suo ritrovamento, viste le circostanze, era comprensibile: Norah se lo sarebbe quasi aspettato; ma l’idea che ci potessero
essere segreti tra Dimion e Julian era incredibile. Padre e figlio erano così uniti che a volte sembravano agire e pensare all’unisono,
come governati da un’unica mente.
«Su, adesso non fate quella faccia! Non è certo per mancanza di fiducia nei vostri confronti che vi ho nascosto questo segreto. Siete
appena ragazzi... Ah! Beh, è il tempo di passarvi queste informazioni, e spero che ne sappiate fare buon uso.», disse Dimion, poi
prese con calma un sorso di liquore mentre i due giovani pendevano dalle sue labbra. «Molti anni fa, prima ancora che tu
nascessi, Julian, mi recai a Maemtaar con il mio vecchio amico Raikar per intraprendere i nostri studi. Durante le nostre ricerche ci
imbattemmo in numerose profezie, com’è normale. Alcune di esse sono note, magari perchè hanno a che fare con leggende
popolari, ma altre rimangono racchiuse in vecchi libri ingialliti per anni, se non per secoli, prima che qualcuno le rispolveri.».
Norah ignorava che Dimion avesse studiato a Maemtaar, la citta degli Idlean, la Casata del Sapere, e a quanto pareva nemmeno
Julian ne era al corrente. Gli Idlean conservavano praticamente tutti gli scritti in possesso delle Casate dei Ribelli, e ne erano
estremamente gelosi: era raro che a membri di altri clan fosse concesso di compiere i proprio studi presso di loro.
«In particolare, ci sono profezie che riguardano... beh, ve lo dirò fra un attimo.», proseguì il Guaritore «Ma prima fatemi tornare
al racconto di quel giorno in cui portammo Norah a vedere Calavron. Eravamo rimasti a quando, arrivati alla Colonna degli
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Anziani, cercavo di persuadere Norah che gli Anziani avrebbero saputo trovare una spiegazione al suo misterioso ritrovamento.
In realtà, non ne ero sicuro neppure io...»
Dimion avrebbe voluto mostrarsi più convincente, per rassicurare i bambini, ma onestamente quell’avvenimento lo aveva
turbato: che un ragazzino si perdesse nella vallata era già successo, ma si era trattato sempre di figli degli abitanti di Calavron,
mai di stranieri. Se l’aspetto e l’accento della bambina assicuravano che fosse nata e cresciuta presso una delle Casate dei Ribelli,
era impossibile stabilire quale; inoltre, se un fanciullo si fosse smarrito nelle Montagne della Nebbia, era impossibile che potesse
trovare una delle Città della Notte, anche solo per caso.
E poi c’è quella profezia…
Dimion poteva sentirla nell’aria, quella sensazione di pericolo, ma il suo amico Raikar Hymtar era sempre stato più sveglio e
sensibile ai cambiamenti, non per niente era divenuto un Anziano dei Nad’al! Per questo sperava di poter scambiare due parole
con lui, in privato, dopo il colloquio con gli Anziani.
Il carro non aveva avuto problemi a farsi strada tra la gente assiepata nella Via e in breve tempo raggiunsero i piedi della torre di
pietra scura, levigata alla perfezione, di fronte a una scalinata di pietra altrettanto scura e levigata che terminava in un portone
imponente decorato con un enorme disegno al centro: la mano col globo luminoso, splendente d’oro rispetto all’austero colore nero
che la circondava.
Dimion aiutò Julian e Norah a scendere dal carro, che venne preso in consegna da un giovanotto per condurlo nelle stalle che si
intravedevano accanto all’edificio.
«Julian, senti, perché non porti Norah a svagarsi un po’, eh? giocate con gli altri bambini, spassatevela, va bene? Io parlo con gli
Anziani e vi raggiungo da Mastro Finn più tardi, che dici?»
«Va bene… però, ecco, pensavo dovessimo venire anche noi… per spiegare meglio la situazione», disse timidamente Julian, non
incrociando lo sguardo del padre.
«Non penso sia necessario. A meno che… Julian, mi hai detto tutto, vero?»
Il ragazzino alzò lo sguardo allarmato, un velo di colpevolezza nei suoi occhi: «Ma no, padre, vi ho detto tutto! Giuro!».
Ah, Julian. Non sei mai stato bravo a dire bugie…Devi imparare ancora molte cose, figlio mio.
«Allora non è necessario che voi veniate… su, va a divertirti. È pur sempre il tuo compleanno.».
Il ragazzino annuì con vigore e si allontanò. Norah aveva seguito quello scambio, poco lontano, in totale silenzio e senza
espressione e, quando Julian le prese la mano, si lasciò trascinare meccanicamente lungo la Via sempre più affollata di cittadini.
Dimion li guardò allontanarsi perso nei propri pensieri, cercando di analizzare al meglio la situazione prima di incontrare il
Consiglio. Doveva ponderare bene le parole da dire.
Non posso credere che quella bambina sia davvero uno dei presagi più oscuri di questo mondo… quanto spero di sbagliarmi!
Alla fine, Dimion salì la scalinata che l’avrebbe portato dentro la Colonna, non ancora certo se per affrontare un vecchio scheletro
del passato o, peggio, per portare la consapevolezza al mondo della sua futura distruzione.
All’ennesima pausa nel racconto Julian roteò gli occhi esasperato: «Padre, ti prego, vieni al punto! Di quale profezia parli?».
«Pazienza, figliolo, pazienza! Dimentichi che lo scopo di questo racconto è quello di risvegliare le memorie di Norah. E’ per questo
che dobbiamo cercare di ripercorrere gli eventi di quella giornata con ordine, senza tralasciare nulla. Quello che io e Raikar
scoprimmo tanto tempo fa a Maemtaar potrebbe essere importante, ma per saperlo ci occorrono i ricordi di Norah!».
Il ragazzo annuì, pur rimanendo imbronciato. «A proposito», gli disse allora Dimion «Perchè non racconti quello che faceste voi
due in città mentre io ero impegnato nella Colonna?».
Julian tentennò qualche istante, poi incrociò lo sguardo di Norah, che con un sorriso lo incoraggiò ad incominciare...
Julian amava la Via… quella strada larghissima e coloratissima gli metteva sempre il buon umore. Per un attimo si lasciò
trasportare da quel groviglio di gente, senza un pensiero al mondo, sorridendo ai negozianti che conosceva di vista. La mano di
Norah, stretta nella sua, era gelata ma la bambina non sembrava farci caso. Scrutava tutto senza espressione, come se non stesse
realmente prestando attenzione a nulla. O forse era solo persa in pensieri lontani da quel luogo.
Quello sguardo assente catturava l’attenzione di Julian continuamente e più volte il bambino rischiò di ruzzolare per terra perché
non prestava attenzione alla strada ghiacciata o ai passanti frettolosi. In quelle occasioni Norah concentrava i suoi verdi occhi
dubbiosi su di lui, il quale le rispondeva con un sorriso di scuse e proseguiva velocemente, rosso in viso.
Proprio al centro della Via si trovava la bottega verso la quale Julian stava puntando, un enorme emporio in cui regnava madama
Jyll, una bellissima donna che aveva preso a cuore il bambino come una madre, oltre, come Julian sospettava, a essere innamorata
di Dimion. La facciata verde chiaro della bottega aveva sicuramente bisogno di una riverniciata e la porta d’ingresso necessitava di
una buona mano d’olio per attenuare il rumore che faceva quasi da campanello a ogni singola entrata nel negozio. Tenendo
sempre Norah per mano, Julian entrò, affrontando il cigolio della porta con una smorfia di fastidio, e subito si sentì a casa.
L’intermo del negozio era affollato di merce: barilotti accatastati contenenti ogni tipo di bevanda facevano da pareti divisorie ai
sette tavoli disposti a cerchio, quasi del tutto vuoti, in cui la gente solitamente si soffermava a chiacchierare un po’ o a degustare la
mercanzia del negozio. La luce calda e accogliente proveniva da un bel camino acceso lungo il lato destro del locale e ogni sorta di
delizia pendeva dal tetto o era stipata nel retro del bancone di Madama Jyll. Quest’ultima era proprio lì, al bancone, strofinando
dei bicchieri che non avevano bisogno di essere puliti, lo sguardo perso in chissà quali pensieri. Il suono stridulo della porta, a
quanto pare non era poi tanto forte da attirare l’attenzione della commerciante. L’unico che indirizzò un occhiata acuta verso di
loro fu il vecchio Kay, seduto al tavolo in ombra che occupava l’estrema sinistra della bottega. Seguì i due bambini finchè questi
non raggiunsero la donna, mormorando tra se e sembrando a Julian più pazzo che mai. Era famoso in città per le sue corse in
preda ad ossesse grida che proclamavano la fine del mondo da lì a pochissimi giorni. A volte dimenticava persino di vestirsi, usciva
di casa completamente nudo e iniziava a correre come inseguito da chissachì. Quando poi, gli si chiedeva perché non fosse affatto
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arrivata nessuna disgrazia, rispondeva che aveva sbagliato dei calcoli che solo lui sapeva e ricominciava il giorno dopo, ancora più
furioso e svitato di prima.
Arrivati in prossimità del bancone, Julian scostò lo sguardo dal vecchio Kay ancora mormorante, e attirò l’attenzione della
bellissima commerciante, ancora soprappensiero.
«Madama Jyll, buongiorno, sono Julian. Siamo arrivati da poco in città ed ero tanto desideroso di rivederla… madama Jyll?»
La donna focalizzò lo sguardo su di lui e, dopo un momento che parve un’eternità, si riscosse del tutto, sbattendo più volte le
palpebre, come per rischiarare la propria vista e focalizzarla al presente, cambiando al contempo completamente espressione.
«Luce, Julian! Ciao, piccolo mio.. scusa era un po’ distratta. Con tutto quello che è successo negli ultimi giorni… Allora! Come
stai?»
«Benissimo, direi. Lei? Sicura di stare bene? Non l’ho mai vista così..».
E in effetti non era solo uno sguardo assente, quello di Madama Jyll. Adesso Julian poteva chiaramente vedere negli occhi della
commerciante anche un pizzico di paura e angoscia.
Luce ma che è successo al mondo? Apparizioni che mi terrorizzano e, adesso, anche gente solitamente allegra che sembra aver perso
qualsiasi tranquillità! E come dimenticare l’apparizione di una bambina dal nulla!
«Sì, sì, sto bene… è solo un momento un po’ incerto, tutto qui. Hai detto che siete arrivati da poco, ma dov’è tuo padre?... e chi è
questa bellissima bambina?», rispose la donna con il sorriso di nuovo alle labbra e squadrando criticamente la bambina di fronte a
lei.
«Lei è Norah. L’ho, ehm, aiutata ieri sera… si era persa, nel bosco. Mio padre, invece, doveva parlare agli Anziani di qualcosa,
non so...».
Julian non sapeva perché stesse raccontando quelle bugie a una persona di cui si era sempre fidato, ma un qualcosa gli diceva di
essere prudente. Madama Jyll, d’altro canto, non sembrava troppo convinta da quelle spiegazioni. Teneva un sopracciglio sollevato
e uno sguardo molto penetrante si focalizzò sul bambino che, praticamente, aveva allevato dalla scomparsa della madre. Julian
non riuscì a tenere per molto quell’occhiata.
«Anche lui a colloquio con gli Anziani, eh? Neanche fosse la Giornata delle Udienze.».
Ringraziandola silenziosamente per non aver insistito, Julian sollevò nuovamente lo sguardo e si accorse che la commerciante
sembrava di nuovo persa nei proprio pensieri, tamburellando con un dito sulle piccole labbra rosse.
«Madama Jyll, ha parlato di avvenimenti recenti, prima... che genere di avvenimenti di preciso?».
Non so se sperare in qualche spiegazione che riguardi il mio uomo dagli occhi gialli o se preferisco dimenticarmene. Luce, se solo ci
ripenso mi viene di nascondermi, codardo che sono!
«Oh, beh... diciamo che c’è un sacco di movimento tra Calavron e i paraggi… Molta gente è tornata in città attraverso i passaggi,
spaventata a morte da ombre nell’oscurità, o così dicono. Questo non sarebbe poi così strano, d’inverno ci sono sempre lupi in cerca
di qualcosa da mangiare nelle fattorie, ma quello che mi preoccupa, in verità, è che la gente che è tornata è famosa per non aver
mai abbandonato le proprie case, anche in situazioni disperate. Gente che non si fa certo spaventare da qualche ombra… Ne ho
ospitata qualcuna in questo stesso negozio ieri, quando c’è stato maggior flusso di gente e Mastro Finn e Mastro Tarner non
avevano più posto nelle locande… Parlavano tutti di ombre, ululati, ma ciò che li ha spinti qui, a chiedere consiglio agli Anziani, è
stata una sensazione, dicono. Una sensazione di pericolo come non mai… Ora, io posso capire una famiglia che si fa prendere dal
panico e crede di sentire nell’aria una tale sensazione.. ma dieci famiglie, tutte con la media di dieci‐dodici membri.. mi sembrano
un po’ tante per essere una coincidenza!»
Sembrava che stesse parlando da sola, un mormorio cadenzato che aveva portato Julian alla sera prima: lui non aveva sentito
nessuna sensazione di paura, non prima di aver incrociato lo sguardo di quegli occhi gialli. Da allora era stato pressoché
terrorizzato, altro che semplici sensazioni.
«Oh... scusate, bambini. Mi sono lasciata trasportare dai miei pensieri, non preoccupatevi: sto solo pensando ad alta voce. Sto
diventando vecchia.
Ah...», aggiunse poi, con una faccia dispiaciuta «Sono stata io a farvi venire su quelle facce, parlo troppo… mia madre me l’ha
sempre detto. Devo rimediare! Volete qualche pasticcino? Ma certo, deve ancora nascere il bambino che non desidera qualche
dolcetto. Vado a prenderli…».
Lanciando ai due bambini un ultimo sorriso di scuse, si diresse verso il retro del negozio, sparendo oltre la lieve tenda rossa che
separava il negozio da quella che doveva essere la cantina. Julian non pensava di aver fatto trasparire il terrore che provava ma
quando guardò Norah non ebbe dubbi sul perché Madama Jyll si sentisse in colpa: gli occhioni della bambina sembrava stessero
per cadere dalle orbite, il respiro le si era fatto più affannoso e la stretta sulla mano di Julian si era serrata come una morsa.
Preoccupato, Julian, istintivamente, si avvicinò a quella creatura indifesa e l’abbraccio stretta.
«Tranquilla, risolveremo questa situazione... papà risolverà tutto.».
Norah aveva iniziato a piangere.
Di nuovo, l’imbarazzo colse Julian nel raccontare come, da bambino, aveva provato l’impulso di consolare la piccola Norah con
un abbraccio. La ragazza invece fu grata a Dimion per aver chiesto al figlio di proseguire nella narrazione: Julian aveva uno stile
molto particolareggiato, e i numerosi dettagli contribuivano a risvegliare in lei le memorie di quel giorno lontano. Inoltre, Norah
non condivideva l’impazienza di Julian per conoscere quale fosse il segreto che suo padre gli nascondeva da tanto tempo.
Cominciava ad avere paura che altre ombre si aggiungessero a quella, già spaventosa, che era apparsa nella notte del suo
ritrovamento. E questa paura vinceva sulla curiosità di sapere qualcosa di più sulla misteriosa profezia.
«Già... Mi ricordo le voci che girarono allora, e per alcuni giorni a seguire.», intervenne ad un tratto Dimion «Pastori e contadini
della vallata spaventati da ululati nella notte. Ci fu molto scalpore: qualcuno invocò persino il pattugliamento regolare delle
campagne. Gli Anziani dovevano aver già ricevuto la visita di parecchi altri cittadini inquieti, quel giorno, prima di ascoltare me.
Poi, in seguito, col tempo le voci cessarono; si disse che un branco particolarmente grosso di lupi fosse passato per la vallata, poi
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diretto altrove. I contadini dimenticarono le loro paure e soprattutto quella strana sensazione di pericolo, e fecero ritorno alle loro
case.».
Visto che Julian non aveva altro da aggiungere, il padre allora sospirò e disse: «Bene. Allora riprenderò da dove ho lasciato, al mio
ingresso nella Colonna degli Anziani... Eh... Norah cara, è una cosa molto difficile quella che ti sto per dire. Prima di continuare
voglio che tu sappia che io e Julian ti vogliamo bene e ti sosterremo qualunque cosa il destino abbia in serbo per te...»
Dimion aspettava da un bel po’ in quel freddo atrio dal soffitto a volta, illuminato naturalmente dalla luce che filtrava dai
finestroni posti in alto, quasi a contatto col soffitto. La sua pazienza lo stava abbandonando.
Quanto ci vuole per ricevere qualcuno! Sono diventati così esclusivi?Dovevo prendere un appuntamento forse! Bah!
Era seduto in una delle numerose panchine disseminate lungo le scure pareti curve dell’atrio, lateralmente rispetto all’enorme
porta d’ingresso a destra e il Seggio Segretario a sinistra. Si era già avvicinato due volte a quell’enorme piedistallo di marmo scuro
occupato da un ragazzino pallido impegnato a mettere ordine in un libro mastro, ed entrambe le volte la sua volontà di parlare
con gli Anziani era stata liquidata con la richiesta di attendere. Nell’atrio andavano e venivano diverse persone, uomini dalle
lunghe vesti verdi tipiche dei Maestri dell’Accademia, diversi giovani con libri in mano appena ritirati dalla grande biblioteca che
si trovava nei sotterranei di quello stesso edificio e gente comune, che come lui aspettava… tanta gente comune. Era forse una
Giornata delle Udienze, quella?
Ma no, ormai è troppo tardi per le Udienze. Ma allora tutta questa gente che ci fa qui?
«Mastro Grunch, il Consiglio è pronto a riceverla.», Dimion trasalì al suono squillante di quella voce femminile, appartenente a
una delle tante dipendenti del Consiglio. La ragazza aspettò che si alzasse, poi lo guidò attraverso l’atrio verso la grande porta a
doppio battente che immetteva negli infiniti corridoi della Colonna. Presero il terzo corridoio sulla sinistra e iniziarono a salire per
qualche piano di scale, a spirale, finchè Dimion si ritrovò di fronte alla familiare porta rossa che immetteva nella Sala delle
Udienze. Era stato lì decine di volte e, nel passato, aveva anche pensato e sperato che un giorno sarebbe stato uno degli Anziani
che la gente veniva a consultare, un uomo saggio su cui contare. Le cose era andate molto diversamente, però.
La ragazza bussò due volte e, subito, un’altra donna aprì la porta dall’interno, prendendo Dimion in consegna. Una volta entrato,
il Guaritore si sentì a casa. Conosceva di persona quattro degli Anziani, uno dei quali gli aveva quasi fatto da padre: l’Anziano
Simion Na’dal era un uomo statuario, ormai quasi calvo e con gelidi occhi azzurri che incutevano ancora timore a chiunque,
nonostante l’età avanzata. Dimion era cresciuto con i suoi insegnamenti, con i suoi consigli… era stato lui a spronarlo a lasciare
Calavron vent’anni prima e a recarsi a Maemtaar dagli Idlean, per migliorare le sue conoscenze, per diventare un perfetto
Consigliere. Accanto a lui sedeva Raikar Hymtar, ultimo membro del Consiglio, giovane per i canoni di “Anziano” ma aveva
dimostrato di meritare appieno quel posto. E che la gente pensasse quel che volesse, dato che Raikar era stato notoriamente l’altro
preferito di Simion oltre Dimion. Gli altri Anziani erano stati insegnanti all’Accademia: l’Anziana Edara Na’dal, lontana cugina
dell’Anziano Simion, e l’Anziano Kurt Tremain si erano assicurati il loro seggio a seguito di numerose scoperte mediche e,
complice la veneranda età, la loro nomina era stata quasi automatica.
La vera trasgressione all’interno del Consiglio era, però, personificata dalla Somma Anziana: Amy Neves. Era una donna matura
e ancora bellissima, con lucenti capelli corvini che le incorniciavano un viso perfetto, austero ma sensuale. Nessuna Anziana era
mai stata famosa per la sua bellezza, ma Amy Neves non era una persona qualunque. Il Consiglio degli Anziani, in generale, era
formato solo da abitanti nati a Calavron, in modo da poter capire appieno le necessità, spesso insensate agli occhi stranieri, del
popolo Na’dal. Per innalzare Amy Neves al seggio di Somma, però, molte regole erano state surclassate. La Somma era arrivata a
Calavron circa dieci anni prima da Hama e la sua intelligenza, caparbietà e il fascino innegabile le avevano assicurato una rapida
ascesa al Consiglio.
Mentre Dimion si avvicinava, preceduto dalla ragazza che lo aveva accolto alla porta rossa, al palco dei Consiglieri, lo scranno
della Somma in posizione centrale e più elevato rispetto a quello degli altri Anziani, Raikar lo guardò fisso e, dopo un po’, alzò
timidamente il dito indice della mano destra emulando il movimento di un artiglio che graffia una parete.
ʺMisurare le mie paroleʺ? Questo segno lo facevamo quando eravamo fra nemici, Raikar… di chi non ti fidi nel Consiglio?
Grattandosi la mano destra Dimion rispose all’avviso dell’amico affermativamente e, quando la ragazza lo annunciò ed ebbe
ottenuto il permesso di prendere parola dalla Somma, Dimion iniziò a spiegare quello che era successo la sera prima… ma
misurando le parole.
«Anziani del Consiglio. Sono qui oggi per informarvi di un fatto strano avvenuto in prossimità di casa mia, al Crocevia
meridionale, nel Bosco della Sera. Mio figlio, Julian si trovava nel portico e a un tratto ebbe sentore di una sensazione...»
«Mi faccia indovinare, di pericolo?», lo interruppe la Somma.
«Si, Somma Neves, di pericolo...», affermò Dimion chinando il capo in cenno di assenso.
Sospirando, la Somma chiuse gli occhi.
«Sei la decima persona che viene a comunicare una cosa del genere, Dimion…», aggiunse Simion in tono grave ma esasperato.
Dimion alzò gli occhi sul suo mentore e fu attratto da un altro cenno di Raikar: pollice e indice si picchiettavano continuamente.
“Fai finta di non sapere nulla”… Ma Raikar, io non so nulla davvero!
«Non ne ero al corrente, Anziani… mi scuso per la ripetitività, ma non mi era mai capitato e mi ha dato da pensare. Sapete tutti
voi quali tematiche hanno affollato gli ultimi discorsi del Consiglio… o per lo meno quelli nati dalle supposizioni mie e
dell’Anziano Hymtar.».
Questa volta l’occhiata truce dell’amico non ebbe bisogno di segnali segreti.
«Si, Dimion, sappiamo tutti le vostre supposizioni.» Il tono della Somma era più che esasperato. «E abbiamo già affrontato il
problema.»
«Ma adesso...»
«Adesso non è cambiato nulla, non possiamo evocare uno stato di agitazione sulla città solo per delle sensazioni di pericolo!»
«Ma avete detto anche Voi che non sono solo mie sensazioni, questa volta! La situazione sta cambiando, lo sapete anche voi.
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Quante volte abbiamo esaminato gli antichi scritti in cerca di segni come questo! Il pericolo tempra l’aria…». Il tono accalorato
aveva sempre attirato l’attenzione sulle parole di Dimion, ogni volta che lo usava. «Non lo sentite anche voi…?».
I quattro Consiglieri abbassarono lo sguardo sulle proprie mani congiunte, Raikar con un sorriso sulle labbra appena accennato.
Solo la Somma manteneva quello splendido viso altero e freddo.
«Mastro Grunch, glielo ripeto per l’ultima volta: sono solo sensazioni.».
«Non mi avreste messo a vivere in una zona come quella del Crocevia, se non aveste voluto essere informati di una cosa del
genere. Non sono un Difensore di Calavron? Non mi avete dato voi questo compito? Riferire qualsiasi cosa strana? Adesso vi
chiedo solo un po’ di attenzione…»
«Un Difensore di Calavron dovrebbe avere più cognizione. Non fondare ipotesi su sensazioni! Non vedo la logica in queste
insensatezze.»
«A volte non c’è una logica in tutto, Somma... esistono cose inspiegabili, misteriose. Non sappiamo tutto.»
«No di certo… Ma capisci bene, Dimion, che non possiamo allertare tutta la comunità solo per delle sensazioni», era Tremain,
questa volta, il viso pensieroso e preoccupato solcato da più rughe di quante il Guaritore ricordasse.
«Allora teniamo fuori il popolo, ma di sicuro ci vorrà qualcuno per indagare! Molte scritture vanno ancora studiate, non riusciamo
a capire ogni Profezia. Siamo una delle biblioteche più fornite sotto questo aspetto, perché non invitare la gente di Maemtaar e
anche di Hama?», esclamò Dimion rivolto nuovamente alla Somma «Anche loro hanno buone conoscenze, magari diverse dalle
nostre, potremmo scoprire qualcosa in più, preparar…»
«Basta!»
Lo schiocco sordo di una mano accompagnò la parola della Somma. Il viso era ancora duro come la pietra ma lo sguardo
scintillava.
«Abbiamo sentito abbastanza, Mastro Grunch. Una cooperazione con le altre Città della Notte, adesso? E, perché no, una
collaborazione con i Tiranni già che ci siamo... anche loro potrebbero sapere qualcosa in più di noi, no?».
«Non ho dubbi al riguardo…» Adesso anche Dimion era freddo. Sfidare così apertamente la Somma non credeva fosse mai
avvenuto prima. Si aspettava di certo una sentenza molto dura da quella bocca tesa, dopo quest’episodio.
«Basta così, figliolo…», la Somma rivolse l’occhiata fulminante da Dimion a Simion, che la ignorò, concentrato sul suo allievo
storico. «E’ una situazione difficile e ce ne rendiamo tutti conto… conosciamo a memoria, quasi, le scritture, ma non sempre
riusciamo a capire le Profezie. Mi piacerebbe di certo una cooperazione tra le Città Ribelli, ma la segretezza è troppo radicata nella
tradizione del nostro Popolo.».
«Alcune Profezie sono abbastanza chiare però...», si intromise Raikar con tono chiaro e solenne:
«La coscienza arriverà cavalcando Ombre invisibili.
Il Popolo dimenticato ne sentirà la venuta
col cuore stretto e il fiuto distorto.
La città Lucifera donerà il frutto, marcio,
della Sua liberazione.
E sarà la rovina per le genti della Notte.
Mi sembrano abbastanza chiari i riferimento al Popolo della Notte. E le ombre, chiamiamole invisibili, di questi giorni? Abbiamo
più di trenta testimonianze! Ebbene sì anche di bambini!», aggiunse quando lo scetticismo attraversò il viso delle due Anziane
presenti.
«Abbiamo bisogno di aiuto. Non sappiamo tutto, non tutte le Profezie sono chiare come quella che ho appena recitato...
Spargerà il sangue del Popolo latente
e rinnegherà il destino luminoso
se il sacrificio non verrà sancito
e la Torturatrice raggiungerà la sua anima.
Allora Egli si innalzerà sopra il mondo
e la guerra avrà vittoria sulla libertà.
Secondo voi questa cosa significa? Siamo noi il Popolo latente? Quale sacrificio? Chi è la Torturatrice e soprattutto come
impediamo che la Profezia si avveri in quella maniera? Non capite quanto oscuro il destino potrebbe essere se non iniziamo a
prendere coscienza di cosa questo periodo possa significare per noi? E se il Drago stia veramente rinascendo? Se fosse già risorto?».
Adesso Raikar guardava dritto negli occhi ogni Anziano. Il volto angosciato e determinato dell’amico diede forza a Dimion per
continuare ad infierire sulla questione, ma quando stava per aprire bocca Raikar guardo lui e gli strizzò l’occhio. Dimion, allora,
rimase silenzioso, mentre i Consiglieri rimuginavano sul discorso appena sentito. Simion aveva anche un leggero sorriso sulle
labbra, guardando di sottecchi i suoi prediletti, mentre gli altri tre Anziani cercavano di mantenere un’espressione dignitosamente
fredda, non lasciando trasparire rabbia o paura.
Alla fine la Somma dichiarò che la questione sarebbe stata discussa appropriatamente in Consiglio. Era il massimo che poteva
concedere ai due giovani.
Mentre Dimion chinava il capo per congedarsi, recepì il messaggio di Raikar che lo invitava a rimanere nell’atrio, dove l’avrebbe
raggiunto presto, e, preso in consegna dalla ragazza che, docile, era rimasta in disparte ed estranea alla discussione attraverso sottili
pareti d’Aria, ripercorse il tragitto inverso e si ritrovò nell’atrio, rimuginando su cosa era appena successo.
Evidentemente c’è divisione all’interno del Consiglio…e sospetto. Ormai c’è sospetto ovunque.
Sospirando, si sedette nuovamente su una panchina aspettando l’amico, che si presentò poco tempo dopo portando con sé un
vecchio libro rilegato in cuoio. Dimion lo riconobbe: lo avevano studiato insieme tanto di quel tempo.
«Dimion… ah, mi sei mancato nelle ultime settimane, amico mio.».
I due si scambiarono un breve ma intenso abbraccio, sigillo di un’amicizia a lungo coltivata. Poi Raikar guidò Dimion nel suo
studio e, dopo avergli versato una tazza fumante di vino speziato riscaldato perfettamente da flussi di Fuoco permanenti, gli porse
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di fronte il libro che più li aveva ossessionati dal loro ritorno da Maemtaar.
Dimion posò la tazza fumante e prese il libro tra le mani. Sensazioni vecchie si impadronirono del suo animo sempre giovane:
incertezza, angoscia, paura, ma anche determinazione, coraggio e volontà di sapere sempre di più.
«Quanto tempo abbiamo passato su queste pagine, a cercare di capire, interpretare… quante giornate spese inutilmente, Raikar.»
Alzando lo sguardo sull’amico, Dimion si accorse che questi lo soppesava con quell’incredibile sguardo, infuocato e appassionato,
ancora, dopo tutti quegli anni.
«Credi davvero che sia stato tempo sprecato Dimion? Tutto quello che abbiamo scoperto allora?»
«Ma cosa abbiamo scoperto, Raikar, alla fine? Che il Drago rinascerà? Sì, bene, ma quando? Dove? Come? Ci sono troppe
Profezie ancora da interpretare, per capire cosa dobbiamo fare! Io ho parlato al Consiglio oggi, ma volevo solo ricordare a me stesso
per cosa ho deciso di combattere. La verità è che non ho più fiducia. E ho come l’impressione che sia già tardi.»
«No, Dimion non è ancora tardi… Tutto può ancora essere cambiato. Il Disegno tesse come vuole, ma noi sappiamo che ci sono
persone che possono cambiarlo. Basta sapere cosa fare, quando e come.»
«Ah, nient’altro?»
Raikar sorrise.
«Cos’è successo ieri, Dimion? Non è solo quello che hai raccontato al Consiglio vero?»
«Mi hai fatto tenere la bocca chiusa, Raikar. Ovviamente c’è qualcosa in più. Non avrei chiesto un’ulteriore udienza, dopo l’ultima
del mese scorso. Mi hanno praticamente umiliato, allora, ricordi?»
«Gli Anziani non sempre hanno la pazienza che propagandano.»
«Già… Beh comunque. Quello che è successo ieri è abbastanza inquietante. Julian ha trovato una bambina al limitare del Bosco,
proprio vicino al portico della mia casa, nuda e mezza morta di freddo. L’ho guarita. Stamattina, appena sveglia, era terrorizzata e
senza memoria.».
Raikar annuiva fra sé, lo sguardo posato sul libro nelle mani di Dimion.
«Ieri sera è avvenuto qualcosa, Raikar. Qualcosa di pericoloso, qualcosa di brutto. L’ho percepito. Una sensazione molto forte. Non
è vero?».
L’amico sollevò su di lui gli occhi neri e annuì piano.
«Si, Dimion. Ieri sera ho sentito il Disegno piegarsi. Sai quanto forti siano le mie percezioni. Ho sentito uno strappo, la perdita di
qualcosa, non so se riesci a capirmi. Dimmi, Julian ha visto qualcos’altro?»
«Credo proprio di sì ma non vuole dirmelo, era terrorizzato a morte... che sia una di quelle Ombre di cui parlavi prima?»
«Può darsi... è un momento molto oscuro, amico mio... e io ho paura per la prima volta dopo tanto tempo.».
Il viso di Raikar era angosciato, adesso. Fece cenno verso il libro di cuoio e Dimion glielo porse, aspettando, mentre il Consigliere
sfogliava le pagine concentrato.
«Hai detto che la bambina non ricorda nulla?»
«Sì»
«Ed è apparsa dal nulla?»
«A quanto pare… se Julian non ha taciuto proprio su questo dettaglio...»
«Mmm, ricordavo qualcosa sulla perdita di memoria di qualcuno connesso alla nostra città...»
«Si, Raikar la ricordo anche io quella Profezia. Ecco perché oggi sono venuto da te...
Il Fratello Oscuro cammina nel mondo
la nuova Ombra di un antico sentore di Morte,
avanzando un antico compito nella nuova Era.
E, quando al mondo egli condurrà la Senza‐memoria
la Caccia Nera sarà ormai prossima.
La Senza‐memoria appare nella città Lucifera
e la speranza del mondo crolla sotto la sua innocenza
è lʹOmbra che la guida, lʹOmbra che la osserva
ed è lʹOmbra che risveglierà il suo destino assopito.
La senza‐memoria Vive e la Torturatrice rinasce».
I due amici si guardarono a lungo, dopo che Dimion ebbe finito di recitare quella Profezia.
«Com’è facile interpretare le Profezie quando sai cosa cercare…», disse infine Raikar, un mormorio quasi impercettibile.
«Tu sei sicuro che la città Lucifera sia Calavron?»
«E’ il nostro simbolo da tempo immemore, Dimion… Mi sa che abbiamo trovato la nostra Torturatrice, dopo tutto.»
«Sì, ma cosa facciamo? E’ una bambina.».
Raikar sospirò.
«Ecco la parte più difficile. Decidere… come fai a decidere del destino del mondo? E se poi sbagli?»
«Raikar la nostra è un interpretazione come un’altra… Non riesco a credere che una bambina personifichi uno dei presagi più
oscuri di tutto quel libro!»
«... la speranza del mondo crolla sotto la sua innocenza... », rispose l’Anziano citando.
«Raikar!»
«Dimion…Ah! Non sto dicendo di far fuori quella bambina se è di questo che hai paura…».
Dimion, involontariamente, tirò un sospiro di sollievo. Era stato sveglio un’intera notte a rimuginare su quella bambina collegata
all’apparizione di una sensazione di percolo soffocante ed era entrato in una vera e propria fase d’angoscia quando, quella mattina,
la bambina non ricordava nulla. Gli era subito tornata in mente quella Profezia e non poteva scrollarsi di dosso la sensazione di
aver salvato la probabile fonte di distruzione del mondo. A volte, l’aver passato tanto tempo su quelle pagine, gli faceva perdere
lucidità. Non avrebbe mai lasciato morire qualcuno.
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«E allora cosa consigli di fare?»
«La terremo con noi… magari diremo che è una mia nipote proveniente da Maemtaar e ho chiesto a te di tenerla per un po’. La
cresceremo come una di noi. Forse abbiamo ricevuto la possibilità di cambiare il Disegno, chissà.».
Quanto avrebbe voluto, Dimion, credere alle parole del suo amico Consigliere.
Non appena finto di parlare il Guaritore vuotò d’un fiato il suo bicchiere. I suoi occhi si spostavano continuamente, da Norah al
focolare, poi di nuovo sulla ragazza. Voleva evidentemente tenere d’occhio il contraccolpo che le sue rivelazioni avrebbero avuto su
di lei, ma allo stesso tempo non aveva il coraggio di sostenere il suo sguardo. Norah era allibita. Non si poteva dubitare delle
parole di Dimion, l’uomo non le avrebbe mai raccontato delle menzogne. La sua mente stava disperatamente cercando una falla,
un punto debole nella realtà che si stava formando nella propria coscienza, come un topo intrappolato che cerca una via di fuga
dal gatto che incombe su di lui. Ma tutto quadrava perfettamente: il suo passato misterioso, il vuoto di meomoria, i ricordi di
Julian, i recenti incubi e, per finire, la profezia scoperta da Dimion.
Si chiese se non fosse un brutto sogno, anche quello: era tornata incredibilmente stanca dall’Accademia, forse si era addormentata
di schianto appena entrata in casa e adesso si trovava in un altro maledetto incubo... No, questa è la realtà, disse una voce dentro di
lei, ed è giunto il momento di affrontarla. Norah ebbe un sussulto: «No! Non è vero, non può essere...», protestò, mentre le lacrime
cominciavano a velarle la vista. Vide Julian e Dimion che si scambiavano un’occhiata allarmata, poi il ragazzo accorse a
rinfrancarla.
«Calmati, adesso. Vedrai che troveremo una soluzione. Tutto si sistemerà...», diceva Julian mentre le prendeva gentilmente il
liquore di mano e l’aiutava ad alzarsi. «Vieni, ti porto in camera: hai bisogno di riposare. Domani chiederemo un’udienza urgente
al Consiglio e loro ci diranno cosa fare, non è vero, padre?».
Dimion aprì la bocca per rispondere, ma qualcosa gli impedì di continuare. Rimase così, a bocca aperta, pallido in viso e con uno
sguardo impotente. Norah non l’aveva mai visto così scoraggiato, lui che era uno combattivo di natura e sempre cocciutamente
ottimista. Si chiese cosa potesse averlo sconvolto così, poi realizzò che probabilmente era stato il proprio aspetto. Cercò di
ricomporsi, ma le sue gambe presero a vacillare e si dovette sostenere a Julian. Il ragazzo la stava già conducendo verso le scale, ma
Norah non voleva andare in camera, non voleva riposare. Provò a ribellarsi, a dire che sarebbe stato peggio, che gli incubi
l’avrebbero tormentata nuovamente, ma le frasi uscivano sconnesse dalla sua bocca.
Una volta in camera, sdraiatasi accanto a Julian, sentì il proprio battito rallentare e le gambe smisero di tremare. Per qualche
attimo sperò di aver ritrovato la calma, ma proprio in quel momento iniziò il sogno...
Era un salone di pietra scura, con un grosso camino spento anch’esso in pietra, verso cui tutte le pareti sembravano condurre
l’occhio. Erano l’unico elemento della stanza totalmente in penombra a eccezion fatta per una finestra lungo il lato orientale,
tramite la cui grata filtravano una serie di rettangoli di luce lunare. Si sentiva piccola in quella vastità e il vuoto e l’inattività di
quella stanza le rinfacciavano quasi il fatto di essere viva. Angosciata da quel silenzio e chiedendosi come fosse arrivata in quel
luogo desolato, decise di muoversi verso la finestra per capire dove si trovasse attraverso quelle sbarre nere.
Mentre si muoveva non sentiva l’eco dei propri passi, ma questo, inspiegabilmente, non le parve strano. Raggiunse la finestra ‐ si
era forse spostata in basso per lasciarla guardare? ‐ e si sporse, lasciandosi abbracciare dalla luce della Luna: subito il respiro le
morì nel petto, il cuore iniziò a martellare più velocemente quasi a combattere quell’improvvisa resistenza alla vita. Attonita, fece
scorrere lo sguardo su un panorama senza fine e che sconvolse la sua mente irreparabilmente: ai piedi della torre da cui stava
guardando si estendevano scomposti centinaia, no, migliaia di cadaveri, uomini, donne, bambini e creature alle quali non sapeva
e voleva dare nome. Altrettanti corvi e carogne stavano in mezzo ai corpi e senza indugio strappavano brandelli di pelle,
ingurgitandoli e lanciando grida di gioia raccapriccianti.
Lanciando un urlo disperato e terrorizzato, si scostò da quell’incubo indietreggiando sino alla parete opposta, rannicchiandosi su se
stessa e iniziando a piangere convulsamente. Quell’orrore non poteva essere reale! Dove si trovava e perché i suoi genitori non
erano li con lei?
«Norah, bambina. Perdona lo spettacolo a cui hai assistito, non abbiamo avuto il tempo si ripulire. C’è tanto da fare...» disse una
voce, sospirando e sembrando contrita.
La bambina si immobilizzò terrorizzata più che mai. Non aveva il coraggio di alzare la testa e incrociare lo sguardo di chi aveva
parlato. Non conosceva quella voce profonda e apparentemente rassicurante, ma aveva un brutto presentimento.
«Non aver paura, piccola. Non ti farò del male» adesso la voce era così suadente…
Norah si sentiva braccata e, contro la sua reale volontà, la mente ordinò al suo corpicino tremante di sciogliere l’abbraccio nel
quale si era rinchiusa e alzare lo sguardo su quello sconosciuto…
Degli occhi gialli, un sorriso agghiacciante e poi il buio…
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Un dolore lancinante alla spalla sinistra le fece riprende i sensi brutalmente. Qualcosa la stringeva alla vita e la teneva sospesa da
terra, ma fu la scena che si trovò davanti agli occhi appena aperti lʹunica cosa a cui andò lʹattenzione di Mab: una lama nera
trapassava la spalla sinistra di Hilda.
«No!»
In un frammento di tempo che parve dilatarsi, il suo grido si mischiò a quello di Hilda, mentre la bionda traeva indietro il busto,
riuscendo così a liberarsi dalla spada del suo avversario e, incurante del fiotto di sangue che ne conseguì, riprese lo scontro, in un
impeto di furia e determinazione. Il possessore della spada che lʹaveva ferita era quello che stava tenendo Mab in ostaggio,
stringendola al proprio corpo con un braccio ed usandola alla stregua di uno scudo, mentre affrontava la sua compagna in uno
scontro che probabilmente non durava da poco, a giudicare dalla stanchezza che sentiva provenire dal legame.
In movimento continuo tra un fendente e lʹaltro, i capelli biondi di Hilda si tingevano di rosso man mano che venivano a contatto
con la ferita e le sporcavano il viso contratto in una smorfia dʹira e concentrazione. Mab faticava a respirare per il tormento che si
riversava nel legame, una sensazione tanto intensa e bruciante che la fece dare di stomaco: non aveva mai provato niente di
lontanamente simile in vita sua ed era solo la parte che giungeva a lei. Tramite il legame Mab condivideva il dolore di Hilda e
avvertiva la rabbia che lʹaiutava ad ignorarlo, quello che non percepì in lei era la benchè minima traccia di paura. Si sentì quindi
in colpa nel rendersi conto di ciò che invece era lei a trasmettere allʹaltra donna, perchè tra le sue emozioni in quel momento il
terrore era certamente al primo posto.
Spazzò via dalla testa tutto questo, cacciò il dolore, la paura e lʹimmagine di Hilda: finalmente toccò la Fonte, attinse e una bolla
dʹaria esplose tra lei e il suo aggressore svincolandola violentemente dalla sua presa. Rovinò nuovamente a terra e si costrinse a
rialzarsi subito nel notare un paio di zoccoli che le si facevano incontro. I Trolloc che prima ricordava in corsa oltre loro ora la
stavano attaccando: attorno a lei ne aveva tre e temeva che presto altri si sarebbero aggiunti allʹassalto. Li affrontò con palle di
fuoco, il che attirò lʹattenzione di altre bestie su di lei, come previsto. Tra un combattimento e lʹaltro notò la presenza di altre
persone e non solo: spade, frecce e dardi infuocati si abbattevano sulle creature dellʹOmbra in modo implacabile in mezzo alla
vegetazione fitta, ovunque potesse vedere. Tra quella gente, quei soldati cʹerano incanalatori, erano i ribelli! Provocando uno
smottamento di terreno tutto attorno a lei, Mab riuscì ad arrestare il continuo assedio di quelle bestie dalle forme mostruose e con
lo sguardo andò alla ricerca di Hilda: vide le gambe di un Trolloc venir tranciate quasi di netto allʹaltezza delle ginocchia, la bestia
cadde a terra rivelando la donna dietro di lui già intenta a muovere un fendente alle spalle di unʹaltra di quelle immonde creature.
Con la spada stretta nella mano destra e il braccio sinistro invece fermo in modo quasi innaturale lungo il fianco, Hilda si
muoveva come una furia tra fango e sangue. Era impensabile che una figura tanto esile e apparentemente delicata fosse dotata di
una forza così letale. Ma era così debole in realtà, lʹadrenalina la teneva in piedi e la spingeva alla lotta senza sosta, ma sentiva che
si era già spinta ben oltre quel che era il suo limite fisico: sarebbe crollata da un momento allʹaltro.
Usando flussi dʹaria, si fece spazio tra i combattenti, che fossero Trolloc o umani, per raggiungerla: era a pochi metri da lei quando
vide un essere rivestito da una corazza nera avvicinarsi alle spalle della sua compagna e afferrarne la lama della spada prima che
lei potesse usarla per colpirlo. La mano della creatura, che corrispondeva a quello che aveva letto sui Myrdraal, cominciò a
gocciolare sangue che friggeva a contatto col metallo, ma non mollò. Hilda impugnò lʹarma anche con la mano sinistra per poter
esercitare più controllo su di essa, ma non servì a nulla: la ferita alla spalla le impediva di usare il braccio. Sotto la presa di
quellʹessere, la lama si spezzò come fosse stata un giocattolo e il Myrdraal approfittò dello sgomento che questo causò sulla sua
avversaria, per prenderla per la gola con la stessa mano.
Il bruciore che anche Mab provò al collo le impedì di usare subito i flussi dʹaria e fuoco che stava preparando. In quel momento un
rumore secco le sibilò accanto, la testa del Myrdraal si girò ad un angolo innaturale mostrando il suo orrendo volto pallido e senza
occhi: dalla bocca aperta a denti appuntiti snudati in modo minaccioso uscivano filamenti neri e densi, poco sotto si vedeva la
punta di una freccia che gli attraversava il collo. Mab stava per scagliargli contro i flussi quando qualcosʹaltro lo colpì, facendolo
saltare lontano da Hilda e poi decapitandolo. Lʹessere si rialzò e prese a vagare privo della propria testa, finchè un bagliore si
abbattè sopra di lui incenerendolo. Molti dei Trolloc ancora impegnati in battaglia ripresero la fuga, altri si accasciarono a terra
improvvisamente.
Mab non fece in tempo a raggiungere la propria compagna che già altri due uomini erano su di lei. Si avvicinò intessendo aria con
cui allontanarli quando si sentì schermata fuori dalla Fonte e immobilizzata da qualcosa che i suoi occhi non potevano vedere.
«Hilda!» chiamò a pieni polmoni, ma subito dopo anche aprire la bocca le fu impossibile.
Sentì qualcuno prenderla garbatamente per le spalle e sfilarle il pugnale che aveva in cintura.
«Non agitarti, nessuno di noi vi vuole fare del male» era la voce calda e sicura di un uomo che poi le passò davanti, le prese il viso
e lo esaminò spostandolo da ambo i lati. Quindi ispezionò il busto, le braccia, si soffermò su qualche ferita, poi trovò lʹaltro
pugnale tra le pieghe della gonna, quindi chinandosi ai suoi piedi, quello nello stivale destro. Poi disse
«Perdonami» e senza altro indugio infilò le mani sotto il suo abito alla ricerca di altre armi lungo le sue gambe. Mab cercò di non
mostrare lʹimbarazzo che le dava quella situazione pensando che, in fin dei conti, ne aveva dovute subire di ben peggiori, ma si
accorse di aver già sgranato gli occhi. Lʹuomo si rialzò, passò ad un altro soldato i tre pugnali sequestrati e disse
«Non ha altro. Le ferite sembrano superficiali»
Mab vide un uomo sollevare il corpo esanime di Hilda e non potè far altro che puntare gli occhi sul soldato che era davanti a lei
sperando che le desse qualche spiegazione.
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71 di 81 22/04/2012 17.12
«La tua amica è ferita gravemente, ha bisogno di un medico al più presto. Vi porteremo al villaggio più vicino, dove riceverete
tutte le cure di cui avete bisogno. Dobbiamo prendere qualche precauzione, non preoccuparti»
La voce dellʹuomo dai lunghi capelli scuri e lʹaspetto giovanile era rasserenante, ma poco servì quando le chiuse la visuale
coprendole interamente il volto con un cappuccio di tela. Ancora una volta tentò invano di dimenarsi ma i flussi invisibili che la
stringevano le impedivano qualsiasi movimento. Si sentì prendere in braccio e poco dopo pareva che si trovassero in un posto
completamente diverso: sentì rumore di zoccoli, delle ruote di un carro, un vociare generale che aumentava ad ogni passo
dellʹuomo che la stava trasportando, lʹodore intenso degli abeti e del sottobosco era svanito, sostituito da quello più familiare di
bestiame... sembrava fossero già in una fattoria.
Allʹimprovviso le fu impedito di sentire le voci di chi le stava attorno, sembravano essere entrati in un edificio e solo in quel
momento, al contatto con un ambiente più caldo, si rese conto di quanto fosse intirizzita nel suo abito ormai completamente
fradicio. Fu posata su qualcosa di morbido e quindi le venne tolto il cappuccio.
La luce nella stanza le sembrò accecante, ma appena gli occhi si abituarono capì che non era poi tanto forte e rifletteva lʹinsolito
color ocra dei muri. Mab si trovava su un letto in quella che doveva essere una sorta di infermeria, a giudicare dagli arnesi posati
sulla semplice mobilia in legno non lavorato attorno a lei. Al suo fianco cʹera ancora il soldato che lʹaveva presa prima, ma rimase
poco: fece un cenno col capo alla donna che gli stava di fianco e uscì dallʹunica porta della piccola stanza.
Mab controllò ancora lo schermo e lo trovò ancora li, solido e invalicabile. Erano invece svaniti i flussi che le impedivano di
muoversi, la qual scoperta la portò a scendere subito dal lettino dalla parte opposta rispetto a dove si trovava lʹunica persona nella
stanza, quella donna di mezzʹetà che la guardava con aria spazientita e in un certo senso materna.
«Dai, non perdiamo tempo, ho altro da fare. Rimettiti qui e permettimi di curarti»
«Dove mi trovo?» poteva di nuovo parlare!
«Non sono qui per le domande. Il mio compito è solo quello di visitarti e prendermi cura delle tue condizioni fisiche. Per le
domande ci sarà spazio dopo e non sarò io ad occuparmene. Ora, cortesemente, torna qui»
«Dovʹè Hilda?»
La donna dai capelli biondo cenere raccolti in una stretta crocchia dietro la testa sbuffò «Se cʹè una cosa che non sopporto è dover
ripetere le cose. Non costringermi ad usare la forza» e indicò il lettino.
Mab afferrò il primo oggetto metallico che ebbe sotto mano per poterlo usare come arma, ma non ebbe nemmeno il tempo di
rendersi conto di cosa fosse che si ritrovò distesa sul lettino. La donna accanto a lei non aveva mosso un solo capello, si limitò ad
osservarla con un cipiglio di disapprovazione, quindi le si avvicinò maggiormente imponendo entrambe le mani sopra di lei senza
toccarla.
Non poteva averne la certezza, ma quello in cui si trovava doveva essere il villaggio di Hama, una delle città dei ribelli. Non
sapeva più se esserne felice o meno: certamente doveva abituarsi allʹidea che lì chiunque attorno a lei poteva incanalare!
Non avendo altra scelta, si lasciò sondare dai flussi della donna: non aveva nulla di serio, giusto qualche lesione e la crosta della
ferita che le aveva fatto Krooche che era venuta via, causando unʹaltra lieve emorragia, in generale non aveva nulla che il Potere
non potesse far scomparire definitivamente e senza troppa fatica. Era piacevole e stupefacente sentire ogni dolore e la stanchezza
che svanivano al passaggio delle tessiture di quella donna.
«Ora rilascio i flussi, tu scendi e mi segui coi tuoi piedini fino alla sala delle vasche»
Come promesso, Mab tornò libera di muoversi, quindi, senza più opporre resistenza, seguì fuori la donna, attraverso un cortile
interno circondato da un grezzo colonnato di legno, fino ad una porta che apriva una stanza al cui interno si trovavano due ampie
tinozze.
«Da lì puoi prendere lʹacqua» disse indicando una pompa «Quando avrai riempito la vasca, te la riscalderò»
La gradevole sensazione dellʹacqua calda sul suo corpo la rilassò, ma cercò di non lasciarsi trasportare: aveva bisogno di risposte da
quella gente, voleva sapere cosʹera successo nella foresta, voleva sapere dovʹera Hilda. Luce! Se si fossero in qualche modo accorti
chi era davvero, lʹavrebbero potuta uccidere! Le avrebbero potute uccidere!
Una volta asciugatasi, indossò un semplice abito di lana color panna e una pesante casacca marrone da chiudervi sopra e fu
condotta ad unʹaltra stanza piuttosto ampia e dagli interni più curati rispetto a quanto visto fino a quel momento, anche se mura
e mobilia avevano comunque un semplice aspetto rustico. Allʹinterno della sala si trovavano altre persone: al suo ingresso un
soldato poco lontano dalla soglia smise di parlare con un uomo molto magro e dai capelli appena screziati di grigio, accanto al
camino una donna corpulenta girò la testa ad osservarla mentre continuava a colpire un ciocco di legno con lʹattizzatoio.
«Accomodati ragazza» disse, indicandole la sedia al centro della sala, un uomo anziano seduto sullʹunico scranno imbottito
dallʹalto schienale, «Sarà una lunga chiacchierata»
Sul tavolo davanti al vecchio cʹerano vari oggetti, che presto riconobbe essere il loro bagaglio: tra spazzole, la sua parrucca e i
borselli col denaro, la divisa bianca di Hilda sembrava quasi brillare di luce propria. Imprecando tra sé, lasciò che le gambe, rese
incerte dal tremore, cedessero facendola quasi crollare sulla sedia, poi attese che il vecchio proclamasse la sua condanna.
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«Era parecchio che non passavi da queste parti ragazzo»
Tomas sorrise al pastore, rifiutando con gentilezza la pipa che questi gli stava offrendo. Avevano marciato tutto il giorno ma non
verso la città, il giovane aveva passato diversi anni come esploratore in quelle terre e conosceva parecchie persone che potevano
dare loro qualche informazione. Certo la maggior parte erano sentinelle o spie dei Manti Bianchi ma aveva imparato che spesso
un semplice pastore è in grado di vedere cose che sfuggono al miglior soldato, soprattutto quando si tratta di notare i cambiamenti
del luogo in cui vive. Mancavano poche ore al tramonto e si trovavano seduti al tavolo di una catapecchia, in un pascolo isolato
parecchio ad Ovest rispetto a Jennji.
«Grazie Donal» rispose Tomas vedendo lo sguardo perplesso dellʹuomo «ma lʹodore del tabacco ti rimane addosso e... le prede poi
ti sentono e... scappano»
Come spia sei un disastro pensò Siadon fingendo di osservare la stanza mentre studiava la reazione dellʹuomo. Thea ed Elsa erano
sedute con loro, sorseggiavano in silenzio il vino caldo speziato che Donal aveva preparato, quellʹuomo era povero e la sua casa
davvero semplice ma aveva mostrato una generosità enorme, offrendo loro di fermarsi a mangiare qualcosa e mettendo a
disposizione il fienile per la notte.
«Oh... certo» rispose poco convinto «è per questo che siete vestiti così? Siete a caccia di quelle bestie di cui si sente parlare?»
No «Sì» rispose Tomas «ci hanno spediti a pattugliare queste terre, anche se non abbiamo trovato nemmeno una traccia»
Idiota! Lʹhai spaventato, ora sarà più difficile
«Dicono che hanno zampe da orso o zoccoli da toro» disse Donal con tono cospiratorio, come se parlarne a bassa voce lo aiutasse a
controllare meglio le proprie paure. Quelle storie lo spaventavano, anche se cercava di nasconderlo trattandole come leggende o
racconti per tenere buoni i bambini.
«Chi dice queste cose ha visto impronte di veri orsi o di veri tori, non abbiamo trovato nulla perché non cʹè nulla. Se ci fosse
qualcosa puoi star certo che lʹavremmo trovato.» intervenne Siadon.
«Oh certo, qualche mercante avrà voluto aumentare i prezzi... e poi voci come quelle corrono come fuoco sulla paglia. Come
quella volta che si diceva che i Tiranni erano sbarcati a Jennji» fortunatamente il pastore non voleva credere nellʹesistenza di bestie
simili.
«Ma che fine avevi fatto? Non passi a trovarmi da quasi un anno, ne ho sentite di ogni genere. Che eri morto, scappato... una
volta addirittura che eri un Incanalatore» prese una pausa per sputare a terra, come per pulirsi la bocca dopo aver pronunciato
quella parola «iniziavo a credere che fossi morto davvero! Sembri... diverso che ti è successo?»
Tomas era preoccupato, Siadon sapeva che era migliorato parecchio da quando era entrato al monastero ma non era ancora in
grado di nascondere del tutto le proprie emozioni, mentire a persone che contavano qualcosa per lui gli riusciva ancora difficile.
«Io... quegli idioti avevano davvero il sospetto che fossi un traditore, mi hanno spedito a Ishamera per tenermi sotto controllo e
solo dopo sei mesi hanno capito che non sono un infedele»
Non male pensò Siadon soddisfatto.
«Ah! Tu un traditore? E tuo padre ci ha creduto?»
«Non lo so, ma in parecchi lʹhanno fatto e non poteva proteggermi. Tutto sommato è andata bene, non è stato poi così male.
Comunque, dove hai sentito delle bestie che cerchiamo?»
Bravo ragazzo, non lasciare che sia lui a fare le domande
«Giù in paese, anche da qualche cacciatore che ogni tanto passa a trovarmi. Non so da dove sia arrivata la voce ma da un mesetto
ci sono molte più pattuglie e tutti hanno pensato che fossero in giro per quel motivo.» Donal prese una pausa per riaccendere la
pipa e Siadon ne approfittò per gesticolare velocemente a Tomas di approfondire la questione delle pattuglie e che non potevano
più fermarsi per la notte. Se i Manti Bianchi controllavano la zona era probabile che stessero cercando Incanalatori più che trolloc o
bestie simili.
«Comunque» riprese il pastore «cʹè di buono che hanno trovato ben tre dannati Incanalatori nel giro di una settimana! Bestie o
meno, ora le nostre strade sono più sicure grazie ai Figli»
«Puoi ben dirlo» intervenne Sidaon alzando il bicchiere di vino, come per festeggiare quelle catture, prima che Donal cogliesse il
velo di preoccupazione che tradiva la tranquillità di Tomas.
«Ai Figli della Luce» brindò il pastore, seguito con entusiasmo da tutti i presenti.
Il ragazzo bevve con calma, sfruttando quei pochi attimi per riprendere il pieno controllo. Non se la stava cavando male, certo
Donal era solo un pastore ma Siadon iniziava a credere che Tomas potesse imparare velocemente a sostenere un vero
interrogatorio.
Dobbiamo solo continuare ad aiutarlo.
«Tre in una sola settimana? Chi erano, gente di qui?» Tomas stava dando alla voce un tono orgoglioso ed eccitato. Prima di essere
esiliato, quando ancora era un Manto Bianco, aveva il compito di esplorare la zona per scovare gli incanalatori che si spingevano
verso Nord seguendo la leggenda dei Ribelli. Il pastore capì subito cosa intendeva dire con quelle domande.
«Uno di loro sì, un tizio che viveva in paese... Ramon mi pare, ci ho pure parlato qualche volta» sputò di nuovo «anni fa mi aveva
consigliato unʹerba per curare Maria... mia... moglie sapete...» aggiunse rivolgendo un triste sguardo a Siadon e alle due donne
«dannato bastardo. Non cʹè da stupirsi se non è guarita.» si alzò avvicinandosi al fuoco. Prese il mestolo e rigirò lentamente il vino
speziato, prendendo del tempo prima di riempire una brocca e posarla fumante sul tavolo. Con un sospiro si scrollò di dosso la
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nostalgia «Finalmente ha quello che si merita» continuò con tono rassegnato. «Gli altri due invece erano stranieri, li hanno presi
al dosso della lupa, non molto più a Nord di qui. Hanno combattuto come dei dannati, sono morti sei Figli per catturarli. Poveri
ragazzi, li avevano mandati qui per aiutarci. Che la Luce li accolga»
«Non erano di queste parti?» chiese Tomas perplesso
«Si vede che sei stato via parecchio» rispose Donal sorridendo fiducioso «finalmente la Confederazione ha inviato i rinforzi che
prometteva da anni, compresi alcuni di quei demoni addomesticati. Questo Ramon e gli altri due sono stati scoperti usando
proprio quelle bestie.»
«Grandioso! Sai se sono ancora da queste parti? Potrebbero farci comodo»
«Credo di sì, mi sembra di aver capito che pattugliano tutta la via occidentale fino a Ishamera, controllando bene ogni paese che
trovano.»
Sì, davvero grandioso! Non sarà facile interrogare le spie di Jennji senza farci scoprire.
«Si sta facendo buio, presto dovremo andare» era la voce di Thea
«Non vi fermate per cena? Dove dormirete?»
«Eʹ molto gentile» continuò lei sorridendo «ma per quanto assurdo sia il nostro compito dobbiamo eseguire gli ordini e le voci
dicono che quelle bestie agiscono di notte, è sereno e cʹè abbastanza luna da poter vedere qualcosa, non possiamo farci sfuggire
lʹoccasione.»
«Oh... certo, dovete andare... a caccia. Beh potete fermarvi giusto il tempo di mangiare qualcosa, di certo non vorrete accendere un
fuoco e cucinare di notte no?»
«Sì, ha ragione, ci fermeremo per mangiare qualcosa. Eʹ stato un piacevole incontro ed il vino era molto buono, non immagina da
quanto tempo non mi sentivo così tranquilla, la ringrazio davvero... beh... addio» aggiunse Thea sorridendo mentre si alzava ed
usciva dalla piccola abitazione.
«Oh... addio... non capisco» sussurrò Donal disorientato guardando Tomas «Perché ha salutato se vi fermate ancora? Dove va?»
«A controllare che sia tutto a posto» rispose Siadon facendo un cenno a Tomas mentre Elsa si era avvicinata alla dispensa per
iniziare a cucinare.
«Donal, non preoccuparti, va tutto bene. Sei un amico... Grazie» il pastore non poteva vederlo ma mentre pronunciava quelle
parole il ragazzo intessè alcuni flussi di Spirito, un reticolo molto semplice che adagiò sulla fronte dellʹuomo.
«Benissimo, lʹhai calmato e spedito nel mondo dei sogni. Il reticolo andava bene, anche se dovresti rinforzare i Flussi sul contorno,
se non si fosse fidato di te non sono sicuro che avrebbe funzionato. Sei pronto?» Siadon si era seduto sul tavolo, di fianco a Tomas
e di fronte al pastore.
«Non volevo stordirlo troppo... va bene, sono pronto»
«Se non avesse perso conoscenza si sarebbe reso conto di cosa sei, si sarebbe spaventato e probabilmente avremmo dovuto segnarlo
per sempre, se non ucciderlo, quindi non preoccuparti di stordirlo, gli stai salvando la vita. Chiaro?»
«Sì» rispose Tomas con tono serio e privo di dubbi.
«Bene» Continuò Siadon prendendo al volo una mela lanciata da Elsa «di solito lasciamo i testimoni con la convinzione di aver
assistito a qualche miracolo della Luce. Eʹ un intervento duro e irreparabile ma necessario, non cʹè modo di sostituire pochi dettagli
in modo pulito ed indolore se la mente è occupata da emozioni forti. La paura è una delle peggiori.» iniziò ad addentare la mela
«Un intervento del genere però lascia conseguenze poco piacevoli, se tocchi troppo i ricordi di una persona la sua mente riconosce
che qualcosa non va e crea delle barriere, a volte causano dei semplici vuoti di memoria, altre volte dei cambi di comportamento...
fino ad una vera e propria pazzia se non stai attento.
Non vogliamo modificare molto. Solo evitare che Donal si ricordi i nostri volti, soprattutto il tuo, non deve ricordarsi di averti
incontrato. Questa sera ha chiacchierato e cenato con degli amici che poi sono andati via, si sono divertiti, ha bevuto un troppo e
domani si sveglierà con un pò di mal di testa, quello che vedrà in questa stanza gli confermerà che i ricordi sono corretti. La sua
mente non opporrà alcuna resistenza, ricorderà la piacevole sensazione della compagnia e la sua vita continuerà come se non ci
fossimo mai incontrati.
Ora, mantieni il reticolo e creane un altro come questo» a Siadon erano sempre sembrate familiari quelle tessiture. Gli riuscivano
naturali come quelle per gestire lʹaria, non aliene quanto quelle necessarie a convincere la terra o lʹacqua a fare quello che voleva
lui, sapeva però che per la maggior parte degli altri non era così. Osservò attentamente i filamenti di Tomas mettersi in posizione,
non erano ordinati tanto quanto i suoi ma poteva bastare.
«Bene, come ti sembra? Potresti crearne unʹaltro ancora?»
«Questo lo reggo bene, un altro non credo...»
«Va bene, per quello che vogliamo fare basta. I suoi ricordi sono molto recenti, per la sua mente sono ancora il presente non il
passato... sono... liberi da vincoli, sarà più facile per lei accettare le modifiche. Dobbiamo iniziare a renderli meno dettagliati, in
questo modo rimuoviamo i nostri volti e le parole esatte di quanto abbiamo detto. Allarga il reticolo e crea un cubo in questo
modo... bene, ora restringilo quanto basta per farlo passare in questo quadrato» Siadon avvicinò la mano con la quale stringeva la
mela al volto del pastore, indicando con lʹindice una parte della tessitura che lo manteneva privo di sensi. Tomas iniziò a respirare
più rapidamente. Il reticolo si ridusse lentamente deformandosi e riprendendo forma.
Non ce la farà senza vederlo.
«Lo tieni?»
«Sì» non cʹera incertezza nella sua voce, solo determinazione.
Bene, in ogni caso sarà unʹesperienza utile
«Calmati, non devi perdere il controllo su quellʹaffare per nessun motivo, se succede mentre è nella sua testa la mente si rompe»
Tomas prese alcuni lunghi respiri, la sua fronte era imperlata di sudore ma ora il reticolo appariva fermo e ben distinto, anche se
un poco storto.
«Quando sei pronto spingilo allʹinterno, tienilo immobile poi allargalo fino a far apparire i bordi allʹesterno, a quel punto sollevalo
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e lascialo svanire solo quando è completamente fuori.»
Tomas non rispose, respirò con calma ed avvicinò le mani al reticolo, come se le stesse usando per modellarlo. Non serviva
davvero, era un esercizio che veniva insegnato per mantenere la concentrazione sui flussi.
Il reticolo sparì nella fronte del pastore senza che questi mostrasse alcuna reazione, Tomas portò le mani vicino alle tempie di
Donal e chiuse gli occhi, poi iniziò ad allargare le braccia. Lentamente gli angoli del reticolo riapparverò seguiti dai filamenti di
Spirito che li univano, la figura era deforme ma ancora funzionale e Tomas la sollevò di almeno due spanne più del necessario
prima di lasciarla svanire e tornare a respirare.
«Molto bene, ci sei?»
Il ragazzo respirò profondamente qualche volta, era sudato ma calmo e ancora determinato
Incredibile, forse ce la puoi fare
«Sì»
«Bene, ora non si ricorda i dettagli. Non saprebbe descriverci e nemmeno raccontare quanto è stato detto. Ma non basta, la trama
dellʹincontro rimane, come per un libro letto da tempo. Soprattutto ricorda ancora che tu eri tra gli ospiti, non saprà dire come eri
vestito ma la sua mente ricostruirà i dettagli usando altre immagini di te.»
Nella stanza iniziava a diffondersi un piacevole odore di zuppa, Elsa stava canticchiando sottovoce mentre la rigirava nel
pentolone.
«Ora viene la parte più strana, devi modificare quei ricordi. La tessitura è più semplice rispetto a quella di prima ma dovrai
pensare alle cose che si ricorderà. Non è difficile quanto sembra, devi solo pensare ad un suo amico e immaginarlo al tuo posto
mentre gli parla, mentre bevono, ridono e mangiano assieme seduti ora a questo tavolo. Più la persona che scegli ti è simile, più
sarà facile che la sua mente accetti quella verità, non intendo simile nellʹaspetto ma nel ruolo che ricopre nella sua vita, devi
scegliere un suo amico insomma, magari uno che vede raramente.
Ora pensa a questa persona, e a tre sconosciuti, un uomo e due donne, sostituiscili a noi quattro nei diversi momenti che abbiamo
passato qui e fissati bene in testa quelle immagini, se possibile anche le voci, non serve davvero in questo caso ma più dettagli
inserisci meglio è... se i dettagli sono corretti, altrimenti rischiano di peggiorare la situazione... va bene, lascia stare le voci, solo
immagini.»
Dannazione a me, è più facile farlo che spiegarlo
«Quando sei pronto crea questa tessitura» era una specie di imbuto chiuso da una doppia grata, la forma più semplice per il loro
scopo «la parte larga deve scomparire del tutto nella sua testa, mentre quella stretta deve rimanere fissa fuori. Non serve davvero
ma aiuta ad avere un punto sul quale focalizzare i propri pensieri, cʹè chi la tiene a contatto della propria fronte, altri davanti agli
occhi. Fai delle prove prima di toccare Donal e vedi come ti riesce meglio, capirai da te quando la tessitura funziona, è più facile
provarlo che descriverlo.»
Tomas annuì poco convinto e seguì le istruzioni, fece diversi tentativi ed un paio di volte lo strano imbuto sembrò sul punto di
disfarsi ma il ragazzo riuscì a mantenerne il controllo.
«Bene, sono pronto» decise infine rilasciando la tessitura e respirando con affanno.
«Tieni la parte larga più ferma che puoi mentre si trova nella sua testa, è più semplice rispetto a prima ma dovrai mantenerla più
a lungo e pensare anche ai quattro tizi. Vedrai delle macchie chiare nella sua testa, sono i ricordi più recenti. Immagina la scena,
focalizzala sulla parte stretta e poi... spingila verso una di quelle macchie. Continua fino a riempirle tutte e non avrà alcun vuoto
di memoria, lasciane qualcuna e la sua mente proverà a ricostruire i ricordi come meglio crede. Lasciane troppe e capirà che
qualcosa non funziona e creerà delle barriere.» Siadon scrutò il ragazzo per qualche istante, stava provando a rilassarsi ma anche
il solo mantenere la tessitura sulla fronte di Donal gli costava qualche sforzo. Notò che anche Elsa lo stava fissando dubbiosa.
La Compulsione non è il tuo forte
Il respiro di Tomas si fece calmo e regolare, doveva aver creato una sfera mentale per concentrarsi al massimo. Si aiutò con le
mani per posizionare la tessitura nella testa del pastore e rimase immobile. Siadon poteva intuire i momenti nei quali il ragazzo
era impegnato a creare le finzioni osservando i flussi oscillare pericolosamente, in quegli attimi la tessitura si distorceva tanto da
rischiare di rompersi ma Tomas riusciva a riprenderne il controllo mentre impiantava i falsi ricordi nella mente di Donal.
Siadon non era in grado di vedere le macchie chiare, per farlo avrebbe dovuto usare una tessitura ma non voleva distrarre il
ragazzo. Sapeva per esperienza che non poteva mancare molto, o almeno ci sperava ogni volta che vedeva quei flussi sfiorarsi,
Tomas non avrebbe retto ancora a lungo. Anche Elsa osservava immobile, pur non potendo vedere i flussi.
Andiamo ragazzo, qualche buco puoi lasciarlo. Forse non sono stato molto chiaro... se parlo ora però lo distraggo, basta un soffio e crolla
tutto.
I flussi oscillarono di nuovo in modo preoccupante, il lato corto dellʹimbuto si spostò leggermente e la figura contorta lo seguì. Un
filamento si assottigliò fino a dissolversi lasciando un buco nel centro della tessitura, gli altri si ritirarono sovrapponendosi.
«No... no no NO!» la voce di Tomas era un misto di frustrazione, rabbia ed orrore.
Preso dal panico alzò velocemente le braccia per aiutarsi a togliere lʹimbuto dalla testa del pastore ma, mentre quello che rimaneva
del doppio reticolo abbandonava la mente di Donal, la tessitura che doveva mantenerlo privo di sensi si dissolse.
Addio Donal.
Il pastore spalancò gli occhi terrorizzato, piegò la testa di lato e le labbra iniziarono a muoversi creando suoni che non avevano
nulla a che fare con le parole. Riuscì a muovere un braccio verso Tomas ma non sembrava ricordare bene come usarlo, il resto del
corpo era immobile. Iniziò a piangere e gemere cercando di coprirsi il volto con la mano ma non riusciva a piegare del tutto il
gomito e nemmeno a girare completamente il polso.
«Luce... Donal! Cosʹho fatto... Donal...» Tomas era sconvolto, pallido, aveva rilasciato la Fonte e fissava il vecchio amico con
sguardo incredulo mentre alcune lacrime iniziavano a rigargli le guance.
«La sua mente è rotta. Non cʹè modo di guarirla, possiamo solo aiutarlo a smettere di soffrire. Mi dispiace Fratello» Siadon provò a
consolare il ragazzo, appoggiandogli una mano sulla spalla. Aveva misurato le parole, cercando di evitare di addossare colpe e
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provando a migliorare la situazione. Un poco gli dispiaceva davvero, il pastore gli sembrava simpatico ma sapeva dallʹinizio che
sarebbe potuto succedere, in un certo senso doveva succedere. Un adepto diventava ufficialmente Fratello dopo il suo primo
omicidio fuori dal Monstero, ma uccidere uno sconosciuto non bastava a vincolarlo alla Setta. Doveva essere un conoscente, un
amico o un familiare, qualcuno la cui morte era in grado di causare una forte vergogna o un sentimento altrettanto
insopportabile. Gli altri membri della Setta, i Fratelli e le Sorelle, dovevano diventare le uniche persone a cui poter confidare le
proprie azioni ed i propri pensieri, le uniche in grado di capire.
«Tieni Fratello caro» Elsa si era avvicinata a Tomas, offrendogli un lungo coltello «aiutalo a smettere di soffrire, non possiamo fare
altro»
«Ma... è stata colpa mia. Lʹho ridotto io così!»
«Sì, è la verità. Hai fatto un errore e lui è ridotto in questo stato... poco più che un albero, imprigionato in un corpo che non è più
in grado di controllare.»
Non esagerare con i rimorsi Sorella.
«Eʹ questa la nostra maledizione» continuò Elsa accarezzando Tomas, aiutandolo a stringere il coltello tra le mani «siamo un
pericolo per chi ci stà vicino. Non possiamo smettere di incanalare ed ogni volta che lo facciamo... rischiamo di far del male a
qualcuno.» lentamente lasciò le mani di Tomas, stava ancora piangendo ma annuì. Nel monastero quel modo di pensare era
penetrato in profondità nei suoi pensieri, ora stava provando in prima persona le conseguenze dellʹunica verità che gli era stata
mostrata in quei mesi.
«Molti anni fà» proseguì la donna abbracciando Tomas. Lui continuò a piangere guardando con orrore lʹamico muovere gli occhi
in ogni direzione ed emettere lamenti sempre più forti «provai a rinnegare la nostra natura. Cercai di controllare la maledizione,
di incanalare solo quando non potevo più farne a meno, di nascosto e in luoghi sicuri, isolati. Ero convinta di poterci riuscire,
anche se la sentivo corrompere i miei pensieri. Una notte credetti di fare uno strano incubo. Durante il giorno potevo impormi di
non incanalare ma nel dormiveglia... no. Perdetti il controllo di una tessitura, di alcune tessiture. Assistetti come una spettatrice
mentre davo fuoco alla casa e chiudevo ogni porta... Piena di vita e di gioia per lʹabbraccio di Saidar capii troppo tardi di essere
sveglia. Nel rogo morirono parecchie persone, alcuni miei parenti... compreso il figlio di mia sorella naturale. Aveva pochi mesi.»
Tomas avvicinò il coltello al petto del pastore, tenendo la punta tremante a poche dita dal cuore dellʹamico.
«Ma io... potevo evitarlo! Poteva farlo uno di voi... Siadon non avrebbe sbagliato»
«Tutti possiamo sbagliare» rispose lui «ed ogni volta che lo facciamo cʹè qualcuno che si sente come te ora, succede anche quando
non sbagliamo. Pensi che Ron, il tizio che ci ha rapiti, non fosse amato da nessuno?» Siadon aspettò qualche istante per valutare la
reazione del ragazzo. Donal sembrò riprendere conoscenza del tutto, lʹespressione sofferente e terrorizzata dei suoi occhi non
lasciavano dubbi riguardo la sua lucidità.
«Lʹho vista spezzarsi. La sua mente... intere parti distrutte in un attimo. Lʹho ucciso in quel momento» La voce di Tomas era
ridotta a poco più che un sussurro. Cinse un braccio attorno alle spalle del vecchio amico, appoggiando la testa vicino alla sua. Il
contatto sembrò tranquillizzare il pastore, i lamenti calarono di tono e chiuse gli occhi.
Tomas respirò lentamente «Donal.. ... no. Non cʹè perdono.»
Affondò rapidamente la lama, stringendo nellʹabbraccio lʹamico e piangendo sulla sua spalla.
«Siamo marchiati dallʹOmbra.» continuò Elsa dopo qualche momento, accarezzando la schiena di Tomas «Un pericolo per
lʹumanità, solo ricordandoci cosa si prova a perdere qualcuno possiamo considerarci diversi dalle sue bestie. Non dimenticare
quello che provi ora, è la prova che non gli appartieni. Non uccidere una persona pensando di fare del bene, nemmeno un
Incanalatore. Anche loro hanno delle famiglie, gente che li ama e che soffrirà per le nostre azioni. Non possiamo permetterci di
dimenticare il dolore che provochiamo. Solo lʹOmbra uccide in quel modo e noi non siamo suoi servi.»
Dopo alcuni lunghi momenti Tomas indietreggiò dal corpo di Donal. Lentamente estrasse il coltello e rimase qualche istante a
guardare il sangue colare sul pavimento, poi puntò la lama verso il proprio petto.
«Perché non uccidersi subito allora? Le persone che amo sarebbero al sicuro e non farei soffrire più nessuno» Alcune lacrime gli
rigavano ancora il volto ma la voce era più ferma ora, segnata dal dolore, rassegnata. Elsa non disse nulla, continuò ad
accarezzarlo mentre fissava la punta del coltello con uno strano sguardo, apparentemente indecisa tra la curiosità e la tristezza.
«Ci pensiamo tutti più spesso di quanto sembri» Siadon ruppe il silenzio parlando con tono amaro «molti Fratelli e molte Sorelle
ci hanno lasciato in quel modo, è una scelta che rispettiamo e che comprendiamo a fondo. Nessuno di noi ti impedirà di farlo,
conosciamo troppo bene quello che stai provando per privarti di quella libertà» attese qualche istante. Tomas sembrava meno
deciso, respirava in modo lento e regolare, osservando con sguardo distante la punta affilata appoggiata contro il proprio petto.
«Come riuscite a sopportarlo?» sussurrò con tono incerto
«Nessuno può dire se nella prossima vita saremo ancora maledetti o meno» Era la voce di Elsa, tranquilla e serena come sempre
«Possiamo morire subito e sperare di ricominciare in un mondo migliore, oppure batterci fino a che riusciamo a reggere il peso
della nostra maledizione. Nella prossima vita potremmo non essere in grado di affrontare lʹOmbra con la forza che abbiamo in
questa. Ogni volta che penso di uccidermi cerco di immaginare la vita di una bambina normale in un mondo governato da
Incanalatori. Non voglio essere quella bambina. Questa vita mi è stata tolta dal marchio dellʹOmbra, farò di tutto per evitare che
succeda anche nella prossima.»
Tomas allontanò di mezza spanna il coltello tenendolo puntato verso il proprio petto e inspirò piano fino a riempire i polmoni.
«Sarò un bambino normale...» sussurrò con una punta di speranza nella voce, fissando il corpo di Donal accasciato di fronte a lui.
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Lʹarrivo di Arlene aveva destato inizialmente scalpore nel gruppo ma col passare dei giorni ognuno di loro si era presto abituato
alla presenza di unʹaltra donna in grado di incanalare. La cosa più sconcertante
non era stato apprendere che qualcuno li aveva seguiti per tutto quel tempo ‐ Rohedric stesso aveva ammesso la bravura di Arlene
nel seguire le tracce così accuratamente da lui nascoste. Nemmeno sapere che i Manti Bianchi a loro volta si trovavano con tutta
probabilità dietro di loro, partiti alla ricerca della fuggitiva nel momento stesso in cui si erano accorti della sua assenza. No, non
era stata nessuna di queste cose ad averli sorpresi, a questo ed altro erano pronti, seppur speranzosi di essersi sbagliati.
Ciò che li aveva realmente colti alla sprovvista, Merian soprattutto, era stato il racconto di Arlene che riguardava la sua vita prima
di diventare una schiava della città di Ishamera.
«Avevo circa ventidue anni quando mi catturarono,» esordì la donna davanti al fuoco di Ariel, mentre questa le controllava il
bendaggio fatto qualche ora prima. «Generalmente noi Ladrielle siamo molto schivi, non amiamo buttarci nella mischia della
battaglia come i nostri vicini di Tsorovarin. Preferiamo combattere usando lʹastuzia e ciò che la Luce ci ha donato, invece di
sprecare forze inutilmente con ogni sorta di armi.»
Gli uomini storsero il naso ‐ e anche Brienne ‐ non trovandosi del tutto dʹaccordo con il commento di Arlene, ma nessuno osò
aprir bocca, presi com ʹerano dal suo racconto.
«Ma sapete bene cosa succede quando ci si innamora…» continuò passando lo sguardo sulle donne presenti, soffermandosi poco
più a lungo su Brienne ‐ o questo era parso a Merian.
Per un momento soltanto si sentirono tutte unite, tutte consapevoli dei sentimenti altrui, e persino Brienne e Ariel sotterrarono
lʹascia di guerra per qualche attimo. Jon guardava il fratello con aria interrogativa, ma lʹaltro non sembrava presente, lo sguardo
fisso sul terreno di fronte a sé perso in ricordi lontani.
Che anche lui soffra per amore? si chiese Merian aggrottando le sopracciglia.
In ogni caso il turbamento dellʹuomo venne e andò via in un battito dʹali, e nessunʹaltra lì attorno sembrò farvi caso oltre a lei, che
era sempre stata piuttosto brava a cogliere parole e gesti che potevano nascondere altro.
La cosa la incuriosiva non poco e avrebbe voluto approfondire, non fosse altro che per aiutare Brienne.
Luce ma che dico! Incrociò le braccia stizzita e fulminò con lo sguardo la donna, per una volta senza motivo, e dovette trattenersi
dal ridere nel vedere la faccia dellʹaltra che rispondeva con unʹespressione attonita.
«Si chiamava Tom.» Arlene proseguì la sua storia e Rohedric e i suoi amori perduti scivolarono via dalla mente di Merian.
«Lui era un Neglentine e ovviamente di vedute diverse dalle mie. Era sempre ansioso quando si trattava dei Manti Bianchi,
desideroso come ogni uomo o donna di quella famiglia di affrontarli faccia a faccia. Inutile dirvi quante discussioni abbiamo avuto
io e lui a riguardo… Un giorno però, non so ancora il perché, decisi di assecondarlo e mi unì al suo gruppo di esploratori.»
Fece una pausa, e Merian si chiese se stesse pensando a cosa sarebbe successo se avesse detto di no.
Lei al suo posto avrebbe fatto lo stesso? Avrebbe seguito Mat anche contro le sue convinzioni?
Le ci volle un attimo per rendersi conto che lo aveva già fatto…
«Ci spingemmo ben oltre i confini della sua città, oltrepassando le Montagne della Nebbia e arrivando quasi a raggiungere la
strada maestra. Era unʹazione pericolosa e ne eravamo tutti consapevoli, ma nessuno volle tornare indietro. Io stessa dovetti
ammettere in seguito che trovai la cosa eccitante, e cominciai a capire un poʹ di più lʹuomo che avevo deciso di seguire quasi per
scommessa. Purtroppo però, come è solito accadere, le belle cose non durano mai abbastanza e la nostra storia finì in una radura
molto lontana da casa…»
Il fuoco morente lasciava intravedere ben poco delle espressioni altrui. Nessuno si alzò per alimentarlo, forse per non dare a vedere
le proprie emozioni, forse per non interrompere il momento… Rohedric aveva perfino smesso di fumare.
Arlene li guardò uno ad uno e dopo un attimo scoppiò a ridere.
«Oh, Tom non è morto se è questo che vi preoccupa, o almeno che io sappia, non lʹho più visto da allora.» Rise di nuovo, e
stavolta fu un riso amaro.
Per un istante lʹunico rumore oltre al crepitare del fuoco fu solo quello di voci che si schiarivano, e Brienne incalzò la donna a
proseguire maledicendo il dannato fumo che le andava negli occhi.
«Che successe allora?» chiese Merian in tono più dolce ma non di meno ansioso.
«Io mi persi…» rispose Arlene in tutta semplicità, scrollando le spalle. Guardava il fuoco morente senza in realtà vederlo,
unʹespressione arresa sul volto. Non cʹera tristezza nei suoi occhi, aveva accettato lʹaccaduto da tempo ormai…
«Non ero abituata a varcare i confini della mia casa, e in un luogo così lontano non era poi così difficile perdersi. Colti di sorpresa
dalla presenza del nemico fummo costretti a scappare, sapendo che ognuno di noi si sarebbe poi ritrovato al punto di incontro che
avevamo precedentemente stabilito. Io seguii Tom, ovviamente, ma giunta a quella radura mi accorsi che lui non era più con me.
Non so quando lo persi di vista, non credo nemmeno di essermene mai accorta. Io correvo, lui davanti a me, e allʹimprovviso non
cʹera più… di fronte solo uno spiazzo verde circondato da radi alberi che indicavano la fine del bosco. Non cʹera traccia né di Tom,
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né dei Manti Bianchi.
«Provai a tornare sui miei passi, cercando di ritrovare le nostre tracce, le sue tracce, alla ricerca di un segno che mi potesse
aiutare… niente da fare, non cʹerano impronte di nessun altro tranne le mie. Chissà da quanto tempo avevo corso da sola senza
una meta, dimenticandomi della presenza di Tom. Mi aprii alla Vera Fonte ed esplorai con tutti i sensi la radura, gli alberi, i
sentieri nei pressi… Ero sola, abbattuta, sconsolata, non sapevo cosa fare, se nemmeno il Potere era in grado di aiutarmi, cosʹaltro
poteva?
«E così, mi resi conto per la prima volta in vita mia di quanto in realtà Tom e la sua famiglia non fossero affatto inferiori a noi
Ladrielle. Loro vivevano contando soprattutto su sé stessi, senza dipendere troppo dallʹUnico Potere, usandolo certo, ma senza mai
abusarne, mentre noi ne dipendevamo quasi esclusivamente, dimenticandoci troppo spesso che esistevano altre qualità al di fuori
di esso.
Io lo capii in quella radura, lontana miglia e miglia da casa, nella mia solitudine, piena di una forza che però in quel momento
non mi serviva a nulla. Mi sedetti allora su un sasso e, con mia sorpresa, cominciai a ridere. Le lacrime si mischiarono ben presto
al riso, e rimasi lì seduta per un tempo che mi parve interminabile. Fu così che mi trovarono.»
Non ci fu bisogno di specificare a chi si riferisse.
Ariel le passò un bicchiere di idromele e Rohedric prese parola, abbassando la pipa da tempo ormai spenta.
«Come sei finita a Ishamera?» le chiese non appena ebbe finito di bere.
«Non fui condotta subito lì. La città più vicina era quella di Jennji, una sorta di avamposto dei Manti Bianchi a più stretto contatto
con le città dei Ribelli. Si direbbe un passaggio obbligato per i soldati della Confederazione. Eʹ qui che vengono portati tutti i
prigionieri catturati da queste parti, per poi trasferirli in altre città a loro più ʺconsoneʺ. Io sono stata mandata a Ishamera ad
esempio.
Non ho mai compreso il motivo di questa scelta, forse avendomi trovata seduta a ridere e piangere senza motivo, hanno ritenuto
opportuno mandarmi in una città di Devoti per farmi purificare.» Storse il naso. «Non saprei, credo che qualunque città dei Manti
Bianchi tenda a rendere gli schiavi a loro devoti, non importa cosa fanno esattamente allʹinterno. ShaidarShain, ad esempio, era di
gran lunga più vicina, ma il Disegno ha voluto che andassi a Ishamera.»
Guardò Merian intensamente quasi volesse entrare nella sua mente, e lei abbassò lo sguardo a disagio. Arlene sapeva? Nessuno le
aveva parlato della ricerca del Drago Rinato… o forse si? Cʹerano fin troppe cose che Merian non conosceva e questo cominciava a
infastidirla. Se cʹera una persona che doveva essere al corrente dei fatti questa era lei, mentre sembrava lʹunica a esserne allʹoscuro!
Prese un bicchiere e ne bevve il contenuto tutto dʹun sorso, non prestando alcuna attenzione allo sguardo esterrefatto di Brienne.
Rohedric evidentemente non voleva attirare troppo lʹattenzione su Merian, così spostò lʹargomento sulla fuga di Arlene da
Ishamera, cosa a cui nessuno fino ad ora aveva pensato. Merian alzò la testa di scatto, incuriosita, e così fecero gli altri.
Come diamine aveva fatto a scappare?
«Mi chiedevo infatti quando avreste finalmente tirato in ballo la questione,» rispose Arlene sorridendo.
«Ovviamente non era una cosa che avevo progettato, sperato sì, come tutti, ma mai presa in considerazione unʹeventuale riuscita.
La notte della fuga di Merian, o oserei dire il rapimento ‐ guardò in tralice Rohedric ‐ io mi trovavo ancora nei pressi della
lavanderia. Jora mi aveva trattenuto oltre lʹorario di lavoro perché avevo fatto cadere un cesto di panni appena puliti. Quellʹidiota
mi fece rilavare ogni cosa da sola, più e più volte, finché non ne fu soddisfatto. La sua era una palese scusa per rimanere solo con
me. Dopo che tutte erano tornate nelle loro celle, infatti, e dopo aver sciacquato per lʹennesima volta un paio di brache, si è
avvicinato a me, allungando le mani sulle mie cosce. Io in tutta risposta gli tirai uno schiaffo, sapendo che avrei solo peggiorato le
cose, ma non potevo certo arrendermi a quel lurido bastardo.»
Merian capiva la rabbia provata dallʹamica, anche lei sapeva quanto potesse essere pericoloso quellʹuomo. Ricordò quel giorno ai
campi, e si portò dʹistinto una mano allo stomaco dove lui lʹaveva colpita solo qualche settimana addietro. Luce, sembravano anni!
«A quel punto venne dato lʹallarme,» riprese Arlene cambiando tono. «Decine di Manti Bianchi si riversarono sulle strade in cerca
della fonte di pericolo, e lʹuomo si unì a loro. Rimasi immobile per qualche istante, turbata per quanto stava per accadere con Jora,
ma mi ripresi e mi diressi anche io verso il centro del tumulto. Da quanto capì, Larin, la compagna di cella di Merian, era stata
imbavagliata e legata, ma in qualche modo era riuscita a liberarsi, o forse qualcuno l’aveva trovata e dato l’allarme…
In ogni caso, qualsiasi cosa fosse accaduta alla donna, pensai che quella potesse essere lʹoccasione tanto sperata. Andai subito alle
porte della città, e con mia gioia vidi che le guardie erano state tramortite e che la via era sgombra. Sapevo che a momenti
qualcuno sarebbe venuto a controllare che nessuno uscisse dalla città, e così presi al volo lʹoccasione e fuggii.
«Non appena misi piede fuori dalle mura avvertii di nuovo il Potere scorrere in me, e mi aprii allʹistante alla Vera Fonte. Oh che
meravigliosa sensazione che provai, sembrava impossibile che ne avessi fatto a meno per tutto quel tempo! Non ebbi però la
possibilità di crogiolarmi nel piacere, così mi allontanai il più possibile dalla città nella direzione che speravo avessero preso i
rapitori di Merian, che io mi continuavo a dire fossero i Ribelli. Non sapevo quanto vantaggio aveste potuto avere su di me ‐ voi
eravate a cavallo mentre io disponevo solo dei miei piedi – così decisi di raggiungere la fattoria più vicina per passare la notte
nascosta in una stalla. Poco prima che albeggiasse rubai un cavallo e alcuni vestiti, e mi misi in cammino tentando in qualche
modo di seguire le vostre tracce.
«Dapprima è stato facile seguirvi ma una volta entrata nel fitto del bosco devo dire che la cosa è risultata più complicata. Ho
ritrovato le vostre tracce soltanto allʹapprossimarsi del villaggio ma non ebbi il coraggio di entrare, così decisi di proseguire e di
attendervi oltre. Il resto lo sapete.»
Merian cavalcava con la testa piena di questi pensieri, Arlene al suo fianco che ogni tanto le scoccava uno uno sguardo furtivo
credendo di non essere vista. Da quando erano partiti, molti giorni addietro, si trovava spesso a riflettere su quanto aveva
raccontato loro lʹamica, ancora incerta su cosa provasse nei suoi confronti. A volte era arrabbiata, offesa allʹidea che lʹaltra le avesse
taciuto una così importante parte della sua vita; altre si sentiva comprensiva: quello che aveva passato non doveva essere stato
facile, meglio nasconderlo e sperare così di dimenticarlo. In ogni caso, ciò che era risultato evidente al primo istante era che Merian
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aveva finalmente trovato qualcuno in grado di incanalare, ma soprattutto un’ insegnante preziosa che si era subito offerta di
spiegare tutto quanto ci fosse da sapere sullʹUnico Potere.
«Non stai prestando attenzione,» disse Arlene riportandola alla realtà.
Stava ripetendo lo stesso esercizio da chissà quanto ormai, il sole era già alto e la compagnia sembrava stanca quasi quanto lei.
Non riusciva proprio a comprendere il senso di quanto stava facendo.
Era convinta che avrebbe imparato a creare fiamme di fuoco, far cadere fulmini dal cielo, smuovere la terra ‐ come ricordava dai
suoi sogni ‐ e invece era costretta a creare stupidi cerchi colorati che danzavano nellʹaria senza apparente utilità.
Che spreco di tempo!
Lo disse allʹamica, sebbene in tono più gentile, era incredibile quanto lʹaltra fosse così dura quando si trattava di insegnare,
sembrava unʹaltra persona, una molto più spaventosa.
«Solo perché questi flussi non uccidono non significa che siano inutili,» sbottò Arlene al suo commento. «Devi imparare a
controllare ciò che fai, e soprattutto è essenziale che tu riesca a gestire più flussi contemporaneamente, senza distrazioni. Potrà
sembrarti stupido adesso, ma col tempo imparerai a capire.» Le agitava un dito davanti alla faccia mentre parlava.
Chi era questa donna, che ne aveva fatto di Arlene!
«Tempo che non abbiamo,» rispose Merian storcendo il naso. Continuò comunque il suo esercizio, non fosse altro che per evitare
di sentire per lʹennesima volta la predica della donna.
Non tutto era stato inutile ovviamente. Aveva appreso che la Vera Fonte, lʹimmensa forza che muoveva lʹuniverso, era divisa in
una parte maschile e femminile ‐ saidin e saidar ‐ e che attingendo ad essa si potevano creare cose straordinarie limitate solo dalla
propria creatività… o qualcosa di simile.
Arlene aveva parlato di forza nel potere cominciando un discorso così complicato che Merian a un certo punto aveva smesso di
seguire. Ricordava che cʹentrassero delle bruciature… forse avrebbe dovuto chiedere maggiori delucidazioni.
Arlene annuiva soddisfatta mentre Merian intesseva uno dopo lʹaltro tutti i flussi che aveva imparato sinora ‐ centinaia di
assurdità ‐ e proprio mentre si apprestava a compiere lʹultimo della serie ‐ un intricato complesso di Aria e Fuoco che lanciava
miriadi di scintille rumorose in cielo ‐ Rohedric fermò la banda.
«Poche miglia avanti a noi,» disse l’uomo senza voltarsi indietro, «oltre quelle basse colline, si trova la Cordigliera delle Nubi: una
grossa strada che incrocia la Via Occidentale a sud che con tutta probabilità brulicherà di Manti Bianchi. Ci accamperemo nei
dintorni fino a che non scenderà la sera, dopo di che proseguiremo nell’attraversamento di notte.» Non diede il tempo a nessuno di
ribattere, fece strada verso la macchia d’alberi più vicina e smontò da cavallo non appena trovò una radura coperta quanto bastava
dalla vegetazione.
Mentre legava Dovienya ad un albero Merian notò che Neal era sparito, senza dubbio partito in esplorazione alla ricerca di una
via sicura. Kain stava preparando il campo mentre con un occhio osservava Brienne ‐ come faceva troppo spesso ormai ‐ e lei dal
canto suo si limitava a ignorarlo.
Stupida donna!
Merian aveva perso il conto di quanti giorni erano passati da quando erano andati via dal villaggio e le sue comodità, Luce come
sentiva la mancanza di un letto caldo!
Arlene ha ragione, si rimproverò, sembro un’altra persona. Non sempre questo le era parso come un complimento, nonostante la
donna sorridesse con affetto dicendoglielo. La cosa la infastidiva comunque, non aveva mai sentito la mancanza di un letto caldo
prima d’ora, e non doveva cominciare adesso.
Gettò una coperta sull’erba e si sdraiò a guardare gli ultimi raggi solari che filtravano dalla chioma sul suo capo, cercando di
apparire perfettamente a suo agio sul terreno duro. Continuava distrattamente a intrecciare ogni singola tessitura che conosceva
tornando sempre col pensiero a Mat.
Come stava, cosa stava facendo in quel momento? Se lo chiedeva in continuazione ormai, era da molto che non lo vedeva. Lo
cercava ogni notte ma lui non c’era mai, e aveva cominciato a farsi domande inquietanti.
Quando lei non sognava lui era reale? Esisteva al di fuori dei suoi pensieri? Che cosa succedeva nel suo mondo quando lei
smetteva di sognare? Andava avanti? Lui mangiava, dormiva?
Luce!
Si fermò di colpo rendendosi all’improvviso conto del senso dei suoi pensieri. Come non aveva potuto pensarci prima? Mat non
aveva bisogno di tutto ciò, rimaneva ciò che era e non invecchiava perché i giorni non trascorrevano come nel mondo reale e lui
non era reale. Era solo un’idea, una bellissima idea, ma pur sempre tale: intangibile e immaginaria.
«A che pensi?» Brienne si era avvicinata senza che lei se ne fosse accorta.
«Stavo solo riflettendo,» rispose l’altra riprendendo a esercitarsi.
Brienne storse il naso ma non disse nulla, guardando intensamente Merian che muoveva in modo concitato le mani. Lei
ovviamente non riusciva a vedere i flussi.
«Come sta andando l’apprendimento?» C’era una punta di amarezza nella sua voce. Brienne avrebbe desiderato saper incanalare,
gliel’aveva detto lei stessa, e Merian quasi si sentiva in colpa per questo.
Smise all’istante e si girò verso di lei, cambiando discorso.
«Dov’è Arlene?»
«E’ con Ariel,» disse facendo una smorfia. «Quelle due passano un po’ troppo tempo insieme a mio giudizio.»
Si sedette accanto a Merian, irrequieta. Per quanto Ariel mettesse a dura prova la sua pazienza, non poteva essere solo lei a
renderla così ansiosa.
«Voglio solo attraversare quella strada il più in fretta possibile,» rispose la donna allo sguardo interrogativo di Merian.
«Non mi piace questo luogo, mi sento troppo allo scoperto…»
Merian si guardò intorno, sbigottita. Allo scoperto? Erano circondati da alberi, immersi in una radura chissà dove! Non lo disse a
Brienne però, la donna poteva essere a dir poco irascibile quando era preoccupata… e anche quando non lo era.
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Le due rimasero a parlottare a lungo, Brienne insistendo perché Merian le facesse vedere le cose che aveva imparato. Non
sembrava dedicarle molta attenzione tuttavia, il suo sguardo era sempre diretto a Rohedric, che se ne stava in disparte immerso
nei suoi pensieri. Jon come al solito intagliava ‐ seduto dall’altra parte della radura per non essere disturbato ‐ sereno come lui solo
riusciva ad essere, mentre Kain montava la guardia in attesa che Neal tornasse.
Un rumore improvviso alle sue spalle fece voltare Merian di scatto: era incredibile quanto i suoi sensi fossero acuiti quando saidar
l’avvolgeva.
Brienne lo notò solo un istante dopo. In un attimo fu in piedi, due coltelli tra le mani, pronta a scattare come un felino.
Rohedric e Kain notarono il movimento e fecero per avvicinarsi alle due donne, entrambi un’espressione preoccupata in volto,
entrambi con lo sguardo rivolto a Brienne.
Merian rimandò le domande a dopo e si concentrò sulla fonte del rumore: sette uomini armati si stavano facendo largo tra gli
alberi, per niente preoccupati di farsi riconoscere.
Manti Bianchi! pensò terrorizzata Merian.
Rohedric non si fece cogliere alla sprovvista, liberò la spada che portava al fianco e caricò in avanti scegliendo un avversario. La
grazia nei suoi movimenti era sconvolgente, era al tempo stesso sinuoso e letale. Anche mentre combatteva riusciva ad essere
affascinante.
Kain non attese ordini e si unì all’uomo, menando colpi a destra e a manca con la sua enorme spada che teneva con entrambe le
mani.
«Stai indietro Merian,» le gridò Brienne spingendola verso il centro della radura. La donna si teneva a distanza dal nemico, al
tempo stesso proteggendo Merian e minacciando chiunque si fosse avvicinato di trapassarlo con i suoi pugnali. Le due donne
erano costrette a danzare in circolo, non trovando un modo per indietreggiare verso il resto del gruppo. Dietro di sé Merian poteva
sentire Jon imprecare – per la prima volta in vita sua – perché non riusciva a trovare un varco per rilasciare le sue frecce.
Per quanto il nemico non fosse in superiorità numerica, avevano serie difficoltà a difendersi, così divisi gli uni dagli altri. Rohedric
e Kain si destreggiavano tra due avversari ognuno, ma non sapeva quanto ancora avrebbero resistito, Rohedric sembrava ferito.
Alle spalle dei due uomini altri tre tenevano occupate lei e Brienne, e Merian non riusciva a vedere se le altre due donne stavano
bene. Per quanto ne sapeva potevano esserci altri nemici dall’altra parte della radura. Merian cominciò seriamente a preoccuparsi.
Arlene poteva essere certo d’aiuto con la sua capacità di incanalare. Se le avesse insegnato qualcosa di più avrebbe potuto fare
qualcosa lei stessa, dannazione!
Un sibilo le giunse all’orecchio e qualcosa di indistinto le passò accanto: una freccia!
La speranza rinacque in lei. Jon era dannatamente bravo con quell’arco, le sorti sarebbero cambiate in un istante.
Mentre la freccia volteggiava in aria la vide prendere fuoco e cambiare traiettoria. Andò a conficcarsi nel tronco di un albero caduto
che divideva Rohedric e Kain da lei e Brienne. L’albero prese fuoco in modo innaturale e presto una barriera di fiamme separò i
due gruppi.
Brienne imprecò e fece per raggiungere Rohedric ma uno degli uomini che bloccavano ancora loro il cammino vide in questo
un’opportunità per attaccarla e si gettò su di lei. I due impattarono il suolo con un suono tremendo e Merian credette il peggio.
Attentò un rapido sguardo alle spalle e vide uno sbigottito Jon che si apprestava a incoccare altre frecce, mentre Arlene in piedi
dietro di lui intesseva velocemente altri flussi.
Aveva il vestito a brandelli. Di Ariel non c’era traccia.
Davanti a lei il muro di fiamme era impenetrabile, nascondendo alla vista Rohedric e Kain, che Merian sperava se la stessero
cavando meglio di loro. Brienne infatti era stata disarmata e aveva i polsi bloccati a terra dall’uomo. Scalciava violentemente per
liberarsi ma non riuscì a fare nulla, l’altro era troppo forte.
Merian si ritrovò a dover fronteggiare i rimanenti due, che sembravano però essersi fermati, e la guardavano ridendo mentre lei
attendeva con ansia che dalle sue spalle arrivasse una qualche sorta di aiuto.
Perché Arlene aveva smesso di incanalare? Che fine avevano fatto le frecce di Jon?
Si concesse un’altra rapida occhiata all’indietro, e con suo sommo orrore capì cosa stesse trattenendo i due: Jon era a terra privo di
sensi, Ariel al suo fianco, mentre Arlene sembrava immobilizzata da fili d’Aria invisibili. Degli uomini la circondavano e alcuni
avevano un tatuaggio sul viso che Merian conosceva molto bene.
I Traditori…
Qualcosa si ruppe in lei e si accasciò al suolo davanti ai suoi nemici, arrendendosi all’inevitabile.
La barriera di fiamme si dissolse come per magia, e altri Manti Bianchi giunsero portando con sé Rohedric e Kain, entrambi feriti
ma in piedi sulle loro gambe, grazie alla Luce.
C’erano quattro corpi al suolo: i due uomini erano riusciti ad uccidere i loro avversari ma non era servito a nulla, altri nemici
erano arrivati.
In ginocchio, sconvolta, Merian guardò Rohedric negli occhi mentre gli passava accanto, e non poté fare a meno di sentirsi in
colpa. Lui le sorrise, nonostante fosse coperto di sangue e sconfitto, le sorrise…
Quella fu l’ultima immagine che vide prima di essere colpita alla nuca e cadere in avanti priva di sensi.
fine del secondo capitolo...
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Personaggi / Autori
Dorian di Semirhage
Aaron Gaeleaf Selohim di ‐ws
Mabien Asuka di Mercutia
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di ‐ws
Toras Skellig di Neslepaks
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