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Enpap La previdenza degli Psicologi Dieci anni di riflessioni, proposte e iniziative Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale 70% - Anno X - Supplemento al n. 26 - Marzo 2009 ENTE NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA PER GLI PSICOLOGI

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ENTE NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA PER GLI PSICOLOGI

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Direttore ResponsabileDemetrio Houlis

Comitato di redazioneAngelo Arcicasa, Antonio Azzolini,Stefano Crispino, Demetrio Houlis,Domenico Mastroscusa,Emanuele Morozzo della Rocca, Massimo Muzzin, Mario Rossini,Letizia Serra, Laura Lulli (segretaria di redazione)

RegistrazioneTribunale di Roma, n° 354/2000

Redazionevia Andrea Cesalpino, 1 00161 Romatel. 06 9774861fax 06 [email protected]

StampaEdigraf Editoriale Grafica Roma - via G. Mameli, 28

Finito di stampareAprile 2009

Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamentopostale 70% - Roma

Notiziario Enpapperiodico dell’Ente Nazionaledi Previdenza ed Assistenza per gli Psicologi

Pubblicazione inviata gratuitamente a tutte le psicologhe e a tutti gli psicologi iscritti all’Ente

IN COPERTINA: Tetradramma di Agrigento (472-420 a.C.)AL DRITTO: l’aquila stante a sinistra, simbolo di Zeus.AL ROVESCIO: un granchio, simbolo del fiume nei pressi del giardino della Kolympetra d’Agrigento.

SommarioSostenibilità economica e sostenibilità sociale del sistema previdenzialeIl significato e l’attività del nostro Ente di previdenza 7Prepariamoci agli impegni del prossimo autunno 8Cambiare il sistema di calcolo delle pensioni 9Una riforma delle pensioni che riconosca i diritti degli Psicologi 10Il paradosso del sistema contributivo 13Decennale Enti D.lgs. n. 103/96 - Contributivo: vincoli e opportunità 16Prospettive di riassetto normativo e regolamentare dell’Enpap 23L’adeguatezza delle prestazioni pensionistiche nei sistemidi primo pilastro contributivo 28

Gestione finanziaria delle risorseInvestire sul futuro 43Le strategie e le regole di un investimento finanziario efficiente 47La rivalutazione dei montanti contributivi degli iscritti 52La consulenza strategica per la gestione del portafoglio finanziario dell’Ente 53La responsabilità sociale dell’investitore istituzionale italiano 55Il quadro della situazione finanziaria dell’Ente e le prospettive future 58Perché investire nei settori socialmente responsabili 60Kahneman, psicologo da Nobel 62

Assistenza e sviluppo della professionePrevidenza e professione 73New economy e professioni intellettuali: quale rapporto, quali sinergie? 74Al via l’assistenza e non solo 78Operativa l’assistenza a favore dei colleghi 79Che cosa fa l’Enpap per i colleghi 80L’AdEPP: le sinergie tra le professioni e la previdenza 82Intervista al prof. Giovanni Geroldi 84

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Nei dieci anni che sono trascorsi si è sviluppata, all’interno dell’Enpap, una approfondita

riflessione sui temi intorno ai quali si articola oggi il dibattito sulla previdenza in Italia:

• sostenibilità economica e sostenibilità sociale del sistema previdenziale, ovvero scarsa entità delle

pensioni;

• gestione finanziaria delle risorse accumulate;

• integrazione tra sistema previdenziale e assistenziale e sviluppo della professione.

Per progredire in queste riflessioni, che peraltro non hanno mai avuto solo finalità accademiche ma

piuttosto precisi obiettivi operativi, pensiamo di fare cosa utile, in particolare agli iscritti, nel forni-

re una raccolta di alcuni tra i più significativi articoli comparsi sul Notiziario Enpap nel corso dei

dieci anni trascorsi.

Si tratta di editoriali, in cui si è anche voluto mantenere qualche richiamo e fatti concreti di attualità

per rimarcare il trascorrere del tempo, di articoli di consulenti e colleghi e di pezzi redazionali.

In tal modo si è voluto non solo e non tanto individuare gli obiettivi raggiunti, quanto piuttosto

descrivere il percorso che si è seguito che, in una materia di tale complessità, è tutt’altro irrilevan-

te. Infatti, in momenti di crisi è facile riproporre, come innovative, ipotesi che nel passato erano già

state perseguite e poi abbandonate per la loro inefficienza o, anche, perché semplicemente inadatte

al perseguimento dell’obiettivo.

Ovvero, per altro verso, può essere opportuno recuperare certe riflessioni che oggi, in ragione di

tempi mutati, potrebbero essere utili allo sviluppo dell’attività.

Nella prima parte – Sostenibilità economica e sostenibilità sociale del sistema previden-ziale – sono stati inseriti alcuni pezzi che, a partire dal 2001, descrivono il percorso che si

è seguito.

Dalle prime annotazioni riguardanti le incongruenze del sistema di calcolo contributivo, varato alcu-

ni anni prima della legge di riforma complessiva del sistema previdenziale italiano, alle successive

sempre più marcate sollecitazioni riguardanti la necessità di una revisione del sistema che tenga

conto di quella che, con termine indovinato, abbiamo denominato sostenibilità sociale del sistema

previdenziale, per sottolinearne la complementarietà con il tema della sostenibilità economica trat-

tato con grande frequenza da esperti e commentatori.

Si è anche ritenuto utile riproporre due approfondimenti, realizzati dal prof. Pasquale Sandulli e dal

prof. Angelo Marano, che analizzano da un punto di vista giuridico ed economico le caratteristiche

del sistema con particolare riferimento al caso del nostro Ente di previdenza.

Nella seconda parte – Gestione finanziaria delle risorse – si è voluto ripercorrere il percorso segui-

to in questi anni dall’Enpap che, attraverso l’impegno e le elaborazioni del Consiglio di indirizzo

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generale e del Consiglio di amministrazione, ha sviluppato una approfondita riflessione sulle strate-gie da seguire per ottenere i migliori risultati nel campo della gestione delle risorse finanziarie.Vengono riproposte sia la strategia a Benchmark inizialmente utilizzata, basata sul principio che ilmercato comunque avrebbe premiato l’investitore, sia quella attualmente praticata del c.d. Core-Satellite. Come pure viene descritta l’attuale allocazione del patrimonio dell’Ente.Senza volermi dilungare in queste righe nella descrizione di dette strategie che, peraltro, sono chia-ramente enunciate negli articoli dei consulenti (Progetica e Prometeia), è interessante notare comemolti modelli economici e finanziari in questi ultimissimi anni abbiano mostrato una inadeguatezzapreoccupante nel descrivere situazioni e fornire strumenti.Da ciò l’idea di offrire due spunti di riflessione che però sono, a mio avviso, anche due indirizzi daseguire.Il primo riguarda il recupero della dimensione etica in campo economico e finanziario che può esse-re realizzato anche attraverso gli investimenti in settori socialmente responsabili che l’Enpap da anniormai sta praticando.Il secondo attiene la psicologia applicata all’economia e alla finanza che, oltre a fornire un’im-portante settore di crescita per la professione, può contribuire a ridurre approcci, in campo eco-nomico e finanziario, esclusivamente speculativi e disancorati dal reale sviluppo della società edelle persone.

Nella terza parte – Assistenza e sviluppo della professione – si è voluto evidenziare il tema deglistrumenti di cui la professione si può dotare per migliorare le proprie condizioni. Strumenti di tipo assistenziale che, attraverso l’elemento solidaristico, tutelino chi si trova in condi-zioni di bisogno. Strumenti di tipo conoscitivo e associativo che permettano alla professione, e quin-di a ognuno di noi, di radicarsi in modo produttivo nel tessuto sociale.Gli interventi del prof. Prandstaller e dell’avv. de Tilla danno, in tal senso, un’importante con-tributo.

Desidero, infine, ringraziare tutti i colleghi che nel corso degli anni con il loro pensiero e laloro attività hanno reso possibile lo sviluppo dell’Enpap, che è ormai una struttura consoli-data ed efficiente, e, da ultimo, coloro i quali hanno contribuito alla redazione di questo testo

certo non esaustivo ma utile a capire la nostra storia.

Roma, marzo 2009

Il Presidentedott. Demetrio Houlis

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SOSTENIBILITÀ ECONOMICAE SOSTENIBILITÀ SOCIALE

DEL SISTEMA PREVIDENZIALE

Indice prima parte

– Il significato e l’attività del nostro Ente di previdenza............................................................ 7

– Prepariamoci agli impegni del prossimo autunno .................................................................. 8

– Cambiare il sistema di calcolo delle pensioni.......................................................................... 9

– Una riforma delle pensioni che riconosca i diritti degli Psicologi .......................................... 10

– Il paradosso del sistema contributivo ...................................................................................... 13

– Decennale Enti D.lgs. n. 103/96 - Contributivo: vincoli e opportunità ................................ 16

– Prospettive di riassetto normativo e regolamentare dell’Enpap .............................................. 23

– L’adeguatezza delle prestazioni pensionistiche nei sistemi di primo pilastro contributivo .. 28

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Il significato e l’attivitàdel nostro Ente di previdenza

*

Sono passati quasi cinque anni da quando ilnostro Ente di previdenza ha iniziato a svolge-re la propria attività a favore della professione

e, dopo i primi impegnativi e difficili momenti lega-ti all’avvio dal nulla di una complessa realtà orga-nizzativa e amministrativa, si è gradualmente passa-ti alla situazione attuale, in cui vengono gestite, conun buon livello di efficienza, le posizioni di oltre17.000 colleghi, sono erogate annualmente circa350 indennità di maternità e amministrato un patri-monio di circa centoventi milioni di euro.Abbiamo anche iniziato a pagare le prime pensioni(invero di entità molto contenuta a causa del ridottoperiodo di contribuzione) a testimonianza però delfatto che l’iniziale periodo della vita dell’Ente si èconcluso e che ormai si è entrati in una fase di ordi-naria amministrazione.Per avviarci però senza indecisioni in una periodo incui la previdenza e l’ENPAP non sono più elementisconosciuti o non considerati della nostra attivitàprofessionale, è necessario chiudere un capitolo alcui interno ci sono anche i piccoli o grandi errori oinadempienze commessi dagli iscritti. Regolarizzarele posizioni di tutti i colleghi è quindi un’esigenzaimprocrastinabile per tutti.

Da qui la decisione di deliberare un provvedimentodi Sanatoria che, con l’approvazione dei Ministerivigilanti (Ministero del Lavoro e Ministerodell’Economia) è entrato nella sua fase operativa edha come scadenza il 30 dicembre 2002.Vogliamo immediatamente chiarire che non si trattadi una cancellazione generalizzata dei debiti del pas-sato ma, più precisamente, di una sostanziale ridu-zione del sistema sanzionatorio ordinario per con-sentire ai colleghi di versare i contributi dovuti e,quindi, arricchire la propria posizione previdenzialedi quelle somme che costituiranno la base per lafutura pensione.

È doveroso anche sottolineare che conclusa questafase l’Ente avvierà tutte le procedure necessarie peracquisire comunque gli importi dovuti, in ossequio aprincipi di equità e rispetto nei confronti di coloroche adempiono correttamente a impegni e scadenze.

Aquesto punto però vorrei far emergere il fattoche l’esistenza dell’ENPAP non può basarsiesclusivamente su concetti legati a doveri e

obblighi. Essi sono certamente indispensabili sulpiano giuridico ma non possono rappresentare l’ele-mento vitale che fa crescere in modo sano il nostroEnte di previdenza.Senso di appartenenza, di solidarietà e di assistenzareciproca, rappresentano quel qualcosa in più chedobbiamo evidenziare, far riconoscere e radicare neinostri comportamenti.Il contributo previdenziale non va perciò considera-to come un’ennesima tassa da pagare, senza capirneil senso, ma il tassello che sistematicamente oggiponiamo per costruirci domani la possibilità di unapensione.Il fatto poi che questo avvenga attraverso uno stru-mento che la categoria, con il suo lavoro, è riuscitaa costruire, rappresenta un fattore sulla cui impor-tanza è opportuno spendere qualche ulteriore parola.

La previdenza degli psicologi governata dagli psico-logi è una parola d’ordine di cui ora stiamo coglien-do appieno il valore, nel momento cioè in cui si stan-no affrontando i complessi nodi della previdenza nelnostro Paese.Il rischio di essere schiacciati da logiche di caratteregenerale, che non tengono conto delle nostre esigen-ze e particolarità è oggi più forte che mai ma ad essedobbiamo rispondere con la capacità di costruire unprogetto che al contrario le valorizzi.L’obiettivo che noi abbiamo è infatti quello dicostruire un sistema complesso di tutela dei colleghiper quando sono anziani o si trovano in una condi-zione di difficoltà o bisogno, che si deve basare,oltreché sull’erogazione di una pensione, anche sustrumenti mirati a livello assistenziale.

Ci troviamo infatti in un momento storico in cui loStato si sta ritirando da certi ambiti, in cui eravamotradizionalmente abituati a vederlo operare, e solol’intervento organizzato di gruppi, aggregazionisociali, può colmare dei vuoti che rischierebbero diprovocare conseguenze gravissime al singolo indivi-duo. Mi riferisco in particolare a quelli relativiall’assistenza sanitaria, agli infortuni, alla premo-rienza, alla tutela dei non autosufficienti, che nel-l’attuale sistema economico – sociale non possonoessere trascurati.* Editoriale di Demetrio Houlis del 2002

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L’ENPAP si sta occupando di tutto ciò per glipsicologi italiani e, per poterlo fare conforza e determinazione, ha bisogno dell’a-

desione convinta di tutti noi.L’ENPAP va perciò considerato come una importan-te risorsa per la nostra professione alle cui credibi-lità, a livello di peso sociale, sta fornendo un grandecontributo.Stiamo sempre più dimostrando cioè di essere una

professione che, oltre a produrre cultura e praticaprofessionale, sviluppa al proprio interno solidarietàed è anche in grado di innestarsi nel tessuto econo-mico – sociale del Paese al pari di professioni di piùlunga storia e tradizione.Iscriversi al nostro Ente di previdenza è anche tuttoquesto, è anche cioè la possibilità di ottenere un van-taggio individuale sviluppando un comune interessecollettivo.

Prepariamoci per gli impegnidel prossimo autunnoVerifica del sistema previdenziale ed elezioni ENPAP

*

Bilancio tecnico attuariale e indizione delleelezioni per il rinnovo degli organi statutaridell’Ente, sono i due argomenti centrali di

questo numero del Notiziario.Sul primo, in particolare, vorremmo svolgere qualchenota di commento dal momento che si tratta di undocumento, recentemente approvato dai ministeri delLavoro e del Tesoro, predisposto dall’Ente con il sup-porto di un attuario che rappresenta la previsione subase statistico matematica della situazione economi-co-finanziaria dell’ENPAP nei prossimi quaranta anni,tenendo conto delle regole, sia generali che specifiche,del nostro sistema previdenziale, dei dati economico-finanziari disponibili, nonché di ipotesi demograficheriguardanti gli psicologi nel nostro Paese.L’insieme dei dati (complessivamente prudenziali)su cui è stato costruito l’elaborato, in relazione allastoria breve dell’Ente, è ancora scarno e, tuttavia, siè potuto definire un modello statistico-previsionaleche, pur senza l’obiettivo di fornire certezze, ci daalcune indicazioni importanti su cui sviluppare lenostre riflessioni e impostare le scelte.

In primo luogo, come viene detto nelle considera-zioni conclusive del documento, “Le previsionieffettuate sulle presumibili entrate e uscite gestiona-li relative al prossimo quarantennio nonché sulleconsistenze patrimoniali che andranno a formarsinel periodo considerato, insite nei sistemi a “capita-lizzazione individuale”, mostrano che queste ultimesono ampiamente sufficienti a garantire l’equilibriotecnico-finanziario della gestione …”.

Si tratta di una affermazione rassicurante,considerata la gravissima crisi dei sistemipensionistici pubblici, che tuttavia, e questo

è il secondo elemento di riflessione, ha come con-seguenza un livello di prestazione inferiore a quel-lo cui solitamente si è abituati nei Paesi industria-lizzati.Cioè le pensioni che si andranno a erogare in base almetodo di calcolo contributivo (introdotto in Italianel 1995 con la riforma del sistema previdenziale)saranno più basse rispetto a quelle di cui oggi usu-fruiscono gli anziani ma ciò permetterà al sistema diessere in equilibrio sul piano finanziario.Il prezzo da pagare è quindi elevato sul piano socia-le e si tratta di capire se esistono, all’interno delmodello, degli spazi che consentano di migliorare lasituazione.

Una prima risposta al quesito, e qui è il terzoelemento di riflessione, la possiamo indivi-duare proprio grazie al nostro Bilancio tecni-

co attuariale.Come già evidenziato in altre occasioni, il sistemacontributivo dell’ENPAP, così come quello di tuttigli enti privati, si distingue da quello pubblico (incui i versamenti previdenziali vengono utilizzati perpagare le pensioni agli anziani) per la sostanzialedifferenza che i contributi versati dagli iscritti ven-gono costantemente accantonati e producono deirendimenti.Ciò può permettere di realizzare, così come risultan-te dai valori esposti nella tabella del Bilancio tecni-co al 1° gennaio 2000 e nella Tavola n. 9, avanzi digestione considerevoli che, oltre a bilanciare i* Editoriale di Demetrio Houlis del 2001

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momenti sfavorevoli dei mercati finanziari, possonoanche contribuire in maniera sostanziale a incre-mentare le posizioni dei singoli iscritti. Tale dato non rappresenta sicuramente la risoluzio-ne complessiva del problema della esiguità delleprestazioni ma indica una strada che può attenuarnegli effetti.

Da qualche tempo stiamo coinvolgendo inqueste riflessioni, che abbiamo voluto sinte-tizzare nelle righe precedenti, oltre che le

altre Casse di previdenza aderenti all’AdEPP-Associazione degli Enti di Previdenza Privati –anche i Ministeri vigilanti con la finalità di giungereal prossimo autunno, quando verrà avviata la verifi-ca sullo stato del sistema previdenziale italiano, inuna condizione di chiarezza su quelle che sono lecaratteristiche del nostro e degli altri Enti di previ-denza professionale privata. Non vorremmo cioè che, come è accaduto in passa-to, le impostazioni dei problemi e le conseguenti

possibili soluzioni venissero definite esclusivamen-te in base alle caratteristiche e alle necessità delsistema pubblico che pure merita, ovviamente, lanostra massima considerazione.A noi quindi il compito di delineare con competen-za e chiarezza gli argomenti della discussione, alParlamento e al Governo quello di dare rispostechiare sul piano delle scelte normative. Dobbiamodire che già qualche segnale di attenzione nel passa-to l’avevamo colto e, tuttavia, ci aspettiamo che que-sta maggiore sensibilità si concretizzi sul piano ope-rativo. Approfondimento delle peculiarità del metodo con-tributivo per gli enti che accumulano e investono iversamenti degli iscritti, regime fiscale degli entiprivati di previdenza, totalizzazione dei periodi con-tributivi in diversi enti previdenziali, eliminazionedella frammentazione contributiva, sono gli argo-menti di cui sarà importante tenere conto nei prossi-mi mesi nelle varie sedi di confronto che si andran-no sviluppando.

Cambiare il sistema di calcolodelle pensioniLe riforme devono rispettare i limiti dell’art. 38 della Costituzionee delle Direttive UE

*

In queste ultime settimane il tema della previden-za compare quasi quotidianamente sulle primepagine dei giornali. Non che in precedenza se ne

parlasse poco, tutt’altro, ma ultimamente è assurto apriorità nazionale assoluta. Il fatto è, a nostro avviso, che la discussione sembraessere tutta concentrata sulla sostenibilità finanzia-ria del sistema, o meglio delle prestazioni, che cer-tamente rappresenta un cardine fondamentale delproblema. In tal modo si trascura però l’altro ele-mento portante e cioè la sostenibilità sociale. Il sistema previdenziale deve assolvere a una fun-zione stabilita dal nostro dettato costituzionale erecentemente ribadita dalle direttive della UE. Piùprecisamente l’articolo 38, comma 2, dellaCostituzione sancisce che: “I lavoratori hanno dirit-to che siano provveduti e assicurati mezzi adeguatialle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malat-tia, invalidità e vecchiaia”.

Ma fino a che punto tale obiettivo viene per-seguito attraverso le riforme realizzate dal1995 e quelle che si vogliono praticare nei

prossimi anni? Non vogliamo addentrarci in disamine di caratteregenerale (che pure sono indispensabili) ma limitarciad affrontare il compito che ci è stato affidato e cioècapire se per noi psicologi il sistema delineato dallalegge di riforma delle pensioni n. 335/95, ci permet-ta di: “…Far sì che la terza età non sia esposta alrischio di povertà e possa godere di un livello di vitadecoroso” (Unione Europea, Obiettivo 1 per i siste-mi pensionistici).

Le prime risposte che ci siamo dati sono stateassolutamente scoraggianti. Tuttavia poichéin questioni di questa rilevanza non ci si può

limitare a dati empirici e a sensazioni, abbiamo inse-diato una commissione di studio di esperti che cipermetta di definire con chiarezza tutti i particolaridel problema, delineare possibili soluzioni e svilup-pare con i Ministeri del Lavoro e dell’Economia e* Editoriale di Demetrio Houlis del 2003

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con il mondo politico in generale un confronto ser-rato finalizzato a una riforma del sistema di calcolodelle prestazioni attualmente vigente per il nostroEnte e per gli altri costituiti dopo il 1996.L’obiettivo appare tutt’altro che semplice da rag-giungere ma siamo convinti di avere argomentazio-ni credibili, prima fra tutte che non è accettabile unsistema pensionistico che rischia di creare condizio-ni di indigenza tra gli anziani.Su questo aspetto vorremmo essere chiari per evita-re facili demagogie: non è il centinaio di pensioni dientità ridotta che ci preoccupa poiché esse sono ero-gate in funzione di contribuzioni versate proporzio-nalmente contenute. È piuttosto il quadro futuro, tra20 o 30 anni, che ci allarma, quando a fronte di sto-rie contributive significative le prestazioni sarannoinadeguate. È massimo, in questo periodo, il nostro impegno peravviare i cambiamenti necessari. Siamo consapevoli che ci verranno richiesti anchedei sacrifici che però possono avere un senso se ser-viranno a costruirci una vecchiaia più serena.Nei prossimi mesi dalle pagine di questo Notiziariodaremo comunque conto di tutte le evoluzioni.

Ècon vero piacere che annunciamo il trasferi-mento degli uffici dell’ENPAP nella nuovasede di via Andrea Cesalpino n. 1.

Gli psicologi hanno così finalmente una casa propriain cui sono stati realizzati gli investimenti necessariper rendere i servizi agli iscritti ancora più efficien-ti. L’opera di ristrutturazione, durata oltre due anni,si è rivelata particolarmente complessa sia in rela-zione alle difficoltà tecniche che nel corso del temposi sono presentate, sia a causa della tendenza inval-sa nelle ditte appaltatrici di far lievitare i costi chetuttavia questa amministrazione ha decisamentecontrastato anche attraverso la sostituzione della ini-ziale impresa edile.Ancor oggi sono necessarie delle opere di finiturama pensiamo di poter affermare che il lavoro realiz-zato è soddisfacente e che quindi i nostri sforzi sonostati produttivi. Da ultimo su questo versante vorremmo anche ricor-dare che in un periodo di grave crisi dei mercatifinanziari mondiali, questo nostro immobile, inragione della sua collocazione e tipologia, si è forte-mente rivalutato con effetti benefici sul patrimoniodell’Ente.

Una riforma delle pensioniche riconosca i diritti degli psicologi

*

Nelle prossime settimane dovrebbe avviarsi aconclusione il dibattito sul “collegato previ-denziale alla finanziaria” di cui i giornali

nazionali riportano puntualmente le evoluzionicaratterizzate dalle difficoltà di realizzare unamediazione tra le proposte del Governo e le posizio-ni delle organizzazioni sindacali. Il testo su cui si sta discutendo riguarda, tuttavia,non solo il mondo della previdenza pubblica maanche quello della previdenza dei professionisti.L’intervista all’avv. Maurizio de Tilla, presidentedell’Adepp (Associazione degli Enti di PrevidenzaPrivati), pubblicata in questo numero del Notiziario,sintetizza lo stato dell’arte nel suo insieme. In que-sta sede vorrei focalizzare l’attenzione su alcunidegli aspetti della questione e sulle difficoltà chestiamo riscontrando nel Governo nel recepire i nostrisuggerimenti e le nostre richieste.

• Totalizzazione - Da quasi due anni stiamo discu-tendo di questo istituto che, se applicabile,

consentirebbe a molti colleghi di utilizzare ai finidella pensione contributi versati in diversi enti eoggi inutilizzabili. Nell’autunno scorso è stato concordato al Ministerodel Welfare un testo che, nella sostanza, recepisceanche le esigenze dei nostri iscritti ma che non vieneancora firmato dal Ministro, né è stato inserito nel“collegato previdenziale”. Di questo ormai lungoritardo non riusciamo ad ottenere motivazioni plau-sibili e il risultato è che un diritto riconosciuto dallaCorte Costituzionale viene vanificato.

• Doppia tassazione - Come ricordato in preceden-ti circostanze l’attività degli enti di previdenza pri-vati viene gravata da una doppia tassazione: la primaquando attraverso gli investimenti dei contributi rac-colti dagli iscritti si producono dei rendimenti; laseconda quando all’iscritto si eroga la prestazioneprevidenziale. Data la funzione sociale esercitata dagli enti, questoregime fiscale è iniquo. Da tempo chiediamo chevenga eliminata tale duplicazione prevedendo cioèun unico momento imponibile: il momento della* Editoriale di Demetrio Houlis del 2004

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produzione del reddito ovvero quello di erogazio-ne/fruizione della prestazione. Siamo abbastanza realisti da capire che, stante lacrisi della finanza pubblica, un tale provvedimentonon può essere facilmente attuato per intero.Avremmo però ritenuto ragionevole ricevere unprimo segnale, ovvero una riduzione dell’aliquotafiscale che potrebbe essere portata a livello di quel-la praticata per gli enti no profit.Anche su questo argomento constatiamo il silenziodell’esecutivo.

• Nel testo del collegato previdenziale alla finan-ziaria sono invece presenti due elementi positivi cheè senz’altro importante evidenziare. Mi riferisco allafacoltà attribuita alle Casse dei professionisti di atti-vare forme di previdenza complementare e di assi-stenza sanitaria integrativa. Si tratta di due settori fondamentali per avviare lacostituzione di un sistema efficace di tutela dei col-leghi.Come Enpap ci eravamo già mossi in questa dire-zione sia attraverso l’esperienza di Gen-Casse (cheproprio anche in funzione di questa nuova previsio-ne normativa abbiamo chiuso da qualche mese), siaattraverso la costituzione di Emapi, che, grazie allacooperazione tra più enti di previdenza, sta svilup-pando delle offerte estremamente interessanti incampo assicurativo-assistenziale.

Ma oltre a queste importanti innovazioni, neltesto governativo è tuttavia inserita unaprevisione di cui non capiamo il senso.

Mi riferisco all’applicazione anche agli enti privatidelle norme volte al contenimento della spesa neglienti pubblici con lo specifico riferimento nell’eleva-re l’età pensionabile a 60 anni per le donne e a 65per gli uomini e nel definire il limite massimo di unapensione in 516 euro al giorno (sic!).A parte il fatto che per tutti gli enti previdenzialil’età pensionabile è già di 65 anni per uomini edonne e quindi l’innalzamento previsto non ha effet-to, l’imposizione del tetto massimo di prestazione ènon solo ininfluente (nessun ente paga prestazioniche si avvicinino a quei livelli) ma addirittura para-dossale per chi come noi i 516 euro potrà eventual-mente riceverli al mese.Abbiamo nell’insieme la sensazione che aldilà dipossibili difficoltà pratiche (che comunque vor-remmo capire meglio, dal momento che, ad esem-pio, a livello parlamentare riscuotiamo ampi con-sensi trasversali tra tutte le forze politiche), ci siauna non dettagliata conoscenza della nostra realtà,che peraltro riguarda circa un milione di profes-sionisti.Questa imprecisa conoscenza riguarda anche unaltro settore di fondamentale importanza, e cioèquello dei controlli che, anche alla luce dei recenti

fatti di cronaca, sta richiamando l’attenzione dellapubblica opinione.La nostra Fondazione, al pari degli altri enti di pre-videnza privati, è sottoposta ad una serie di control-li sia interni (Collegio sindacale, società di revisionecontabile) che esterni (Ministero del Lavoro e dellaPrevidenza sociale, Ministero dell’Economia,Commissione parlamentare di controllo sugli entiprevidenziali, Nucleo di valutazione della spesa pre-videnziale, Corte dei Conti) che verificano da diver-se prospettive le attività dell’Ente.Il 2002 è stato, com’ è noto, un anno particolarmen-te difficile a livello di mercati finanziari mondiali,che hanno registrato una fortissima volatilità.L’Enpap ne ha risentito, come tutti gli investitori pri-vati o istituzionali, senza però subirne contraccolpigravissimi, e ha messo in atto una serie di correttiviper proteggere ancor più efficacemente il propriopatrimonio.Ciò hanno riscontrato i vari soggetti deputati ai con-trolli, dando atto anche delle positive iniziative rea-lizzate dalla nostra Fondazione.Tuttavia, in qualche caso ci è parso che nello svol-gere la loro funzione alcuni di essi non siano riusci-ti a cogliere le nostre specificità, ponendosi piuttostoin una prospettiva riferibile a enti pubblici, certa-mente rispettabile ma sicuramente diversa dallanostra anche sul piano della struttura burocratico-amministrativa.Ciò porta ad improprie sottolineature che rischianodi far perdere di vista aspetti invece sostanziali. Prenderò ad esempio un atto di sicuro valore tecni-co quale la recente relazione della Corte dei Contisul nostro bilancio che, insieme ad analisi e consi-derazioni di indubbia utilità, contiene valutazioniche ci permettiamo di definire non pertinenti allospecifico dell’Enpap e di cui, proprio a titolo esem-plificativo, vorrei brevemente trattare.In particolare, i temi su cui porterò l’attenzionesono: la valutazione delle spese e il rapporto trabilanci consuntivi e preventivi.

1) Valutazione delle spese. Per quanto attiene alcapitolo “spese di funzionamento” – aspetto questoche ha sempre un grande impatto mediatico e sulquale peraltro come Ente ci siamo sempre impegna-ti in una attenta e oculata gestione delle risorse siaumane che economiche – ci troviamo di fronte aun’osservazione della Corte che, quando parla di“discreta lievitazione dei costi di funzionamento (da1,922 milioni di euro a 2,034 milioni di euro) impu-tabili principalmente alle spese del personale, degliOrgani dell’Ente e dei servizi vari”, ci lascia stupiti.L’incremento di cui si tratta dal 2001 al 2002 è pariin valore assoluto a 112.000 euro e in valore percen-tuale al 5,8%. La Corte dimentica di porre questo dato in relazionecon una serie di elementi (che peraltro essa stessa

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evidenzia nel corso della relazione) che invece nonpossono né devono essere trascurati:a) il numero degli iscritti nel medesimo periodo èpassato da 16.342 a 18.200 con un incremento di1.858 unità, pari a un valore percentuale di +11,36%(cioè il doppio dell’aumento dei costi); b) nel 2002 l’Ente ha avviato nuove attività istitu-zionali obbligatorie quali l’erogazione delle primepensioni e ha attivato la sanatoria per la regolarizza-zione della posizione degli iscritti nel periodo1996–2001;c) il numero dei componenti del rinnovato Consigliodi indirizzo generale, in ossequio alla previsione delDecreto legislativo n. 103/96, che indica una rappre-sentanza proporzionale degli iscritti in questo orga-no, è passato da 11 a 17. (Vorrei a questo propositoevidenziare che l’Ente ha recentemente deliberatouna modifica dello Statuto, in attesa di approvazio-ne ministeriale, che prevede, per motivi di funziona-lità ed economicità, un numero massimo di 21 com-ponenti per questo Consiglio);d) il rapporto dipendenti/iscritti è di 1 ogni 1.213, edè certamente tra i migliori del settore; e) il gettito contributivo non consolidato (e quindidestinato a incrementarsi ulteriormente) è cresciuto,nel periodo in esame, del 14,85%;f) le consulenze, infine, che rappresentano il 5,7%del totale delle spese sostenute, comprendono le atti-vità che necessariamente debbono essere svolte dasoggetti esterni (revisione contabile, patrocinio lega-le in tribunale, responsabile della sicurezza) nonchéla gestione dell’hardware e del software (apposita-mente costruito) del sistema informatico dell’Ente.In sostanza è come se un’azienda, pur aumentandoproduzione, fatturato e produttività, si vedesse rivol-gere l’annotazione di un aumento, in valore assolu-to, dei costi!Ma a parte questi aspetti, legati probabilmente allastrutturale esigenza dei magistrati contabili di con-trollare una spesa pubblica che lievita senza freni, laCorte con la sua relazione solleva un altro argomen-to che ci permette di sviluppare ulteriormente ladiscussione sui controlli.

2) La Corte solleva infatti il problema della corri-spondenza tra bilanci di previsione e consuntivi. Aquesto proposito abbiamo già più volte evidenziatoche il modello di bilancio elaborato a suo tempo dalMinistero del Tesoro presenta la caratteristica dicostringerci a formulare ipotesi previsionali nel

momento in cui sono disponibili dati di due anniprima. Ciò comporta la necessità di una serie di asse-stamenti che permettono all’Ente (addirittura alcunimesi dopo il consuntivo di competenza) di avere cer-tezza del dato sia a livello di entrate che di uscite, dalmomento che queste ultime, in ossequio al metodocontributivo, sono strettamente correlate alle prime.Vorremmo incidentalmente aggiungere che invece,per quanto attiene alle spese di funzionamentodell’Ente, che sono le uniche su cui esiste un con-trollo diretto, nel corso del 2002 si è registrata unadiminuzione complessiva del 10,03% del dato aconsuntivo rispetto alla previsione iniziale.

Si potrebbe anche continuare con qualche altroesempio che non servirebbe però ad aggiunge-re nulla in più rispetto al fatto che, a nostro

giudizio, i soggetti istituzionali che svolgono i con-trolli focalizzano la propria attenzione su qualcosadi diverso da ciò che siamo noi.Infatti, come ricordavamo in precedenza, vengonosottolineati elementi non così importanti, mentrenon è mai stato evidenziato un dato assolutamentepertinente e sostanziale: il sistema di calcolo costrui-to per gli enti di nuova generazione produrrà presta-zioni assolutamente insufficienti a garantire una vitadecorosa agli anziani. Certamente il rispetto dei dati contabili è il presup-posto indispensabile per qualsiasi attività ammini-strativa, ma non dobbiamo confondere gli strumenticon il fine.Troppo spesso, in questi ultimi anni, nei settori diinteresse sociale ci si è impegnati in grandi sforzi diriequilibrio finanziario, dimenticando però che talerisanamento ha senso solo se, comunque, i servizinecessari alla popolazione vengono erogati.Anche nella previdenza, al pari di sanità e assisten-za, ciò sta accadendo, ma, purtroppo, quasi nessunodei soggetti preposti ai controlli sta evidenziandoquesta gravissima anomalia, di pensioni che, lo ripe-tiamo, saranno insufficienti a consentire ciò che lastessa Costituzione sancisce. Per quel che ci riguar-da, sono anni che solleviamo questo tema senza peròricevere significativi riscontri.Oggi, che stiamo iniziando a sviluppare importantiriflessioni al nostro interno, prodromiche anche disviluppi operativi, vorremmo che la discussione siconcentrasse su di esse poiché pensiamo siano il car-dine attorno a cui qualsiasi altra discussione o con-trollo potrà svilupparsi in modo produttivo.

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Già da qualche tempo su queste pagine e inmolte sedi istituzionali abbiamo sollevato ilproblema dell’entità delle pensioni che tra un

paio di decenni daremo ai nostri anziani.Sulla scorta dei calcoli da noi sviluppati avevamoavuto la chiara percezione di trovarci di fronte a unquadro assolutamente allarmante che, tuttavia, siscontrava con un atteggiamento di indifferenza,fatalismo o sorpresa di tutti gli interlocutori istitu-zionali con i quali affrontavamo l’argomento.

Consapevoli che su questi temi, in particolare, sigioca il senso stesso del nostro agire come Ente,abbiamo deciso di avviare dei dettagliati approfon-dimenti per capire se le percezioni iniziali erano fon-date ovvero andavano riviste.Ci siamo perciò avvalsi del contributo di due autore-voli studiosi della materia: il professor PasqualeSandulli, dell’Università La Sapienza di Roma, giuri-sta di grande capacità e fama nel campo del dirittoprevidenziale e del lavoro, e il professor AngeloMarano, dell’Università della Tuscia, economista cheda qualche anno rappresenta un punto di riferimentonegli studi in campo economico-previdenziale.

Ne è scaturito un interessantissimo e corposo lavo-ro, pubblicato all’interno di questo numero, che cipermette oggi di sviluppare una serie di considera-zioni.

1) In base agli elementi dettati dal sistema di calco-lo contributivo delle prestazioni, così come è statostrutturato dalla legge n. 335/95 (Riforma dellepensioni) e successivamente dal decreto legislativon. 103/96, un collega che a sessantacinque anni vain pensione con alle spalle trentacinque anni dicontributi, avrà una pensione il cui valore sarà paria circa il 17% dell’ultimo reddito disponibile.Per essere più chiari, se la pensione equivale a untasso di sostituzione del 17%, significa che a un red-dito da lavoratore attivo di 1.000 corrisponderà, dapensionato, una rendita di 170!

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Il dato è sconfortante ma soprattutto inaccettabileperché significa che prestazioni così basse non sonoin grado di consentire neppure il soddisfacimentodei bisogni essenziali di un anziano. Considerandopoi che nella nostra professione i redditi prodottisono, sulla base delle statistiche in nostro possesso,certamente non elevati, ne consegue che le pensioniche, a regime, andremo a erogare saranno all’incircaa livello dell’assegno sociale.

2) Com’è possibile che il legislatore abbia potutocostruire un sistema così assurdo?La risposta va ricercata nel fatto che lo Stato èoppresso, in modo grave, dal debito derivante dalsistema previdenziale e quindi ricerca strumenti chegli permettano di far fronte a questa situazione.L’attenzione si è quindi concentrata sulla cosiddettasostenibilità economica del sistema e si sono per-ciò ricercati strumenti che permettessero di ottener-ne l’equilibrio finanziario.Inoltre (e questo è un aspetto che ci riguarda speci-ficatamente) il nuovo sistema di calcolo, costruitocon la riforma del 1995 per il lavoro dipendente, èstato meccanicamente trasferito agli enti dei liberiprofessionisti come il nostro senza considerare chenel caso del lavoro dipendente la contribuzione pre-videnziale è pari al 33% circa del reddito e di questapercentuale circa i tre quarti sono a carico del dato-re di lavoro.Al contrario il libero professionista si deve far cari-co dell’intero onere contributivo ed è conseguente-mente molto difficile pensare che l’entità dei contri-buti possa anche solo avvicinarsi a quelli complessi-vamente riconosciuti a un lavoratore dipendente.Ciò significa che si è trascurata la sostenibilitàsociale del sistema previdenziale di cui la parte eco-nomica non può mai essere fine ma strumento, indi-spensabile e centrale quanto si vuole, ma pur semprestrumento.

Lamentiamo a tale proposito che il mondo poli-tico non sia capace, in questi momenti, didarsi prospettive che vadano al di là della

risoluzione di problemi immediati. Di fronte a un’e-mergenza è necessario agire con determinazione ma,

Il paradosso del sistema contributivoQuali pensioni dobbiamo attendercidal sistema di calcolo definito dallalegge n. 335 del 1995

*

* Editoriale di Demetrio Houlis del 2004

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se non si hanno chiare le prospettive di più lungorespiro, si rischia di essere sempre con il fiato cortoe di creare, attraverso una poco lungimirante impo-stazione dei problemi, difficoltà ancora maggiori.Non spetta certo a noi il compito di indicare le solu-zioni articolate a una così importante questionalenazionale ma, con molta sobrietà e senza facilidemagogie, due considerazioni, peraltro non eludi-bili, vogliamo farle: a) non è impoverendo i propricittadini più anziani che uno Stato può pensare dimigliorare la propria situazione; sottolineiamo cheusiamo il termine “impoverimento” e non “riduzio-ne del potere d’acquisto” volutamente poiché i livel-li di prestazioni che vengono prospettati colloche-rebbero i fruitori al di sotto della soglia di povertà;b) ritenere, come da molte parti viene proposto, chela questione previdenziale possa essere risolta graziea una seconda o terza pensione (complementare ointegrativa) significa peccare di poco realismo: dovepossono trovare infatti le risorse economiche pereffettuare i versamenti aggiuntivi quei cittadini (enon sono pochi neppure tra i nostri iscritti) chehanno redditi poco elevati? In altre parole, ribaltaresui singoli la soluzione di problemi primari, fra iquali certamente si colloca la previdenza obbligato-ria, può forse consentire una soluzione più rapidadelle difficoltà attuali di bilancio dello Stato madetermina una serie di conseguenze di caratteresociale ed economico e anche di messa in discussio-ne di quei principi di solidarietà su cui si basa unoStato democratico moderno.

3) Esistono degli elementi sui quali poter costrui-re ipotesi alternative?Un dato molto importante nel nostro caso, su cuiabbiamo iniziato a sviluppare la riflessione, ci deri-va dal Bilancio tecnico attuariale che, recentemente,abbiamo predisposto. Vorrei ricordare che ilBilancio tecnico attuariale rappresenta, in sostanza,l’elaborazione statistica delle previsioni riguardantile entrate e le spese dell’Ente e il suo stato patrimo-niale di qui ai prossimi quarant’anni. Trattandosi diuna previsione di così lungo periodo dobbiamoincentrare la nostra attenzione, più che sui singolivalori di dettaglio, sulle linee di tendenza che emer-gono, ovvero capire verso dove l’Enpap si sta muo-vendo.A questo proposito abbiamo riscontrato alcuni datiche, peraltro, risultavano essere presenti, grossomodo negli stessi termini, anche nel bilancio attua-riale redatto tre anni fa.A fronte di pensioni di entità ridotta, l’Ente si tro-verà ad avere una patrimonializzazione molto eleva-ta. Cioè ad avere accumulato capitali che, fra qua-rant’anni, supereranno i cinque miliardi di euro. Diessi i due terzi rappresentano le somme destinate agarantire nel 2042 il pagamento di tutte le pensioni,presenti e future, ma un terzo (circa 1.700 miliardi di

euro) è costituito dal fondo di riserva, ovvero daquel fondo che durante gli anni si è formato grazieai risparmi realizzati nella gestione del contributointegrativo su cui, come noto, gravano le spese digestione ordinaria dell’Ente.Ci troveremo quindi di fronte al paradosso di unEnte che sia pure in presenza di notevoli risorse pro-prie, non è in grado di offrire ai propri iscritti pre-stazioni decorose.Se fossimo una cassa che applica, in luogo dell’at-tuale sistema a capitalizzazione quello a ripartizione,utilizzato dalla maggioranza degli enti di previdenza,in cui cioè i versamenti degli attivi servono a pagare,anno dopo anno, le pensioni agli anziani, il pareggiotra queste due voci di bilancio verrebbe raggiunto traquarant’anni, essendo sino a quel momento un perio-do di accumulazione e tutto il corposo resto, ovveroil patrimonio accantonato, sarebbe l’utile derivantedalla somma degli avanzi di esercizio accumulati nelcorso di tutto il quarantennio. La diversità del sistema legislativo di riferimento,sia pure all’interno dello stesso Stato e a parità dicontribuzione, esaspera ulteriormente il paradosso,dal momento che uno psicologo riceverà circa unterzo della pensione, ad esempio, di un dottore com-mercialista, pur in presenza, tra l’altro, di prospetti-ve demografico-attuariali per noi più favorevoli.Evidentemente qualcosa in tutto ciò non va. Seinfatti non si vogliono, né si possono, riproporre imodelli del passato sviluppati sul principio di unaspesa non ancorata a risorse disponibili ma al debi-to, anche da scaricare sulle future generazioni, nonsi può neppure consentire il diffondersi di logiche diaccumulazione avulse dalla finalità per cui vengonocreate.Intendo dire che un sistema previdenziale ha comesua finalità quella di erogare prestazioni adeguate eche i capitali accumulati devono servire a questafinalità in termini concreti.

4) Come intervenireQuesto è un capitolo molto complesso, come bensanno tutti coloro che per professione si occupano diterapia. Ma il punto di partenza, a mio avviso, nonpuò che essere anche in questo caso il riferimento auna corretta diagnosi che abbiamo cercato di trac-ciare nei paragrafi precedenti. Proviamo perciò aindicare un percorso.a) Si tratta in primo luogo di introdurre nel sistemareali elementi solidaristici tra le generazioni eall’interno delle generazioni, poiché la logica del-l’accumulazione privatistica – come quella attual-mente praticata – in un sistema di previdenza obbli-gatoria, oltre a essere contraria allo stesso spirito cheha determinato la nascita di questo essenziale istitu-to di tutela sociale, è nella sostanza inefficiente.Trascurando le leggi dei grandi numeri, infatti, essaespone il singolo a livelli di rischio molto maggiore

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sia sul piano finanziario che, in generale, dellagestione degli eventi che possono verificarsi nelcorso della vita.Questo ci è dimostrato dalla storia della previdenzaobbligatoria che ha registrato, in quasi un secolo diesperienze, il passaggio da sistemi costruiti origina-riamente su logiche individualistiche a strutture piùsolidali soprattutto per motivazione di ordine finan-ziario, dal momento che solo sistemi di tale naturapossano superare momenti di gravissime crisi eco-nomiche.Questo ci è inoltre dimostrato dall’esperienza delmondo assicurativo, che abbatte i costi quando passaa rapportarsi con gruppi sociali numerosi o moltonumerosi.b) Conseguentemente alla definizione di un elemen-to forte di principio, dobbiamo articolare l’azione inbase alla nostra specificità. Abbiamo evidenziato, in precedenza, il paradossoche caratterizza il sistema di calcolo che dobbiamoutilizzare: elevata patrimonializzazione dell’Ente afronte di prestazioni molto basse. Ciò significa,coniugando tra loro questi due elementi, che la stra-da da seguire può essere quella di un utilizzo diver-so del patrimonio accumulato rispetto a quello attua-le, finalizzato esclusivamente ad accantonamento.Si tratta quindi di introdurre elementi di “riparti-zione” in un ente come il nostro la cui impostazioneè invece a “capitalizzazione individuale” conside-rando anche che, come detto in precedenza, leimportanti accumulazioni generate, pari a circa unterzo del patrimonio totale, sono eccedenti rispettoalle esigenze di totale copertura delle future obbli-gazioni dell’Ente nei confronti dei propriiscritti/pensionati.c) Poiché non possiamo certo porci in un atteggia-mento di semplice redistribuzione di quanto via viaviene accumulato, poiché rischieremmo sia di crea-re situazioni di debito futuro (come è accaduto nelsistema pubblico) sia di sprecare risorse, dobbiamotrovare il modo per utilizzarlo al meglio.In tal senso, se è vero, come ormai dimostrato su unpiano di corretta amministrazione, che l’entità dellacontribuzione previdenziale che ognuno di noi versa

non è di per sé sufficiente a garantire prestazioniadeguate, probabilmente una funzione importantedelle eccedenze di patrimonio accumulato potrebbeproprio essere quella di incentivare, in modosostanziale attraverso un meccanismo premiante,un aumento dell’aliquota contributiva.In altri termini per ogni punto percentuale in più,rispetto al minimo del 10%, che ogni iscritto decidedi versare, l’Ente potrebbe riconoscere un valorepercentuale aggiuntivo che permetterebbe di incre-mentare il montante individuale e quindi l’entitàdella pensione.d) Ma oltre questo tipo di approccio, vanno presi inconsiderazione anche interventi che permettano diintegrare la tradizionale rendita da pensione.Più volte abbiamo sottolineato che una parte dellerisorse debbono essere utilizzate per coprire condi-zioni di reale bisogno che oggi sono invece com-pletamente ignorate. Mi riferisco, come casi eviden-ti, a situazioni di premorienza in cui moglie e/o figlivengono lasciati senza sostanziali supporti oppure asituazioni di non autosufficienza, in cui difficilmen-te la sola pensione può rappresentare la soluzione diproblematiche, anche economiche, particolarmenteonerose. A questo proposito vale la pena di ricorda-re che l’Enpap, attraverso la costituzione con altrienti di previdenza di Emapi, si è dotato di uno stru-mento estremamente funzionale.

Come si vede gli argomenti su cui discutere ele ipotesi da approfondire cominciano adessere delineate e la lettura delle relazioni del

prof. Marano e del prof. Sandulli potrà permettercidi avere una prospettiva dettagliata.

Tuttavia dobbiamo avere chiaro che, oltre a una luci-dità nel delineare tecnicamente gli obiettivi, ci saràindispensabile creare un consenso politico tale che sipossano realizzare i necessari cambiamenti cheriguardano non solo noi ma una parte del mondodella previdenza.Il compito appare tutt’altro che semplice ma siamoconvinti che questa sia la strada da percorrere condeterminazione.

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Dieci anni fa veniva pubblicato il decreto legi-slativo n. 103 che, in attuazione del comma25, art. 2 della legge n. 335 del 1995

(Riforma delle pensioni – c.d. “Riforma Dini”) pre-vedeva la possibilità di costituire fondazioni di dirit-to privato destinate a dare copertura pensionistica aquelle professioni che, pur dotate di Ordine profes-sionale, ne erano prive.Questo fondamentale passaggio legislativo ha rap-presentato per tali categorie un’opportunità storica-mente rilevante di dotarsi e governare autonoma-mente, in base alle proprie caratteristiche ed esigen-ze, quella tutela previdenziale che per anni era stataloro negata. In precedenza, infatti, si trovavano inuna situazione di evidente sperequazione rispetto alresto dei cittadini dal momento che era stata loronegata qualsiasi tutela sociale di fronte a situazionidi obiettiva necessità.Nell’occasione si sviluppò un ampio dibattito all’in-terno delle professioni da cui scaturì la decisione dicostituire cinque enti di previdenza:• l’Enpab per i biologi;• l’Eppi per i periti industriali;• l’Enpap per gli psicologi;• l’Enpapi (già Cassa Ipasvi) per le professioni

infermieristiche;• l’Epap che riunisce agronomi, attuari, chimici e

geologi.

Da allora quelle professioni, che già per poter rea-lizzare quegli importanti passaggi legislativi aveva-no dato vita a una Consulta, hanno sviluppato erafforzato la collaborazione per affrontare insiememolte sfide che hanno caratterizzato questa nostrabreve ma intensa storia:dalla stesura di statuti e regolamenti alle sinergieorganizzative e politiche, dalla presenza all’internodell’Adepp ai dibattiti sui temi di comune interesse.

In questi contesti pensiamo di aver fornito un impor-tante contributo, in particolare in termini di rappre-sentazione delle luci e delle ombre degli scenari futu-ri della previdenza, e abbiamo puntato a costruire unfattivo rapporto di collaborazione con molti interlo-cutori, primo fra tutti, il mondo delle istituzioni.

E questa logica, volta a sviluppare e sostenere lacollaborazione, è uno degli indirizzi fondamentaliverso cui si è orientato negli anni il nostro comuneagire.

Vogliamo con ciò ribadire che l’autonomia, che con-sideriamo strumento insostituibile per consentire aogni professione di manifestare le proprie peculia-rità e strutturare risposte puntuali ai bisogni, vaconiugata a ogni livello con la ricerca del coordina-mento e delle sinergie.Ognuno di noi, isolatamente, rischia di avere pocopeso.Insieme rappresentiamo una realtà numericamenteimportante.Ognuno di noi, da solo, può chiedere modifiche delsistema ma solo insieme le possiamo ottenere.Il singolo ente può elaborare progetti di riforma, masolo se si inquadrano in una prospettiva di compati-bilità ampia possono passare alla fase applicativa.

Ci piace ricordare che questa impostazione lastiamo praticando con convinzione ancheall’interno di tutto il mondo della previdenza

privata, dell’Adepp, poiché pensiamo che, aldilàdelle differenze storiche che si traducono in alcunicasi in differenze dell’attuale sistema di calcolodelle prestazioni, il traguardo sia comune.La politica dei “cento fiori” è certo stimolante maanche molto pericolosa: basta un forte temporale perspazzare via un lungo lavoro.La collaborazione, la condivisione convinta di per-corsi comuni, le sintesi anche faticosamente raggiun-te, pensiamo siano la più efficace modalità per per-metterci, sicuramente in questa fase storica, di pre-servare i nostri valori e ottenere i risultati desiderati.

La nostra attività si è sempre caratterizzata dallavolontà, e direi anche dalla necessità, di costruirequalcosa di nuovo anche perché i modelli preesi-stenti, sia a livello organizzativo ma soprattutto sulpiano tecnico–amministrativo, non erano adatti adaffrontare la realtà che avevamo davanti. Questo ciha portato a rappresentare una sorta di laboratorio dicui riteniamo possa essere importante tenere contoanche a livello di previdenza generale del Paese.Siamo infatti la sola realtà che, nel comparto della

Decennale Enti D.Lgs. n. 103/96Contributivo: vincoli e opportunità

Relazione introduttiva di Demetrio Houlis*

* Notiziario Enpap 20 - dicembre 2006

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previdenza obbligatoria (il c.d. “primo pilastro”),applica il sistema di calcolo contributivo con unfinanziamento a capitalizzazione. Rappresentiamocioè, già da oggi, il modello verso cui si dovrebbeorientare tutto il sistema pubblico e privato e in cuiquindi si possono, per certi aspetti, prefigurare gliscenari futuri del sistema pensionistico.

Chi siamo noi oggi, quale realtà rappresentiamoPrima, però, di passare ad analizzare le varie tema-tiche in gioco, riteniamo sia utile descrivere, attra-verso alcuni dati quantitativi, la realtà che rappre-sentiamo.

1) Numero iscritti attivi complessivi nel 1998 enel 2006Il dato complessivo, al 31/12/2005 di circa 74.000professionisti, comprende realtà diverse che vannodai circa 8.700 iscritti dell’Enpab, agli oltre odierni25.000 dell’Enpap che ormai ha superato, per nume-ro di assicurati, alcune casse di vecchia generazione.Il quadro demografico, inoltre, mostra una realtàequilibrata ma anche molto variegata, che rispecchiala realtà delle varie professioni, alcune delle qualihanno (come gli psicologi) o possono avere in rela-zione a mutati quadri normativi (come ad esempiogli infermieri) dinamiche di crescita accentuate.

2) Numero pensionatiI primi pensionati dopo cinque anni di versamentisono del 2001 e il loro numero, sia in valore assolu-to, pari a circa 1.500, che percentuale, è sicuramen-te contenuto e tale da rendere nel presente, ma ancheper il prossimo decennio, piuttosto marginale lagestione, sul piano finanziario, delle passività deri-vanti dal pagamento delle prestazioni.Preoccupante è invece il dato relativo alla scarsaentità delle pensioni pagate.Va evidenziato che la preoccupazione non è tantolegata alle pensioni in essere, frutto di pochissimianni di versamenti che peraltro – giova sottolinearlo

– in altre gestioni non avrebbero dato adito ad alcu-na rendita, quanto piuttosto al quadro futuro che pre-figurano.Rapportandole infatti, in termini proporzionali, aquelle che potranno essere le pensioni a regime, traquindici–vent’anni, si collocano su valori assoluta-mente inadeguati per offrire livelli di vita decorosiagli anziani.Questo argomento lo riprenderemo di seguito inmodo più ampio.

3) Rapporto attivi/pensionatiDi tale aspetto si è già trattato nel precedente punto 1.

4) Patrimonio amministrato complessivoUn elemento di particolare rilevanza è dato dall’am-montare complessivo del patrimonio amministratodai nostri enti che – vogliamo sottolinearlo – è postosin da ora come garanzia delle prestazioni maturatenon solo dai pensionati ma anche dagli attivi.Proprio in virtù di questo meccanismo di capitaliz-zazione, il patrimonio gestito dagli enti, ormaiampiamente superiore al miliardo di euro, pari a

2.000 miliardi di vecchie lire, è già da ora su valoridi assoluta rilevanza ed è destinato a crescere ulte-riormente in relazione, sia ai contributi raccolti cheai rendimenti ottenuti.Quest’ultimo aspetto ci mette in rapporto con ilmondo dell’economia e della finanza.Il sostegno dato al Convegno da parte di questinostri interlocutori, che ringraziamo e che rappre-sentano le primarie società del settore, testimonia

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l’attenzione posta nei nostri confronti che si è tutta-via estrinsecata sopratutto attraverso una capacitàpropositiva apprezzabile a offrire servizi finanziariinnovativi, sviluppata per l’innegabile interesse chesta rappresentando il settore.Costruire prodotti finanziari, gestioni in grado di

rispondere agli obiettivi di rendimento che abbiamo,ovvero perlomeno equivalenti alla media quinquen-nale del PIL nominale, mantenendo dei profili dirischio contenuti, non è impresa facile ma abbiamoconstatato interesse e capacità.

5) Rapporto dipendenti enti/iscrittiUn ultimo valore quantitativo che riteniamo dirichiamare, è quello relativo al rapporto numericoesistente tra gli iscritti e i dipendenti dei nostri enti.Il risultato evidenzia il buon risultato delle gestionidal momento che, pur trattandosi di cinque strutture

differenti, nell’insieme si ottengono valori miglioririspetto a varie altre realtà singole.L’utilizzo di tecnologie informatiche evolute e lesinergie organizzative tra i nostri enti rappresentano,in tal senso, un elemento di grande efficacia nelladirezione del contenimento dei costi.

Da questi sintetici elementi risulta delineato unquadro ormai consolidato sotto molti aspetti e che,tuttavia, rappresenta una realtà in costante evolu-zione. L’occasione di oggi non è perciò la sempli-ce celebrazione di un decennale ma il momento perripercorre un percorso al fine di capire quale possaessere la strada che, a questo punto, dobbiamoseguire.Non rappresenta quindi per noi un punto di arrivoma uno snodo, anche per definire scelte sostan-ziali.

Ripercorriamo perciò alcuni dei passaggi piùsignificativi della nostra storia che, a benvedere, è strettamente correlata con la temati-

ca generale della previdenza nel nostro Paese.

Il decreto legislativo n. 103/96 venne emanato inquadro generale caratterizzato dalla grave crisi delsistema previdenziale pubblico basato sul metodo dicalcolo retributivo, finanziato a ripartizione.Vale la pena ricordare che la crisi si fondava, comedel resto ancor oggi, sul disavanzo strutturale tral’entità dei contributi versati dai lavoratori attivi egli oneri derivanti dal pagamento delle pensioni. Ilcontributo degli attivi, infatti, era in grado di finan-ziare solo il 70% della spesa per prestazioni, gene-rando un fabbisogno che lo Stato finanziava, e

finanzia, facendo ricorso in modo massiccio allafiscalità generale.Con la legge di riforma del 1995 sono stati introdot-ti marcati elementi correttivi, focalizzati a conteneree in prospettiva a ridurre questa voce di spesa chegrava in ogni “legge finanziaria”.La modifica più evidente fu il passaggio dal metododi calcolo retributivo al c.d. contributivo che impo-ne di calcolare la prestazione sulla base del com-plessivo ammontare dei contributi versati.Non va tuttavia dimenticato che in quell’occasionesi introdussero anche la prospettiva di un gradualeinnalzamento dell’età pensionabile e il principiosecondo il quale tutti i redditi prodotti debbono esse-re sottoposti a contribuzione. Quest’ultima previsio-ne determinò la costituzione, all’interno dell’Inps,della cosiddetta gestione separata, allora del 10%,considerata residuale rispetto a tutte le altre gestioni(fra cui le nostre) e quindi destinata a raccoglieretutti i cittadini altrimenti privi di copertura previ-denziale.Ricordiamo anche che la finalità, neppure tantocelata, di tale gestione era la raccolta di contributiatti a finanziare, con effetto immediato, il sistema indifficoltà.

All’interno di tale contesto, un primo aspetto che varicordato è che, dieci anni fa, nella definizione dei

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nostri enti e delle loro principali regole di funziona-mento, abbiamo subito le impostazioni altrui ovveroimpostazioni proprie del sistema pubblico.In altre parole, non si è voluto, o forse potuto, con-siderare le specificità che si andavano definendo eciò ha inciso su: • sistema di calcolo delle prestazioni;• sistema di finanziamento;• modalità impostazione dei bilanci;• vincoli alla gestione degli utili.

Più nel dettaglio:il sistema di calcolo contributivo è stato applicatoal nostro contesto senza evidentemente porsi il pro-blema dell’entità delle prestazioni che avrebbedeterminato.A dire il vero, questo tema non sembrava esserestato considerato neppure per il sistema pubblico,dal momento che le proiezioni sui tassi di sostitu-zione hanno incominciato a circolare solo da pocotempo, determinando un evidente allarme.Senza poi considerare che le aliquote contributivedel lavoro dipendente sono di tre volte superiore aquelle definite per i nostri enti.

Il sistema di finanziamento introduce la logicadella capitalizzazione. Ciò ha rappresentato unanovità per il sistema obbligatorio dal momento cheil sistema pubblico si finanziava e continua a finan-ziarsi attraverso la ripartizione e, peraltro, ancoroggi non appare in grado di capitalizzare.I valori che noi indichiamo nei nostri bilanci rappre-sentano capitali realmente detenuti dall’ente, sia in ter-mini di contributi raccolti che di rendimenti maturatiattraverso l’impiego sui mercati finanziari. Al contra-rio, nel sistema pubblico i valori sono virtuali e, con-seguentemente, l’applicazione di parametri statistici,quale la rivalutazione annuale dei montanti contributi-vi sulla base della media quinquennale del PIL nomi-nale, non evidenzia elementi di particolare criticità.

La modalità di impostazione dei bilanci rappre-senta poi un argomento di sicura ed emblematicarilevanza.Pur non essendo previsto in nessuna delle norme pri-marie di riferimento, i nostri enti sono tenuti a pre-disporre bilanci secondo un’impostazione a capita-lizzazione, in base a una nota a suo tempo diramatadal Ministero dell’economia. Inoltre, non può nep-pure essere trascurato il fatto che, nonostante vi siaun’impostazione a capitalizzazione, con un legamequindi diretto dei rendimenti ottenuti alle dinamichedei mercati, si imponga poi una rivalutazione deimontanti per competenza e non per cassa, producen-do un sistematico squilibrio sui conti in considera-zione del fatto che, fisiologicamente, l’incasso delsaldo dei contributi avviene otto mesi dopo la chiu-sura dell’anno di competenza.

I vincoli alla gestione degli utili rappresentano unaltro aspetto degno di nota.Con risparmi realizzati nella gestione del contributointegrativo e con l’eventuale differenziale positivotra rendimenti ottenuti e rivalutazione dei montantiindividuali, si struttura un fondo di riserva che tutta-via, al momento, non può essere utilizzato per incre-mentare, ad esempio, l’entità delle pensioni. La pre-senza di questo fondo, pur rispondendo in una certamisura a necessari criteri di prudenza, se non ade-guatamente gestita rischia di essere poco produttivae di disperdere (ad esempio in relazione a eventiinflattivi) risorse quanto mai indispensabili.

Su questi temi, oggi, abbiamo l’esperienza e abbia-mo costruito una conoscenza che può permetterci diformulare proposte valide per noi ma anche compa-tibili e utili al sistema generale.Siamo infatti, come in precedenza sottolineato, giàda oggi la rappresentazione di quello che potrà esse-re il sistema generale quando sarà a pieno regime ilmetodo contributivo.

SostenibilitàUn secondo tema del nostro percorso riguarda lasostenibilità che, negli ultimi quindici anni, è sem-brata essere riferita esclusivamente al versantefinanziario e cioè al come reperire le risorse perpagare le pensioni agli anziani.Per ottenere tale risultato si è agito, da parte delloStato, nel modo apparentemente più immediato:puntando a una riduzione delle prestazioni.

Tuttavia, in questo modo, concentrando cioè l’atten-zione sulla sostenibilità finanziaria del sistema, siè perso di vista il fatto che si sta ponendo un graveproblema di sostenibilità sociale del sistema poichési andranno determinando prestazioni in assolutoinadeguate e un conseguente incremento del livellodi povertà tra gli strati più anziani della popolazio-ne.

Si pone quindi una tematica sociale di assoluta rile-vanza che pensiamo debba far sviluppare, in parti-colare in sede politica, una seria riflessione su qualiindirizzi s’intendano dare.

Se non risolto per tempo, questo è destinato a dive-nire un fattore di grave squilibrio anche per l’econo-mia di un paese: gli anziani attualmente hanno pote-re d’acquisto e contribuiscono (anche come unasorta di “ammortizzatori sociali” per i giovani chespesso affrontano condizioni di precariato) alla sta-bilità dell’economia.

Per i nostri iscritti ciò si traduce in dati ancor piùpreoccupanti e paradossali dal momento che, a fron-te di prospettive economico-finanziarie rassicuranti

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per i nostri enti anche nel lungo periodo, il tasso disostituzione si colloca, a regime, al di sotto del 20%in considerazione dell’aliquota contributiva di basedel 10%.

Preciso che per tasso di sostituzione s’intende la per-centuale dell’ultimo reddito da lavoro che si ottieneattraverso la pensione.Un tale stato di cose è contrario al dettato e allo spi-rito dei princìpi costituzionali1 alle direttivedell’UE2.

Abbiamo, quindi, la chiara percezione che questosistema si caratterizzi per la sostanziale mancanza disolidarietà dal momento che riduce la struttura pre-videnziale a un rapporto sostanzialmente contabiletra quanto si è versato e la prestazione. Non si con-sidera in tal modo neppure la situazione di necessitàdell’anziano in particolare difficoltà, di chi s’invali-da o lascia superstiti.È chiaro che è necessario intervenire, anche con unacerta urgenza. Ma gli interventi da attuare devonoessere attentamente valutati.Non sono praticabili proposte semplicistiche quali,ad esempio, un forte incremento della contribuzionesoggettiva come da qualche parte viene suggerito.Si pone infatti il tema di come reperire le risorse perfinanziare scelte di questa natura, stante il livelloreddituale degli iscritti. Non è proponibile, in talsenso, il raffronto con le aliquote del lavoro dipen-dente, stante una struttura dei redditi di lavoro dalibera professione profondamente diversa che, a dif-ferenza del lavoratore dipendente che ha a suo cari-co meno di un terzo della predetta percentuale, allostato attuale si deve far carico pressoché integral-mente dell’onere dei contributi.Ricordiamo, infatti, che nel comparto del lavorodipendente, a fronte di una contribuzione complessi-

va del 32,70%, solo circa il 9% è a carico del lavo-ratore e che nella “gestione separata Inps”, la cui ali-quota contributiva si va avvicinando al 19%, per chinon è titolare di altra posizione previdenziali, i 2/3della contribuzione sono a carico del committente.

Fiscalità ed equitàUna considerazione, a nostro avviso, troppo pocosviluppata riguarda i collegamenti tra previdenza efiscalità.I liberi professionisti con la propria fiscalità finan-ziano, come tutti, il sistema previdenziale pubblicoin misura significativa, considerando, come si dice-va in esordio, il sistematico ripianamento del settorea opera della finanza statale.Equità vorrebbe che lo Stato finanziasse, per unapercentuale analoga, anche la nostra previdenza.

Ci rendiamo conto della complessità dell’argomen-to, anche in relazione al fatto che uno dei cardinidella natura privata degli enti sorti sia ai sensi deidecreti legislativi 103 che 509, è proprio il nondover ricorrere al finanziamento dello Stato.Pensiamo tuttavia che il tema meriti attenzione, siaperché è cosa molto diversa fiscalizzare una certaprestazione previdenziale o assistenziale (come giàavviene per una parte dell’indennità di maternità)dal ricorrere al finanziamento dello Stato per ripia-nare i propri debiti, sia perché consentirebbe diaffrontare in maniera sistematica un problema che,se lasciato irrisolto, comunque ricadrebbe sulloStato nel momento in cui dovrà gestire condizioni dipovertà che, come evidenziato in precedenza, saran-no tutt’altro che marginali.

Tale argomento, inoltre, tende a essere ulteriormen-te richiamato all’attenzione in questo ultimo periododal fatto che il Governo ha intenzione di intervenirea favore di aziende e lavoratori dipendenti attraver-so una parziale fiscalizzazione degli oneri contribu-tivi.Pur apprezzando il senso di tali provvedimenti, voltia rilanciare l’economia, non possiamo esimerci dalconstatare che incrementano ulteriormente la spere-quazione che in precedenza abbiamo richiamato.

Il tema della fiscalità, tuttavia, non si esaurisce nellatrattazione dei predetti aspetti.Da anni, infatti, evidenziamo la palese assurdità delregime fiscale cui siamo sottoposti, equivalente intutto a una qualsiasi società commerciale.I Governi che si sono succeduti, unitamente alleforze parlamentari, ci hanno manifestato attenzione,comprensione e persino condivisione delle nostreragioni. Tuttavia, non solo la situazione non è muta-ta ma anzi, quando alcuni anni fa si è intervenutisulla riduzione delle aliquote fiscali dei fondi pen-sione, di c.d. “secondo pilastro”, riducendole dal

1 Art. 38 Cost. “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto deimezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assi-stenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti edassicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso diinfortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazioneinvolontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazio-ne e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questoarticolo provvedono organi ed istituti predisposti o integratidallo Stato. L’assistenza privata è libera.”.2 Cfr. Direttiva 2003/41/CE laddove si afferma che: “Dalmomento che i regimi di sicurezza sociale sono sottoposti a unapressione sempre crescente, in futuro si farà sempre più ricorsoa schemi pensionistici aziendali e professionali a integrazionedei regimi pubblici. Occorre pertanto sviluppare le pensioniaziendali e professionali, senza tuttavia mettere in discussionel’importanza dei regimi pensionistici della sicurezza sociale aifini di una protezione sociale sicura, durevole ed efficace, chedovrebbe garantire un livello di vita decoroso durante la vec-chiaia e che dovrebbe pertanto essere al centro dell’obiettivo delrafforzamento del modello sociale europeo”. In tal senso anchela Direttiva n. 1998/49/CE ed i Regolamenti UE n. 1408 del1971 e n. 883 del 2004.

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12,5% al 11%, ci si è colpevolmente dimenticatidella nostra realtà che anzi svolge un mandato socia-le sicuramente preminente. Ricordo infatti che glienti di previdenza dei professionisti, sia di vecchiache di nuova generazione, garantiscono la previden-za obbligatoria.Non vorremmo, infine, che l’aumento dal 12,5% al20% delle aliquote di tassazione delle rendite finan-ziarie che si sta prefigurando nella “legge finanzia-ria del 2007” venga applicata ai nostri investimenti.Le conseguenze sarebbero molto gravi, non solo intermini finanziari ma anche di credibilità di un siste-ma politico che si dimostrerebbe sistematicamenteincapace di prospettive strutturali.

Sistema di protezione assistenziale per gli iscrittiIn questi anni si sta assistendo a un graduale macostante ridimensionamento dello Stato sociale.Pensiamo che sia compito degli enti di previdenza dicategoria occuparsi, sempre più, delle necessità assi-stenziali dei propri iscritti, anche perché talvolta lasola rendita previdenziale, per quanto elevata possaessere, è insufficiente a far fronte alle esigenze dellapersona in difficoltà.Per i nostri enti, in particolare, frutto della logica delcontributivo, non sono tutelati neppure eventi diassoluta gravità, quali: invalidità e premorienza.Si tratta di eventi che, alla luce della legislazionegenerale, vengono trattati con una straordinariasuperficialità non essendo stato previsto un sistemadi norme che comunque tuteli queste situazioni chevengono lasciate a se stesse.

Consentirci pertanto un intervento di natura struttu-rale nei settori dell’assistenza sanitaria integrativa,delle tutela dell’invalidità e dei superstiti, dell’assi-stenza prolungata a persone non autosufficienti(Ltc), diventa indispensabile.

Dopo aver evidenziato le predette temati-che, proviamo a indicare, conseguente-mente, quelli che, a nostro giudizio, sono i

temi da affrontare e i passi da compiere nel pros-simo futuro e che saranno l’oggetto della nostradiscussione in questi due giorni.

1) È necessario porre mano a una riforma delsistema che tenga conto delle nostre peculiarità.Ciò significa che pur sentendoci chiaramente partedel sistema previdenziale generale del Paese, abbia-mo caratteristiche normative, economiche, demo-grafiche e sociali che debbono essere tenute in con-siderazione perché rappresentano anche la nostraricchezza. Ci permettono cioè di essere più vicinialle caratteristiche e alle esigenze dei nostri iscritti.Non considerarle sarebbe un’opera di decontestua-lizzazione non solo poco corretta sul piano tecnicoma persino poco produttiva sul piano pragmatico.

In sintesi, pensiamo che sia necessario tener contodei seguenti aspetti.Per finanziare il nostro sistema previdenziale,come in precedenza accennato, operiamo sostan-zialmente a capitalizzazione. Tuttavia, siamo tenu-ti, in base alla normativa vigente, a garantire riva-lutazioni annuali sulla base del PIL nominale la cuiprogressione, come ampiamente dimostrato in que-sti anni, è scorrelata dall’andamento dei mercatifinanziari.Inoltre, secondo i criteri formulati dal ministerodell’Economia, siamo tenuti a raggiungere i predet-ti obiettivi anno per anno dal momento che la valu-tazione dei risultati di bilancio avviene, appunto, subase annua. Ne deriva una situazione di assurdo tec-nico dal momento che si impone per legge un tassodi rendimento dei capitali che i mercati, sicuramen-te nel breve periodo, non sono in grado di ottenere.Poiché, come noto, la gestione delle passività deri-vanti dal pagamento di prestazioni non ci imponeneppure lontanamente una siffatta tempistica, preve-dere un ampliamento dell’orizzonte temporale sucui impostare gli investimenti e, quindi, ottenererendimenti, non esporrebbe gli enti ad alcun rischio.Anzi, stabilizzerebbe i profili di rischio/rendimento.Si pone, pertanto, la necessità di spostare da unanno, ad esempio al quinquennio, il parametro divalutazione dei risultati ottenuti con bilanci tecniciin grado di monitorare anno per anno l’evoluzionedella situazione.Ciò tra l’altro renderebbe significativamente piùefficienti gli investimenti con un beneficio sulla red-ditività del patrimonio dei singoli enti.Da studi e proiezioni realizzati su questo versanterisulta che lo spostamento dell’orizzonte degli inve-stimenti da uno a cinque anni, tra l’altro, potrebbeincrementare l’efficienza degli investimenti e otte-nere, a regime, un aumento del tasso di sostituzionedi quasi il 2%.Il sistema di finanziamento a capitalizzazione, unitoalla parte di contributo integrativo eccedente lacopertura delle spese di gestione, produce degli utiliche, tuttavia, stante le restrizioni di prestazioni, èfondamentale possano essere utilizzati per miglio-rarle.L’incremento della contribuzione soggettiva, chepure diviene un passaggio obbligato, deve tenereconto delle dinamiche reddituali delle categorieinteressate. In tal senso un parallelo incrementodella contribuzione integrativa può contribuire aridurre gli effetti negativi, incrementando i livellidelle prestazioni.L’accesso al mercato del lavoro, stante il percorsoformativo da compiere ora anche per le professioniinfermieristiche e i periti, avviene, di fatto, nonprima dei 25-28 anni. Tale elemento va consideratonel ridefinire attraverso meccanismi di flessibilità ilmomento del pensionamento.

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2) La sostenibilità finanziaria e sociale del sistemaimpone che definiti, a regime, livelli minimi di pre-stazione (sulla base delle esigenze indispensabili diuna persona), si individuino dei percorsi economico-normativi in grado di assicurarli, in particolare perquei soggetti che non abbiano altra forma di previ-denza. Più in generale, l’obiettivo di un tasso disostituzione pari al 50% dell’ultimo reddito può rap-presentare un punto d’arrivo ragionevole da rag-giungere. Altre ipotesi possono naturalmente essereprefigurate, ma l’obiettivo ultimo non può che esse-re quello di consentire condizioni di vita decorose ainostri anziani.

3) La fiscalità generale, a cui noi contribuiamo, èindispensabile intervenga non come forma di assi-stenzialismo ma come applicazione del principio diequità tra tutti i cittadini.Aldilà di riflessioni che possono riguardare unariforma ampia e complessiva dell’intero sistemaprevidenziale nazionale, in cui la fiscalità generalenon sia mero strumento di ripianamento di deficitprivi di controllo, ma piuttosto elemento organico dipolitica previdenziale a cui possano accedere tutti icittadini, un primo, improcrastinabile, livello d’in-tervento riguarda il piano della tassazione.Più volte abbiamo evidenziato l’iniquo sistema delladoppia tassazione cui sono sottoposti prima i rendi-menti maturati sui contributi versati e poi le stessepensioni. Tale meccanismo è particolarmente iniquoper i nostri Enti per i quali la maturazione di rendi-menti è strumento strutturale per adempiere al pro-prio mandato istituzionale.Richiamare quindi l’attenzione del mondo politicosulla necessità di rispettare gli impegni più volteassunti, in relazione perlomeno all’equiparazionedel nostro livello di tassazione con quello dei fondipensione, diventa categorico.

E in particolare lo diventa, nel momento in cui sem-bra che si proceda con un innalzamento delle ali-quote sulle rendite finanziarie.

Può essere utile, anche in questo caso, ricordare cheda studi e proiezioni realizzati, risulta che l’elimina-zione della tassazione, a livello di imposta sui rendi-menti, consentirebbe di ottenere un ulteriore aumen-to del tasso di sostituzione di quasi il 2%.

Gli interventi assistenziali, infine, in questa logicanon possono essere considerati elementi secondari edel tutto accessori, ma strumenti atti a offrire unampio sistema di protezione agli iscritti.In precedenza abbiamo citato quelli sui quali rite-niamo sia opportuno intervenire: assistenza sanitariaintegrativa, invalidità, premorienza, Ltc.In una prospettiva realistica, si tratta di definirecompatibilità economiche e priorità nell’attuazione.Un punto fermo in tal senso rimane la realizzazionedi questi obiettivi in forma associata tra tutti gli enti.Sia per realizzare nell’immediato sostanziali econo-mie di scala, ma anche perché la fattiva collabora-zione rappresenta quel elemento in più che ci per-mette di condurre in porto progetti apparentementeirrealizzabili.

Ringrazio, da ultimo, i colleghi che mi hannochiesto di svolgere questa relazione introdut-tiva perché ciò mi ha permesso, tra le altre e

certamente più importanti cose sul piano collettivo,di ripercorrere un decennio importante della mia edella nostra vita. A partire da quando abbiamo ini-ziato a incontrarci nel 1994, con molta confusione intesta ma anche con la determinazione di voler rea-lizzare uno storico e sostanziale obiettivo per lenostre professioni, nonostante lo scetticismo dei più.

Una convinzione in tutti questi frangenti ci ha sem-pre animato. Le idee hanno un valore, una forza cheti permette di superare anche i momenti di maggio-re difficoltà. Oggi noi siamo qui anche grazie a que-sto e vogliamo perciò continuare a mostrare lenostre idee, ascoltare e confrontarci con quelle deglialtri, per arrivare a conclusioni che servano a rende-re migliore il futuro dei nostri colleghi.

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1.Si danno per noti gli elementi essenziali diordine istituzionale e normativo concernentil’Ente, risultando piuttosto opportuno svolge-

re qualche riflessione sulle condizioni materiali diesercizio dell’attività professionale, in specie di psi-cologo, che costituiscono la base di concreto riferi-mento per l’attività dell’ente.La scelta del legislatore è stata di valorizzazionedella dimensione nazionale dell’organizzazione (inciò confortato dalla Costituzione riformata – leggecostituzionale n. 3-2001 – che ha coerentementeriservato alla legislazione dello Stato la materiadella previdenza sociale), e questo dato rileva posi-tivamente in termini di compattezza della professio-ne, pur in presenza di un assetto statutario che haopportunamente dato rilievo alla articolazione terri-toriale della professione attraverso un meccanismoelettorale orientato alla distribuzione geografica deicomponenti del Consiglio di indirizzo generale.La platea di riferimento è costituita da tutti coloroche esercitano la specifica attività professionale informa autonoma, compresi coloro che, pur dipen-denti, svolgano contemporaneamente attività liberoprofessionale, nonché coloro che utilizzano ilmodello di collaborazione coordinata e continuativa,oltre che personale, e quelli, infine che, sempre nelpresupposto della iscrizione all’albo professionale,svolgono attività c.d. occasionale.Si tratta di una realtà in forte evoluzione, se solo siosserva che:a) la condizione di doppio lavoro non corrisponde piùsoltanto a una ipotesi di divaricazione dell’assettoorganizzativo del soggetto, che impiega parte del suotempo professionale alle dipendenze di un datore dilavoro, pubblico o privato, e in termini aggiuntivi escissi da tale condizione si attiva per lo svolgimentodella libera professione: tende infatti a diffondersi lacoesistenza della duplice condizione ora indicata inun contesto soggettivamente unitario, alternandosi ledue attività fra gli stessi soggetti, e quindi trasfor-mandosi volta a volta il datore di lavoro in commit-tente di attività libero professionale, secondo il notofenomeno della libera professione intra moenia.b) Per effetto del decreto legislativo n. 276/03 lafigura del collaboratore continuativo e coordinatoevolve secondo il nuovo modello del lavoro a pro-getto: la circostanza che detta evoluzione non

riguardi i liberi professionisti “ordinati” (cfr. art. 61del decreto ora citato) non esclude che anche neiloro confronti (a parte le ipotesi di regime conven-zionale con le P.A., a loro volta per ora escluse dallanuova disciplina) possano attivarsi quegli accerta-menti che già in un recente passato avevano interes-sato i co.co.co., con la conseguente riqualificazionedei rapporti in senso dipendente e quindi possibileriduzione del numero degli iscritti. Si tratta di unaposizione professionale intermedia, che costituisceun importante dato di flessibilità nel sistema, crean-do condizioni di gradualità nell’entrata e nell’uscitadal mondo professionale.c) La stessa nozione di attività occasionale (ancheessa contemplata dal decreto legislativo n. 276/03,secondo profili che non si attagliano direttamente allaattività libero-professionale) è destinata a esserericonsiderata, così da rendere più stabile (al di là deipositivi risultati della prima giurisprudenza già regi-strata sul punto: cfr. Tribunale di Massa 6 novembre2001) il criterio di identificazione delle figure profes-sionali marginali, valorizzando le relative posizionicontributive in un quadro di mobilità professionaleattraverso corrette tecniche di totalizzazione, chefughino il dubbio di una contribuzione a fondo perdu-to. In questa prospettiva è stata già avanzata una pro-posta legislativa che apra la strada a variazioni statu-tarie degli enti di previdenza privati, idonea a consen-tire l’insorgenza della obbligazione contributiva afronte delle nuove modalità di produzione del reddito.A completare il quadro delle innovazioni annuncia-te quanto alla possibile platea interessata, occorreconsiderare il fermento delle nuove professioni, cheambiscono a un assetto ordinistico. Anche in questaprospettiva è stata avanzata una proposta legislativache valga ad attivare un percorso di inclusione a finiprevidenziali delle nuove figure professionali “ordi-nande”, secondo lo schema già sperimentato inoccasione della emanazione del decreto legislativon. 103/96.L’ipotesi di ampliamento della platea di destinataridell’azione dell’Enpap deve essere accompagnatadalla consapevolezza essa può produrre, al di là del-l’ineliminabile impegno amministrativo e gestorio,effetti positivi sull’assetto finanziario dell’ente, sia intermini di abbattimento della quota unitaria dellespese di gestione, sia in termini di implementazionedella massa finanziaria da investire con accrescimen-to del peso dell’ente come investitore istituzionale.

Prospettive di riassetto normativoe regolamentare dell’Enpap

di Pasquale Sandulli (Università “La Sapienza“ di Roma)*

* Notiziario Enpap 14 - marzo/aprile 2004

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2.Il potenziamento del ruolo dell’Enpap puòinvestire gli ambiti dell’assistenza sanitariae della previdenza pensionistica comple-

mentare.Quanto al primo ambito, al di là della sommariaindicazione funzionale nell’attuale assetto statutario,l’annunciato disegno di legge di riforma del sistemaprevidenziale punta a ulteriormente valorizzare l’a-zione degli enti previdenziali privati rispetto all’as-sistenza sanitaria integrativa; si tratta di un signifi-cativo riconoscimento della diversificazione degliambiti di attività di tali enti, e quindi anchedell’Enpap, che tuttavia non è destinato a produrredi per sé un effetto di miglioramento della gestioneprevidenziale pensionistica, a causa della radicaleseparazione gestionale delle due gestioni. Il ricono-scimento legislativo della funzione di assistenzasanitaria integrativa costituirebbe, nel casodell’Enpap, una scelta di convalidazione di un asset-to materialmente già realizzato in omaggio alla cor-rispondente previsione statutaria, mediante l’attiva-zione di apposito ente di mutua assistenza (Emapi),che offre agli iscritti all’Enpap, come agli iscritti adaltri enti di previdenza pensionistica aderenti all’ini-ziativa in forma associativa, il vantaggio di integra-re le prestazioni del sistema legale in materia sanita-ria,con un sicuro beneficio per gli iscritti in assolu-to, e implementazione del grado di affezione allostesso ente pensionistico.Per l’attivazione della funzione di previdenza pen-sionistica complementare, già sussistono i presuppo-sti di operatività nell’attuale impianto statutario.L’ipotesi, annunciata dal disegno di legge sopra cita-to, dell’assunzione della gestione diretta da partedegli enti privati e privatizzati, crea certamente dellecondizioni di operatività più favorevoli rispetto aquelle che hanno alimentato l’esperienza praticatadall’Enpap insieme con altri enti previdenziali pri-vati in termini di partecipazione a una società digestione finanziaria, compartecipata con primariacompagnia di assicurazione, per la gestione dellerisorse raccolte in vista della costituzione di posizio-ni previdenziali pensionistiche complementari.

Occorre comunque tenere ben distinte l’ipote-si di una previdenza di base con aliquote dif-ferenziate dalla opzione per la previdenza

pensionistica complementare. La partecipazione aforma pensionistica complementare si caratterizzaper il profilo della libertà di adesione; questo dato,risultante con nettezza assoluta dalla attuale norma-tiva in materia (decreto legislativo n. 124/93 e suc-cessive modifiche) è destinato a restare inalteratoanche nella prospettiva della riforma, essendo ildibattito sulla obbligatorietà concentrato intorno allavoro dipendente attraverso il futuro vincolo didestinazione del TFR, cui il lavoro autonomo èestraneo. La gestione delle risorse deve rispondere

al criterio della massima efficienza dell’investimen-to finanziario (anche, in prospettiva, mediante ricor-so alla tecnica del c.d. multicomparto), per l’accre-scimento effettivo del montante, in un sistema carat-terizzato da una capitalizzazione effettiva. La diver-sità dei meccanismi che presiedono la previdenza dibase rispetto a quella complementare impone l’ado-zione di un assetto di gestione separata, cosicchépotrebbe risultare non apprezzabile l’effetto di ridu-zione dei costi di gestione (economia di scala), eanche la stessa implementazione del rendimentofinanziario della gestione di base potrebbe risultarenon coinvolta nella nuova vicenda in ragione delladiversa tipologia di investimenti finanziari delle duegestioni distinte. Infine, si osserva che l’attivazionedi una forma pensionistica complementare deve rac-cordarsi con la prevista modulazione dell’aliquotacontributiva sotto il profilo del corretto impianto deibenefici fiscali.

3.I profili di inadeguatezza dell’attuale regimepensionistico per la categoria sono essenzial-mente correlati alla modesta entità della con-

tribuzione, fissata originariamente nella misura esclu-siva del 10%, e ora suscettibile di elevazione all’ali-quota del 14% su richiesta dell’iscritto. Non è questo,tuttavia, l’unico fattore che incide sulla modestamisura delle prestazioni, condizionata anche dallapresenza del massimale contributivo comune allagestione, secondo il metodo contributivo, dell’assicu-razione generale obbligatoria Inps. Formalmenteininfluente sull’adeguatezza delle prestazioni è la cir-costanza che la intera gestione dell’ente sia espostaalla verificazione del rischio finanziario, collegatoalla tipologia di investimenti, esclusivamente di carat-tere mobiliare, che caratterizza questa fase legislativadel sistema previdenziale pensionistico. Va tuttavia rilevato che seppure la misura delle pre-stazioni è correlata, fra l’altro, al rendimento virtua-le determinato dalle variazioni del PIL, così esclu-dendosi l’effetto diretto – positivo o negativo – dellevariazioni del rendimento finanziario effettivo, è purvero che lunghi periodi di crisi del mercato mobilia-re sono destinati a incidere sulle risorse complessivedell’ente, e potrebbero comprometterne la stabilità.Quanto alla praticabilità giuridica di talune soluzio-ni prospettate, si osserva:a) l’ipotesi di innalzamento dell’aliquota contributi-va di base (anche, eventualmente, differenziatasecondo classi di età e/o di anzianità contributiva) ècertamente praticabile senza particolari problemi –ovviamente nel rispetto del procedimento statutarioe regolamentare e con le debite approvazioni – sullabase della attuale normativa, in cui la indicazionedella aliquota è prospettata come misura minima.Meno scontato è il profilo della modulazione indi-viduale dell’aliquota, rimessa cioè alle opzionidegli iscritti, per la rilevanza dell’elemento volon-

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taristico, che potrebbe determinare delle reazioninegative da parte del Fisco. Questa ipotesi, comequella di superamento libero del massimale, richie-derebbe una messa a punto sul piano normativo,eventualmente in termini di raccordo con la disci-plina, anche fiscale, della contribuzione in regimedi previdenza complementare. Tanto più in consi-derazione dell’ipotesi progettata in sede legislativadi attribuzione della gestione, seppure in formaautonoma e separata, direttamente in capo all’entedi previdenza di base, secondo una formula di sicu-ra valorizzazione del ruolo di tale ente, ma suscet-tibile di determinare un effetto paralizzante deimeccanismi già adottati di variazione individualedella contribuzione di base.Si aggiunga, a completamento di questo ordine diriflessioni, che ogni ipotesi di differenziazione del-l’aliquota che si intendesse adottare deve essere ade-guatamente considerata sotto il profilo dei possibilieffetti di distorsione del mercato in termini di diver-sa incidenza sul prezzo delle prestazioni professio-nali (onorari).b) Quanto alla utilizzabilità, ovviamente parziale,della contribuzione integrativa a fini di aumentodelle prestazioni pensionistiche, essa presuppone unragionevole aumento dell’attuale aliquota. A diffe-renza di quanto rilevato per l’aliquota di contribu-zione soggettiva, quella integrativa è disposta in ter-mini rigidi dalla legge [il contributo integrativo è oradisciplinato dall’art. 8, comma 3 del decreto legisla-tivo n. 103/96, sia quanto al profilo della misura(2%), sia per la base imponibile (fatturato lordo delprofessionista), sia infine per le modalità di riscos-sione (evidenziazione dell’importo sulla fattura econtestualità della riscossione stessa)], coerente-mente con il carattere tendenzialmente impositivodella misura, gravante sull’utenza. È pertanto indi-spensabile un intervento legislativo che apra glispazi all’aumento dell’aliquota della contribuzioneintegrativa, rimettendone possibilmente la determi-nazione alla sede statutaria sia pure entro limitiminimi e massimi predefiniti legislativanente, con-sentendone la destinazione, in una parte ragionevolee significativa, alla formazione del montante indivi-duale, inserendo tale finalità, con adeguati meccani-smi ripartitori, fra quelli concorrenti alla relativa uti-lizzazione. In particolare, deve consentirsi sia l’indi-viduazione in sede statutaria di un criterio di deter-minazione, seppure con carattere di residualitàrispetto alle altre finalità, della fetta complessiva dadestinare alla finalità pensionistica, sia, e conse-guentemente, la definizione di uno o più criteri perl’attribuzione dei relativi importi alla posizione deisingoli iscritti, ancora attivi o liquidati in tempirecenti: in questa logica, si prospetta l’idea di desti-nare il contributo integrativo, oltre che alla copertu-ra delle spese di gestione dell’ente, a finalità assi-stenziali nella misura annualmente stabilita nel

bilancio preventivo dell’Ente, dando priorità allacopertura assistenziale dei bisogni da infortunio,invalidità e cure di lungo termine per anziani nonautosufficienti (secondo una previsione già presentein nuce nell’attuale assetto statutario all’art. 18,comma 2, ma ampliata a una casistica di maggiorerilevanza sociale) e disponendo la formazione di unariserva quinquennale alimentata dalle eventualirisorse finanziarie residue, anche essa già previstadalla disposizione citata, ma (e qui starebbe lanovità) destinata istituzionalmente a essere utilizza-ta per implementare la posizione individuale dei sin-goli iscritti e il trattamento dei pensionati del quin-quennio secondo il criterio di proporzionalità.

In tal modo, si creerebbero indirettamente le condi-zioni per realizzare, sia pure per una componentemarginale, la combinazione fra un sistema contribu-tivo puro e un sistema, se non propriamente di ripar-tizione, almeno di tipo solidaristico, data la diversaincidenza individuale della contribuzione integrati-va correlata al fatturato lordo, rispetto ai meccani-smi ordinari di determinazione del montante secon-do il metodo contributivo, come tale correlato alreddito netto fiscalmente rilevato nel periodo di rife-rimento.Prima di costruire ipotesi di riassetto del sistemafondate su questa componente, il cui meccanismocostituisce oggetto di specifico approfondimentonella parte finale del successivo paragrafo 5, deveadeguatamente essere valutata la circostanza che sulpunto è dato registrare un orientamento negativodelle Autorità di vigilanza, in relazione al paventatoeffetto di lievitazione dei costi delle prestazioni pro-fessionali, con effetti di rimbalzo sugli indicatori delcosto della vita.c) Nelle ipotesi di riassetto funzionale dei meccani-smi dell’ente il fattore rendimento costituisce unodegli snodi individuati come significativi per la ele-vazione delle prestazioni, secondo una duplice lineadi intervento.Il primo è centrato sull’adozione di misure ammini-strative generali, se non proprio legislative, volte aconsentire una diversa articolazione degli investi-menti, dovendosi aprire la strada anche a una signi-ficativa quota di investimenti di tipo immobiliare (aldi là degli investimenti immobiliari già ammessi perfinalità funzionali e di servizio dell’ente), sia informa diretta sia in via indiretta attraverso l’assun-zione di titolarità di quote di società immobiliari.Questo indirizzo meglio realizzerebbe la regola,fondamentale per ogni attività economica di investi-mento, della ripartizione dei rischi e in particolarevarrebbe a ridurre il rischio di instabilità e volatilitàdel mercato finanziario, che tuttavia deve essereconsiderato con la serenità e l’attenzione propria-mente derivante dalla proiezione temporale di lungadurata che connota gli investimenti di un regime

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ENPAP26

pensionistico. Questo passaggio consente di richia-mare l’attenzione, semmai, sulla necessità di evitaresituazioni contingenti, assimilabili all’effetto scom-messa, di liquidazione delle prestazioni che scontinonell’immediato gli effetti più o meno occasional-mente negativi di crisi del mercato finanziario: per ipossibili temperamenti di questi effetti, si rinvia asuccessive riflessioni.Il secondo intervento collegato alla dinamica delrendimento finanziario è rivolto alla attenuazionedel vincolo di collegamento dell’accumulazioneindividuale in termini virtuali attraverso il riferi-mento al PIL, dandosi maggiore spazio alla correla-zione tra prestazioni e rendimento effettivo. In que-sta direzione deve realizzarsi o una innovazionelegislativa, o almeno misure amministrative genera-li, che sgancino la misura delle prestazioni da unrendimento solo teorico, e aprano la strada all’appli-cazione del rendimento effettivamente conseguito.Si tratta di misure del tipo di quelle già risultanti dal-l’assetto istituzionale dell’ente con riferimento allarevisione, dopo il primo quinquennio, dei meccani-smi di formazione e destinazione delle riserve (art.16, comma 2, dello Statuto e art. 14, commi 5 e 6 delRegolamento). Anche questo ordine di problemiviene ricondotto alle riflessioni svolte nel successi-vo paragrafo.

4.Sono note le implicazioni derivanti dall’ine-vitabile applicazione del metodo contributi-vo, che caratterizza in termini stringenti l’in-

tero assetto previdenziale pensionistico italianodopo la legge n. 335/95; ma é comunque emersa invari passaggi l’esistenza di un interesse alla adozio-ne di adeguati correttivi a tali implicazioni.Si tratta dunque di individuare gli spazi di compati-bilità tra la scelta fondamentale di tipo contributivoe la immissione di elementi perequativi, ispirati auna logica solidaristica, e come tali comportanti ilricorso a una metodologia non contributiva o ripar-titiva. In questa prospettiva, l’attenzione si concen-tra sulle modalità di utilizzazione dei vari fondi diriserva, quali già previsti dall’assetto istituzionaledell’ente, e tuttavia suscettibili di un migliore asset-to e di una puntuale funzionalizzazione agli obietti-vi di maggiore solidarietà. Il tutto nell’assoluta con-sapevolezza della relativa esiguità delle disponibi-lità finanziarie destinabili allo scopo, la cui imple-mentazione può già ora derivare da una più attentavigilanza in ordine all’effettivo adempimento del-l’obbligo di contribuzione integrativa e dalla ocula-tezza delle scelte di investimento, finanziario e non.Già secondo le attuali previsioni normative una fetta,più o meno consistente, delle risorse finanziarie deri-vanti dal gettito del contributo integrativo vieneassorbita dalla necessità di ripianamento del rendi-mento correlato al PIL nella determinazione dei mon-tanti individuali: si tratta peraltro di una vicenda che

auspicabilmente (e già i segnali del 2003 sono nelladirezione auspicata) dovrebbe ridimensionarsi e addi-rittura scomparire. È dato comunque ipotizzare giàora la formazione di una disponibilità residua da talevoce del bilancio dell’ente; disponibilità destinata aincrementarsi via via che si realizzasse una stabiliz-zazione del mercato finanziario.Una tale stabilizzazione porterebbe a un duplice,benefico effetto: la già evidenziata liberazione dirisorse provenienti dalla contribuzione integrativa ela formazione di un surplus di rendimento rispettoalle esigenze di copertura dei montanti individualipari al PIL.La necessaria prudenza nella utilizzazione dellerisorse che così potranno determinarsi impone unprocesso di sedimentazione e di consolidamento, dicui è già espressione la prevista periodizzazionequinquennale nella assunzione delle determinazionidi utilizzo delle riserve. In questa prospettiva, e quista l’annunciato dato innovativo rispetto all’attualeassetto istituzionale, in luogo di una generica riservastatutaria e a parte gli effetti di revisione delle tabel-le di conversione (art. 14, comma 6, delRegolamento), deve darsi formalmente ingresso a unmeccanismo di ripartizione delle disponibilità finan-ziarie che si sono consolidate nelle riserve applican-do il seguente meccanismo istituzionale: le riserveaccumulate vengono, ogni cinque anni, destinate aincrementare proporzionalmente3 i montanti indivi-duali degli iscritti attivi e la misura delle prestazioniin essere per gli iscritti pensionati, la cui liquidazio-ne è prevista, o è stata disposta, in un momento com-preso nell’arco temporale, rispettivamente, dei cin-que anni antecedenti e dei cinque anni successivi ladata definita per la utilizzazione delle riserve.Fermo restando, dunque, il regime legale di imple-mentazione ordinaria dei montanti in misura corri-spondente agli incrementi di PIL, e la correlatapatrimonializzazione dell’Ente (per questa parteassolutamente inevitabile), il meccanismo prospetta-to evita l’ulteriore incremento di patrimonializzazio-ne almeno per gli importi corrispondenti al rendi-mento di ciascun quinquennio, e introduce uno sche-ma di limitata ripartizione, destinata a operare diquinquennio in quinquennio, con un effetto di scor-rimento per gruppi quinquennali, ognuno dei qualiresta coinvolto nella ripartizione due volte, subitoprima e subito dopo la liquidazione delle prestazio-ni. Il meccanismo così concepito non altera gli equi-libri istituzionali e intergenerazionali, e offre il van-taggio di essere sufficientemente flessibile per con-sentire in tempi medio-lunghi opportuni assesta-menti, correlati all’andamento demografico e a quel-lo finanziario.

3 Ovvero con altre tecniche, anche eventualmente miste; a esem-pio: in misura uguale per tutti, oppure x% in misura uguale pertutti e (100 – x)% in misura proporzionale.

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ENPAP 27

Questa formula, destinata a realizzare un effet-to di ripartizione equitativa espone al rischiodi una occasionale spalmatura delle risorse

disponibili, laddove l’andamento anagrafico dellapopolazione iscritta prossima alla liquidazione nondovesse risultare uniforme da un quinquennio all’al-tro. Questa eventualità si presenta anzi con il carat-tere della certezza per i primi quinquenni, in attesadella andata a regime del sistema. Per ovviare alleimplicazioni di un tale rischio, si deve adottare unaulteriore misura calmieratrice della manovra diripartizione, definendo una percentuale massima diimplementazione dei montanti e delle prestazioni,secondo un piano correlato con l’andamento anagra-fico della popolazione iscritta. Ciò può determinareun articolato gioco di rimbalzo fra un quinquennio el’altro, che rende la manovra di ripartizione più coe-rente con il criterio della solidarietà intergenerazio-nale.Nella riferita prospettiva, va di più rilevato che, conriferimento ai primi quinquenni (da individuare conattenta definizione dei parametri anagrafici, com-prensivi anche di quello correlato al carico familia-re), potrebbe riconoscersi alla manovra qui prospet-tata un effetto premiante delle prime generazioni dipensionati, analogo a quello verificatosi in passatonelle fasi istitutive dei regimi pensionistici per lelibere professioni, e tuttavia contenuto in ragionedella fisiologica limitatezza delle risorse.

5.Anche in merito a un possibile ampliamentodell’attività assistenziale, deve darsi comedel tutto scontato e determinante il condizio-

namento derivante dalla limitatezza delle risorsefinanziarie in concreto disponibili, concorrendo leattività assistenziali sul gettito della contribuzioneintegrativa, insieme con le ordinarie attività digestione dell’ente e con quelle di copertura dellagaranzia del rendimento individuale minimo, di cuiai paragrafi precedenti.Pur con questa limitazione, deve darsi spazio allapiena realizzazione dello scopo di cui all’art. 3,comma 3, dello Statuto, in termini di assistenzaobbligatoria e di assistenza facoltativa.

Esula dal novero delle presenti riflessioni il temadell’assistenza in forma obbligatoria (art. 14,comma 1, lettera d, dello Statuto) specialmenteriferita all’evento maternità; sotto questo profilodeve semmai ribadirsi la netta separazione dellafunzione previdenziale pensionistica da quellaassistenziale obbligatoria di maternità, con le rela-tive implicazioni in termini di piena utilizzabilitàdelle risorse a tale titolo rese disponibili dalle isti-tuzioni, statali e regionali, preposte al sostegno allamaternità. Sotto questo profilo va definitivamentechiarito che l’ente (al pari degli altri di cui ai decre-ti legislativi n. 103/96 e n. 509/94) assolve, oltre ipropri compiti istituzionali in materia, anche unruolo strumentale rispetto agli obiettivi delle istitu-zioni esterne di rilievo generale. Di ciò è utile si diaesplicita indicazione nel previsto riassetto istitu-zionale.Quanto alle attività assistenziali di diversa natura,deve escludersi ogni ipotesi di intervento per ilsostegno del reddito durante la fase attiva.Correttamente già ora l’assetto istituzionaledell’Ente contempla l’integrazione necessaria altrattamento minimo per i casi di invalidità e di ina-bilità, oltre che per i superstiti. Nelle successivemodifiche rispetto all’originario assetto istituziona-le, si è aperta la strada per la erogazione in via facol-tativa (con delibera periodicamente correlata alledisponibilità volta a volta esistenti nel fondo ali-mentato dal contributo integrato) di prestazioni inte-grative del trattamento minimo in misura pari all’as-segno sociale.Nel riferito quadro, si prospetta ora l’opportunità a)di inserimento di una specifica protezione dell’e-vento infortunio sul lavoro (mediante la elimina-zione della carenza dei cinque anni di iscrizione) b)delle c.d. cure di lungo termine (secondo una ipo-tesi di assistenza facoltativa pienamente riconduci-bile alle finalità istituzionali dell’ente), e c) infinedi un possibile potenziamento dell’integrazione alminimo del trattamento di vecchiaia, da nonconfondere con i meccanismi presenti nell’impian-to legislativo proprio del metodo c.d. retributivo(cfr. legge n. 544/88).

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ENPAP28

Il decreto legislativo n. 103/96 prevede che glienti previdenziali dei liberi professionisti dinuova formazione si organizzino attorno al prin-

cipio contributivo adottato, per il sistema pubblico,con la riforma Dini (legge n. 335/95).Considerando lo specifico caso dell’Ente Nazionaledi Previdenza e Assistenza per gli Psicologi(Enpap), lo studio analizza il livello delle prestazio-ni pensionistiche che è verosimile attendersi da que-sti enti previdenziali, che risulta estremamente con-tenuto.Questo porta a esaminare quali spazi di interven-to vi siano per un miglioramento delle prestazio-ni che non pregiudichi l’equilibrio finanziario dibreve, medio e lungo periodo né faccia venirmeno l’equità intergenerazionale. L’analisi èsvolta innanzitutto sul piano concettuale, attra-verso un ripensamento del modello di finanzia-mento a capitalizzazione puro adottato ed unesame della prevedibile accumulazione patrimo-niale in capo agli enti considerati. Si identificanopoi alcune possibili linee di intervento, qualil’aumento delle aliquote contributive, l’aumentodel tasso di capitalizzazione, l’incentivazione dicontribuzione aggiuntiva, che vanno nella dire-zione indicata.

1. L’adeguatezza dei trattamenti Enpap

1.1 - I tassi di sostituzioneL’indicatore più opportuno per valutare l’adegua-tezza dei trattamenti che l’Enpap fornirà ai propriiscritti è costituito dal tasso di sostituzione, ovve-ro dal rapporto fra pensione e ultimo reddito dalavoro prima del pensionamento. Tale indicatoreinfatti è quello che più di ogni altro permette dicogliere la capacità da parte del sistema pensioni-stico di assicurare al lavoratore il mantenimentodello standard di vita raggiunto grazie alla propria

attività lavorativa, nel momento in cui gran partedella capacità lavorativa stessa viene a mancare.

Si è scelto di valutare i tassi di sostituzione“teorici”, ovvero quelli che una figura consi-derata “tipo” conseguirebbe dopo un certo

numero di anni di carriera in base al regolamentovigente per il calcolo delle prestazioni. La robu-stezza dei risultati è poi testata (analisi di sensiti-vità) confrontando il tasso di sostituzione nel casotipo con quello che si otterrebbe in casi che differi-scono in una delle dimensioni analizzate (età, lun-ghezza della carriera, anno di pensionamento,dinamica individuale di carriera, andamento delPIL, aliquota contributiva). Una metodologia ana-loga è stata adottata, ai fini di valutare l’adeguatez-za del sistema pensionistico pubblico, dal Governoitaliano nel 2002 in sede di predisposizione delRapporto di Strategia Nazionale sulle Pensioniinviato all’Unione Europea.La figura tipo considerata è quella di un indivi-duo che acceda al pensionamento a 65 anni aven-do versato contributi pensionistici per 35 anni. Ilmontante contributivo individuale è capitalizzatoogni anno al tasso di crescita del PIL, ipotizzatoessere dell’1,5% annuo su tutto il periodo consi-derato. Il reddito individuale cresce in ragione didue componenti: la crescita economica generale(dunque il PIL) e la carriera individuale: tipica-mente, infatti, ogni singolo individuo conseguenel corso della propria vita lavorativa migliora-menti di reddito che vanno al di là di quellomedio complessivo e che sono dovuti al matura-re della propria professionalità e al conseguentericonoscimento di carriera. La componente dicarriera è ipotizzata essere del 2% annuo, cosic-ché il reddito individuale cresce del 3,5% annuo.Il valore del 2% è quello medio che si ricava con-frontando i dati dei redditi effettivi degli iscrittiEnpap per classi di età quinquennali (tabella 1 egrafico 1).

L’adeguatezza delle prestazionipensionistiche nei sistemidi primo pilastro contributiviIl caso dell’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenzaper gli Psicologi

di Angelo Marano (Università della Tuscia)*

* Notiziario Enpap 14 - marzo/aprile 2004

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ENPAP 29

L’inflazione è stata assunta essere pari a 0; itassi di sostituzione sarebbero però identicise si fosse ipotizzata un’inflazione positiva,

perché in tal caso se da un lato, aumentando il tasso

di crescita del PIL, aumenterebbe il tasso di capita-lizzazione del montante contributivo, dall’altroaumenterebbe anche, di un analogo ammontare, iltasso di crescita del reddito individuale.

Tot.

1,27

1,26

1,26

1,27

1,30

1,34

1,36

1,32

1,30

M

1,37

1,30

1,27

1,28

1,30

1,34

1,40

1,33

1,32

F

1,25

1,25

1,25

1,26

1,30

1,34

1,32

1,32

1,29

crescita %

annua

7,4

2,5

3,9

1,8

2,4

1,1

-3,7

2,2

euro

10.472

14.364

16.185

19.319

21.071

23.609

24.926

20.312

18.782

crescita %

annua

7,9

3,7

3,7

-0,1

2,3

2,4

-4,2

2,2

euro

12.217

17.037

20.228

23.983

23.836

26.624

29.696

23.449

22.121

crescita %

annua

7,2

1,8

3,3

2,5

2,4

0,2

-3,3

2,0

euro

10.191

13.884

15.131

17.605

19.817

22.164

22.384

18.667

17.480

crescita %

annua

7,6

2,6

3,6

1,7

1,7

0,9

-3,3

2,1

euro

8.253

11.384

12.885

15.217

16.178

17.585

18.393

15.352

14.406

crescita %

annua

9,4

4,4

3,4

-0,4

1,6

1,4

-3,3

2,4

euro

8.889

13.084

15.962

18.697

18.302

19.778

21.170

17.663

16.693

crescita %

annua

7,2

1,8

3,1

1,8

1,7

0,5

-3,3

1,8

euro

8.151

11.079

12.082

13.939

15.212

16.498

16.904

14.120

13.498

26-30

31-35

36-40

41-45

46-50

51-55

56-60

61-65

Media

Rapporto Corrispettivi lordiReddito netto

Corrispettivi lordiFemmine Maschi Totale

Reddito nettoFemmine Maschi Totale

Età

Tabella 1 - Redditi e corrispettivi lordi per sesso e classe di eta' quinquennale degli iscritti ENPAP - anno 2002

La tabella 2 riporta i risultati nel caso base (pensio-namento a 65 anni con 35 anni di contribuzione) e indue casi di pensionamento con 40 anni di contribu-zione, a 65 e a 70 anni rispettivamente. Il tasso disostituzione nel primo caso è del 15,7%, mentre unpensionamento alla stessa età ma con 5 anni di con-tribuzione in più porterebbe al 17,2%. Se poi i 40anni di contribuzione si unissero a un’età di 70 anni,il tasso di sostituzione aumenterebbe fino al 21,2%,in ragione dell’applicazione di un coefficiente piùelevato di trasformazione del montante contributivoin rendita pensionistica.I tassi di sostituzione così ricavati sono tassi disostituzione “lordi”. Andrebbe considerato peròche il pensionato non paga più contributi pensioni-stici e dunque, più correttamente, il reddito primadel pensionamento andrebbe considerato al netto ditali contributi. Questo porta ai tassi di sostituzione

“netti”, anch’essi riportati in tabella 2 e, natural-mente, tutti maggiori dei precedenti: 17,5%,19,1%, 23,6% rispettivamente nei tre casi fin quiconsideratii.

Secondo il regolamento attuale, la pensioneEnpap è indicizzata ai prezzi ma non ai reddi-ti. Questo significa che, mentre la pensione è

costante in termini reali, la posizione relativa di unpensionato rispetto agli attivi tende a peggiorare nelcorso del tempo. Il modo più facile per catturarequesto impoverimento relativo dei pensionati è cal-

i Una definizione alternativa di tasso di sostituzione netto, quinon considerata, tiene conto anche dell’imposizione fiscale.Essa richiede però una serie di ipotesi aggiuntive e in parte arbi-trarie sulla struttura complessiva dei redditi individuali e l’evo-luzione futura della pressione fiscale.

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ENPAP30

colare il tasso di sostituzione 10 anni dopo il pen-sionamento, ovvero il rapporto fra la pensione e ilreddito (al netto dei contributi) di un individuo cheavrà 65 anni dieci anni dopo. Chiaramente, in tal

caso il tasso di sostituzione sarà inferiore. Comeriportato nella tabella 2, si arriva adesso a valori del15%, 16,5%, 20,3% rispettivamente nei tre casi con-siderati.

Caso:

1

2

3

Tasso

di rendimento

complessivo

%

annuo

0,14

0,05

0,05

Tasso

di sostituzione

netto

dopo 10 anni

in %

15,0

16,5

20,3

Tasso

di sostituzione

netto al

pensionamento

in %

17,5

19,1

23,6

Tasso

di sostituzione

lordo al

pensionamento

in %

15,7

17,2

21,2

Pensione

annua

50,6

65,8

81,1

Montante

contributivo

individuale

825

1.073

1.073

Descrizione

caso base: età 65 anni, contribuzione 35 anni (1)

caso base: età 65 anni, contribuzione 40 anni

caso base: età 70 anni, contribuzione 40 anni

Tabella 2 - I tassi di sostituzione ENPAP nel caso base e nel caso di differente lunghezza di carriera ed età dipensionamento

Fonte: ns. ElaborazioniNote: (1) il caso base prevede un pensionamento a 65 anni con 35 anni di contribuzione; un tasso di crescita annuo del PIL dell'1,5%; una carriera individuale del 2% annuo e unreddito individuale (pari a 100 nel primo anno di lavoro) che cresce del 3,5% annuo, come somma del PIL e della componente di carriera. L'aliquota contributiva è del 10% del red-dito netto, mentre la contribuzione integrativa è del 2% dei corrispettivi lordi, ipotizzati essere pari a 1,3 volte il reddito netto.

Rimandando al prosieguo la discussione del datopresentato nell’ultima colonna della tabella, le suc-cessive sviluppano ulteriormente l’analisi di sensiti-vità, riportando i tassi di sostituzione che si otter-rebbero in altri casi che si differenziano in unadimensione rispetto al caso base.I coefficienti di conversione del capitale contributi-vo in rendita sono stati finora considerati fissi.Come detto, almeno fino a 65 anni tali coefficientisono quelli del sistema contributivo pubblico, e sonobasati su una formula di calcolo attuarialeii. La leggeche regola il sistema pubblico (legge n. 335/95) pre-vede che tali coefficienti siano rivisti (in via ammi-nistrativa e previa mera consultazione conParlamento e parti sociali) con cadenza decennaleper tener conto dell’allungamento dell’aspettativa divita. È verosimile che in occasione di tali revisionigli enti di previdenza dei liberi professionisti tende-ranno a seguire i calcoli attuariali effettuati per ilsistema pubblicoiii. In tal caso, i coefficienti dovrebbero ridursi progres-

sivamente nel corso degli anni. I tassi di sostituzio-ne riportati nella tabella 3 sono calcolati con riferi-mento a un adeguamento dei coefficienti coerentecon il progressivo allungamento dell’aspettativa divita ipotizzato nelle più recenti previsioni demogra-fiche di Eurostativ. Il tasso di sostituzione lordodovrebbe ridursi progressivamente dal 15,7% nel2000 al 13,5% nel 2050; il tasso di sostituzione netto

Caso:

1

4

5

6

7

8

Tasso

di rendimento

complessivo

%

annuo

0,14

0,14

0,14

0,14

0,14

0,14

Tasso

di sostituzione

netto

dopo 10 anni

in %

15,0

14,2

13,6

13,3

13,1

12,9

Tasso

di sostituzione

netto al

pensionamento

in %

17,5

16,4

15,8

15,4

15,2

15,0

Tasso

di sostituzione

lordo al

pensionamento

in %

15,7

14,8

14,2

13,9

13,6

13,5

Pensione

annua

50,6

47,6

45,9

44,7

43,9

43,5

Montante

contributivo

individuale

825

825

825

825

825

825

Descrizione

caso base 2000 (1)

caso base 2010

caso base 2020

caso base 2030

caso base 2040

caso base 2050

Tabella 3 - I tassi di sostituzione ENPAP in caso di aggiornamento su base attuariale dei coefficienti di con-versione del montante contributivo individuale in rendita pensionistica

Fonte: ns. ElaborazioniNote: (1) vedi nota 1 tab. 2

ii Per l’esatta formula di calcolo dei coefficienti di trasformazio-ne del montante contributivo individuale in rendita pensionisti-ca indicati nella legge n. 335/95 e il valore dei parametri in essacontemplati cfr. la Relazione Annuale 2002 del Nucleo diValutazione della Spesa Previdenziale.iii È probabile tuttavia che gli enti previdenziali privati non segui-ranno cadenze decennali nell’aggiustamento dei coefficienti,stante che alla scadenza di ciascun periodo rischiano di verifi-carsi comportamenti anomali nelle scelte di pensionamento.iv Si fa riferimento allo scenario Eurostat centrale, che ipotizzaun aumento dell’aspettativa di vita alla nascita fra il 2000 e il2050 di 5,5 anni per i maschi (da 75,5 a 81 anni) e di 6 anni perle femmine (da 82 a 86 anni) (cfr. Rapporto di StrategiaNazionale sulle Pensioni, indicatore I 0.2).

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ENPAP 31

dal 17,5% al 15%; il tasso netto dopo dieci anni dal15% al 12,9%.Nella tabella 4 si riportano i tassi di sostituzione chesi ottengono ipotizzando una diversa dinamica deiredditi individuali, un diverso andamento dei PIL o,infine, di una diversa aliquota contributiva.I casi 9, 10, 11 considerano diverse ipotesi circa ladinamica dei redditi individuali, fin qui suppostapari al 3,5% annuo, ottenuta come somma del 2%(carriera individuale) e dell’1,5% (crescita PIL). Nelcaso 9 si ipotizza una dinamica di carriera indivi-duale simile a quella riscontrata considerando le dif-ferenze di reddito fra diverse classi di età negliiscritti Enpap (cfr. tabella 1 e grafico 1): una cresci-ta annua (cui va poi aggiunta la crescita del PIL) del7,6% nei primi 5 anni di contribuzione e del 2% neisuccessivi 25 anni, seguita da una riduzione mediaannua del 3,3% negli ultimi 5 anni di vita lavorativa.Nel caso 10 si ipotizza una dinamica di carriera indi-viduale molto bassa, dello 0,5% annuo, pari a quel-la ipotizzata per i lavoratori dipendenti e autonominel Rapporto di Strategia Nazionale sulle Pensioni.Nel caso 11 si è invece ipotizzata una dinamica dicarriera più spinta, in crescita del 3% annuo.

Nel caso 9, la riduzione del reddito negli ultimi annidi lavoro porta a un significativo aumento del tassodi sostituzione, che arriva al 19,7% in termini lordi,al 21,9% in termini netti e al 18.8% dopo 10 anni.Risultati pressoché analoghi si ottengono nel caso10, di dinamica del reddito individuale poco accen-tuata, mentre nel caso opposto, di dinamica di car-riera sostenuta, i tassi di sostituzione raggiungono ilminimo: 13,7% 15,2% 13,1% rispettivamente in ter-mini lordi, netti e dopo 10 anni.I casi 12 e 13 considerano l’ipotesi di una maggiorecrescita economica. Salvo che per il tasso di sostitu-zione dopo 10 anni, il caso 12 non si distingue signi-ficativamente dal caso base in quanto a un aumento

dall’1,5 al 2,5% del tasso di crescita annuo del PILè associato anche un analogo aumento del tasso dicrescita dei redditi individuali. Il caso 13 considerainvece l’ipotesi in cui l’aumento del tasso di cresci-ta del PIL al 2,5% non provochi anche l’aumento deltasso di crescita dei redditi individuali; com’è lecitoattendersi, il risultato stavolta è un significativoaumento del tasso di sostituzione, che supera il 20%in termini netti.

L’ultimo caso considerato, il caso 14, ipotiz-za un’aliquota contributiva sensibilmentepiù alta, pari al 19%, il livello cui, secondo

l’attuale normativa, dovrebbe stabilizzarsi l’aliquotadi tutti i lavoratori autonomi e parasubordinati entroil 2014v. In questo caso, a fronte di una contribuzio-ne quasi doppia, anche il tasso di sostituzione rad-doppia. In termini lordi aumenta al 29,9%, in termi-ni netti 36,9% e dopo 10 anni è ancora al 31,8%.

1.2 - Un confronto con l’altra evidenza disponibileVale la pena di confrontare i risultati qui presentaticon l’altra evidenza disponibile.Una prima è costituita da calcoli svolti in sededell’Enpap stesso, nei quali si assumeva, come nelcaso base qui ipotizzato, un tasso di crescita realedel PIL dell’1,5% annuo e da cui risultava un tassodi sostituzione per un pensionamento a 65 anni con30 anni di contribuzione del 22,89%. Le differenzerispetto allo scenario qui esaminato stanno nella

Caso:

1

9

10

11

12

13

14

Tasso

di rendimento

complessivo

%

annuo

-0,14

-0,11

0,02

-0,25

0,85

0,96

0,61

Tasso

di sostituzione

netto

dopo 10 anni

in %

15,0

18,8

18,9

13,1

13,7

15,9

31,8

Tasso

di sostituzione

netto al

pensionamento

in %

17,5

21,9

22,0

15,2

17,5

20,3

36,9

Tasso

di sostituzione

lordo al

pensionamento

in %

15,7

19,7

19,8

13,7

15,8

18,3

29,9

Pensione

annua

50,6

60,2

38,8

61,0

70,4

58,9

96,2

Montante

contributivo

individuale

825

980

632

994

1.147

960

1.567

Descrizione

caso base: carriera individuale 2% annuo (1)

carriera individuale variabile (2)

carriera individuale 0,5% annuo

carriera individuale dinamica: 3% annuo

tasso di crescita del PIL alto (2,5%)

tasso di crescita del PIL alto (2,5%) senza effetti

sulla crescita del reddito individuale

aliquota contributiva al 19%

Tabella 4 - I tassi di sostituzione ENPAP al variare della dinamica del reddito individuale, della crescita eco-nomica e dell'aliquota contributiva

Fonte: ns. ElaborazioniNote: (1) vedi nota 1 tab. 3.2 (2) la componente di crescita del reddito individuale dovuta alla carriera e' del 7,6% nel primo quinquennio, del 2% nei successivi 25 anni, del -3,3%negli ultimi 5 anni

v L’attuale aliquota contributiva di base (2003) è pari al 17,1%per i commercianti, al 16,6% per gli artigiani e al 14% (solo13,5% ai fini pensionistici) per i parasubordinati non già dipen-denti. L’aliquota di computo è del 20% per artigiani e commer-cianti, di 2 punti percentuali superiore a quella effettiva per iparasubordinati. Per le tre categorie la legge prevede un aumen-to progressivo fino a un’aliquota di contribuzione del 19%, cuicorrisponderà un’aliquota di calcolo del 20%.

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ENPAP32

considerazione, nei calcoli Enpap, di un tasso diinflazione positivo – cosa però ininfluente a spiega-re le differenze nei risultati – e nell’ipotesi di un red-dito reale del lavoratore fisso in termini reali, chenon aumenta dunque né in seguito al miglioramentodelle condizioni economiche generali né in seguitoal raggiungimento di una maggiore maturità profes-sionale dell’iscritto – elemento che, spiega intera-mente la divergenza nei risultati anche a fronte di unperiodo di contribuzione inferiore di 5 anni –.Inoltre, nella simulazione Enpap non si tiene contoné del possibile allungamento dell’aspettativa di vita– con conseguente, ancorché non automatica, revi-sione dei coefficienti di trasformazione del montan-te contributivo in rendita pensionistica –, non si con-siderano diversi possibili profili di crescita econo-mica e non si distingue fra tasso di sostituzionelordo, netto e successivo al pensionamento.La seconda evidenza disponibile per un confronto èquella offerta dai calcoli presentati nel Rapporto diStrategia Nazionale sulle Pensioni. La tabella 5 con-fronta i risultati per gli psicologi con quelli calcola-ti dal Governo per dipendenti privati, lavoratoriautonomi INPS e fondi pensione. Comuni a tutte lesimulazioni sono le ipotesi di pensionamento a 65anni con 35 anni di contribuzione e di una crescitadel PIL dell’1,5% annuo in termini reali. I dati sonopresentati nel 2000, 2020 e 2050 per dare contoanche della possibile revisione dei coefficienti, cheporterebbe a un calo del tasso di sostituzione del14% nel 2050 rispetto a quello che si otterrebbeapplicando i coefficienti attuali.La tabella mostra che i tassi di sostituzione di dipen-denti privati e autonomi sono molto più alti di quel-li degli psicologi: attualmente si ha un tasso supe-riore al 64% sia per i dipendenti che per gli autono-mi, mentre il tasso di sostituzione, del tutto ipoteti-co vista che l’Enpap è stato creato solo di recente,per gli psicologi ammonterebbe a poco più del 15%.Le ragioni della differenza sono fondamentalmen-te tre:• per dipendenti ed autonomi si applica tuttora ilsistema retributivo e solo con l’andare del tempo ilsistema contributivo entrerà in esercizio. Dei treriportati, solo il dato del 2050 vede l’integrale appli-cazione a tutte e tre le categorie del sistema contri-butivo. Anche a tale data, però, il tasso di sostituzio-ne degli psicologi risulterà sostanzialmente piùbasso;• la seconda, fondamentale differenza sta nell’ali-quota contributiva utile ai fini pensionistici, che èdoppia per i lavoratori autonomi e più che tripla peri dipendentivi. Se si considera l’ipotesi di un’aliquo-ta contributiva del 19% per gli psicologi, in effetti, iltasso di sostituzione per questi ultimi quasi raddop-pia, portandosi al 29,9%; rimane da spiegare, però,ancora una differenza di 9,7 punti rispetto ai lavora-tori autonomi (tasso di sostituzione del 39,6%);

• tale differenza di 9,7 punti è ascrivibile per 1,5punti alla più alta aliquota di computo degli autono-mi (20%) e per la parte rimanente alla più bassadinamica individuale del reddito ipotizzata neldocumento del Governo italiano: in tale sede, infat-ti, si è supposto che il reddito del lavoratore cre-scesse del 2% annuo in termini reali, dei qualil’1,5% dovuto alla crescita economica e lo 0,5% allacarriera individuale. In questa sede, invece, comedetto, seguendo maggiormente il dato effettivo deglipsicologi, si è ipotizzata una crescita del 3,5%annuo, l’1,5% dovuto alla crescita economica e il2% alla dinamica individuale di carriera. Se si ipo-tizzasse anche per gli psicologi un’aliquota contri-butiva del 20% e una dinamica di carriera indivi-duale dello 0,5% annuo, si otterrebbe esattamente lostesso tasso di sostituzione riportato nel rapportostrategico italiano, ovvero il 39,6%.

Il tasso di sostituzione degli psicologi risultainvece molto somigliante al tasso di sostituzioneofferto dalla previdenza integrativa, ancorché

più basso. Anche qui i motivi della differenza nonsono di carattere strutturale, ma fanno piuttosto rife-rimento alle ipotesi sottostanti la simulazione: inprimo luogo il più alto tasso di rendimento ipotizza-to (2,5% al netto degli oneri amministrativi e gestio-nali per i fondi pensione, contro l’1,5% per gli psi-cologi), in secondo la differente tipologia di pensio-ne (fissa in termini nominali quella dei fondi pen-sione, con riconoscimento dell’interesse sul capitaleresiduo già al momento del pensionamento) e, infi-ne, l’aliquota contributiva ipotizzata, che nel docu-mento del Governo italiano è stata supposta essere,sia pur marginalmente, inferiore a quella considera-ta per gli psicologi.

Un ultimo confronto va fatto fra il dato qui ricavatoe un altro, molto grezzo ma che rende appieno l’ideadella logica del contributivo. Attualmente, la speran-za di vita a 65 anni è di 19,6 anni per le donne e di15,7 per gli uomini. Considerando anche la pensio-ne ai superstiti, possiamo considerare un periodo dipensionamento medio di 20 anni. Se l’individuo hacontribuito per 40 anni, possiamo dire che ha lavo-rato per due periodi (di venti anni ciascuno) e con irisparmi pensionistici di tali due periodi si devemantenere per un altro periodo. Nell’ipotesi di unacrescita del reddito individuale uguale al quella del

vi Va rilevato che per i dipendenti l’aliquota del 32,7% si riferi-sce al reddito lordo in busta paga, che non include gli onerisociali a carico delle imprese (23,81% ai fini pensionistici). Sesi considerano anche tali oneri, andando verso una quantifica-zione dei contributi pensionistici in percentuale di una qualchemisura del costo del lavoro, come è necessario fare per con-frontare le aliquote dei dipendenti con quelle dei lavoratoriautonomi e dei liberi professionisti, quelle dei primi scendonoattorno al 25%.

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ENPAP 33

PIL, l’aliquota t che permette il mantenimento dellostandard di vita dopo il pensionamento (tasso disostituzione netto del 100%) si ottiene risolvendo laseguente equazione, dove R è il reddito al lordo deicontributi sociali: 2R = 3R(1-t).Si ricava così che t = 33,3%. Dunque, un’aliquota del33,3% sul reddito lordo è quella richiesta in primaapprossimazione nel sistema contributivo per il com-pleto mantenimento dello standard di vita dell’indi-viduo. In effetti, se si considera il caso 2 illustrato inprecedenza, di pensionamento a 65 anni con 40 annidi contribuzione e si modifica l’aliquota contributivaportandola al 33,3% il tasso di sostituzione nettodiventa dell’86%, la rimanente differenza rispetto al100% dovendosi attribuire alle ipotesi di un tasso dicrescita del reddito individuale maggiore del PIL ealla diversa aspettativa di vita al pensionamento con-siderata nei coefficienti di trasformazione.

1.3 - I tassi di rendimento considerando la contribu-zione complessivaL’ultima colonna delle tabelle 2, 3 e 4 riporta il tassodi rendimento medio annuo offerto dall’Enpap aipropri iscritti nei diversi casi. Tale tasso non è parial tasso di crescita annuo del PIL (1,5%) riconosciu-to sul montante contributivo perché oltre alla contri-buzione del 10%, utile ai fini pensionistici, il prelie-vo Enpap si compone anche di un contributo inte-grativo obbligatorio pari al 2% dei corrispettivi lordiche concorrono a formare il reddito imponibile del-l’attività professionalevii.I dati degli iscritti Enpap indicano che il rapportocorrispettivi lordi/reddito netto è pari a circa 1,3, conpoche variazioni nelle classi di età quinquennali eper sesso (cfr. tabella 1).

Dunque, a fronte di un rendimento dell’1,5% sul-l’intero montante contributivo, un ammontare pari acirca il 2,6% del reddito netto (2%*1,3) viene dedot-to ogni anno per spese e altro, non risultando con-teggiato ai fini pensionistici. Questo provoca neiprimi anni rendimenti netti negativi, che aumentanopoi mano a mano che il rendimento dell’1,5% siapplica su un montante di dimensioni sempre mag-giori.Ciononostante, i dati presentati nell’ultima colonnadelle tabelle mostrano che sull’arco dei 35 anni dicontribuzione considerati il rendimento netto èsostanzialmente nullo e in molti casi marginalmentenegativo: in pratica, le prestazioni Enpap corrispon-dono pressappoco al valore reale del capitale versa-to investito a tasso 0.Il dato è suggestivo, anche se soggetto ad alcunequalificazioni:• si parla di un rendimento reale nullo, il che impli-ca che viene comunque offerta la protezione delcapitale dall’inflazione;• il capitale è automaticamente convertito in renditapensionistica, laddove l’analoga operazione, com-piuta da un fondo pensioni privato, comporterebbeun costo anche significativo;• soprattutto, e questo tema verrà ripreso nella sezio-ne 2, nella probabile ipotesi di un rendimento delpatrimonio Enpap superiore al tasso di crescita delPIL, dovrebbe accumularsi un patrimonio crescente,che potrebbe essere destinato al miglioramento delleprestazioni, con conseguente aumento del tasso direndimento implicito qui calcolato.In ogni caso, è significativo che il tasso di rendi-mento risulta significativamente diverso da 0 solonegli ultimi tre casi analizzati, ovvero quando la cre-scita del PIL e più forte e quando l’aliquota contri-butiva è più alta. Quest’ultimo elemento, in partico-lare, suggerisce che la scala operativa dell’Enpappotrebbe non essere quella ottimale: cioè che i costiorganizzativi – o comunque la parte dei contributi

-14,0

-14

-14,1

15,7

29,9

65

39,6

13,5

56

34

18,75

-9,6

-6

-5,5

15,7

29,9

66

47,5

14,2

62

44,9

15,7

29,9

67

64,4

10%

19%

0

20%

9,25%

10% su reddito, 2% su corrispettivi

19% su reddito, 2% si corrispettivi

32,7% sul salario (25% sul costo del lavoro)

19%

9,25%

Psicologi (2)

Psicologi 19% (2)

lavoratori dipendenti privati

Lavoratori autonomi (3)

Fondi pensione (4)

Tabella 5 - Confronto dei tassi di sostituzione lordi degli psicologi, dei lavoratori dipendenti, dei lavoratoriautonomi e di quelli che dovrebbero offrire i fondi pensione

Fonte: Per lavoratori dipendenti privati, autonomi e fondi pensione: Rapporto di Strategia Nazionale sulle Pensioni, Ministero del Welfare, 2002, tabb. 2.2.b e 2.2.c. Per psicologi,ns. elaborazioni (cfr. tabelle precedenti) Note: (1) La dinamica reale del reddito individuale del 2% annuo e una dinamica del PIL reale dell’1.5% annuo. I casi senza revisione si riferiscono a pensioni calcolare applicando anchenel 2020 e nel 2050 i coefficienti di trasformazione validi per il 2000.(2) Nel caso degli psicologi il caso di pensionamento nel 2000 e 2020 con 35 anni di contribuzione è puramente teorico.(3) L'aliquota contributiva del 19% è quella a regime (2012-2014).(4) Per i fondi pensione si assume un rendimento al netto di tutti gli oneri amministrativi e gestionali del 2,5% annuo. Inoltre l'intero capitale maturato è convertito in rendita almomento del pensionamento senza alcun onere. Infine, un tasso di rendimento sul capitale residuo del 2,5% viene riconosciuto direttamente al momento del pensionamento, mentreil valore della pensione non è indicizzato.

Pensionamento a 65 anni

con 35 anni di contribuzione (1) Contributiva di computo2000

Aliquota contributiva

con

revisione

senza

revisioneDiff. %

2020

con

revisione

senza

revisioneDiff. %

2050

vii Si prescinde qui dall’esistenza di un contributo minimo. Ilcontributo integrativo serve a pagare le spese di gestione del-l’ente e dovrebbe finanziare le integrazioni al trattamento mini-mo nei casi di invalidità e superstiti. Cfr. sezione 2.

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ENPAP34

che l’Ente previdenziale ritiene di dover mettere ariserva – potrebbero finire per risultare eccessivi peruna struttura che amministra una parte così contenu-ta del risparmio previdenziale degli iscritti; potreb-bero, cioè, aversi significative economie di scala sele dimensioni dei fondi amministrati fossero piùconsistenti.

1.4 - Prestazioni non adeguateA conclusione di questa sezione, sembra di poterformulare le seguenti considerazioni:1) I tassi di sostituzione sono molto bassi e solo mar-ginalmente maggiori sono i tassi di sostituzionenetti. Considerando il reddito medio annuo 2002 daprestazioni professionali di 14000 euro, il tasso disostituzione lordo nel caso base, pari al 17,5%, por-terebbe a prestazioni pensionistiche medie annue di2450 euro, ben inferiori ai minimi pensionistici eall’importo dell’assegno sociale. È vero che permolti l’attività professionale è svolta a latere diun’attività principale altrimenti tutelata ai fini previ-denziali, ma il calcolo dei tassi di sostituzione indi-ca che comunque l’attuale sistema pensionistico nonè in grado, se non in minima parte, di garantire ilmantenimento di quella parte di reddito, a prescin-dere che essa costituisca la fonte principale o unamera integrazione al reddito dell’individuo.2) Ancora più bassi sono i tassi di sostituzione se siconsidera l’impoverimento relativo dopo il pensio-namento, solo in parte considerato negli esercizi disimulazione svolti.3) Ulteriori riduzione dei tassi di sostituzione siavrebbero se i coefficienti di conversione del mon-tante contributivo individuale in rendita pensionisti-ca fossero calcolati su basi puramente attuariali.Anche di tale componente si è tenuto conto solo inparte nelle simulazioni effettuate, stante che, mentresi è tenuto conto del probabile aumento dell’aspetta-tiva media di vita, non si è invece tenuto conto dellaspecifica composizione della categoria professiona-le degli psicologi, per 3/4 formata da individui disesso femminile (più longevi) e del fatto che verosi-milmente l’aspettativa di vita dei professionisti è piùelevata rispetto alla media.4) La parte di contribuzione non riconosciuta ai finiprevidenziali (il contributo integrativo del 2% suicorrispettivi lordi) rischia di risultare eccessivarispetto alla contenuta aliquota contributiva del 10%del reddito netto utile ai fini pensionistici. Questopuò impedire di utilizzare a pieno le economie discala nella gestione e rischia di assorbire una partesostanziale e in alcuni casi l’intero rendimento offer-to dal sistema contributivo.

2 - La struttura di finanziamento dell’Enpap e gli“assets” a disposizione

Le conclusioni della sezione precedente portano a

esaminare quali spazi di intervento vi siano per unmiglioramento delle prestazioni pensionistiche assi-curate dall’Enpap. Nella prossima sottosezione siapprofondisce la struttura del bilancio dell’Ente, dimodo poi da valutare, nelle tre successive sottose-zioni, i possibili “assets” su cui si può fondare unastrategia di intervento: il meccanismo di finanzia-mento a capitalizzazione, l’accumulazione patrimo-niale in capo all’Ente, anche in eccesso rispetto airequisiti della capitalizzazione, la possibilità digodere di economie di scala nella gestione dei con-tributi. Nella sezione 3 si esamineranno più in detta-glio le possibili opzioni.

2.1 La struttura di bilancio dell’EnpapNel bilancio dell’Enpap a fronte delle principali vocidell’attivo (liquidità, crediti verso gli iscritti, attivitàe immobilizzazioni finanziarie) stanno, al passivo,quattro fondi di interesse ai fini del presente lavoro:il Fondo contributo soggettivo, il Fondo conto pen-sioni, il Fondo contributo integrativo, il Fondo diriserva.Fondo contributo soggettivo. In tale fondo afflui-sce il flusso di contributi soggettivi del 10% suiredditi (circa 26 milioni annui), mentre lo stock èrivalutato secondo la media quinquennale deltasso di crescita nominale del PIL. Dal fondoviene invece dedotto il capitale, relativo alle pen-sioni liquidate nell’anno, dirottato nel Fondoconto pensioni.Fondo conto pensioni. Di importo ancora mode-sto, vi affluisce ogni anno il montante contributivorelativo alle pensioni liquidate nell’anno, che sisomma a quello residuo relativo alle pensioni liqui-date negli anni precedenti. Le risorse necessarie apagare le prestazioni pensionistiche provengonodunque da questo fondo. Nel caso di incapienza(ovvero in particolare in caso di eccessiva longe-vità rispetto all’aspettativa di vita utilizzata per ilcalcolo dei coefficienti di trasformazione) il fondoviene integrato con risorse provenienti dal Fondodi riserva.Fondo contributo integrativo. Attualmente diconsistenza pari a 0, accoglie il flusso di contribu-to integrativo del 2% sui corrispettivi, che vieneutilizzato per le spese di gestione dell’Ente, per leintegrazioni al minimo nei casi di invalidità esuperstiti e, in generale, dovrebbe essere utilizzatoper gli interventi di solidarietà. Ogni cinque anni ilsaldo di tale fondo viene azzerato e passato alFondo di riserva.Fondo di riserva. Dovrebbero affluire su questoconto da un lato, quinquennalmente, il saldo delFondo contributo integrativo, dall’altro, annualmen-te, l’eventuale differenza fra i rendimenti finanziarisulle attività e quelli riconosciuti sugli accantona-menti nel Fondo contributo soggettivo, pari alla cre-scita del PIL.

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ENPAP 35

Se negativi, i saldi originati dalla differenza fra ren-dimenti finanziari e capitalizzazione dei contributisono però contabilizzati come segue: fino allacapienza del Fondo contributo integrativo vengonoassorbiti da detto conto. Per la parte eccedente ven-gono contabilizzati nell’apposito Conto separato ededotti, nel bilancio successivo, dal saldo del Fondodi riserva.

2.2 - La capitalizzazioneLa caratteristica di finanziamento a capitalizzazionedelle prestazioni Enpap è catturata dai primi duefondi descritti. Di fatto, in ogni momento l’Entemantiene al passivo fondi sufficienti a ripagare l’in-tera massa contributiva degli attivi e tutti i relativiinteressi maturati (Fondo contributo soggettivo) e aliquidare le annualità residue di pensione di cui ci sideve aspettare potranno godere i pensionati correnti(Fondo conto pensioni). Dunque, nelle casse a capi-talizzazione in ogni momento sono presenti risorsein grado di soddisfare l’intero debito pensionistico.È però importante sottolineare che, differentementeda quanto a volte scritto nella pubblicistica, il finan-ziamento “a capitalizzazione” non ha nulla a chevedere con la formula “contributiva” di calcolo delleprestazioni pensionistiche.I fondi pensione privati, la totalità dei quali, nel casoitaliano, adotta una formula contributiva, sono gene-ralmente finanziati a capitalizzazione. D’altra parte,dopo la riforma del 1995 anche il sistema pensioni-stico pubblico ha adottato una formula contributiva,pur essendo – e continuando a rimanere anche inprospettiva – fondato sulla ripartizione, ovvero sulfinanziamento della spesa pensionistica non concapitale precedentemente accumulato, bensì con iltrasferimento ai pensionati dei contributi dei lavora-tori correnti.La differenza nelle modalità di finanziamento si tra-duce però in una differenza nei tassi di rendimentoofferti sui contributi, pari al rendimento delle attivitàfinanziarie nel caso della capitalizzazione, alla cre-scita del PIL nel caso della ripartizione. In entrambii casi, tuttavia, l’equilibrio finanziario di lungoperiodo tende a essere assicurato anche a fronte diun andamento negativo dei mercati finanziari e delladinamica demografica. Nel caso della capitalizza-zione, le crisi finanziarie e l’allungamento dell’a-spettativa di vita si ripercuoteranno nel valore piùbasso delle prestazioni pensionistiche, mentre lariduzione del flusso dei nuovi entranti rispetto alflusso dei pensionati si tradurrà in un decumulopatrimoniale. Anche nel caso della ripartizione l’al-lungamento dell’aspettativa di vita si tradurrà in unariduzione delle pensioni, ma lo stesso avverrà anchenel caso di una dinamica demografica che non assi-curi più il normale turnover di individui che entranoed escono nel mercato del lavoro, in quest’ultimocaso l’effetto essendo veicolato dalla più bassa cre-

scita del PIL che ne deriverà, con conseguente ridu-zione del rendimento riconosciuto sui contributi.Quest’ultima considerazione introduce tuttavia unapossibile fonte di instabilità finanziaria nei sistemi aripartizione che prendono a riferimento una popola-zione “chiusa” quale può essere quella degli aderen-ti a una cassa professionale: se la dinamica demo-grafica interna (evoluzione del rapporto fra membriattivi e pensionati) è peggiore di quella del restodella popolazione, il flusso di entrate contributivepuò non svilupparsi allo stesso tasso dell’economia,che è anche il tasso di crescita del debito pensioni-stico. Ne consegue la necessità, negli enti pensioni-stici a popolazione chiusa, di correggere il meccani-smo della ripartizione con riserve patrimoniali chegarantiscano il pagamento delle prestazioni pensio-nistiche nel caso di crisi demografica “interna allacassa”, ovvero nel caso si riduca il numero di ade-renti. In termini molto generaliviii, se una cassa avràsempre almeno 10.000 membri attivi e attualmentene ha 12.000, i contributi di 2.000 individui dovran-no essere posti a riserva per garantire il pagamentodelle relative pensioni, mentre quelle degli altrisaranno garantite dal meccanismo della ripartizione.Il sistema diventerà dunque del tipo misto, riparti-zione + fondi di riserva.Dunque, in astratto, sono individuabili tre modelli disistema pensionistico con calcolo contributivo delleprestazioni:• finanziamento a capitalizzazione e rendimenti suicontributi in linea con l’andamento dei mercatifinanziari;• finanziamento a ripartizione e rendimenti sui con-tributi in linea con la crescita del PIL, nell’ipotesi didinamica demografica dell’ente pensionistico inlinea con quella della popolazione complessiva;• finanziamento a ripartizione e rendimenti sui con-tributi in linea con la crescita del PIL, più fondi diriserva nell’ipotesi di enti pensionistici a popolazio-ne “chiusa”, essendo il fondo di riserva commisura-to alla differenza fra numero di iscritti correnti enumero minimo di iscritti in equilibrio demografico.Rispetto a questi modelli teorici, il modello di finan-ziamento dell’Enpap, così come quello degli altri entiprevidenziali dei professionisti creati ai sensi deldecreto legislativo n. 103/96, presenta degli elementidi incoerenza. Da un lato, la formula di calcolo adot-tata, che è la formula contributiva “pubblica” caratte-rizzata dalla capitalizzazione dei contributi al tasso dicrescita del PIL, sarebbe coerente con il terzo deimodelli sopra descritti, che prevede il finanziamentoa ripartizione con l’aggiunta di fondi di riserva.Dall’altro, la modalità di finanziamento adottata, acapitalizzazione pura, sarebbe coerente con il primo

viii Supponendo nel resto dell’economia sia stato raggiunto unequilibrio demografico, ovvero sia stabile nel tempo il rapportoattivi / pensionati.

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ENPAP36

modello, ovvero con una formula contributiva di tipo“privatistico”, che implica il riconoscimento di unrendimento sui contributi pari a quello dei mercatifinanziari. Invece, l’adozione nella pratica del finan-ziamento a capitalizzazione e della formula contribu-tiva “pubblica” non garantisce a priori l’equilibrio fraattivo e passivo di bilancio, determinando, nel caso ditassi di interesse superiori ai tassi di crescita econo-mica, una sistematica accumulazione di patrimonio incapo all’ente pensionistico.

2.2 - Le riserve e l’accumulazione patrimonialeValutiamo meglio gli elementi da cui può generareuna differente crescita delle componenti del passivorispetto all’attivo di un ente pensionistico comel’Enpap. In generale, da esse dovrebbe emergere unavariazione di segno sistematicamente positivo delpatrimonio in capo all’Ente, cioè un’accumulazioneeccedente quella richiesta dal modello di finanzia-mento a capitalizzazione pura.Il primo elemento, introdotto nell’ultima parte dellasottosezione precedente, è rappresentato dal fattoche sui contributi soggettivi (e dunque sullo stock dirisorse contabilizzate nel fondo omologo) vienericonosciuto un tasso di rendimento pari alla mediaquinquennale del PIL, laddove il rendimento che nederiva per l’Ente è quello del portafoglio di attivitàin cui le risorse sono investite, ed è dunque collega-to all’andamento dei mercati.In generale, nel lungo periodo il rendimento suimercati finanziari e sul portafoglio complessivodell’Ente dovrebbe essere superiore al tasso di cre-scita del PIL, anche se, tenuto conto delle spese diamministrazione e gestione finanziaria e della storiafinanziaria passata e più recente, rendimenti realidell’8-10%, quali quelli ventilati da alcuni autori,devono essere ritenuti come del tutto improbabili.Più ragionevole sembra l’ipotesi del Rapporto diStrategia Nazionale sulle Pensioni, adottata nellaprecedente sezione, di un differenziale positivo frarendimenti e tasso di crescita del PIL nell’ordinedell’1% annuo.Questo comporterebbe in ogni caso un’accumula-zione patrimoniale, aggiuntiva rispetto a quellarichiesta dal finanziamento a capitalizzazione, pariall’1% del fondo contributo soggettivo, che verreb-be ulteriormente alimentata dall’intero ammontaredegli interessi sul patrimonio in eccesso che siandrebbe via via a costituire. Il tutto dovrebbe com-portare un’accumulazione sempre più consistentenel Fondo di riserva.Al Fondo di riserva dovrebbe inoltre affluire (quin-quennalmente) l’eccedenza derivante dal saldo fracontributo integrativo e spese di gestione. Anchequesto elemento dovrebbe essere sistematicamentepositivo, stante che le spese ammontano a poco piùdi 1/3 del totale dei contributi integrativi annui e chele economie di scala dovrebbero permettere una

diminuzione ulteriore dell’incidenza al crescere delnumero degli iscritti. Ne segue, astraendo per oradalla spesa in “solidarietà”, che 2/3 dei contributiintegrativi annui dovrebbero accumularsi nel fondocontributo integrativo e fluire, con i relativi interes-si, al termine del quinquennio nel fondo di riserva,alimentandolo ulteriormente.È dunque ragionevole aspettarsi che il Fondo diriserva sia alimentato da tre componenti:– una componente pari a circa l’1% del fondo con-tributo soggettivo (come detto, attualmente pari a140 milioni di euro);– una componente pari ai 2/3 del flusso annuo dicontributi integrativi (come detto, attualmente pari acirca 6 milioni);– una componente pari all’intero ammontare dei ren-dimenti sulle attività del Fondo di riserva (nelle ipo-tesi della sezione precedente, i rendimenti erano parial 2,5% l’annuo in termini reali).

Queste tre componenti dovrebbero permettereuna crescita patrimoniale sostenuta, stimatain 20 anni in circa 200 milioni di euro a prez-

zi correnti. Tali risorse si aggiungerebbero a quelle,anch’esse crescenti, gestite dall’Ente ma facenticapo al Fondo contributo soggettivo e al Fondoconto pensioni.Allo stato attuale, queste extra-risorse dovrebberoandare a coprire tre componenti o rischi.Innanzitutto, la componente di solidarietà, stante lapossibilità per l’Ente di introdurre l’integrazione altrattamento minimo ed altri istituti solidaristici.In secondo luogo il rischio longevità, ovvero l’even-tualità che, in ragione di ritardi nell’aggiustamentodei coefficienti di trasformazione del montante con-tributivo in pensione, o della composizione preva-lentemente femminile dell’Ente, o ancora della mag-giore speranza di vita che probabilmente caratteriz-za i liberi professionisti, il Conto fondo pensioni,che dovrebbe coprire tutte le annualità di pensioniliquidate, risultasse incapiente.Ancora, il Fondo di riserva (insieme con il Fondocontributo integrativo a monte), dovrebbe permette-re di assorbire le perdite nelle quali l’Ente incorrequando i rendimenti sul patrimonio sono inferiori altasso di crescita del PIL o addirittura, come neltriennio 2000-2002, sono negativi.Posto che le componenti negative appena elencatenon dovrebbero, per dimensione e durata tempora-le, essere tali da alterare il trend di fondo di accu-mulazione patrimoniale dell’ente pensionistico, sideve concludere che l’attuale assetto finanziariopresenta delle caratteristiche che dovrebbero per-mettere all’Ente di fronteggiare eventuali anda-menti perversi dei mercati e portarlo a una sostan-ziale accumulazione patrimoniale in futuro, ineccesso rispetto all’ammontare del debito pensio-nistico maturando.

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2.3 - Le economie di scalaLe economie di scala vanno considerate fra gli“assets” che un ente pensionistico dovrebbe potervalorizzare, a fianco delle risorse nei fondi di bilan-cio legati alla capitalizzazione e in quelli supple-mentari.In effetti, nell’ultima parte della sezione 1.4 si èrichiamato il fatto che la parte di contribuzione nonriconosciuta ai fini previdenziale (il 2% dei corri-spettivi) rischia di risultare eccessiva a fronte di unacontribuzione ai fini pensionistici di appena il 10%.Il rischio è quello di aver messo a punto una mac-china troppo dispendiosa rispetto alla velocità allaquale la si fa viaggiare.

In realtà, come detto, gli effettivi oneri ammini-strativi e gestionali sono di gran lunga inferioriall’ammontare totale della contribuzione integra-

tiva. Tuttavia il problema rimane: la gestione ammi-nistrativa richiede costi fissi rilevanti, ma il costomarginale di amministrare posizioni aggiuntive, o diamministrare ulteriori contributi da parte degliiscritti, è molto basso. Ne deriva l’opportunità perl’ente pensionistico di ridurre sostanzialmente l’in-cidenza degli oneri all’ampliarsi della platea degliiscritti e della contribuzione. Si è già visto, ad esem-pio, nel confronto fra il caso base e il caso 14 pre-sentato nella tabella 4 che un aumento dei contribu-ti dal 10% al 19% permetteva di aumentare il tassoannuo di rendimento sul complesso dei contributi da–0,14% a 0,61%.Un vantaggio simile potrebbe derivare all’Enteanche dall’avere una base informativa e organizzati-va che ben si presta all’ampliamento dei serviziofferti alla contribuzione integrativa propria deifondi pensione. Nei fatti i costi di raccolta di contri-buti aggiuntivi, trasferimento in capo a un gestorefinanziario e rendicontazione dovrebbero essere perun ente previdenziale del tutto concorrenziali rispet-to a quelli, talora molto elevati, proposti dai fondipensione e dalle polizze assicurative pensionisticheindividuali.

3 - Gli spazi di intervento per garantire l’adegua-tezza delle prestazioni pensionistiche

3.1 - Obiettivi e i vincoliDall’analisi della sezione 1 emerge che, nelle condi-zioni attuali, enti pensionistici quali l’Enpap nonpotranno rispondere pienamente al mandato costitu-zionale assicurando pensioni “adeguate” comerichiesto anche a livello europeo. Di più, il fatto chele prestazioni pensionistiche saranno verosimilmen-te significativamente inferiori all’importo dell’asse-gno sociale apre scenari in qualche modo patologici,nei quali gli incentivi alla contribuzione sonosostanzialmente indeboliti, la contribuzione stessapotendo diventare per coloro che sono privi di altri

redditi una mera forma di tassazione, che non per-metterà loro né di arrivare al pensionamento primané di godere di una prestazione significativamentediversa da quella che avrebbero se non avessero mailavorato.Quali le strade percorribili in un simile contesto?Nella sottosezione 3.2 si descrivono tre opzioni. Le prime due prevedono di intervenire senza metter-ne in discussione la modalità di finanziamento acapitalizzazione, rafforzando bensì il sistema, orimanendo nella logica di determinazione delle pre-stazioni propria del sistema contributivo pubblico, oadottandone una più vicina a quella del sistema con-tributivo privato. La terza opzione prevede il pas-saggio a un finanziamento a ripartizione. La sottose-zione 3.3 prova a ipotizzare una serie di interventiche si muovono contemporaneamente in tutte ledirezioni indicate.Nel delineare le opzioni e le strategie possibili, si ètenuto conto di due vincoli che si ritiene debbanoessere rispettati nell’elaborazione delle soluzioni alproblema dell’adeguatezza. Da un lato il vincolodell’equilibrio finanziario di breve, medio e lungoperiodo, che deve essere sempre garantito.Dall’altro il vincolo dell’equità intergenerazionale,che implica che tutte le generazioni, tanto le presen-ti quanto le future, devono essere trattate in modisostanzialmente simili e che, in particolare, i tassi direndimento offerti in futuro non dovranno esseresistematicamente inferiori a quelli offerti alle gene-razioni presenti.

3.2 - Le tre opzioniA parte le opzioni paradossali di continuare a opera-re nelle condizioni attuali o di entrare nel sistemapubblico, facendo venire meno tra l’altro in que-st’ultimo caso la possibilità di attivare forme di soli-darietà categoriale e quei servizi e prestazioniaggiuntive per gli iscritti, tre sono le opzioni chepossono essere considerate.

Opzione 1 - Migliorare le prestazioni all’internodel modello di sistema a capitalizzazione condeterminazione delle prestazioni secondo la logi-ca contributiva “pubblica”

Volendo rimanere all’interno sia del modello difinanziamento a capitalizzazione, che della determi-nazione delle prestazioni secondo il modello contri-butivo con capitalizzazione dei contributi al tasso dicrescita del PIL, interventi rivolti a migliorare leprestazioni dovrebbero indirizzarsi verso l’aumentodella contribuzione versata e/o accreditata ai finipensionistici, utilizzando a tal fine anche l’eccessodi accumulazione patrimoniale che deriva dalla dif-ferenza fra rendimento patrimoniale e tasso di capi-talizzazione dei contributi e il saldo positivo delFondo contributo integrativo.

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In particolare si tratterebbe di:• aumentare il contributo soggettivo e/o quello inte-grativo, in quest’ultimo caso riconoscendone l’au-mento ai fini pensionistici;• considerare una parte dell’attuale contributo inte-grativo ai fini pensionistici;• utilizzare parte dell’accumulazione patrimoniale ineccesso rispetto alle necessità della capitalizzazionedi cui alla sezione 2.3 per incentivare l’aumentocontributivo.

Opzione 2 - Migliorare le prestazioni all’internodel modello di sistema a capitalizzazione, condeterminazione però delle prestazioni secondouna logica contributiva di stampo “privatistico”

Sempre all’interno del modello di finanziamento acapitalizzazione, sarebbe possibile muoversi nelladirezione di un riconoscimento di tassi di rendimen-to sui contributi più in linea con l’andamento deimercati finanziari, prendendo atto dell’incoerenzadel meccanismo di funzionamento a capitalizzazio-ne descritto nella sezione 2.3, che prevede, a frontedi rendimenti sul patrimonio dell’Ente in linea con imercati finanziari, una capitalizzazione al tasso dicrescita del PIL. Il modello di capitalizzazione purapermetterebbe il riconoscimento del primo tasso direndimento in luogo del secondo e questo dovrebbeconsentire di assicurare in media rendimenti piùvantaggiosi.In pratica, si tratterebbe di:• riconoscere un tasso di rendimento sui contributi inlinea con quello dei mercati finanziari;• oppure, in alternativa, di riversare periodicamentele risorse che si accumulano nel Fondo di riserva nelFondo contributo soggettivo, riconoscendo dei“bonus” in termini di rendimenti maggiori rispetto altasso di crescita del PIL.• si potrebbe inoltre affiancare alla parte di previ-denza obbligatoria una parte integrativa volontaria,sulla quale verrebbe esplicitamente riconosciuto unrendimento legato a quello dei mercati finanziari.Tale operazione aggiungerebbe di fatto alla previ-denza obbligatoria gestita dall’Ente una componen-te di “fondo pensioni” privato, in linea con l’impo-stazione degli interventi legislativi in itinere.

Opzione 3 - Introduzione di elementi di riparti-zione

Come detto, per assicurare l’equilibrio finanziario,tanto nel breve quanto nel medio e lungo periodo, lacapitalizzazione non è strettamente necessaria,bastando piuttosto un modello fondato sulla riparti-zione e l’istituzione di un fondo di riserva nel qualevengano accantonati i contributi dei membri attivi ineccesso rispetto al numero minimo sotto il quale nonsi prevede potranno mai ridursiix.

Teoricamente, si potrebbero dunque utilizzare, dasubito, le risorse attualmente destinate alla capitaliz-zazione per migliorare il livello delle prestazioni,passando alla ripartizione. In effetti, la capitalizza-zione non è un bene in sé, né la sottocapitalizzazio-ne dei sistemi pensionistici necessariamente unmale. Capitalizzazione e ripartizione sono semplice-mente modalità alternative di finanziamento delleprestazioni pensionistiche, ambedue compatibili conl’equilibrio finanziario, come visto nella sottosezio-ne 2.1. In effetti, storicamente è spesso successo chenei primi anni di vita di un’istituzione pensionistica,quando il saldo fra contributi e prestazioni è in forteattivo, forme più o meno spinte di ripartizione venis-sero utilizzate per garantire da subito ai pensionatiprestazioni di un certo livello.In un contesto come quello dell’Enpap, tuttavia, talestrada deve essere considerata con molta prudenzaper almeno tre ragioni:• è difficile fare previsioni sull’evoluzione dello sce-nario futuro della professione;• nella misura in cui il modello di finanziamentotende alla ripartizione, si ridurrebbero sia il patrimo-nio che può essere investito sui mercati sia l’accu-mulazione patrimoniale in eccesso di cui abbiamoparlato nella sezione precedente. Ne risulterebbeuna minore disponibilità di risorse per pagare pen-sioni nel futuro;• vi è il rischio che si possano pagare rendimenti piùalti sui contributi agli attuali membri ma non ai futu-ri, con conseguente venir meno dell’equità genera-zionale. In effetti, mentre i tassi di rendimento attua-li potrebbero essere portati a livelli molto elevatigrazie al fatto che l’Ente è giovane e in fase di accu-mulazione, a regime, con la ripartizione, i tassi direndimento dovrebbero necessariamente convergereverso il tasso di crescita del PIL.

3.3 - Una strategia di mix delle diverse opzioniQui di seguito proviamo a ipotizzare una serie diinterventi che seguano contemporaneamente le dire-zioni indicate dalle ultime tre opzioni presentate,quantificando gli effetti che avrebbero sui tassi disostituzione (tabella 6).

Contribuzione1) Aumentare progressivamente (es: 0,5% in piùogni due anni) l’aliquota di contribuzione soggettivaobbligatoria, fino al 15%. Sarebbe possibile diffe-renziare le aliquote per età (13% i giovani, 15%intermedio, 17% i più anziani) mentre sarebbe pre-feribile non differenziare a seconda della presenza o

ix Questo, naturalmente, a prescindere dall’esistenza del giàricordato requisito aggiuntivo costituito dall’esistenza di riservelegali minime pari a almeno 5 annualità di pensione previsto daldecreto legislativo n. 509/94.

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meno di un’altra copertura pensionistica, ai fini dievitare effetti concorrenziali distorsivi;2) portare il contributo integrativo sui corrispettividal 2% al 4%, prevedendone il seguente utilizzo:- 0,6% limite massimo alle spese di gestione;- 0,6% dedicato alla solidarietà;- 0,6% dedicato a incentivare contribuzione volonta-ria aggiuntiva;- 2,2% accreditato ai fini pensionistici;3) incentivare una contribuzione volontaria aggiun-tiva (o il riscatto degli anni di formazione) per colo-ro che sono privi di altra copertura obbligatoria. Lacontribuzione aggiuntiva dovrebbe arrivare al 4%;come incentivo dovrebbero essere utilizzati lo 0,6%di cui sopra (che dovrebbe permettere di accreditareai fini pensionistici il 5%) e una qualche garanzia diun rendimento minimo di 1 punto superiore al tassodi crescita del PIL (dunque 2,5% annuo nel casoesaminato nella sezione 3);4) incentivare un’ulteriore contribuzione volontariaaggiuntiva da inquadrare nell’ambito della previden-za integrativa. Rivolta a tutti, opererebbe secondo ilmeccanismo privatistico, dunque il rendimento offer-to sarebbe quello dei mercati finanziari. Il vantaggiosarebbe di costi amministrativi quasi azzerati.L’obiettivo potrebbe essere una contribuzione del 4%.

PrestazioniRiconoscere – in qualche modo – sulla contribuzio-ne obbligatoria e volontaria non privatistica un tassodi rendimento annuo in linea con il PIL maggioratodell’1%.Tale garanzia dovrebbe essere assicurata attraversotre componenti:1) il differenziale fra rendimento del patrimonio etasso di aumento del debito pensionistico (differen-ziale assunto in questa sede pari all’1% annuo, sog-getto però nella realtà a una significativa variabilitànel tempo);2) l’utilizzo delle risorse che si verrebbero a trovarenel Fondo di riserva, in ragione di avanzi del Fondo

contributo integrativo o di eccedenze nei rendimen-ti finanziari; 3) l’eventuale utilizzo dei fondi della capitalizzazio-ne (e dunque l’adozione di coefficienti di capitaliz-zazione inferiori al 100% del debito pensionistico),entro limiti però molto stringenti.

RisultatiNella tabella 6 sono illustrati gli effetti degli inter-venti ipotizzati sui tassi di sostituzione e i risultatisono confrontati col caso preso a riferimento nellasezione 1. Il caso 15 prevede il contemporaneoincremento dell’aliquota di contribuzione soggettivaal 15% e di quella integrativa al 5%, con il 3,2%riconosciuto ai fini pensionistici. Il caso 16 aggiun-ge al precedente l’ipotesi di un tasso di rendimentosui contributi pari al tasso di crescita del PIL aumen-tato dell’1%. Il caso 17 introduce una contribuzioneaggiuntiva del 4%, valutata, ai fini della maturazio-ne dei diritti pensionistici, come se fosse del 5% ecapitalizzata allo stesso tasso considerato nel casoprecedente. L’ultimo caso analizzato prevede unaulteriore contribuzione aggiuntiva, anch’essa del4%, gestita dall’Ente secondo il sistema privatistico,come un vero e proprio fondo pensione.Si arriva quindi a una contribuzione totale massimadel 23% sul reddito professionale, valutata 24%, cuisi somma il 5% sui corrispettivi (equivalente a circail 6,5% in termini di reddito), dei quali il 3,2% rico-nosciuti ai fini pensionistici. I contributi utili sonotutti capitalizzati al 2,5%, stante che, nelle ipotesiadottate nella sezione 1, aumentando di 1 punto iltasso di crescita del PIL si ottiene lo stesso tasso,2,5%, ipotizzato come rendimento sulle attivitàfinanziarie.Il tasso di sostituzione lordo passa dal 15,7% nelcaso base al 30,1% (caso 15), al 35,1% (caso 16), al44,2% (caso 17) e al 51,5% (caso 18). Ancora piùalto è il tasso di sostituzione netto, che nell’ultimocaso raggiunge il 66,9% e rimane di poco inferioreal 60% anche dopo 10 anni.

Caso:

1

15

16

17

18

Tasso

di rendimento

complessivo

%

annuo

-0,14

0,70

1,75

2,15

2,20

Tasso

di sostituzione

netto

dopo 10 anni

in %

15,0

30,5

36,5

47,0

57,7

Tasso

di sostituzione

netto al

pensionamento

in %

17,5

35,4

41,2

54,6

66,9

Tasso

di sostituzione

lordo al

pensionamento

in %

15,7

30,1

35,1

44,2

51,5

Pensione

annua

50,6

97,0

112,9

142,4

165,9

Montante

contributivo

individuale

825

1.580

1.840

2.320

2.704

Descrizione

caso base: (1)

aliquota contributi al 15% e contributo integrativo

al 5% (3,2% accreditato ai fini pensionistici)

caso 15 con capitalizzazione dei contributi al tasso

di crescita del PIL +1%

caso 16 più contribuzione aggiuntiva del 4% valu-

tata 5% e capitalizzata al PIL +1%

caso 17 più ulteriore contribuzione del 4% con ren-

dimento legato alle attività finanziarie (2,5%)

Tabella 6 - I tassi di sostituzione con gli interventi ventilati

Fonte: ns. ElaborazioniNote: (1) vedi nota 1 tab. 2

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Il tasso di rendimento complessivo sui contributi,che era negativo nel caso base, diventa ora positi-vo e crescente con i livelli contributivi, arrivandoal 2,2% nell’ultimo caso, a indicare che le econo-mie di scala permettono di spalmare i costi digestione su una massa contributiva di dimensioniben più elevate.

4 - Conclusioni

Allo stato attuale, l’Enpap, come pure, verosimil-mente, gli altri enti di previdenza obbligatoria deiliberi professionisti istituiti sulla base del decretolegislativo n. 103/96, si trova a fronteggiare un serioproblema di adeguatezza delle prestazioni pensioni-stiche assicurate. Se il metodo contributivo di calco-lo e il metodo di finanziamento a capitalizzazioneassicurano l’equilibrio finanziario di breve e lungoperiodo, le prestazioni pensionistiche rischiano dinon andare oltre il 15-20% del reddito lavorativoanche dopo 35 o 40 anni di contribuzione. In termi-ni nominali, un pensionato di 65 anni, si ritrovereb-be dopo 35 anni di contribuzione con una pensioneannua che non arriva a 2500 euro a prezzi correnti,di gran lunga inferiore ai minimi pensionistici eall’assegno sociale. Rischia così di venir meno latutela previdenziale prevista dal dettato costituzio-nale e confermata anche in sede europea.In parte, l’insufficienza delle prestazioni pensionisti-che deve essere attribuita al basso livello della contri-buzione, di molto inferiore non solo a quella dei lavo-ratori dipendenti, ma anche a quella degli autonomiINPS. Aliquote più elevate non solo permetterebberodi aumentare la contribuzione accreditata ai fini pen-sionistici, ma anche di ridurre l’incidenza delle spese,permettendo di ottimizzare le dimensioni e di usu-fruire di maggiori economie di scala.

Tuttavia, a prestazioni così basse fa da contraltareun’accumulazione sostenuta in capo all’ente previ-denziale. Non solo il finanziamento a capitalizzazio-ne della spesa pensionistica, non strettamente richie-sto ai fini di garantire il pagamento delle prestazionipensionistiche, comporterà nei prossimi anni un’ac-cumulazione patrimoniale rilevante, in ragione dellarecente istituzione dell’Ente e della bassa età mediadegli iscritti. Ma anche, in ragione dei meccanismidi finanziamento individuati e del fatto che sui con-tributi viene riconosciuto il tasso di crescita del PILpiuttosto che un tasso superiore, l’accumulazionepatrimoniale dovrebbe essere per gli anni a veniresignificativamente superiore rispetto a quella neces-saria per assicurare il finanziamento a capitalizza-zione; sotto ipotesi conservatrici circa l’andamentodei mercati finanziari (un rendimento del 2,5% intermini reali al netto delle spese di gestione patri-moniale) in 20 anni il patrimonio dovrebbe eccede-re di quasi 200 milioni di euro il totale del debitopensionistico.

Sembra perciò possibile delineare un percorsonel quale le prestazioni pensionistiche venganomigliorate attraverso un mix di aumento delle

aliquote contributive, aumento della contribuzionericonosciuta ai fini pensionistici e aumento dei ren-dimenti/tassi di capitalizzazione riconosciuti, senzacon ciò minare la stabilità finanziaria di breve, medioe lungo periodo e l’equità intergenerazionale. Si trat-terebbe di riconoscere un tasso di rendimento più inlinea con quello cui dovrebbe tendere a valorizzarsiil patrimonio dell’Ente; di utilizzare parte dell’ecces-so di accumulazione e, sia pure in modo estrema-mente cauto, qualche elemento di ripartizione perincentivare l’aumento della contribuzione; di attiva-re forme di previdenza integrativa per gli iscritti.

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ENPAP 41

GESTIONE FINANZIARIADELLE RISORSE

Indice seconda parte

– Investire sul futuro .................................................................................................................. 43

– Le strategie e le regole di un investimento finanziario efficiente .......................................... 47

– La rivalutazione dei montanti contributivi degli iscritti .......................................................... 52

– La consulenza strategica per la gestione del portafoglio finanziario dell’Ente ...................... 53

– La responsabilità sociale dell’investitore istituzionale italiano .............................................. 55

– Il quadro della situazione finanziaria dell’Ente e le prospettive future .................................. 58

– Perché investire nei settori socialmente responsabili .............................................................. 60

– Kahneman, psicologo da Nobel .............................................................................................. 62

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Investire sul futuro

*

Noi psicologi, come del resto gli altri professio-nisti, dedichiamo gran parte del tempo “dilavoro” alle attività operative della professio-

ne, e poi anche molte energie e risorse per la forma-zione e l’aggiornamento, l’organizzazione e il con-trollo dei servizi prestati. Una frazionale attenzione,invece, viene rivolta agli aspetti previdenziali, cheanzi sovente vengono vissuti più come un prelievoche come un accantonamento per garantirsi un livellodecoroso di reddito al momento della cessazione, oquanto meno rallentamento, dell’attività professiona-le. In merito al futuro, è percezione diffusa tra i pro-fessionisti che il raggiungimento dell’età anagraficacanonica per la pensione (65anni) non sia che un com-pleanno, e che continueremo la professione anche per-ché per i liberi professionisti rappresenta il fattore dimaggior garanzia della propria sicurezza economica.

Questo atteggiamento porta a orientare normalmenteil nostro personale risparmio più per acquisire unapluralità di beni d’uso quotidiano e meno verso inve-stimenti dall’orizzonte e vincolo pluridecennale, anzi,uno dei criteri che presiedono agli investimenti indi-viduali è il consentire la facilità di “smobilizzo incaso di bisogno”: in questa maniera tendiamo a nonprivilegiare investimenti che potenzialmente offronoun più interessante rendimento perché timorosi chepotrebbe accaderci di “trovarsi nella necessità di rea-lizzare” proprio nella fase storica di mercato menofavorevole per liquidare tale tipologia di investimen-to (ad esempio investimento azionario).

Ma se nelle nostre scelte di risparmio perso-nali a volte “andiamo a naso”, questometodo non può essere adottato da organi-

smi che hanno la responsabilità di gestire professio-nalmente patrimoni previdenziali come gli organi-smi dell’ENPAP. Vediamo quindi quali sono stati ipassaggi seguiti per determinare le scelte relative alportafoglio finanziario dell’ENPAP, una parte dellequali è stata presentata nel fascicolo di Gennaio(“criteri generali in materia d’investimento”, docu-mento del Consiglio di Indirizzo Generale). Sullabase dei criteri viavia definiti Vi illustriamo le scel-te specifiche fatte dagli organi dell’ente per la defi-nizione del piano degli investimenti finanziari.

1) Asset Allocation: termine col quale si indica l’o-perazione di ripartire il capitale su diverse tipologie

di investimento in base alle esigenze ed al profilo dirischio ed alla situazione patrimoniale del risparmia-tore. Nelle scelte d’investimento di ciascun singolo etra quelle del singolo e quelle di un Ente previden-ziale vi sono differenze sulla “strategia ragionevole”di asset allocation: esigenze diverse portano ad attri-buire pesi diversi a ciascuno degli elementi che com-pongono e determinano le scelte d’investimento, adesempio, si è accennato sopra che per il singolo sog-getto il “far fronte” spesso comporta intaccare unaquota sostanziale del risparmio, invece per un Ente lapercentuale di risorse investite che potrebbe accade-re di improvvisamente “trovarsi nella necessità direalizzare” è (tranne in caso di diluvio) una frazioneminima, sia in termini assoluti sia in termini percen-tuali. Ha dunque un peso diverso il vincolo di duratainsito in ciascun investimento (sia questo, brevissi-mo, monetario – depositi bancari, p/t; sia quellomedio/lungo, obbligazionario – titoli di Stato, obbli-gazioni; sia quello, generalmente lungo, azionario -azioni, fondi comuni, sicav, derivati, etc.), ovvero l’i-nopportunità di realizzare prima di un dato termine.

Asset Allocation definito dall’ENPAP:

Tale asset allocation ci permette, attraverso un equi-librato mix di azioni ed obbligazioni, di prevedere inun orizzonte temporale medio di 4/5 anni, sceltoanche per questa fase di partenza capitata entro laturbolenza dell’Euro, moneta ancora “virtuale” perun paio d’anni, performance particolarmente inte-ressanti, pur limitando notevolmente la volatilità(rischio), prevedendo il contratto un ampio ma nonassoluto margine di libertà per il gestore.

2) Diversificazione geografica e settoriale del por-tafoglio (e definizione del Benchmark): definitol’asset allocation occorre procedere alla diversifica-zione del portafoglio. La diversificazione consistenell’investire su un ampio numero di attività finan-ziarie della stessa o di diverse tipologie al fine diridurre il rischio complessivo dell’investimentooppure, stabilito un certo livello di rischio, dimigliorare il rendimento dell’investimento.

minimo20% azioni

10% obbligazioni

0% monetario

neutro40% azioni

55% obbligazioni

5% monetario

massimo55% azioni

80% obbligazioni

70% monetario

ASSET (crescita)

* Franco Faoro e Mario Rossini

Notiziario Enpap 1 - settembre/ottobre 2000

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Nel caso dell’investimento obbligazionario la diver-sificazione si realizza:– acquistando un elevato numero di titoli di undeterminato mercato che differiscono tra loro inbase alla duration (durata) ed alla tipologia di corre-sponsione delle cedole (tasso fisso, tasso variabile);– acquistando titoli denominati in differenti valute;– acquistando titoli emessi da differenti tipologie diemittenti.Nel caso dell’investimento azionario la diversifica-zione si realizza:– acquistando un elevato numero di differenti titolidi una determinata borsa, sia direttamente attraversol’acquisto dei titoli o attraverso l’acquisto di fondicomuni specializzati in quel mercato;– investendo in un numero elevato di differenti mer-cati azionari (borse del Nord America, Europa,Pacifico, ecc);– investendo in azioni di aziende appartenenti adiversi settori economici (beni di consumo, energia,telecomunicazione, ecc.).I quotidiani economici pubblicano numerosi “indi-ci” che rappresentano un certo numero di titoli, e leloro vicende borsistiche, di un determinato mercato(es. MSCI USA è un indice che rappresenta il mer-cato azionario USA nella sua totalità, il MIB30 itrenta più importanti titoli italiani, mentre JPMorgan EMU rappresenta il mercato obbligaziona-rio Euro). Nella definizione geografica e settorialedei portafogli, i principali investitori utilizzano mixdi questi indici per avere dei precisi riferimenti suquali mercati e titoli investire. Il mix di questi indi-ci scelti costituisce il benchmark, cioè l’insieme deimercati su cui si è deciso di investire. Il benchmarkviene utilizzato anche per verificare l’abilità delgestore nel riuscire o meno a ottenere dei risultatisuperiori alla media (indice) del mercato di riferi-mento.

Diversificazione geografica e settoriale del por-tafoglio (e definizione del Benchmark):

La scelta dei seguenti indici è legata fondamental-mente alle seguenti motivazioni:– diversificazione sui più importanti e più efficientimercati azionari (Nord America, Germania,Inghilterra) e obbligazionari internazionali (USA,area EURO e Inghilterra);– scelta di indici correlati tra di loro negativamente

(cioè si compensano tra di loro nelle fasi alterne dimercato: es. azioni americane con le obbligazioniEURO);– diversificazione valutaria nelle monete più stabili(Dollaro, Sterlina) o senza rischi di cambio (EURO).

3) Definizione della qualità delle tipologie di inve-stimenti: all’interno delle tipologie degli investi-menti è possibile scegliere singoli titoli che appar-tengano a classi (rating) di qualità internazional-mente definiti. Esistono cioè titoli che Enti esternispecializzati (agenzie di valutazione) dopo accurateanalisi fatte sull’ente emittente (Nazione, banca, sin-gola industria), riconoscono come particolarmentesolidi e di grande affidabilità. (es. rating Adell’Agenzia S&P’s).

Definizione della qualità delle tipologie di investi-menti ENPAP.Come ulteriore parametro di qualità degli investi-menti, si è voluta limitare la scelta nel portafoglioesclusivamente a titoli particolarmente qualificati,ed in particolare:– titoli azionari delle borse dei paesi industrializzati(Europa occidentale, Nord America, Giappone,Australia ed Hong Kong);– titoli obbligazionari in euro o valuta purché al tito-lo sia riconosciuto il rating A da S&P’s;– quote di fondi comuni o sicav estere autorizzate inItalia o UE che corrispondano alle tipologie di inve-stimento sopra descritte.

4) Simulazione dell’andamento del portafoglio:ottimizzato il portafoglio è possibile elaborare unasimulazione probabilistica dell’andamento del por-tafoglio in base all’andamento di quel portafoglio inun congruo intervallo temporale (anni). In un grafi-co è possibile quindi esplicitare la performancepotenziale, il rendimento medio annuo e la volatilità(rischio). Questo tipo di simulazione, di tipo statisti-co, non può essere considerata certa (100% di pro-babilità di realizzarsi), da però elementi d’indicazio-ne sull’evoluzione attesa del portafoglio gestito conun determinato benchmark.

5) Selezione dei gestori: una volta determinato conprecisione l’asset allocation ed il benchmark vannoidentificati i soggetti cui affidare la gestione del por-tafoglio. Anche per la scelta dei gestori, si possonoutilizzare parametri statistici che riescono ad indicarei gestori sinora più efficienti, identificando e scorpo-rando inoltre alcuni fattori che per ciascun gestorehanno determinato i rispettivi risultati. Al di là della

25,43%

7,75%

6,82%

MSCI USA (azioni USA)

MSCI GERMANIA (azioni Germania)

MSCI UK (azioni Gran Bretagna)

50,00%

5,00%

5,00%

JP MORGAN EMU (obbligazioni Euro)

JP MORGAN UK (obbligazioni Gran Bretagna)

BOT (obbligazionario italiano a breve termine)

Rendimento minimo atteso al:

16% (di probabilità)

50% (di probabilità)

84% (di probabilità)

1 anno

118,77

110,49

102,78

2 anni

135,21

122,07

110,21

3 anni

152,86

134,37

119,00

4 anni

172, 19

149,01

128,96

5 anni

193,52

164,64

140,07

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solidità e dell’esperienza delle società, dato per scon-tato che ciascuna candidata ammessa alla preselezio-ne deve possedere tali requisiti, parametri tenuti inconsiderazione per la valutazione dei gestori sono: ilrendimento ottenuto nell’ultimo quinquennio, e in unintervallo ancora più esteso negli specifici mercati dinostro interesse, ed il grado di rischio corso per otte-nere i risultati (indice di Sharpe = rapporto tra rendi-mento e rischio). Nella scelta dei gestori è certamenteutile tenere in considerazione il fatto che ci sonogestori più efficienti in determinati mercati su cuihanno maggiore esperienza e non va trascurata la con-siderazione che storicamente i gestori esteri (in parti-colar modo inglesi, svizzeri, americani ed olandesi)hanno un’esperienza maggiore dei gestori italiani.

6) Abbattimento dei costi: identificata una ristrettarosa di gestori non rimane che cercare di ottimizzarei costi di compravendita, gestione ed amministrazio-ne. In portafogli di considerevoli dimensioni l’otti-mizzazione (riduzione) dei costi di gestione permettedi migliorare la performance dell’investimento anchedel 20%. Altro aspetto importante è quello di legareparte dei compensi del gestore alla sua capacita digestire efficacemente il portafoglio (cioè di battere ilbenchmark, il risultato medio del mercato). Mentre icinque punti precedenti fanno tutti parte di un auto-nomo lavoro istruttorio svolto internamentedall’ENPAP, coadiuvato da consulenti indipendenticon specifiche competenze in tali analisi (la milaneseProgetica), quest’ultima fase è quella della compara-zione delle offerte pervenute dalle Società individua-te dall’Ente come i gestori di punta, “ai vertici”.

Come già in occasione delle trattative per il contocorrente bancario, che si è chiusa con un livello dicosti per le operazioni a zero, ed un tasso d’interes-se attivo pari ad un punto sopra il tasso BCE, conadeguamento automatico (attualmente col tassoEuro al 4,50 l’interesse versatoci dalla banca suiconti correnti ENPAP è pari al 5,50%), a seguito diuna trattativa con i gestori l’ENPAP è giunto nonsolo ad un significativo abbattimento dei costi diacquisizione e di amministrazione, e a legare inmisura significativa i costi di gestione del portafo-glio alla capacità dei gestori di battere il benchmarkdato loro come riferimento.

7) Monitoraggio costante del portafoglio e deigestori: il lavoro non termina con la scelta delgestore, questa attività consente di intervenire tem-pestivamente sulla struttura del portafoglio (bench-mark) o sul singolo gestore in caso di necessità,permettendo di mantenere il proprio portafoglioaggiornato ai repentini cambiamenti del mercato(es. da Old a New economy) e di verificare costan-temente l’impegno e le capacità dei gestori a cui èstato affidato il patrimonio. Valendosi anche dei consulenti indipendenti chehanno eseguito le valutazioni statistiche sui gestori,è in via di definizione un progetto di monitoraggiodegli investimenti, che verrà attivato con l’avvio diun terzo gestore, il contratto col quale è ormai infase avanzata di definizione, verificando costante-mente sia il comportamento dei portafogli dei gesto-ri che la congruità del benchmark con gli obiettiviprecedentemente fissati.

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BENCHMARK (parametro oggettivo di riferimento)

È un indice di riferimento (complessivo) di una specifica gestione, normalmente composto da un mix dipiù indici singoli. Di norma viene costruito coerentemente con le esigenze del cliente/investitore (gradodi rischio e durata dell’investimento) e viene comunicato precedentemente al gestore professionale perfornirgli un parametro di verifica tra l’andamento della sua gestione a confronto dell’andamento dell’in-dice (media) del mercato scelto dal cliente/investitore. Un buon gestore dovrebbe avere come obiettivoquello di battere il benchmark.

RATING (grado di affidabilità)

Rappresenta il grado di solvibilità o merito di credito (capacità di restituire i capitali presi in pre-stito sul mercato) da parte di emittenti di prestiti, che normalmente sono aziende o nazioni. Sonoelaborati ed attribuiti da società specializzate che periodicamente attribuiscono ed aggiornano que-sti indicatori. Quanto più elevato è il rating (a cominciare dalla lettera A) tanto più affidabile è ildebitore.

INDICE DI SHARPE (rapporto tra il rendimento e la volatilità (rischio corso per ottenerlo)

È l’indicatore che più di ogni altro sottolinea la capacità di un gestore di portare valore aggiunto allagestione del portafoglio. L’Indice di Sharpe rappresenta il rapporto tra il maggior rendimento (realizza-to nei confronti di un indice = benchmark) e la sua volatilità (rispetto a quell’indice = maggior rischiocorso per ottenere quel rendimento).

ASSET ALLOCATION (allocazione del portafoglio)

Consiste nella iniziale attività di ripartizione del portafoglio, in percentuali relativamente alla tipologiadei titoli, (azioni ed obbligazioni), alla durata, e ai diversi mercati di investimento (geografici e settoria-li). Statisticamente, in media, il rendimento finale dell’investimento nel lungo periodo deriva al 91% pro-prio dal corretto svolgimento di questa attività e solamente per il resto dalla scelta dei singoli titoli (stockpicking) o del momento in cui entrare e uscire dai mercati (market timing). Ne consegue che definire uncorretto asset allocation è l’aspetto più importante di un investimento.

INDICI DI RIFERIMENTO (indici rappresentativi di un determinato mercato)

Sono indici, proposti e calcolati da società specializzate, che misurano l’andamento di specifici gruppidi titoli, sintetizzando e rappresentando singoli mercati (sia azionari che obbligazionari). Tali indici sonoimportanti perché vengono utilizzati come indici di riferimento da tutti gli investitori professionali. Ognimercato importante (sia azionario che obbligazionario) ha uno o più indici di riferimento (es. il MIB 30rappresenta i 30 più importanti titoli azionari della borsa italiana, lo S&P rappresenta i primi 500 titoliazionari della borsa USA).

GLOSSARIO

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Le strategie e le regoledi un investimento finanziario efficiente

Gaetano Megale (Società di consulenza Progetica)*

IL CONTROLLO DEL RISCHIO DELL’INVE-STIMENTO

Le modalità e gli approcci di investimento posso-no essere assai diversi a seconda delle finalitàche ci si pone. Infatti un approccio orientato

soprattutto a cogliere le opportunità di rendimentorichiede una assunzione di rischio notevole, laddove ilrischio è funzione diretta del rendimento a cui si vuolepuntare. In pratica l’approccio è definito “speculativo”e la finalità è quella di realizzare significativi extra-rendimenti verso i mercati, anche a costo di totalizza-re perdite rilevanti. In questa dimensione prevale ilvalore della informazione (la “dritta”) e la tempesti-vità di azione. Le regole sono quelle di individuaretitoli e opportunità di investimento in mercati che sonoparticolarmente “inefficienti”, ovvero caratterizzati daampie oscillazioni, e di concentrare le scelte al fine diottenere la massima opportunità di rendimento. Inquesto caso il tempo non ha alcun valore strategico inquanto la finalità è quella di cogliere le opportunitàallorquando si presentano e quindi la performancetotale risulta dalla sommatoria di tutte le performance

che via via si realizzano. Dunque un approccio di tipospeculativo si basa essenzialmente su previsioni abreve che consentano di individuare titoli e/o mercatiprofittevoli, volendo anche anticipare i loro andamen-ti. Generalmente si pensa che investire significhi deci-dere “cosa comprare”, la selezione dei titoli, e “quan-do comprare o vendere”, il market timing. Purtroppoqueste modalità sono, a lungo termine, un gioco per-dente per definizione. Infatti il market timing è uno deimiti più disastrosi dell’investimento: alla impossibilitàdimostrata di prevedere sistematicamente gli anda-menti dei mercati e dei titoli, si aggiunge che modestierrori di previsione determinano danni rilevanti allaperformance. Una verifica? Nella tabella 1 sono ripor-tati i dati di una analisi, sul mercato azionario italiano,che abbiamo fatto nel 1999.

Ipotizzando di rimanere fuori dal mercato per soli40 giorni (40 su 1305) produce un danno diperformance di oltre il -130%. D’altro canto,

rimanere fuori nei giorni peggiori potrebbe davveroconsentire di realizzare performance stellari, comesi può verificare dai dati della tabella 2.

INDICE COMIT

dal 11.05.94 al 11.05.99

Intero periodo 1305 giorni

Esclusi i 10 giorni migliori

Esclusi i 20 giorni migliori

Esclusi i 30 giorni migliori

Esclusi i 40 giorni migliori

RENDIMENTO

TOTALE

91,42%

24,77%

-8,55%

-30,51%

-46,06%

RENDIMENTO

ANNUALIZZATO

13,87%

4,53%

-1,77%

-7,02%

-11,61%

Tabella 1

Il miraggio del market timing

Tabella 2

Il miraggio del market timing

Ma cogliere questo tipo di opportunità è quasiimpossibile da realizzare: a esempio, nello stessoperiodo il miglior gestore di fondi ha realizzato pocopiù del 124% mentre, per la cronaca, il peggiore soloil 60%. Questi risultati dimostrano anche che con laselezione dei titoli non si riesce a ottenere risultatimigliori del mercato. Infatti, valutando la perfor-mance dei gestori attivi dei fondi si evidenzia, nor-malmente, che a 60 mesi oltre l’80% dei gestori èsotto gli indici dei mercati e coloro che hanno otte-nuto performance migliori del mercato difficilmen-

te continuano a farlo. Questi risultati rappresentanouna norma nella storia degli investimenti. E natural-mente valgono se la prospettiva temporale è nell’or-dine di anni.

LE REGOLE DI UN INVESTIMENTO EFFI-

CIENTE

Per realizzare investimenti sistematicamenteperformanti nel tempo sono necessarie altreregole. Regole che consentono innanzi tutto

di controllare il rischio, laddove per un grado dirischio, consapevolmente e razionalmente definito,

INDICE COMIT

dal 11.05.94 al 11.05.99

Intero periodo 1305 giorni

Esclusi i 10 giorni peggiori

Esclusi i 20 giorni peggiori

Esclusi i 30 giorni peggiori

Esclusi i 40 giorni peggiori

RENDIMENTO

TOTALE

91,42%

235,34%

387,18%

569,47%

793,06%

RENDIMENTO

ANNUALIZZATO

13,87%

27,38%

37,26%

46,27%

54,94%

* Notiziario Enpap 4 - marzo/aprile 2001

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si punti a ottenere il massimo rendimento possibi-le. Regole che consentono quindi di realizzareinvestimenti su risorse finalizzate a costruire ilfuturo e destinate a sostenere il tenore di vita nellafase del pensionamento. Regole ideali per l’inve-stimento dei Fondi Pensione. Ma quali? Le teoriequantitative dell’efficienza, sviluppate soprattuttonegli Stati Uniti, forniscono tutte le risposte.Queste teorie hanno ottenuto importanti riconosci-menti nel mondo accademico, con numerosi Nobeldell’economia, e sono utilizzate proprio per gestireil rischio e puntare a performance ragionevoli:negli Stati Uniti 31 stati ne hanno raccomandatol’utilizzo per la gestione delle risorse pubbliche edei fondi pensione: l’Uniform Prudent Investor Act(Grafico 1).

Grafico 1

Le regole dell’investimento efficiente sonoquindi derivate dalla ricerca scientifica econsentono di realizzare, razionalmente e

consapevolmente, piani di investimento. Questeregole sono, tra l’altro, del tutto comprensibili sulpiano del buon senso e individuano 3 potenti allea-ti dell’investitore. Infatti le regole sono quelle diinvestire: 1) nei mercati efficienti; 2) diversifican-do in maniera razionale; 3) e in una prospettivatemporale. La prima regola parla di mercati efficienti. Cosasignifica? Sono i mercati finanziari che si riferi-scono, nell’insieme, a economie solide, tecnologi-camente e socialmente avanzate, ancorate a unasalda democrazia, in cui l’informazione fluisceliberamente e non consente, di norma, agli specu-latori di drenare risorse a scapito degli investitoriche sono ironicamente chiamati “parco buoi”.Solo i mercati efficienti hanno dimostrato di avereparticolari e straordinarie caratteristiche. Essisono ragionevolmente sicuri (cioè meno oscillan-ti), sistematicamente remunerativi su archi tempo-rali adeguati e, soprattutto, remunerano proporzio-nalmente il rischio che presentano: all’aumentaredel rischio corrisponde un aumento del rendimen-to e viceversa. Queste caratteristiche e questi

effetti sono dimostrabili sia per via empirica siaper via teorica. Il Capital Asset Pricing Model diSharpe, premio Nobel per l’economia nel 1990,sostanzia proprio queste considerazioni. Questimercati, per esemplificare, sono relativi agli StatiUniti d’America e all’Europa occidentale, che,insieme, reggono i destini dell’economia interna-zionale. La seconda regola indica che è necessario diversifi-care in maniera razionale. E, più in particolare,risponde alla domanda: una volta individuata larosa dei mercati efficienti, quanto peso attribuire aisingoli mercati? In genere, ciò che si dice a propo-sito della diversificazione è “mettere le uova indiversi panieri” ma il detto si ferma qui. Non dicené in quali panieri, né quante uova per ciascunpaniere. Eppure intuiamo che sia saggio diversifica-re. Tipicamente la faccenda procede in questomodo: dati una serie di mercati ritenuti affidabili, siattribuisce a ciascuno un peso, che è direttamenteproporzionale alla fiducia, o la speranza, che si harelativamente alla sua profittabilità. Poi magari, perdare un po’ di brio all’investimento, vengono ancheinseriti, nella torta, mercati considerati ad altorischio, ma anche ad alto potenziale di rendimento.Bene, questa modalità di procedere risulta, alla lucedelle teorie dell’efficienza, una modalità potenzial-mente irrazionale, inutile e addirittura contropro-duttiva. Irrazionale, perché sarebbe come scegliereuna torta di pasticceria assaggiando i singoli ingre-dienti e non l’insieme. Il gusto di una torta nonrisiede nei singoli ingredienti ma è il risultato dellaloro interazione finale. Inutile, perché non è dettoche questo tipo di diversificazione riduca il rischio.Controproduttiva, perché potrebbe rappresentareuna perdita gratuita di rendimento. Infatti, se defi-niamo il rischio di un investimento come la suaoscillazione nel tempo, possiamo vedere dal grafico2 che la diversificazione, al 50%, di due investi-menti molto correlati fra loro, ossia con lo stessoandamento, produce una composizione che ha lostesso andamento, e quindi lo stesso rischio e addi-rittura con un rendimento minore rispetto a uno deidue mercati!

Grafico 2

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Questo esempio evidenzia che più che i singo-li mercati sono importanti le relazioni che sistabiliscono tra i mercati stessi. Allora la

diversificazione razionale si effettua elaborandol’insieme delle relazioni tra i mercati i cui andamen-ti devono essere quanto più possibile in controten-denza. Questo effetto è immediatamente comprensi-bile osservando il grafico 3, laddove il portafoglioche contiene al 50% i due mercati con opposti anda-menti presenta la stessa performance di entrambi mail rischio (l’oscillazione del portafoglio nel tempo)risulta addirittura annullato: minimo rischio a paritàdi rendimento.

Grafico 3

Questi principi sono l’essenza della ModernPortfolio Theory di H. Markowitz, Nobeldell’Economia nel 1990, che è utile sfruttare perottenere, grazie a semplici elaborazioni informati-che, a ogni grado di rischio composizioni dei mer-cati con la massima prospettiva di rendimento. È ilconcetto della frontiera efficiente degli investimen-ti: a ogni grado di rischio, la massima prospettivadi rendimento, così come si può osservare dal gra-fico 4.

Grafico 4

La terza importante regola afferma la necessitàdi investire in una prospettiva temporale con-sistente, condizione particolarmente ideale

per il Fondo Pensione che, tipicamente, ha orizzontid’investimento a lungo termine. Ma quali sono i

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vantaggi di investire su archi temporali pluriannua-li? Daremo questa risposta e vedremo anche chequesta regola consente di rispondere alle duedomande “esistenziali” di un investimento: quantorendimento ci si può attendere? Quanto rischio ci siè assunto?

Innanzi tutto il tempo è un importante fattore incre-mentale di sicurezza dell’investimento. Una dimo-strazione? Guardiamo il grafico 5.

Grafico 5

Nel grafico sono riportati i risultati di inve-stimenti a un anno, calcolati da mese amese, del mercato azionario internaziona-

le, mercato rischioso per eccellenza, degli ultimi10 anni. Come si può vedere vi sono diverseperformance negative. Verifichiamo invece i ren-dimenti nel caso di allungamento della prospettivatemporale, da uno a cinque anni, così come ripor-tato nel grafico 6.

Grafico 6

Non vi sono più performance negative e la peggioreperformance è del 40%! Dunque, dilatare l’orizzon-te temporale diminuisce significativamente ilrischio. Inoltre, il grafico ci suggerisce un’altra pro-prietà del tempo. Oltre ad aumentare la sicurezza diun investimento, è anche un fattore incrementale delrendimento. Tutto ciò grazie al fenomeno della capi-talizzazione composta. Ciò è particolarmente evi-dente osservando il grafico 7.

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Grafico 7

Un investimento di 100 Euro, capitalizzatoall’8% ogni anno per 20 anni, diventerebbedi 250 per la performance dei mercati men-

tre il reinvestimento degli interessi, dovuto al tempo,porta il risultato a essere di 466: oltre 216 euro cheil tempo elargisce come un eccezionale bonus. Cosasi potrebbe pretendere di più dal tempo? Eppure,investendo in una prospettiva temporale, è possibilericavare altre informazioni davvero preziose. Alladomanda: “Quale performance farà Wall Strett tra60 mesi”? dubitiamo che chiunque possa dare unarisposta: qualsiasi previsione avrebbe la massimaprobabilità di essere nell’errore. Se invece utilizzia-mo la Random Walk Theory, caso speciale della teo-ria dei mercati efficienti, possiamo stimare, accon-tentandoci di essere approssimativamente nel giusto,una serie di scenari statistici oggettivi. Nel grafico 8possiamo vedere 25 scenari statistici relativamenteall’evoluzione possibile di Wall Street, nei prossimi5 anni.

Grafico 8

Si noterà che gli scenari sono più addensati al cen-tro mentre si diradano verso gli estremi. Così, pro-ducendo migliaia di scenari e contando quanti diessi sono al di sopra o al di sotto di un certo valore,è possibile individuare evoluzioni associate a pro-babilità oggettive di accadimento. Formalizzandoquesti “conteggi” con particolari linee evolutive siottiene un tipico diagramma temporale dell’evolu-

zione dell’investimento, così come rappresentatonel grafico 9.

Grafico 9

Con questo strumento è possibile risponderealle due domande “esistenziali” di un inve-stimento. Quanto rendimento posso atten-

dermi? Lo scenario più probabile, il rendimentoatteso, è quello centrale. Quanto rischio mi sonoassunto? La fluttuazione normale di un investimen-to è rappresentata dai due scenari centrali, chedeterminano una fascia chiamata anche “banda dinormalità”, mentre quelli estremi rappresentanol’evoluzione di un investimento in uno scenariomolto ottimistico e pessimistico. I valori di questiscenari sono definiti trimestre per trimestre, dandomodo di controllare che l’evoluzione effettiva sicomporti come quella attesa. In sintesi, ciò che èimportante sottolineare è che, se si investe in unaprospettiva temporale, si può godere di questi gran-di vantaggi: maggior sicurezza, maggior rendimen-to, possibilità di valutare l’evoluzione del rendi-mento e del rischio nel tempo. Tutto ciò è reso pos-sibile grazie all’applicazione della Random WalkTheory che annovera, come suo esponente piùimportante, Samuelson, premio Nobel per l’econo-mia nel 1970.

REGOLE E CONTROLLO STRATEGICO: ILCASO DELL’ENPAP

Le regole dell’investimento efficiente servo-no innanzi tutto a definire la strategia diinvestimento che si sostanzia nel cosiddet-

to benchmark che, in pratica, definisce la “rotta”dell’investimento medesimo. Il benchmark è unacomposizione di mercati efficienti che, al gradodi rischio individuato, consente di puntare allamassima prospettiva di rendimento ottenibile. IlFondo ENPAP ha utilizzato le regole quantitativeper definire un benchmark, tra tutti quelli possi-bili, che gode appunto di queste proprietà. Il ben-chmark definito inizialmente è riportato nel grafi-co 10.

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Grafico 10

La definizione del benchmark ha così posto le basiper un rigoroso controllo del rischio, tramite il con-fronto della sua evoluzione effettiva con quella atte-sa, così come si può verificare dal grafico 11.

Grafico 11

Come si può vedere, il comportamento del bench-mark, e quindi dell’assetto strategico dell’investi-mento, dal momento della sua definizione (gennaio1999) al momento dell’ultima analisi (dicembre2000) è risultato del tutto normale, in quanto la suafluttuazione si è mantenuta all’interno della banda dinormalità. Ciò indica che una corretta valutazione deirisultati è da effettuare sull’intero periodo temporalee non su intervalli brevi. Ma il controllo del rischioche esercita l’ENPAP non si limita al quadro strategi-co dell’investimento. Infatti il benchmark è una com-posizione ideale di mercati che deve essere tradotta ininvestimenti concreti, affidati a Gestori che abbiamoparticolari qualità di efficienza nel tradurre il manda-to in specifiche scelte d’investimento e dunque nelportafoglio d’investimento. Questo tipo di controllosi può quindi definirlo tattico in quanto le variabili dacontrollare sono all’interno del portafoglio.

UN MODELLO PER IL CONTROLLO TATTI-CO DELL’INVESTIMENTO

Se il benchmark definisce la rotta dell’investi-mento, allora esiste un’altra variabile da con-trollare durante il viaggio: l’efficienza della

nave che, fuori dalla metafora, è rappresentata dalcomportamento effettivo del portafoglio. Ciò signi-fica che è necessario tenere sotto controllo anche laattività dei Gestori e dotarsi di una serie di stru-menti per intervenire con correttivi. Generalmentela valutazione dell’andamento di un portafoglio difondi viene effettuata in base a criteri soggettivi disoddisfazione. Si tende a rendere la valutazioneassoluta e si danno pagelle ai fondi in base al sem-plice fatto se hanno reso o meno. Chi più rende, piùè bravo. Chi non rende è un perdente. Tutto ciò aprescindere dal mercato di riferimento del gestoreche, in ogni caso, è il fattore che condiziona gran-demente il risultato. Ma i mercati sono per defini-zioni diversi, per profilo di rischio e rendimento eper andamenti. Per questo motivo sul palcoscenicodegli investitori si alternano diversi winner chesono condannati, prima o poi, a diventare loser, perpoi a ridiventare winner e così via. Ma tutto ciò nonè tecnicamente corretto ed è anche ingiusto, proprioper i Gestori. In realtà i Gestori dovrebbero esserevalutati proprio per le caratteristiche di gestioneprofittevole verso i propri mercati di riferimento. Ènecessario quindi identificare i Gestori con partico-lari caratteristiche di qualità gestionale e controlla-re nel tempo che esse continuino a persistere, inmaniera da massimizzare costantemente la qualitàdel portafoglio nel tempo. Ma quali sono e come èpossibile individuare e misurare le qualità gestiona-li? Un modello quantitativo che viene impiegatoefficacemente in questi casi è quello sviluppatodalla ricerca statunitense di Brinson, Hood eBeebower. Il modello consente di identificare laqualità dei comportamenti gestionali in termini diefficienza ossia della capacità di produrre risultatiprofittevoli con il minore rischio possibile. Ilmodello consente di valutare l’abilità del Gestorenel realizzare un extrarendimento verso il mercatodi riferimento mediante le quattro abilità di base: 1)style selection, ossia la scelta di sovrapesare merca-ti maggiormente promettenti; 2) security selection,ossia la individuazione di titoli con buona prospet-tiva di crescita; 3) market timing, ossia l’anticipa-zione degli andamenti dei mercati e 4) “altre atti-vità” come l’uso di derivati, coperture di cambio,ecc. Oltre a ciò un’altra variabile fondamentale è ilcontrollo del cosiddetto tracking error ossia ilgrado di rischio inteso come attività gestionale cheproduce, necessariamente, allontanamento dal ben-chmark di riferimento. Il controllo tattico del por-tafoglio consiste dunque in due atti fondamentali:1) scegliere i Gestori che hanno dimostrato nel pas-sato di poter acquisire con una certa sistematicitàrisultati positivi verso i mercati di riferimento con ilminimo grado di rischio; 2) monitorare costante-mente nel tempo la persistenza delle qualità gestio-nali e confrontarsi, in incontri periodici, con i esto-ri per la verifica delle medesime.

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Nonostante la sfavorevole congiuntura finan-ziaria di questi anni l’ENPAP ha garantito aimontanti contributivi e quindi alle future

pensioni degli iscritti dei tassi di rendimento supe-riori a investimenti in titoli di stato, gli unici chepossono offrire analoghe garanzie di sicurezza.

Riportiamo di seguito alcuni grafici che possonoconsentire anche la definizione del differenziale dimaggior rendimento ottenuto sia in termini assoluti,sia inserendo il vantaggio fiscale derivante dal fattoche i contributi versati all’ENPAP sono interamentededucibili.

La rivalutazione dei montanticontributivi degli iscritti

*

-

50.000

100.000

150.000

200.000

250.000

300.000

350.000

400.000

450.000

1998 1999 2000 2001

ENPAP con effetto fiscale BOT ENPAP

* Notiziario Enpap 7 - settembre/ottobre 2001

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L’attività che Prometeia sta svolgendo e svol-gerà a favore dell’Enpap è rappresentata dainterventi di consulenza strategica per la

gestione del portafoglio finanziario dell’Ente. Taleattività di supporto si realizza tramite una serie di con-tributi scadenzati nel tempo e relazionati alle differen-ti fasi del processo degli investimenti della Cassa. 1) Nelle prime fasi del progetto è stata prodotta unadocumentazione, sviluppata in ottica macroecono-mica, che ha analizzato le caratteristiche dei sistemipensionistici e la loro evoluzione con particolareriferimento alla realtà italiana. Oltre a delineare loscenario macroeconomico sono state presentate leprevisioni sull’andamento dei mercati finanziari peril prossimo triennio. Tali variabili rappresentano ele-menti estremamente importanti per l’Ente, in parti-colare per la gestione del suo patrimonio finanziario.2) Gli interventi successivi si sono focalizzati mag-giormente su aspetti finanziari relativi alla struttura-zione del portafoglio. L’analisi ha avuto originedallo studio della situazione attuale, in particolaredalla scomposizione del portafoglio finanziariocomplessivo dell’Enpap per tipologia di mercato. Siè cioè assegnata ciascuna attività presente in por-tafoglio al relativo mercato di riferimento. La scom-posizione di portafoglio, sviluppata su diversi livel-li di dettaglio per poter disporre sia di informazionianalitiche che aggregate, è stata condotta conside-rando sia i valori di mercato delle varie attività sia ivalori di bilancio di queste, in altre parole i prezzi aiquali tali attività sono state iscritte nel bilanciodell’Enpap. La suddivisione del portafoglio com-plessivo per mercati permette di individuare il gradodi esposizione del patrimonio finanziario dell’Enteai vari mercati e fattori di rischio e contestualmentedi identificarne il grado di diversificazione.3) Successivamente si è proceduto con uno studiosulla redditività del portafoglio. Analizzare la redditi-vità che complessivamente il portafoglio attualegenererà nel prossimo triennio permette di identifica-re il contributo alla performance di ogni strumentodetenuto, ma soprattutto di relazionare la performan-ce finanziaria complessiva del portafoglio con il tassodi rivalutazione che l’Ente dovrà applicare nei prossi-mi tre anni al montante dei contributi soggettivi. Oltreall’individuazione della redditività che il portafoglio

attuale produrrà, è importante, per un investitore isti-tuzionale quale l’Enpap, identificare il livello di pro-babilità con cui il patrimonio finanziario sarà in gradodi conseguire una redditività superiore al tasso di ren-dimento obiettivo dell’Ente, che è rappresentato daltasso di rivalutazione dei contributi, pari alla mediamobile quinquennale del PIL nominale. 4) Al fine di costruire un’architettura di portafoglioconsona agli obiettivi di redditività dell’Enpap,Prometeia ha strutturato il portafoglio dell’Ente inbase al modello Core-Satellite, ovvero in una strut-tura in cui la componente Core è destinata a massi-mizzare la probabilità di raggiungimento del targetannuale di redditività, mentre la componenteSatellite ha l’obiettivo di stabilizzare il Core e diincrementare il patrimonio nel mediolungo periodo.Ogni tipologia di strumento attualmente presente nelportafoglio dell’Ente è stata quindi analizzata e col-locata in base alle sue caratteristiche finanziarie e alrapporto di detenzione nella componente Core o inquella Satellite. Dopo aver applicato tale suddivisio-ne si è verificata l’esigenza o meno di effettuare inter-venti correttivi al portafoglio attuale prima di proce-dere all’allocazione della nuova liquidità sui prodottio gestioni rispondenti alle specifiche esigenzedell’Ente. Tale attività di analisi ha evidenziato l’op-portunità di modificare le caratteristiche dei mandatigestionali attuali, per la parte non strategica, in otticaTotal Return e di investire la liquidità disponibile instrumenti o prodotti finanziari caratterizzati dallamedesima filosofia. Le gestioni Total Return sonofinalizzate al conseguimento di una redditività asso-luta, indipendente dall’andamento di uno specificomercato o gruppi di mercato. Le tecniche gestionali egli strumenti utilizzati per conseguire la redditivitàtarget si differenziano da una società di gestioneall’altra ma anche tra un prodotto e l’altro della mede-sima società. Tali gestioni si caratterizzano per nonessere relazionate all’andamento di un benchmark maper tendere al raggiungimento di una redditività targetassoluta. Non risentono quindi direttamente dellavariabilità e anche redditività negativa di un qualsiasiindice di mercato, in quanto il gestore non seguealcun benchmark - dato collegato ai mercati - ma ilsuo benchmark è rappresentato dalla redditività obiet-tivo che deve conseguire. Nel conseguire la perfor-mance target, rivestono un ruolo fondamentale le skil-ls del gestore e la modellistica che questi impiega a

La consulenza strategica per la gestionedel portafoglio finanziario dell’Ente

A cura della società di consulenza finanziaria Prometeia*

* Notiziario Enpap 13 - gennaio/febbraio 2004

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supporto delle scelte di investimento. Infatti, il gesto-re ha la piena facoltà e responsabilità nel movimenta-re dinamicamente il portafoglio al fine di conseguireil target. La strategia di investimento proposta è quin-di relazionata al conseguimento di una redditivitàcomplessiva del portafoglio in linea con il tasso dirivalutazione annuale dei contributi previsto. Al finedi conseguire tale obiettivo si è destinato per il 2004tutto il patrimonio finanziario alla parte Core del por-tafoglio. 5) L’allocazione della liquidità disponibile in nuoviprodotti o gestioni deve essere supportata da un pro-cesso di selezione. Per l’attività di selezione,Prometeia mette a disposizione dell’Enpap il pro-prio database informatico contenente a oggi infor-mazioni relative a 61 società di asset management,nonché una vasta copertura dell’offerta internazio-nale di investimenti alternativi, assicurativi e diinvestment banking. Si procede, quindi, a una estra-polazione dal database dei candidati che coprono leclassi di attività individuate nella definizione dellastrategia di investimento e che rispondono ai requi-siti contenuti nel documento tecnico dell’Ente. Nellarosa di candidati si tengono in considerazione anchetutte le offerte di società che nel tempo l’Ente haricevuto. Ai candidati, quindi, si veicola una richie-sta di informazioni necessarie alla valutazione. Ilprocesso di selezione condotto da Prometeia si basasu elementi di valutazione sia quantitativi che quali-tativi, ponderabili in base alle specifiche caratteristi-che ed esigenze dell’Ente. Sono quindi molteplicigli aspetti che vengono analizzati prima di giungeread una classificazione delle società candidate. Levalutazioni sono svolte da due team diversi: unoanalizza gli aspetti qualitativi e l’altro calcola leperformance. Tra i criteri qualitativi rientrano: asset-to societario, struttura organizzativa, distribuzione etipologia della clientela, partnership, conflitti di

interesse, team di gestione, processo di investimen-to, filosofia e stile, strumenti di controllo del rischioe reporting. Per quanto riguarda una particolare clas-se di attività relativa al total return si dà un pesoanche ai criteri di “investimento socialmenteresponsabile” e al relativo utilizzo di agenzie spe-cializzate. Le analisi quantitative, invece, riguarda-no il calcolo della performance relativamente a cin-que macro-classi di indicatori: rendimento, rendi-mento aggiustato per il rischio, performance controbenchmark (o target di rendimento), stile di gestionee persistenza. Le famiglie di indicatori vengono cal-colate su cinque orizzonti temporali basandosi sulleserie storiche dei fondi proposti ovvero dei compo-siti certificati nel caso in cui si tratti di gestionisegregate. Ad ogni elemento è associato un peso egli aspetti qualitativi nel loro complesso pesano 50%della valutazione totale. L’offerta economica nonrientra nella valutazione di efficienza che Prometeiasvolge, ma costituisce elemento di trattativa tra lasocietà di gestione e l’Ente. Al termine della defini-zione della struttura del portafoglio sarà necessariomonitorare nel continuo la strategia di investimentoe le performance conseguite dai gestori esterni. 6) L’attività sarà condotta sulla base di strumentioggettivi di valutazione. Infatti, i modelli che ver-ranno utilizzati sono stati sviluppati in base allemetodologie presenti in letteratura scientifica ecomprendono misure di valutazione del rendimento,del rischio, del rendimento corretto per il rischio edella persistenza. Inoltre, saranno impiegati modellidi scomposizione della performance i quali permet-tono di individuare in modo chiaro il contributoalgebrico al rendimento di periodo dei diversi attoricoinvolti o fasi relative al processo degli investi-menti. I risultati dei modelli sono sintetizzati in unreport personalizzato che periodicamente sarà invia-to e analizzato insieme all’Ente.

Benchmark di mercatoMassimizza laprobabilità di

raggiungimentodel target annuale

di redditività

Stabilizza il coree consente di

incrementare ilpatrimonio nel medio-

lungo termine

Il peso da attribuire alle componenti “CORE” e “SATELLITE” dipende dalla specificità degliobiettivi dell’investitore e quindi varia molto lentamente nel tempo

Dal benchmark di mercato all’architettura di portafoglio

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Il dibattito sull’investimento socialmenteresponsabile si sta ampliando e il tema è ogget-to di crescente attenzione. Tuttavia, per quanto

riguarda la situazione italiana, le esperienze opera-tive sono concentrate su fondi per una clientelaretail, caratterizzati, nella maggioranza dei casi, dauna raccolta limitata e con una connotazione diffe-renziata a livello di prodotto che non permetteancora di individuare una linea decisa di sviluppodel settore. Parte della responsabilità, non tutta, èdi certo imputabile alla congiuntura economicache, riflettendosi sull’andamento dei mercati finan-ziari, non ha favorito l’investimento in un campopoco conosciuto e dalle opportunità non ancora benchiare. I principali gruppi bancari italiani si sonocimentati, quasi tutti e a diverso modo, sull’argo-mento, facendo crescere, negli ultimi due anni, ilnumero di fondi aperti che utilizzano criteri diinvestimento socialmente responsabile e andandocosì a ridurre la differenza tra l’Italia e gli altriPaesi europei. Nei Paesi dove l’investimento socialmente respon-sabile si è sviluppato maggiormente (Stati Uniti eInghilterra) sono stati gli investitori istituzionali iprincipali fautori dello sviluppo del settore, soprat-tutto grazie ai volumi a disposizione, trovando nel-l’investimento socialmente responsabile un suppor-to alla realizzazione del loro scopo sociale. In Italiaquesto non è ancora avvenuto. Oltre alla prudenzanormale, e auspicata, nell’affrontare l’argomento eal periodo di ristrutturazioni normative che rubanoloro preziose energie e li distolgono dall’adottarepolitiche innovative, bisogna aggiungere che sia iFondi Pensione che le Fondazioni si trovano dinan-zi un argomento che presenta ancora forti incertezzeculturali.

L’investimento socialmente responsabile èinfatti ancora spesso percepito come ladecisione di non investire in determinati

settori, contrari a determinati principi morali. Ineffetti questa era la caratteristica dell’inizio, quandoverso la fine del 1800 alcuni gruppi religiosi si sonoposti il problema di rispettare i valori della propriamorale anche nella scelta di allocazione delle pro-prie risorse. In seguito però, anche con il crescere

dell’industria del risparmio gestito, è cominciata unaevoluzione che ha portato a introdurre nei criteri discelta anche elementi positivi con l’idea che nonsolo ‘penalizzo i cattivi ‘ ma ‘premio i migliori’.Con l’apertura del dibattito sullo sviluppo sostenibi-le, siamo al 1987: quando il rapporto sui lavori dellaCommissione Brundtland (‘Our Common Future’)promossa dalle Nazioni Unite ne dà la definizione, èstato introdotto anche il concetto di sostenibilità perl’attività delle imprese.Questo concetto è stato ripreso dal mondo dellafinanza e dall’investimento socialmente responsabi-le in particolare, e ha portato a uno spostamento del-l’attenzione dal cosa si produce al come si produce,a quali sono gli impatti derivanti dall’attività delleaziende sul mondo circostante inteso sia in terminidi ambiente sia in termini di rapporti sociali, semprenel rispetto di criteri economici. Lo spostamento delpiano di pensiero e lo studio degli aspetti di sosteni-bilità dell’azienda, con una profondità e rigorositàpropria sino ad ora solo dell’analisi finanziaria tra-dizionale, rappresenta la grande rivoluzione nelcampo dell’investimento socialmente responsabile,non ancora a tutti perfettamente nota.

Èuna innovazione rivoluzionaria, perché per-mette di conciliare obiettivi propri dell’in-vestitore istituzionale tradizionale con

obiettivi esterni ad esso ma non estranei. Se l’o-biettivo principale di una Fondazione è quello diperseguire la sua missione sociale e per questosono stati accumulati dei capitali, è corretto chequesti non siano investiti mettendone a rischiol’integrità per perseguire criteri di responsabilitàsociale ulteriori ed esterni. Qualora però si dimo-stri che il livello di rischio non verrebbe modifica-to, è certamente più logico che si cerchi di farlo.Lo stesso vale per i Fondi Pensione, il cui obietti-vo è garantire una rendita futura ai propri aderen-ti; se accanto alla rendita fossero in grado digarantire un mondo migliore, dove vi siano mino-ri tensioni sociali o una più alta qualità dell’am-biente, non sarebbe forse meglio? È chiaro che per raggiungere questo duplice obietti-vo è necessario un impianto teorico più complessodi una semplice esclusione di settori o aziende chenon rispettano specifici criteri.Lo strumento dell’esclusione di settori di attività,

La responsabilità socialedell’investitore istituzionale italiano

Federico Versace (Partner, Avanzi SRI Research)*

* Notiziario Enpap 15 - maggio/giugno 2004

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se può rappresentare un segnale per l’impresa qua-lora le risorse da investire siano rilevanti e oveesso sia ad essa opportunamente comunicato,rischia di non essere adeguato, se utilizzato in viaesclusiva, alle politiche di investimento e agliscopi sociali di un investitore istituzionale. Disicuro l’esclusione di settori non contribuisce apromuovere comportamenti migliori. Deliberare apriori l’esclusione di un settore intero significanon considerare il valore nei termini sociali eoccupazionali che, nonostante tutto, il settore stes-so è in grado di generare. In termini finanziari,poi, l’esclusione di un settore ha dirette conse-guenze sull’asset allocation, riducendo l’universoinvestibile e quindi complicando la ricerca di unportafoglio efficiente in termini di rapporto trarischio e rendimento. A vantaggio dell’esclusioneva però riportata la considerazione che talvolta siindividua una coincidenza tra i settori esclusi e ilrischio non solo sociale ma anche finanziario diquesti; si pensi ad esempio alle multe comminateall’industria del tabacco, settore tradizionalmenteescluso dai portafogli dei fondi di investimentosocialmente responsabile, e alla conseguente per-dita di valore dei titoli.

Parlando invece di analisi della sostenibilità,l’orizzonte si amplia abbracciando in manie-ra forte anche gli aspetti finanziari. Si parla

molto dell’esistenza di una correlazione positivatra performance di sostenibilità e performancefinanziaria. Sino ad oggi, dato anche lo scarsoorizzonte temporale dei dati a disposizione, l’uni-ca affermazione possibile alla luce degli anda-menti degli indici “sostenibili” nei confronti degliindici tradizionali era che l’attenzione alla soste-nibilità non penalizzava, nel lungo termine, irisultati finanziari. Vi sono stati però diversi studirecenti che hanno contribuito a fare chiarezza e adare oggettività a queste affermazioni. Un esem-pio di questi studi è quello realizzato nel novem-bre del 2002 dalla WestLB Panmure intitolatoMore gain than pain’ (a cura di Hendrik Garz,Claudia Volk e Martin Gilles), che individua nel-l’attenzione alla sostenibilità un elemento impor-tante per la selezione dei portafogli. Lo studio,realizzato applicando dei criteri di sostenibilitàche non portano a vere e proprie esclusioni masolo alla riduzione del peso relativo di settorimeno sostenibili, dimostra che il “fattore sosteni-bilità” riesce a generare un profitto addizionaledel 2,1% per anno rispetto al mercato. Il risultatopiù interessante dello studio è però che l’applica-zione di filtri di sostenibilità si può identificarecome un vero stile di gestione alternativo ai tradi-zionali value e growth, ma anche indipendente daltarget di capitalizzazione scelto (large vs small).In più, con l’aiuto di una gestione attiva, può

migliorare ancora le sue performance, come sivede dal grafico che segue.

Se tutto questo è vero, si viene a dimostrare che,utilizzando gli opportuni strumenti, la sosteni-bilità non è penalizzante ma può addirittura

essere di aiuto nel migliorare la performance finan-ziaria. Ecco che gli investitori istituzionali non pos-sono non confrontarsi con l’investimento social-mente responsabile, trovando in questo un volanoper generare un “doppio dividendo”: uno relativoalla realizzazione della propria missione e uno rela-tivo al contributo dato, attraverso la scelta dell’inve-stimento, allo sviluppo sostenibile del mondo nelquale vivono anche i principali destinatari delle loroattività. Mettere in pratica tutto questo non è semplice. Lecose da fare sono molte, a cominciare dall’indivi-duazione di criteri che siano coerenti con la missio-ne ma conciliabili con i principi dell’investimento,dalla definizione di orizzonti temporali adeguati siaalle esigenze proprie della missione dell’investitoreche a quelle dei mercati. Soprattutto occorre trovarelo strumento idoneo, la strategia, per rendere vera-mente efficace una politica di investimento social-mente responsabile. La realizzazione di una politicadi investimento socialmente responsabile richiedediverse competenze e il ruolo dell’advisor divieneancora più cruciale perché, oltre a dover fornirecompetenze di tipo finanziario e relative all’ambitodella sostenibilità, deve anche facilitare il processodi definizione della politica di investimento social-mente responsabile, ponendo all’investitore ledomande corrette per aiutarlo a prendere consapevo-lezza della propria posizione. Fatto questo, deve poiindirizzarlo verso la strategia per rendere efficace lasua politica socio-ambientale.

Quando si parla di strategia nell’investimen-to socialmente responsabile ci si riferisceallo strumento che l’investitore decide di

utilizzare per esercitare la sua pressione sull’a-zienda per raggiungere i suoi obiettivi in termini disostenibilità. Come abbiamo visto, lo strumento

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base è il non acquisto del titolo; poi vi è l’acquistosu considerazioni di tipo preferenziale o di best inclass. Entrambi questi strumenti richiedono chesia data una forte visibilità alla decisione, marischiano di essere inefficaci quando il capitaleinvestito non è rilevante. Un ulteriore strumento,sempre più utilizzato, è l’”engagement”, che sibasa sul presupposto di una azione attiva da partedell’investitore nei confronti dell’azienda.L’engagement può essere esercitato a vari livelli,che vanno dalla semplice manifestazione delleproprie scelte all’impresa (“vendo il tuo titolo per-ché non fai questo”, il cosiddetto soft engagement)a forme più strette di interazione con l’azienda,con la promozione di incontri per dare delle indi-cazioni da seguire sino ad arrivare all’esercizioformale dei propri diritti di azionista (hard enga-gement). L’engagement è innanzitutto una formadi dialogo, dove l’investitore riceve dall’impresainformazioni e ricambia con consigli e indirizzianche di elevato contenuto professionale.Nell’engagement non ci si limita a dire cosa nonfare, ma si dice anche cosa fare. In questo modol’azienda riceve conoscenze e suggerimenti, men-tre l’investitore può monitorare da vicino il suoinvestimento. Quando il dialogo si interrompe,l’extrema ratio è l’esercizio dei diritti dell’azioni-sta, che può condurre, anche se in possesso di unasola azione, sino alla proposizione delle proprieistanze nel corso dell’assemblea. L’engagement non riduce l’universo investibile enon esclude la possibilità di cogliere opportunitàfinanziarie; un titolo molto interessante dal punto di

vista finanziario ma carente per gli aspetti di respon-sabilità sociale può essere acquistato lo stesso, uti-lizzando poi il ruolo di azionista per accompagnarela società in un processo di miglioramento delle pro-prie criticità.

L’orizzonte temporale di un investimento conla prospettiva di fare engagement è, eviden-temente, quello di medio-lungo periodo,

anche se vi possono essere interventi isolati e spo-radici volti a correggere piccoli aspetti del compor-tamento dell’impresa. Questa modalità di azione siadegua maggiormente alla situazione di un investi-tore istituzionale, come ad esempio un fondo pen-sione che, pur dovendosi confrontare con l’infor-mativa periodica, può indirizzare parte del suopatrimonio su investimenti con una resa nel medio-lungo periodo. Fatto questo tentativo di chiarimento sull’investi-mento socialmente responsabile e accettando, comeplausibile, quanto detto sino ad ora sui risultatifinanziari di uno stile di gestione “sostenibile”, unaimportante responsabilità si riversa sugli investitoriistituzionali. Responsabilità che si identifica sianell’importanza che può avere in termini di svilup-po sostenibile l’adozione, da parte degli investitoriistituzionali, di pratiche di investimento socialmen-te responsabile che portano a raggiungere quel dop-pio dividendo al quale si accennava, sia nel contri-buto che la professionalità e l’organizzazione diquesti può dare allo sviluppo del settore intero attra-verso lo studio e l’approfondimento degli aspettitecnici.

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In questi ultimi mesi si è molto parlato della situa-zione finanziaria e del risultato degli investimen-ti Enpap.

Parole tante, le cifre utilizzate per entrare nel meritopraticamente poche. Del tutto inesistente il dibattitosulle scelte operate dall’Enpap nell’anno più diffici-le dei mercati finanziari sin dai tempi della grandecrisi del 1929.Ecco, allora, la nuda e cruda realtà dei numeri.

La situazione dei mercati finanziari internazio-nali nel 2008Nel 2008 i mercati azionari globali sono scesi dioltre il 40%.Il portafoglio Enpap, in termini di valutazione (enon di realizzazione come vedremo di seguito), haperso meno del 10% del suo valore, cioè meno di 1/4rispetto ai mercati finanziari.

Perdite virtuali e minusvalenze effettiveIl Patrimonio complessivo dell’Enpap ha quindisubito una riduzione di valore a causa dell’anda-mento dei mercati.

Il Consiglio di amministrazione si è trovato pertantodi fronte a uno scenario contrassegnato da un’incer-tezza pesante non solo del mercato azionario, ma ditutto il sistema finanziario mondiale. Ma per unbreve periodo si è aperta una finestra di opportunitàdi investimento in virtù dell’aumento del costo deldenaro, che ha portato al rialzo dei rendimenti sulmercato monetario. Di fronte a tale situazione, sonostate affrontate delle scelte molto difficili, dolorose:si è deciso di licenziare tutti i gestori che non dava-no garanzia di sapere affrontare la crisi finanziaria,subendo anche delle perdite ingenti (circa 22 milio-ni di euro) e di investire contestualmente in titoli diStato che assicuravano rendimenti netti mai registra-ti negli ultimi dieci anni, sicuramente da quandol’Enpap ha iniziato la propria attività nel 1998.

Queste decisioni hanno portato a un impatto media-tico pretestuosamente allarmistico: molti colleghi,associazioni di psicologi hanno diffuso dati e infor-mazioni né corrette, né precise, gettando nell’incer-

tezza la comunità degli iscritti all’Ente. Come si èavuto modo di evidenziare nelle notizie pubblicatesu EnpapNews e, a fine dello scorso anno, in unanota illustrativa inviata a oltre mille iscritti che ave-vano fatto pervenire una richiesta di informazionisullo stato di salute dell’Ente, non vi sono quindirealtà diverse da quella che si è descritta.

Come si è detto, si è deciso di “vendere” in unmomento difficile una parte del patrimonio per rein-vestirlo in strumenti non rischiosi a rendimento certoed elevato; l’Ente ha altresì deciso di non vendere laparte del patrimonio più tipicamente azionaria (defi-nita Satellite) del proprio portafoglio “immobilizzan-dolo” al valore contabile del 1° gennaio 2008 (41milioni di euro). Se questi fondi azionari fossero statidimessi a fine dello scorso anno quando la valorizza-zione era fortemente negativa, si sarebbe realizzataun’ulteriore perdita di ben 16 milioni. Il motivo diquesta scelta strategica è semplice: mantenere gliinvestimenti socialmente responsabili innovativinella convinzione che, passata la bufera, il loro valo-re, considerate le loro caratteristiche, potrà essererecuperato.

Ma alla fine del 2008 si è verificata un’ulterioreinversione di tendenza: i rendimenti del mercatomonetario sono scesi repentinamente. I titoli gover-nativi acquistati nell’anno si sono notevolmentevalorizzati e ciò ha generato una consistente plusva-lenza patrimoniale: 9,5 milioni di euro in pochimesi. Ma così come è si ritenuto strategico mante-nere l’investimento in fondi azionari, ancorché inperdita, si è anche saggiamente deciso di non ven-dere il portafoglio di titoli di Stato acquistato perstabilizzare il futuro, rinunciando a realizzare la plu-svalenza potenziale nel 2008 e “aggiustare i conti”.In altri termini, non ci si è privati del proprio migliorinvestimento per far cassa, ma si è deciso di mante-nerlo per permettere negli anni futuri di raggiungerepiù facilmente il target fissato dalla normativa.

Quindi, nel bilancio 2008, che è in corso di defini-zione e sarà pubblicato nel corrente anno dopo ilconsueto iter deliberativo, non compariranno né ivirtuali 16 milioni di minusvalenza del portafogliosatellite (parte azionaria), né la virtuale plusvalenza

Il quadro della situazione finanziariadell’Ente e le prospettive future

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* Notiziario Enpap 25 - gennaio 2009

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di 9,5 milioni di euro del portafoglio in titoli diStato.

In termini di trasparenza, dunque, sarà sufficientesottrarre i 16 milioni di euro di minusvalenza e som-mare i 9,5 milioni di plusvalenza al bilancio con-suntivo del 2008 per avere la reale, ancorché virtua-le, consistenza del patrimonio.Non è pertanto difficile fare i conti in tascaall’Enpap. Sarebbe solo necessario attendere i dati,che i passi procedurali e amministrativi facciano illoro corso, per poi avere una fotografia più definitadella situazione effettiva per poter fornire una cor-retta informativa.

Si è avuto coraggio in un anno così difficile. E si èriusciti a convertire in tempo il portafoglio in titolidi Stato per circa il 80%. Nell’arco di sei mesi, tragiugno e dicembre 2008, sono stati venduti più di260 milioni di euro di portafoglio affidato a gestoriesterni e sono stati acquistati titoli di Stato, con unrendimento netto oltre il target previsto dalla leggeper i prossimi quattro anni.Sono scelte che fanno tremare i polsi e non fannodormire la notte. Ma sono scelte che, per senso diresponsabilità, un amministratore deve essere pron-to a prendere, senza tirarsi indietro davanti a uncompito e un dovere del proprio mandato.

Il patrimonio nettoIl patrimonio netto dell’Ente accumulato negli anniprecedenti consente di “smorzare” l’effetto di anda-menti negativi dei mercati come avvenuto nel 2008. Il patrimonio netto al 31 dicembre 2007 di comples-sivi 29,4 milioni di euro (così come risulta dalBilancio Enpap 2007 pubblicato sul sito dell’Ente edisponibile per la consultazione non solo agli iscrit-ti, ma anche a qualsiasi altro navigatore web) è statoaccumulato negli anni grazie agli avanzi di gestionegenerati da un uso parsimonioso del contributo inte-grativo. Infatti, il contributo integrativo serve siaalle spese di gestione dell’ente, sia per integrare glieventuali mancati rendimenti o le perdite generatisinell’anno in corso, sia per alimentare il fondo diassistenza.Il patrimonio netto, dunque, è una “riserva” diversa,che nulla ha a che vedere con l’ammontare dei mon-tanti contributivi degli iscritti.Il patrimonio netto accumulato nelle precedenti

gestioni e l’avanzo della contribuzione integrativaal netto delle spese che si avrà nel 2008 consenti-ranno da un lato di assicurare la rivalutazioneannuale dei montanti degli iscritti (pari al 3,4625%per lo scorso anno), dall’altro lato di assorbire leperdite finanziare effettivamente contabilizzate intale annualità.

Come programmare gli investimenti per il pros-simo futuro?A fronte delle perdite del 2008 si è riusciti a rag-giungere comunque un obiettivo importante, vale adire assicurare per una parte consistente del patri-monio dell’Ente un rendimento netto superiore aquello dell’obiettivo target della rivalutazione deimontanti mediante investimenti in obbligazionigovernative con un orizzonte temporale pluriennale.Si ritiene utile ricordare che tale circostanza si veri-fica per la prima volta nella storia dell’Ente! In sostanza, con circa 300 milioni di euro in titolidello Stato italiano, che garantiranno un rendimentonetto mediamente di circa il 4,1% (superiore, per-tanto, al rendimento obbligatorio fissato dalleAutorità vigilanti, che sarà presumibilmente inferio-re al 3,5%), si sono poste le basi per avere assicura-ta un’elevata percentuale della rivalutazione deimontanti degli iscritti per almeno i prossimi quattroanni. E di questi 300 milioni, 80 sono investiti intitoli decennali, di cui la metà con il rendimentolegato all’inflazione. Il programma degli investimenti per il futuro dovràpertanto “preoccuparsi” di gestire non il patrimoniocomplessivo dell’Ente, ma solamente la liquiditàche annualmente arriverà nelle casse dell’Ente invirtù dei nuovi versamenti degli scritti in occasionedel pagamento del saldo e dell’acconto contributivo.E i nuovi amministratori si dovranno interrogare seaccontentarsi di investire senza rischi avendo comeritorno rendimenti al di sotto del 2% (come in que-sto periodo) e colmare il gap per assicurare la com-pleta rivalutazione dei montanti mediante la contri-buzione integrativa, ovvero se “osare” a investire instrumenti con diverso grado di rischio con l’aspetta-tiva di conseguire rendimenti più elevati. L’attuale basso rendimento dei titoli di Stato faancor più comprendere quanto sia stato importante iltiming di vendita delle gestioni esterne e l’acquistodi titoli di stato in una finestra temporale che si èaperta e chiusa in pochi mesi.

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Lo scenario internazionale sottolinea già dadiverso tempo, una situazione di grande crisinell’ambito finanziario. Se da un lato sembra

crescere la fase di incertezza per i mercati mondiali,dall’altro è molto difficile riuscire a prevedere quan-to potrebbe durare ancora questa crisi.In un quadro così complesso, una possibile soluzio-ne è da identificarsi con l’Investimento socialmenteresponsabile, conosciuto anche come ISR, e intro-dotto prima negli Stati Uniti intorno agli anni ’60,successivamente in Europa e quindi in Italia.Nel corso del 2005 poi, anche Casse di Previdenzae, in particolare l’Enpap, hanno inserito ISR nel pro-prio portafoglio finanziario.Perché l’introduzione di questa pratica ha assuntouna importanza così rilevante per i mercati e per leCasse? La risposta è semplice: questo è uno strumento chetutela gli aspetti di ordine ambientale, sociale edetico nell’ambito del processo decisionale di scelta odi mantenimento di un investimento finanziario.ISR quindi introduce, per la prima volta nel sistemadi valutazione, l’attenzione ad elementi qualitativiche fino a questo momento erano stati tralasciatinelle analisi tradizionali. Inoltre, i parametri dirischio e di rendimento delle gestioni che applicanoISR, secondo diverse valutazioni, risultano del tuttoin linea con i risultati delle gestioni tradizionali.Dunque gli investimenti socialmente responsabili,hanno una grande rilevanza in quanto consentono lafusione di gestioni tradizionali con orientamenti chetutelino le valutazioni di natura etica.Anche l’Enpap, quindi, essendo in completa sinto-nia con tale obiettivo, ha deciso di orientarsi su que-sto tipo di investimenti che consentono al contempo,di realizzare in maniera più coerente il proprio man-dato sociale.

Isettori su cui l’Ente più nello specifico si è con-centrato, sono da individuare nell’ambito dellamicrofinanza e delle energie rinnovabili.

Come noto, sono definibili energie rinnovabili tuttequelle forme di energia che non sono esauribili, inquanto la loro principale caratteristica, è che si rige-

nerano in natura e cioè in particolare: fotovoltaico,eolico, idroelettrico.Tenendo in considerazione la crisi finanziaria che hatoccato tutto il mondo e la progressiva diminuzionedelle risorse combustibili fossili, assistiamo da unlato alla graduale riduzione della competitività dellefonti energetiche tradizionali, dall’altro alla ricerca eallo sviluppo di tecnologie che sfruttano questenuove forme di energia. Si sono realizzate in questomodo apparecchiature innovative: pannelli solarialle pale eoliche di nuova generazione, dotate diun’efficienza tale da rendere la produzione di ener-gia elettrica conveniente anche sul piano strettamen-te economico, senza naturalmente considerare i van-taggi derivanti dalla tutela dell’ambiente.Già nel corso del 2006, nuovi investimenti in questoambito sono stati portati avanti sia da fondazionibancarie, sia dall’Enpap che per mezzo di mandatidiscrezionali e comparti di fondi comuni d’investi-mento, risulta ad oggi l’unica Cassa di Previdenzaad aver effettuato, in maniera sistematica, investi-menti nel settore delle energie rinnovabili.Peraltro, coniugare investimenti in energie rinnovabi-li con le regole dell’ISR, consente di evitare i rischiderivanti da atteggiamenti speculativi o strumentali,sempre presenti nei comparti a forte espansione.Anche se attualmente gli investimenti nelle energierinnovabili, risentono della crisi dei mercati finan-ziari, tuttavia questi investimenti sono destinati arealizzare una forte crescita. Tale crescita, infatti, risulta essere in linea sia con gliobiettivi definiti dall’Unione Europea, che ha prefis-sato l’obiettivo del 20% dell’energia necessaria aiPaesi dell’Unione da ottenere attraverso fonti rinno-vabili, sia con le ultime scelte anticipate dal nuovopresidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che hapreannunciato grandi investimenti in questo ambito,settore che diviene strategico per lo sviluppo dell’e-conomia americana.

Per quanto riguarda invece il settore dellamicrofinanza, l’Ente ha effettuato degli inve-stimenti in un fondo di Credit Suisse, fondo

che è sotto il controllo di uno specifico organismodelle Nazioni Unite.Il senso di questo tipo di investimento da partedell’Enpap, manifesta l’intenzione di ripercorrere

Perché investire nei settorisocialmente responsabili

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* Notiziario Enpap 25 - gennaio 2009

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per sommi passi, la strategia promossa dallaGrameen Bank diversi anni fa.La Grameen Bank, infatti, fondata nel 1976 dal pre-mio Nobel per la pace Muhammad Yunus, è stata laprima banca a concedere dei microprestiti alla popo-lazione del Bangladesh.Il ruolo strategico in questo tipo di investimenti èstato attribuito alle donne. E’ interessante ricordare,ad esempio, l’iniziativa nel campo delle telecomuni-cazioni. All’interno dei villaggi, alcune donne sierano dotate di un telefono e hanno iniziato a costi-tuire un chiaro e fondamentale punto di riferimento,per comunicare con le persone lontane.Questo tipo di investimenti è stato sicuramentedeterminante per lo sviluppo della comunicazione edelle telecomunicazioni nel Bangladesh, elementoquesto essenziale per la crescita di quel Paese.Anche se riproporre tecniche di microfinanza non èsempre facilmente praticabile, tuttavia l’obiettivo diquesto metodo, è proprio quello di concedere deimicrocrediti o piccoli prestiti per coloro che inten-dono avviare delle imprese di dimensioni contenute.Questi investimenti effettuati nei paesi del TerzoMondo, hanno consentito lo sviluppo delle attivitàtessili, delle attività necessarie alla costruzione diarredi domestici, delle attività artigianali, e come giàaccennato, lo sviluppo delle telecomunicazioni.L’elemento fondamentale di tale investimento, ècostituito comunque dalle donne che rappresentano

un importante fattore di crescita e di stabilità econo-mica all’interno del paese in cui si trovano.L’aspetto centrale di questa iniziativa, è il fortegrado di coesione che si sviluppa fra le persone cheaderiscono a questi programmi.Queste persone appartengono a gruppi e sono legatefra loro da vincoli di solidarietà sociale e di fiduciareciproca.Si parla di solidarietà sociale e di fiducia reciprocaperché spesso le persone all’interno di questi gruppinon si conoscono fra loro, ma tuttavia sono dispostead aiutare il membro che in quel momento si trovain difficoltà, fermo restando che il gruppo deve rico-noscere l’effettiva difficoltà economica di quelmembro. Le persone che appartengono a questi gruppi, sifinanziano reciprocamente e consentono in questomodo di incentivare la crescita economica del Paese.

Possiamo riscontrare diversi esperimenti riuscitinell’ambito della microfinanza, sia negli Stati Unitiche nell’Europa Occidentale anche se ci sono fatto-ri diversi da tenere in considerazione rispetto aiPaesi in via di sviluppo.Tuttavia, nell’attuale panorama di grave crisi econo-mica in cui il finanziamento, in particolare di picco-le e piccolissime imprese è problematico, uno stru-mento di questa natura potrebbe fornire utili risorseper riavviare processi economici virtuosi.

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Lo scorso 18 giugno 2006, nell’aula magnadell’Università La Sapienza di Roma, è stataconferita la laurea honoris causa in psicolo-

gia a Daniel Kahneman. Lo studioso israelo-ame-ricano, ha indagato in particolare il ruolo dei fat-tori psicologici nelle dinamiche economiche.Kahneman è giunto a dimostrare come le scelteumane in condizioni di incertezza il più delle voltenon sono quelle razionali predicibili sulla basedella teoria economica classica. La cerimonia èstata introdotta dalla prolusione del Rettore e illaureato ha tenuto una lezione magistrale sul tema“Passi verso la scienza del ben-essere”.All’incontro hanno partecipato illustri studiosi erappresentanti delle istituzioni. Qui di seguito pub-blichiamo l’allocuzione pronunciata dal preside dipsicologia, professor Stefano Puglisi Allegra, e l’e-logio scritto per l’occasione dal professore MarioBertini in onore di Daniel Kahneman.

Allocuzione in onore di Daniel Kahnemanprof. Stefano Puglisi Allegra – Università La Sapienza

Ho il piacere e l’onore di salutare, a nomedella Facoltà di psicologia, il prof. DanielKahneman, che è tra noi oggi per ricevere il

conferimento, da parte della facoltà che ho l’onoredi presiedere, della Laurea in psicologia.Daniel Kahneman ha ricevuto numerose onorificen-ze per meriti scientifici compresa la più alta, la piùambita da uno scienziato, il Premio Nobel, che gli èstato conferito nel 2002 per i suoi contributi ad unascienza che l’ha premiato, l’Economia.Questa laurea Honoris Causa che oggi è a lui confe-rita è un tributo alla sua straordinaria attività scien-tifica che è psicologica e che alla psicologia ha datoe continua a dare idee innovative e linee di sviluppoentusiasmanti.

L’interesse di Kahneman per i diversi aspet-ti della psicologia, dalla psicofisiologiaalla psicologia della percezione alla psi-

coanalisi, è documentato in un libro del 1973 inti-tolato “Attention and Effort” (Attenzione eSforzo), che presenta una teoria dell’attenzioneintesa come risorsa limitata (Kahneman, 1973) el’idea che i processi cognitivi e mnestici sono con-dizionati da fenomeni di natura energetico-pulsio-nale, idea che dimostra l’influenza delle teorie di

David Rapaport. È tuttavia a partire dalla collabo-razione con Amos Tverski, iniziata nel 1971, chesi delinea chiaramente il campo di indagine chefarà di Kahneman uno degli psicologi più studiati.Con Tverski, al quale era legato da una profondaamicizia, Kahneman dimostra che i giudizi allabase delle decisioni e del comportamento umanonon sono guidati da processi razionali astratti nésono basati sulla conoscenza e l’applicazione dinorme statistiche, ma piuttosto sono il frutto diragionamenti intuitivi, guidati da “scorciatoiecognitive” denominate “euristiche”. Tali disposi-zioni intuitive spesso facilitano le scelte piùappropriate, ma possono anche condurre ad errorisistematici, elegantemente smascherati negli espe-rimenti ideati dai due studiosi. Queste scopertefurono considerate una critica feroce al “modellodell’agente-razionale”, tanto in voga, ancora oggi,nel pensiero economico e sociologico. Alcuni cri-tici si spinsero perfino a considerarle un attaccoalla razionalità umana. In realtà, gli studi sulleeuristiche e gli errori sistematici portano ad unaconcezione della razionalità che considera il pen-siero umano come il frutto di una combinazionetra elementi intuitivi e riflessivi.

Due sono i momenti fondamentali dell’operadi Daniel Kahneman. Il primo è segnatodagli studi sui processi di giudizio condotti

con Amos Tverski, che portano nel 1974 alla pub-blicazione di un articolo sulla rivista Science, daltitolo “Judgement under Uncertainty: Heuristics andBiases.”(“Giudizi nell’incertezza: euristiche ed erro-ri sistematici”) (Tverski & Kahneman, 1974). Inseguito, nel 1979, viene pubblicato l’articolo“Prospect Theory” (“Teoria della predizione”) sullarivista Econometrica (Kahneman & Tverski, 1979).Entrambi i lavori ebbero un impatto scientificostraordinario. In particolare, la scelta della rivistaEconometrica per l’articolo del 1979 si rivelò parti-colarmente lungimirante, perché permise un’apertu-ra verso il mondo degli economisti e diede un con-tributo fondamentale alla nascita della disciplinaoggi nota come economia comportamentale (beha-vioral economics). Alcuni anni più tardi, Kahnemanfu infatti contattato da Dick Tahler, un giovane eco-nomista che divenne suo collaboratore e con il qualerealizzarono quell’integrazione tra ricerca psicologi-ca e scienza economica che gli valse il premioNobel.I lavori sul giudizio umano condotti con Amos

Kahneman, psicologo da Nobel

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* Notiziario Enpap 22 - dicembre 2007

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Tverski tentavano di rispondere alla domanda sucome le persone valutano la probabilità di eventiincerti o il valore di una quantità incerta.Un’accurata ricerca sperimentale, dimostrò chegiudizi si basano su un numero limitato di principieuristici. Tali principi riducono la complessità deicompiti ad operazioni semplici. L’euristica dellarappresentatività si riferisce alla tendenza ad inclu-dere un oggetto o un evento in una particolare cate-goria sulla base della similarità dell’oggetto o del-l’evento con i membri della categoria stessa.Questa euristica produce errori sistematici quandoaltri elementi necessari (come ad esempio l’am-piezza della categoria di riferimento) non sonopresi in considerazione ed il giudizio è basatoesclusivamente su criteri di somiglianza.L’euristica della disponibilità si riferisce invecealla tendenza a giudicare la probabilità di eventisulla base degli esempi che sono presenti nellamemoria. Poiché il ricordo è influenzato da fattoridiversi come la familiarità, la salienza o l’impattoemotivo, non sempre la memoria ci fornisce uncampione veramente rappresentativo. L’euristicadell’ancoraggio e adattamento si riferisce infinealla tendenza a sovrastimare il valore iniziale dicose o eventi in un processo di combinazione travecchie e nuove informazioni. L’individuazione ela conoscenza di tali euristiche e degli errori siste-matici che ne derivano, hanno chiarito i processiche stanno alla base delle predizioni e dei giudizidi probabilità.

La teoria della predizione sviluppata nel 1979si configura invece come una teoria sulla scel-ta di rischi, cioè sull’attitudine a rischiare in

determinate situazioni. In contrasto con il pensieroeconomico formale, Tverski e Kahneman dimostra-rono che il comportamento devia sistematicamenteda ciò che viene predetto dalle “teorie dell’utilitàattesa”. L’assunzione analitica centrale della teoriadella predizione è che il valore delle situazioni èdefinito sulla base dei cambiamenti rispetto ad unpunto di riferimento iniziale. Gli individui tendonoad attribuire maggiore rilevanza alle perdite rispettoal punto di riferimento che a vincite comparabili, unfenomeno definito avversione alla perdita (lossaversion). Pertanto, si attribuisce maggiore valorealle cose in proprio possesso rispetto a cose similiche non lo sono (endowment effect). Ne consegueche c’è una disposizione a prendere più rischi nellasperanza di evitare perdite (anche se questo compor-tamento può portare a perdite ancora maggiori), chedi ottenere delle vincite (quando cioè una piccolavincita è sicura ed il rischio riguarda la possibilità diavere vincite maggiori o di non avere nulla). Il risul-tato è un’avversione al rischio rispetto alle vincite edun accettazione del rischio rispetto alle perdite. Leimplicazioni economiche e politiche di queste sco-

perte sono ovvie, ed esse ci aiutano a comprenderealcuni dei meccanismi attraverso i quali la vitaumana è organizzata all’interno delle “società delrischio” (Beck, 2000).

L’importanza delle ricerche di DanielKahneman dipende certamente dall’avercontaminato campi diversi del sapere

umano. Dalla politica alla psicologia sociale, dalleneuroscienze all’economia, dalla psicologia delpensiero e della percezione al diritto. Il suo meritoconsiste non soltanto nell’aver scoperto che il pen-siero e le decisioni dipendono da processi di natu-ra intuitiva, in cui si mescolano fattori emotivi,attentivi, strategie cognitive ed esperienze maanche e, soprattutto, nell’essere riuscito a dimo-strare sperimentalmente con grandissimo rigore emeticolosità la verità di queste idee, individuandoalcuni processi intuitivi che guidano il giudizioumano. E’ importante notare che l’uomo tratteggia-to dagli studi da Kahneman rimane un “animalerazionale”, ma la sua razionalità non è quelladescritta dalle logiche astratte delle teorie econo-miche (massimizzazione dei benefici e minimizza-zione dei rischi). Se proprio si volesse astrarre unsignificato generale dalle teorie di Kahneman, sipotrebbe sostenere che le strategie umane di elabo-razione delle informazioni sono fortementeinfluenzate dalla limitatezza delle risorse attentivo-cognitive e dall’impatto dei fattori affettivo-emoti-vi sui sistemi di memoria.

Il lavoro di Daniel Kahneman ha portato allo svi-luppo di alcune importanti aree di ricerca inte-ressate allo studio dei fattori che sono alla base

dei processi di giudizio. L’economia comportamen-tale (behavioral economics) è un campo che utilizzale ricerche della psicologia cognitiva per modellareil processo di presa di decisioni nell’uomo(Camerer, 2003, Kahneman, 2004). La bioeconomia(bioeconomics) si basa sulla biologia e sulla psico-logia evoluzionistica per costruire modelli che pre-dicono il comportamento umano (Zak, 2002).Infine, la neuroeconomia (neuroeconomics) studia isubstrati neurali dei processi cognitivi, attentivi edemotivi alla base del processo di presa di decisioni(“decision making”) (Platt & Glimcher, 1999, Lee,2005, Ernst & Paulus, 2005, Kahneman &Frederick, 2007).Kahneman ha mostrato l’importanza della psicolo-gia per le altre scienze e in particolare l’importanzadi una prospettiva centrata sulla dimensione menta-le individuale. Infatti, nel giudizio come nelle predi-zioni, “oggetto di scelta e di valutazione sono sem-pre rappresentazioni mentali e non stati oggettivi delmondo” (Kahneman, 2002). Se una decisione si basa sulla rappresentazione men-tale delle alternative in gioco, è all’interno di un’a-

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rea della psicologia, le neuroscience del comporta-mento, che si attendono i progressi maggiori nellacomprensione dei processi attraverso i quali tali rap-presentazioni si formano, del modo in cui vengonoconnotate affettivamente o possono essere controlla-te da cognizioni di ordine superiore (Bechara et al.,2000, Knutson & Cooper, 2006, De Martino et al.,2006, Knutson & Gibbs, 2007). Appare chiaro, così,come il contributo straordinario di Kahneman allaPsicologia sia paragonabile ad un catalizzatore chepromuove processi di crescita in varie direzioni everso campi di ricerca nuovi all’interno di questanostra scienza.

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decision making and the orbitofrontal cortex. Cereb Cortex.10(3):295-307

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– Zak, P. J. 2002 Genetics, family structure, and economicgrowth J. Evol. Econ. 12, 343–365

Elogio di Daniel Kahnemanprof. Mario Bertini – Università La Sapienza

La classica liturgia delle lauree ad honoremprevede la formulazione di un “elogio” o“laudatio”, che orienta il laudatore a presen-

tare un quadro delle conquiste scientifiche del lau-reando. I contributi di Kahneman sono ormaiampiamente conosciuti e presenti in tutti i manua-li, sia nel campo delle scienze psicologico-sociali,sia nel campo delle scienze economico-politiche.

Mi ritengo quindi dispensato dall’indugiare suicontenuti per spostarmi sul terreno di una narrativache, attraversando l’itinerario delle sue scoperte,faccia risaltare l’insegnamento che ne deriva pertutti noi, non solo sul piano scientifico, ma anchesu quello più squisitamente umano. Scorrendo idati di una autobiografia, sembra di cogliere alcunielementi distintivi che caratterizzano, in linea dicontinuità, la vita di Kahneman a partire dai primianni dell’infanzia, a quelli del momento formativofino alla pienezza della sua maturità scientifica:una grande apertura mentale nei confronti dellaconoscenza, un genuino senso dell’humor che con-ferisce una posizione di leggera superiorità sullecose, uno spiccato senso di curiosità soprattutto neiconfronti delle persone, con il gusto di capire laloro straordinaria complessità. Con queste disposi-zioni già presenti in partenza, si può capire l’orien-tamento di Kahneman verso la psicologia senzachiudere i cancelli alle sollecitazioni culturali piùampie. Interessante infatti notare come il suo impe-gno non si limitasse al ristretto ambito di studioprimario.

Nei suoi primi anni di formazione fu attrattosia dal pensiero di uno psicologo socialecome Kurt Lewin, sia dalle lezioni del neu-

rochirurgo Kurt Goldstein, frequentando al con-tempo il dipartimento di filosofia per seguire corsisu Wittgenstein e tuffarsi nella filosofia dellascienza. Il suo commento a tutti questi impegni sirintraccia in queste parole: “non c’era nessunalogica o ragione particolare in quello che facevo,ma mi divertivo molto”. Quindi non il peso gravo-so dello studio ma un gioioso divertimento sembraaccompagnare la sua curiosità di sapere. È questo,mi sembra, un elemento trasparente che accompa-gna la sua vita di studioso e ricercatore. Prima discoprire la nota autobiografica che riporto di segui-to, non avrei mai potuto immaginare la sua apertu-ra verso la psicoanalisi e verso Rapaport. “La piùimportante esperienza intellettuale di quegli anni,non risale alla Scuola Superiore. Nell’estate del1958, insieme a mia moglie attraversammo gliStati Uniti con l’intenzione di passare alcuni mesia Stockbridge nel Massachusetts presso la Clinica“Austen Riggs”, dove ebbi la possibilità di studia-re con Rapaport, teorico psicanalista molto noto,che avevo conosciuto pochi anni prima durante unavisita a Gerusalemme e di cui ero diventato amico.Rapaport era convinto che la Psicoanalisi conte-nesse validi elementi per una teoria della memoriae del pensiero. Secondo Rapaport, il nodo centraledi questa teoria si poteva rintracciare nel settimocapitolo dell’interpretazione dei sogni di Freud, incui si abbozzava un modello dell’energia mentale(cut hexis). Con un gruppo di altri giovani chelavoravano nel suo Istituto, studiai quel capitolo

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come fosse un Testo Talmidico e cercai di ricavar-ne ipotesi sperimentali sulla memoria a breve ter-mine. Fu un’esperienza meravigliosa e, seRapaport non fosse morto improvvisamente l’annosuccessivo, sarei tornato a lavorare con lui. Provaiun enorme rispetto per la sua straordinaria mente.Quindici anni dopo quell’estate, pubblicai il libro“Attention and Effort” che conteneva una teoriasull’attenzione come risorsa limitata. Solo scriven-do quel testo mi resi conto che avevo rivisitato ilterreno su cui Rapaport per primo mi aveva con-dotto”. Ma anche da questa nota si può capire ilsenso di apertura creativa del suo percorso scienti-fico; un percorso guidato da un atteggiamentomentale capace di ascoltare, apprezzare e utilizza-re voci diverse, rielaborandole in un contesto discelte personali. Ma le sue scelte di fondo doveva-no definitivamente collocarsi nell’area della psico-logia cognitiva. Il funzionamento della mente e lesue inesplorate articolazioni stimolavano sempre dipiù la curiosità di Kahneman che si disponeva avivacizzare il dibattito all’interno del territoriocognitivista.

Del percorso scientifico di Daniel Kahneman,tuttora in movimento, vorrei segnalare trepietre miliari o tappe significative, collegan-

dole per comodità a tre preziose pubblicazioni. Laprima nel 1974, con l’articolo sulla prestigiosa rivi-sta Science1, la seconda nel 1979 sulla rivista“Econometrica2”, la terza ancora su Science nel2006.II giudizio in condizioni di incertezze: euristica ederrori.Dopo un periodo di intensa formazione e di ricercacon frequentazioni diverse all’interno dell’arcacognitiva, la vera svolta avvenne alla fine deglianni 60 in coincidenza dell’incontro con AmosTversky, un collega più giovane e già esperto nelcampo del giudizio e dei processi decisionali. ConTversky, che diventerà un suo grande amico e col-laboratore, ha inizio un lungo itinerario di ricerca edi riflessione teorica, che doveva portarlo 30 annipiù tardi, al conferimento del Premio Nobel. Ciòche caratterizza questo percorso è la proiezione diuno sguardo nuovo nell’area del giudizio e del pro-cesso decisionale, un capitolo molto frequentatodagli psicologi cognitivisti. Cercherò di spiegare,con semplicità ed estrema sintesi, di cosa si tratta edelle novità introdotte da Kahneman e Tversky. Ilragionamento deduttivo si muove sul piano dellecertezze, senza eccezioni. Se è vero che John Smithè un uomo, e tutti gli uomini sono mortali, segueinevitabilmente che John Smith è mortale. Lasituazione è molto differente nel ragionamentoinduttivo. Diversamente dalle deduzioni, le indu-zioni non possono mai essere certe, ma solo proba-bili. Nella vita ordinaria di solito abbiamo a che

fare con “probabilità” che sono molto meno chiaree nette, e la valutazione di queste probabilità si pre-senta spesso come un processo critico. Con spicca-to spirito di curiosità e una buona dose di trasgres-sività, (che accompagna di solito il vero pensierocreativo), i due autori affrontarono le pieghe e irisvolti più intimi del funzionamento induttivodella mente quando questa si confronta con sceltedecisionali. Quali procedure, quali strategie adottala mente per raggiungere il risultato migliore? Leprocedure adottate sono le più oggettivamenterazionali soprattutto in situazioni di incertezza? Perrispondere a queste domande, Kahneman eTversky si lasciarono guidare da intuizioni e sup-posizioni di varia natura; ogni linea di ragionamen-to era tuttavia costantemente accompagnata darigorosi test sperimentali, sulla base dei quali intui-zioni e supposizioni venivano scartate oppure sot-toposte a nuovi test e ad ulteriori aperture interpre-tative. È interessante constatare il clima condivisodi passione scientifica che si crea fra i due, (dagliamici erano chiamati “il duo dinamico”), soprattut-to quando appariva sempre più chiaro che le proce-dure adottate dal pensiero umano si discostanosistematicamente dai binari della supposta raziona-lità. Solo per dare un esempio, la razionalità ci diceche la probabilità di accadimento di un particolareevento è definito da un rapporto: la frequenza diquell’evento (per esempio, il numero di volte cheuna moneta cade come testa) diviso per il numerototale delle osservazioni (per esempio il numero divolte che viene lanciata la moneta). Ma in pratica,spesso non si conoscono queste frequenze e, anchese conosciute, spesso non le usiamo appropriata-mente. Kahneman e Tversky verificarono che, spe-cialmente in situazioni di incertezze, vengono uti-lizzate delle scorciatoie o meglio dire delle strate-gie che, a “lume di naso”, ci aiutano a stimare laprobabilità. Ed è per l’appunto merito diKahneman di aver individuato e documentato conestrema precisione alcune di queste strategie o“euristiche”, dimostrando come spesso esse produ-cano evidenti errori. Sono ormai ben note le euri-stiche de “la disponibilità”, de “la rappresentati-vità”, de “l’ancoraggio e l’aggiustamento” e, altret-tanto chiare, le conseguenze negative che possonoderivare dal loro uso sul piano pratico.

Dopo quattro anni impegnati in una serienotevole di lavori empirici, Kahneman eTversky dedicarono un intero anno di inten-

sa riflessione prima di pubblicare i risultati suScience. Per mettere in evidenza lo sfondo di viva-cità intellettuale e la passione per la ricerca cheaccompagna e in certo senso spiega la ricchezzadella sua produttività scientifica, riporto il com-mento che lo stesso Kahneman fece al riguardo:“Amos ed io ci mettemmo intorno ad un tavolo per

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rivedere cosa avevamo imparato su tre euristichedel giudizio: representativeness, availability andanchoring e su una serie di circa una dozzina dipregiudizi associati a quelle euristiche. Passammoun anno delizioso, facendo poco altro se non lavo-rare su un solo articolo. Sulla base del nostro con-sueto programma di lavorare insieme tutti i pome-riggi, consideravamo abbastanza produttivo ungiorno in cui riuscivamo a “stendere una o due frasidi senso compiuto; il fatto di gioire nel processo cigarantì una pazienza illimitata e scrivemmo comese la scelta precisa di ogni parola fosse un momen-to di grande importanza”. Questo articolo suscitòun notevole interesse, non solo all’interno dellapsicologia cognitivista ma anche nei settori piùampi dell’economia e nei circoli più recettivi dellafilosofia. Pur volutamente presentato in un modomolto fattuale, senza dare spazio a inferenze dicarattere speculativo, questo articolo presentavaconclusioni importanti circa il funzionamento dellamente. Fu così che la pubblicazione del ‘74 diven-ne un punto di riferimento per quanti avvertivanoche in esso vi erano segni di forte critica rispetto al“modello dell’uomo razionale” prevalente nellateoria economica tradizionale.

Processi decisionali e teoria del prospetto

Dopo le acquisizioni realizzate nel campo delgiudizio e culminate nella consapevolezzadell’esistenza di alcuni limiti intrinseci alla

ragione umana, Kahneman e Tversky decidono diaffrontare insieme e con la stessa carica di entusia-smo, il terreno dei processi decisionali, molto fre-quentato dagli psicologi del cognitivismo. In certosenso, comincia così una seconda tappa del percor-so. Un problema con cui inizialmente essi ritengo-no opportuno confrontarsi fu quello del famosoparadosso di Allais, il quale aveva osservato consorpresa che le risposte soggettive nei confrontidelle probabilità non erano lineari. Si trattava quin-di di dare una spiegazione teorica soddisfacente.La ragione della difficoltà dei teorici della decisio-ne a spiegare il fenomeno – come sottolineaKahneman – era da attribuire proprio al fatto che lerisposte dei soggetti violavano gli assiomi dellascelta razionale e quindi apparivano chiaramenteincompatibili con la teoria dominante dell’utilitàattesa. Seguendo la linea di pensiero di cui ormaierano convinti, intravedono la possibilità di supe-rare l’ostacolo con un’impostazione diversa, chia-ramente di carattere psicologico. Al riguardoKahneman osserva: “la naturale risposta dei teoricidello decisione, al paradosso di Allais, sicuramen-te nel 1975, ma probabilmente anche oggi, sarebbequella di ricercare un nuovo set di assiomi cheavesse un richiamo normativo pur permettendo lanon linearità. La naturale risposta di noi psicologi

fu quella di mettere da parte le questioni dellarazionalità e di sviluppare una teoria descrittivadelle scelte che le persone di fatto adottano, senzapreoccuparci se queste scelte fossero o non fosserogiustificate”.

Èinteressante notare la singolarità delle anali-si e dei movimenti di ricerca che venneroadottati alla luce del valore euristico delle

precedenti acquisizioni. Kahneman osservavaanzitutto come nelle indagini precedenti sul para-dosso di Allais, ogni problema di scelta venivadescritto in termini di guadagni e di perdite (inrealtà, quasi sempre di guadagni), mentre le fun-zioni di utilità, ritenute in grado di spiegare le scel-te, venivano collocate, come livelli di “ricchezza”,nella linea dell’ascissa. Questa posizione sembra-va a Kahneman innaturale e psicologicamenteimprobabile. Da qui la decisione immediata einnovativa di adottare i cambiamenti e le differen-ze come vettori di utilità. Kahneman e Tverskyfecero questa scelta che a loro pareva ovvia, senzaperaltro avere una vaga idea che si trattasse di unascelta veramente fondamentale, né, tanto meno,che avrebbe aperto la strada a “l’economia com-portamentale” - per la verità Harry Markowitz, chevincerà in seguito il premio Nobel in economia,aveva proposto i cambiamenti di ricchezza comevettori di utilità nel 1952, ma non aveva portatomolto avanti questa idea -. Lavorando su questalinea fu possibile mettere in evidenza un tema cheresterà sicuramente centrale nell’area del decisionmaking non solo per il suo fascino teorico, maanche per le molteplici conseguenze sul pianoapplicativo; in modo particolare, ma non certoesclusivo, nel campo dell’economia e della finan-za. Si tratta della scoperta che passa con il nome di“loss aversion” (avversione alla perdita); la suaimportanza consiste nella dimostrazione empirica,che le perdite producono un danno psicologico piùrilevante rispetto alla gratificazione che deriva daun equivalente guadagno. Pertanto, sul piano deci-sionale, la prospettiva di una perdita ha un impattomaggiore della prospettiva di un equivalente gua-dagno. Ne consegue che gli atteggiamenti dellepersone rispetto al rischio di guadagnare qualcosa,possono essere del tutto differenti rispetto a quan-do si tratta del rischio di perdere qualcosa. Questocomportamento non è necessariamente irrazionale,ma è importante per gli analisti economici ricono-scere l’asimmetria delle scelte umane. I dati speri-mentali, e le osservazioni di eventi naturali, sonoassolutamente decisivi nel confermare questa sco-perta, la cui rilevanza sul piano delle scelte con-crete è stata fortemente avvertita nella culturascientifica degli anni ottanta. Nell’introduzione alvolume “Choices, values and frames”, Kahnemanriporta una serie impressionante di ricerche nelle

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quali il concetto del “avversione alla perdita” èservito a spiegare fenomeni diversi che vanno da“le curve d’indifferenza”, ai princìpi della com-pensazione legale, dalle regole di giustizia nelcommercio, all’enigma del premio di equità neimercati finanziari, fino al numero di ore che i tas-sisti di New York scelgono di lavorare nei giorni ditraffico. Con l’intensificarsi delle ricerche e l’ac-cumulo delle conoscenze acquisite, nasce com-prensibilmente l’esigenza di una sintesi a livelloteorico.

La pubblicazione del famoso articolo, com-parso nella rivista “Econometrica”, nel 1979,rappresenta un passo in avanti sul piano

della teoria e costituisce un’altra importante pietramiliare dell’itinerario kahnemiano. Da notare chequesto articolo, ha avuto il più alto numero di cita-zioni di tutti gli articoli finora pubblicati nella rivi-sta che è da molti considerata come la più presti-giosa nei campo dell’economia. In esso si presentauna critica della classica teoria dell’utilità attesa,come modello descrittivo del decision making insituazioni di rischio, e si svilupppa un modelloalternativo al quale viene dato il nome singolare di“teoria del prospetto”. Si tratta di uno sforzo benriuscito di costruire una teoria parsimoniosa ingrado di spiegare una serie di violazioni del model-lo tradizionale della razionalità. È comune il rico-noscimento che la prospect theory abbia contribui-to, più di ogni altro approccio, a portare la psicolo-gia al centro dell’analisi economica. Vorrei sottoli-neare che il successo e l’accoglienza ricevuti daKahneman nel campo dell’economia, è anchedovuto al suo modo appropriato di procedere comepsicologo nelle relazioni con questa disciplina: ilrispetto dei tempi, la valutazione dei propri limiti,la capacità di muoversi in ascolto delle ragionidegli amici economisti e in funzione della ragione-vole capacità di essere da loro ascoltato. Aldilàdella solidità dei contributi presentati non è certoun caso che il suo messaggio sia stato recepito cosìampiamente in un territorio dove certe posizioni diresistenza avevano il peso di una lunghissima tra-dizione. Dopo questa tappa, continua senza sosta ilviaggio sul binario della ricerca e della riflessionecritica che porta all’avanzamento della teoria. Ècosì che Kahneman si accinge a lavorare sul pro-getto che porterà alla definizione del cosiddetto“effetto framing” (effetto di incorniciamento).Secondo il suo pensiero in generale le persone ope-rano delle scelte valutando contestualmente conparticolare attenzione se un dato corso di azionepuò esitare in un guadagno o in una perdita rispet-to allo status quo (o a qualche altro punto di riferi-mento importante); in questo processo le personesono fortemente influenzabili dal modo con cui lescelte vengono presentate o “framed”. Per quanto

ovviamente rilevanti al riguardo siano altri aspettiemotivi, di contesto ecc., l’attenzione specifica diKahneman è orientata all’analisi delle influenze alivello dei processi cognitivi. Sul piano metodolo-gico, l’effetto framing si dimostra costruendo dueversioni palesemente equivalenti di un dato proble-ma che tuttavia porteranno a due scelte differenti sepresentate in forma diversa. Naturalmente l’impor-tanza di questo effetto è data proprio dalla predici-bilità dei risultati sulla base della teoria del pro-spetto prima avanzata. Come si vede lo sviluppodella ricerca da parte di Kahneman e Tversky e deimolti seguaci ha introdotto elementi sempre piùrobusti per confutare la tradizionale e prevalenteposizione in economia dell’uomo come “agenterazionale”.

Il problema dell’irrazionalità

Nel percorso scientifico kahnemaniano nonc’è dubbio che il leit motif centrale, la indi-scutibile novità, sia la rigorosa dimostrazio-

ne empirica degli errori di ragionamento cheaccompagnano sistematicamente i processi deci-sionali. Naturalmente che l’uomo possa compieredegli errori di ragionamento in certe situazioni par-ticolari, nessuno lo ha mai messo in dubbio; il pro-blema si presenta molto diversamente quando sidimostra empiricamente che gli errori sono siste-matici e costituiscono un vincolo intrinseco delfunzionamento della mente. Questa linea tuttavia,oltre al notevole consenso, non poteva non crearedelle resistenze, sia all’interno del mondo econo-mico, per l’attacco alla razionalità nelle scelte, siain ambito filosofico, per le implicazioni sulla natu-ra umana, sospettata di irrazionalità. Per quantoriguarda quest’ultima riflessione, può essere utilefar notare l’analogia tra gli errori di pensiero e leillusioni percettive. Si tratta, in entrambi i casi, didistorsioni: nel primo caso modifichiamo la veritào la probabilità, nel secondo alteriamo la percezio-ne della realtà concreta. Ma il fatto che vi sianodelle illusioni percettive non significa che nonvediamo in linea di massima la realtà nella sua con-cretezza oggettiva. Probabilmente si potrebbeanche riflettere sul valore positivo, in senso adatti-vo di queste mispercezioni. Ma aldilà di questeconsiderazioni, alcune delle critiche, avanzate giàfin dagli inizi, contengono un’ambiguità o megliola non precisa comprensione del problema. Non siè capito cioè che la ricerca di Kahneman, non con-duce ad un “attacco alla razionalità umana”, mamuove semplicemente una critica al modello de“l’agente-razionale”. Negli anni successivi al ‘74,lo stesso Kahneman riconosce di aver centratotroppo l’attenzione sugli aspetti negativi delle euri-stiche mentali, trascurando di segnalare la loro fun-zione -in certi casi positiva: “Non nego tuttavia che

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il nome del modello e del nostro approccio abbiacreato una forte associazione tra le euristiche e glierrori e abbia contribuito pertanto a dare un bruttonome alle euristiche, cosa che non era nelle nostreintenzioni. Di recente, mi sono reso conto che l’as-sociazione fra euristiche ed errori ha influenzatopersino me stesso”.

Ben conoscendo come la ricerca medica e psi-cologica abbia ritardato ad affrontare il ver-sante della positività, non mi stupirei se un

approccio in questa direzione “positiva” dovesseportare risultati interessanti e probabilmente inattesianche in questo campo. Ed ecco come si esprimeKahneman nei confronti delle critiche: “Che cosa hoappreso” - si chiede – “dalle controversie sull’euri-stiche e gli errori? Come succede nei dibattiti a moltiprotagonisti, non ho molti ricordi di aver cambiatoidea sotto la pressione degli avversari, ma ho certa-mente imparato più di quanto io stesso non mi siareso conto. Oggi per esempio, sono pronto a respin-gere l’idea che il nostro lavoro dimostri la irraziona-lità umana. Quando capita l’occasione spiego accu-ratamente che la ricerca sulle euristiche e sugli erro-ri rifiuta solamente una concezione irrealistica dellarazionalità. Sono stato sempre accurato?Probabilmente no. Nella mia visione lo studio deglierrori di giudizio richiede di prestare attenzioneall’intreccio fra pensiero intuitivo e riflessivo chetalvolta consente giudizi sbagliati e altre volte lisupera e li corregge. Mi è stato questo sempre chia-ro? Probabilmente no. Sono ora molto colpito dal-l’osservazione che ho ricordato prima per cui pre-stazioni cognitive più sofisticate sono intuitive e chemolti giudizi complessi sono veloci, attendibili eaccurati. Questa osservazione non è nuova per me,ma mi domando se è stata sempre così chiara nellemie prospettive così come lo è ora. Quasi certamen-te no”.

L’economia comportamentale

Il contributo di Kahneman nell’ambito dell’eco-nomia è un esempio classico dell’importanzadell’integrazione disciplinare nella scienza

moderna. Gli stessi fenomeni, da tempo affrontatidagli economisti, vengono visti in una diversa pro-spettiva, quella psicologica, e la differenza apre laporta a riflessioni nuove e costituisce un fertileincentivo al cambiamento.Nel complesso nessuno mette in dubbio l’enormeinfluenza dello psicologo Kahneman nel campodell’economia e, in particolare il ruolo da lui avutoper lo sviluppo del movimento dell’ economiacomportamentale (behavioral economy). A questoproposito vale la pena sottolineare la correttezza el’onestà intellettuale dello stesso nel riconoscereanche meriti altrui. In questo caso, il debito di

riconoscenza attestato all’amico Dick Thaler(Ph.D. professore di economia e scienze compor-tamentali nell’Università di Chicago), da luiincontrato negli anni ‘80 e con il quale ha avuto unrapporto di collaborazione e di amicizia. “La inte-razione con Thaler si mostrò ancora più fruttuosadi quanto avessi allora immaginato ed è stato unfattore notevole per l’assegnazione del premioNobel nella cui motivazione si legge: “…per averintegrato nelle scienze economiche le conoscenzeche derivano dalle ricerche psicologiche...Sebbene io non desideri rinunciare ad alcun credi-to rispetto al mio contributo, vorrei dire che illavoro d’integrazione è stato fatto principalmenteda Thaler e dal suo gruppo di giovani economisti.Amos ed io abbiamo fornito un certo numero diidee iniziali, che vennero poi integrate nel pensie-ro di alcuni economisti; la teoria del prospetto,legittimò indubbiamente l’impresa di utilizzare lapsicologia come fonte di assunti realistici sul com-portamento degli attori economici. Ma il testo fon-dante dell’economia comportamentale è il primoarticolo in cui Thaler (1980) presentò una serie divignette che sfidavano gli assunti fondamentalidella teoria del consumatore. La rispettabilità dicui gode oggi l’economia comportamentale sideve, io credo, ad alcune importanti scoperte fatteda Dick in quella che oggi viene chiamata la finan-za comportamentale”.Queste affermazioni esplicite sottolineano ancora ilsignificato della strategia di Kahneman nella rela-zione interdisciplinare: dare agli economisti ilruolo di protagonisti favorendo in tal modo lo svi-luppo delle idee a partire dall’interno e non dall’e-sterno del loro territorio. È interessante d’altraparte notare la reciprocità. In un’occasione partico-lare così si esprime lo stesso Richard Thaler: “Illavoro di Kahneman e Tversky è la ragione per cuioggi si può dire che esiste il campo fiorente dell’e-conomia comportamentale. Il loro lavoro ha fornitolo schema concettuale che ha reso possibile ilnostro campo”.

Gli studi sulla felicità e il rapporto con la politica

Ma gli studi di Kahneman non si fermano aquesto livello. Negli anni più recenti,sempre sullo sfondo di continuità con il

passato, il suo interesse scientifico, si è aperto auno scenario particolarmente suggestivo e coin-volgente. Lo studio del benessere e della felicitàha richiamato la sua attenzione per ragioni deltutto comprensibili. Dal momento che comincia adeclinare l’assunto della razionalità illimitata, unavolta dimostrato dagli stessi economisti che, oltreun certo livello di ricchezza, non c’è più correla-zione fra aumento della medesima e aumento delbenessere soggettivo, viene naturalmente a incri-

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narsi l’idea che l’indicatore di sviluppo di unanazione sia solamente legato al criterio della pro-duzione. Gli stessi economisti, memori del mes-saggio inascoltato di Bentham, cominciano a par-lare di felicità come un indicatore possibile nonalternativo, ma comunque integrativo da utilizzarenell’ambito delle politiche economiche. Problemaarduo e delicatissimo. Ed ecco allora che c’è anco-ra bisogno di Kahneman: chi meglio di lui puòaffrontare un problema di questa natura? Sono glistessi economisti a chiedere a lui e agli psicologiun aiuto consistente. E, come ben noto, Kahnemanha risposto volentieri all’appello lavorando conintensità negli ultimi anni verso una tappa che vor-rei definire la terza pietra miliare del suo percorsoscientifico. Di recente Kanheman si sta attivamen-te occupando di misure sul benessere: “Uno deglisviluppi che maggiormente colpiscono” - eglisostiene – “è l’interesse progressivamente dimo-strato dagli economisti per l’intero problema dellafelicità e del benessere”; interesse comprensibileuna volta riconosciuta la limitata razionalità divalutazioni basate su semplici misure di income.Noi siamo psicologi e gli economisti non possonofare a meno del nostro aiuto su questi temi di natu-ra psicologica”.

Il suo contributo in questa area già si fa larga-mente sentire. Ed è proprio il rigore riconosciutodel suo approccio scientifico, a dare motivo di

credibilità e di garanzia rispetto ad un tema la cuicomplessità suscita facilmente reazioni di rigetto epreoccupazioni di varia natura. Passi significatividel suo contributo sono ormai riconoscibili special-mente per quanto riguarda le scale di misura checoinvolgono la definizione stessa di felicità-benes-sere.Un segno di questi progressi si può rilevare nella suarecente pubblicazione su Science (2006) il cui titolo“Would you be happier if you were richer? A focu-sing illusion” è sufficientemente indicativo dellepossibili novità che si aprono alla ricerca. Da questorapido accenno si può inoltre capire come le temati-che sollevate da Kahneman assumano un rilievo(peraltro da lui stesso sottolineato), nel campo dellacosiddetta “psicologia positiva” e della psicologiadella salute dove molti di noi sono oggi particolar-mente impegnati.Ma su questo tema non intendo soffermarmi per-ché è al centro del convegno che oggi pomeriggiosi terrà proprio in questa sede. Vorrei concludereperò con un’ulteriore citazione del profilo diDaniel Kahneman. Mi riferisco all’esperienzadella profonda amicizia con Amos Tversky, dece-duto prematuramente, lasciando in lui un dolorosorimpianto. Questa esperienza merita di essere sot-tolineata perché illumina le potenzialità che pos-sono nascere anche sul piano concreto della pro-

duttività scientifica, quando lo spirito di collabo-razione si incontra con un senso genuino di amici-zia. “Fu un’esperienza magica” - egli scrive -“Avevo già provato piacere a lavorare con altrepersone ma questa esperienza fu davvero diversa.Fin dall’inizio stabilimmo velocemente comeorganizzarci, definendo un ritmo per i nostriincontri che mantenemmo per tutto l’anno. Amosera una persona che riusciva a lavorare di nottementre io lavoravo bene al mattino. Naturalmentequesta differenza ci spinse a incontrarci per ilpranzo e a stare insieme nel pomeriggio; riusciva-mo in tal modo ad avere anche il tempo per lavo-rare alle nostre cose. Passavamo molte ore delgiorno a parlare fra di noi. Naturalmente non par-lavamo solo di lavoro, parlavamo di tutto ciò cheaccade sotto il sole e riuscivamo a conoscere ilpensiero dell’altro come fosse il nostro. Con reci-proca sorpresa avremmo potuto - e spesso lo face-vamo- finire le frasi dell’altro e completare ciò chel’altro avrebbe voluto dire . Nei progetti comunilavoravamo sempre insieme inclusa la stesura deiquestionari e degli articoli. Rifiutavamo qualsiasidivisione esplicita del lavoro. Il nostro principioera quello di discutere su ogni divergenza fino adarrivare ad una soluzione soddisfacente perentrambi. All’inizio non avevamo il concetto dichi fosse il senior. Nel primo lavoro pubblicatoinsieme, per stabilire a chi toccava essere il primoautore, lanciammo una moneta, in seguito ci siamoalternati. Una conseguenza di questo modo dilavorare fu quella che tutte le idee erano di pro-prietà comune. I nostri scambi erano così frequen-ti e così intensi che non era possibile distingueretra la maturazione delle idee, l’atto di esprimerle ela successiva elaborazione. Alcune delle maggiorigioie della nostra collaborazione – e probabilmen-te del suo successo – derivavano dalla nostra capa-cità di elaborare i pensieri nascenti di ciascuno dinoi: se io esprimevo un’idea non ancora bendefi-nita, sapevo che Amos sarebbe stato in grado dicomprenderla, probabilmente in modo più chiarodi me, e sarebbe stato capace di capire se questaidea era buona. Come la maggior parte delle per-sone, in certo senso, io sono cauto nell’esporreagli altri dei pensieri ancora incerti. Nei migliorianni della nostra collaborazione, questa cautelaera completamente assente. La fiducia reciproca ela completa mancanza di diffidenza che avevamoraggiunto era particolarmente notevole dalmomento che entrambi – Amos persino più di me– eravamo giudicati come critici severi. Amos e iocondividevamo la meraviglia di possedere insiemeun’oca che poteva partorire uova d’oro - unamente congiunta che funzionava meglio di duementi separate. La statistica conferma che i lavorida noi fatti insieme hanno avuto più influenza deilavori fatti individualmente”.

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Kahneman ha sottolineato più volte il ruoloimportante dei suoi collaboratori con i qualisi stabiliva un clima di reciproca fiducia. Il

mattino che ricevette la notizia di essere stato desi-gnato per il premio Nobel, alla domanda “qualefosse stato il segreto del suo successo” risposesenza esitazione: “la mia scelta degli amici. Sonostato estremamente fortunato ad aver avuto molticollaboratori brillanti che sono stati anche grandiamici”. Il contributo di Kahneman, come scienzia-to e come uomo, ha influenzato una varietà diambiti di ricerca e di applicazione che includono lateoria della decisione, l’economia comportamenta-le e la finanza comportamentale, la psicologia delconsumo, lo studio della negoziazione e del con-

flitto, i processi decisionali in campo medico, l’a-nalisi e la pratica legale, gli studi sul benessere, lascienza politica, e le indagini filosofiche sull’eticae la razionalità.Le sue scoperte, rappresentano quindi un contributodi conoscenza scientifica trasversalmente rintraccia-bile in varie situazioni. Per queste ragioni la sua per-sonalità di psicologo si staglia come ponte fra la teo-ria psicologica e le istanze più concrete dellasocietà. Ed è anche per suo merito che la psicologia- scienza giovane - avanza e trova spazio di ascoltonell’arena della cultura scientifica contemporanea.Tutto quanto detto finora, credo che giustifichiampiamente la proposta di conferire la laurea hono-ris causa a Daniel Kahneman.

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ASSISTENZA E SVILUPPODELLA PROFESSIONE

Indice terza parte

– Previdenza e professione.......................................................................................................... 73

– New economy e professioni intellettuali: quale rapporto, quali sinergie? .............................. 74

– Al via l’assistenza e non solo .................................................................................................. 78

– Operativa l’assistenza a favore dei colleghi ............................................................................ 79

– Che cosa fa l’Enpap per i colleghi .......................................................................................... 80

– L’AdEPP: le sinergie tra le professioni e la previdenza .......................................................... 82

– Intervista al prof. Giovanni Geroldi ........................................................................................ 84

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In questo numero del Notiziario, che con l’occa-sione della ristampa di Statuto e Regolamentoviene inviato anche a tutti gli iscritti all’Ordine

perché possano avere nozione delle norme in mate-ria di previdenza, cerchiamo di affrontare, comeargomento oggetto di particolare approfondimento,il ruolo delle professioni nella società contempora-nea alla luce degli impressionanti cambiamenti chestanno avvenendo nel campo della scienza, delletecnologie e delle dinamiche economico-sociali.Ciò si rende necessario perché molto spesso comeprofessionisti siamo concentrati sulla particolaritàdel nostro specifico sapere e agire ed abbiamo diffi-coltà a contestualizzarlo in orizzonti più ampi, al cuiinterno è in ogni caso inserito. La globalizzazione, infatti, di cui tanto si parla e dicui tutti dovremmo essere consapevoli, non è solol’interconnessione economico-finanziaria tra i mer-cati dei vari Stati del mondo, ma anche il costante erapidissimo scambio di idee e conoscenze all’inter-no delle singole discipline e tra discipline diverse.

Sull’insieme di questi fenomeni il nostro puntodi osservazione è, ovviamente, quellodell’Ente di previdenza della categoria, orien-

tato quindi a considerare con grande attenzione l’in-treccio tra fattori culturali, professionali ed econo-mici esistenti nella nostra professione. Lo stimolo che abbiamo pensato di utilizzare per svi-luppare la nostra riflessione è un articolo del profes-sore Gian Paolo Prandstraller, dell’Università diBologna, che da vari anni si occupa dello studio deifenomeni relativi all’evoluzione nel mondo del lavo-ro con particolare attenzione alle professioni.Il testo, tra le altre cose, pone l’accento su tre ele-menti che troppo spesso non vengono sufficiente-mente considerati e che invece meritano grandeattenzione.

• Ai fini dei processi di produzione il fattore cono-scenza acquista un peso sempre più determinanterispetto alle componenti forza lavoro e capitale. Intal senso, la tradizionale dialettica economico-politi-ca tra datori di lavoro e dipendenti, rappresentati siapure in modo schematico da Confindustria eConfederazioni sindacali, sta entrando in crisi poi-ché non rappresenta più in modo totalitario, rispettoa quanto avveniva nel passato, il panorama dei pro-cessi produttivi.

• La realtà della new economy è diversa dall’imma-gine (ridotta all’utilizzo di internet) che in genere nedà il mondo industriale. Si tratta infatti di una formaeconomica che segue il principio secondo cui sono lescienze (tutte le scienze!) e le tecnologie più avanza-te a supporto della produzione industriale. Accanto alsostegno dell’informatica la nuova economia utilizzaquello delle biotecnologie, della chimica e fisicamolecolare, delle nuove specialità dell’ingegneria,ma anche della psicologia e delle scienze umane.Viene cioè stabilito il principio dell’essenzialità dellaconoscenza nei processi produttivi, elemento questoche di fatto segna la differenza tra i paesi più svilup-pati e gli altri, ovvero la capacità continua di innova-re in maniera anche sostanziale il prodotto. Lesocietà avanzate vedono profilarsi quindi, accantoalla figura dell’imprenditore e a quella del dipenden-te, il ruolo del lavoratore della conoscenza, del pro-fessionista, che attraverso il proprio sapere fornisceal prodotto un indispensabile valore aggiunto.

• Il mondo delle professioni, in modo particolare nelnostro Paese, rimane tuttavia schiacciato sul pianopolitico-economico dagli interessi preesistenti che siconcretizzano da un lato nelle esigenze dell’indu-stria, e in generale degli imprenditori, di aver sottocontrollo la totalità dei processi produttivi e, dall’al-tro, di quelle delle organizzazioni sindacali tradizio-nali spesso a disagio, sul piano dei contenuti, difronte a fenomeni evoluti di lavoro autonomo. Ladebolezza dei professionisti è data, e noi psicologi losappiamo e lo viviamo quotidianamente, dalla scar-sissima capacità contrattuale nel momento in cuimettiamo a disposizione il nostro sapere e la nostracapacità professionale. Dai committenti deriva cer-tamente dalla polverizzazione dell’offerta, tipica diogni libera professione, ma anche dallo scorso peso,al dì là del prestigio che il singolo professionista puòavere, che nel panorama economico-politico delPaese hanno le libere professioni, nel loro insieme,come unico soggetto.

Le Casse di previdenza professionali, che a partiredal 1994 hanno iniziato il loro processo di privatiz-zazione culminato negli ultimi anni con la nascitadei nuovi Enti privati, tra cui l’ENPAP, si stannoconfigurando come un polo previdenziale privatoche si avvia a diventare, per i patrimoni finanziariche nel suo insieme gestisce e gestirà, un interlocu-tore finanziario di grande rilevanza sul panoramanazionale. Si profila quindi la possibilità che ilmondo professionale sia sostenuto da un centro pre-

Previdenza e professione

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* Editoriale di Demetrio Houlis del 2001

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videnziale che possa assicurare ai professionisti ilsupporto, in termini di peso finanziario complessi-vo, che è necessario per sostenerne le politiche.

Questi, in estrema sintesi, alcuni punti delleinteressanti considerazioni del professorePrandstraller che invito i colleghi a leggere

nel loro insieme e che possono aprire stimolantiscenari davanti a noi. Come, ad esempio, farcicapire più chiaramente il senso di ciò che era statonotato dagli osservatori più attenti del vivace dibat-tito in atto sulla riforma delle libere professioni:l’insolita convergenza tra le posizioni diConfindustria e dei Sindacati confederali, entrambisostanzialmente favorevoli all’ipotesi di un sostan-

ziale ridimensionamento degli Ordini professionaliche, nonostante tutte le possibili critiche, rappre-sentano le peculiarità e l’autonomia delle libereprofessioni.

È chiaro che il compito istituzionale dell’ENPAP èquello di occuparsi del futuro previdenziale e assi-stenziale degli psicologi nel migliore dei modi pos-sibili, e tuttavia non può sfuggirci il fatto che l’Enteè espressione organica della categoria di cui, in unacerta misura, esprime anche il potenziale economi-co. Se ciò può essere messo al servizio dello svilup-po della professione in un momento in cui moltisono i problemi aperti, penso che potrebbe essereun’occasione su cui riflettere.

New economy e professioni intellettuali:quale rapporto, quali sinergie?

Gian Paolo Prandstraller (Professore ordinario di Sociologia nell’Università di Bologna)*

Per parlare con cognizione di causa di new eco-nomy si deve evocare un concetto più vasto: peri suoi contenuti questo concetto può essere con-

siderato come la vera matrice di una serie di fenome-ni sociali importanti tra cui appunto la new economy.Si tratta della “società della conoscenza”, un tipo disocietà impostato sul fatto che la “produzione” si basaessenzialmente su nozioni indotte dalle scienze, fisi-che, biologiche, comportamentali ecc., nella loroaccezione più moderna. La società della conoscenzacomincia ad affermarsi nel decennio ’70 e coincidecon la società post-industriale o post-moderna. È inquell’epoca che la scienza (attraverso campi discipli-nari come l’elettronica, l’informatica, la telematica, latermodinamica dei processi dissipativi, la biologiamolecolare, la nuova genetica, l’astrofisica, la cosmo-logia, le forme recenti dell’ingegneria, ecc.) acquistauna posizione determinante nei processi produttivi.Da allora l’influenza di questo fattore sul mondo eco-nomico non è più cessata; si è anzi accentuata, sem-pre più visibilmente, nella parte finale del XX secolo.La new economy integra un momento avanzato di taleinfluenza, reso evidente dall’ampio utilizzo socialedella “rete” e dall’attitudine globalizzante delle tele-comunicazioni. Un momento dello sviluppo produtti-vo basato su fattori cognitivi, che trascenderà prestola fase attuale: per cui se oggi è abbastanza ovvio pre-vedere che l’influsso della conoscenza scientificasulla produzione non si limiterà alle forme oggi defi-nite come new economy, è molto difficile congettura-

re gestire tale società, noi oggi ci domandiamo qualisiano le componenti umane che possono gestire unasocietà sempre più dipendente dalla conoscenzascientifico – tecnica. Ritengo che queste componentisi possano oggigiorno ridurre a due: a) gli imprendi-tori; b) i professionisti, o lavoratori della conoscenza.Altre forze pur rispettabili e degne di essere conside-rate dal punto di vista di una politica di welfare, sonomesse fuori gioco, quanto a possibilità di direzione,dai meccanismi della società odierna perché non pos-siedono la capacità di gestire, controllare e incremen-tare, in un modo o nell’altro, il fattore cognitivo.

Qual è stata finora la posizione della cultura ita-liana nei confronti della “società della cono-scenza”? Essa è arrivata in ritardo al concetto

e ancor più alle sue applicazioni concrete. Le primeindicazioni divulgative sui contenuti della nuovasocietà risalgono alla metà degli anni ’80 (L’avventopost-industriale a cura di Domenico De Masi - operache esponeva i punti di vista di autori come J.Galbraith, D. Bell, A. Toffler, A. Touraine, ecc., i cuicontributi sull’argomento risalivano alla fine deglianni ’60, inizio anni ’70). In Italia, il rilievo econo-mico del fattore scientifico è stato compreso tardi efaticosamente, mentre a livello strutturale risulta con-servato, da politici e imprenditori, un modello tradi-zionale fondato su due sole forze (imprenditori elavoratori dipendenti) al quale viene fatta risalire ladialettica della produzione industriale, trascurandoquasi completamente le forze intermedie, sempre piùcoincidenti col mondo dei professionisti. La nozionedi new economy si è diffusa da circa un anno nel-* Notiziario Enpap 3 - dicembre 2000 / gennaio 2001

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l’ambito italiano, attraverso una forte accentuazionedegli aspetti Internet e telecomunicazioni, omettendoin generale di porre in luce l’impatto degli altri campidisciplinari (biotecnologie, prodotti transgenici, far-maceutica, genetica, astrofisica, medicina rigenerati-va, ingegneria spaziale e degli armamenti, ecc.) sullaproduzione attuale. Di conseguenza il rapporto tranew economy e professioni va considerato, per quan-to riguarda l’Italia, tenendo conto di questo gap: è unrapporto dove si nota una “ribellione” purtroppo solorecente delle forze professionali rispetto all’emargi-nazione in cui sono state tenute a causa dell’artificio-sa immanenza d’una struttura duale che ricalca il vec-chio schema “industriale”. Perciò, nella società italia-na si presentano esigenze - derivanti dalla relazioneconoscenza - società che si affacciano, forse conmaggiore forza che in altri contesti; dalle quali dipen-de il modo in cui la società italiana sarà in grado difronteggiare le richieste di un’economia diversa dalla“vecchia” economia.

Considererò brevemente tre ordini di fenomeniche mi sembrano oggigiorno ineludibili, nelclima di new economy venuto a formarsi. In

una progressione che rispecchia le sinergie che pos-sono darsi tra essi. 1) Anzitutto è diventata enormemente importantela “ricerca scientifica”. Il primato della ricerca trai fattori costitutivi della new economy è comprovatoda un fatto storico preciso: il confronto tra le mag-giori potenze economiche (in concreto il capitalismoamericano e il capitalismo asiatico) viene vinto neglianni ’90 dal sistema USA, che riesce a prevalere sulsuo antagonista asiatico (che in precedenza avevariscosso grandi successi) puntando non solo sullarete e sulle telecomunicazioni, ma sulle biotecnolo-gie, sulla genetica, sulla creazione di esseri modifi-cati geneticamente, sulla manipolazione del DNA,sui vettori spaziali, sui nuovi farmaci, su sistemiinnovativi di armamento, sulla creazione di nuovespecialità nell’ingegneria, ecc.. Lo scarto conosciti-vo diviene, in quel decennio, un elemento determi-nante per la “vittoria” dell’economia USA rispettoalle economie dell’Asia orientale. Esso si fonda suun’alta “valorizzazione dei cervelli”, che induce asua volta l’incremento dell’occupazione e la riaffer-mazione del prestigio politico degli USA. Proprionegli anni immediatamente successivi al crollo delsistema sovietico, gli USA abbracciano esplicita-mente il principio che la vera sfida economica con-siste nel possesso di conoscenze più avanzate diquelle che risultano a disposizione dei concorrenti, eche tale sfida trae la propria linfa dalla “ricerca”, allaquale pertanto assegnano un ruolo primario. Laricerca assume dunque il carattere di “strategia eco-nomica” fondamentale, una strategia che implica ladestinazione di fondi adeguati e la chiamata dei cer-velli migliori a lavorare sui progetti.

L’Europa è costretta a prendere atto del suc-cesso competitivo USA e cerca non senzapreoccupazione di colmare lo svantaggio che

la separa dalla potenza che ha compreso più lucida-mente l’importanza del fattore cognitivo nei processidi produzione. Lo sforzo di ricupero dell’Europa èsotto i nostri occhi: uno sforzo pesante e doloroso,dato l’alto costo che questa operazione comporteràper le economie europee. Fenomeni come la limita-tezza dei “fondi destinati alla ricerca” e la “fuga deicervelli” (verso gli Stati Uniti) sono il riflesso inevi-tabile dell’aver troppo a lungo ignorato l’economiadella conoscenza. L’Inghilterra, attraverso il premierTony Blair e il cancelliere dello scacchiere GordonBrown si pone ora l’obiettivo di reggere la gara congli USA e di diventare “leader mondiale in ricerca esviluppo”; essa ipotizza di tornare in favore dellaricerca una parte dei fondi destinati al welfare. Lacorsa ai brevetti sembra trovare nelle Università diOxford e di Cambridge degli epicentri significativi;Cambridge viene indicato come la Silicon Valleyeuropea e produce a ritmo serrato alta tecnologia perl’industria. Lo scopo strategico dell’Inghilterra edegli Stati Uniti di fare della ricerca il vettore compe-titivo più importante, è reso manifesto, nell’estate del2000, dalla decisione di Blair e di Clinton di autoriz-zare la clonazione per scopo di sperimentazione (nonper riproduzione) al fine dichiarato di combatteremalattie come il morbo di Parkinson, l’Alzheimer, ildiabete, ecc.. È una decisione che per così dire con-valida un cammino già intrapreso, invadendo i settorisoprarichiamati, che vanno molto al di là di internet edelle telecomunicazioni. La fuga dei cervelli viene acostituire, d’altra parte, un aspetto rilevante del feno-meno generale dell’immigrazione dai paesi poveriverso quelli ricchi: un paese come l’India esporta tec-nici e ricercatori che vengono accolti come elementipreziosi da paesi che si definiscono “avanzati”. È ine-vitabile domandarsi quale sia stato e sia tuttora l’at-teggiamento dell’Italia in questo campo.

Di fronte a una sfida così precisa, l’Italia èrimasta finora sostanzialmente estranea: essacontinua a seguire logiche di tipo keynesiano,

centrate sull’azione economica dello Stato, le qualinon possono corrispondere alle esigenze di un tempoche ha già fatto della conoscenza scientifica il piùimportante mezzo di produzione. Risorse che “dove-vano” essere destinate alla ricerca sono state impie-gate per scopi diversi, e poche indicazioni vi sonoche si intenda concentrare attenzione e mezzi econo-mici su questo campo decisivo. Le professioni hannopagato un prezzo molto alto a causa di siffatta politi-ca, il cui fondamento sta in ideologie poco sensibilialla realtà economica che ha caratterizzato gli ultimidue decenni del XX secolo. I ricercatori sono “pro-fessionisti”, e professionisti sono gli uomini che pre-parano il terreno per la ricerca, come gli insegnanti e

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i formatori. È logico perciò che i professionisti ingenerale vedano oggi nella immediata ripresa dellaricerca, e nel miglioramento dell’insegnamento edella formazione, una strada importante perché tutti iceti professionali abbiano, in Italia, il posto che meri-tano. Il loro movimento chiede la rivalutazione dellavoro professionale, e la ricerca è senza dubbio unosnodo centrale di tale rivalutazione. 2) Una domanda fondamentale va posta a propositodegli “attori” del processo produttivo, nella fase neweconomy. Quali sono i soggetti storici su cui grava ilmaggior carico di responsabilità derivante da questotipo di produzione? Se si leggono i giornali, econo-mici e non, se si ascoltano i politici sempre carichidi preoccupazioni elettoralistiche, ci si rende contoche i personaggi su cui cade l’accento sono quasisempre gli “imprenditori”. Sarebbe assurdo negarel’importanza odierna del ruolo imprenditoriale, per-ché l’impresa è certamente l’istituzione che ha trat-to il maggior vantaggio dalla caduta dei sistemi col-lettivisti e più in generale dalla vittoria, delineatasichiaramente negli anni ‘80, dell’economia sullapolitica. Ma è altrettanto ovvio che l’impresa nonpotrebbe oggigiorno fare granché se non fosse aiuta-ta passo passo da un’altra istituzione, che le forniscele conoscenze necessarie per poter competere, lascienza, a sua volta integrata da numerose tecniche.Nel libro Cosa ci ha veramente detto il XX secolo?ho indicato l’inevitabilità di questa diade interagen-te (impresa – scienza) nei processi produttivi nel-l’ultima parte del ’900, e altresì le potenzialità con-flittuali che esistono tra i membri della diade. In par-ticolare ho sostenuto che il periodo post-industrialecostituisce una fase storica di relativo equilibriotra impresa e scienza, ciascuna delle quali ha biso-gno dell’altra, e lo sa. Non è così sul piano dei sog-getti umani più rilevanti, perché gli imprenditoridanno in genere per scontato di essere i soli prota-gonisti essenziali dei cicli produttivi; negando per-ciò rilievo alle persone che creano e applicano nellavita pratica le conoscenze scientifico-tecnologiche,ossia ai lavoratori della conoscenza. Simile atteggia-mento è comune in Italia, dove si parla molto delleimprese e delle esigenze di queste, ma si frena ildiscorso non appena l’argomento arriva ai soggettiche mettono nelle mani degli imprenditori gli ele-menti conoscitivi indispensabili per caricare di valo-re i prodotti, rendendoli capaci di confrontarsi conaltri prodotti. È un silenzio grave e preoccupante,interrotto solo da ipotesi operative come venturecapital, business angels, “finanziatori informali”,ossia da quelle (da noi rare) combinazioni di ideenuove (espresse da inventori e tecnici) e capacitàimprenditoriali di trasformarle in prodotti, alle qualiCarlo De Benedetti si riferisce nel suo libroL’avventura della nuova economia, dando peraltroatto che si tratta di opportunità esistenti in Americae assai poco in Italia.

Questa mancanza di considerazione per le per-sone che producono conoscenza comporta unproblema molto preciso che assilla la new

economy italiana : ammettere che i protagonisti delprocesso economico sono in realtà due, imprendito-ri e lavoratori della conoscenza, e che ogni reduc-tio ad unum è arbitraria. Il problema della presenzasimultanea dei due tipi di operatori va oggi risolto alivello “istituzionale”: non basta più un riconosci-mento generico dell’importanza dell’apparato scien-tifico-tecnico a livello di produzione. Scendere alconcreto su questo terreno costa molto all’imprendi-tore perché significa accettare quell’altro protagoni-sta rilevante che è il professionista. Di qui la neces-sità di risolvere simile problema a livello di istituzio-ni: in altre parole le professioni devono essere pre-senti, accanto agli imprenditori, negli snodi decisio-nali dove si fanno le grandi scelte economiche. Peresempio nelle università, nella creazione di “scuolesuperiori extrauniversitarie”, di “centri di ricerca”, di“progetti di sviluppo territoriale, disciplinare”, ecc.;e ancora, cosa importante, nello stabilire criteri diretribuzione adeguata per il lavoro intellettualeattualmente poco appetibile perché mal pagato. Suquesto piano il fine deve essere quello di far marcia-re in parallelo economia e conoscenza, in modo chei diritti di coloro che si dedicano a quest’ultimocampo non siano strumentalizzati dall’economia; dicreare delle sinergie anziché dei conflitti.

Un valido rapporto tra professionisti e impren-ditori ha poi molto a vedere con la cosiddetta“terza via”, tra collettivismo e liberismo

puro. Sostengo che una interazione sinergica tra pro-fessionisti e imprenditori possa dar luogo a unasocietà più articolata e avanzata rispetto a quella chederiverebbe dal predominio incontrastato degliimprenditori. La tematica della terza via non è sentitaa fondo in Italia; si può dire anzi che, esplosa nel1999, sia già declinata nel 2000. È tuttavia importan-te capire che essa può condurre a un liberismo cheapprezzi l’importanza di certe fondamentali esigenzedi giustizia, della necessità di non sacrificare tutto allaspeculazione economica, ecc.. L’autore che si è occu-pato di questa tematica con intenzione fondante èl’inglese Anthony Giddens, consigliere di Tony Blair,nel volume che ha appunto il titolo The third way. Therenewal of social democracy. Nel mio Cosa ci haveramente detto il XX secolo? sostengo che sarà bendifficile contrastare l’avvento di un liberismo estre-mistico sulla base delle concezioni ideologiche diGiddens, se non si darà il peso dovuto ai valori diservizio che appartengono alla tradizione culturaledei professionisti. In altre parole solo l’attestazionesociale di tali valori e l’azione politica dei gruppi pro-fessionali può modificare un assetto che si sta sbilan-ciando a favore dell’arricchimento a qualunque costo,della speculazione a oltranza, ecc. Occorre riflettere

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sulle potenzialità sociali del principio di “servizio”che è alla base di tutte le professioni: è un principioche non limita la libertà dell’impresa, ma garantiscealla società un più altro grado di sviluppo civile,rispetto a quello che l’impresa da sola può assicurare.Perciò ritengo che l’apparizione della new economyrappresenti un’eccellente occasione per introdurreapertamente simile tematica, ossia la necessità di unpolo professio-nale nelle società avanzate. In assenzad’un bilanciamento di forze c’è il rischio, sottolinea-to da J. Rifkin (anche in The Biotech Century, 1998)che le grandi imprese siano onnipotenti. Le forze pro-fessionali sono le sole che possono contrapporsi aglieccessi di libertà economica; appunto perché hannouna parte rilevante nel processo produttivo e possonocollegare a esso delle finalità sociali. Queste esigenzeconducono quasi naturalmente al punto che segue,riguardante l’organizzazione delle professioni comegruppi sociali nel contesto della new economy. 3) Esiste, in Italia, una coincidenza cronologica tra ilperiodo in cui si comincia a parlare di new economye il tempo nel quale il movimento unionistico delleprofessioni sente il bisogno di avere un sostegno eco-nomico analogo a quello di cui godono altre forzesociali; in un’epoca in cui ogni forza influente ha allespalle strutture finanziarie adeguate ed è divenutodifficile tenere in piedi qualunque movimento (o par-tito) se non si dispone di mezzi economici sufficien-ti. Un fatto preciso determina, per quanto riguardal’Italia, il profilarsi di questa possibilità: la liberaliz-zazione delle Casse di previdenza e assistenza delleprofessioni, riconosciuta con una legge del 1994. Èun avvenimento di cui non molti osservatori hannosottolineato l’importanza: esso significa che gli entidi previdenza e assistenza costituiti dalle professionipossono scrollarsi di dosso il pesante limite del con-trollo pubblico, che impediva a questi enti di operarenel mercato, e pertanto di dare alle rispettive profes-sioni capacità di azione economica.

Aquesto fattore ha fatto seguito la creazioned’un coordinamento strategico tra le Casse,sotto forma di Associazione tra le medesime,

denominata AdEPP: a significare che era stata chiara-mente individuata la possibilità di creare un “polo pre-videnziale privato”, alternativo a quello pubblico(INPS) in grado di diventare, attraverso la progressivaassociazione di nuovi membri (nuove forme profes-sionali in grado di costituire una cassa), un ente finan-ziario in grado di appoggiare le forze intellettuali.Questo polo può agire in sintonia con i caratteri dellanew economy dato che - a differenza del polo pubbli-co – fa proprie le regole e la logica del mercato, erispecchia in pieno lo sviluppo delle capacità cogniti-ve che sono alla base della società della conoscenza. Ilclima che si è formato con la new economy ha confe-rito dunque al contesto italiano un elemento innovati-vo di vaste potenzialità, a livello di un comparto che le

politiche dei governi hanno quasi ignorato. Ciò èavvenuto in un Paese in cui l’umiliazione inflitta alleattività professionali rendeva legittima una reazione diqueste ultime, volta ad affermare i valori sociali edeconomici che esse incorporavano. Si è così realizza-ta sotto gli occhi distratti di politici ed economisti unanon secondaria contrapposizione al sistema keyne-siano, tuttora accettato nel sistema italiano: una strut-tura previdenziale svincolata dallo Stato, affidata allaresponsabilità di gruppi professionali che dallo Statonon vogliono dipendere. La nascita di questo polo pre-videnziale rappresenta dunque, per l’Italia, un’antici-pazione molto significativa del distacco dal keynesi-smo, forse più importante delle privatizzazioni che siè riusciti a portate avanti: esso incide sulla previdenza,un’istituzione che può avere un’estrinsecazione di tipofinanziario attraverso i fondi pensione.

Se le professioni italiane sapranno gestire le pro-prie strutture previdenziali mantenendole sem-pre in attivo, si sarà creata un’alternativa al wel-

fare gestito dallo stato che potrà avere effetti positivianche sulla finanza italiana. Perciò molti occhi sonooggi puntati sulle Casse dei professionisti; e non sem-pre occhi benevoli. Se è vero che un dissesto delleCasse sarebbe gradito a molti, è anche vero che unloro successo costituirebbe un duro colpo per lo spi-rito Stato-centrico che caratterizza molti membridella burocrazia, della politica e della finanza. Perciòbisogna sostenere le Casse nel loro sforzo, che assu-me oggi il significato di un’apertura al modello libe-ristico per una finalità di welfare. Se la nascita di unpolo previdenziale privato non è impossibile, lo sideve anche al fatto che le professioni hanno avviatoun processo unionistico volto a costituire una vera epropria forza sociale. Ora, ci si deve augurare chequesto movimento unionistico capisca l’importanzadell’appoggio economico virtualmente offerto dalleCasse e non ne trascuri le potenzialità. Si tratta, inultima analisi, di costruire un’ipotesi di unionismoche contenga in sé sia l’elemento economico sia l’e-lemento sindacale: una rappresentanza degli interessidei professionisti che non dimentichi quanto la neweconomy rende evidente, e cioè che ogni movimentoper progredire deve poter disporre di mezzi finanzia-ri idonei a sostenerne le strategie. Deriva da ciò lostretto legame che si nota tra entità produttive, entiterritoriali, fondazioni culturali, associazioni sporti-ve, strutture radio televisive, ecc. con questa o quellafonte finanziaria: sarebbe strano che siffatto abbina-mento venisse trascurato dai professionisti propriomentre viene universalmente valorizzato. Una previ-sione ragionevole suggerisce che le professionicoglieranno l’occasione che viene offerta dalleCasse, e ne faranno un uso intelligente per difenderele attività intellettuali che, come ha già detto, sonoparti integranti e propulsive di una società che devealla conoscenza gran parte dei suoi successi.

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In queste pagine iniziali, desidero poi evidenziareun altro tema, apparentemente poco vicino allatematica previdenziale in senso stretto, di cui

però va segnalata l’assoluta importanza. Mi riferisco agli spazi della professione e al merca-to del lavoro a essi collegato.In varie occasioni è capitato di segnalare il dato,preoccupante, del reddito medio dei colleghi che sisitua poco oltre i 15.000 euro all’anno e il fatto chedetto valore, nel corso degli ultimi anni, non ha subi-to incrementi significativi. Ciò potrebbe rappresenta-re il segnale di una grave stagnazione se non fosse chequesto dato deve essere rapportato con il marcatoaumento dei colleghi che avviano la professione(incremento medio annuo tra 8 e 10%). Ciò significache, sia pure tra molte difficoltà, la richiesta di psico-logia nel nostro Paese è in continua crescita, anche senon si traduce in un miglioramento delle condizionidi vita dei colleghi dal momento che a tale incremen-to della domanda di professione, corrisponde unparallelo aumento del numero di giovani colleghi.La soluzione di questo grave problema va conside-rata sotto una duplice prospettiva: in primo luogoaffrontando in termini chiari il tema della formazio-ne, troppo spesso lasciata priva di qualsiasi pro-grammazione e priva di relazione con il mercato dellavoro; ma va anche pensata ponendosi l’obiettivodel consolidamento e dell’ampliamento degli spazi edelle competenze della nostra professione.Qualche settimana fa il Consiglio di Stato ha stabili-to in modo chiaro e (auspichiamo questa volta) defi-nitivo, che la psicologia clinica rientra a tutti gli effet-ti nell’ambito e nelle competenze dello psicologo.Viene così posto fine a un contenzioso durato anni ealimentato dalle ambiguità di certi settoridell’Università e dell’Ordine dei medici che intende-vano porre questo settore della nostra professioneall’interno delle competenze mediche, con argomen-tazioni anacronistiche e prive di fondamenti scienti-fici. Penso che questa pronuncia permetterà di con-solidare la nostra presenza in vari settori, nella sanitàinnanzitutto, ma anche in tutte quelle aree in cui l’at-tività clinica assume un ruolo fondamentale, dai ser-vizi sociali all’ambito dell’intervento scolastico, percitarne alcuni, a patto, però, di essere in grado, comeprofessione, di dispiegare tutte le nostre competenze.

Ma oltre ai settori più tradizionali in cui lanostra presenza professionale va consoli-data, ne esistono altri, innovativi, che meri-

tano una grande attenzione.

Nel campo dell’economia, in particolare, si stamanifestando una grande attenzione per lo studio deiprocessi psicologici che, in campo economico, pre-siedono ai comportamenti del singolo uomo e delleaggregazioni sociali.Dopo gli studi degli anni cinquanta, che sottolinea-rono in particolare l’importanza del marketing edella comunicazione in campo aziendale, assistiamooggi a una grande curiosità nei confronti delle anali-si che pongono in relazione meccanismi psicologicie andamento dei mercati finanziari.Sulla scia del premio Nobel assegnato per l’econo-mia nel 2002 allo psicologo Daniel Kahneman, èpiuttosto frequente sentire, nell’ambito di congressie convegni di tema finanziario, relazioni che sioccupano della cosiddetta Finanza comportamenta-le. In altri termini, avendo ormai appurato che i sem-plici studi quantitativi, basati su valutazioni statisti-co matematiche, non sono in grado di spiegare l’an-damento dei mercati finanziari e, tanto meno, di riu-scire a prevederne l’evoluzione, si inseriscono ele-menti volti a fornire possibili chiavi interpretative.Il tutto appare però impostato in modo meccanicisti-co, privo cioè di quelle competenze che permettanodi contestualizzare l’argomento in un orizzonte piùampio e di trasformare una serie di dati in spunti peruna effettiva ricerca che abbia come scopo, non tantoil tranquillizzare i clienti e vendere meglio i prodot-ti, quanto piuttosto di ridurre i rischi di speculazionie rendere il mercato più efficiente. Sarebbe impor-tante quindi riappropriarsi di questo settore, attual-mente occupato in gran parte da altri, trasformando-ne anche la denominazione da Finanza comporta-mentale a Psicologia applicata ai mercati finanziari.Gli effetti potrebbero essere rilevanti, ad esempio, neldare maggiore stabilità ai mercati e riducendo quindiquelle forti oscillazioni che aumentano i costi dellafinanza, danneggiano l’economia e spesso favorisco-no in larga misura gli speculatori. Non vorremmoapparire troppo ingenui prefigurando soluzioni mira-colistiche, ma i mercati finanziari hanno mostrato inquesti anni un’inaspettata capacità di adattamento allerichieste che pervenivano dalla società civile in tema,ad esempio, di investimenti realizzati in una logicasocialmente responsabile oppure di sensibilità allaquestione ambientale. Se sapremo, quindi, mettere incampo interventi competenti a livello di ricerca e dipratica professionale, potrebbero aprirsi per la profes-sione occasioni importanti che peraltro ribadirebbero,una volta di più, il ruolo e il mandato sociale dellopsicologo come agente di cambiamento e migliora-mento delle condizioni di vita delle persone.

Al via l’assistenza e non solo

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* Editoriale di Demetrio Houlis del 2007 (estratto)

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La conclusione anticipata della legislatura hainterrotto un proficuo lavoro di analisi, realiz-zato dall’AdEPP con il Ministero del lavoro,

volto a focalizzare i punti di maggiore criticità del-l’apparato normativo degli enti previdenziali privatidopo oltre dieci anni di attività e individuare le lineedi un necessario intervento riformatore. Lo sforzo realizzato non deve essere vanificato eriteniamo che gli elementi di convergenza indivi-duati, e riproposti in un apposito documento predi-sposto dal Ministero del lavoro, possano rappresen-tare un utile punto di riferimento anche per il nuovoesecutivo.Vorremmo solo citarne alcuni, per noi particolar-mente significativi, a titolo di esempio: interventiper garantire una adeguatezza delle prestazioni;impostazioni dei bilanci su basi pluriennali, in parti-colare per quanto attiene la valutazione dei rendi-menti del patrimonio, per ottimizzare i profili dirischio rendimento degli investimenti; riduzione delnumero dei componenti il Consiglio di indirizzogenerale per rendere più efficiente questo Organostatutario e per ridurre i costi.Ad essi ne vanno naturalmente aggiunti altri, ormaitradizionali, quali quelli relativi a una sperequatafiscalità a carico degli enti e all’obbligo di rivaluta-zione annuale dei montanti contributivi riferito a unparametro (la media mobile quinquennale del PILnominale italiano) che, nell’esperienza degli ultimianni, non solo nessun operatore finanziario è stato ingrado di assicurare, ma nemmeno lo Stato, attraver-so i titoli del debito pubblico, ha garantito ai sotto-scrittori del mercato.Su questi temi, alcuni dei quali non hanno costi perlo Stato, attendiamo l’azione del nuovo Governo chedovrà necessariamente essere tempestiva dalmomento che la gravità della situazione è sotto gliocchi di tutti e le linee d’intervento sono state, per lagran parte, individuate.

Vogliamo, infine, commentare il quadro eco-nomico-finanziario di questi ultimi mesi chemolte preoccupazioni sta determinando in

ognuno di noi.

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Il nostro portafoglio, in questo contesto, nel corsodel 2007 nel complesso ha retto, nonostante le evi-denti perdite che i mercati mondiali hanno registra-to, a testimonianza di una strategia d’investimentoche, pur necessitando di costanti verifiche sul pianotattico, dimostra la propria validità.

Su questi temi all’interno del Notiziario è riportatoun articolo che spiega le origini e le prospettive dellacrisi attuale. Dalla scorsa estate i mercati mondiali stanno regi-strando grande instabilità e, in particolare il mercatoazionario, forti perdite. La crisi finanziaria, determi-nata da una finanza troppo “creativa” e dalla specu-lazione, ha provocato un effetto domino che ha coin-volto molte istituzioni bancarie di primario livello lequali, in questi mesi, hanno cercato di ripianare lepesanti perdite subite.Su questo piano il peggio, a detta dei maggiori ana-listi di mercato, sembrerebbe passato ma ciò che orapreoccupa sono le ricadute sul piano economico,vale a dire le difficoltà degli individui e delle impre-se a far fronte all’aumento dei costi e, inoltre, la gra-vissima crisi di fiducia che si à instaurata.I cittadini temono per il loro futuro, percepisconoridimensionato il proprio potere d’acquisto e, quin-di, non sono in grado di realizzare investimenti chesono il motore dello sviluppo economico.Si è pertanto instaurato un circolo vizioso, più voltedescritto dalla Psicologia applicata ai processi eco-nomici, che, come molti sostengono, potrà essererisolto oltre che da precisi interventi di carattere eco-nomico-finanziario, anche da azioni che servano aridare fiducia ai cittadini.Nello scorso numero del Notiziario evidenziavamol’importanza di questo settore della nostra professio-ne, troppo spesso utilizzata in modo empirico daaltri e troppo poco conosciuta da noi. Uno sforzoandrebbe fatto in questa direzione sia per dare nuoveopportunità alla nostra comunità professionale, siaper offrire soluzioni più articolate a situazioni cheprovocano gravi allarmi e determinano pesantiripercussioni che ricadono, in primo luogo, suglistrati più deboli della popolazione.Una gestione più efficiente, razionale e stabile deimercati che lasci meno spazio alla speculazione, èun obiettivo raggiungile a cui anche noi, con lenostre competenze, possiamo iniziare a dare un con-tributo non secondario. * Editoriale di Demetrio Houlis del 2008 (estratto)

Operativa l’assistenzaa favore dei colleghi

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In questi mesi abbiamo incontrato molti colleghiin varie parti d’Italia e, dopo aver descritto lasituazione attuale del sistema previdenziale del

nostro Paese con tutte le sue criticità, una domandache spesso ci siamo sentiti rivolgere è stata laseguente: “…posto che c’è un gravissimo problemagenerale di scarsa sostenibilità sociale del sistemadi calcolo contributivo delle prestazioni, che cosa fal’Enpap per i colleghi?”.In effetti, questo è un tema centrale che merita unarisposta approfondita, anche perché intorno ad esso,negli anni, si è sviluppata la nostra riflessione e si ècostruita la conseguente azione, sia in termini diproposta che di concreta operatività. Intendo dire che il problema ce lo siamo posti inmodo serio e che, con il nostro agire, non ci siamolimitati alla semplice e fatalistica gestione dell’esi-stente, ma abbiamo cercato in primo luogo di capirequale fosse la situazione per poi definire una possi-bile strategia.

Seguendo questo indirizzo, abbiamo innanzituttofocalizzato il problema, per primi tra gli enti diprevidenza privati e pubblici, di un sistema pre-

videnziale che, costruito con la Riforma del 1995 peravere i conti in regola, si è rivelato non in grado ditutelare adeguatamente gli anziani e tale da creare, ameno di interventi correttivi, ampie sacche di povertà.Abbiamo poi diffuso i nostri dati e le nostre rifles-sioni tra gli addetti ai lavori e tra una più ampia pla-tea, contribuendo al diffondersi di una coscienzache, da un paio di anni, è diventata patrimonio pres-soché comune.Abbiamo anche iniziato a sviluppare prime ipotesid’intervento, perlopiù orientate al rafforzamento deglielementi di solidarietà del sistema e, specularmene,finalizzate a ridurre l’impatto di una logica di capita-lizzazione. Che, peraltro, in questi ultimi tempi si starivelando anche portatrice di non trascurabili rischi.Sono, queste ultime, ipotesi tutte interessanti chemeriterebbero un approfondimento, non solo sulpiano teorico ma anche su quello di valutazione dellecompatibilità fra esigenze economiche, di finanzadello Stato e di scelte di politica sociale, dal momen-to che una riforma del sistema di previdenza di basenon può certo limitarsi ad alcuni comparti, quale è ilnostro, ma deve essere di carattere generale.

In questo senso, siamo consapevoli di rappresenta-re una realtà molto piccola nel panorama dellaprevidenza italiana, i cui scenari sono costruiti

dalle logiche politiche di rapporto tra Governo e forzesociali che mettono in secondo piano un approcciopiù prettamente razionale e di programmazione. Rileviamo infatti, che l’argomento delle Pensioni, sinoa pochi mesi fa sulle prime pagine dei giornali, ora èin pratica scomparso, quasi fosse stato derubricato.Ci chiediamo, a questo proposito, se Governo eorganizzazioni dei lavoratori reputino che la criticitàdel sistema sia stata risolta semplicemente eliminan-do il c.d. “scalone” e se pensino che, per porre nuo-vamente mano al problema, si debba attendere l’e-splosione di una nuova crisi.Nonostante le nostre ripetute sollecitazioni, espressein particolare attraverso l’AdEPP, non abbiamo rice-vuto un tangibile segnale di volontà di ripresa di dia-logo su argomenti urgenti e scottanti che, nell’aprilescorso, erano stati sintetizzati nel Memorandumsiglato tra Ministero del lavoro ed enti previdenzialiprivati in chiusura della passata legislatura.Da anni, ormai, ripetiamo che il rimandare questiproblemi complica la loro risoluzione dal momentoche, inevitabilmente, con il passare del tempo tende-ranno anche a diminuire le risorse e gli spazi dinegoziazione cui fare ricorso.

La denuncia dei problemi o la testimonianza,ancorché importanti, non sono tuttavia, comeben sappiamo, risolutive e quindi abbiamo

ragionato sulle azioni che avremmo potuto realizza-re per poter comunque costruire un sistema di tuteladei colleghi nei momenti di difficoltà. Da qui si èsviluppata l’idea di creare un sistema integrato ditutela previdenziale e assistenziale tanto più neces-sario quanto più lo strumento pensione appare, inparticolare per noi, inadeguato a fornire anche le piùimmediate garanzie di base.La scelta che quindi abbiamo fatto è stata quella distrutturare un sistema di interventi assistenziali che,integrandosi con la previdenza, fossero finalizzati acoprire le condizioni di più grave ed evidente neces-sità dei colleghi.Tale iniziativa, dopo l’avvio nell’aprile scorsodell’Assistenza Sanitaria Integrativa per i grandiinterventi chirurgici e per i gravi eventi morbosi,giunge alla sua completa realizzazione con la diffu-sione, attraverso le pagine di questo Notiziario e di

Che cosa fa l’Enpap per i colleghiL’assistenza come strumento per integrare la previdenza

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* Editoriale di Demetrio Houlis del 2008

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quelle del sito dell’Ente, dei Bandi che consentonoai colleghi in particolari difficoltà di presentare ledomande per poterne usufruire.

Due i settori nei quali si è voluto intervenire.La Maggiorazione al minimo per colleghi invalidio per i superstiti dei colleghi, integrata con Borse distudio per i figli di quegli stessi professionisti e conContributi per spese funerarie, rappresenta uninsieme di provvidenze volte a sanare, perlomenoparzialmente, una delle gravi carenze del sistemacontributivo che, di per sé, non tutela queste parti-colari situazioni dal momento che impone, anche inquesti casi, il pagamento di pensioni che se non fos-sero vergognose sarebbero ridicole.L’Indennità di malattia per prolungata inabilitàlavorativa, unita al Contributo per anziani nonautosufficienti, all’Indennità per infortunio,all’Assistenza Sanitaria Integrativa e alContributo per calamità naturali, rappresentanoinvece un insieme di interventi finalizzati a tutelarei colleghi in quei momenti di grave difficoltà che,purtroppo, nella vita possono capitare.È importante sottolineare che tali interventi hannouna logica squisitamente solidaristica e, pertanto,vengono erogati innanzitutto a chi ne ha maggior-mente bisogno. In tal senso, l’attenzione si rivolgeprioritariamente a chi esercita in modo esclusivo lalibera professione e non dispone quindi, a differenzadi chi svolge anche un lavoro dipendente, di altrisupporti assistenziali.

Aparte le tematiche di natura più strettamenteprevidenziale, questo è un periodo nel quale lanostra attenzione si rivolge, preoccupata, alla

situazione economica e finanziaria non solo delnostro Paese ma del mondo intero. Da più di un annoi mercati finanziari stanno registrando perdite pesantiche, in questo ultimo periodo, sembrano quasi incon-trollabili. La finanza creativa, completamente sgan-ciata dalla dinamica economica e alimentata dall’illu-sione di facili guadagni, ha creato un enorme edificioche sta rovinosamente crollando, provocando danni econseguenze che vanno ben aldilà dei soggetti che lihanno direttamente determinati. Si è innescata unareazione a catena alimentata da una totale sfiducia nelsistema finanziario, che ha portato le azioni di pursolide aziende a perdere, nel giro di pochi giorni,anche il 50% del proprio valore. Reazioni molto spes-so emotive su cui, come psicologi, molto potremmodire per evitare, come sottolineavamo nei precedentinumeri di questo Notiziario, che i mercati siano cosìpesantemente condizionati da speculazione e paura,due fattori le cui vittime sono prevalentemente i citta-dini qualsiasi e, in particolare, i soggetti più deboli.Certamente l’attuale situazione ha messo in mostra

tutti i limiti di un sistema, celebrato per decenni, basa-to su un mercato con poche regole. Quando poi anchequeste poche regole si sono mostrate poco efficaci, lacrisi profonda è parsa inevitabile. Un esempio fra tuttiè quello del mito che si era creato intorno alle c.d.società di rating che hanno il compito di accertare ilgrado di affidabilità delle aziende presenti sul mercato.Ebbene, la banca Lehman Brothers nel momento del-l’avvio delle procedure fallimentari aveva un rating diA- (che è tra i più elevati), del tutto simile a quellodello Stato italiano e di diversi altri Stati europei. La speranza è che i danni sull’economia reale, in ter-mini di capacità produttiva delle imprese e di livellodi vita dei cittadini, siano contenuti e temporanei eche il necessario intervento dei Governi di tutto ilmodo non si limiti a salvare il sistema bancario mastabilisca nuove regole. Con un obiettivo: ancorarele attività finanziaria allo sviluppo economico e con-trollare e limitare la speculazione che in questi tempiha mostrato tutta la sua capacità distruttiva.

In tutto questo, l’Enpap come sta? Questa è ladomanda che continuamente ci sentiamo rivol-gere. Indubbiamente, l’Ente sta soffrendo come

qualsiasi investitore istituzionale o privato anche inrelazione alla vicenda della banca Lehman Brothers dicui l’Ente detiene una quota ridotta di obbligazioni edi cui si riferisce a parte. Ma, a parte questo specificoaspetto, quel che più preoccupa è la mancanza di capa-cità degli Stati di disegnare politiche di ampio respiroche indichino una strada per la ripresa e non siano pre-valentemente il tentativo di arginare il fiume in piena. Nel corso dell’ultimo anno, tuttavia, cogliendo tem-pestivamente l’opportunità che si era creata con i tito-li di Stato - che per la prima volta in oltre un decen-nio avevano superato il nostro rendimento obiettivo-, abbiamo allocato circa il 60% del nostro patrimoniosu questo comparto che, sommato alle altre obbliga-zioni detenute dall’Ente, porta a due terzi la quota dipatrimonio stabilizzata. In tal modo, se da un lato sisono attenuati in modo sostanziale gli effetti dellavolatilità di questi ultimi mesi, dall’altro si è potutogarantire, per il prossimo triennio, per questa parte delpatrimonio, rendimenti significativamente superioriall’obiettivo della rivalutazione dei montanti. Quanto poi ai fondi azionari detenuti, in particolareper quelli riferiti ad aziende che operano in una logi-ca socialmente responsabile o intervengono in settoridi energie rinnovabili e di tutela ambientale, pensia-mo che saranno tra i primi a riprendere una tendenzadi crescita nel medio periodo, quando l’attuale con-giuntura negativa sarà superata. In altri termini, anchese questo vero e proprio uragano finanziario lasceràinevitabilmente dei segni, in particolare sul bilanciodi questo anno, non è in discussione la solidità com-plessiva del nostro Ente che anzi, ha posto le basi,attraverso scelte d’investimento oculate, per avviaregià dal prossimo anno una fase di recupero.

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La privatizzazione degli enti previdenziali deiprofessionisti ha messo in luce la centralitàdel sistema previdenziale nell’assetto delle

professioni. Rilevanti sono le indicazioni in ordineall’attuale strutturazione delle libere professioni inItalia e ai suoi principali punti di forza, quali sonoemerse dalla recente indagine effettuata dal CENSISsu incarico dell’AdEPP. Oltre alla capacità profes-sionale e al rapporto diretto con la clientela i profes-sionisti mostrano particolare attenzione alla nuovadomanda di qualità che esige elevati standard di effi-cienza, diversificazione dei servizi. Sul versanteprevidenziale emerge secondo il CENSIS, inmodo assolutamente significativo il fortissimolegame esistente tra professione e previdenza dicategoria, anche ai fini di una visione di tipo mul-tidisciplinare. In tal senso gli enti privati previden-ziali sono ritenuti un riferimento e un supporto per ilcorretto sviluppo e le sinergie tra le libere professio-ni e, in sostanza, una irrinunciabile modalità diespressione del complesso delle distinte realtà pro-fessionali. L’apertura e la colleganza nei confrontidei propri enti previdenziali sono ulteriormente con-fermate dalla disponibilità verso possibili ipotesi diinterventi strutturali di riequilibrio previdenziale edall’interesse nei riguardi di una previdenza com-plementare gestita direttamente dall’ente di previ-denza. Nella recente indagine CENSIS l’82,8%degli iscritti chiede un ulteriore rafforzamento del-l’autonomia degli enti di previdenza privati, datoche, di fatto, conferma l’adesione dei professionistiitaliani al modello di previdenza sulle categorie pro-fessionali e il loro sostegno in merito alle sceltecompiute dai singoli enti in seguito alla privatizza-zione. Ancora più significativo appare lo stesso datorelativo ai praticanti che raggiunge, addirittura, lapercentuale dell’86,5%.

In questo quadro propositivo è importante ilruolo dell’AdEPP. A seguito della privatizza-zione il concetto di autonomia degli enti privati

dei professionisti ha assunto particolare valoreanche in funzione dell’armonizzazione del sistematendente alla ricerca di nuove regole comuni. Inquesto contesto si inserisce con forza la presenzadell’AdEPP, associazione voluta dagli stessi enti

privati come necessario punto di riferimento, comestrumento di aggregazione e raccolta delle istanzedei professionisti. In particolare, se ciascuna Cassarappresenta l’interesse alla migliore tutela previ-denziale del professionista iscritto ed ha funzionianche di sviluppo economico della singola profes-sione, l’AdEPP svolge il ruolo di organismo rappre-sentativo degli interessi del complesso delle Casseprofessionali private nei loro rapporti con il“mondo esterno” e cioè con il mondo politico edistituzionale. E questa funzione è risultata determi-nante in occasione degli attacchi, anche recenti,all’autonomia degli enti, conquistata per effettodella privatizzazione. Va pure riconosciutoall’AdEPP un ruolo aggregante su temi altrettantoessenziali per la vita delle Associazioni eFondazioni e un ruolo di scambio di singole espe-rienze organizzative e gestionali tese allo sviluppodi importanti forme di sinergia. Attraversol’AdEPP, che rappresenta le singole realtà profes-sionali di categoria, gli enti possono effettivamenteoperare per la realizzazione di un modello normati-vo e gestionale omogeneo pur nel rispetto dellapeculiarità delle singole professioni. La funzione dirappresentatività si arricchisce di contenuti nuovi eancora più significativi laddove, nonostante che glienti privatizzati siano ancora costretti ad agireall’interno di una fitta ed esasperata rete di control-li pubblici, l’AdEPP è in grado di svolgere il ruolodi organismo che ne tutela l’autonomia. È questo, indefinitiva, il ruolo fondamentale dell’AdEPP, inquanto libera associazione fra pari e non superCassa che sta consentendo, e sempre più in futuroconsentirà, di realizzare analisi accurate sul sistemadegli enti di previdenza privati, di individuare lepossibili evoluzioni future e intervenire tempestiva-mente su eventuali elementi di crisi a livello nor-mativo e organizzativo. Per le forti sinergie tra pro-fessioni e previdenza e per la necessità di un frontecomune di difesa delle professioni e della previden-za appare necessario costituire una confederazionedelle professioni: quelle regolamentate rappresenta-no un milione e seicentomila iscritti, quelle nonregolamentate rappresentano un numero analogo etutte assieme, con collaboratori e dipendenti, costi-tuiscono una forza lavoro di sei milioni di persone,con la flessibilità che è propria del lavoro autono-mo. La confederazione dovrà raccogliere l’adesione

L’AdEPP: le sinergie tra le professionie la previdenza

Maurizio de Tilla (Presidente della Cassa forense e dell’AdEPP)*

* Notiziario Enpap 2 - novembre 2000

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di CUP, AdEPP, CONSILP, ALP, e professioni nonregolamentate.

Nel sondaggio CENSIS è, tra l’altro, emersoche nei prossimi tre anni ci sarà un sensibileincremento non solo dei professionisti, ma

dei posti di lavoro che matureranno negli studi pro-fessionali. L’indagine CENSIS ha evidenziato che iliberi professionisti dimostrano comunque di sapercogliere le opportunità offerte dal mercato del lavo-ro, specie nella gestione di modalità di lavoro flessi-bile e di riuscire in tal senso a imprimere una cresci-ta dell’occupazione. Negli ultimi treanni, infatti, il19,8% ha ampliato il numero dei dipendenti presso ipropri studi professionali e ben il 25,5% ha aumen-tato il numero dei collaboratori. Su questo versante,negli ultimi tre anni si osservano i progressi più mar-cati tra i liberi professionisti con una metà inferire ai35 anni e tra quelli del nord-est e del nord-ovest. Insintesi, l’indagine CENSIS rileva che le potenzialitàdella flessibilità del lavoro sono colte in misura mag-giore tra i liberi professionisti che si sono inseriti dapoco sul mercato, perché più di altri sono tenuti aconfrontarsi con le problematiche connesse ai costidi gestione e alla individuazione di una propria fettadi mercato. Le previsioni dei liberi professionisti peri prossimi tre anni offrono ulteriori conferme delletendenze delineate. In primo luogo, l’ingresso dinuovi addetti presso gli studi professionali dovrebbeavvenire ancora utilizzando principalmente forme dilavoro flessibile: il 26,9% degli iscritti liberi profes-sionisti ritiene di accrescere il numero dei propri col-laboratori. In secondo luogo, sono ancora i profes-sionisti più giovani a individuare maggiori marginidi sviluppo in termini di collaboratori da inserirenelle attività del proprio studio professionale.

L’incremento del lavoro nelle professionideriva anche dall’implementazione del ter-ziario (e le professioni sono nel terziario)

rafforzata dal cambiamento del sistema economico.La new economy non fa crescere il lavoro subordi-nato ma valorizza invece il lavoro intellettuale che èprevalentemente autonomo. Con l’acume che con-traddistingue ogni suo intervento Gian PaoloPrandstraller ha rilevato che “sarà ben difficile con-trastare l’avvento di un liberismo estremistico sullabase delle concezioni ideologiche di Giddens se nonsi darà il peso dovuto ai valori di servizio che appar-

tengono alla tradizione culturale dei professionisti”.Alle soglie del nuovo millennio il mondo si trovasull’orlo di una nuova rivoluzione industriale, que-sta volta, però, guidata dalla conoscenza, non dallamacchina a vapore. “La conoscenza è la nuova basedella ricchezza”: se una volta, infatti, si parlava dellapropria ricchezza elencando le proprietà e i benimateriali, in futuro si dovrà discutere del controllosulla conoscenza. Ci troviamo nel mezzo della tra-sformazione dell’economia: le scoperte di microe-lettronica e di biotecnologia, le telecomunicazioni ei computer stanno cambiando il processo di creazio-ne della ricchezza (e con essa le professioni). Seinuove tecnologie – la microelettronica, l’informati-ca, le telecomunicazioni, i nuovi materiali artificia-li, la robotica e la biotecnologia – fra loro combina-te – stanno dando vita a un mondo economico nuovoe diverso dal precedente. Si impone una risposta alseguente quesito: fondamentalmente come si usa la“conoscenza” per costruire una nuova piramidedella ricchezza, del benessere per una società civile,per un individuo, per una professione, per unaimpresa? Globalizzazione e internet – epifania dellasocietà dell’informazione e della new economy - nondevono diventare strumenti di oppressione dei dirit-ti della persona. Di qui, da un lato, la elaborazionedi “Carte dei diritti” e di regole rivolte a tutelarel’individuo e, dall’altro, la individuazione di nuovefigure di responsabilità. In questo ampio quadroideologico, la previdenza dei professionisti assumeun ruolo determinante. Ha detto bene il professorAndrea Monorchio: “la previdenza può essere lospecchio del Paese; se è positiva può essere anche ilvolano per una forte modernizzazione che tragga glielementi fondanti nella ricerca, nella formazione,nella innovazione, nell’allocazione delle risorse,nella capacità di organizzare non solo la previdenzama anche gli investimenti finalizzati alle prestazionipensionistiche”. L’abbinamento professione-previ-denza costituisce la nuova forza dei professionistiitaliani che rivendicano una propria identità ben lon-tana da indebolimenti e confusioni pseudo-moder-nizzanti. Si è opportunamente chiarito che non è laprofessione che viene assimilata all’impresa, ma ilvero paradosso è che l’impresa si trasforma in pro-fessione. In conclusione, ben venga una iniziativacomune di professionisti italiani per affermare iprincipi a fondamento e unitarietà dell’esercizioprofessionale.

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Negli ultimi anni l’Enpap si è confrontato spes-so con il problema di garantire ai propri iscrit-ti prestazioni pensionistiche adeguate alle esi-

genze effettive. Il divario tra le pensioni versatedall’Ente e le aspettative degli iscritti ha molte ragio-ni: la loro breve anzianità contributiva, il livello red-dituale medio modesto, una contenuta aliquota con-tributiva. In questo scenario, oltre al problema dellasostenibilità finanziaria, si pone dunque il problemadella sostenibilità sociale delle prestazioni. Al profes-sor Giovanni Geroldi, Direttore generale per lePolitiche previdenziali del Ministero del Lavoro,della Salute e delle Politiche Sociali, chiediamo qualisiano i margini per un intervento riformatore su que-sto fronte, da tempo atteso dalla previdenza privata.

Professor Geroldi, è lecito attendersi nel breve perio-do un intervento del Legislatore per aggiornare l’at-tuale normativa di riferimento della Casse di previ-denza private e dare inizio a una “marcia di avvici-namento” verso l’adeguatezza delle prestazioni?Anch’io sono convinto che abbiamo davanti a noi ungrosso problema di adeguatezza delle pensioni.Nonostante il dibattito sulla riforma del sistema pen-sionistico sia oggi incentrato soprattutto sulla questio-ne della sostenibilità finanziaria, il fatto che una largaparte del sistema previdenziale obbligatorio, sia pub-blico che privato, si sia ormai orientato – in tempirelativamente rapidi – verso un sistema di tipo contri-butivo, finirà con il mettere il problema della tenutafinanziaria in secondo piano. Allo stesso tempo, emer-gerà in maniera sempre più netta il problema dellasostenibilità sociale delle pensioni, senza dimenticareche abbiamo anche un preciso dettato costituzionaleda rispettare. Ovvero l’articolo 38 della nostra Cartafondamentale. Un articolo importante, che impone digarantire adeguate condizioni di reddito a coloro chehanno smesso di lavorare e che non può essere eluso.Ovviamente ci sono tanti strumenti. Il primo, banal-mente, è quello di alzare l’età pensionabile.

Quindi, l’innalzamento dell’età pensionabile siconferma una priorità nell’agenda del Governo?Sono convinto che gli approcci finora messi in campoper estendere l’età pensionabile risentano di una certalimitatezza di vedute, anche culturali. Ricordo cheultimamente è anche tornata fuori – in modo dirom-pente – la proposta di aumentare in maniera consi-stente le ore lavorative. Io considero questa idea con-

traria a ogni ragionevole ipotesi sul nostro domani. Ilfuturo lo vedo per così dire “spalmato” su anni di vitapiù lunghi. Se, in media, l’età di ingresso nella vitalavorativa resterà ancora intorno ai vent’anni, vorràdire che noi dovremo incominciare a considerarequale probabile età per la pensione un’età tra i ses-santa e i settanta anni. Ma per far questo io credo chesia necessaria una vera e propria “manutenzione”,non solo delle condizioni fisiche e professionali deisingoli, ma anche di quelle intellettive. In altre paro-le, credo che l’intensità del lavoro – nell’arco di unavita più lunga – dovrà necessariamente diminuire enon aumentare, in modo da avere più tempo da dedi-care a quello che gli inglesi chiamano learning, cosapiù complessa del training, ovvero un concetto lega-to a un’idea di cittadinanza consapevole.

Uno degli obiettivi comuni dei cosiddetti Enti diprevidenza 103 è, da tempo, l’eliminazione delladoppia tassazione – nella fase di accumulo, prima,e nella fase di erogazione delle rendite, poi – cheoggi penalizza i professionisti che maturano ildiritto alla pensione. In attesa di questo gesto diequità le stesse Casse chiedono una sostanzialeequiparazione del proprio regime fiscale a quello,più favorevole, dei Fondi pensione. Il 2009 potreb-be essere l’anno della svolta, su questo fronte?Si tratta di capire come, a parità di contributi, il lavo-ratore che accantona nell’arco di una vita, riesca poi afar emergere il massimo della pensione possibile. Inquesto caso, a parte l’efficienza nella gestione, ilrisparmio previdenziale tendenzialmente dovrebbeessere caratterizzato da un trattamento fiscale diffe-renziato. Personalmente ritengo che il trattamentofiscale della previdenza obbligatoria pubblica diprimo pilastro sia senz’altro il più coerente.Oggi come oggi, il nostro sistema previdenziale hasenz’altro dei problemi di coerenza complessiva.Semplificando al massimo si può dire che il lavora-tore, se raggiunge i 70 anni con un reddito elevato,si troverà a pagare aliquote più alte anche su quellacomponente del reddito costituito dalla pensione; seavrà redditi bassi, pagherà invece meno imposte sulreddito. È quello che si chiama il modello E-E-Tapplicato al sistema della previdenza obbligatoriagestita dagli enti pubblici (ndr: tassazione dei solitrattamenti previdenziali), modello che ha ovvia-mente un problema di tenuta dal punto di vista dellafinanza pubblica. Al momento, per quel che riguar-da i liberi professionisti, la redditività è invece tas-sata secondo il modello E-T-T (ndr: Esenzione della

Intervista al prof. Giovanni Geroldi

Direttore generale delle politiche previdenziali del Ministero del lavoro*

* Rilasciata nel gennaio 2009 - Notiziario Enpap 25

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tassazione dei contributi previdenziali; Tassazionedei redditi patrimoniali; Tassazione delle prestazioniprevidenziali erogate). Attualmente, in termini difinanza pubblica, per i liberi professionisti iscrittiagli Enti di previdenza privati abbiamo un grossoproblema a trasformare la prima “T” in “E”, per unproblema di copertura del fabbisogno. Bisogneràlavorare su questo fronte per arrivare comunque aquesto risultato, che è sicuramente il più coerente.Se fosse trattato in modo diverso anche fiscalmentequalche altro step di gestione delle Casse probabil-mente, a parità di contribuzione degli assicurati, siavrebbe oggi una maggiore equità complessivaanche in confronto dei Fondi pensione.

Poche speranze, dunque, di migliorare nel breveperiodo l’adeguatezza delle prestazioni che saran-no assicurate agli iscritti alle Casse di previdenza.Direi che qualcosa è stato fatto: il rafforzamento diogni parte della vita delle persone nel momento incui hanno un reddito assoggettato al prelievo contri-butivo. Quindi, per dire, ritotalizzazione piuttostoche riconoscimento degli anni universitari ai fini delriscatto. Bisognerà magari andare a estendere la pos-sibilità del riscatto ad altri periodi della vita lavora-tiva: per esempio, gli eventuali congedi a fine di stu-dio e istruzione, o a fini parentali.

Quello appena iniziato sarà un anno di cam-biamenti da parte del Governo, come inter-venti di detassazione o di agevolazione per

la previdenza dei professionisti?Per la finanza pubblica abbiamo di fronte, temo, untragitto molto stretto per almeno qualche anno, per-ché a tutti i nostri soliti problemi si è aggiunta lacrisi economica, che in questo momento influiscepositivamente sulla finanza pubblica, in termini diabbassamento dei tassi di interesse sul debito pub-blico. Quindi l’onere complessivo del debito èattualmente in diminuzione. Diciamo che questa èuna notizia non cattiva. Altre notizie invece nonsono buone: qualsiasi misura di sostegno al redditoe alla ripresa economica, comporta oneri pesanti perle casse pubbliche, e per noi questo è un momento disospensione, in un certo senso, perché non siamo ingrado di fare grandi interventi e siamo in attesa chel’economia italiana venga in qualche modo coinvol-ta in una ripresa soprattutto per effetto della spesache stanno facendo altre economie. Se guardiamoall’entità delle contromisure fino a oggi adottate, cirendiamo conto che non potremmo fare molto dipiù, stretti come siamo dai vincoli di bilancio.

Ci saranno interventi per quanto riguarda le ali-quote contributive?Per quel che riguarda la previdenza dei professioni-sti, nella situazione attuale, con l’attuale curvademografica e gli attuali tassi di mortalità, è chiaro

che a fronte di un gruppo di piccole aliquote poco aldi sopra del 10%, è senz’altro dura per gli Enti pre-videnziali di categoria mettere via delle risorse con-sistenti. Una volta che lo Stato interverrà per razio-nalizzare e incentivare anche fiscalmente questotipo di risparmio previdenziale dovrà anche chiede-re, in contropartita, un graduale ma necessario innal-zamento delle stesse aliquote, almeno per quantoriguarda i professionisti.

Cosa intende esattamente?Il calcolo, molto banale, è questo: attualmente, ci tro-viamo a fronteggiare un rischio di adeguatezza delleprestazioni con una aliquota, per il lavoro dipendente,del 33%. Questo rischio si riduce mano a mano chel’età pensionabile effettiva tende a passare dai 60 ai 65anni, e la previdenza complementare inizia ad avereun ruolo più consistente. Però, già ora, in questa situa-zione, chi ha lavorato con discontinuità o ha moltoprecariato alle spalle rischia di non farcela. Questo perquanto riguarda il lavoro dipendente, che in terminiprevidenziali è senz’altro diverso alla previdenza deiprofessionisti. Volendo stabilire una sorta di equiva-lenza, l’aliquota del 33% dei dipendenti corrisponde,per i professionisti, a una aliquota del 25,5% circa. Gliautonomi Inps sono attestati intorno al 20%, altrecategorie di professionisti senza cassa di previdenzasono addirittura trascinati al 27%. Se poi guardiamoall’ultimo gruppo di aliquote, quello dei professionistidegli Enti del 103, le loro aliquote si aggirano ancoratra il 12 e il 15 per cento. Ed è questo il problema, ilgap da colmare. Io non dico di arrivare subito al 25%anche per loro, ma direi che un punto di approdoragionevole comune per tutti potrebbe essere l’ado-zione di aliquote del 22-23 per cento.

Altri interventi possibili?Si possono naturalmente fare molte altre cose concarattere di policy. Per esempio, per fare un riferi-mento a un caso molto discusso in questi giorni: ègiusto lasciare a casa le donne con ampio anticiporispetto gli uomini non riconoscendo loro tutti i van-taggi e gli svantaggi che hanno avuto in termini dicarriera? Secondo me è più efficace che alle donne glisvantaggi di carriera vengano riconosciuti puntual-mente. Quindi io dico: riconosciamo di più, paghiamodi più il lavoro femminile di cura, i congedi familiario altre forme di questo genere rafforzando le contri-buzioni di quel periodo. Riconosciamo, al limite inmodo quasi parametrico, il numero dei figli o cose diquesto genere. Che senso ha dire «si compensa tuttoalla fine», riconoscendo 4-5 anni in meno alla finedella carriera delle donne, quando poi ci sono moltedonne che, come gli uomini, hanno iniziato una car-riera, sono single e non hanno figli?

Tra i fini prioritari dell’Enpap c’è la realizzazionedi un risultato finanziario netto equivalente al

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costo della rivalutazione dei montanti contributividegli iscritti. Conseguire tale rendimento, in unoscenario di crisi finanziaria mondiale, appare oggisempre più difficile.Quando si gestiscono portafogli di natura finanziariaci sono due componenti da tenere presenti: la volati-lità fisiologica che c’è in tutti i portafogli e la qualitàdei titoli che lo compongono, il rischio cosiddetto didefault. Alla fine degli anni ’90 abbiamo avuto unacrisi economica di un certo rilievo, con conseguenteforte calo dei risultati finanziaria anche dei fondi pre-videnziali degli Usa. Allora, però, la crisi non fucaratterizzata da paure diffuse, come oggi. La novitàdi questi mesi è questa: si sceglie di far fallire un’i-stituzione finanziaria internazionale e la gente subitorealizza che, se possiede titoli emessi da questa isti-tuzione, il loro valore non scende semplicemente del10-20%, ma crolla a zero. Credo che abbiamo appre-so una lezione che probabilmente rimarrà impressanell’investitore per molto tempo. Degli investitori,Luigi Einaudi diceva: “hanno il coraggio di un coni-glio e la memoria di un elefante”.

La crisi cambierà anche i compiti e le prioritàdegli Enti previdenziali?

Credo che, ancora più che nel passato, ci dovrà essereparticolare accortezza da parte di chi gestisce il loroportafoglio, perché connesso al risparmio pensionisti-co. Personalmente, credo sarebbe opportuno rivedereil modello di regolazione di questi Enti, e il ruolo deiMinisteri vigilanti. Bisognerebbe entrare nel merito,ma senza intromettersi nelle scelte allocative dei variEnti, perché questo lederebbe la loro autonomia. Madal momento che la sicurezza del portafoglio costitui-sce una tutela essenziale degli assicurati, dovrebbeessere possibile sviluppare analisi un po’ più serie delgrado di sicurezza dei portafogli, a cominciare dallatipologia dei titoli. Credo sarebbe utile attribuire que-sta facoltà di analisi ai Ministeri vigilanti, dando loromodo di segnalare quando un determinato portafoglioinizia a “imbarcare” titoli non troppo sicuri.

Nei programmi del legislatore c’è l’intenzione diaumentare i margini di manovra delle Casse, con unintervento che attenui la rigidità di un rendimentolegato al Pil, incrementandone la flessibilità? È rea-listico attendersi un intervento in questa direzione?La domanda è fondata: un criterio che misuri annual-mente il rendimento degli investimenti è tecnicamen-te sbagliato, perché, tra l’altro, incide eccessivamentesui comportamenti degli amministratori. Una misuraci deve essere, ma deve essere scelta con maggior cri-terio. L’applicazione dei coefficienti serve a garantirela sostenibilità finanziaria, ma nella loro determina-zione non si dovrebbero utilizzare criteri tali da indur-re a comportamenti distorti. Il mercato dei titoli, chepromettevano molto almeno sulla carta: da ammini-

stratori che, a fronte di un mercato dei titoli ordinaridove risultava impossibile raggiungere i risultati pre-visti, si sono trovati costretti a inseguire titoli menoaffidabili. Per tornare alle possibili opzioni, unapotrebbe essere, molto banalmente, un allungamentodell’arco di tempo su cui si fa la verifica di questecose, escludendo quindi una misura della redditivitàanno per anno. Dopodichè, potrebbero essere intro-dotti altri indicatori importanti e alternativi. Per esem-pio, indicatori sintetici che servano anche agli assicu-rati, per far loro capire che la buona qualità o menodella gestione. Un determinato anno può portarebuoni risultati ad alcuni amministratori, e meno buoniad altri. Questo fa parte dei meccanismi connessi allacomposizione dei portafogli e alla volatilità relativadei titoli che non è certo sempre uguale. Però, se nelmedio termine la performance di una Cassa è sempremediamente al di sotto della performance media dellealtre, allora vuol dire che questa è stata gestita male,e quindi l’indicatore innovativo può rappresentare unsegnale di allarme.

Come valuta l’idea, già emersa al tempo del decen-nale degli Enti del 103, di autorizzare per le Cassebilanci triennali o quadriennali per gli investimen-ti finanziari, in modo da ottenere rendimentimigliori con margini temporali più ampi, fermorestando paletti e garanzie a tutela degli iscritti?Credo che si debba fare qualche distinguo e fissare lepriorità. Se debbo fare un bilancio per capire, ad esem-pio, la sostenibilità nel futuro di una certa scelta, èimportante poter contare su alcuni dati. Ad esempio, ilsaldo economico annuale, composto da un lato dalleuscite per le prestazioni e le spese di amministrazione,dall’altro dalle entrate contributive ma anche quelledel patrimonio. Se l’idea è quella di rapportare il datosu archi di tempo più lunghi per me va benissimo, per-ché lo considero un parametro utile a individuare lasostenibilità di una determinata scelta, non un parame-tro di bilancio. Ma non credo che sia utile, tutto som-mato, puntare sulle modifiche formali della strutturadei bilanci, che lascerei così com’è, anche perchécostituisce uno strumento informativo fondamentaleper gli iscritti: stiamo pur sempre parlando di previ-denza. Piuttosto, punterei all’adozione di alcuni para-metri innovativi, ma nell’ambito di una revisione com-plessiva del sistema di regolazione. La vigilanza faparte della cultura della burocrazia italiana, tutta con-centrata sull’analisi giuridico formale dei procedimen-ti. Un compito importante, ma qui si tratta di affianca-re a questo approccio nuovi strumenti come già in altriPaesi, dove si fa regolazione di soggetti privati che sioccupano di una cosa importante e di grande rilevanzapubblica come la previdenza e le pensioni. In questiPaesi il sistema di regolazione sviluppa, molto spessoin accordo con i soggetti regolati, modalità di regola-zione che sono appunto indicatori sintetici che rappre-sentano la realtà ma anche gli scostamenti da essa.

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ORGANI STATUTARI

Consiglio di indirizzo generale

dott. Cesare Rossi (coordinatore)

dott. Anna Barracco (segretario)

dott. Valeria Api

dott. Robert Bergonzi

dott. Franco Boldrini

dott. Aldo Calderone

dott. Roberto Calvani

prof. Sergio Capranico

dott. Daniela Cavallo

dott. Giancarlo Ceccarelli

dott. Rosella De Leonibus

dott. Floriana De Michele

dott. Donatella Galliano

dott. Mariarosaria Grazioso

dott. Giovanni Greco

dott. Patrizia La Porta

dott. Domenico Mastroscusa

dott. Paolo Michielin

dott. Emanuele Morozzo della Rocca

dott. Paolo Moscara

dott. Letizia Serra

dott. Antonio Sperandeo

dott. Barbara Tacca

Consiglio di amministrazione

dott. Demetrio Houlis (presidente)

dott. Antonio Azzolini (vicepresidente)

dott. Angelo Arcicasa

dott. Stefano Crispino

dott. Mario Rossini

Presidente dell’Ente

dott. Demetrio Houlis

vicepresidente - dott. Antonio Azzolini

Collegio dei Sindaci

dott. Ernesto del Sordo (presidente)

rag. Antonio Ciriani, dott. Franco Faoro, dott. Paola Noce, rag. Bruno Rinaldi

supplenti:dott. Vittorio Ciampa, dott. Antonella Di Modugno, dott. Liliana Giordano,

rag. Valentino Paternoster, dott. Paolo Torazza

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