Notiziario Storico

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NOTIZIARIO STORICO dell’ Arma dei Carabinieri ANNO I - NUMERO 1

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NOTIZIARIOSTORICO

dell’Arma dei Carabinieri

A N N O I - N U M E R O 1

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2 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

SOMMARION° 1 - ANNO I

In questo numero le prime indagini e il primo maxi-processo alla camorra(pag. 6), l’incontro tra il Generale Caruso e il Brigadiere Ioppi, eroi dellaResistenza, nelle carceri di via Tasso (pag. 24), i Carabinieri tra gli insortinegli stati preunitari (pag. 32), la circolare del Comandante Generaledell’Arma alla vigilia del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 (pag.38), chi era il primo Caduto dell’Arma (pag. 48).

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SOMMARION° 1 - ANNO I

EDITORIALEdel Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri pag. 04GEN. C.A. TULLIO DEL SETTE

ANTICHE CRONACHE

La squadra del Capitano Fabroni. Scacco alla camorra pag. 06di GIOVANNI SALIERNO

La “iena” di San Giorgio. Cattura di un serial killer pag. 12di GIANLUCA AMORE

Una rapina sventata pag. 16di ENZO FANELLI

Scontro a fuoco a Casal di Principe pag. 18di PAOLO CATERINA

PAGINE DI STORIA

Un abbraccio importante pag. 24di ENZO BERNARDINI

Dimissioni… per servizio pag. 32di VINCENZO PEZZOLET

Apolitici per tendenza e per tradizione pag. 38di FLAVIO CARBONE

A PROPOSITO DI...

Il saluto ai superiori pag. 44

CURIOSANDO NEL MUSEO DELL’ARMA

Il Vessillo della Regina pag. 46di LAURA SECCHI

CARABINIERI DA RICORDARE

Il Carabiniere Giovanni Boccaccio pag. 48di ALESSANDRO DELLA NEBBIA

ALMANACCO

Gennaio 1816: Cambia il giudice pag. 50Gennaio 1916: Missione compiuta sulla linea del fronte pag. 51

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EDITORIALEN°1 - ANNO I

Con questo numero riprende, dopo oltre quaranta anni, la pubblicazione del Notiziario Storico dell’Arma dei Carabinieri. Redatta a cura dell’Ufficio Storico del Comando Generale, avrà una periodicità bimestrale e diffusione solo on-line, sul sito (www.carabinieri.it) e sul portale dell’Arma, affinché, senza spesa alcuna, possa essere letta da tutti coloro che, Carabinieri e non, siano interessati a conoscere vicende della vita fin qui vissuta dall’Arma e dai suoi figli.

Ho scritto nella prefazione al Numero Unico del Bicentenario, edito lo scorsoanno e consultabile sul web all’indirizzo http://www.carabinieri.it/arma/ieri/numeri-unici, che l’Arma ha vissuto “due secoli intensi di avvenimenti, ricorrenti ed epici, diattività, quotidiane ed eccezionali, di sacrifici, ordinari ed eroici, di successi, in com-piti di polizia e militari, dentro e, negli ultimi vent’anni sempre più, fuori dei confininazionali. Due secoli nei quali i Carabinieri sono cresciuti in numero, nei compiti enell’esperienza professionale, conservando integri i valori e i riferimenti etici dellaprima ora, e hanno così accompagnato l’Italia nel suo sviluppo umano, culturale, so-ciale ed economico”.

E ancora, “E’ l’Arma “Benemerita”, tale dichiarata dal Parlamento nel 1864e oggi a tutti così nota; l’Arma “nei secoli fedele”, secondo il popolare motto co-niato nel primo centenario; l’Arma “della fedeltà immobile e dell’abnegazione si-lenziosa”, di quasi centenaria memoria Dannunziana; l’Arma “simbolo che è ormaiparte integrante e nutrimento continuo della nostra identità e coscienza nazionale”,come, dando corpo al generale convincimento degli italiani, definita dal Presidentedella Repubblica il 5 giugno 2014; l’Arma “terrific” (formidabile) nella formazionee nell’addestramento di Forze di Polizia straniere, secondo il giudizio di autoritàgovernative e vertici militari statunitensi responsabili delle coalizioni internazionaliper il mantenimento della pace nel mondo in questi anni, un giudizio che si associaa quello di straordinaria efficacia nella polizia di stabilità condiviso dall’ONU,dall’UE e dalla NATO.

È l’Arma “della gente” che continua a dare il suo contributo alla sicurezzapubblica, avvalendosi di mezzi e procedure all’avanguardia e di un modello organiz-zativo moderno ed efficiente, in continuo aggiornamento. L’Arma che, da sempre,pone al centro della sua azione il rapporto fiduciario con la popolazione in virtù dellasua storica, e futura, capillarità…….. è l’Arma che, sorretta dall’orgoglio e dalla re-sponsabilità delle Sue tradizioni, del Suo prestigio, della Sua condizione militare edell’esempio di tanti Eroi con gli Alamari, sotto l’ala protettiva della Patrona “VirgoFidelis”, si è avviata a percorrere il suo terzo secolo di vita, solida e al tempo stessoduttile e aperta al cambiamento. L’Arma che, fiera della sua storia, fiduciosa nei pro-pri mezzi, ricca dello straordinario patrimonio umano posseduto, affronta con entu-siasmo le sfide dei nostri anni al servizio della gente e a tutela della legalità.”

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EDITORIALEN°1 - ANNO I

Ebbene, se la Storia è, per Cicerone, “vera testimone dei tempi, luce dellaverità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità”, per il filo-sofo francese Emile-Auguste Chartier, “un grande presente, e mai solamente un pas-sato” se, come ha affermato Robert Anson Heinlein, scrittore statunitense di testidi fantascienza, “una generazione che ignora la storia non ha passato …né futuro”o Allan David Bloom, accademico e filosofo americano, “abbiamo bisogno dellaStoria, non perché ci dica cosa è successo o per spiegare il passato, ma per far vivereil passato così che possa spiegarci come rendere possibile il futuro”, allora si puòben comprendere come sia importante per un’Istituzione come l’Arma dei Carabi-nieri, votata a garantire piena legalità e a proteggere diritti e libertà di ogni indivi-duo in Italia e all’estero, ricordare, a ogni nuova generazione di suoi militari, lapropria Storia per comprendere appieno il presente e guardare, con fiducia e giu-stificato ottimismo, al futuro.

Il Notiziario Storico dell’Arma contribuirà a mantenere e rafforzare questamemoria collettiva, proponendosi come strumento di conoscenza agevole, imme-diato, di facile accesso e consultazione. Narra vicende del passato a volte epiche,più spesso di vita comune, ordinaria, vissuta in operoso silenzio, in umile abnega-zione, nella responsabile esecuzione del servizio, nel duro, quasi sempre anonimoespletamento dei compiti istituzionali da parte delle centinaia di migliaia, tante, diappartenenti alla nostra Istituzione, di nostri commilitoni che si sono avvicendatinei duecento due anni vissuti finora dall’Arma e continueranno a farlo negli innu-merevoli anni ancora a venire.

Realizzata con una grafica che vuole essere lineare, semplice e moderna, lapubblicazione si articola in sei rubriche. La prima, Antiche Cronache, dopo l’Edito-riale, dedicata ad attività operative che, nel passato, hanno visto protagonista l’Arma.La seconda, Pagine di Storia, rivolta a raccontare episodi che hanno assunto un valoreparticolare nella Storia della nostra Istituzione. La terza, A proposito di…, cercheràdi dare contezza di curiosità e aspetti meno noti attinenti al servizio. La quarta, Cu-riosando nel Museo dell’Arma, ha l’obiettivo di illustrare, valorizzandolo, il patri-monio di opere e cimeli che lì sono custoditi per essere visitati auspicabilmente datanti fisicamente e virtualmente. La quinta, Carabinieri da ricordare, delineerà, inogni numero, la figura di un Carabiniere che si è reso particolarmente benemerito.L’ultima, Almanacco, ricorderà episodi o vicende dell’Arma occorsi 100 e 200 anniprima nello stesso bimestre di interesse.Buona lettura dunque!

Generale C.A. Tullio Del SetteComandante Generale dell’Arma dei Carabinieri

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6 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

di GIOVANNI SALIERNO

LA SQUADRA

DEL CAPITANO FABRONI.

SCACCO ALLA

CAMORRA

ANTICHE CRONACHE

La mattina del 6 giugno 1906 a Napoli, la domestica di casa Cuocolo,Felicetta Carusio, entrando nell’appartamento di via Nardones 85, chiamò

la signora ma non ottenne risposta. Andò alla camera da letto in cuigiaceva nudo il cadaveredi Maria Cutinelli, detta "la bella sorrentina"...

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I CAMORRISTI

IN MANETTE.

SEGNALAZIONE

RELATIVA AL

RITROVAMENTO

DEL CADAVERE

DELLA

CUTINELLI.

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8 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

a mattina del 6 giugno 1906 a Napoli, ladomestica di casa Cuocolo, Felicetta Caru-sio, entrando nell’appartamento al quintopiano di via Nardones 85, chiamò la si-

gnora ma non ottenne risposta. Andò alla camera daletto in cui giaceva nudo il cadavere di Maria Cuti-nelli, ex prostituta detta “la bella sorrentina”, cri-vellato da undici ferite di arma da taglio a formatriangolare. A rendere più complicato il misterogiunse la notizia che all’alba di quella stessa mattina,nella contrada Cupa Calastro vicino a Torre delGreco, due carrettieri delle pulizie rionali avevano

trovato il corpo di un uomo, ugualmente crivellatoda tagli triangolari (se ne conteranno 44), con latesta spaccata da una bastonata. Il morto, GennaroCuocolo marito della Cutinelli, era un basista dellamalavita locale, strozzino, ricettatore, membro dellacamorra ma considerato dagli altri affiliati un dela-tore al soldo della Polizia.I due omicidi erano sicuramente collegati: chi avevaucciso il Cuocolo doveva tacitare anche la moglie,certo al corrente dei maneggi e di tutte le losche at-tività del marito, quindi in grado di identificarne fa-cilmente gli assassini. Scartata subito l’ipotesi

L

SEGNALAZIONE RELATIVA AL RITROVAMENTO DEI CADAVERI.

ANTICHE CRONACHE

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passionale le prime indagini, condotte tra mille dif-ficoltà, reticenze e timori di vendetta, portarono gliinquirenti ad accertare che la sera prima del delitto,nella trattoria “Mimì a Mare” nei pressi del luogoove era stato trovato il Cuocolo, avevano cenato variesponenti della malavita napoletana organizzata, trai quali Enrico Alfano, detto “Erricone”, indiscussocapo della consorteria criminale. Tutti i commensalifurono arrestati. Legami, intrighi, depistaggi, testi-monianze favorevoli di persone insospettabili, comequella resa dal sacerdote don Ciro Vittozzi, consen-tirono ai responsabili del duplice omicidio di uscireimmediatamente dal carcere. Del fatto furono poiaccusati due semplici ladruncoli: Tommaso De An-gelis e Gaetano Amodeo, che presto riuscirono a di-mostrare la loro estraneità. Il delitto, o meglio, idelitti sembravano tristemente avviati a non avereuna senza soluzione.Frattanto l’atmosfera di Napoli era ormai carica ditensioni, anche perché quei tragici eventi avevanocolpito tutta l’opinione pubblica nazionale. In questoincerto “stato dell’arte” comparve sulla scena la fi-gura del capitano Carlo Fabroni, Comandante dellaCompagnia Carabinieri Reali di Napoli Esterna, chericevette direttamente dal Duca d’Aosta l’incarico difar piena luce sui fatti. L’Ufficiale, dotato di un noncomune “fiuto” investigativo, si convinse immedia-tamente che la morte dei Cuocolo rappresentavasolo l’apice di una serie di delitti commissionati dalla“Camorra”, ormai da tempo radicata nel territoriocampano. Seguendo il suo istinto professionale, erasicuro che smascherando i mandanti e gli esecutoridel duplice omicidio si sarebbe riuscito a risalire amolti delitti irrisolti, connivenze, intrighi e tutto ciòche ruotava intorno agli interessi di quella cosca. Manon solo, l’intendimento del Capitano era anche didimostrare la ferocia e la malvagità degli adeptidell’organizzazione, le gerarchie, le strategie e i suoi

oscuri rituali. Si mise all’opera. Prima di tutto costituì una squadracon personale selezionato e particolarmente versatonell’attività informativa; quindi iniziò a seguire lepiste più impervie e ad osservare le abitudini più inu-suali, coadiuvato dai suoi uomini. Tra questi si distinsero i marescialli Erminio Capez-zuti, Comandante della Stazione di Capodichino, eGiuseppe Farris, Comandante di quella di NapoliStella. Le indagini furono estese ad ogni angolo dellacittà, gli indizi furono esaminati con cura e scrupolofino a giungere al pregiudicato Gennaro Abatemag-gio, ladruncolo da quattro soldi, più volte arrestatodal maresciallo Capezzuti. Con sottile astuzia il sot-tufficiale riuscì a convincere il delinquente a colla-borare con la giustizia e a rivelare quanto sapevasull’organizzazione camorristica. Così il “guaglione”iniziò a narrare anche del duplice omicidio, con largadovizia di particolari. Fece i nomi dei mandanti e egliesecutori. E non solo, iniziò a svelare i segreti del so-dalizio criminale, i patti loschi tra i capi, i rituali, leabitudini, indicò nomi e luoghi ove si radunavano imalfattori. Senza perdere il minimo istante, la squa-

LEGAMIINTRIGHI,

DEPISTAGGI,TESTIMONIANZE

FAVOREVOLI DI PERSONE

INSOSPETTABILICONSENTIRONO

AI RESPONSABILIDI USCIRE

DAL CARCERE.

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dra del capitano Fabroni, denominata de “I Cosac-chi”, si mise all’opera per effettuare i riscontri delledichiarazioni rese dall’Abatemaggio. In breve tempo fu ricostruita la dinamica e il mo-vente dell’omicidio: Gennaro Cuocolo e la consorte,basisti e ricettatori della Camorra, avevano traditofacendo i delatori e per questo erano stati condan-nati a morte dal “Tribunale della Camorra”, riuni-tosi il 26 maggio 1906 presso una locale trattoria.Al pranzo avevano partecipato Luigi Fucci, Enrico eCiro Alfano e tanti altri invitati, alcuni dei quali ap-partenenti alla “Napoli bene”. I commensali ave-vano programmato anche le modalità esecutive delduplice omicidio: il Cuocolo sarebbe stato attiratonella contrada Calastro e lì giustiziato; la Cutinelli,invece, sarebbe stata uccisa nel suo appartamento. Ilprimo doveva sembrare un regolamento di conti, ilsecondo una rapina finita male. Accertare la fonda-tezza delle rivelazioni dell’Abatemaggio fu impresaardua: un lavoro intenso, faticoso e pericoloso. LaCamorra, vistasi minacciata, oppose una tenace

quanto inesauribile resistenza. Ma i miliari del-l’Arma non si lasciarono intimorire e risposero colposu colpo. Tra mille difficoltà, riuscirono a dimostrareche l’omicidio Cuocolo-Cutinelli non era un episodioisolato ma un delitto ben articolato, al centro di nu-merose losche vicende che riconducevano sempre esolo alla cosca. In poco tempo furono svelati i nomi degli autori deipiù clamorosi delitti verificatisi nel napoletano e at-tribuiti ad ignoti. Vennero assicurate alla giustiziavarie decine di criminali. Con il verbale del 3 feb-braio 1906, redatto nella Stazione Carabinieri Realidi Capodichino, per il solo omicidio Cuocolo-Cuti-nelli furono denunziati e tratti in arresto CorradoSortino, Antonio Cerrato, Giuseppe Salvi e Ferdi-nando De Matteo, mentre Luigi Arena e NicolaMorra erano già detenuti per altra causa. Enrico eCiro Alfano, Gennaro De Marinis, Mariano Di Gen-naro e Gennaro Ibello si diedero alla latitanza. L’Al-fano, rifugiatosi negli Stati Uniti, fu arrestato ericondotto in Italia. Dopo due anni di indagini fu-rono denunciate 47 persone per associazione per de-linquere e 30 per reati minori. Tutti furono rinviatia giudizio. L’operazione diretta dal capitano Fabronie dalla sua squadra ebbe una vasto eco in tutto il ter-ritorio del Regno e riscosse il plauso e l’ammirazionedell’opinione pubblica perfino all’estero. L’8 luglio 1912, a distanza di sei anni dal dupliceomicidio, il Presidente Bianchi della Corte d’Assisedi Viterbo, sede del Processo nel corso del qualeerano stati ascoltati circa 600 testimoni, lesse la sen-tenza di condanna per tutti gli imputati. Furonocomminate pene per complessivi 354 anni di reclu-sione. Il capitano Fabroni fu promosso Maggiore“per insigne servizio alla Stato”; grazie alla sagaceintelligenza e alla capacità professionale sue e della“squadra”, l’opinione pubblica italiana, e non solo,scopriva per la prima volta i retroscena, i crimini ele nefandezze della Camorra.

Giovanni Salierno

ERA SICURO CHESMASCHERANDO

GLI AUTORI DEL DUPLICE

OMICIDIOAVREBBE

SCOPERTOANCHE LE

CONNIVENZEDELLA CAMORRA.

ANTICHE CRONACHE

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DALL’ALTO IN

BASSO.

LA SQUADRA

DEL CAPITANO

FABRONI.

GLI IMPUTATI

ALLA SBARRA.

ANTICHE CRONACHE

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Il paese venne sconvolto dallascomparsa di Maria Caterina Givogre

e di Maria Caterina Scavarda, duebambine di nove e di dieci anni

di GIANLUCA AMORE

LA “IENA” DI SAN GIORGIO.

CATTURA DI UN SERIAL

KILLER

UFFICIALI E TROMBETTIERE NELLE UNIFORMI DEL 1834. QUADRO DI FRANCESCO GONIN.

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ANTICHE CRONACHE

le urla della ragazza richiamarono un contadino chearmato di bastone mise in fuga l’aggressore.Nell’autunno, Giorgio Orsolano, per quei reati, fucondotto dinanzi al Real Senato di Torino (tribunalepenale) che il 15 dicembre di quell’anno lo condannòa otto anni di reclusione. Iniziò a scontare la pena,nelle carceri di Ivrea venendo trasferito poi in quelledi Villafranca (oggi Villefranche sur Mer, in Francia).Qui con un comportamento irreprensibile si conqui-stò la fiducia delle autorità che gli affidarono la re-sponsabilità della “spezieria”, il laboratoriochimico-farmaceutico della struttura detentiva.Scontata la pena, il 13 dicembre 1831 ritornò alpaese e, sempre con l’aiuto dello zio, fu assunto allavoro nella locale spezieria ove restò per diversotempo. Decise poi di affittare un locale in piazza perintraprendere l’attività di salumiere, che presto glifruttò buoni guadagni.Nel giugno 1832, San Giorgio Canavese venne scon-volta dalla scomparsa di Maria Caterina Givogre,una bambina di nove anni; nel febbraio dell’annosuccessivo scomparve anche Maria Caterina Sca-varda di dieci anni. In paese, con l’angoscia per laloro sorte, cominciò a diffondersi l’inquietudine peril possibile reiterarsi di tali episodi. L’opinione po-polare era che le due ragazzine fossero state assalitee sbranate dai lupi e, per questo, alcuni uomini or-ganizzarono le ricerche nelle campagne circostanticui si unì anche Giorgio Orsolano col suo fucile e fuproprio lui a far rinvenire, nei pressi di un casolare,i resti della piccola Maria Caterina Scavarda. Passarono alcuni mesi e il 7 aprile 1834 il Nostrosposò Domenica Nigra, una giovane di 24 anni ri-masta prematuramente vedova e dalla quale l’annoprecedente aveva avuto una figlia: Margherita. Tuttosembrava volgere per il meglio: un lavoro onesto,una nuova reputazione, una famiglia serena. Ma il3 marzo del 1835, ultimo di Carnevale, avvennero ifatti decisivi. In quel giorno di festa tutti i commer-cianti esponevano in piazza le mercanzie e tra loroanche la quattordicenne Francesca Tonso, venuta ap-posta in paese con la zia. In tarda mattinata, Giorgio

a cronaca non dice se a San Giorgio Ca-navese (TO) il 17 marzo 1835 la sogliadella primavera già scaldasse l’aria ug-giosa dell’inverno, ma ci informa come i

militari della locale Stazione Carabinieri Reali, uni-tamente ai Soldati di Giustizia (la polizia penitenzia-ria del Regno di Sardegna), faticassero non poco percontenere la folla assiepata intorno al patibolo dovestava per eseguirsi la sentenza di condanna a mortedi Giorgio Orsolano. Uno “spettacolo” imperdibileche aveva richiamato molte persone da tutti i paesilimitrofi e persino dalla stessa capitale Torino. E sì,perché il “protagonista”, un commerciante irasci-bile, dall’aspetto sinistro, basso di statura e cieco daun occhio, pregiudicato e noto per l’insofferenza aogni regola di convivenza civile, era divenuto fami-gerato tra il 1832 e il 1835 per l’abuso carnale e l’as-sassinio di tre giovani donne, suscitando paura escalpore nelle popolazioni del circondario. La vita di questo inquietante figuro era iniziata pro-prio a San Giorgio Canavese il 3 giugno 1803, daiconiugi Antonio Orsolano e Margherita Gallo chegià avevano una figlia, Maria Teresa Margherita,nata tre anni prima. Deceduto il padre, il piccolo fuaffidato alle cure dello zio materno, don GiuseppeGallo, sacerdote ed insegnate in alcune scuole tra icomuni di Lanzo, Courgné e Vercelli, che faticò espese non poca pazienza nel vano tentativo di cor-reggerne il temperamento ribelle e turbolento, restioad ogni forma di educazione e di disciplina. Alla fineil prelato fu costretto a restituirlo alla sorella. Così, violento e anaffettivo, crebbe allo sbandosenza morale e senza lavoro frequentando gentedella sua risma in infime osterie, dove spesso pro-vocava o restava coinvolto in risse furibonde. Nel1823 rubò candele votive dalla Confraternita diSanta Marta e oggetti sacri nella chiesa di SantaMaria Assunta a San Giorgio Canavese e, comeforse c’era da aspettarsi, si macchiò della prima ag-gressione sessuale, tentando prima di circuire poi diviolentare, coltello alla mano, la sedicenne TeresaPignocco intenta a raccogliere verdure. Per fortuna

L

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le si avvicinò affermando di volerne acquistare tuttala cesta delle uova, pregandola di seguirlo in casa colpretesto di recuperare il denaro necessario. Unavolta entrati la assalì, la violentò e la uccise, comeaveva fatto con le altre. Particolare efferato: il corpovenne ridotto in pezzi per essere poi occultato neipressi del vicino torrente Piatonia. Al tramonto, il mancato rientro della ragazzina gettònel panico i genitori, che all’indomani si misero su-bito alla sua ricerca e sulle indicazioni della zia risa-lirono all’Orsolano. Il salumiere reagì in malo modoalle domande che gli furono rivolte e mise alla portaquegli ospiti indesiderati. Questi ultimi si rivolseroalla giustizia, anche perché erano venuti a cono-scenza dei trascorsi burrascosi dell’uomo e soprat-tutto della sua precedente condanna per un tentatostupro. L’assassino, convocato dal giudice per chia-rimenti, negò ogni addebito e, poiché non sussiste-vano validi elementi probatori per procedere allaformale incriminazione, lasciò liberamente il palazzodi giustizia. Ma durante la sua assenza alcuni com-paesani si erano introdotti nell’abitazione, trovan-dovi un paio di calzature, un cappellino femminile ealcuni brandelli di vestiti, riconosciuti dai familiaridi Francesca. Venne informato il magistrato, il quale,

ANTICHE CRONACHE

con i Carabinieri Reali della Stazione di San GiorgioCanavese, perquisì a fondo quel teatro dell’orrore.Emersero ulteriori elementi, quali numerose traccedi sangue, e nel cortile fu rinvenuto il sacco di iuta,intriso anch’esso di sangue, in cui erano state traspor-tate fino al torrente le membra di Francesca Tonso.Tanto bastò per spiccare un mandato di cattura. I militari rintracciarono il mostro in casa dello ziosacerdote, dal quale stava cercando di ottenere deldanaro per garantirsi la fuga e l’impunità. Condottoin caserma e sottoposto a fermo, Giorgio Orsolanonegò ancora una volta ogni addebito, riferendo chele tracce di sangue nella sua abitazione erano di uncappone da lui ucciso per festeggiare l’ultimo giornodel carnevale. All’epoca non esistevano prove di im-pronte né tantomeno del DNA. Ci voleva un ele-mento schiacciante: magari il cadavere dellaragazzina. La risoluzione venne presto. Una sera il comandante della Stazione pensò bene direcarsi dal fermato per carpirne con l’astuzia qualcheulteriore informazione utile alle indagini; lo invitò abere molto vino e acquavite e, quando l’assassino fupreso dai fumi dell’alcol, gli chiese “a bruciapelo” diconfessare le sue responsabilità per mitigare il tenoredell’immancabile condanna. Giorgio non resse e iniziò

SAN GIORGIO CANAVESE,

17 MARZO 1835.

L'IMPICCAGIONE.

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ANTICHE CRONACHE

La rabbiadella follamontò a talpunto che a stento iCarabinierievitarono il linciaggio del detenutoad ammettere le sue atrocità allo scaltro sottufficiale,riferendogli il luogo di sepoltura della giovanettascomparsa. Le immediate verifiche confermarono ledichiarazioni: vicino al torrente Piatonia, in tre diffe-renti fosse, vennero rinvenuti i resti di FrancescaTonso. Era la “prova principe” che si attendeva. IlReal Senato convalidò l’arresto di Giorgio Orsolanoe ne dispose la traduzione al carcere di Ivrea.L’indignazione popolare fu acuita anche dalle dicerieche il salumiere avesse venduto prodotti confezionaticon le carni delle assassinate. La rabbia della follamontò a tal punto che a stento i Carabinieri evita-rono il linciaggio del detenuto durante il suo trasfe-rimento sia nel suo paese, sia a Ivrea ove si erasparsa notizia dell’arrivo della “Iena di San Gior-gio”, come nel frattempo l’Orsolano era stato so-prannominato. Il 13 marzo 1835 ci fu la sentenza definitiva di con-danna a morte per impiccagione, da eseguirsi ap-punto in San Giorgio Canavese. Il 17 seguente vennemontato il patibolo, macabro “palcoscenico” perl’ultimo atto della vita di Giorgio Orsolano. L’auto-rità giudiziaria, data l’ira della gente verso l’orco ma-cellaio e prevedendo quindi che l’esecuzione avrebbeattratto una moltitudine di persone, predispose un

adeguato servizio di militari dell’Arma per garantirel’ordine pubblico. Intorno alle undici del mattinogiunse il carro con il condannato. Questi, avviandosial patibolo, forse disse qualcosa ma chi gli stava vi-cino non riuscì a capire poiché la voce venne soffo-cata dalle grida della folla. A capo coperto con unsacco nero, venne fatto salire sulla scaletta, gli fustretto il cappio intorno al collo. Un attimo. Poi, consollievo dei cittadini, la fine dell’esistenza traviata esfortunata di quell’uomo che fu considerato, moltidecenni dopo, uno dei primi serial killer della storia.Il Real Senato previde pure l’autopsia del giustiziatoda parte di personale dell’Università di Torino, percui la salma venne trasportata al cimitero del paesedove tre chirurghi eseguirono la dissezione. La testae gli organi genitali furono portati al Museo di Ana-tomia Umana a Torino ove fu eseguito un calco dellatesta ancora esposto ai visitatori. Questa vicenda ri-mase viva per molti anni nella memoria collettiva delluogo, tramandata quasi come una leggenda. Ri-mane oggi innanzi alla piccola chiesa di Sant’Annauna croce, che la popolazione eresse poco tempodopo la fine di tutto, a ricordo delle tre sventuratevittime di Giorgio Orsolano.

Gianluca Amore

A DESTRA. GIORGIO ORSOLANO.

DISEGNO A MATITA ESEGUITO

DOPO L’ESECUZIONE, DAL

RITRATTISTA CHATRON.

SOTTO. LA CHIESA DI S. ANNA

A SAN GIORGIO CANAVESE.

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di ENZO FANELLI

UNA RAPINASVENTATA

In Sicilia era stata assalita una carrozzapostale e nello scontro a fuoco

c’erano stati morti e feriti. In poco tempo, tutti i giornali della Penisola diffusero

la grave notizia, più o meno “colorita”...IL CARABINIERE VANNUCCHI ED IL BERSAGLIERE DE FILIPPO DIFENDONO LA CARROZZA POSTALE DI NICOSIA.

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ANTICHE CRONACHE

vettura che intanto lentamente continuava la suamarcia superando la strettoia. Percorsi circa 500metri, il cavallo ferito cadde a terra ma fu rialzatodal conduttore che nel frattempo aveva preso ilposto del cocchiere. A quel punto i malfattori, ab-bandonato l’intento di raggiungere la carrozza, si di-ressero velocemente verso la cima del montesovrastante; nel frattempo il carabiniere salì dinuovo a bordo e ordinò al conduttore di spronare icavalli per raggiungere il posto di cambio dellascorta, contando su quei rinforzi per salvaguardareil denaro pubblico. Dopo altri quattro chilometri, ilcavallo ferito si accasciò definitivamente a terraprivo di vita. La gravità della situazione impose dilasciare il cocchiere, dato per morto, lungo la strada.Al posto di cambio il carabiniere aveva avuto mododi mandare l’allarme alla Stazione di Caltavuturo ecosì, un’ora più tardi, sul luogo erano giunti un altrocarabiniere, due bersaglieri e tre guardie di pubblicasicurezza a cavallo, cui in breve si aggiunsero ancheil Brigadiere Comandante della Stazione e un se-condo Brigadiere provenienti da Montemaggiore,ove si erano recati per conferire col pretore. Tutti insieme si misero sulle tracce dei malviventi,che si persero però definitivamente nel bosco delleFavare, dove non fu più possibile raccogliere indizi.La sera stessa si attivarono anche le Stazioni di Alia,Montemaggiore, Valledolmo, Castronovo, Lercara eCaccamo, ma nonostante l’impegno, le ricerche nondettero risultati. L’ipotesi che fu ritenuta più plausi-bile era quella che i banditi fossero giunti da lon-tano, ma conoscessero l’itinerario e i turni deltrasporto. Il cocchiere fu poi trovato morente lungola strada e portato a Caltavuturo, dove spirò ilgiorno 5. Il bersagliere De Filippo, ricevuti i primisoccorsi nella stazione di Cerda, fu ricoverato al-l’ospedale militare di Palermo, dove fu giudicatoguaribile in 20 giorni. Sul luogo dell’aggressione fu-rono rinvenuti molti effetti dei malfattori e i bossolidelle cartucce sparate; il materiale fu descritto a ver-bale e consegnato al pretore di Montemaggiore. Il carabiniere Vannucchi e il bersagliere De Filippofurono inizialmente premiati con l’encomio solennee il successivo 23 aprile decorati con la medagliad’argento al Valor Militare.

Enzo Fanelli

n poco tempo, tutti i giornali della Penisola dif-fusero una grave notizia, più o meno colorita”ma vera nella sostanza: il 2 marzo 1882 in Sicilia

era stata assalita una carrozza postale e nello scontroa fuoco c’erano stati morti e feriti. Lo scopo dell’ag-gressione non poteva lasciare dubbi, restava il deside-rio dell’opinione pubblica di conoscerne i dettagli chesolo alcuni giorni dopo si fu in grado di fornire. Qualeera l’itinerario della carrozza? Dove era avvenuto l’as-salto e quanti erano i banditi? Chi e come l’aveva di-fesa? Queste erano le domande spontanee della gentecui si doveva dare risposta. La carrozza postale effettuava l’itinerario che va daNicosia, in provincia di Catania, fino a Cerda, inprovincia di Palermo, percorso nei giorni 2, 5, 12 e22 di ogni mese, trasportando forti somme di denarodovute ai versamenti degli uffici governativi e perquesto motivo era protetta da una piccola scorta mi-litare. Quel giorno il veicolo percorreva il consuetoitinerario con la somma di circa 50.000 lire; la scortaera composta dal carabiniere Sante Vannucchi, al-loggiato all’interno insieme al conduttore, RosarioLa Porta, e ad un altro passeggero, e dal bersaglieredel 10° Reggimento Vito De Filippo, seduto sulla si-nistra del cocchiere. I cavalli trottavano e fino alle 14:30 di quel pomerig-gio il viaggio procedeva normalmente allorché, en-trando nella gola di Scacazzato, nel comune diCaltavuturo, partirono delle fucilate e il cocchiere,colpito mortalmente alla testa, stramazzò al suolo;anche il bersagliere fu ferito al braccio e al volto, ilcalcio del suo fucile venne distrutto e la tesa del suocappello bucata dai proiettili; anche uno dei tre ca-valli, quello di sinistra, venne colpito da un proiettileche gli entrò nella coscia sinistra e gli uscì dal fiancodestro. Cinque malfattori armati di fucili si erano ap-postati in quella gola ed alla vista della carrozza ave-vano sparato una raffica di colpi per rapinare iltrasporto. Nonostante le ferite, il bersagliere De Fi-lippo non perse il coraggio e, pur se la carrozza avevarallentato per via del cavallo ferito, trattenne con ilpiede le redini ormai abbandonate e rispose al fuocodegli aggressori. Il carabiniere Vannucchi a sua volta uscì in un attimoall’esterno iniziando a sparare. La pronta reazionefece sì che gli assalitori non potessero avvicinarsi alla

I

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18 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

SCONTRO A FUOCO A CASAL

DI PRINCIPEdi PAOLO CATERINA

UNA DELLE

TANTE BANDE

DI BRIGANTI CHE

INFESTAVANO

L’ITALIA

MERIDIONALE.

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ANTICHE CRONACHE

“Tutte le autorità militari, civili, giudiziarie e icittadini hanno invocato, unanimemente, un

aumento dei Carabinieri Reali. Per la loro disciplina,per il loro coraggio, per la loro prontezza e la lorodiligenza nell’adempimento dei loro doveri hannosaputo meritare la stima e la fiducia universali”.

LA BANDA DI BRIGANTI “CARBONE”, ATTIVA NELL'IRPINIA POSTUNITARIA.

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Unità d’Italia si è realizzatada poco più di un anno,sancita solo nove mesiprima dalla legge n. 4761del 17 marzo 1861, ma giàil Sud continentale è insan-guinato da una vera e pro-pria guerra civile, quella cheverrà indicata quale sem-plice fenomeno banditesco.Fino a tutto il 1865, ad af-

frontare le “masse” di briganti saranno infatti re-parti di fanteria e cavalleria, nei cui ambiti lapresenza dei Carabinieri sarà molto ridotta. I risul-tati? Se da un lato, quello più strettamente militare,possiamo giudicarli positivi, dall’altro, quello pre-ventivo ed investigativo, non altrettanto. Fin quandola strategia di contrasto non lascerà un crescente spa-zio agli appartenenti a quella che ormai era diventatala prima Arma del Regio Esercito, la BenemeritaArma dei RR.CC.: fu la legge Pica – dal nome delsuo promotore, l’abruzzese Giuseppe Pica – ad ini-ziare ad individuare nei Carabinieri coloro cheavrebbero dovuto divenire protagonisti principalidella lotta al brigantaggio. I motivi del nuovo indirizzo vanno ricercati nelleconclusioni cui era giunta la Commissione Massari,incaricata di studiare il fenomeno, le sue cause poli-tico-sociali ed individuare eventuali rimedi. Tra que-sti sono ben indicati la necessità d’avviare unamoderna riforma agraria, la diffusione dell’istru-zione pubblica, la costruzione di strade, le bonifiche,ma quando si tratta di affrontare la questione dellavalidità delle misure fino ad allora intraprese, laCommissione critica aspramente le gravi deficienzedel servizio di polizia in atto al momento nelle terreex borboniche, ma con importanti distinguo: “Trac-ciandovi questo quadro del servizio di pubblica si-curezza, dobbiamo dichiarare che i Carabinieri Reali

L’L’Unitàd’Italia siera da pocorealizzata e il Sudcontinentaleerainsanguinato da unavera epropriaguerra civile.

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non vi sono compresi. Per la loro disciplina, per illoro coraggio, per la loro prontezza e la loro dili-genza nell’adempimento dei loro doveri, i Carabi-nieri hanno saputo meritare la stima e la fiduciauniversali”, aggiungendo che “Mentre l’azione dellaPolizia contro i briganti è piena di difetti, essi (i Ca-rabinieri) hanno avuto l’abilità di saperne organiz-zare una a loro vantaggio, che è attiva ed efficace.Così essi riescono ad essere informati, con la piùgrande precisione ed esattezza possibili”, termi-nando sul punto “Tutte le autorità militari, civili,giudiziarie e i cittadini hanno invocato, unanime-mente, un aumento dei Carabinieri Reali. La Com-missione si associa e fa sua questa richiesta,raccomandando però che ciò avvenga senza pregiu-dizio della scelta degli elementi da arruolare, PER-CHÉ I CARABINIERI NON SI IMPROVVISANO”. Certo era già accaduto che i Carabinieri fossero in-tervenuti da soli, quando vi era stata necessità diagire con rapidità, applicando quella capacità d’ini-ziativa che fin dal primo Regolamento Generale erastata la cifra distintiva dell’azione di tutti i militaridel Corpo. In particolare, ecco quanto accadde trail 6 e il 7 gennaio 1862 nelle campagne capuane, inlocalità Casal di Principe, come riportato dal Mag-gior Generale Trofimo Arnulfi, Ispettore dei Carabi-nieri di Napoli, al Comandante del DipartimentoMilitare della stessa città. Il Capitano Conti, Comandante della CompagniaCarabinieri di Capua, verso le 16:00 del 6 gennaiovenne avvicinato in Piazza dei Giudici dal sindaco diGrazzanise e dal Luogotenente comandante dellaGuardia Nazionale dello stesso paese: i due si eranorecati a Capua per conferire con il Colonnello checomandava il 2° Reggimento di Fanteria che operavanella zona perché inviasse subito degli uomini a sor-prendere dei briganti che avevano preso rifugio inuna masseria ad un miglio da Grazzanise, ma nonavendo rintracciato l’ufficiale avevano ben pensato

di rivolgersi al Capitano dell’Arma. Conti non attesedisposizioni superiori e corse in caserma: ordinò adue Carabinieri a piedi di venire con lui su una vet-tura (probabilmente un calesse o altro mezzo ruotatoin uso all’epoca), ad altri due a cavallo di seguirloed agli altri presenti in Brigata di giungere al più pre-sto col drappello di Fanteria che ogni sera svolgevaservizio di pattuglia coi Carabinieri. Alle 17.30 egliera già a Grazzanise, dove il sindaco lo informò diaver inviato venti Guardie Nazionali alla masseriaSerra Lunga, distante un solo miglio dall’estempora-neo rifugio dei briganti, ma di avere trattenuto ilLuogotenente perché facesse da guida ai Carabinieriche fossero giunti. Conti lasciò uno dei suoi perchéa sua volta facesse da guida quando fossero soprag-giunti i rinforzi da Capua e si avviò, sotto una piog-gia battente, fino a raggiungere le Guardie Nazionaliandate in avanscoperta. Tutti insieme si avvicinarono alla masseria Duca diElpidio, in località Casal di Principe – normalmenteabitata dal custode e da due pastori – ma trovaronoil torrente Lagno Vecchio in piena a causa dellepiogge torrenziali che proseguivano ormai da giorni.

APPROFITTANDODELLA SORPRESA,

I DUE BANDITIBALZARONO

FUORISPARANDO COI

PROPRIREVOLVER A

DESTRA E A SINISTRA.

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Mentre Conti stava organizzando il guado del corsod’acqua, facendo cercare delle tavole da gettare amo’ di ponte, sulla stessa riva apparve il guardianodella masseria, tale Agostino Maniello, con molti uo-mini a cavallo. Accortisi delle forze dell’ordine, que-sti ultimi si allontanarono precipitosamente, ma ciònon bastò al Maniello, che di lì a poco venne cattu-rato. Alle domande sugli uomini che stavano con luirispose evasivamente di non conoscerli, avendolisemplicemente incrociati mentre stava tornando acasa, ma minacciato di severe conseguenze se nonavesse detto la verità, ammise che nella masseria sta-zionavano ancora tre persone armate: pregò tuttaviagli operanti di non avvicinarsi, avvertendoli che i tregli erano parsi assai risoluti a non farsi catturare. Conti non se ne diede per inteso e gettato finalmenteun ponticello sull’impetuoso corso d’acqua si avvi-cinò alla testa del gruppo alla fattoria, in prossimitàdella quale il Luogotenente della G.N. propose di di-vidersi: una dozzina di uomini seguirono il loro co-mandante per prendere alle spalle la casa colonica,mentre il Capitano dell’Arma procedette in testa aisuoi tre Carabinieri e cinque/sei guardie. Giunti ad una ventina di metri dalla porta, furonosorpresi dall’improvvisa uscita di tre individui, cherientrarono precipitosamente e corsero ad armarsi,sparando una dozzina di colpi dalla fessura del-l’uscio semi-aperto. Conti ed i tre Carabinieri, vuo-tando le proprie carabine per coprirsi, raggiunserodi corsa il muro della casa ponendosi al lato dellaporta, il Capitano ed il Brig. Monti a destra, il Ma-resciallo Mallo ed il Brig. Bellasio a sinistra. Il soloMallo poté scaricare tre colpi di revolver all’internodell’abitazione, da cui non proveniva più alcun ru-more; ma appena il Maresciallo fece per affacciarsisulla soglia, improvvisamente dall’interno fu esplosoun colpo di pistola che lo prese alla testa, ucciden-dolo. Approfittando quindi della sorpresa in due bal-zarono fuori sparando coi propri revolver a destra ea sinistra, dileguandosi nell’oscurità.

In tutta l’azione, le guardie che erano con i Carabi-nieri non spararono nemmeno un colpo, dimostran-dosi del tutto inutili ed inaffidabili. Ma anche ilgruppo che si era portato sul retro della masseria di-mostrò altrettanta inadeguatezza: raggiunto il Capi-tano Conti, il Luogotenente della G.N. gli riferì cheerano loro passati accanto due individui che avevanorisposto all’intimazione di altolà dicendo “GARI-BALDI”, pertanto, creduti amici, erano stati lasciatiandare! Insomma, il Capitano dei Carabinieri aveva

ANTICHE CRONACHE

UN SACRIFICIONON VANO.I BRIGANTI

DELLA BANDA LAGALA AVEVANO

FINITO DITERRORIZZARE

LA POPOLAZIONELOCALE.

CARABINIERE A

CAVALLO 1860.

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 23

con sé solo due uomini, i suoi, su cui poter fare affi-damento mentre dal piano superiore della casa siudiva del trambusto, segno della presenza ancora dinumerosi briganti. Trovandosi troppo allo scoperto i tre si allontana-rono prendendo riparo in un fosso d’acqua, dietrouna siepe, in attesa dei rinforzi, ma tardando questiad arrivare, si ritirarono poi di circa un miglio. Siincontrarono infine con i rinforzi che sopraggiunge-vano: sei Carabinieri e quattro fanti del 2° Rgt.,troppo pochi per poter circondare tutta la masseriain sicurezza, infuriando ancora il temporale ed es-sendo ormai le guardie nazionali definitivamente in-timorite per la possibile reazione dei banditi. AConti non rimase che riportarsi, suo malgrado, aGrazzanise e da lì chiedere al Comandante del 2°, aCapua, rinforzi più consistenti. Verso le 3 di nottedel 7 gennaio, giunse finalmente una Compagniacon 60 uomini, guidati dal Cap. Nasi, per cui, in-sieme a tutti i Carabinieri disponibili, Conti tornòalla masseria, che venne raggiunta verso l’alba. Fat-tala circondare, ci si avvide che davanti alla portasi trovavano il Carabiniere Giovanni Aceto ed unaguardia, accanto al corpo del povero MarescialloMallo: i due si erano smarriti durante le operazioninotturne, per cui si erano riavvicinati alla masseria,ormai apparentemente vuota, e lì avevano atteso ilritorno dei colleghi o quanto meno che facessegiorno. I Carabinieri penetrarono all’interno, seque-strando quanto trovarono – 50 piastre, due carabinecariche, un revolver, varie pistole, stili e molte car-tucce a palla – ed arrestando due pecorai, taliChioso e Delvecchio, nonché un 18enne, AnielloMarcolino, pure trovato all’interno. Il corpo del Maresciallo venne trasportato all’ospe-dale di Capua per gli onori funebri: un altro dellalunga lista di Caduti nell’adempimento più generosodel Dovere, ma un sacrificio non vano, in conside-razione che, sebbene sfuggiti per il momento alla cat-tura, i briganti della banda La Gala avevano finito

di terrorizzare la popolazione locale. I Carabinieri raccolsero tutte le informazioni dispo-nibili, accertando che circa otto giorni prima, pro-venienti da Nola, erano giunti alla masseria tra idieci e quindici briganti, tra cui i noti fratelli LaGala; avevano regalato sette piastre al guardiano,che li aveva rifocillati, quindi avevano proseguitoverso il Volturno, dichiarando di avere intenzione diattraversare il confine pontificio verso Mondragone,ma avvertendo che se non fossero riusciti nell’intentoavrebbero fatto ritorno alla fattoria. Ed infatti, versole 10 di mattina del 6 gennaio, ben tredici di loroerano tornati, subito mandando Maniello a Grazza-nise per acquistare viveri. Erano stati proprio i due La Gala che avevano op-posto resistenza ai Carabinieri, rimanendo però fe-riti, come dimostravano le evidenti e numerosetracce di sangue nella cucina, sita al piano terra, masoprattutto come si seppe da testimoni che raccon-tarono di averli visti entrare nell’abitato di Casal diPrincipe la stessa mattina del 7, copiosamente san-guinanti. Gli altri briganti, che si trovavano al primopiano della casa colonica, uditi i rumori dell’attacco,avevano rotto una porta ed una finestra, svignando-sela dal giardino. Apprese queste notizie, il Cap. Conti dette immedia-tamente ordine al Comandante della luogotenenzadi Aversa di portarsi, con numerosi uomini, in Casaldi Principe alla ricerca dei La Gala, indicandogliquali possibili rifugi le abitazioni di tali FedericoCorvina o Giuseppe Bambina. I documenti in nostropossesso non ci chiariscono se i due fratelli La Galavennero effettivamente catturati a Casal di Principe,ma occorre sottolineare come, a pochi mesi dal loroarrivo in quelle contrade, i Carabinieri ne conosces-sero già le dinamiche delinquenziali, al punto dapoter indicare con precisione i sospetti “manuten-goli” – quelli che oggi chiameremmo fiancheggiatori– dei briganti più noti.

Paolo Caterina

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IL GENERALE FILIPPO CARUSO

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ABBRACCIOun

importante

Nelle ore che intercorsero tra la sera del 3 e la mattina del 4 giugno 1944, nel terribile carcere di via Tasso,

si incontrarono due splendide figure di militari dell'Arma

entrambi vittime delle sevizie e degliorrori nazisti: le medaglie d'oro al

valore militare Generale Filippo Carusoe Brigadiere Angelo Ioppi.

di ENZO BERNARDINI

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Arma dei Carabinieri è da più di due secoli nel cuoredegli italiani grazie all'impegno silente e quotidianodi tutti i suoi uomini, portato spesso fino all’estremosacrificio, come testimoniano le migliaia di Cadutidal 1814 ad oggi.I successi di un'Istituzione così importante per ilPaese sono, quindi, indissolubilmente legati al valore,all'abnegazione ed allo spirito di sacrificio di ogni suocomponente. Ma la vera forza dell’Arma è il fortis-simo senso di appartenenza che, indipendentementeda ruoli e funzioni, avvertono tutti e in ugual misura,uniti dall’amore per quella fiamma portata con orgo-glio sui berretti e nei cuori. Tra le tante pagine glo-riose della storia dei carabinieri ce n’è una che, piùdi ogni altra, rende immediatamente l’idea di questastraordinaria comunità d’intenti; nelle ore che inter-corsero tra la sera del 3 e la mattina del 4 giugno1944, nel terribile carcere di via Tasso, si incontra-rono, infatti, due splendide figure di militari del-l'Arma, entrambi vittime delle sevizie e degli orrorinazisti: le medaglie d'oro al valore militare GeneraleFilippo Caruso e Brigadiere Angelo Ioppi. Erano destinati a morte certa, per aver servito la Pa-tria impegnando ogni propria energia nella lotta di re-sistenza contro l’occupazione tedesca. Angelo Ioppi era fisicamente ormai al limite delleforze, avendo subito ventotto violentissimi interro-

gatori, molti dei quali diretti personalmente da Her-bert Kappler, per costringerlo a rivelare i nomi deisuoi compagni. Non aveva parlato, nonostante adogni interrogatorio i suoi aguzzini aumentasserol'atrocità delle sevizie, perché sapeva che dal suo si-lenzio dipendeva la vita di tante persone. Aveva unsogno: restituire all'Italia e agli italiani la libertà e ladignità perdute! Ci descrive le sofferenze sue e del compagno di cellaGiuliano Vassalli la patriota Fulvia Ripa di Meana(“Roma clandestina”, ristampa Kaos Edizioni, 2000):“...entrambi gli uomini non riescono a muoversi ed acoricarsi perché sono ammanettati con le mani dietrola schiena. La cella è così piccola, che uno dei duedeve stare praticamente in piedi per consentire all’al-tro di buttarsi per terra, per qualche momento di ri-poso, inquantoché la mancanza delle mani comepunto d’appoggio rende necessario un certo spazioonde rotolare, in modo da poter puntare le ginocchiae alzarsi. Il vitto della prigione è divenuto oramai deltutto immangiabile e la minestra è composta di risosfatto ed ortiche, tanto che spesso nemmeno la fameconsente ai poveri prigionieri di inghiottirla, a talpunto è nauseante.” [...] “Il prof. Vassalli rimane 12giorni ammanettato, mentre il Brigadiere Joppi è te-nuto in tale condizione per 52 giorni tanto che gliaguzzini stessi, quando si rendono conto della cosa,capiscono di aver esagerato, poiché anche nelle lorosimpatiche consuetudini non è previsto di poter la-sciare una persona con le mani dietro alla schiena pertanto tempo; ed allora per giustificare il feroce prov-vedimento, dichiarano che l’hanno fatto per tema chelo Ioppi si suicidasse. Soltanto tre volte al giorno perle pulizie, per mangiare e per il gabinetto, le poverevittime vengono slegate per pochi istanti, ma quando,alla sera vogliono consumare la pagnottella chehanno risparmiata per interrompere il lungo digiuno,essi debbono addentarla per terra come i cani”.

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L’

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cui gli scherani vennero per farci fare la pulizia. Nonsi poteva muovere; aveva l’occhio sinistro occluso etutta la regione orbitale tumefatta per forti pugni ri-cevuti. La bocca dolorante per aver perduto varidenti e per averne molti altri scalzati in seguito apugni ricevuti sulla faccia. Aveva anche una feritaalla testa ed una alla gamba destra. Ma soprattuttosi lamentava per acuti dolori alla schiena in prossi-mità del fianco sinistro, dove aveva ricevuto nume-rosissime nerbate con uno speciale arnese in uso aVia Tasso. E poiché non poteva assolutamente rigi-rarsi stando sdraiato, né alzarsi in piedi per tuttaquella giornata, ritenevamo che avesse le costolerotte o la colonna vertebrale lesa. Non prese cibo néin quel giorno, né nei giorni successivi. Non potevamasticare. A stento gli aprivo la bocca per dargliqualche goccia d’acqua”.Nella serata del 3 giugno 1944, i due eroi si incon-

Altrettanto straordinaria è la figura e l'opera del Ge-nerale Caruso, che anche se in congedo avvertiva an-cora forte il senso di responsabilità che promana daglialamari, cuciti sulla pelle come diceva il GeneraleCarlo Alberto Dalla Chiesa. Dopo l’invasione tedesca,senza alcuna esitazione si impegnava nella resistenza,diventando subito il punto di riferimento dei Carabi-nieri di Roma, che in lui riconoscevano il Coman-dante capace di guidarli nella lotta contro glioccupanti. Nel periodo di prigionia a via Tasso sop-portò indicibili sofferenze, di cui ci offre una direttatestimonianza (riportata dallo stesso Gen. Carusonella sua opera “L’Arma dei Carabinieri in Roma du-rante l’occupazione tedesca”, Istituto Poligrafico delloStato, Roma,1949) un suo compagno di cella, il dott.Giuseppe Graceva: “Verso le ore 21 dello stessogiorno, mentre eravamo addormentati tutti perterra, come al solito, la cella si aprì e un soldato delleSS germaniche chiamò il CARUSO che uscì subito.Capii che era stato chiamato per l’interrogatorio,con i loro consueti sistemi, per strappargli confes-sioni, essendoci passato anch’io, non mi potetti riad-dormentare. Rimasi in ansiosa attesa ed intantopregai gli altri compagni di cella di cedermi una co-perta per ciascuno per preparare un più soffice gia-ciglio al povero Generale che certamente sarebberitornato malconcio. Aspettai fino alle 3,30 delgiorno 31 successivo. In detta ora uno sgherro aprìla porta e spinse dentro brutalmente il CARUSO, ri-chiudendo subito dopo. Il Generale cadde tra le miebraccia poiché fui pronto ad accoglierlo e svenne.Aiutato dall’Avv. SALVIA e dagli altri compagni, loadagiammo su un giaciglio e gli coprimmo il capocol suo fazzoletto già insanguinato, mentre egli con-tinuava a perdere sangue dalla bocca, dall’occipite edalla gamba destra. Lo curammo come meglio ci erapossibile, ma egli poco dopo cadde in uno statoquasi catalettico e rimase assopito fino alle ore 9 in

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“per la prima volta,dopo novanta giorni

riuscii adaddormentarmi

tranquillo, posandola testa sulla spalladel mio superiore”

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«All’atto dell’armistizio, sebbene non più inservizio, si schierava contro l’aggressoretedesco formando e alimentandopersonalmente le prime organizzazioni armateclandestine. Comandante di formazionipartigiane di carabinieri operanti in Roma,identificato e tratto in arresto, malgrado laminaccia delle armi, riusciva, dopo furibondacolluttazione con gli scherani nemici, adinghiottire documento compromettente per lavita dei suoi più diretti collaboratori.Tradotto al carcere di via Tasso e sottopostoad estenuanti interrogatori e crudeli sevizie,manteneva contegno fiero e sprezzanterifiutando qualsiasi rivelazione pur nonavendo taciuto la sua qualità di comandantedi bande armate. Alla vigilia dellaliberazione, nell’imminenza dell’esecuzionecapitale decretata nei suoi confronti dalnemico pur consapevole della sorte che loattendeva, con sovrumana serenità e constoicismo di martire scriveva alla moglieparole sublimi di esortazione e dirassegnazione ed espressioni nobilissime per ildestino della Patria e delle persone care.Incuorava poscia i compagni di prigionia,esaltandone il sacrificio, e lanciava in facciaagli sgherri teutonici il grido irrefrenabile“Viva l'Italia”. Evaso miracolosamenteall’ultima ora ed ancora dolorante esanguinante per le gravi ferite infertegli daisuoi aguzzini, correva a riprendere ilcomando dei reparti carabinieri operanti atutela della Capitale. Segnava così traccialeggendaria delle sue eroiche virtù militari edel sublime amor di Patria. Italia occupata,29 maggio - 4 giugno 1944».

GENERALEFILIPPO CARUSO

Medaglia d’Oro al Valor Militare

IL GENERALE FILIPPO

CARUSO, RITRATTO IN

TRE MOMENTI DELLA

SUA LUNGA CARRIERA.

SOPRA A DESTRA

DURANTE LA

RESISTENZA.

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trano nel momento più terribile: erano ormai consa-pevoli che non c'era più scampo. Alle 23 vengono pre-levati dalle celle e radunati in un locale in attesa diessere caricati su un camion per una destinazioneignota; in realtà, erano prossimi alla fucilazione. Nonci sono parole più idonee, per rivivere quel momento,di quelle scritte dagli interessati. Partiamo con il racconto di Ioppi: nel suo commo-vente diario “Non ho parlato” (ristampa MinervaEdizioni – 2014) dice: “Nella cella comune, dove era-vamo stati tutti raccolti in numero di diciotto, e dove,per cinque ore con insopportabile attesa, aspetta-vamo la morte, mi incontrai con il capitano dei cara-binieri Geniola, al quale dissi chi ero. Questirivolgendosi ad un altro condannato gli disse: “quic’è anche un brigadiere dell’Arma”. L’individuo si av-vicinò attraversando la cella e mi chiese chi fossi pre-cisamente. “Il brigadiere dei carabinieri Ioppi”risposi. “Tu Ioppi” mi disse abbracciandomi com-mosso. “Io sono il Generale Caruso”. “Lei qui Ge-nerale?” esclamai sorpreso “Come è stato?”. Egli minarrò i particolari della sua cattura e accennando poialla morte vicina mi disse: “Abbiamo resistito e vintoper una giusta causa e abbiamo dato alla Patria tuttoquello che potevamo darle; attendiamo dunque la no-stra fine, coscienti di aver compiuto il nostro dovere.Dimostriamo quindi di saper morire da forti”. Sa-puto che io avevo quattro figlioli e ricordando la suafamiglia aggiunse: “Moriamo dunque sicuri che Iddioe l’Italia penseranno a loro”. Dopo queste poche pa-role, ci sedemmo in terra emozionati per l’incontroin quella circostanza tragica, che ci univa sereni da-vanti al trapasso e orgoglioso di aver vicino a me ilmio generale, comandante delle bande di Roma, cheaveva veduto con i propri occhi le mie condizioni ela mia fermezza davanti alla morte vicina, e per laprima volta, dopo novanta giorni riuscii ad addor-mentarmi tranquillo, posando cameratescamente la

testa sulla spalla del mio superiore”.Analogamente, il Gen. Caruso, nella sua opera già ci-tata, narra: “...Nel pomeriggio del 3 giugno 1944 trai predestinati alla soppressione c’era ancora lo Joppi.Non lo avevo riconosciuto, tanto era deformato perle sevizie subite. Fu il capitano GENIOLA, anch’eglidel drappello dei morituri, ad indicarmelo. Mi avvi-cinai, mi feci riconoscere, ci abbracciammo com-mossi. La sua grande emozione, quasi disperazione,per le sorti dei nostri reparti, vedendo il capo ormaipreso anche lui nel laccio, cessò allorquando lo rassi-curai che anche senza di me, senza di noi, i piani datempo elaborati sarebbero stati egualmente attuati dainostri commilitoni, ognuno dei quali aveva precisatii propri compiti. Eravamo tre soldati dell’Arma bene-merita, in quella dura notte di attesa... e l’esser in-sieme stretti nello spirito e nella fede ci dava la forzadi guardare bene in faccia il nostro destino! ...Atten-devamo un camion che ci doveva condurre...dove!...Era quello che poco prima aveva caricatoquattordici dei nostri, fucilati poi alla Storta al km.17 da Roma, sulla via Cassia. Avevo alla mia destrail capitano GENIOLA ed alla mia sinistra il V. Bri-gadiere JOPPI. Stavamo a contatto di gomito, quasivolessimo sentire il calore delle nostre anime, per sop-portare con fierezza il nostro destino. Potevano esserequasi le 7 quando fummo svegliati di sobbalzo: «Fra-telli uscite non c’è più nessuno!»...Era il grido delledonnette del popolo che tumultuavano fuori e che, pe-netrate nello interno, avevano aperto le porte dellecelle. Povere donne!... Ciascuna aveva un dolore enella notte erano rimaste in agguato, pronte a lan-ciarsi come iene contro i feroci carnefici, che avreb-bero dovuto trascinare fuori in catene i loro mariti, ifigli, i fratelli! Aspettavamo indifferenti la morte rite-nendo ormai compiuta la nostra giornata terrena, e ciritrovammo invece, come storditi, fuori, all’aperto, inun mare di azzurro e di sole, stretti da ogni parte dagli

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astanti che, in quel momento, avrebbero dato il lorosangue per difenderci contro tutto e contro tutti”. Gli ultimi prigionieri di Via Tasso riuscirono ad averesalva la vita solo per l’entrata a Roma degli americanie per la conseguente fuga dei loro aguzzini. La gloriosastoria di questi due splendidi carabinieri si inserisce inprima linea nello straordinario contributo offertodall’Arma alla guerra di liberazione ed alla resistenza,attestato da 2.735 Caduti, 6.521 feriti, oltre 5.000 de-portati, 723 ricompense al Valor Militare e innumere-voli ricompense al Merito e al Valor Civile, testimoniatidalla Medaglia d’Oro al Valor Militare concessa allaBandiera di Guerra dell’Arma. E sarà proprio la Ban-diera, sottratta alle mani nemiche durante l’occupa-zione della Legione Allievi da parte dei tedeschi il 7ottobre 1943 e conservatasi miracolosamente intatta,a testimoniare alla città di Roma ed alla Nazione interala fedeltà dell’Arma all’Italia, allorquando, con unacommovente cerimonia, verrà riportata dal Museo Sto-rico, ove era stata nascosta, alla sua sede naturale: laLegione Allievi. Per tenere fede al proprio giuramento,il Generale Caruso e il Brigadiere Ioppi affrontarono illoro destino con un coraggio ed una determinazionecosì saldi da costituire, ancora oggi, un fulgido esempiodi attaccamento al dovere. Quell'abbraccio e la testadel brigadiere serenamente reclinata sulla spalla del suogenerale sono immagini che inequivocabilmente ci di-cono che i valori rappresentati da quei due eroi nonpotevano soccombere all'ira tedesca. Il loro esempio èuna mirabile sintesi della vera forza dell’Istituzione:coesione, tenacia e senso di appartenenza, costante eunanime condivisione dell’essere Carabiniere. In quegliuomini la differenza di grado non scavava alcuna di-stanza, anzi rafforzava ancor più i sentimenti di vici-nanza e cameratismo, perché i Carabinieri, dal 1814,operano spinti sempre dallo stesso sentimento, sinte-tizzato nella Preghiera del Carabiniere: “l'amore a Dioe ai fratelli italiani”. Enzo Bernardini

«Sottufficiale deiCarabinieri Reali,caposquadra delFronte Militare diResistenza dellaCapitale (BandaCC.RR. Caruso),audace fino allatemerità, sempreprimo in ogniardua contingenzae in ogni iniziativarischiosa sfidandoimpavido le

insidie della polizia nazi-fascista che loricercava attivamente, eseguì personalmentediversi ed importanti atti di sabotaggio e didistruzione contro il nemico. Arrestato unaprima volta, riuscì a fuggire dalle mani dellapolizia fascista seguitando imperturbabile lasua intensa attività di organizzatore.Arrestato successivamente e rinchiuso nelletetre prigioni di via Tasso, vi giacque percirca 90 giorni, subendo 28 martoriantiinterrogatori e le più atroci, massacranti,immense torture, per estorcergli rivelazionisull’organizzazione del fronte militare diresistenza. Sopportò con adamantina eroicafermezza i più strazianti feroci supplizi, cheresero il suo corpo permanentemente invalido,per nascondere severamente il segreto.Luminoso, sublime esempio di alte virtùmilitari, di assoluto sprezzo del pericolo, dicompleta appassionata dedizione alla causadella Patria. Fronte Militare di Resistenza,settembre 1943-giugno 1944».

BRIGADIEREANGELO IOPPI

PAGINE DI STORIA

Medaglia d’Oro al Valor Militare

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 31

IL BRIGADIERE ANGELO IOPPI SORRETTO ALL’USCITA

DEL CARCERE DI VIA TASSO. FOTO SCATTATA DA

UN UFFICIALE STATUNITENSE E PUBBLICATA SULLA

COPERTINA DELLA RIVISTA AMERICANA “LIFE”.

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di VINCENZO PEZZOLET

DIMISSIONI...per servizio

I CARABINIERI

APRONO IL

CORTEO PER

L’ARRIVO DEL

RE A PIACENZA

IL 7 MAGGIO

DEL 1859.

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 33

a storia, quella dei libri di scuola, nor-malmente e per generazioni è stata tra-mandata nella versione dei vincitori. Ingenere si riportano cause ed effetti au-tentici, magari enfatizzati, omettendo

quelli meno nobili. Ora a questa regola non scritta,ma efficacissima, non sfuggono anche avvenimentiepocali, permeati di grande idealità come il Risorgi-mento. Però non sempre i particolari “oscuri” sonoper forza inquietanti, anzi a volte meriterebberomaggiore conoscenza, come il ruolo svolto dall’al-lora Corpo dei Carabinieri Reali negli eventi cheportarono alle annessioni degli Stati preunitari alRegno di Sardegna e alla conseguente proclamazionedel Regno d’Italia. Un ruolo istituzionale e politicoche il Governo di Cavour, d’intesa con il Comandodel Corpo, attribuì ad alcuni carabinieri di ognigrado inviati tra il 1859 e il 1860 negli Stati dell’Ita-lia Centrale, quando i moti seguiti agli esiti favore-voli della Seconda Guerra d’Indipendenza, dellaCampagna di Umbria e Marche e della Spedizionedei Mille dovevano essere gestiti con equilibrio ecauta fermezza, per non allarmare le potenze euro-pee vanificando gli sforzi della diplomazia sardo-pie-montese e le speranze dei patrioti. Il contributo dei CC RR in questa fase risorgimen-tale si colloca tra la primavera del 1859 - con l’oc-cupazione sarda della Lombardia, la fuga delgranduca di Toscana Leopoldo II di Lorena, del ducadi Parma Roberto con la madre reggente LuisaMaria Teresa di Borbone e quello di Modena Fran-cesco V d’Este, del legato pontificio di Bologna Giu-seppe Milesi Pironi Ferretti - e i Plebisciti diannessione avvenuti tra l’11 marzo e il 4 novembre

1860. Distinguiamo due momenti: il primo, durantele operazioni militari, quando i carabinieri interven-nero ufficialmente su richiesta dei governi popolariprovvisori, che avevano dichiarato decaduti i rispet-tivi sovrani, proclamando l’annessione al Regno diSardegna; il secondo riguardante la loro permanenzaufficiosa in quei territori, dopo gli accordi di Villa-franca, per organizzarvi Corpi di polizia provvisori. In particolare nel primo periodo l’insurrezione, im-prevista nella sua rapidità, anche se in qualche modoorchestrata da Torino, essendo fondata sull’attivi-smo di una minoranza di cittadini, andava sostenutacon un appoggio armato. Lo capì Cavour che inviòsubito dei Commissari Regi a Firenze (Carlo Bon-compagni di Mombello), a Parma (Adeodato Pal-lieri), a Modena (Luigi Carlo Farini) e a Bologna(Massimo D’Azeglio), supportati da contingenti mi-litari comprendenti le necessarie aliquote di CCRRper tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica. E sa-rebbe filato tutto liscio se i preliminari di pace di Vil-lafranca, ratificati poi dal trattato di Zurigo dell’11novembre 1859, non avessero concluso inopinata-mente e unilateralmente la guerra tra Francia e Au-stria determinando una situazione geopoliticadelicatissima. Infatti gli accordi prevedevano la ces-sione della sola Lombardia alla Francia e da questaal Regno Sardo e la costituzione di una Lega degliStati italiani, Veneto compreso, con a capo simboli-camente il Papa. Quanto ai duchi, avrebbero dovutoriavere i loro troni ma senza interventi militariesterni. Vittorio Emanuele II dovette giocoforza ade-guarsi alla risoluzione e richiamare tanto i Commis-sari Regi che le truppe piemontesi dalla Toscana edall’Emilia Romagna. I patrioti però non cedettero

PAGINE DI STORIA

Quando i Carabinieri furono inviati negli Stati preunitari previe

dimissioni virtuali dal Corpo.

L

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34 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

e istituirono delle Dittatureprovvisorie che in brevetempo formarono la Legadegli Stati centrali, ma conl’intento di resistere allanuova restaurazione e di la-vorare per l’annessione alPiemonte. A questo punto bisognavamuoversi con astuzia: sic-come il ritorno dei monachinon doveva avvalersi diaiuti stranieri, si doveva evi-tare qualunque appiglio po-litico che vanificasse quellaclausola favorevole. Ai go-verni provvisori erano indi-spensabili due requisiti:l’avallo popolare e la capa-cità di garantire l’ordine in-terno. Le Dittature erano sorte con l’entusiasmo deicittadini, ma erano carenti delle strutture di sup-porto per governare effettivamente e con credibilità,soprattutto con il saldo controllo dell’ordine pub-blico per rassicurare le apprensioni internazionali,proponendo un “fatto compiuto” non previsto, mapacifico e definitivo perché legittimato dalla volontàpopolare senza spazio a eccessi di piazza e/o violenzatra fazioni. L’annientamento degli Stati sovrani dellaPenisola e la creazione di un’unica entità italiana do-vevano essere giustificati, agli occhi delle grandi po-tenze, come conseguenze della volontà dei popoli.Manovra complessa perché l’idea di un’Italia unitaera certo diffusa in molti strati cittadini, ma esiste-vano frange legittimiste (costituzionaliste e non),altre erano comunque indipendentiste anche nei con-fronti di Torino e altre ancora consideravano favo-revolmente le risoluzioni di Villafranca; a queste siaggiungeva un vasto contado che poco o nulla sapevadei grandi ideali unitari e libertari. Inoltre si constatòuna certa inaffidabilità della pubblica amministra-

zione negli Stati preunitari,specie nel settore militare edi polizia (anche a causadelle molte defezioni). In-somma la sequenza deglieventi, compreso l’una-nime consenso, doveva es-sere seguita e in qualchemodo discretamente maabilmente “pilotata”, pernon avere spiacevoli sor-prese lungo il percorso. La situazione fluida im-pose a Cavour una strate-gia nuova, penetrante madi basso profilo: i funzio-nari sardi, ufficialmentedimissionari nel Regno,sarebbero dovuti rima-nere come “volontari” nei

territori liberati. Per quanto attiene ai CCRR, di con-certo con il Comandante del Corpo generale Fede-rico Costanzo Lovera di Maria, alcuni tra i miglioricarabinieri di ogni grado, che già si trovavano inquelle province, vi rimasero previe virtuali dimissionie altri ne furono inviati successivamente con le stessemodalità. Il loro vero e indispensabile contributo sisostanziò nell’efficace controllo del territorio e dellesue popolazioni, mentre le potenze garanti del trat-tato di Pace di Zurigo erano pronte a intervenire (so-prattutto l’Austria e la Francia) per evitare quella cheoggi potremmo definire una “balcanizzazione” del-l’Italia centromeridionale. Si cercò quindi di mante-nere, almeno nella forma, l’immagine di Stati sovraniche decidevano in piena autonomia e per volontà po-polare. E qui “la dice lunga” sull’effettivo impiegodei “pochi ma buoni” carabinieri, inviati sotto co-pertura in sostegno delle Dittature. Si spiega al con-tempo perché, oltre ovviamente al dato di fattoorganico della mancanza di personale ed equipaggia-menti (nel 1859 il Corpo dei CCRR contava com-

ERANOINDISPENSABILIDUE REQUISITI

PER EVITAREL’ INTERVENTO

DELLE POTENZESTRANIERE:

L’ AVALLOPOPOLARE E LA

CAPACITÀ DIGARANTIRE

L’ ORDINE INTERNO.

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 35

plessivamente circa 4000 uomini, interamente impie-gati nell’organizzazione territoriale), si costituironoi Corpi alternativi e preparatori costituiti in generecon personale affidabile delle vecchie Gendarmerie,che nel 1861 confluiranno nell’Arma, sotto la guidadi sceltissimi ufficiali e sottufficiali dei Carabinieri,nonostante le richieste pressanti dei Governi provvi-sori di disporre di personale da Torino. Proprio intale ottica il loro intervento si può considerare comeuna vera e propria missione di pace all’estero (ossiasu territorio certamente italiano ma in Stati auto-nomi), nel senso attuale del termine. In dettaglio. A Parma, fu deciso già dal 21 giugno1859 con un Decreto Luogotenenziale del principeEugenio di Savoia di incorporare quella Gendarme-ria direttamente nei CCRR e venne inviato per que-sto il maggiore Luigi Buraggi, ma il procedimentonon fu così scontato. Infatti anche se quasi tutti igendarmi non avevano seguito la reggente LuisaMaria Teresa di Borbone, venivano comunque con-siderati inadeguati dal commissario regio Pallieri chesi fidava solo dei carabinieri e premeva per averne

altri. Il generale Lovera ne inviò 29 e fu un “tira emolla” perché disponibili non ce n’erano, nono-stante la buona volontà del Governo sabaudo che liprometteva, essendo impegnati in patria, al fronte,nella Lombardia occupata e negli altri territori com-missariati. Peraltro l’ex esercito parmense dava deiproblemi di ordine pubblico perché molti soldati sierano dati alla macchia e avevano costituito dellebande armate di taglieggiatori. A Modena il maggiore dei CCRR Giuseppe For-menti, che già si trovava in quella città al seguito delcommissario regio Farini, rimase come “volontario”quando questi divenne Dittatore, provvedendo alloscioglimento dei pochi Dragoni Reali rimasti (quasitutto il Corpo seguì il Duca in territorio austriaco) ealla loro confluenza in una Guardia Municipale dalui istituita, che operò a fianco dei CCRR e vi fu im-messa dopo l’annessione. Nell’Emilia Romagna pontificia (Legazione di Bo-logna) il Governo provvisorio di Gioacchino Napo-leone Pepoli, prima dell’arrivo del commissarioregio D’Azeglio, aveva sciolto la locale Gendarmeria

1859 - CARLO BONCOMPAGNI DI MOMBELLO,

COMMISSARIO REGIO SABAUDO, PERCORRE IN CORTEO LE VIE DI FIRENZE.

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36 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

affidando l’incarico della sua riorganizzazione almaggiore di quella, poi tenente colonnello, PlacidoVizzardelli, che il 13 giugno 1859 istituì con gli ef-fettivi ritenuti affidabili il Corpo dei Veliti di cui funominato Comandante. Il giorno 17 seguente arrivòa Bologna il tenente, poi capitano dei CCRR, Fran-cesco Mariani espressamente richiesto per affian-care il Vizzardelli poco stimato da quel Governo(ma non c’era di meglio). I Veliti presto divenneroCarabinieri delle Romagne con attribuzioni, ordina-mento e uniformi simili ai CCRR sinché non ne fu-rono assorbiti.A Firenze il 10 giugno 1859 giunse il maggiore deiCCRR Filippo Ollandini per riorganizzare la Gen-darmeria granducale restata pressoché interamenteal proprio posto con il nuovo appellativo di Gen-darmeria Toscana. Il 15 seguente il neo tenente co-

lonnello Ollandini ne divenne Comandante e il 24luglio il Corpo, completamente ristrutturato, di-venne Legione dei Carabinieri Toscani con ordina-mento e uniformi uguali a quelle dei CCRR esempre Ollandini, promosso Colonnello, ne rimaseal comando sino alla sua confluenza in quelli anchequando, nel gennaio del 1860, furono costituite inaggiunta tre Divisioni del Corpo piemontese a Fi-renze, Livorno e Siena. Nei territori dell’ex Regno delle Due Sicilie, ove laGendarmeria Reale contava al 1° giugno del 1860circa 7000 uomini suddivisi in cinque Battaglionicon articolazione territoriale analoga al Corpo pie-montese, gli avvenimenti furono decisamente piùcomplessi. Il 14 luglio 1860, un mese dopo che inSicilia Giuseppe Garibaldi aveva assunto la dittaturaa nome di Vittorio Emanuele II (Salemi 14 maggio

PAGINE DI STORIA

LE DIVISE DEI CARABINIERI NEL PERIODO POSTUNITARIO IN UN ACQUARELLO DI QUINTO CENNI

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 37

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1860), il Segretario di Stato per la Sicurezza Pub-blica Luigi La Porta propose la costituzione di unCorpo di Carabinieri modellato su quello piemon-tese per sostituire la disciolta Gendarmeria. Sotto lastessa data nacque così il Corpo dei Carabinieri diSicilia provvisoriamente alle dipendenze di quel Se-gretario e sotto il comando del romano Angelo Cal-derari, Colonnello delle forze garibaldine (non perònell’elenco dei Mille); fu anche chiesto a Torino l’in-vio di carabinieri piemontesi, ma il Governo sardonicchiò perché non voleva esporsi. In agosto vennemandato ad affiancare Calderari il maggiore deiCCRR Saverio Massiera con un nucleo di militari,tutti “dimessi” secondo la nota prassi e con l’ordinedi prestare solo servizio istituzionale senza immi-schiarsi assolutamente in contenziosi politici. L’8 ot-tobre un decreto del Prodittatore Antonio Mordinidette vita al Corpo dei Carabinieri Reali di Sicilianel quale confluì il precedente e poco dopo giunsesull’isola il colonnello Giovanni Serpi alla testa di60 carabinieri, non più in incognito dato che il Go-verno sardo ormai appoggiava apertamente Gari-baldi, per cui si ebbe la coesistenza di due Corpi diCarabinieri: quello piemontese di un centinaio dimilitari e quello siciliano che ne contava circa 500.Dopo l’annessione, il 29 dicembre vennero inviatida Torino altri rinforzi e i due Corpi si fusero nelCorpo ancora provvisorio dei Carabinieri Reali inSicilia e il Serpi, promosso Maggior Generale (Ge-nerale di Brigata), ne divenne Comandante Generalesino al 24 gennaio 1861 quando fu istituita la Le-gione di Palermo nel nuovo assetto territoriale deiCCRR. La parte della Gendarmeria Reale, concen-trata sul continente dopo la perdita della Sicilia, fusciolta nel settembre 1860 da Garibaldi. Il 23 otto-bre seguente fu mandato a Napoli dalla Lombardiail maggiore generale Trofimo Arnulfi con l’incaricodi studiare un eventuale impiego consistente degliex gendarmi in un Corpo simile ai CCRR da fare inseguito confluire in questi. L’ufficiale ne ritenne ido-nei solo 302, per vari motivi di ordine politico e

professionale relativi sia all’affidabilità e all’adde-stramento, sia soprattutto alla loro maggiore fedeltàa Francesco II, per cui molti ufficiali e sottufficialiingrossarono le file legittimiste e sia per lo scarsoprestigio riscosso presso le popolazioni. Venne co-munque organizzato il Reggimento CarabinieriReali per la città di Napoli, di cui ebbe il Comandoil generale Arnulfi sino a che non fu istituita il 24gennaio 1861 la Legione CCRR di Napoli. Nell’Umbria e nelle Marche, occupate nel settembre1860 dal 4° e 5° Corpo dell’Armata Sarda al co-mando rispettivamente dei generale Enrico Cialdinie Manfredo Fanti, si stabilirono subito i Comandidi Divisione dei CCRR di Perugia, Ancona e Mace-rata per provvedere alle esigenze del servizio d’isti-tuto; allo scopo vi fu fatto affluire di volta in voltail personale (253 militari) tenuto espressamente inriserva presso la Divisione di Firenze.I Plebisciti si svolsero negli Stati dell’Emilia Roma-gna e in Toscana l’11 e 12 marzo 1860, nei territorimeridionali il 21 ottobre successivo e nelle Marchee in Umbria il 4 novembre. Le votazioni si svolseroper la prima volta a suffragio universale maschile(potevano votare tutti i cittadini maschi indipenden-temente dal censo e dal grado di istruzione, anchegli analfabeti dunque, purché in possesso dei diritticivili e di età non inferiore a 21 anni), il voto peròera palese. C’erano tre contenitori affiancati: in unodei laterali stavano i “bullettini” di colore rosa conla scritta SI, nell’altro quelli bianchi con il NO e inquello centrale il votante depositava il proprio dopoaverlo prelevato da uno dei lati. La formula era: “Ilpopolo vuole l’Italia una ed indivisibile con VittorioEmanuele come re costituzionale per sé e i suoi le-gittimi successori”. I carabinieri, sia inquadrati “in incognito” in orga-nismi di polizia analoghi, sia nei loro propri reparti,svolsero servizio d’ordine ai seggi e nei luoghi adia-centi insieme ad altre aliquote militari e non si regi-strarono disordini

Vincenzo Pezzolet

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38 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI38 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

DELLA SICUREZZA PUBBLICA E A GARANZIA DELLA

SOVRANITÀ POPOLARE.

REPUBBLICA ! I CARABINIERI A TUTELA DELL’ ORDINE E

1946: L’ITALIA È

UNA REPUBBLICA.

SI LEGGONO LE

PRIME NOTIZIE

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 39

di FLAVIO CARBONE

NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 39

APOLITICI

PER TENDENZA

E PERTRADIZIONE

PAGINE DI STORIA

1946 REFERENDUM

ISTITUZIONALE:

CARABINIERI IN

SERVIZIO AI SEGGI

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40 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

a fine della Seconda Guerra Mondialeaveva lasciato l’Italia in condizioni morali,economiche e strutturali disastrose. Alcuniborghi avevano perso un’intera genera-

zione di giovani, caduti combattendo sul Don o nellesabbie del Nord Africa. La rete di collegamento stra-dale e ferroviaria era stata bombardata e parzial-mente distrutta, rendendo estremamente difficili icollegamenti Nord-Sud e Tirreno-Adriatico, con di-sagi e rischi enormi. Dal punto di vista politico ilPaese aveva però ritrovato la sua libertà e si stavapreparando alle prime elezioni democratiche dopoun ventennio di dittatura.In questo contesto generale, l’Arma dei Carabinierisi era rapidamente riorganizzata per ritornare a eser-

citare l’azione di controllo del territorio e di contra-sto della criminalità. Già durante il conflitto, l’Armaaveva predisposto speciali contingenti posti al se-guito delle truppe di liberazione allo scopo di rico-stituire i Comandi che al Centro e Nord Italia ifascisti avevano soppresso, lasciando ai Tedeschi lacattura e la deportazione degli ultimi Carabinieri ri-masti sul posto in aiuto e sostegno della popolazionelocale. Il più noto di tali reparti è rappresentato dal“Contingente R”, destinato alla città di “Roma”. Ilsuo arrivo nella Capitale, come quello degli altri re-parti approntati successivamente sino alla fine delleoperazioni belliche nelle rispettive città di destina-zione, consentì di rioccupare subito le caserme del-l’Arma nei territori liberati e ripristinare velocemente

L

ROMA - PIAZZA DEL POPOLO, MILITARI DELL’ARMA IN SERVIZIO

DI ORDINE PUBBLICO NEL CORSO DI UNA MANIFESTAZIONE.

PAGINE DI STORIA

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 41

il servizio, favorendo il ritorno alla normalità perquanto consentito dalla situazione. Un primo riordinamento dei Carabinieri, sancito conil decreto legislativo luogotenenziale 603 del 31 ago-sto 1945, permesso di impostare nuovamente sututto il territorio nazionale l’organizzazione del-l’Arma prevedendo anche la ricostituzione dei bat-taglioni mobili. La gestione dell’ordine pubblicotornava infatti prepotentemente d’attualità e i disor-dini nelle piazze erano all’ordine del giorno. I bisogni di ricostruzione erano generali e diffusi, lemodeste disponibilità di un bilancio martoriato dalblocco delle attività industriali e commerciali non po-tevano correre in aiuto, la vita quotidiana del Cara-biniere non era facile. Si poté ricorrere all’impiego dimateriali bellici, come le famose jeep che gli americanilasciarono in Italia per evitare i proibitivi costi di rim-patrio negli USA, ma ciò non era certo sufficiente. Le prove non erano di poco conto. Una statistica ela-borata dal Comando Generale segnala che, nel solo1946, vi furono 1957 omicidi volontari in Italia(all’epoca priva di alcune provincie del Nord, nonancora tornate sotto piena sovranità nazionale) eben 101 militari dell’Arma persero la vita nell’ese-cuzione del servizio; un tributo di sangue ancora unavolta altissimo. In tale quadro complesso e articolato si inserisce laprova di efficienza offerta dai Carabinieri in occa-sione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946. Per la prima volta, finalmente, i cittadini italiani po-tevano esercitare liberamente il proprio diritto divoto dopo il ventennio fascista e, per la prima voltanella storia del nostro Paese, erano chiamate al suf-fragio anche le donne, fino a quel momento esclusedalla vita politica. Si trattava tuttavia di un evento delicato in un conte-sto ancora particolarmente difficile, di un significativobanco di prova per l’Arma, magistralmente sintetiz-zato nella circolare a firma del Comandante Generalediramata prima delle elezioni. L’oggetto della comu-

1946, REPUBBLICA ITALIANA

L’ ARMA SI ERARAPIDAMENTE

RIORGANIZZATAPER RITORNARE

A ESERCITARE L’ AZIONE DI

CONTROLLO DELTERRITORIO E DI

CONTRASTO DELLACRIMINALITÀ.

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42 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

nicazione era già di per se indicativo “Contegnodell’Arma durante e dopo le elezioni politiche”. Il generale Brunetti così si rivolgeva ai Carabinieri:“Apolitici per tendenza e per tradizione, fedeli alloro patrimonio morale che si ricollega ai fasti delRisorgimento Italiano, autentici figli del popolo pre-posti alla tutela delle leggi e dei cittadini ed al man-tenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, tuttii componenti dell’Arma, dai capi ai più modesti gre-gari, daranno in quell’occasione nuova tangibileprova della loro lealtà e del rispetto da essi viva-mente e profondamente sentito per la giustizia e lavolontà popolare [...] l’ora che incalza non ammettedubbi, non consente defezioni, non tollera tentenna-menti. Stretti intorno ai loro ufficiali, consapevolidella loro forza morale e della loro ferrea disciplina,tutti dovranno restare al loro posto e seguire scru-polosamente e fedelmente gli ordini del Governo. Impavidi alle minacce, tetragoni alle lusinghe ed agliallettamenti, essi avranno un solo programma: l’or-dine, la legalità e il rispetto della volontà popolare.Sono certo che ancora una volta la concorde disci-plina degli elettori avrà nell’Arma un luminosoesempio di compattezza, di serenità, di forza co-sciente e disciplinata ed ho piena fiducia che il po-polo italiano, nella rinata coscienza della suasovranità e maturità politica, ritroverà in ogni eve-nienza l’Arma al suo fianco come prima e come sem-pre: BENEMERITA!”. Il Comandante Generale ricordava a tutti i militaridell’Arma, finalmente ricostituita nella sua integrità,la prova importante che si stava profilando. I Carabinieri partecipavano alla costruzione delloStato democratico; la loro forza morale era garanziarassicurante per tutti i cittadini chiamati finalmenteal voto, senza distinzioni di fede politica.Giustamente il Generale Brunetti sottolineava: i cit-tadini del nostro Paese, riappropriatisi definitiva-mente dei propri diritti fondamentali, avevano lasicurezza di avere a fianco a loro come sempre i mi-litari dell’Arma, “apolitici per tendenza e per tradi-zione”, pronti a garantire, loro “autentici figli delpopolo”, “l’ordine, la legalità e il rispetto della vo-lontà popolare”.

Flavio Carbone

PAGINE DI STORIA

IL COMANDANTE GENERALE

BRUNETTO BRUNETTI.

LA CIRCOLARE DEL GENERALE

BRUNETTO BRUNETTI

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 43

PAGINE DI STORIA

1946 ITALIA REPUBBLICA.

MANIFESTI E SCRITTE

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IL SALUTO

AI SUPERIORI

A PROPOSITO DI...

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L' “Istruzione provvisoria elementare per il Corpo dei Carabinieri Reali”emanata il 1° ottobre 1820 disciplinò questa norma nel modo seguente:“Si avvertirà il Carabiniere, che non essendo sotto Le armi, né in truppa,nel salutare i loro Superiori deve levare il cappello con la mano destra,la palma della medesima rivolta in fuori senza piegare la testa, né ilcorpo, le dita dentro l'angolo di mezzo del cappello, il pollice sull'ala,l'estremità del medesimo diretta alquanto a sinistra, e lo caverà semprelestamente portandolo con il braccio steso lungo la coscia destra, la coc-carda in dentro: che deve questo saluto a tutti i suoi Superiori, dovendoloeseguire con seguitare il suo cammino se saranno Uffiziali subalterni, efacendo fronte, e fermo, se saranno Uffiziali superiori di qualunquegrado, volgendo lo sguardo verso la persona che saluta”.La norma venne sostituita da quella adottata per la Cavalleria con il R.Viglietto 12 febbraio 1833, adattata al Corpo dei Carabinieri Reali, e indata 10 maggio 1849, il Ministero della Guerra diramò a tutti i comandila circolare nr. 438, che prescriveva: “per ordine di S.M. tutti i militariche fanno uso del cappello saluteranno con la mano destra nel modo pre-scritto per le diverse Armi che portano ceppi od elmo o berretto”. Con una circolare del 1° marzo 1863 il Presidente del Comitato del-l'Arma (il Comandante Generale dell’epoca) diramò ai comandi dipen-denti il volume “Istruzione elementare per il Corpo dei CarabinieriReali”, nel quale erano raccolte le norme di comportamento per la Ca-valleria “che sono all'Arma dei Carabinieri applicabili” con l'aggiuntadi “quelle altre ad essa sola riservate”.In questa nuova Istruzione, nonostante fosse ormai previsto da vent’annidi rendere il saluto portando al copricapo la mano destra tesa, come oggi,si prevedevano ancora, curiosamente, esercitazioni per "levare e riporreil berretto e cappello", con ordini formali (“Berret-Basso”, ”Berret-Alto”, “Cappello-Basso”, Cappello- Alto”), tempi e movimenti ben co-dificati e scanditi e istruzioni minuziose che distinguevano la presa delberretto da quella del cappello.

Originariamente, il Carabiniere in divisa che fosse “disarmato” o “in libertà” cioè non

inquadrato oppure in libera uscita, era tenuto asalutare i suoi superiori togliendosi il cappello.

Curiosa inoltre la previsione di esercitazioni per salutare… con la mano sinistra.

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IL VESSILLO

ESPOSTO NELLA

“GALLERIA DELLE

SPECIALITÀ” DEL

MUSEO STORICO.

Foto di proprietà del Museo Storico dell’Arma dei Carabinieri

ARRIVO DEL CORTEO AL MUSEO STORICO PER LA

CERIMONIA DI CONSEGNA DEL PRIMO VESSILLO.

IL CONSIGLIO DIRETTIVO DEL MUSEO

STORICO E LA RAPPRESENTANZA

DELL’ASSOCIAZIONE DEL

CARABINIERE REALE IN CONGEDO.

Donato dallaReginaMargherita,riporta unagranata asette fiamme,larga 60centimetri,interamentericamata in oro

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di LAURA SECCHI

CURIOSANDO NEL MUSEO DELL’ARMA

Lungotevere dei Mellini, per giungere in marcia sinoal Museo Storico, ove le bandiere ebbero accessodall’unico ingresso dell’epoca sito in via Crescenzio. Ricevuti dal Consiglio Direttivo del Museo, all’epocaEnte Morale autonomo dal Comando Generale, iCarabinieri Reali in congedo fecero formale consegnadel Vessillo al Colonnello Olimpio Oreste Perrotti,in rappresentanza del Presidente dell’Istituto.Dalla lettura del discorso del Generale Caprini con-servato nell’Archivio Storico del Museo si comprendecon quanta partecipazione emotiva venne donato ilprezioso cimelio: “nel distaccarci da questa Bandiera,abbiamo il grande conforto, di compiere un doveresacro perché lo depositiamo permanentemente inSede tanto degna ed illustre, e perché questo MuseoStorico è la storia parlante […] di tutti i nostrieroismi, […] che dirà sempre con voce muta la pas-sione ed i sacrifici”.Gli stessi sentimenti emergono dal discorso pronunciatodal Colonnello Perrotti nel ricevere l’insegna, docu-mento anch’esso conservato presso l’Archivio Storico,nel quale si coglie il sacro valore simbolico attribuitoal cimelio: “assicuro che la Bandiera sarà religiosa-mente custodita qui […]essa non sventolerà più allatesta della vostra Associazione, ma voi la vedretefusa, direi, nel nuovo regolamentare vessillo”.Il Vessillo, nel rispetto dell’impegno morale assuntoin occasione di quella cerimonia, è tuttora espostonella “Galleria delle specialità” del Museo Storico,ove impreziosisce la raccolta dei cimeli che raccontanola storia dell’Arma.

Laura Secchi

ra i preziosi cimeli donati e gelosamente cu-stoditi all’interno del Museo Storico dell’Armadei Carabinieri vi è sicuramente il primo

Vessillo dell’Associazione del Carabiniere Reale inCongedo “Vittorio Emanuele III” di Roma.L’insegna, a foggia di bandiera, fu donata all’Asso-ciazione dalla Regina Margherita, che tanto amoreebbe per l’Arma, ed è costituita da un drappo, inorigine probabilmente di colore azzurro Savoia, conal centro una grande granata a sette fiamme, largaben 60 centimetri, interamente ricamata in oro. Aseguito della sua sostituzione con una bandiera tri-colore, il Generale Baldovino Caprini, Presidentedella Federazione Nazionale del Carabiniere Realein congedo, organo superiore dell’omonima Asso-ciazione, propose di consegnare il drappo al MuseoStorico, per essere perennemente e degnamente pre-servato. L’11 novembre 1934, i rappresentanti del-l’Associazione, riuniti in occasione dello schieramentodelle Forze Armate per il genetliaco del Re VittorioEmanuele III, decisero all’unanimità a favore dellaproposta avanzata dal Presidente. La cerimonia di consegna dell’insegna ebbe luogo informa solenne il successivo 2 dicembre, con la par-tecipazione di numerosi soci e della Banda dell’Arma,diretta dal Maestro Luigi Cirenei, che accompagna-vano il gagliardetto sociale e i due vessilli, quellodonato dalla Regina e quello tricolore. Alla testadella rappresentanza, regolarmente inquadrata conberretto e distintivo, vi era il Generale Caprini. Ilcorteo partì dalla sede romana dell’Associazione delCarabiniere Reale in congedo, che si trovava in

T

IL VESSILLODELLA REGINA

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dI ALESSANDRO DELLA NEBBIA

CARABINIERI DA RICORDARE

Il Carabiniere Giovanni Boccaccio è il primo cadutoin servizio dell’Arma dei Carabinieri, il 23 aprile1815. Il Boccaccio era effettivo alla Stazione di Li-mone Piemonte (CN) ed era impegnato quella sera inun servizio di perlustrazione lungo la Val Vermena-gna, dove erano ricercati da qualche mese alcuni evasidal carcere di Cuneo. Tra questi vi era infatti il bri-gante Stefano Rosso, detto “Fratin” o anche “ilSardo”, originario di quelle zone.La pattuglia, composta da tre carabinieri, transitavanel comune di Vernante (CN) quando il CarabiniereBoccaccio fu improvvisamente raggiunto da un colpodi fucile alla schiena, sparato probabilmente da bre-vissima distanza, che non gli lasciò scampo. La palladi piombo, nonostante la modesta energia delle armida fuoco del tempo, trapassò il corpo del militare daparte a parte, colpendo e provocando una contusioneanche al commilitone che lo precedeva.Del delitto fu accusato proprio il Rosso, per la cui cat-tura fu emessa una taglia, dapprima da parte del Pre-fetto di Cuneo e quindi da parte del Senato (iltribunale dell’epoca) di Nizza (allora compresa neidomini sabaudi), consistente in un premio in denaroper chi ne avesse favorito la cattura e addirittura nel-l’impunità per i delitti con pena fino a 10 anni di re-

GIOVANNI BOCCACCIO - QUADRO DEL MUSEO.

IL CARABINIEREGIOVANNI

BOCCACCIO

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 49

clusione per “qualunque altro bandito” si fosse ado-perato allo scopo.Per inciso, l’assassino fu poi catturato nel 1817 e con-dannato nel gennaio 1819 “ad essere pubblicamenteappiccato per la gola finché l’anima sia separata dalcorpo” nonché alla riduzione del cadavere “in quartida affiggersi ai luoghi e nei modi soliti”.Dello sfortunato Carabiniere sappiamo invero moltopoco. Su un ruolino matricolare conservato pressol’Archivio di Stato di Torino è riportato con il nomedi Giovanni “Bocca”, nato a “Salice” (AT), e così ilsuo nome era ancora tramandato nel libro celebrativodel 1° centenario di vita dell’Arma nel 1914.Soltanto a seguito della costituzione del Museo Sto-rico dell’Arma dei Carabinieri Reali, negli anni ’20del ‘900, si svolsero ricerche mirate che condussero,

MANIFESTO

SENTENZA DI

CONDANNA

STEFANO ROSSO.

GIOVANNI BOCCACCIO - QUADRO DEL MUSEO.

nel 1931, al ritrovamento presso la parrocchia di Tri-sobbio (AL) della registrazione del battesimo del Ca-rabiniere, datata 6 luglio 1781, con il nome di“Joannes de Boccacciis” e del suo atto di morte, sti-lato dal Parroco di Vernante, concordante sul nomedi “Boccacio” (con una sola doppia) e nell’indicare lalocalità di origine in Trisobbio.Nella consolidata iconografia dell’Arma il militare èritratto a cavallo, ma con tutta evidenza si trattava in-vece di un carabiniere a piedi. Altre notizie possiamosoltanto immaginarle ricordando quelli che erano i se-veri e selettivi requisiti necessari per l’arruolamento:era alto non meno 39 once piemontesi (circa un metroe 70 centimentri), era stato già militare prima dell’ar-ruolamento nell’Arma, sapeva leggere e scriverequanto necessario, era libero da vincoli coniugali. La figura del Carabiniere Boccaccio, però, prima vit-tima del dovere, per quanto indistinta in molti suoitratti, e in parte anche proprio per questo suo carat-tere, rappresenta uno dei simboli più forti ed evocatividi tutti i caduti nel servizio d’istituto, spesso eroi sco-nosciuti del quotidiano, coscientemente esposti a unpericolo insidioso e subdolo, perché imprevedibile eimmanente a un tempo.

Alessandro Della Nebbia

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CAMBIA IL GIUDICEIl 12 gennaio 1816 furono emanate le regie patenti con le quali Vittorio Emanuele I, dopo l’istituzione dei Carabinieri Reali,

intendeva correggere alcune disposizioni.

ALMANACCO

1816

Alla costituzione del Corpo, le regie patenti del 13 luglio 1814 stabilivano che in casodi commissione di reati da parte di un Carabiniere, la competenza a giudicare i fattifosse devoluta a un’apposita commissione militare se si trattava di reati militari e auna commissione mista di militari e di civili in caso di concorso tra reati militari ereati ordinari o anche nel caso di soli reati comuni. Non era invece disciplinatal’ipotesi di reati commessi in concorso da un carabiniere e da un civile. Le nuovenorme affidavano ora alle magistrature superiori ordinarie tutti i casi in cui fosserocommessi reati ordinari o con il concorso di civili, sottraendoli alle commissionimiste. L’intervento normativo si inquadrava in più generale tentativo del sovrano dimettere ordine nella sovrapposizione di competenze e di prerogative cui si assistevanel settore giudiziario, determinata anche dal ripristino di antiche magistratureanteriori all’occupazione francese, ma testimonia anche l’attenzione da subito riservataal giovane Corpo dei Carabinieri Reali e al buon andamento del suo servizio d’istituto.

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MISSIONE COMPIUTA!Il 20 gennaio 1916, sulla linea del fronte isontino,

si distingue per coraggio e fedeltà agli ordini ricevuti il Carabiniere Giuseppe Vindigni.

ALMANACCO

1916

Il militare, in servizio presso una Grande Unità dell’Esercito e incaricato di consegnareun documento urgente a un comando avanzato, non esitò ad attraversare un tratto diterreno battuto dal fuoco nemico. Nonostante ferito a un braccio, continuò lamissione sino alla consegna del piego a un altro carabiniere, senza accettare soccorsifinché non fu certo che il documento fosse giunto a destinazione.Per l’esemplarità di quel comportamento, che suscitò sensazione e ammirazione tra isoldati in trincea, il Vindigni fu decorato di una medaglia di bronzo al V.M..

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52 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

note informative

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Il “Notiziario Storico dell’Arma dei Carabinieri” è una pubblicazione telematica, veicolatasul sito internet istituzionale www.carabinieri.it, finalizzata alla valorizzazione del patrimo-nio di storia, di tradizioni e di ideali dell’Arma dei Carabinieri attraverso la proposizione dicontenuti inediti, di curiosità e di approfondimenti di carattere storico, aperta alla collabo-razione dei militari dell’Arma in servizio e in congedo nonché a cultori della materia. La Direzione è lieta di ricevere articoli o studi su argomenti d’interesse, riservandosi il dirittodi decidere la loro pubblicazione, esclusivamente a titolo gratuito. Gli articoli sono pubbli-cati sotto la responsabilità degli autori; le idee e le considerazioni espresse sono personali,non hanno riferimento ad orientamenti ufficiali e non impegnano la Direzione del NotiziarioStorico. La Redazione si riserva il diritto di modificare il titolo e l’impostazione grafica degliarticoli, secondo le proprie esigenze editoriali. E’ vietata la riproduzione anche parziale,senza autorizzazione, del contenuto della Rivista.

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FONTI ICONOGRAFICHE

Ministero della DifesaComando Generale dell’Arma dei Carabinieri

Ufficio Storico e Museo Storico dell’Arma dei Carabinieri

PERIODICO BIMESTRALE A CARATTERE SCIENTIFICO-PROFESSIONALE

A CURA DELL’UFFICIO STORICO DEL COMANDO GENERALE DELL’ARMA DEI CARABINIERI

PROPRIETÀ EDITORIALE DEL MINISTERO DELLA DIFESA

ISCRITTO NEL REGISTRO DELLA STAMPA DEL TRIBUNALE DI ROMA

AL NR 3/2016 IN DATA 21 GENNAIO 2016

DIFFUSO ATTRAVERSO LA RETE INTERNET SUL SITO WWW.CARABINIERI.IT

DAL SERVICE PROVIDER “BT ITALIA” S.P.A. VIA TUCIDIDE, 56 – 20134 MILANO

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