Notiziario Fondazione Aprile 2008

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N O T I Z I E I D E A P ERIODICO DELL’I STITUTO PER LA RICERCA E LA PREVENZIONE DELLA DEPRESSIONE E DELLANSIA ntro certi limiti questo tipo di ansia è normale e non deve destare preoccupazione in quanto costituisce una tap- pa dello sviluppo del bambino. In alcuni bambini, tuttavia, quest’ansia diventa talmente forte e persistente che interferisce con lo svolgimento delle sue attività quotidiane e diventa allora clinicamente significativa. Quando sono separati dai genitori spesso hanno bisogno di sapere dove si trovino e di stare in contatto con loro (per es., tramite telefonate). Alcuni soggetti divengono estremamente nostalgici e sono a disagio quando sono via da ca- sa. I bambini con questo disturbo spesso esprimono il timore di essere smarriti e di non ritrovare più i loro genitori. Questi bambini possono non essere in grado di stare in camera da soli, e possono mostrare un comportamento “appiccicoso”, stando vicini e facendo “da ombra” ad un genitore per casa o chiedendo che qualcuno sia con loro quando si recano in un’al- tra stanza della casa . La forma dell’adulto non è altrettanto contemplata anche se è molto frequente nella popolazione generale (6%), in ANNO 15 Numero 1- APRILE 2008 45 Spediz. in Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 2 filiale di Milano - Reg. presso il Tribunale di Milano N. 407 del 22.07.1995 Marianna Abelli *, Stefano Pini* L’ansia di separazione nell’età adulta Il disturbo d’ansia di separazione è considerato una patologia tipica dell’infanzia, con criteri di classificazione ben precisi. Nei bambini, il disturbo d'ansia di separazione si presenta con un’ ec- cessiva preoccupazione che possa accadere un evento che porti alla separazione,reale o di fan- tasia, dai genitori , dai nonni o da altre persone a cui il bambino è attaccato. E 4 La relazione medico-paziente Aspetti psico- somatici nell’asma bronchiale 8 10 Dieci anni... Qualcuno vi ascolta 6 11 In breve dalla ricerca 12 Gli antidepressivi: qualche risposta a domande frequenti 14 Formazione di volontari e prevenzione del suicidio Un alieno addosso 18 20 Idea in TV Notizie dal Mondo 16 22 Lavori in Corso 23 5 per mille segue a pag. 2 Attenzione all’interno come aiutarci con il 5 per millle gratuitamente

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N O T I Z I EI D E A

PERIODICO DELL’ISTITUTO PER LA RICERCA E LA PREVENZIONE DELLA DEPRESSIONE E DELL’ANSIA

ntro certi limiti questo tipo di ansia è normale e non deve destare preoccupazione in quanto costituisce una tap-pa dello sviluppo del bambino. In alcuni bambini, tuttavia, quest’ansia diventa talmente forte e persistente cheinterferisce con lo svolgimento delle sue attività quotidiane e diventa allora clinicamente significativa. Quandosono separati dai genitori spesso hanno bisogno di sapere dove si trovino e di stare in contatto con loro (per es.,tramite telefonate). Alcuni soggetti divengono estremamente nostalgici e sono a disagio quando sono via da ca-

sa. I bambini con questo disturbo spesso esprimono il timore di essere smarriti e di non ritrovare più i loro genitori. Questibambini possono non essere in grado di stare in camera da soli, e possono mostrare un comportamento “appiccicoso”,stando vicini e facendo “da ombra” ad un genitore per casa o chiedendo che qualcuno sia con loro quando si recano in un’al-tra stanza della casa .

La forma dell’adulto non è altrettanto contemplata anche se è molto frequente nella popolazione generale (6%), in

ANNO 15 Numero 1 - APRILE 2008 45

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Marianna Abelli *, Stefano Pini*

L’ansia diseparazionenell’etàadulta

Il disturbo d’ansia di separazione è considerato una patologia tipica dell’infanzia, con criteri diclassificazione ben precisi. Nei bambini, il disturbo d'ansia di separazione si presenta con un’ ec-cessiva preoccupazione che possa accadere un evento che porti alla separazione, reale o di fan-t a s i a , d a i g e n i t o r i , d a i n o n n i o d a a l t re p e r s o n e a c u i i l b a m b i n o è a t t a c c a t o.

E

4 La relazionemedico-paziente

Aspetti psico-somatici nell’asmabronchiale 8 10Dieci anni... Qualcuno

vi ascolta6 11 In brevedallaricerca 12 Gli antidepressivi:

qualche risposta adomande frequenti

14 Formazione di volontari eprevenzione del suicidio

Un alienoaddosso 18 20Idea

in TVNotizie dalMondo16 22 Lavori in

Corso 23 5 permille

segue a pag. 2

Attenzione

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particolare nelle donne. Nella maggior parte dei casi que-sto disturbo si presenta direttamente nell’adulto, tra i 20 edi 30 anni, mentre solo un terzo dei casi compare nell’infanziae continua a manifestarsi anche nell’età adulta. Il disturbod’ansia di separazione si presenta spesso associato ad altridisturbi psichiatrici e ha gravi ripercussioni nella vita privatae nel lavoro degli individui in cui si presenta. Il trattamentocon i farmaci avviene generalmente per gli altri disturbi psi-chiatrici (d’ansia e dell’umore) con i quali si presenta associa-to. In uno studio effettuato presso la Clinica Psichiatrica del-l’Università di Pisa, è emerso che in un campione di pazienticon disturbi d’ansia e dell’umore quelli che presentavano mag-giori livelli di ansia di separazione erano i bipolari (il disturbobipolare è un tipo di depressione). La sintomatologia del-l’adulto, proprio come quella del bambino, è caratterizza-ta da elevati livelli di ansia quando avviene la separazio-ne da casa o dai propri cari o addirittura quando essa è an-ticipata col pensiero; eccessiva preoccupazione riguardoalla possibile perdita di parenti o amici o alla possibilitàche accada loro un evento negativo; forte paura che unevento spiacevole determini la separazione dalle perso-ne amate. Sono presenti, inoltre, difficoltà a stare lontani dacasa per molte ore, a partire per viaggi di lunga durata senzail partner (per esempio viaggi di lavoro), ad affrontare traslo-chi o altre modificazioni della routine quotidiana, a coricarsida soli o ad addormentarsi senza una luce o rumori “rassicu-ranti” come quello della televisione, eccessivo timore riguar-do alla salute dei propri cari e alla loro sicurezza quando so-no lontani. L’ansiadi separazione puòportare l’individuo acompiere gesti ecla-tanti e culminare,in rari casi, nel desi-derio di morire.

Il disturbo d’ansia diseparazione va di-stinto dal disturbodipendente di per-sonal ità. Infatt imentre i soggetticon ansia di sepa-razione sono auto-nomi nel modo dipensare e di agire,nel prendere deci-sioni ed hanno biso-gno della personaamata, gli individuidipendenti non san-

no decidere da soli, necessitano sempre del parere altrui, han-no difficoltà ad esprimere disaccordo e quando termina unarelazione stretta cercano immediatamente un’altra personaa cui appoggiarsi. Chi “soffre” di ansia di separazione maicercherebbe un sostituto alla perdita subita. Anzi, i soggetticon ansia di separazione, dopo un divorzio o la rottura di unarelazione, continuano anche per anni a “rimuginare”sul per-ché tale rapporto si sia concluso, a rivendicare il diritto di es-sere amati, e a cercare con tutti i mezzi di riconquistare la per-sona perduta. Attualmente il disturbo d’ansia di separazionedell’adulto è in attesa di avere una “precisa ubicazione noso-grafica” all’interno dei disturbi psichiatrici dell’età adulta.

Per quanto riguarda la terapia, il disturbo d’ansia di se-parazione dell’adulto può giovarsi di un intervento far-macologico a base di antidepressivi SSRI (inibitori se-lettivi della ricaptazione della serotonina), farmaci larga-mente impiegati anche nel trattamento di altri disturbid’ansia dell’adulto. Anche la psicoterapia può essere dinotevole aiuto in questi casi. Tuttavia, non è ancora statoindividuato uno specifico approccio terapeutico, nè di tipo far-macologico né psicoterapeutico. Teorie biologiche e psicologiche per capire l’ansia di separazione.

Per capire come mai bambini ed adulti sviluppino il disturbod’ansia di separazione ci sono due possibili interpretazioni,una biologica che è stata provata soprattutto sull’animale eduna psicologica che si rifà al rapporto madre-figlio. L’insiemedelle due teorie ci fa capire meglio questo fenomeno. L’attac-camento è il tipo di comportamento più importante per gli ani-

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L’ansia di separazione nell’età adulta

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I rapporti affettivi costituiscono quindi una “base sicura chepermette ai bambini di esplorare l’ambiente che li circondacon maggiore sicurezza”. E’ stato osservato come la sensi-bilità del genitore di fronte alle richieste del neonato sia di fon-damentale importanza nello sviluppo di un attaccamento sicu-ro. Se la madre è affettuosa e rassicurante sicuramente ilbambino si fiderà degli altri e sarà sereno ed equilibrato nel-l’affrontare il mondo esterno. Al contrario se la madre saràfredda e distaccata il bambino sarà diffidente verso gli altri edinsicuro delle proprie capacità. Nel corso della vita il rappor-to che ogni neonato ha avuto con la propria madre costituisceil modello di rapporto con cui si relazionerà con le altre perso-ne. Si pensa che le differenze di attaccamento dell’adulto trai vari soggetti si riflettano nei rapporti sentimentali. Alcune ri-cerche indicano che coloro che sono partner sessuali o senti-mentali per un lungo periodo di tempo svolgono la funzione difigure principali\ di attaccamento l’uno per l’altro. Presso la Clinica Psichiatrica di Pisa (DPNFB) sono statieffettuati degli studi al fine di caratterizzare dal puntodi vista biologico l’ansia di separazione dell’adulto. Que-ste indagini, finanziate dal Ministero dell’Università e dal-la Fondazione IDEA (Milano), hanno evidenziato la pre-senza di un preciso marker biologico associato a questacondizione, ovvero una riduzione significativa della pro-teina traslocatrice(18 KDa). I risultati ottenuti hanno per-messo una migliore identificazione del suddetto disturbo efuture indagini potranno ulteriormente migliorare anche il trat-tamento farmacologico di questa condizione.

* Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia,Biotecnologie dell’Università degli Studi di Pisa

mali. Esso fa si che si crei un legame tra madre e figlio eviceversa tra il figlio e la madre ma anche tra un uomo ed unadonna e tra due amici. Mangiare, dormire e camminaresono funzioni necessarie per la sopravvivenza, ma, come af-fermava Spinosa, l’uomo è “un animale sociale” ed è per ilnostro attaccamento sociale che noi viviamo. In tutti i mam-miferi il sistema cerebrale implicato nei processi di attacca-mento si forma durante l’infanzia e continua ad influenzarei rapporti con gli altri durante tutta la vita. Alla base dell’at-taccamento c’è l’attività di alcune molecole come ossitoci-na, vasopressina, oppiodi endogeni, corticosteroidi, sero-tonina, melatonina e prolattina che agiscono tra di loro perdare luogo ai comportamenti che comunemente conoscia-mo come gesti di affetto. L’ossitocina ha un ruolo fonda-mentale all’interno di tre comportamenti femminili, determi-nanti per la creazione di legami affettivi che sono la nascita,l’ allattamento e l’attività sessuale. Perciò tale ormone sem-bra coinvolto sia nel rapporto di coppia sia in quello madre-figli. Una donna, il cui cervello secerne ossitocina si senteassonnata ma anche piena d'amore per suo figlio. Questolegame si realizza non solo grazie alla presenza di questoormone ma anche attraverso il contatto fisico, gli sguardi ele carezze. Quindi appena la madre comincia ad accarezza-re il figlio attiva questo processo di attaccamento e stimolaulteriormente la produzione di questo ormone. Si è ipotiz-zato che l’ossitocina sia responsabile sia dei sintomi com-portamentali che di quelli fisici che si associano alla perditadi una persona cara. Nell'uomo diversi studi indicano chealcuni disturbi psichiatrici, caratterizzati da difficoltà ad instau-rare rapporti con gli altri come l'autismo e la fobia sociale, so-no dovuti, con alta probabilità, a difetti genetici a carico del-l'ossitocina e la vasopressina. Addirittura sembra che neisoggetti con autismo i livelli di ossitocina circolante nel san-gue siano circa la metà di quelli trovati nei soggetti sani. Inuno studio molto recente un gruppo di ricercatori svizzeri hadimostrato come l’assunzione per via nasale di ossitocina ab-bia aumentato incredibilmente i livelli di fiducia nei confrontidegli altri. Questa scoperta in futuro potrebbe avere implica-zioni importati per la cura di queste patologie, in cui i sogget-ti hanno difficoltà a relazionarsi con gli altri.La seconda teoria sull’eziologia dell’ansia di separazione èquella relativa all’attaccamento. Questa dottrina, è stataoriginariamente creata da Bowlby alla fine degli anni ‘60 perdare una spiegazione alla marcata sofferenza che segue la se-parazione o la perdita di persone care. L’attaccamento, cheè innato, si è evoluto per garantire la vicinanza tra i bambinie le persone che si prendono cura di loro, come per esem-pio i genitori, i nonni, o altri parenti. Secondo questa teorial’attaccamento permette ai bambini piccoli mantenuti vicinoalla madre di sopravvivere, in particolare nelle situazioni incui si presenta una minaccia di pericolo. L’attaccamentodel bambino alla madre si attiva quando il bambino ha paura,ha subito un danno, è malato, o stanco e si manifesta con ilpianto, e con il bisogno di coccole e gesti di affetto da partedel genitore. Nel caso in cui il genitore sia in grado di dareal piccolo un senso di sicurezza, il bambino sarà alleviato dal-le sue ansie e non presenterà più questi comportamenti.

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Giuseppe Berti Ceroni*

La relazione medico-paziente

a relazionemedico-pa-ziente è i lpolo di una

relazione specializzatafra operatori dell’aiuto(medici, psicologi, in-fermieri, altro persona-le sanitario, volontari)e paziente e loro fami-liari in ogni campo del-l’aiuto. Relazione spe-cializzata di una capacitàrelazionale propria di ogniatto umano, verosimil-mente meno intensa chein altre sue specializzazio-ni, quale quella della ma-dre o altro accudente conil bambino. La relazioneoperatore-paziente non èspecifica di questo perio-do storico, che ha caratteristiche sue proprie, molto forti,ma anche ambiguità, come poi dirò. Riferimenti scientificie opere letterarie (Cechov, Tolstoi) testimoniano quanto fu im-portante nel secolo scorso per esempio per tutto il romantici-smo e, in Germania e in Russia, per tutto il secolo. In Italiaabbiamo il grande contributo di Murri e in generale dei medi-ci socialisti.Ora è di gran moda, pare quasi un tratto distintivo dellaattuale Società per la forza che alcune discipline uma-ne- l’etica e soprattutto la bioetica- hanno avuto di im-prontare i codici deontologici e la stessa legge sanita-ria, l’ultima dello scorso secolo (la legge detta Bindi), edanche per il rigoglio di attività di volontariato, anche spe-cializzate- come quella propria di IDEA.Alcune forti ambiguità possono però essere colte in orientamen-ti scientifici ed etici della medicina e in orientamenti etici o ideo-logici, anch’essi ben rappresentati nella Legislazione e molto dif-fusi nell’organizzazione sanitaria (Ministero, Regioni, ASL). Intendo innanzitutto riferirmi al primato della MedicinaFondata sull’Evidenza (MFE), che fra l’altro anch’essa im-

pronta la Legge sud-detta, che tende a ri-portare il medico e ingenere l’operatore sa-nitario di alto profilo(farmacologo, geneti-sta etc.) nel ruolo diconsulente e nel con-tempo di giudice diquel che è bene per ilpaziente, senza ipsofacto dare pieno svilup-po all’incontro fra duereciproche autonomie-quella del medico equella del paziente-, laseconda delle quali alla fi-ne dovrebbe essere -exlege- dominante. Anchese, a ben vedere (comemi ha ricordato EugenioGallo, la Costituzione (ar-

ticolo 32) tutela la salute non solo come fondamentale dirit-to dell’individuo, ma anche come bene collettivo. Nessunocomunque- legislatori o organizzatori della sanità (Ministero,Regioni, ASL)- sembra accorgersi di questa ambiguità. Unsingolare paradosso è per esempio che le ASL contempora-neamente organizzino corsi di formazione dei loro operatoriinversamente orientati, alcuni rivolti a riconoscere il primatodella MFE e altri mirati a sviluppare la comunicazione fra ope-ratori e pazienti, senza apparente contraddizione. Un’altra forte ambiguità nasce dalla rilevanza di dottrine, con-fessionali o comunque etiche, nell’interferire con l’autonomiadel malato e anche del medico, riuscendo ad introdurre linee-guida molto vincolanti in Leggi dello Stato, per esempio ri-guardo alla fecondazione assistita, o rendendo difficile la stes-sa capacità legiferativa dello Stato, per esempio riguardo al-l’eutanasia. Succede così che l’autonomia del malato diconfrontarsi con il medico riguardo ad alcuni momentirilevanti della terapia e della vita stessa è limitata da in-terventi ideologici, plausibili ma nel frattempo limitatividella volontà del paziente.

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Voglio a questo punto introdurre un altro elemento su cui riflet-tere con attenzione, e cioè che l’Evidenza della relazione me-dico-paziente- tanto più estesa a tutti gli operatori come primadicevo- è poco studiata e risulta ancora frammentaria, a dispet-to di studi importanti ad esempio sulla capacità comunicativae il suo sviluppo e sull’alleanza terapeutica. Siamo ancora di-stanti da un livello riconoscibile di Evidenza. Meritevole perciòil contributo di IDEA alla ricerca scientifica nel campo.

Un aspetto teorico che molto mi colpisce è come nella ricer-ca scientifica e nella sua volgarizzazione mediatica si tenda asottolineare alla base della relazione (madre-bambino, anzi ma-dre-cucciolo in genere, almeno per tutti i mammiferi) l’innati-smo, un insieme di forma, mimica e sensorialità propria delcucciolo, che induce un comportamento e un’emozione co-muni all’uomo e a ogni altro mammifero. Certo non nego l’im-portanza dei fattori filogenetici, soprattutto quando viene rico-nosciuto l’effetto di fattori ambientali sull’espressività dei ge-ni e poi della macchina per relazioni costruita dai geni, il cer-vello, viene riconosciuta la plasticità. Mi pare comunqueche questo primato dell’innatismo e della filogenesi dovrebbeessere contemperato dalla storia, passata e attuale. Solo brevi cenni: la centralità dell’affetto per la prole riguar-da a stento gli ultimi due secoli. Per esempio nel ‘700 allaprole veniva riconosciuta grande importanza di rango,per l’eredità e le alleanze tramite matrimoni, ma i figli ve-nivano allevati da altri (ricordate le balie?), spesso lonta-no dalle residenze dei genitori, con i quali avevano rap-porti rari e brevi: è nell’800 che l’amore filiale diventa im-portante. Prima il bel musetto e i buoni odori non faceva-no grande effetto, a dispetto degli innatisti. Nell’Ottocentoancora, nel corso della rivoluzione industriale, gli orfani (ri-cordate Oliver Twist?), ma anche ora gli orfani e anche gli or-fanati da genitori viven-ti- che abbandonano ifigli per necessità o perscelta, non sempre ne-cessaria- riempiono lestrade, i bordelli, le mi-niere, i campi e le offi-c i ne . Sono poch iesempi, tanti altri ce nesarebbero. Accantoalle ragioni genetiche eal loro fondamento fi-logenetico, il primatodelle culture va forte-mente tenuto in conto.Lo stesso vale per l’uo-mo- non azzardo parla-re di animali- malati, sofferenti, invalidi. Un peso per laSocietà e qui non ci sono bei musetti e buoni odori, ma aspet-ti sofferenti e spesso cattivi olezzi. Ospedali, ospizi, ba-danti. A volte trascuranti, persino disumani, altre volte, ed è

quello per cui c’impegniamo, dediti, rispettosi, umani.

Con chi? Con noi stessi in primo luogo. Il detto liberale “nonfare agli altri quello che non vorresti etc.”, la compassione ela carità con un’impronta più religiosa, la solidarietà fra uomi-ni di altre ideologie tutto fa brodo. Nell’egoismo, nella ceci-tà, nel silenzio siamo noi a disumanizzarci. La cura deglialtri, la cura della relazione è cura di noi stessi.Però l’amore non basta, va nutrito per quanto è possibile diconoscenza specifica approfondita, di organizzazione, di col-legialità. Il nostro narcisismo compassionevole e solidaristi-co va contenuto in primo luogo dalla formazione, sempre dalriconoscimento all’altro, al malato, al sofferente, al misero,della sua autonomia, che gli lascia l’ultima parola.Un esempio di collegialità nello sviluppo della conoscenza enella formazione: la ricerca sui Fattori Terapeutici SpecificiComuni (FTSC), che mette alla prova uno strumento di mi-sura della relazione terapeutica, vagliando insieme percezio-ni di paziente e terapeuta, con l’impegno organizzativo di ungruppo di noi, l’intervento finanziatore di IDEA, il lavoro volon-tario di circa 20 fra psichiatri e psicologi e di più di 100 pazien-ti a compilare in più momenti successivi lunghi questionari -si parla sempre male dell’impegno civico degli italiani, ma perquanto riguarda la collaborazione volontaria a ricerche nessunpaese ci è pari- è segno di come la conoscenza possa dipen-dere dall’impegno volontario di una molteplicità di persone. I dati di questa ricerca sono ormai pronti e verranno prestopubblicati e pubblicizzati. Le due cose che ad una prima ana-lisi più mi fanno pensare è che i pazienti 1) danno poca impor-tanza a quale teoria fanno riferimento i terapeuti, che- un po’vanamente- invece si dannano a dare alla terapia che attua-no una cornice scientifica e ugualmente poco danno impor-tanza al luogo- bello o brutto, ben arredato o confusionario,

ben riparato o vicever-sa disturbato da rumo-ri contingenze- le cuiqualità invece gratifica-no o feriscono il narci-sismo dell’operatore e2) danno invece moltaimportanza alla qualitàdella comunicazione.Riemerge quindi, raf-forzata da dati em-pirici, la centralitàdella relazione tramedico e terapeuta.E’ verosimile che laqualità di questa re-lazione sia altrettan-

to importante per la scelta del trattamento più appropria-to e per l’esito della cura.

* Membro della Società Italiana di Psicoanalisi

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e osservazioni che configurano il ruolo dei fat-tori psicologici nell’asma bronchiale hanno unalunga storia. Ippocrate disse che “Il pazien-te asmatico deve proteggersi contro la col-

lera”. Nei secoli seguenti un folto numero di cliniciha contribuito con evidenze anedottiche a descrivereil ruolo degli eventi emotivi nel precipitare ed aggra-vare la malattia asmatica. I giudizi circa il ruolo deglistimoli psicosomatici nel determinismo dell’asmabronchiale sono stati i più vari e i più controversi nel-l’era della moderna medicina. I più grandi pneumologicanadesi Bates, Macklen e Christie nel 1971 affermavanoche “E’ ammesso che nel corso della malattia asmaticaci possano essere stimoli emotivi o ambientali che aggra-vano la malattia”.

Note sulla psicosomaticaVorrei prendere spunto e pretesto dalla malattia asmaticaper valutare il ruolo della medicina psicosomatica tantodiscussa e valutarne il suo ruolo nella malattia e se è oppor-tuno tenerne conto quando facciamo una corretta anamne-si ad un paziente. Da lungo tempo i clinici più saggihanno suggerito che i fattori emotivi possono giocareun importante ruolo nello scatenare o sostenere lemanifestazioni cliniche nell’asma bronchiale.Allo stato attuale sembra non esserci ancora un accordo

unanime intorno al concetto di psicosomatica: tale concet-to è elaborato in modo controverso e condizionato da “pre-giudizi” medico-biologici da una parte e dall’altra da altret-tante pregiudiziali di natura psicologica.Nostro sforzo è quello di gettare un ponte, per così dire, trale diverse e spesso opposte posizioni, al fine di contribuiread una visione unitaria del campo della psicosomatica: ciòarricchirebbe non soltanto la teoria, ma sarebbe di praticautilità nell’atteggiamento terapeutico verso i pazienti.Entriamo nel vivo.A nostro avviso, per causa psichica atta a determinareun’alterazione organica o un sintomo organico, possiamointendere tutto ciò che “per via psichica” determina unareazione dell’organismo: è nota da sempre l’attenzione perla psiche da parte dei nostri antenati medici di fronte adeterminate malattie: ulcera gastro-duodenale, asma, iper-tensione. Tale causa può essere costituita da quello checomunemente intendiamo come trauma psichico o da unostimolo che viene percepito come minaccioso; dal riemer-gere di un ricordo rimosso spiacevole; dalla attualizzazionedi un vecchio conflitto sopito; da situazioni relazionali attua-li che possono alterare la omeostasi emotiva ecc…. Tuttequeste cause noi possiamo immaginare che con molta pro-babilità vadano a determinare una situazione di allarme, diangoscia e di dolore, che immediatamente provocano unareazione psichica non necessariamente inconscia. Ne con-

Aspetti psicosomaticinell’asma bronchiale

Mario Schiavina

Aspetti psicosomaticinell’asma bronchiale

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Questo modo di vedere ci pone il problema dell’atteggia-mento del medico in maniera diversa da quanto spesso siosserva; cioè o di inviare “allo psicologo” il paziente, o diporsi di fronte al paziente come un benevolo inquisitore perricercare e trovare l’ipotetico trauma; o, ciò che per noi ècosa peggiore, andare a ritroso nella storia infantile per indi-

viduare vissuti nascosti che ipo-teticamente potrebbero nel lororiemergere costituire una causa.Se seguiamo la nostra imposta-zione, possiamo ammettere cheallo scatenarsi iniziale delle tem-peste emotive che poi determi-neranno la sintomatologia, seguauna perdita della sicurezza o unaimportante minaccia alla sicurez-za stessa del paziente (reazionedi ansia, di smarrimento, di scon-forto, di paura da cui parte poi ilsuccedersi degli eventi morbosiche ci interessano).Ci rendiamo ben conto di quantoil paziente stesso abbia bisognodi ristabilire il più rapidamentepossibile il suo stato di sicurezza.E’ fondamentale a questo fineche il medico sia ben avvertito

di questa necessità primaria, a volte impellente, che lapersona malata e smarrita denuncia.Possiamo solo suggerire che non è utile “scimmiottare”chi somministra interpretazioni o suggerisce ex-cathedraricerche intellettualistiche di ipotetiche cause; ma che siaimprescindibile la presenza intelligentemente rassicurante,umanamente bonaria del medico che sa, ma che sa soprat-tutto somministrare il suo parere in modo comprensivo edando la possibilità di intravedere la speranza di migliora-mento, come il mai dimenticato Domenico Camporacci ciha così bene insegnato.

segua una successiva reazione fisica di tensione, che pos-siamo facilmente configurare come motrice di una lungacatena di eventi squisitamente biologici, fisici che contem-poraneamente turbano e cercano, nel loro insieme, di rista-bilire l’omeostasi minacciata.A questo punto possiamo introdurre il concetto di “com-piacenza somatica” (introdottoda S. Freud fin dall’inizio del1900 e mai smentito nella suavalidità) accanto al più noto con-cetto “organo bersaglio”.Non ci sono salti né logici, németodologici, né clinici che ciimpediscono di accettare che ilsintomo somatico o più tardi lamalattia somatica, possanoessere sostenuti e determinatida uno stimolo psichico.Ci siamo tenuti sul generico eabbiamo seguito una concettua-lizzazione, per così dire di base,in quanto ben sappiamo comeintorno all’argomento della medi-cina psicosomatica siano statecostruite teorie molto articolate eper certi aspetti fascinose, chespiegano tuttavia in modo nonsoddisfacente la patogenesi psicologica della malattia e con-seguentemente non suggeriscono sicure direttive terapeu-tiche, sempre sul piano psicologico.Il nostro punto di vista, riassumendo, considera la reattivitàdel corpo in modo specifico solo per quanto concerne la“risposta di organo o di apparato”. Abbiamo cioè la ten-denza a giustificare tale risposta come condizionata da fat-tori costituzionali. Consideriamo altresì lo stimolo fisico diper sé aspecifico e relativamente semplice. Uno stimoloper non determina di per sé una risposta y, ma la rispostasarà condizionata solo dalla disposizione organica.

A partire da questo numero, Idea Notizie pubblica nelle sue pagine

il parere di specialisti in patologie non strettamente correlate alla

Psichiatria, i cui articoli documentano la relazione che spesso esiste

fra i vari disturbi e quelli legati allo spettro dell’umore.

Il primo articolo è scritto per noi dal Prof. Mario Schiavina, direttore

del Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare e dell’Unità Operativa di

Pneumologia e Terapia Intensiva Respiratoria del Policlinico

Sant’Orsola-Malpighi di Bologna. Ringraziamo il Professore per

questo importante contributo e per l’interesse e la sensibilità

dimostrata nei confronti dei nostri progetti.

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ieci anni è il tempo medio che trascorre trail momento in cui un quadro depressivo esor-disce ed il momento in cui viene avviato untrattamento specialistico congruo. Il datoè allarmante: diffuso in letteratura, lo abbiamo

però trovato – e questo, stranamente, lo rende come più sensi-bile e grave – anche nella nostra esperienza di lavoro quotidia-no nell’Ambulatorio IDEA di Bergamo. Dieci anni per la de-pressione, cinque, in media per i disturbi d’ansia. Ci siamo chie-sti perché e come; la risposta è una storia.

“Vede, dottore,dieci anni fa, una mattina, stranamente, mi so-no svegliato e mi sono accorto che non mi sentivo di andare alavorare. Ero stanco, svogliato: a me il mio lavoro era semprepiaciuto; ma quella mattina mi sono chiesto perché dovessi al-zarmi e andare. Era davvero strano, per me, e ho pensato di es-sere un po’ esaurito. Poi mi sono alzato, e sono andato. Mi èsuccesso ancora, molte volte. Ho pensato di prendere qualcosa,magari di andare dal medico; ma poi, alla sera, stavo meglio, avolte mi sembrava di stare bene e mi pareva ridicolo andare dalmedico a dirgli che stavo male a una certa ora e ad un’altra no.Poi, piano piano, è passato. È stato un brutto periodo, non mirendevo conto di cosa mi stesse succedendo; mi sentivo in col-

pa, mi sembrava che fosse pigrizia… Ma in realtà non riuscivodavvero. Tutto mi costava un’enorme fatica e, stranamente, lecose di solito per me piacevoli erano quelle che riuscivo a fare dimeno. Me ne ero quasi dimenticato, ma un anno dopo, giustonello stesso periodo, verso fine settembre, mi è capitato di nuo-vo. Stavo male, anche più dell’anno precedente. Ero spaven-tato. Io faccio il ceramista, ho una piccola fabbrica: sono bravo,so fare bene il mio mestiere e ho molti clienti: in quel periodo eraun disastro. Se un giorno non ricevevo ordinazioni, mi vedevosul lastrico e pensavo che tutti sapessero che non ero più capa-ce e quindi non mi volessero più; quando poi arrivava un ordineero disperato, perché ero sicuro che non sarei mai riuscito a sod-disfarlo. Pensavo che saremmo finiti in miseria, io, mia mogliee i miei figli; pensavo che sarei morto, perché lavorando respi-ravo i solventi dei colori con cui dipingevo la ceramica; e misentivo in colpa, perché in agosto ero stato in vacanza, e mi eroriposato, e avevo speso quelli che mi sembravano tantissimi sol-di, e nonostante questo mi sentivo molle, e incapace e impoten-te… Gli amici e mia moglie mi dicevano di tirarmi su, di andare adivertirmi, di non pensarci, che erano tutte fantasie, che forseero un po’ esaurito… È durata soltanto un mese; poi, quasi di colpo, dopo una notte

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Dieci anni…Massimo Rabboni

Di solito, quando in un titolo si annuncia un tempo, ed un tempo così lungo, è per celebrare un

anniversario, una ricorrenza. Dieci anni di un percorso, dieci anni di un’attività… Qualche cosa

di cui, quindi, essere contenti. Non è, purtroppo, questo il discorso che andremo tessendo.

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insonne mi sono accorto che il mattino non mi faceva più pau-ra, e ho ricominciato a vivere. L’anno dopo è andata bene; cre-devo fosse passata, ma l’anno dopo ancora mi è successo duevolte. In primavera è stato lieve, ed è durato un mesetto; poi, dinuovo in autunno. È cominciato lentamente, poi pian piano ècresciuto. È stata la prima volta che una mattina, sveglian-domi e sentendomi come mi sentivo, ho pensato che forsesarebbe stato meglio non esserci più. Mi dispiaceva per imiei, ma mi pareva che forse anche per loro sarebbe statomeglio essere liberi dal peso che io ero diventato. Tacitur-no, cupo, cominciavo a chiedermi come poterlo fare, come uc-cidermi senza il rischio di un fallimento. Mia moglie ha sentitoda un’amica che c’erano delle erbe, dei fiori che facevano mol-to bene a chi stava come me: li ha comprati – a me sembravache fossero molto cari, e mi sentivo in colpa anche per questo– e me li ha fatti prendere. Non cambiava nulla; io stavo male,ma avevo paura anche a dirlo a mia moglie, perché temevo dideluderla, di contraddire la sua fede nei fiori miracolosi. Volevomorire. A sua insaputa – mi sentivo in colpa sempre di più – so-no andato dal medico di famiglia. Lui mi ha ascoltato, e questoè stato, intanto, un sollievo: mi ha ascoltato a lungo. Mi èsembrato che questo fosse molto meglio dei fiori; mi sembra-va che per me ci volesse intanto una persona, un medico che miascoltasse, che capisse che cosa mi stava succedendo, che locondividesse con me, che sentisse, per un momento, come sen-tivo io. Mi ha detto che ero certamente molto esaurito, e forsedepresso. Ho sentito quella parola per la prima volta: un’emo-zione strana. Mi ha fatto paura – voleva dire che ero malato dimente? – e insieme mi ha sollevato, perché forse, allora, quelloche avevo aveva un nome e se aveva un nome esisteva. Miha fatto fare degli esami e mi ha prescritto dei ricostituenti, liho presi per un po’; non succedeva nulla. Erano, nel frattem-po, arrivate le feste di Natale. È stato terribile. Avevo ormai pen-sato di uccidermi respirando il gas dalle bombole che usavo peril forno della ceramica; mia moglie e i miei amici continuavano adirmi di tirarmi su, che gli esami erano normali, e quindi non ave-vo nulla. Poi, verso metà gennaio, dopo più di quattro mesi, inpochi giorni è passato. Mi sembrava incredibile: avevo di nuo-vo voglia di alzarmi al mattino, di lavorare, di parlare con le per-sone, ero contento. Spaventato, però, anche, da questa cosache di colpo mi veniva e poi di nuovo se ne andava. Capivo be-ne che se ne era andata da sé, non c’entravano nulla né le erbené i ricostituenti. Un anno solo di tregua; poi mi è successoancora, e ancora e ancora. Un’altra volta, sono andato dal miomedico. Lui mi ha detto che questa volta non aveva dubbi, eraproprio una depressione; mi ha prescritto una medicina. Ho vi-sto che era molto costosa, ma non ho speso niente: la passavala mutua. Sono rimasto sconcertato; so che la mutua passasolo le medicine per le malattie vere, soprattutto se sono medi-cine costose. Voleva dire che ero malato davvero, che non eracolpa mia, come avevo sempre pensato e come, in fondo, miavevano sempre detto i miei, invitandomi a metterci un po’ dibuona volontà? Ho comprato la medicina, ma non l’ho maipresa. Mio moglie mia suocera, e un amico con cui mi eroconfidato, hanno cominciato a dirmi che ero pazzo a pensare diprendere psicofarmaci, che mi sarei drogato, che mi avrebberodistrutto il fegato, che non avrei potuto smettere più, che era ro-ba per gente debole di carattere o per gli scemi…

Il Prof. Massi-mo Rabboni,che ringraziamoper l’interessan-te articolo, è Di-rettore del Di-partimento diPs ich iat r ia I Ipresso l’Ospe-dale Riuniti diBergamo.Al l ’ interno diquesta Unità

Operativa, è attivo fin dal 1° marzo 2004, l’Ambulatorioper la ricerca, la diagnosi e il trattamento dei disturbid’umore e di ansia, nato dalla collaborazione fra l’Azien-da Ospedaliera e la Fondazione Idea. Vogliamo ringraziare il Professore per la sua disponibilitàe dedizione nei confronti di tutte le persone che soffro-no di queste patologie.

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Anche quella volta, è durata mesi.Un anno libero, altri anni due volte, di solito una. Ogni volta, l’ideache la morte fosse l’unica soluzione. Poi – erano passati circa no-ve anni dalla prima volta – ho sentito parlare alla radio uno psi-chiatra; raccontava la storia di un depresso. Dopo pochi minuti, sta-vo quasi male. Mi sembrava di sentir raccontare la storia dei mieidieci anni di vita; quello che avevo sofferto, quello che a me sem-brava una disgrazia inspiegabile, prendeva in quella storia senso,perfino valore; ma quello psichiatra diceva anche che la depressio-ne – accettavo davvero per la prima volta quella parola – si cura e,il più delle volte, guarisce. Ho deciso di andare a farmi visitare.”

Lo psichiatra che aveva parlato alla radio ero io. Ho incon-trato quell’uomo; gli ho prescritto una terapia e adesso,ormai da tre anni, con una compressa al giorno sta bene.Il lavoro più difficile non è stato, ovviamente, curarlo, ma aiutar-lo ad accettare l’idea di essere malato (la relazione con il medi-co è fondamentale, per un percorso di cura e di senso; e questoè un altro problema dei farmaci “naturali”, che, paradossalmente,sottraggono il malato a questo percorso di senso, facendogli cre-dere, assai più di quanto non possa fare il più biologico degli psi-chiatri, che la sua malattia è una questione fisica, che le goccineda sole potranno risolvere).Ma il momento davvero difficile è arrivato dopo; quando que-st’uomo – un uomo intelligente, vitale, capace di affetti e di pen-sieri profondi – un giorno mi ha chiesto: “Ma scusi, dottore: al-lora, se io fossi andato da uno psichiatra dieci anni fa, mi sareirisparmiato questa serie di inferni?”Questo non ho saputo dirglielo. So di certo che, se ci fossemeno paura della psichiatria, ancora pensata come disposi-tivo di controllo e di stigmatizzazione sociale anziché comeclinica, e se da parte di tutti un approfondimento in questoambito fosse pensato normale, sarebbe possibile ai malatisentirsi legittimamente tali ed andare a chiedere aiuto peruna malattia che sempre si cura, ed assai spesso guarisce.

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quindi potenzialmente tossico. Tutto qui: un buon psichia-tra non avrà nessuna difficoltà a gestire in piena sicurezzala situazione. In secondo luogo, non è affatto vero che il li-tio è riservato ai “casi più gravi”: esso rappresenta inve-ce la cura di base nella prevenzione del disturbo bipolarementre nelle situazioni più difficili è necessario ricorrerea complesse associazioni farmacologiche con 2 o piùstabilizzatori, antidepressivi e/o antipsicotici. Infine, l’ideache crei dipendenza è priva di fondamento. La sospensio-ne del litio non provoca fenomeni di astinenza e non è diper sé pericolosa. Il vero problema in questo caso è unaltro: il disturbo bipolare è una patologia “cronica” che ne-cessita di un trattamento a lungo termine (anche di moltianni) per evitare le ricadute. Pertanto, l’interruzione nonconcordata con lo specialista di una terapia che sta dandobuoni frutti espone inutilmente ad un probabile ritorno dinuovi episodi maniacali o depressivi. Un’ultima conside-razione: nessuno dei farmaci (antiepilettici, antipsicoticiatipici ecc…) oggi utilizzati come stabilizzatori dell’umoreha dimostrato un’efficacia equivalente o superiore a quel-la del litio. Spero con queste poche righe di aver aiutatoOsvaldo, e le tante persone che si trovano nelle suestesse condizioni, a chiarirsi le idee e a vincere i propri ti-mori in modo da iniziare con serenità la terapia prescritta.

Scrive Osvaldo da Matera: “Qualche mese fa mi è sta-to diagnosticato un disturbo bipolare e, per prevenire ul-teriori ricadute, mi sono stati prescritti i sali di litio. Sonospaventato perché mi hanno detto che è un farmaco pe-ricoloso, riservato ai casi più gravi e che, una volta inizia-to, non può essere sospeso in quanto causa dipendenza.Cosa ne pensa?”

I sali di litio da oltre 40 anni costituiscono il più efficace stru-mento per prevenire la comparsa di nuovi episodi maniaca-li e depressivi. Nei pazienti con disturbi bipolari, inoltre, ri-ducono fino a 19 volte il rischio di mettere in atto un suicidioe aumentano l’aspettativa di vita in media di 7 anni perchélimitano le conseguenze dello stress e le complicanze so-matiche connesse con le recidive. A dispetto di questi im-portanti risultati, dimostrati dalle ricerche sperimentali e con-fermati dall’esperienza clinica quotidiana, da qualche annosi è creato un ingiustificato timore verso il litio. La lettera diOsvaldo mi consente di chiarire almeno tre dei più diffusipregiudizi. Innanzitutto, se correttamente utilizzato, il litio nonè assolutamente pericoloso. La sua prescrizione richiede laverifica periodica del funzionamento di reni e tiroide e la mi-surazione del suo livello nel sangue (“litiemia”) per evitareche sia troppo basso, e quindi inefficace, o troppo alto, e

Inviate le vostre lettere per posta ordinaria al Prof. Antonio Tundo - Idea Bologna, Via Barberia 18 • 40123 Bologna-o per E-mail: [email protected] questa rubrica saranno pubblicate quelle che contengono richieste di informazioni o quesiti clinici di interesse comune

Qualcuno vi ascolta (Risponde Prof. Antonio Tundo, Istituto di Psicopatologia, Roma)

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In breve dalla ricerca(a cura della Dott.ssa Fulvia Marchetti, Istituto di Psicopatologia, Roma)

Sicuri ed efficaci gli ANTIDEPRESSIVI NEI BAMBINI ENEGLI ADOLESCENTILa Food and Drug Administration, l’organizzazione che negli Stati Uniti regola l’immissione in com-mercio e le indicazioni dei farmaci, negli ultimi anni aveva imposto rigide limitazioni all’utilizzo degli anti-depressivi nei più giovani. Da una parte, infatti, era stato segnalato un aumento del rischio di suicidionei bambini e negli adolescenti trattati con questi farmaci, dall’altra non c’era certezza della loro effi-cacia. Una recente meta-analisi (cioè una sofisticata analisi statistica sugli studi presenti in letteratura),pubblicata su una delle più autorevoli riviste di medicina statunitensi (Bridge e collaboratori, JAMA,Aprile 2007), ha chiarito che la prescrizione di antidepressivi non solo non aumenta la spinta al suici-dio, ma ha anche evidenti effetti positivi nel trattamento dei disturbi d’ansia, del disturbo ossessi-vo-compulsivo e della depressione nell’infanzia e nell’adolescenza.

DISTURBI EMOTIVI DELLA MENOPAUSA: che fare?La menopausa, accanto ai noti disturbi fisici (sensazioni di caldo freddo, improvvise sudorazioni, modi-ficazioni del metabolismo) può causare anche ansia, depressione, facili variazioni dell’umore, irritabili-tà. Questi disturbi emotivi, più comuni nelle donne che in precedenza avevano sofferto di ansia odepressione e in quelle che hanno un periodo peri-menopausale particolarmente lungo, non sempreregrediscono con la terapia ormonale sostitutiva. Secondo quanto emerge da uno studio di Joffe e col-laboratori (Journal of Clinical Psychiatry, Giugno 2007) gli antidepressivi, ed in particolare la duloxeti-na e gli inibitori della ricaptazione della serotonina, sono un valido trattamento dei disturbi emoti-vi che compaiono o si accentuano in concomitanza con la menopausa e possono essere con tranquil-lità associati alla terapia ormonale. Inoltre, nelle donne che non possono assumere estrogeni è possi-bile attenuare la sintomatologia somatica con il gabapentin, un antiepilettico utilizzato anche nei distur-bi bipolari e nell’ansia sociale (Albertazzi, Climateric, Ottobre 2007).

Una terapia per il BRUXISMOIl bruxismo è un’affezione caratterizzata da movimenti ripetitivi ed automatici della mandibola (comu-nemente definiti anche “digrignamento dei denti”) che si manifestano in genere, ma non esclusiva-mente, di notte e che possono causare importanti lesioni alla dentatura. Nella maggior parte deicasi costituisce un sintomo isolato, la cui origine non è del tutto chiara, che si manifesta in chi svolgeun lavoro particolarmente stressante (Lurie e collaboratori, Aviation Space Environmental Medicine,Febbraio 2007), in chi soffre di disturbi mentali e in chi assume antidepressivi della famiglia degli inibi-tori della ricaptazione della serotonina. Oltre ad eliminare l’eventuale fattore scatenante (migliorare lagestione dello stress, trattare correttamente ansia e depressione, sostituire il farmaco eventualmenteritenuto responsabile), è possibile intervenire su questo fastidioso sintomo con opportuni dispositivi,detti bite, o con farmaci specifici come il clonazepam, una benzodiazepina, o la clonidina, un anti-iper-tensivo che agisce sui recettori alfa-2 adrenergici (Huynh e collaboratori, Journal of Canadian DentistAssociation, Ottobre 2007).

Eventi di vita e SINTOMATOLOGIA DEPRESSIVAI sintomi della depressione cambiano da persona a persona e, spesso, da un episodio all’altro anchenella stessa persona. Questa osservazione ha portato alcuni ricercatori a ipotizzare che se da una partela depressione riconosce un’origine biologica, dall’altra le sue manifestazioni sono condizionate da fat-tori psicologici, ambientali e culturali (Keller e collaboratori, American Journal of Psychiatry, Ottobre2007). Ad esempio, quando la depressione è scatenata da un lutto o dall’interruzione di un rapportoaffettivo importante prevalgono la sofferenza emotiva, il pianto, la ricerca di compagnia, il bisogno dirassicurazioni e l’inappetenza. Se invece l’episodio insorge dopo un lungo periodo di stress il quadroè dominato dalla stanchezza fisica, dal pessimismo per il proprio futuro e dalle idee di colpa. I risultatidi queste recenti ricerche confermano l’utilità di trattare la depressione integrando la terapia far-macologica, che incide sulla componente biologica, con una psicoterapia cognitivo-comporta-mentale o interpersonale, che interviene sulle componenti psicologiche ed aiuta a superare leproblematiche esistenziali (IDEA Notizie, Aprile 2007).

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li antidepressivi sono una classe eterogeneadi farmaci utilizzati per il trattamento di un am-pio spettro di disordini: disturbi dell’umore,disturbi d’ansia, disturbi della condotta alimen-

tare, disturbi di personalità, disturbi algici. Il clinico ha a dispo-sizione una discreta varietà di opzioni farmacologiche possi-bili per ognuno di questi disordini. Esistono infatti diverse clas-si di farmaci caratterizzate da uno specifico meccanismod’azione:1. Inibizione del reuptake della noradrenalina e della seroto-

nina associata a effetti su più recettori e sui canali rapididel sodio

2. Inibitori selettivi del reuptake della serotonina3. Inibitori del reuptake della serotonina e della noradrenalina 4. Blocco serotoninergico e inibizione del reuptake della se-

rotonina 5. Blocco dei recettori serotoninergici e noradrenergici 6. Inibitori delle monoamineossidasi 7. Inibitori selettivi del reuptake della noradrenalina Uno degli usi più frequenti e diffusi di questi farmaci è per lapatologia depressiva: in questo ambito ci sono questioni diordine generale che possono preoccupare chi sta per inizia-re un trattamento o l’ha iniziato da poco. Una delle prime do-mande è se i farmaci antidepressivi siano efficaci o no. Ifarmaci antidepressivi sono generalmente piuttosto efficaci,ma non in tutti i casi: non tutti i pazienti sofferenti di depres-sione guariscono con il solo trattamento farmacologico.Questo dato prognostico dipende dalla diagnosi, dall’anam-nesi, dalle patologie concomitanti e da una serie complessadi variabili personali, cliniche e socio demografiche che ren-dono difficile una risposta univoca. Tuttavia, il numero di per-

sone che non guariscono e la durata media di malattia tendo-no ad essere più alti nel caso in cui non si instauri alcun trat-tamento. All’interno delle classi farmacologiche ci sono so-stanze più efficaci di altre, anche se le differenze non sononotevolissime. In genere però, i farmaci più efficaci sono an-che caratterizzati da effetti collaterali più intensi. Nel casoin cui un trattamento non si dimostri efficace, ci sono del-le strategie che possono aiutare: il gesto clinico più comuneè il cambiamento del tipo di farmaco. Si badi bene però chequesto va fatto solo dopo aver lasciato il tempo alla prima mo-lecola di agire: un mese o un mese e mezzo possono rappre-sentare periodi minimi di prova. Se il cambiamento farmaco-logico non dovesse sortire gli effetti desiderati, si possonoprovare altre strategie come l’affiancamento di un altro far-maco (ormoni tiroidei, stabilizzatori dell’umore per esempio),o di una psicoterapia. La psicoterapia è molto utile nella gran-de maggioranza delle depressioni e di altri disturbi psichiatri-ci, anche se non può essere considerata una panacea buonaper ogni occasione. Anzi, disturbi psichiatrici maggiori posso-no essere controindicati ad un approccio psicoterapeutico.Comunque, tornando al caso della depressione, una strate-gia psicoterapeutica può essere tanto efficace quanto quellafarmacologica: l’uso però di entrambi gli approcci insieme per-mette di raggiungere dei risultati migliori.

Una volta iniziato il trattamento, una delle domande che

possono sorgere è se i farmaci antidepressivi diano dipen-denza. La risposta è no. I farmaci antidepressivi non danno

dipendenza: la sospensione del trattamento al termine della

terapia, se eseguita nelle modalità corrette, non provocherà

sintomi da astinenza. Sostanzialmente, se l’equilibrio timico

è raggiunto da qualche mese, e la terapia è stata sospesa nel-

G

Gli antidepressivi:qualche risposta a domande frequenti

Alessandro Serretti* , Antonio Drago*

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le modalità adeguate, i farmaci antidepressivi non sono ge-

neralmente quel tipo di sostanze che ci si preoccupa di por-

tare in viaggio. Assodato che non esiste un rischio di dipen-

denza da antidepressivi, un altro punto forte del trattamento

è il rapporto tra gli effetti benefici ed gli effetti negatividei farmaci antidepressivi. La maggior parte degli effetti col-

laterali (nausea, sensazione di vuoto, lipotimie ed altri più spe-

cifici), tendono a comparire subito dall’inizio del trattamento

e a stemperarsi con il suo proseguire, mentre gli effetti be-

nefici sui sintomi depressivi tende a comparire più tardi, do-

po due o tre settimane di terapia continuativa. A volte è ne-

cessario attendere fino ad un mese, un mese e mezzo, cer-

cando di mantenere una terapia che è in realtà piuttosto an-

tipatica avendo portato velocemente gli effetti collaterali e tar-

dando a dimostrarsi utile. E’ necessario in questi casi avere

pazienza e fiducia, oltre a chiedere ed accettare un confron-

to aperto col pro-

p r i o t e r a p e u t a .

Compito di quest’ul-

timo sarà seguire il

paziente nella fase

difficile e talvolta

scoraggiante di inizio

di trattamento, for-

nendo consigli ed

eventualmente tera-

pie per i principali

sintomi collaterali, o

altrimenti sospen-

dendo il trattamento

e cambiando terapia

se questi sono mal

tollerati. Una partico-

lare attenzione deve

essere posta alla se-

quenza degli effetti

benefici del tratta-

mento depressivo:

può infatti accadere

che il miglioramento

della volontà e della psicomotricità preceda l’effetto sul tono

dell’umore. In questo caso l’umore rimane nero ma il pa-

ziente ha più voglia di fare, proprio in virtù del trattamento.

Si tratta di una condizione a rischio e degna di intensa atten-

zione clinica in quanto si possono mettere in atto azioni, per-

ché il farmaco ne dà la forza, influenzate però da un tono

dell’umore ancora basso, in quanto il farmaco ha bisogno di

un po’ di tempo ancora per agire sull’umore. Se il paziente

non è adeguatamente seguito in questo breve periodo, o non

sa chiedere aiuto, si possono verificare casi di auto aggres-

sività: si tratta comunque di una finestra temporale piutto-

sto breve che è a rischio limitato se c’è un buon funzionamen-

to della coppia paziente – terapeuta.

Una tematica piuttosto frequente è la durata del trattamen-to farmacologico. In genere si consiglia di mantenere la te-

rapia antidepressiva oltre il raggiungimento della guarigione

dai sintomi per un tempo che è proporzionale alla gravità

della sintomatologia ed alla storia di malattia: se infatti di fron-

te ad un primo episodio di media entità ci si potrà orientare

verso un trattamento di mantenimento di sei mesi, in caso di

depressioni gravi o che hanno già recidivato nel corso della

storia del paziente, sarà necessario orientarsi verso un pe-

riodo più lungo, di otto mesi, un anno, un anno e mezzo o

anche di più a seconda del caso. Questo tipo di scelta tera-

peutica si dimostra vincente nella maggior parte dei casi, an-

che se ad uno sguardo inesperto può sembrare inopportu-

na. Quando si pensa ad un trattamento così lungo, è sponta-

neo preoccuparsi delle limitazioni alla propria quotidianità che

dipendono dalla terapia. Per esempio, l’assunzione di alco-

lici è fortemente sconsigliata nel periodo di trattamento, sia

per una questione di effetto diretto dell’alcol sul sistema ner-

voso centrale, sia per le alterazioni dirette del funzionamen-

to epatico e indirette di quello pancreatico, o i profili di mal-

nutrizione che possono essere associati ai casi più gravi e che

possono alterare la funzionalità del farmaco peggiorando i sin-

tomi collaterali.

* Istituto di Psichiatria, Università di Bologna

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l’articolo prosegue nel prossimo numero

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Ogni anno,nel mondo,oltre un milione di persone muore per suicidio:tra queste,secondo le statistichedell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2004), almeno il 90% presenta uno o più disturbimentali. Il suicidio è particolarmente frequente nelle fasce estreme della popolazione,tra gli adolescentie gli anziani, ed è la terza causa di morte nella fascia d’età compresa tra i 15 ed i 44 anni.

Formazione di volontari eprevenzione del suicidio

egli ultimi 50 anni la frequenza dei suici-di a termine è aumentata del 60% (OMS,2004). I ricercatori ed i clinici sono peral-tro consapevoli che, nonostante l’allar-

me suscitato dalle statistiche, il fenomeno è ancora sot-tostimato: in questi dati, ad esempio, non vengono presiin esame i cosiddetti “suicidi mascherati”, e cioè quei de-cessi per incidenti stradali, overdose da sostanze, rifiuto dialimentarsi ed assumere farmaci di vitale importanza (un fe-nomeno, tipico degli anziani, conosciuto come “suicidal ero-sion”), etc., provocati volontariamente e classificati invececome morti accidentali. Se consideriamo inoltre che i ten-tativi di suicidio sono venti volte più frequenti dei suicidi atermine, e che il numero di suicidi è superiore nella popo-lazione anziana, ci rendiamo conto che i comportamenti an-ticonservativi rappresentano un importante problema per lasalute mentale e la sanità pubblica in generale. L’entità delproblema è destinata ad aumentare se non vengono mes-se in atto adeguate strategie di assistenza e prevenzione.Nessun decesso, in ambito medico, segna allo stesso mo-

do la vita di familiari, amici o conoscenti, consegnando allacomunità sociale intera sentimenti, spesso intollerabili, disofferenza, colpa, incredulità, rabbia e disperazione. L’assi-stenza medica pertanto dovrebbe proseguire anche dopola morte di un paziente, indirizzandosi ai “sopravvissuti” ecioè ai familiari che oltre a fattori di rischio ereditari, posso-no sviluppare un quadro depressivo secondario al lutto.Una parte rilevante del compito dello psichiatra, come del-lo psicoterapeuta, è di costruire una relazione terapeuticavalida, educare il paziente ad affrontare la propria malattiamodificando ove necessario lo stile di vita ed imparando ariconoscere i prodromi di una ricaduta depressiva o le pri-me avvisaglie di una fase euforica. Una buona consapevo-lezza di malattia è probabilmente il fattore prognostico piùfavorevole nel decorso di un disturbo mentale, consenten-do al medico di poter impiegare nel miglior modo possibilele strategie terapeutiche opportune.Nell’arco della vita il rischio di suicidio è maggiore du-rante il primo episodio di malattia, sia che si tratti di undisturbo dell’umore che di un disturbo psicotico. All’esor-

N

Formazione di volontari eprevenzione del suicidio

F. Casamassima*, L. Lattanzi*

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dio della sintomatologia depressiva, il paziente spesso nonè in grado di spiegarsi né di affrontare i cambiamenti indot-ti dalla malattia e gli stessi familiari sono impreparati a rico-noscerli ed interpretarli correttamente. L’individuo passa,più o meno rapidamente, da un normale livello di funziona-mento all’incapacità di gestione della propria attività lavo-rativa, alla perdita delle proprie attitudini ed abilità, al disin-teresse per il tempo libero. Tutto diventa difficile, faticoso,e perfino la frequentazione di familiari ed amici risulta tor-mentosa. Chi si sente privo di energie o motivazioni perce-pisce penosamente il lento trascorrere delle ore, la giorna-ta diventa senza fine e senza speranza, compaiono idee diautosvalutazione e rovina, ci si sente oppressi da sentimen-ti di colpa, incapacità, inadeguatezza. In molti casi il paziente non è consapevole di essere af-fetto da una malattia e quindi non manifesta una richie-sta diretta di cure mediche. Tuttavia cerca aiuto in mol-ti modi, diretti ed indiretti, rivolgendosi al sostegnodei familiari, ricercando il conforto di amici e cono-scenti. E’ auspicabile che le persone care, vivendo intornoal paziente, siano in grado di cogliere i primi indizi di una ri-caduta della malattia, di decodificare ed accogliere in modoappropriato queste richieste di aiuto e comprensione. Spes-so inoltre la necessità di inizia-re un trattamento spaventa ilpaziente, aggravando la visio-ne pessimistica del futuro, i vis-suti di colpa e di vergogna. E’in queste prime fasi di malattiache il supporto dei conoscentidiventa fondamentale, ancheper sostenerlo e rinforzarlo nelsuo desiderio di essere aiutatoe curato. Quando purtroppo ladepressione si intensifica finoalla comparsa di sentimenti didisperazione e angoscia quo-tidiani oppure si complica congravi sintomi somatici (inson-nia, rifiuto di alimentarsi, ten-sione interna) allora possonoinsorgere e maturare anche leidee di morte e di suicidio: aquesto punto il paziente spes-so non è più in grado di chiede-re aiuto o dispera di poterne ri-cevere alcuno.La facile accessibilità di un’as-sistenza sanitaria qualificata e tempestiva è un fattore cru-ciale nella prevenzione del rischio di suicidio.E’ fondamentale sapere dove ed a chi rivolgersi, in che mo-do contattare operatori competenti e raggiungere le strut-ture sanitarie in tempi rapidi. Anche banali impedimenti

come essere indirizzati da un centralinista ad un altro duran-te una chiamata telefonica, l’eccessiva distanza geograficadei servizi di pronto soccorso e/o lunghi tempi di attesaper le visite, la difficoltà di individuare una figura di riferimen-to nella presa in carico iniziale, possono scoraggiare ulterior-mente il paziente depresso, rallentato e demoralizzato, congravi deficit di concentrazione ed attenzione. Nella RegioneVeneto un semplice servizio di Tele-Help-Tele-Check (rispo-sta telefonica immediata alle richieste di aiuto, e controllotelefonico bisettimanale) attivato per una parte della popo-lazione anziana selezionata in base a fattori di rischio (con-dizioni di disabilità, isolamento sociale, malattia psichiatri-ca, scarsa aderenza ai regimi di trattamento ed in lista di at-tesa per l’ammissione ospedaliera o residenziale) si è dimo-strato significativamente efficace nella riduzione dei tassi disuicidio.Nell’ambito dei progetti patrocinati dalla Fondazione Idea laformazione di volontari che operino nel campo della preven-zione del rischio di suicidio potrebbe sicuramente avere ri-percussioni positive, anche nella prima assistenza a pazien-ti con storia di tentativi di suicidio o con fattori di rischio at-tuali. I volontari dovrebbero essere formati a riconoscere lesituazioni a rischio ed a fornire aiuto ai soggetti che si rivol-

gono al servizio di prima assi-stenza telefonica, indirizzando-li rapidamente alle strutture sa-nitarie più vicine. Le personeche manifestano idee di mortedevono essere innanzitutto ras-sicurate con competenza sullanatura dei loro problemi, esulla possibilità di risolverliquanto prima. Non va infinesottovaluta l’importanza dell’at-tività di informazione, oltre chedi formazione, svolta dalla fon-dazione Idea. Abbiamo già det-to che familiari, amici e colle-ghi di lavoro, se sono a co-noscenza delle problemati-che attinenti alla salute men-tale, sono le persone piùadatte ad identificare le ri-percussioni sul comporta-mento quotidiano di una sin-drome depressiva, i segnipremonitori di una ricadutaod a prevenirne le compli-

canze con un intervento precoce di sostegno ed indiriz-zo al medico curante.

* Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia,Biotecnologie dell’Università degli Studi di Pisa

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molto difficile spie-gare un disagio,quando accompa-gna la tua vita dasempre al punto

da farti sentire un’aliena e che indos-si come uno scomodo vestito, tantoche nemmeno ti accorgi che il suo tes-suto diventa la tua stessa pelle.Diciamo che “è” la tua persona, sen-za che tu riesca ad avere la consape-volezza che potresti essere altro.Questa è la mia esperienza, un disturbodell’umore ereditato (Ciclotimia), che inassenza di una diagnosi è diventato untratto distintivo del carattere di tutti quel-li che della mia famiglia ne soffrono.Da quando sono nata e per molti anni aseguire, ho vissuto in balia di stati eufo-rici alternati a crisi depressive, aggravatida comportamenti inadeguati e da unconsumo esagerato di tè (a nessun adul-to viene mai in mente che sia una bevan-da eccitante non adatta ai bambini). Sedovessi trovare una parola che possa sin-tetizzare quegli anni, direi che mi sentivo

in balia di una bufera, completamentesuccube dei suoi capricci. Direi che iltratto più invalidante di questo disa-gio per me è stata la sensibilità. Nonquella che rende le persone migliori, checerto non è patologica ma solo auspica-bile. Parlo invece di una sensibilità ri-dondante ad ogni stimolo esterno: odo-ri, suoni, alimenti, farmaci, variazioni cli-matiche, ecc., tutto ciò che riguarda i cin-que sensi ma anche la percezione delleemozioni.Quello che è più difficile da tollerare è lafrustrazione di non riuscire a spiegare chetu non senti ciò che non esiste e nem-meno esageri ma senti solo di più, comese avessi occhi ed orecchie enormi edun’anima fragile come quella che im-magini avere uno Scricciolo, tanto dadoverti proteggere anche dal salire suun mezzo pubblico per non fare tue lesofferenze dei passeggeri, o dalguardare un telegiornale o un filmdrammatico. Nella fase depressa, già a sei anni ero ter-rorizzata da ogni evento emozionale, al

Nel ringraziare la Sig.ra Laura, per la coinvolgente testimonianza, rinnoviamo l’invito a tutti i nostri gentili lettori ad inviarciarticoli e testimonianze, personali o dei propri cari, affinché l’esperienza di chi ha sofferto possa essere di aiuto ad altri.

punto da dormire in stato di rigidità mu-scolare e completamente coperta perproteggermi dai mostri che dominavanoi miei pensieri. Avevo inoltre costante-mente bisogno di aggrapparmi a qualcu-no per sopravvivere ai continui desideridi morte che mi coglievano soprattutto alrisveglio, quale unica soluzione alle sof-ferenze del mondo.Nella fase euforica invece, è come do-vessi costantemente lottare contro unvento fortissimo. Pensieri geniali e crea-tivi invadevano la mia mente svegliando-mi in piena notte, ma ero impossibilitataa utilizzarli in alcun modo a mio favore, acausa della velocità di scorrimento di que-sto inesorabile fiume di acuti concetti. Inquei momenti ero anche iperattiva.Correvo per ore e non riuscivo a concen-trarmi su nulla, se non per pochi istanti,per poi ritrovarmi esausta. La mattina alrisveglio ero già affaticata come dopo unagiornata di duro lavoro. Questo e moltoaltro, ha avuto gravi conseguenze sullamia vita fino ad oggi. Quando ho decisoa vent’anni di intraprendere la psicotera-

E’

Testimonianza

Laura Garampazzi

Un alienoaddosso

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pia, potevo vantare problemi di ogni ge-nere e tipo: di relazione, scolastici, lavo-rativi, sessuali, di salute ecc… Ma la co-sa peggiore, è che non avendo consa-pevolezza di quale fosse la causa deimiei problemi, me ne sono totalmen-te addossata la colpa, alimentandoin me e negli altri sentimenti di tota-le disistima, impedendo a chiunque diprendersi cura di me e assumendo atratti comportamenti autolesivi (perfortuna con conseguenze non irrime-diabili). Speravo che la psicotera-pia mi sollevasse da questopeso, imputando i miei li-miti a fattori ambientali,a influenze familiari ecc. ein effetti in parte è statocosì ma non per tutto. Il lavoro di analisi è servi-to a ristrutturare un “Io”molto fragile e ad appren-dere in ambiente protetto un modoper comunicare con la realtà esterna.Diciamo, dopo vent’anni di lavoro,che mi ha tutelata dal fare sciocchez-ze quali il porre fine alla mia vita,che mi ha permesso di trovare unmodo per convivere con questostrano modo di sentire la realtà edi smussare o risolvere buona par-te dei miei problemi, tranne quellodell’autonomia. Dopo numerosi fal-limenti in campo lavorativo, sono riu-scita a inventarmi un’attività creativa acontatto con i bambini, dove la mia insta-bile modalità non venisse notata (lavoran-do a progetto mi è stato possibile recu-perare le assenze accumulate nelle fasidi depressione), permettendomi di man-tenere il lavoro per più di otto mesi mapurtroppo non è sufficiente. Ed è stata proprio l’inevitabile frustrazio-ne di non riuscire mai a raggiungere unastabilità lavorativa tale da garantirmiun’autonomia economica e personale, ali-mentata anche da un peggioramento di

alcuni dei miei disturbi, che mi ha spintoa cercare ancora risposte. Volevo qualco-sa che nemmeno io comprendevo; soloora, ascoltando la sensazione dipace che provo mentre ri-porto questa testimo-nianza, sento di averraggiunto ciòche cercavo.

Infatti pochimesi fa, all’età di quaranta-

cinque anni e sollecitata da una preziosaamica , m i sono reca ta p resso l aFondazione Idea di Milano per sottopormiad una visita psichiatrica con la dott.saElena Di Nasso, che ancora oggi ringra-zio per la sua umanità e sensibilità e in so-le due sedute ho avuto quello che proba-bilmente fino ad allora non ero pronta aricevere: una diagnosi precisa e utili stru-menti per la gestione del mio malessere.Non è stato facile vincere il pregiudizio dientrare in un reparto psichiatrico, la pau-

ra di essere “imbottita” di farmaci e quin-di di perdere il controllo di me stessa, sen-za contare che dopo la diagnosi lo statodepressivo sembrava di molto peggio-rato, a causa delle mie difficoltà ad accet-tare l’etichetta di “malata”. È qui che con-ta la capacità di un medico e delle figuredi contorno di tranquillizzare una perso-na il cui sentire è comunque in “ecces-so”, fortunatamente le mie paure sonorisultate infondate. Grazie poi ad una psicoterapia comporta-mentale, a internet e alle preziose lettu-

re consigliatemi dalla dott.saDi Nasso, ho iniziato un

processo di scoperta e“addomesticamento”, riu-

scendo a limitare di molto idanni legati alla Ciclotimia,

sforzandomi di utilizzare inve-ce le sue preziose risorse crea-

tive nel migliore dei modi.All’interno dell’Associazione Idea ho

trovato la competenza, il sostegno eil conforto che mi hanno permesso diuscire dall’isolamento forzato in cui spes-so si auto-relega chi come me ha una vi-sione ridondante della realtà e quindi diritrovare la dignità e il rispetto della miapersona, liberandomi completamente daisensi di colpa. I gruppi di AUTO-AIUTO,il numero verde sempre disponibileper le emergenze e il supporto dei vo-lontari, sono una risorsa di umanitàindispensabile in questo momento sto-rico dove il disagio psichico sta diventan-do troppo “di moda” e per finire, non èdescrivibile il sollievo che persone comeme possono provare nel sapere di potercontare su tali risorse. Perché questo li-bera noi, dal ruolo di aguzzini sempre bi-sognosi del supporto di amici e parenti eloro, da quello di consiglieri/salvato-ri, che se pur dotati delle migliori in-tenzioni, non sempre hanno la pazien-za e gli strumenti adeguati per condi-videre e comprendere i nostri disagi.

Chi è Laura? Una giovane signora che vive a Villasanta, vicino a Monza, e lavora a progetto comeanimatore per il canto nell’infanzia. Nel tempo libero, Laura ama disegnare: le due immagini inseriteall’interno della testimonianza, sono di sua creazione. Se siete interessati a vedere altre sue opere,potete contattarla direttamente al sito www.lauragarampazzi.it.

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IDEA in TVDa Bologna

La Fondazione IDEA ha partecipato alla trasmissione DEDALUS sull’emittente “è Tv” presentenella Regione Emilia Romagna e Marche e che tratta settimanalmente di problemi di importanza

sociale e di interesse diffuso. La serata del 30 Novembre è stata dedicata alla depressione. Alla trasmissione, oltre alla responsabile di IDEA Bologna Dott.sa Maria Maddalena Fiordiliso Grimaldi, hanno partecipa-to un medico psichiatra volontario il Dott. Giovanni De Girolamo, una volontaria la Prof. Mirella Falconi ed il sig. PierinoPoli, un fruitore dei gruppi di auto aiuto. Nel corso della trasmissione gli interventi sono stati preceduti da alcune proiezioniottenute da un film di montaggio che il Prof. Giacomo Manzoli, titolare della cattedra di cinematografia presso il DAMS di Bo-logna, ha realizzato per IDEA. La Dott. ssa Fiordiliso ha illustrato l’attività di IDEA a livello locale e nazionale descrivendo i di-versi settori di attività che compren-dono il servizio di risposta telefoni-ca, i gruppi di auto aiuto, le campa-gne di sensibilizzazione e l’impor-tanza della prevenzione e della ricer-ca scientifica. Ha inoltre inquadra-to il ruolo di IDEA a supporto delServizio Sanitario Nazionale e Re-gionale per raggiungere i pazienti eper indirizzarli alle strutture pubbli-che. Durante l’esposizione laDott.sa Fiordiliso ha evidenziatol’alta professionalità che caratteriz-za tutte le attività di IDEA, sottoline-ando come i volontari si debbanoformare con corsi organizzati nellediverse sedi nazionali per acquisirele conoscenze ed il rigore metodo-logico necessari per svolgere que-sto tipo di attività di volontariato. Il Dott. De Girolamo ha descritto esaurientemente le manifestazioni più frequenti della malattia inquadrandola sotto un pre-ciso profilo clinico - scientifico e delineando i principali approcci terapeutici. La volontaria Falconi ha, infine, esposto il ruo-lo della ricerca scientifica per una sempre più precisa conoscenza di questa patologia, evidenziando i programmi scientifici so-stenuti dalla fondazione IDEA, coordinati a livello nazionale dal Prof. Cassano di Pisa, uno dei massimi esperti del settore a li-vello mondiale. Molto vivace e convincente è stato l’intervento del fruitore, sig. Poli, che ha illustrato il suo percorso all’in-terno del gruppo dove era arrivato privo di entusiasmo e dove ha ritrovato la voglia di vivere. Attualmente gestisce una pic-

cola attività imprenditoriale ed ha confermato di avere in IDEA unimportante punto di riferimento. La trasmissione è andata in on-da in diretta ed è stata condotta con grande professionalità dalDott. Spada che, con domande puntuali ed assolutamente per-tinenti, ha contribuito a chiarire molti aspetti sull’organizzazionee sulle modalità operative di IDEA.È stato così possibile fornire agli ascoltatori strumenti concreticon cui potersi rapportare nel caso in cui si potesse essere coin-volti o si dovesse affrontare il medesimo problema con parentied amici affetti da questo male. La trasmissione è stata ripropo-sta anche nei giorni successivi e i numerosi riscontri a livello per-sonale dei partecipanti e soprattutto le numerose telefonate allasede di Bologna, ne hanno dimostrato il successo.

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Da Brescia

A partire dallo scorso mese di novembre, fino a Natale, la Dott.sa TeresitaFrerotti, responsabile della sede di Brescia, è stata ospite settimanalmente di“Teletutto”, emittente televisiva locale, all’interno di un programma dal titolo“Con te in famiglia”.Idea Brescia è stata scelta come gruppo di volontariato che opera sul territorio,per presentare l’importante progetto in corso di realizzazione, il “ProgettoScuola”. Esso si articolerà nel corso dell’anno scolastico, in una serie di incontri

condotti da medicid e l l a C l i n i c aPsichiatrica dell’Università di Pisa con studenti e docenti degli IstitutiSuperiori della città, volti a fornire informazioni sui principali sintomidi ansia e depressione e sulle possibili tecniche per affrontarli. L’iniziativa ha lo scopo principale di sensibilizzare i giovani e i docentisull’importanza di non sottovalutare e riconoscere per tempodeterminati sintomi che, così come dimostrano studi scientifici,sono spesso espressione iniziale di disturbi dell’umore che simanifestano in età adulta.

Da Milano

Il 30 Novembre scorso Idea è stata invitata a par-

tecipare alla trasmissione televisiva di Rai 3 “Co-

minciamo Bene”, la cui puntata era incentrata sui disturbi di depressione e

di ansia. Ospite principale della trasmissione, il Prof. Giovanni Battista

Cassano, che ha efficace-

mente illustrato ai presen-

ti le caratteristiche delle

più comuni forme di an-

sia e depressione e dei più

recenti approcci terapeutici e farmacologici. Nel corso della puntata è sta-

to riservato ampio spazio ad Idea, attraverso la partecipazione di un nostro

volontario di Milano che, oltre ad illustrare al pubblico l’attività della fonda-

zione, ha voluto riportare la sua personale testimonianza. Il sig. Fosco

Baronti, intervistato dal conduttore, ha raccontato la sua lunga lotta contro

la depressione e come, rivolgendosi alla nostra sede di Milano, abbia trova-

to aiuto e consigli per affrontare adeguatamente la malattia ed un utile punto di riferimento nella ricerca della struttura medi-

ca competente a cui rivolgersi. Egli ha inoltre dedicato alcune parole all’importante ruolo che, nel suo percorso di guari-

gione, ha avuto la partecipazione ai Gruppi di Auto Aiuto organizzati all’interno della fondazione; oggi Fosco è guarito e si

dedica completamente al volontariato in un ruolo tra i più rilevanti, colonna portante della sede di Milano, gestisce e sup-

porta le attività

quotidiane del-

l ’ A m b u l a t o r i o

presso l’Ospedale

Fatebenefratelli.

Grazie Fosco!

IDEA in TV

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Milano

Lo scorso 11 dicembre, Idea Milano ha organizzato una cena disaluto pre-natalizio fra tutti i volontari che operano generosamente-

per la fondazione. La serata haavuto luogo in una pittorescacantina della vecchia Milanoed è stata un’occasione di ap-profondimento delle singole re-altà vissute tra i vari gruppi di au-to aiuto e motivo di ulteriore ag-gregazione fra tutti. La Dott.aElena Di Nasso è intervenutaalla cena riscuotendo comesempre una calda accoglienzada parte di tutti i volontari che, ancora una volta, hanno voluto ringra-ziarla della sua preziosa disponibilità e collaborazione. Grazie Elena!

Napoli

Sabato 17 Novembre u.s. si è svolta a Napoli in Piazza Vanvitelli n°5 nella sala teatro dell’Associazione Humaniter, la conferenza “LaDepressione dell’anziano”.Il moderatore, Dott. ssa Marina Melongni (Presidente Humaniter),dopo una breve introduzione sul ciclo di conferenze dedicato allaprevenzione, ha introdotto il Sig. Giuseppe Manetti, responsabiledella Fondazione IDEA Napoli, ai numerosi ospiti presenti all’occa-sione. Il sig. Manetti ha fatto una breve presentazione della Fonda-zione, dei suoi scopi ed obiettivi; in seguito, il Prof. Andrea Fioril-lo (Dipartimento di Psichiatra II dell’Università di Napoli SUN), haesposto la sua relazione sui disturbi di depressione nell’anziano. Siala presentazione che la relazione sono state seguite con estremo in-teresse, suscitando alla fine degli interventi numerose domande, che hanno dato luogo ad un lungo ed animato dibattito.

Notizie dal Mondo

Fosco, Luciana e Rita

Bologna

Il giorno 7 Febbraio, presso l’Accademia delle Scienze dell’Uni-versità di Bologna, si e svolta una conferenza dal titolo “La salutedelle donne in Italia”. La conferenza, organizzata dall’AdDu (As-sociazione delle docenti universitarie) e presieduta dalla Prof. Car-la Faralli e dalla Dott. Maria Maddalena Fiordiliso, responsabi-le della sede IDEA di Bologna, ha visto la partecipazione del Prof.Mauro Mauri, psichiatra dell’Università di Pisa e volontario di IDEAe della Prof. sa Maria Paola Landini, docente di Microbiologiapresso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo Bolognese

e membro del Consiglio Superiore di Sanità. La giornata era dedicata ad illustrare il quadro nazionale sulla salute della don-na; la prof. Landini ha illustrato l’andamento di molte patologie di rilevanza sociale ed ha confrontato l’incidenza delle diversemalattie tra gli uomini e le donne nelle diverse regioni italiane. Il Prof. Mauri ha poi parlato, in maniera più specifica, della de-pressione nella donna e di come essa si possa manifestare in particolari fasi della vita femminile come l’adolescenza, la gra-vidanza o il post partum e la menopausa. Gli interventi di entrambi i relatori, per la ricchezza dei contenuti scientifici abbina-ti alla brillante esposizione, hanno suscitato grande interesse da parte di tutti i partecipanti.

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Trieste

Idea Trieste ha organizzato lo scorso 14 Dicembre una cena sociale alristorante “Duchi d’Aosta”. La serata ha visto la gradita presenza del-l’avvocato Sergio Camerino, Presidente di IDEA, del Prof. Agugliae della responsabile delle sede di Trieste, Dott.a Fabienne Mizrahi. IlPresidente Camerino ha aperto la serata rivolgendo un saluto a tutti ipresenti e ringraziando tutti i volontari per il loro costante impegno, men-

tre il Prof. Agu-glia ha parlato inmodo specificode l nuc leo d iTr ieste, da l lasua nascita fino ad oggi. La cena si è rivelata molto piacevole e si èconclusa con una lotteria: in palio, un quadro regalato gentilmente allafondazione da una giovane artista, Chiara Tesser che ringraziamo.

Genova

Seicento persone sono intervenute, lo scorso 6 Novembre,all’anteprima nazionale dello spettacolo di clownerie "La ve-rità è un limone" di Selene Gandini, con la collaborazione stra-ordinaria di Giorgio Albertazzi, che l’autrice genovese ha voluto “regalare” aIDEA Genova. L'incasso della serata è stato interamente devoluto al Centro Idea,attivo dal 2003 presso l'Ospedale San Martino. Tema dello spettacolo “La veri-tà è un limone” è l’utilizzo della creatività e della fantasia come strumento per ela-borare una realtà familiare difficile e giungere ad accettarla sul piano razionale. Sul-la scena, il clown interagisce con un bambino, con alcuni personaggi immaginari,con l'Interlocutore (cui Giorgio Albertazzi ha generosamente prestato la voce) e conalcune figure femminili che chia-riranno quale sia la realtà da cuitutto si muove, fino a ricompor-la e accettarla. Un teatro so-stanzialmente inedito in Italia che

lascia spazio allo spettatore per le proprie interpretazioni e che si sviluppaattraverso una singolare commistione di arti e suggestioni. La clownerie èuna full immersion non solo nel gioco teatrale ma anche nel quotidiano guaz-zabuglio della comunicazione, dei linguaggi verbali e non verbali, di una pa-rola inventata sul momento. Consente a volte agli artisti di riuscire a dire e,per gli spettatori, di riconoscere, quello che non si è mai saputo di sapere.I registi comici stimolano comunque alla riflessione. Per meglio raccontarela serata ed il clima in cui si è svolta, di seguito riportiamo la testimonianza raccolta, a distanza di alcune settimane, da parte diuna spettatrice: “Per me l’invito ad assistere a questo spettacolo ha segnato un momento di svolta importante. Ho più di cin-quant’ anni e ho sempre trovato difficile riconoscere di essere malata. Sentivo parlare di depressione e rifiutavo l’idea. Lo scor-so 6 Novembre vado a questo spettacolo: ho riso e pianto, mi sono un po’ riconosciuta nella continua ridefinizione della realtàche il clown faceva, sia pure in modo paradossale, per poter sopravvivere ai propri problemi. All’inizio dello spettacolo il presen-tatore, conosciuto a Genova come persona molto brillante, e una delle ospiti, un’esponente politica, hanno parlato della propriaesperienza di depressione, in modo semplice e sincero. Questo e gli interventi della signora Bonsignore, che ha parlato di IDEAa Genova, e del Prof. Maura mi hanno aperto una nuova prospettiva. Ho provato sollievo, mi sono vergognata della mia vergo-gna, ho riconosciuto il mio problema ma ho anche capito che esistono gli strumenti per affrontarlo. Grazie, IDEA (Giusi R.)”

Notizie dal Mondo

Prof Aguglia Avv. CamerinoAvv. Camerino

Giorgio Albertazzi

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Lavori in corso

Nucleo di Bologna

Seminario di aggiornamento per facilitatori dei gruppi di auto aiuto, al quale parteciperanno i seguenti relatori: Prof.saEllen Frank, Prof. G. De Girolamo, Prof. G.B. Ceroni, Dott.sa. R. Necci, Prof. D. Berardi, Dott. sa Paola Rucci, Prof.saDiana De Ronchi e Prof. A. Fioritti (13 Marzo presso la Casa de Cervantes, Via Collegio di Spagna n. 4/A)

Proiezione di un film di montaggio curato dal prof. Giacomo Manzoli, nell’ambito del Progetto Scuola.(18 Marzo 2008 al Liceo San Luigi)

Conferenza dal titolo “Donne e depressione, facciamocene un’IDEA”, nell’ambito di un ciclo di conferenze daltitolo “DONNA, SOCIETA’ E UNIVERSITA’” organizzate dall’Università degli Studi di Bologna - Polo ScientificoDidattico di Rimini e dalla Provincia di Rimini. Relatori: Prof. A. Tundo, Dott.a Maria Maddalena Fiordiliso.(7 Aprile 2008 ore 16 presso le aule del Polo Scientifico Didattico di Rimini)

Gara di golf (12 Aprile - Golf Club “Le Fonti”, Castel San Pietro Terme)

Asta dei vini presso il Museo d’Arte Moderna di Bologna - Mambo, via Don Minzoni 14 (9 Maggio ore 14-23).

Nucleo di Brescia

Progetto Scuola (Anno accademico 2007-2008)

Nucleo di Genova

Corso di formazione per i volontari del Centro di Ascolto, coordinato dalla dott.a Ingrid Scofone, pressola sede di IDEA Genova, P.zza Stella 5/4 (a partire da Marzo).

Corso di formazione per Volontari Ospedalieri Psichiatrici presso la Sala riunioni dell’AmbulatorioIDEA. I volontari così formati potranno entrare in attività presso l’Ospedale Gaslini, il SPDC dell’OspedaleSan Martino e/o in altre Strutture (a partire da Aprile).

Ciclo di conversazioni nelle TV locali in cui si avvicenderanno i vari componenti di IDEA Genova.

Torneo di bridge e burraco nella sede del Park Tennis Genova (Primavera 2008)

Manifestazioni per la celebrazione del decennale di IDEA Genova (Maggio-Settembre 2008)

Nucleo di Milano

Conferenze sul tema “Progetto IDEA Donna” (2008-2009)

Ciclo di conferenze nelle scuole secondarie della città per la prevenzione dei disturbi dell’alimentazione edelle dipendenze (2008-2009)

Nucleo di Roma

Riunione con i facilitatori, i partecipanti ai GAA e i loro familiari sul tema “La psicoterapia cognitivo-comportamentale nei disturbi bipolari” - Dott.sa Loretta Salvati (Marzo 2008)

Riunione con i faci l i tator i , i partecipanti a i GAA e i loro famil iar i sul tema “Trattamenti nonfarmacologici della depressione””- Dott.a Fulvia Marchetti (Maggio 2008)

Corso per volontari e facilitatori GAA-Idea – Fondazione IDEA - Università Tor Vergata (Primavera 2008)

Progetto TENDER TO NAVE Italia, in collaborazione con Idea Bologna (Luglio 2008)

Nucleo di Trieste

"Ethos, il posto da vivere" Per stare insieme e contrastare la depressione. Incontro pubblico intervengono dott.Roberto Lionetti (Istituto Scienze sociali Ispes) Fabienne Mizrahi (Fondazione Idea), con il sostegno della RegioneFriuli Venezia Giulia e ANC Associazione Nazionale Carabinieri (26 gennaio ore 15.00 via Fontanot a Monfalcone).Seguiranno circa 5 altre conferenze all'interno del progetto gestite da Fondazione Idea Trieste.

Mostra fotografica dal titolo “Le nostre foto più belle” tratte dai viaggi e dalle gite IDEA (Estate 2008)

informazioni sulle prossime iniziative dei nuclei locali

per maggiori informazioni consultare il sito “www.fondazioneidea.it” cliccando su “NUCLEI LOCALI di IDEA”

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Direttore responsabileRoberto Bianchin

Comitato di redazioneAntonio Tundo, Paolo Cioni, Enrico Poli

Coordinamento grafico/editorialeZAP srl - Roma

PresidenteSergio Camerino

TesoriereCarla Ceppi

Nucleo Bologna • Via Barberia 18 - 40123 Bologna

Nucleo Brescia • Via Cimabue 16 - 25134 Brescia

Nucleo Genova • Piazza Stella 5/4 - 16123 Genova

Nucleo Macerata • Via Gramsci 30 - 62100 Macerata

Nucleo Napoli • V.le Cavalleggeri d’Aosta 119 - 80124 Napoli

Nucleo Roma

Nucleo Trieste • Via Don Minzoni 5 - 34124 Trieste

“IDEArisponde…”IDEArisponde: un servizio al paziente e alla sua famiglia. Un gruppo di volontari, che hanno seguito un apposito corso di

formazione, risponde alle telefonate dei pazienti e dei loro familiari per dare ascolto, conforto, consiglio, informazioni.IDEArisponde, in diretta:

Milano (Dal Lunedì al Venerdì ore 9-18) 02 80.58.18.66

Roma (Dal Lunedì al Venerdì ore 15.30-19) 06 48.55.83

Bologna (Dal Lunedì al Mercoledì 16-19, Giovedì e Venerdì 10-13) 051 64.47.124

Genova (Lunedì e Mercoledì 16-18, Martedì e Giovedì 10-12) 010 24.76.402

Trieste (Lunedì e Giovedì 10-12, Martedì e Mercoledì 15-18,Venerdì 16-18) 040 31.43.68

Brescia (Martedì e Giovedì 15-18) 030 23.00.196

Napoli (Lunedì e Venerdì 16,30-18,30) 081 57.84.622

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